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Studi sul Settecento Romano31

Quaderni diretti da Elisa Debenedetti

Sapienza Università di RomaDipartimento di Storia dell’Arte e Spettacolo

2015

PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA

Studi sul Settecento Romano

a cura di Elisa Debenedetti

Rivista annuale, anvur classe A

Direttore: Elisa Debenedetti

Comitato di redazione:Matteo Borchia – Sabina Carbonara Pompei – Maria Celeste Cola – Fabrizio Di Marco – Maria Cristina Paoluzzi – Rita Randolfi – Simona Sperindei – Alessandro Spila – Marisa Tabarrini

Comitato Scientifico:Aloisio Antinori – Liliana Barroero – Ursula Verena Fischer Pace – Christoph Liutpold Frommel – Kristina Herrmann Fiore – Jörg Garms –Tommaso Manfredi – Christian Michel – Jennifer Montagu – Martin Olin – Steffi Roettgen – Stella Rudolph – Christina Strunck – Claudio Varagnoli

In copertina: Giuseppe Angelelli, bozzetto del quadro della Spedizione franco-toscana in Egitto, olio. Roma, INASA, inv. nr. 764.

La rivista adotta il sistema del blind review: gli articoli presentati sono sottoposti al duplice vaglio prima del Comitato Scientifico, e poi dei revisori anonimi designati dal Comitato Scientifico stesso. È inoltre aperta a studiosi di qualsiasi livello di carriera, che possono inviare i loro contributi, anche in lingua inglese, francese, spagnolo, tedesco, non superiori alle dodici cartelle di massima, a Edizioni Quasar, via Ajaccio 41-43, 00198 Roma (redazione@edizioniquasar.it).

ISSN 1124-3910ISBN 978-88-7140-659-6

Studi sui Settecento Romano(Autoriz. Tribunale di Roma n. 403/86 del 18 agosto 1986)Direttore responsabile: Stefano Marconi

© Roma 2015 by Sapienza Università di Roma e Edizioni Quasar

Edizioni Quasar di Severino Tognon srlvia Ajaccio 41-43 – I-00198 Roma, tel. (39)0685358444, fax (39)0685833591per informazioni e ordini: www.edizioniquasar.it

Antico, Città, Architettura, IIdai disegni e manoscritti

dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Artea cura di Elisa Debenedetti

Studi sul Settecento Romano

Edizioni Quasar2015

La presente pubblicazione è stata realizzata con il contributo della Sapienza Università di Roma

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Sommario

Editoriale, Elisa Debenedetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 7

Su alcuni disegni bolognesi di architettura del Sei-Settecento, Deanna Lenzi . . . » 9

Il Palazzo Nuñez e i suoi proprietari, Roberto Valeriani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 23

Dal Manoscritto 19A presso la BiASA: notizie e due disegni del nuovo Palazzo arcivescovile di Ferrara, Dimitri Ticconi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 45

Sulla contrastata fortuna del primo Piranesi. Louis-Joseph Le Lorrain, Gabriel-Martin Dumont e tre apparati effimeri riesaminati (Roma, 1744-1746), Aloisio Antinori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 63

Le Vedute di Roma di Francesco Pannini nelle cartelle della collezione Lanciani, Maria Celeste Cola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 91

Un Taccuino di disegni di Giuseppe Cunego (Verona c. 1754-Roma post 1824): paesaggi dalla campagna romana del frate incisore, Ilaria Pascale . . . . . . . . . . . . . » 115

Giani e i disegni dal Sepolcro dei Nasoni nel manoscritto Lanciani 34 bis, Erminia Gentile Ortona . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135

Alcuni disegni di Felice Giani: tra vedutismo settecentesco e suggestioni romantiche, Sabina Carbonara Pompei . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 159

Per essere novi nelle produzioni delle belle arti bisogna studiare sempre li primi bravi maestri. Il manoscritto 81 di Felice Giani nella Collezione Lanciani, Elania Pieragostini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 191

I Taccuini di Giovan Battista Cipriani, Elisa Debenedetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 207

I disegni e dipinti di Giuseppe Angelelli relativi alla Spedizione franco-toscana in Egitto (1828-1829) nella Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte - Roma, Marilina Betrò . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 237

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I disegni Lanciani di Pietro Camuccini. Appunti su un artista, mercante e collezionista tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, Pier Ludovico Puddu . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 269

Disegni di vedute e antichità di Roma di Agostino Penna (1807-1881) incisore e archeologo romano, Pier Paolo Racioppi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 289

I disegni di “antichità” di Carlo Ruspi (1786-1863) nel manoscritto 80 del Fondo Lanciani, Beatrice Cirulli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 317

Due progetti decorativi di Romolo Liverani per Faenza, Francesca Lui . . . . . . . . » 335

Ornati fiorentini d’inizio Ottocento. I disegni di Vincenzo Marinelli “peritissimo” stuccatore, Cristiano Giometti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 341

Sommari, a cura di Lisa Vassay . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 351

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Sulla contrastata fortuna del primo Piranesi. Louis-Joseph Le Lorrain, Gabriel-Martin Dumont

e tre apparati effimeri riesaminati (Roma, 1744-1746)

Aloisio Antinori

La raccolta di disegni e stampe appartenuta a Rodolfo Lanciani include un esemplare dell’incisione di autore anonimo1 (Fig. 1) eseguita in occasione della grande festa che l’Acca-demia di Francia a Roma organizzò nel 1744 per celebrare la guarigione di Luigi XV da una malattia che aveva fatto temere per la sua vita. La sequenza dei fatti è nota, ma non sembra inutile ripercorrerne qui i momenti essenziali.

Il 4 agosto 1744, dopo una visita alle truppe schierate al confine nord-orientale per una delle campagne della guerra di Successione Austriaca, il re venne accolto trionfalmente nella città di Metz, dove prevedeva di trattenersi meno di una settimana. La mattina dell’8 agosto, però, il sovrano fu assalito da febbre, e nei giorni seguenti i sintomi della sua malattia, la cui reale natura non fu mai accertata, si aggravarono progressivamente. Il 15 agosto al re, ritenuto ormai prossimo alla morte, fu somministrato il sacramento dell’estrema unzione, ma invece egli restò in vita e intorno al 20 agosto le sue condizioni cominciarono a migliorare2.

L’infermità di Luigi XV in Lorena offrì alla regina Maria Leszczyńska l’occasione di alterare a proprio favore – grazie all’appoggio del duca di Fitz-James, vescovo di Soissons e primo cappellano del re – l’assetto del potere intorno al sovrano. Nel momento più critico della malattia, Fitz-James indusse infatti Luigi a pentirsi pubblicamente della propria con-dotta licenziosa e ad allontanare da Metz la sua influente maîtresse en titre, Marie-Anne de Mailly-Nesle duchessa di Châteauroux, che l’aveva accompagnato nella trasferta.

Quando più tardi rientrò a Versailles, il re reagì duramente alle imposizioni di Fitz-James, che fu confinato nella sua diocesi. Tuttavia il comportamento tenuto durante la malat-tia, presentato al popolo come segno di una moralità cristiana recuperata insieme alla salute fisica, giovò grandemente all’immagine del sovrano. Appena egli parve fuori pericolo, la regi-na fece celebrare nella cattedrale di Metz un solenne Te Deum di ringraziamento, durante il quale gli fu attribuito in forma ufficiale l’epiteto di le Bien Aimé. Da quel momento e per tutta la durata della sua convalescenza, cioè fino agli ultimi giorni di settembre3, simili cerimonie religiose si susseguirono in tutta la Francia insieme a pubbliche manifestazioni di gioia4.

La guarigione del re fu festeggiata per tre giorni consecutivi anche nelle sedi borboniche di Roma5. Le celebrazioni ebbero inizio dopo il rito domenicale del 27 settembre con un Te Deum che fu cantato, alla presenza di ben venticinque cardinali, nella chiesa nazionale di San Luigi sontuosamente apparata, dove nel pomeriggio dello stesso giorno si recò in visita anche il pontefice Benedetto XIV. Un analogo rito di ringraziamento ebbe poi luogo il martedì suc-cessivo nella chiesa di San Giacomo degli Spagnoli. Ad entrambe le cerimonie presero parte – accolti dall’abbé de Canillac, chargé d’affaires francese presso la Santa Sede6 – i rappresentanti

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di tutti gli Stati cattolici alleati della Francia nella guerra in corso, oltre al pretendente al trono britannico, James Francis Edward Stuart, che si era stabilito a Roma nel 1719.

L’allestimento in palazzo Mancini in occasione della festa per la guarigione di Luigi XV nel 1744Ai festeggiamenti romani partecipò attivamente anche l’Accademia di Francia, che dal

1725 aveva sede nel palazzo Mancini al Corso. Il Diario Ordinario riferisce7 che per tre sere consecutive «specialmente si distinse l’Accademia di Francia con illuminazione di torce a due ordini8, copiosi spari di mortaletti, e suoni continui di varj Istromenti da fiato», ma l’allestimento non interessò soltanto la facciata dell’edificio. La stampa qui in esame mostra infatti che oltrepas-sando il suo portone si poteva assistere a uno spettacolo ancora più straordinario9. Si trattava di un grande monumento effimero, certamente in legno e cartapesta, innalzato tra i quattro pilastri del vasto atrio-portico del palazzo. Una lunga didascalia posta sotto l’immagine spiega che ques-ta invenzione scenografica – realizzata per «la fête composée et donnée par M.rs les Pensionaires de l’Academie Royale a Rome en rejouißance du retablißement de la Santé du Roi10» – rappre-sentava il Tempio della Salute, all’interno del quale Igea, la dea titolare di quel culto, ed Esculapio, il dio della medicina, erano mostrati in atto di restituire alla supplice Francia il suo re risanato dopo la grave malattia. In alto, al centro di una raggiera di ascendenza berniniana, la Fama e l’Immortalità sostenevano in volo le insegne della Francia, ritornate in luce dopo il drammatico evento «comme sous un nouveau Soleil». Dai quattro angoli della scena si spandevano nell’aria i fumi dell’incenso che bruciava su altari di forma cilindrica, mentre davanti ai pilastri, ornati nella parte superiore da medaglioni con motti celebrativi, si vedevano statue che personificavano le virtù del sovrano: «la Sagesse, l’Équité, la Liberalité, et l’Humanité». Sopra le porte a destra e a sinistra dell’atrio erano due bassorilievi di forma ovata con l’allegoria delle Arti e quella della Storia. Una struttura a quattro colonne, non visibile nell’incisione, fungeva da ingresso al tempio, e ad essa erano appesi due grandi medaglioni presumibilmente dipinti, nei quali la scena della malattia di Luigi XV a Metz era presentata en pendant con quella di Alessandro Magno infermo in Cilicia per la ferita riportata nella battaglia di Isso.

Un problema interessante si pone relativamente alla paternità dell’allestimento. Come si è detto, la didascalia che ne accompagna l’immagine lo riferisce genericamente all’inizia-tiva dei pensionnaires dell’accademia, ed è verosimile che almeno alcuni dei quattro giovani scultori presenti in quel momento presso l’istituzione – François-Gaspard-Balthasar Adam il Giovane (1710-1761), Pierre-Philippe Mignot (1715-1770), Jacques-François-Joseph Saly (1717-1776) e Pierre-Antoine Verschaff (1710-1793) – abbiano lavorato all’esecuzione delle statue e dei bassorilievi. Tuttavia in palazzo Mancini risiedeva dalla fine del 1740 come stu-dente di pittura anche Louis-Joseph Le Lorrain (1715-1759), ed è difficile pensare che egli non abbia avuto un ruolo nell’ideazione dell’opera.

Soltanto tre mesi prima, infatti, Le Lorrain era stato l’autore del dipinto per la «machina di fuoco d’artificio» costruita in occasione della festa della Chinea (Fig. 2)11, e dopo quella prova, evidentemente apprezzata dal committente Fabrizio Colonna, l’invenzione di una del-le due macchine da erigersi in piazza Farnese per il tradizionale evento fu affidata al pittore francese anche nei quattro anni successivi. Già a partire dal 1745, però, gli allestimenti che egli ideò furono, come si dirà meglio più avanti, non più pittorici ma di tipo architettonico. E se è vero che per l’allestimento ‘di gruppo’ del settembre 1744 non fu progettata alcuna archi-tettura, poiché ci si limitò ad ambientarlo in quella del palazzo che Sebastiano Cipriani aveva

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progettato nel 1687 per Filippo Mancini-Mazzarino12, tuttavia gli altari cilindrici e alcuni ele-menti dell’apparato decorativo – le teorie di festoni, gli ovati contenenti rilievi e iscrizioni – si ritrovano identici proprio negli edifici effimeri disegnati negli anni seguenti da Le Lorrain.

Richard Wunder, richiamando per la prima volta l’attenzione sull’allestimento di cui ci occupiamo, sostenne senza addurre motivazioni che «the architecture [of the festival] was de-signed by Dumont»13, e la sua proposta fu più tardi ripresa, altrettanto fugacemente, da Bruno Contardi14. L’ipotesi che nella progettazione complessiva del grande evento sia intervenuto un architetto è convincente, perché simili realizzazioni erano affidate di norma a un professionista in grado di coordinare, come nel cantiere di un edificio in costruzione, il lavoro dei diversi ar-tisti e artigiani coinvolti. Quanto al nome di Gabriel-Martin Dumont (1720-1791), la questione merita di essere approfondita.

Alla fine di settembre del 1744 i giovani architetti residenti in palazzo Mancini erano soltanto due: Nicolas-Marie Potain (1713-1791), che era giunto a Roma nel giugno del 1739, e Gabriel-Martin Dumont, che vi si trovava dal novembre del 1742. Potain sarebbe dovuto ripar-tire alcuni mesi prima, ma il suo soggiorno presso l’istituzione era stato prolungato per consen-tirgli di completare i rilievi della basilica e della piazza di San Pietro ai quali si stava dedicando già da tre anni15. Se dunque immaginiamo che Potain abbia trascorso i suoi ultimi mesi a Roma totalmente impegnato nel tentativo di portare a termine il lavoro sulla basilica vaticana, appare assai probabile che l’idea generale e la supervisione del grande allestimento scenico realizzato presso l’Accademia siano effettivamente da riferire a Dumont. È del resto significativo che nel 1772 sarà proprio Dumont a curare, dichiarandosi «ancien pensionnaire de ce temps», una ristampa parigina – ottenuta da una nuova matrice incisa da François Noël Sellier (1737 – post 1800) e dotata di una didascalia identica nel testo ma scritta in diversi e più chiari caratteri – dell’immagine dell’effimero monumento innalzato ventotto anni prima in palazzo Mancini16.

La seconda macchina per la festa della Chinea del 1745Alla collaborazione tra Le Lorrain e Dumont va riferita a nostro avviso anche la seconda

macchina per la festa della Chinea del 1745, generalmente attribuita al solo pittore sulla base della firma che egli appose sulla relativa incisione: «J. Louis Le Lorrein inv. dis., e incise».

A questo punto è opportuno fare un passo indietro, e ricordare che da quando, nel 1738, si era deciso di ripristinare la consuetudine della Chinea dopo quattro anni d’interru-zione17, gli allestimenti realizzati per la festa erano stati sempre di tipo pittorico, consistenti cioè semplicemente in una struttura lignea che fungeva da supporto a una grande tela, sulla quale era dipinta una scena allegorica o mitologica. La macchina del debutto di Le Lorrain nel 1744 – dedicata al tema dell’Incoronazione di Virgilio come principe dei poeti – era ancora di questo tipo, ma a partire dal 1745 egli cominciò a realizzare allestimenti di tipo achitetto-nico, ossia edifici in legno simili a modelli, che venivano costruiti, dipinti e ornati con statue e bassorilievi, per essere poi incendiati durante l’epilogo notturno della festa. Nel 1745 Le Lorrain realizzò dunque un arco di trionfo in onore di Carlo di Borbone; nel 1746 un Tempio di Minerva; nel 1747, pochi giorni dopo la nascita dell’erede al trono di Napoli, un Tempio di Venere Genitrice di cui propose forse due diverse versioni18; nel 1748, infine, un nuovo Tem-pio di Minerva al quale Marte e Venere conducono un bambino affinché vi sia educato come «perfetto Eroe», anche questa volta in palese allusione al primogenito di Carlo di Borbone19.

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È stato più volte segnalato che questi edifici effimeri sono molto interessanti per quanto riguarda il linguaggio architettonico, ma stranamente non si è data attenzione al fatto che il primo della serie risulta, proprio considerando tale aspetto, molto diverso dagli altri tre.

Nella macchina del 1745 (Fig. 3), infatti, un certo neocinquecentismo d’impronta michelan-giolesca non prescinde da quelle interpretazioni ‘moderate’ della tradizione barocca, che avevano in molti casi caratterizzato gli allestimenti per la stessa festa prima dell’interruzione (1734-1737). Invece a partire dall’apparato del 1746, sul quale torneremo più avanti, le invenzioni di Le Lorrain virarono decisamente verso una certa idea dell’Antico, e degli esiti di tale svolta – tempietti con colonne di semplice impianto centrico, chiara articolazione volumetrica e sobria decorazione – è già stata sottolineata l’importanza per la successiva evoluzione dell’architettura francese20.

Ma esaminiamo con più attenzione l’allestimento del 1745, che – è opportuno ribadire – nella sequenza di quelli firmati da Le Lorrain rappresenta un caso a sé stante, distaccandosi nettamente sia dal precedente per la tipologia dell’apparato, sia dal successivo per il linguag-gio che propone.

Secondo quanto è dichiarato nella didascalia, l’allestimento metteva in scena un arco di trionfo innalzato per celebrare il ritorno a Napoli di Carlo di Borbone dopo la grande vittoria riportata sugli Austriaci nella battaglia di Velletri (10-11 agosto 1744). In realtà l’invenzione è più complessa, perché si articola sulla saldatura di due strutture architettoniche tipologica-mente ben distinte: un vero e proprio arco trionfale e un soprastante tempietto. L’arco presenta tre aperture. L’ampio fornice centrale, impostato su colonne tuscaniche, è inquadrato da due coppie di colonne ioniche appartenenti a un ordine maggiore. Queste poggiano su un alto pie-distallo e si legano sintatticamente alla trabeazione sommitale, di cui producono l’avanzamento. L’ordine tuscanico minore ritorna nelle aperture laterali, dove però le colonne sono architrava-te: una soluzione insolita in un arco trionfale, che deriva evidentemente dal portico del palazzo dei Conservatori in Campidoglio. Quel modello michelangiolesco, ripreso molte volte in edifici di varia tipologia, era entrato in una fase di rinnovata fortuna specialmente a partire dal con-corso per la facciata di San Giovanni in Laterano del 1732. Lo troviamo infatti nelle proposte avanzate in quell’occasione da un giovane brillante appena uscito dall’Accademia di San Luca come Bernardo Antonio Vittone (1704-1770) (Fig. 4) e da un architetto non molto più anziano ma già affermato come Nicola Salvi (1697-1751) (Fig. 5), oltre che nell’invenzione anonima, attribuita da Elisabeth Kieven ad Alessandro Dori (1702-1772), che compare in un foglio del Fondo Lanciani presso la Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte di Roma (Fig. 6) 21.

Quanto alla presenza di una campata con colonne sorreggenti un arco tra le due con co-lonne architravate, si tratta della ripresa della variazione di quel tema che era stata elaborata da Alessandro Specchi (1668-1729) per la nuova sistemazione, portata a termine nel 1720, del cortile dello stesso palazzo dei Conservatori (Fig. 7).

Anche delle due coppie di colonne di ordine maggiore che inquadrano ed enfatizzano il fornice centrale si possono individuare precedenti in alcuni dei progetti per la facciata di San Giovanni in Laterano, a cominciare da quello vincente di Alessandro Galilei (1691-1737), ma in quei casi si trattava delle membrature emergenti di un ordine gigante esteso all’in-tera dimensione della facciata. L’adozione di colonne binate, d’altra parte, non sorprende nell’opera di un artista formatosi in Francia, giacché tale motivo era peculiare della cultura architettonica di quella nazione fin dal tempo di François Mansart (1598-1666), al punto che il suo impiego da parte di Claude Perrault (1613-1688) nel colonnato della facciata orientale

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del Louvre era stato ritenuto dai contemporanei una soluzione à la française22. Inoltre coppie di colonne ioniche erano state usate da Gaetano (? -1758) e Paolo Antonio Brunetti (ca. 1723-1783) nell’arco di trionfo innalzato in place de Grève per il rientro di Luigi XV a Parigi il 15 novembre 1744, un’architettura effimera che i pensionnaires dell’Accademia di Francia a Roma probabilmente conoscevano, perché ne circolò presto un’immagine a stampa23. Non è da escludere, dunque, che l’autore dell’apparato del 1745 abbia voluto far riferimento, in chiave celebrativa, all’ascendenza borbonica del nuovo monarca napoletano.

Lo scarso sviluppo in altezza dell’arco trionfale è compensato dalla presenza, sopra il suo settore centrale, di un piccolo edificio circolare. Si tratta di un tempio monoptero, coper-to da una cupola poggiante su quattro pilastri fiancheggiati da colonne corizie e circondato da altre otto colonne uguali formanti coppie, in corrispondenza delle quali la trabeazione agget-ta. Al centro del tempio, fumi d’incenso si levano da un altare cilindrico simile nella forma e nella decorazione a quelli dell’apparato in palazzo Mancini, mentre sopra la cupola, e dunque al culmine dell’intera struttura, svetta la statua di una Fama che offre un ramo di palma e un serto di alloro al sovrano vincitore. Statue di prigioni, panoplie e un grande stemma centrale completano la decorazione della pseudo-architettura.

Contrariamente all’arco trionfale del registro inferiore, il tempietto è in diretta relazione con le macchine per la festa della Chinea precedenti l’interruzione del 1734-1737, specialmente quelle ideate da Alessandro Specchi nel corso degli anni Venti, tutte ben note grazie alle stampe che le riproducevano. In particolare, la sua struttura architettonica appare quasi identica a quella del Tempio della Virtù presente nella prima macchina del 1724 (Fig. 8), riproposto poi con poche variazioni come Tempio della Gloria nella prima macchina del 1727 (Fig. 9). Un tempietto sopra un arco trionfale era in effetti già comparso nell’apparato realizzato nel 1699 a Vienna da Johann Bernhard Fischer von Erlach (1656-1723) – su commissione dei cosiddetti “Mercanti stranieri” – per rendere omaggio all’arciduca Giuseppe, re d’Ungheria ed erede al trono imperiale, in occasio-ne delle sue nozze con Guglielmina Amalia di Braunschweig-Lüneburg (Fig. 10). È possibile che già Specchi conoscesse quell’allestimento di Fischer von Erlach, la cui immagine era stata inclusa nell’Entwurff einer historischen Architectur (Vienna 1721, poi Lipsia 1725), e certamente esso era ben noto, negli anni Quaranta, agli studenti di architettura dell’Accademia di Francia a Roma.

Anche in alcuni dettagli decorativi della macchina del 1745 si palesa la vasta cultura architettonica del suo autore e la grande attenzione che egli rivolge sia ad alcuni protagonisti della scena dei primi decenni del secolo, come Alessandro Specchi, sia ai maestri viventi, specialmente quelli non coinvolti nell’ultimo revival borrominiano, come Nicola Salvi o Fer-dinando Fuga (1699-1782). Dal progetto del primo per la facciata di San Giovanni in Late-rano (cfr. Fig. 5) derivano infatti direttamente, oltre alle colonne architravate ‘capitoline’ di cui già si è detto, anche i pannelli rettangolari con bassorilievi felicementi proposti da Salvi come decorazione complementare a quel tipo di campata. Invece i lunghi serti di foglie che nell’ordine maggiore dell’arco trionfale si avvolgono con andamento spiraliforme intorno ai fusti delle colonne, compaiono nei disegni di progetto di Fuga per la nuova sistemazione dell’altare con baldacchino di Santa Maria Maggiore (Fig. 11), datati da Elisabeth Kieven agli anni 1746-174724, ma forse già in corso di elaborazione qualche tempo prima.

Può dunque ritenersi verosimile che un pittore come Le Lorrain abbia, in totale auto-nomia, abbandonato l’apparato di tipo pittorico in auge per la Chinea fino al 1744 per sosti-tuirlo con quello di tipo architettonico del 1745, e quindi progettato e realizzato quest’ultimo

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avvalendosi con sicurezza dell’ampia varietà di riferimenti all’architettura contemporanea che abbiamo posto in evidenza? E chi tra i giovani architetti dell’accademia potrebbe averlo accompagnato in questo percorso se non Gabriel-Martin Dumont, visto che Potain era ormai partito, mentre Nicolas-Henri Jardin (1720-1799), il nuovo pensionnaire giunto a Roma nel dicembre del 174425, prese ben presto, a giudicare da quel poco che conosciamo della sua produzione di quegli anni26, una diversa direzione?

C’è poi un’altra questione alla quale è necessario far riferimento trattando del rapporto tra Le Lorrain e Dumont e del suo manifestarsi nella seconda macchina per la Chinea del 1745.

Le incisioni che riproducono le architetture effimere realizzate per la festa della Chinea dall’inizio della solennizzazione dell’evento nel 1722 fino al 1733, mostrano di norma quegli allestimenti nella loro reale ambientazione urbana, vale a dire nel contesto del palazzo Colonna e della piazza dei Santi Apostoli. Dopo l’interruzione dal 1734 al 1737 e dopo il definitivo inse-diamento sul trono napoletano del figlio di Filippo V di Spagna e di Elisabetta Farnese, si decise di spostare la festa nella piazza antistante il palazzo Farnese. Per alcuni anni, tuttavia, di questa nuova localizzazione non si produssero immagini, perché gli apparati per le feste celebrate dal 1738 al 1744 furono, come già si è detto, tutti di tipo pittorico, e nelle incisioni eseguite per con-servarne memoria si preferì presentare soltanto le scene di argomento mitologico o allegorico di volta in volta dipinte ed esposte al pubblico. Quando nel 1745 si decise di costruire nuovamente macchine pirotecniche di tipo architettonico, e si volle poi, secondo la consuetudine, riprodurre i due allestimenti in immagini a stampa, ci si trovò a dover scegliere se rappresentare o meno il nuovo ambito urbano della festa, e si fecero alla fine due scelte divergenti. La prima macchina, una struttura turriforme ideata da Giuseppe Doria (doc. 1725-1746) e dedicata al tema della Fondazione del Regno delle Due Sicilie da parte di Ruggero d’Altavilla, compare, nell’incisione affidata a Giuseppe Vasi (1710-1782), al centro di una piazza Farnese perfettamente riconoscibile (Fig. 12). Invece la macchina incendiata il secondo giorno, che secondo l’attendibile relazione del Diario Ordinario fu eretta come d’uso nello stesso luogo27, è situata nell’incisione di Le Lorrain al centro di un vasto spazio libero delimitato da un colonnato con coronamento di statue. Tale maestosa sequenza di colonne forma, dopo due brevi tratti in linea retta, una grande esedra su pianta ovale, al centro della quale s’apre – visibile attraverso il fornice dell’arco trionfale – la prospettiva di un lungo rettifilo. Sebbene la parte inferiore della rappresentazione sia occupata dalla scena del «Ritorno del Ré delle due Sicilie alla Sua fedelissima Città di Napoli», la piazza in cui s’innalza l’arco non ha palesemente alcun rapporto con quella capitale. Di quale città invece si tratti, è lo stesso Le Lorrain a segnalarcelo, situando sullo sfondo, all’estrema destra del quadro, un’alta colonna coclide con statua sommitale. Difficilmente si potrà negare allora la relazione – già notata da Gilbert Érouart – tra questo immaginario invaso urbano e la piazza di San Pietro, così come appare significativo che il tema della piazza delimitata da un imponente colonnato con statue si ripresenti in due dei quattro fogli con fantasie architettoniche (Fig. 13, Fig. 14) conserva-ti presso il Cooper-Hewitt Museum di New York e convincentemente attribuiti a Le Lorrain28. In uno di quei disegni (Fig. 13) è persino presente, al centro dello spazio circondato dal colonnato, un obelisco simile a quello vaticano. Questa persistente attenzione di Le Lorrain per la piazza di San Pietro, sulla quale fino ad oggi non ci si è mai interrogati, è un aspetto rilevante dei suoi interessi artistici in quel momento, e può essere spiegata proprio alla luce dello stretto rapporto che specialmente nel corso del 1745 dovette stabilirsi tra il pittore e Gabriel-Martin Dumont. Va ricordato infatti che al rilievo del complesso vaticano non si dedicò, come abbiamo visto, il solo

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Nicolas-Marie Potain, giacché verso quell’attività – ritenuta altamente formativa – erano gene-ralmente indirizzati in quegli anni tutti i giovani architetti dell’accademia francese, così come ai pittori era richiesto di esercitarsi nella copia degli affreschi delle Stanze di Raffaello29. Inoltre ai due studenti di architettura residenti a Roma nella primavera del 1743, vale a dire Potain e Du-mont, si era presentata la straordinaria occasione di esaminare da vicino e misurare in ogni sua parte anche la cupola della basilica, grazie ai ponteggi approntati per l’intervento di consolida-mento statico che Luigi Vanvitelli (1700-1773) eseguì a partire da quella data con la consulenza di Giovanni Poleni (1683-1761) e che si protrasse poi fino al 1748. Dopo che Potain ebbe lasciata Roma alla fine del 1744, Dumont continuò a occuparsi da solo di San Pietro durante l’intero 1745 e nei primi mesi del 1746, e l’importanza che egli attibuì anche in seguito a quel lavoro è testimo-niata dal fatto che ne conservò i risultati, li preparò per la pubblicazione e infine li presentò in un volume (Fig. 15) quasi vent’anni più tardi30.

Della prossimità tra Le Lorrain e Dumont durante l’ultimo anno del soggiorno romano di quest’ultimo, si trova riscontro anche nel noto progetto triassiale31 per un Tempio in onore delle tre Arti (Fig. 16), che l’architetto offrì in dono all’Accademia di San Luca quando vi fu ammesso come Accademico di merito il 17 aprile 1746, pochi giorni prima di lasciare Roma per far ritorno in Francia32. In quell’invenzione, infatti, ritroviamo quasi identiche – sebbene con colonne io-niche anziché tuscaniche – le campate con colonne architravate e bassorilievo rettangolare che caratterizzano l’arco trionfale dell’allestimento firmato da Le Lorrain nel 1745. E il gruppo di tre figure femminili stanti e abbigliate all’antica che nel progetto di Dumont funge da sostegno al grande vaso fiammigero dell’altare centrale è molto simile a quello che in uno dei disegni del Cooper-Hewitt compare al sommo della fontana in primo piano (Fig. 17, cfr. Fig. 13).

La prima macchina per la festa della Chinea del 1746 Quanto si è finora osservato induce a ritenere che anche il netto mutamento di linguag-

gio al quale si assiste nel nuovo allestimento per la festa della Chinea – il primo di quell’anno – presentato da Le Lorrain il 28 giugno 1746, sia da porre in relazione con la fine del suo sodalizio con Dumont, che era partito due mesi prima.

La didascalia che accompagna la relativa incisione (Fig. 18) ci spiega che s’intendeva rappresentare «il Tempio di Minerva dall’antica Gentilità tenuta per Dea delle Virtù, [...] per allusione à quelle vere, e Reali che si mirano specchiare egregiamente nel magnanimo petto della Maestà di Carlo Re delle due Sicilie...». La macchina finge dunque un’architettura templare corinzia a pianta probabilmente quadrata con copertura a cupola intradossata. Su due dei suoi lati, la struttura presenta pronai rettangolari, forse tetrastili, ai quali si accede attraverso rampe. In posizione frontale rispetto all’osservatore è invece un pronao semicirco-lare a sei colonne, all’interno del quale si scorge il consueto altare cilindrico sul quale brucia incenso. Del repertorio decorativo utilizzato nella macchina dell’anno precedente, restano le nicchie con statue e i pannelli rettangolari scolpiti, mentre la sequenza sommitale di statue è l’ultimo ricordo del colonnato berniniano. Nuovo e assai evocativo dell’Antico è invece l’alto fregio a bassorilievo che corre all’altezza dell’imposta della cupola, nel quale è svolto il tema di Minerva «corteggiata» dalle Virtù. La presenza di nuvole sia intorno al basamento del tempio, sia al suo vertice, dov’è la statua acroteriale della dea, riproduce un effetto scenico che era comune negli spettacoli teatrali, ma che serve in questo caso a Le Lorrain per astrarre la rappresentazione dell’apparato pirotecnico da qualsiasi tipo di contesto urbano, così che

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l’immaginaria architettura viene ad essere proiettata – anche per la totale assenza di figure umane – in una dimensione di sovratemporale grandiosità.

Il nuovo orientamento di Le Lorrain nella macchina per la Chinea del 1746 va interpre-tato dunque come un avvicinamento, o più verosimilmente un ritorno, a quel particolare tipo di interesse per l’architettura di Roma antica, archeologico nelle intenzioni e visionario negli esiti, che all’inizio del decennio alcuni pensionnaires di palazzo Mancini – come, oltre a Le Lor-rain, l’architetto Jean-Laurent Legeay (1708-1790) e poi il pittore Charles-Michel-Ange Challes (1718-1778) – avevano condiviso con il giovane Giovanni Battista Piranesi (1720-1778)33. Infat-ti l’edificio effimero ideato dal pittore francese è questa volta quasi del tutto privo di riferimenti alle opere dei maestri dell’architettura contemporanea, mentre presenta un’evidente affinità con il tempio «fabbricato da Ottaviano Augusto nella Guerra Cantabrica per voto fatto a Giove Tonante», che Piranesi aveva raffigurato nella tavola (Fig. 19) con il «Campidoglio antico» della Prima Parte di Architetture e Prospettive, la raccolta di stampe con cui nel 1743 aveva presentato al pubblico la sua autonoma ricerca artistica di quei primi anni romani.

Le Lorrain era arrivato a Roma alla fine del 174034, pochi mesi dopo Piranesi. Legeay vi si trovava già dal maggio del 1739 e vi rimase fino al gennaio del 1742. Alla fine del 1742 entrò in accademia anche Challes. Le Lorrain e Piranesi dovevano aver visitato insieme le antichità di Roma, continuando a frequentarsi fino alla primavera del 1744, quando il veneziano rien-trò per breve tempo in patria, prima di farvi ritorno una seconda volta per un periodo di oltre due anni, dal luglio del 1745 all’agosto o settembre del 174735. All’inizio di novembre del 1742 era giunto a Roma Gabriel-Martin Dumont, un architetto dalla forte personalità che dovette in breve tempo imporsi non soltanto nell’ambiente dei pensionnaires e che, come si è già ricordato, tre anni e mezzo più tardi concluse il suo soggiorno romano ottenendo l’ammis-sione come accademico di merito all’Accademia di San Luca (17 aprile 1746). Va sottolineata l’eccezionalità di questo riconoscimento, che nessun architetto francese aveva ottenuto dal tempo di Antoine Dérizet (1685-1768), cioè da circa vent’anni, e che il giovane «architecte Parisien» conseguì senza aver neanche partecipato con successo a un Concorso Clementino, com’era di norma necessario per poter aspirare all’ammissione per merito36. Durante gli anni trascorsi presso l’accademia francese a Roma, Dumont doveva essersi conquistato l’incondi-zionato favore del suo direttore Jean-François De Troy (1679-1752), che nel 1744-45 aveva ricoperto per due anni anche la carica di principe di quella di San Luca: solo così può trovare una spiegazione l’importante quanto irrituale affermazione del ventiseienne pensionnaire.

In questo quadro ben si comprende come nel 1744 e poi specialmente nel 1745, quando Piranesi era sul punto di lasciare Roma e dopo la sua partenza, Le Lorrain abbia subìto l’in-fluenza del brillante e determinato Dumont, disegnando verosimilmente insieme a lui la sua prima macchina della Chinea di tipo architettonico, e scegliendo a volte di rivolgere come lui l’attenzione – ma per nutrirne le proprie rêveries, piuttosto che per interessi di studio – alla Roma moderna e berniniana anziché alle vestigia di quella antica.

Nel percorso artistico di Le Lorrain, tuttavia, il sodalizio con Dumont rappresentò soltanto una parentesi. Appena quest’ultimo si fu a sua volta allontanato, il pittore si sentì libero di mettere in scena, nell’apparato del 1746, quella Roma antica che aveva immaginato insieme a Piranesi e a Legeay durante i primi due anni del suo soggiorno in palazzo Mancini: una scelta che appare tanto più significativa, in quanto Piranesi non vi intervenne se non per via indiretta, cioè attraverso le affascinanti tavole della sua Prima Parte, poiché si trovava in quell’anno ancora a Venezia37.

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L’allontanamento di Le Lorrain dall’architettura moderna, ribadito poi nelle macchine per la Chinea che egli disegnò nei due anni successivi, è riscontrabile anche in un altro suo lavoro dello stesso 1746. Il 15 settembre di quell’anno si celebrarono in San Giacomo degli Spagnoli le esequie del re di Spagna Filippo V, che aveva cessato di vivere il 9 luglio. La ceri-monia fu organizzata dall’ambasciatore di Spagna, il cardinale Troiano Acquaviva, e l’apparato funebre fu progettato da Ferdinando Fuga, che era da dieci anni l’architetto di quella chiesa. La memoria dell’evento venne poi affidata a una Relación a stampa38, pubblicata con la stessa data 1746 e illustrata da sette tavole per le quali Fuga eseguì i disegni preparatori, che si conservano. Della trasposizione dei disegni su rame furono incaricati diversi incisori, e delle due tavole più importanti, quelle che mostrano le facciate della chiesa verso piazza Navona e verso il palazzo della Sapienza, si occupò Louis-Joseph Le Lorrain39. Queste incisioni sono molto interessanti, perché le due facciate allestite per la cerimonia non sono rappresentate nei loro rispettivi am-biti urbani, ma sullo sfondo di immaginari paesaggi costellati di architetture di Roma antica. Elisabeth Kieven notò che quest’invenzione è estranea alla cultura e alle consuetudini di Fuga, e ne dedusse che l’architetto fiorentino «si adattò ad una moda del tempo», introdotta a Roma da Giovanni Paolo Pannini (1691-1765) e poi soprattutto, «in questa forma specifica», dal gruppo dei pensionnaires dell’Accademia di Francia, di cui Le Lorrain faceva parte40. Qui s’intende por-tare alle estreme conseguenze le considerazioni di Elisabeth Kieven su questo «romanticismo delle rovine», che con troppa difficoltà è riferibile a una scelta di Fuga. Ci sembra infatti senz’al-tro da condividere l’osservazione di Lidia Bianchi41, secondo la quale nei disegni preparatori per le incisioni di Le Lorrain alcuni elementi di dettaglio, in particolare «gli accenni di paesaggio», sono «evidenti aggiunte di altra mano», verosimilmente quella dell’incisore. A ciò va aggiunto che tra le architetture antiche rapidamente delineate in tali disegni preparatori e quelle che fi-gurano poi nelle stampe non si riscontra una piena corrispondenza, anzi nel caso dell’incisione con la facciata della chiesa verso la Sapienza, le differenze sono assai vistose (Fig. 20, Fig. 21). Fu dunque certamente Le Lorrain a decidere di decontestualizzare le due facciate per calarle al centro di capricci architettonici, e questi furono da lui abbozzati accanto alle facciate disegnate da Fuga e poi notevolmente modificati al momento della trasposizione su rame. L’artista seguì dunque lo stesso percorso concettuale che aveva compiuto poco più di un anno prima nell’in-cisione raffigurante la macchina per la Chinea del 1745 (Fig. 3), ma mentre in quel caso per la nuova ambientazione del soggetto aveva immaginato una piazza molto simile a quella di San Pietro, questa volta, dopo la partenza di Dumont, il suo interesse tornò a rivolgersi verso la Roma antica.

Alcune delle architetture disseminate nei due sfondi, presentate allo stato di rudere, sono difficilmente identificabili, mentre in un paio di casi edifici ben noti appaiono arric-chiti da fantasiose decorazioni. Tra questi particolare rilievo ha il Pantheon, che campeggia, decontestualizzato a sua volta, all’estrema sinistra del paesaggio dietro la facciata che guar-da la Sapienza, mentre non è presente affatto nel relativo disegno preparatorio. Stimolato dalla sostanziale integrità del tempio, Le Lorrain lo sottopose a un’arbitraria elaborazione ricostruttiva, dietro la quale si scorge l’intento di conferirgli la grandiosità degli immaginari edifici antichi di Piranesi. Il riferimento alle invenzioni del veneziano si fa allora finalmente diretto: la vistosa sequenza di aquile e festoni che corona l’imposta della cupola è identica a quella che nel «Mausoleo antico» della Prima Parte di Architetture e Prospettive (Fig. 22, Fig. 23) compare sopra la trabeazione della peristasi ionica.

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NOTE

Ringrazio la dott. Maria Antonella Fusco, Dirigente dell’Istituto Centrale per la Grafica; il prof. Francesco Moschini, Segretario Generale dell’Accademia Nazio-nale di San Luca; il dott. Claudio Parisi Presicce, So-vrintendente Capitolino ai Beni Culturali e Direttore dei Musei Capitolini, la Direzione della Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte di Roma e la Direzione della Bibliotheca Hertziana.1 Roma, Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte, Fondo Lanciani, Roma, XI. 51. 1, 45. 2 Una relazione dettagliata dell’intero episodio fu data alle stampe prima della fine dell’anno: Journal de ce qui s’est fait pour la reception du Roy dans sa Ville de Metz, le 4. aoust 1744. Avec un Recuëil de plusieurs Pièces sur le même sujet, & sur les Accidens survenus pendant son Séjour, A Metz, De l’Imprimerie de la Veuve de Pierre Collignon..., 1744. Una ricostruzione storica dell’even-to e delle sue conseguenze è in M. Antoine, Louis XV, Paris 1989, pp. 368-380. 3 Il 29 settembre il re, completamente ristabilito, lasciò Metz e si diresse al castello di Lunéville, dove l’atten-deva il suocero Stanislao Leszczyński, duca di Lorena e di Bar. 4 Sui festeggiamenti che furono organizzati nella ca-pitale: M. Ledoux-Prouzeau, Les fêtes publiques à Paris à l’époque de la guerre de Succession d’Autriche (1744-1749), in D. Rabreau (a cura di), Paris, capitale des arts sous Louis XV  : peinture, sculpture, architec-ture, fêtes, iconographie (Annales du Centre Ledoux, 1), Bordeaux 1997, pp. 87-110, in particolare pp. 92-93, con riferimenti alle fonti. Quelli che ebbero luogo a Lione sono descritti nella Lettre à M. de D.L. Conseiller au Parlement de Paris sur les réjouissances faites et or-données par MM. les Comtes de Lyon, pour célébrer le rétablissement de la Santé du Roi, A Lyon, De l’Impri-merie d’Aymé Delarouche, 1744.5 Un’ampia descrizione dei festeggiamenti è in Diario ordinario, 4242, 3 ottobre 1744, pp. 7-11. 6 Claude-François de Montboissier de Canillac de Beau-fort curò gli affari francesi a Roma, in assenza di un ambasciatore, dal 1733 al 1745. Nel 1743 il re aveva final-mente attribuito l’incarico di ambasciatore a Frédéric-Jérôme de la Rochefoucauld, ma questi giunse nella capitale pontificia soltanto nel giugno del 1745. 7 Diario ordinario, 4242, 3 ottobre 1744, p. 11. Ma si veda anche A. de Montaiglon (a cura di), Correspon-dance des directeurs de l’Académie de France à Rome avec les Surintendants des Bâtiments, I-XVIII, Paris 1887-1912, X, 1900, p. 75 (Philibert Orry, directeur général des Bâtiments du Roi, Académies et Manufac-tures, al direttore dell’Accademia di Francia a Roma Jean-François de Troy, 4 novembre 1744): «J’ai reçu

la lettre que vous m’avés écrite, Monsieur, le 7 du mois dernier [questa lettera è perduta], par laquelle vous me faites part des réjouissances qui ont été faites à l’Académie à l’occasion du rétablissement de la san-té du Roy et de la fête qui a été donnée par les pen-sionnaires et dont vous m’avez envoyé une estampe. Je ne puis trop approuver leur zèle et je veux bien entrer dans une partie de la dépense qu’ils ont faite à cette occasion, afin de les indemniser en quelque fa-çon du chagrin qu’ils ont eu de trouver un obstacle à ce qu’ils missent entièrement leur projet à exécution. Je ne conçois pas trop quelles raisons a eu M. de Ca-nillac pour s’y opposer, et je ne serois même pas fâché que vous fissiés en sorte, sans affectation et comme de vous, d’en savoir les motifs. Je n’ai rien trouvé dans tout cela qui pût faire ombrage et qui méritât, par cette raison, de n’être pas exécuté». Sull’interessante questione, che non è possibile approfondire in questa sede, dell’ostilità di Canillac verso la festa organizza-ta dai pensionnaires, si veda anche quanto de Troy risponde a Orry nella sua lettera del successivo 15 dicembre: ivi, pp. 77-78. 8 Un’immagine della facciata del palazzo Mancini il-luminata per la festa del settembre 1744 è in una rara incisione pubblicata insieme alla brevissima scheda sull’evento di Anna Casciati, in M. Fagiolo (a cura di), Corpus delle feste a Roma. 2. Il Settecento e l’Otto-cento, Roma 1997, p. 128. L’unica informazione che la scheda fornisce su questa stampa è la sua appartenenza alla collezione Lefuel di Parigi. 9 Sull’episodio, che non ha ricevuto un’adeguata at-tenzione in sede storiografica, si veda specialmente R.P. Wunder, A forgotten French Festival in Rome, in “Apollo”, 85 (1967), 63, pp. 354-359 e M. Boiteux, Il carnevale e le feste francesi a Roma nel Settecento, in Il teatro a Roma nel Settecento, I-II, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1989, I, pp. 321-371, in partico-lare p. 336. Werner Oechslin lo citò come un caso di «exposition de groupe», che insieme ad altre circostanze indurrebbe a suo avviso a riconoscere nel gruppo di ar-tisti residenti in quegli anni in palazzo Mancini i carat-teri di una «école artistique»: W. Oechslin, Le groupe des «Piranésiens» français (1740-1750): un renouveau artistique dans la culture romaine, in G. Brunel (a cura di), Piranèse et les Français, atti del convegno (Roma, 12-14 maggio 1976), Roma 1978, pp. 363-394, in par-ticolare p. 367. 10 Il testo della didascalia è riportato senza adeguare alle convenzioni attuali l’uso degli accenti.11 La macchina fu innalzata in piazza Farnese il 28 giu-gno 1744. Secondo la consuetudine, il giorno seguente fu allestita nello stesso luogo una seconda macchina, ideata da Francisco Preciado de la Vega e dedicata all’Incontro di Enea con la Sibilla Cumana: la descri-zione del duplice evento è in Diario ordinario, 4203, 4 luglio 1744, pp. 9-15. Sugli allestimenti per la festa

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della Chinea si veda M. Gori Sassoli, Della Chinea e di altre «Macchine di Gioia». Apparati architettonici per fuochi d’artificio nella Roma del Settecento, Milano 1994, e inoltre le schede relative alle celebrazioni che ogni anno avevano luogo per quell’evento in M. Fa-giolo (a cura di), Corpus delle feste, cit. 12 Sull’interessante edificio nel quale aveva sede l’Ac-cademia di Francia, si veda ora A. Antinori, Riflessi di edifici parigini in residenze romane del tardo Seicento: i palazzi Muti Papazzurri alla Pilotta e Mancini, in F. Cantatore, F.P. Fiore, M. Ricci, A. Roca De Ami-cis, P. Zampa (a cura di), Giornate di studio in onore di Arnaldo Bruschi, I-II (“Quaderni dell’Istituto di Sto-ria dell’Architettura”, N.S., 60-62, 2013-2014), atti del convegno (Roma, 5-7 maggio 2011), II, Roma 2014, pp. 169-182, in particolare pp. 174-180, con bibliogra-fia precedente.13 R.P. Wunder, A forgotten French Festival, cit. p. 358.14 B. Contardi, Gabriel-Martin Dumont, in B. Con-tardi, G. Curcio (a cura di), In Urbe Architectus. Modelli, disegni, misure. La professione dell’architetto. Roma 1680-1750, catalogo della mostra (Roma, 12 dicembre 1991 - 29 febbraio 1992), Roma 1991, pp. 362-363. 15 Cfr. A. de Montaiglon (a cura di), Correspon-dance, cit., X, 1900, p. 72 (Jean-François de Troy a Philibert Orry, 1 luglio 1744): «J’eus l’honneur de vous écrire, il y a quinze jours, au sujet du départ des srs Hallé et Roettiers qui retournent en France. Le sr Favray vien de partir pour Malte». [...] Quand les trois nouveaux pensionnaires arriveront, l’Acadé-mie ne sera composée que de onze élèves, le sr Potain devant être remplacé par un autre architecte; c’est ce qui me fait prendre la liberté, Mgr, de vous le recom-mander, si vous jugiez à propos de luy laisser occuper la place vacante jusqu’à ce que vous en nommassiez un autre. Il a entrepris ici un ouvrage immense qui est de lever les plans, profils, modulations de toute la fabrique de Saint-Pierre. Jamais personne n’a fait une entreprise d’un si grand détail  ; il y a déjà trois ans qu’il y travaille, avec une peine et une patience incroyable. S’il quitte la pension, les facultez de ses parens ne lui permettant pas de vivre à Rome à ses dépens, il sera obligé de s’en retourner sans finir ce qu’il a commencé [...] ».Ivi, p. 75 (Philibert Orry a Jean-François de Troy, 8 agosto 1744): «Je consens, M., que le sr Potain rem-plisse à l’Académie la place du sr Favray qui est allé à Malthe  ; mais je ne laisse cette place au sr Favray [svista di Orry, si legga: Potain] que jusq’au tems mar-qué pour remplacer les pensionnaires qui reviennent tous les ans. C’est à lui à s’arranger de façon à mettre à profit ce tems pour la perfection de son entreprise». Orry esprime peraltro i propri dubbi circa l’utilità del lavoro portato avanti da Potain, «puisqu’il y a déjà une très grande quantité de plans de l’église de Saint-Pierre

et que ce n’est pas en levant des plans qu’on se perfec-tionne dans l’architecture».16 Un esemplare della ristampa del 1772 si conserva a Parigi, Bibliothèque nationale de France, Collection Michel Hennin, t. 97, n. 8479. 17 L’intera storia della festa della Chinea è sintetica-mente ripercorsa in M. Gori Sassoli, Della Chinea, cit., pp. 12-15.18 Cfr. G. Érouart, Feu d’artifice, scheda in Piranèse et les Français, catalogo della mostra (Roma-Digione-Parigi, maggio-novembre 1976), Roma 1976, pp. 210-211; M. Gori Sassoli, Della Chinea, cit., pp. 116-117; M. Fagiolo (a cura di), Corpus delle feste, cit., pp. 137-138.19 Le immagini delle incisioni che riproducono le cinque macchine per la festa della Chinea ideate da Louis-Joseph Le Lorrain, con trascrizione delle relative didascalie e con riferimenti all’essenziale fonte costitu-ita dal Diario Ordinario e alla precedente bibliografia, sono sia in M. Gori Sassoli, Della Chinea, cit., pp. 112-118, sia in M. Fagiolo (a cura di), Corpus delle feste, cit., pp. 127-128 (1744), 130-131 (1745), 131-132 (1746), 137-138 (1747), 140 (1748). 20 Si vedano per esempio le considerazioni in merito di Robin Middleton in R. Middleton, D. Watkin, Architettura dell’ottocento, Milano 1980, p. 101. 21 Su questi progetti si veda E. Kieven, Il ruolo del di-segno: il concorso per la facciata di S. Giovanni in Late-rano, in B. Contardi, G. Curcio (a cura di), In Urbe Architectus, cit., pp. 78-123, in particolare pp. 109-112 (Salvi) e pp. 115, 118 (Vittone). L’attibuzione a Dori del disegno della Raccolta Lanciani, ibidem, pp. 115-117, è riproposta più cautamente in Ead., Alessandro Dori, in Dizionario Biografico degli Italiani, 41, 1992, pp. 251-253. 22 J.-M. Perouse de Montclos, Le Sixième Ordre d’Ar-chitecture, ou la Pratique des Ordres Suivant les Na-tions, in “Journal of the Society of Architectural His-torians”, 36, 1977, 4, pp. 223-240, in particolare pp. 231-232 e pp. 237-238. Quattro coppie di colonne pre-senta anche l’arco trionfale progettato da Claude Per-rault per la Barrière du Trône e riprodotto nel 1673, insieme alla Colonnade del Louvre e a una proposta di capitello di ordre français, sul frontespizio dell’edizio-ne del trattato di Vitruvio da lui curata.23 M. Ledoux-Prouzeau, Les fêtes publiques à Paris, cit., pp. 92-93 e figg. 60-61.24 E. Kieven, Il ruolo del disegno, in B. Contardi, G. Curcio (a cura di), In Urbe Architectus, cit., pp. 124-142, in particolare pp. 130-133.25 Secondo A. Verger, G. Verger (a cura di), Dic-tionnaire biographique des pensionnaires de l’Acadé-

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mie de France à Rome, 1666-1968, I-III, Dijon 2011, II, p. 841, Jardin arrivò a palazzo Mancini il 21 di-cembre 1744.26 Si tratta di due sole incisioni, per le quali è stata pe-raltro proposta una datazione al 1747, con invenzioni per una Cappella sepolcrale e per un Ponte trionfale palesemente influenzate da Piranesi: J. Barrier, Les architectes européens à Rome. 1740-1765. La naissance du goût à la grecque, Paris 2005, pp. 89-94. 27 Diario Ordinario, 4359, 3 luglio 1745, pp. 11-17. 28 I disegni ai quali ci si riferisce qui in particolare sono il n. 1911-28-507 (in cui compare l’obelisco) e il n. 1911-28-101. Sul primo di essi si veda G. Érouart, Fantaisie architecturale avec fontaine et obélisque, scheda in Pi-ranèse et les Français, catalogo della mostra, cit., p. 211 e fig. 109, dove è discusso anche il problema dell’attri-buzione dei quattro fogli. Il secondo disegno fu pubbli-cato in C. Bernard, Crosscurrents. French and Italian Neoclassical Drawings and Prints from the Cooper-Hewitt Museum, catalogo della mostra, Washington D.C., 1978, pp. 76-77. Gli altri due disegni portano i nn. 1911-28-505 e 1911-28-506. Cfr. inoltre P. Rosenberg, Louis-Joseph Le Lorrain 1715-1759, in “Revue de l’Art”, 1978, 40/41, pp. 173-202, in particolare p. 177 e p. 180, figg. 24-27. 29 Cfr. J. Locquin, La peinture d’histoire en France de 1747 à 1785. Étude sur l’évolution des idées artistiques dans la seconde moitié du XVIIIe siècle, Paris 1912, pp. 98-99. Anche Louis-Joseph Le Lorrain si dedicò alla copia del Parnaso e dell’Incontro di papa Leone Magno con Attila. 30 G.-M. Dumont, Détails des plus intéressantes parties d’architecture de la Basilique de St. Pierre de Rome..., à Paris, Chez l’Auteur, rue S. Médéric, à l’Hô-tel de Jabach et chez Madame Chereau, aux deux Pi-liers d’or, rue S. Jacques, 1763. 31 Roma, Archivio Storico dell’Accademia di San Luca (d’ora in avanti AASL), Doni Accademici, 2138. Come è stato più volte rilevato, il progetto di Du-mont è certamente in rapporto con quelli presentati da Filippo Juvarra, che risultò vincitore, e da Carlo Stefano Fontana, che ottenne il secondo premio, al Concorso Clementino per la prima classe di archi-tettura del 1705.32 Roma, AASL, vol. 50, cc. 92r-93r: «Adì 17 Aprile 1746 [...] Il Sig.r Prencipe [in quell’anno Giovanni Bat-tista Maini] hà proposto per Accad[emi]co di merito il Sig.r Gio. Franc.o [sic] Dumont Parigino, il quale hà mandato in Accad[emi]a cinque pezzi di disegno, i quali rappresentano un tempio tondo distinto nelle sue parti, et atteso che frà tré, ò quattro giorni deve partire per la sua Patria, la Cong[regazion]e Accad[emi]ca, pur che non passi in esempio questa irregolarità di accettatione [il riferimento è alla procedura accelerata

e al fatto che Dumont non aveva mai partecipato a un Concorso Clementino], ne hà fatto correre il Bussolo, e si sono trovati i voti tutti favorevoli, siché resta di-chiarato Accademico di Merito». Seguono le firme del principe Giovanni Battista Maini, di Jean-François De Troy, direttore dell’Accademia di Francia e principe di quella di San Luca nei due anni precedenti, del consi-gliere Girolamo Theodoli e del segretario accademico Luigi Vanvitelli.Ivi, vol. 28, [carte non numerate]: «Adì 18 Aprile 1746, fù creato Accademico adì 17». Seguono la firma di «Gabriel Martin Dumont architecte Parisien» e quella di Luigi Vanvitelli.33 J. Harris, Le Geay, Piranesi and International Neo-classicism in Rome 1740-1750, in D. Fraser, H. Hibbard, M.J. Lewine (a cura di), Essays in the History of Architecture presented to Rudolph Wittkower, London 1967, pp. 189-196 (dove è avanzata l’ipotesi che nei primi anni Quaranta sia stato Le Geay a influenzare il più giovane Piranesi, e non viceversa); R.P. Wunder, Charles Michel-Ange Challe, a study of his life and work, in “Apollo”, 87 (1968), 71, pp. 22-33; Id., The spread of ‘piranesism’ to France through Legeay and Challe, in G. Brunel (a cura di), Piranèse et les Français, atti del convegno, cit., pp. 553-566; G. Érouart, L’architecture au pinceau. Jean-Laurent Legeay, un piranésien français dans l’Europe des Lumières, Paris 1982. Più in generale, sui rapporti tra i pensionnaires dell’Accademia di Fran-cia a Roma e Giovanni Battista Piranesi negli anni Qua-ranta: W. Oechslin, Le groupe des «Piranésiens», cit.; J. Wilton-Ely, The Mind and Art of Giovanni Battista Piranesi, London 1978, pp. 21-24; J. Barrier, Les archi-tectes européens, cit., pp. 79-107. 34 Per le date d’inizio e fine del soggiorno romano dei borsisti dell’Accademia di Francia qui menzionati, si fa riferimento ad A. Verger, G. Verger (a cura di), Dictionnaire biographique, cit., ad voces. 35 L. Moretti, Nuovi documenti piranesiani, in A. Bettagno (a cura di), Piranesi tra Venezia e l’Euro-pa, atti del convegno (Venezia, 13-15 ottobre 1978), Firenze 1983, pp. 127-153, in particolare pp. 131-138. 36 H. Hager, L’Accademia di San Luca e i concor-si di Architettura, in A. Cipriani (a cura di), Æqua Potestas. Le arti in gara a Roma nel Settecento, catalogo della mostra (Roma, 22 settembre - 31 ottobre 2000), Roma 2000, pp. 117-124, in particolare p. 119; J. Bar-rier, Les architectes européens, cit., p. 41. Cfr. anche, supra, la nota 32. 37 È interessante notare invece che alcuni dei lavori per la festa della Chinea di quel 1746 furono eseguiti – come non è stato finora evidenziato – dall’impresa di Nico-la Giobbe, amico e protettore di Piranesi e dedicatario proprio della Prima Parte di Architetture e Prospettive: cfr. il documento conservato nell’Archivio Colonna e pubblicato in M. Gori Sassoli, Della Chinea, cit., p.

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63. Su Nicola Giobbe e sui suoi rapporti con Piranesi, si veda G. Brunel, Recherches sur les débuts de Piranèse à Rome: les frères Pagliarini et Nicola Giobbe, in G. Bru-nel (a cura di), Piranèse et les Français, cit., pp. 77-146.38 M.A. Marcolini, Relación de las exequias hechas en Roma a la Magestad Católica del Rey Nuestro Señor Don Phelipe V..., Roma, Giovanni Maria Salvioni, 1746. 39 Roma, Istituto Centrale per la Grafica, Fondo Na-zionale, 13846-13852 (1274-1280). I disegni relativi alle due incisioni eseguite da Le Lorrain sono i nn. 13846

e 13847 (1274 e 1275). Su questi fogli si veda L. Bian-chi (a cura di), Disegni di Ferdinando Fuga e di altri architetti del Settecento, catalogo della mostra (Roma, 1955), Roma 1955, pp. IX, 88-91; E. Kieven (a cura di), Ferdinando Fuga e l’architettura romana del Settecento, catalogo della mostra (Roma, 7 giugno - 16 luglio 1988), Roma 1988, pp. 74-77, 183-193. 40 Ibidem, p. 77.41 L. Bianchi (a cura di), Disegni di Ferdinando Fuga, cit., pp. IX, 88-89.

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Fig. 1. Gabriel-Martin Dumont e Louis-Joseph Le Lorrain con la collaborazione di altri artisti, Allestimento effimero realizzato nell’atrio del palazzo Mancini al Corso in occasione dei festeggiamenti per la guarigione di Luigi XV, disegno e incisione di autore anonimo, 1744. Roma, Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte (BiASA), Collezione Lanciani, Roma, XI. 51. I, 45.

Fig. 2. Louis-Joseph Le Lorrain, Virgi-lio incoronato principe dei poeti latini, dipinto su tela applicato alla prima macchina pirotecnica per la festa della Chinea del 1744, disegno e incisione di Louis-Joseph Le Lorraine, 1744. Roma, Gabinetto Comunale delle Stampe (GCS), GS 688.

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Fig. 3. Louis-Joseph Le Lorrain e Gabriel-Martin Dumont (qui attribuito), Arco trionfale per il ritorno a Napoli di Carlo di Borbone dopo la vittoria sugli Austriaci, seconda macchina pirotecnica per la festa della Chinea del 1745, disegno e incisione di Louis-Joseph Le Lorraine, 1745. Roma, Istituto Centrale per la Gra-fica (ICG), FC 81749. Per gentile concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo.

Fig. 4. Bernardo Antonio Vittone, Progetto per la facciata di San Giovanni in Laterano, 1732?, incisione, da Istruzioni elementari per indirizzo de’ giovani allo studio dell’architettura civi-le, Lugano, Agnelli, 1760, tav. LXXIIII. Per gentile concessione della Biblio-theca Hertziana.

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Fig. 5. Nicola Salvi, Progetto per la facciata di San Giovanni in Laterano, disegno, penna, inchiostro bruno e acque-rello grigio, ca. mm 670x860, 1732. Roma, Archivio Storico dell’Accademia Nazionale di San Luca (AASL), 2172.

Fig. 6. Architetto attivo a Roma nel secondo quarto del sec. XVIII (Alessandro Dori?), Progetto per la facciata di San Giovanni in Laterano, disegno, penna, inchiostro bruno, acquerello grigio, mm 398x987, 1732? Roma, BiASA, Collezione Lanciani, Roma, XI. 43, 70.

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Fig. 7. Alessandro Specchi, Facciata con portico nel cortile del palazzo dei Conservatori in Roma, 1720. Per gentile concessione della Fototeca Capitolina (foto Arnaldo Vescovo).

Fig. 8. Alessandro Specchi, Tempio della Virtù, prima macchina piro-tecnica per la festa della Chinea del 1724, disegno di Alessandro Spec-chi, incisione di Francesco Faraone Aquila, 1724. Roma, GCS, GS 660.

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Fig. 9. Alessandro Specchi, Tempio del-la Gloria, prima macchina pirotecnica per la festa della Chinea del 1727, di-segno di Alessandro Specchi, incisione di Gaspare Massi, 1727. Roma, GCS, GS 663.

Fig. 10. Johann Bernhard Fischer von Erlach, Arco trionfale innalzato nel 1699 a Vienna in occasione delle noz-ze dell’arciduca Giuseppe, disegno di Johann Bernhard Fischer von Erlach, incisione di Johann Adam Delsenbach, da Entwurff einer historischen Architec-tur, I-V, Wien, s.e., 1721, IV, tav. 1.

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Fig. 11. Ferdinando Fuga, Due prospetti di progetto per la nuova sistemazione dell’altare principale di Santa Maria Maggiore, disegni, penna, inchiostro nero e bruno e acquerello grigio, mm 526x372 e mm 525x373, ca. 1745. Roma, BiASA, Collezione Lanciani, Roma, XI. 46. II, 8 e 9.

Fig. 12. Giuseppe Doria, La fondazione del regno delle Due Sicilie da parte di Ruggero II d’Altavilla, prima macchina pirotecnica per la festa della Chinea del 1745, disegno di Giuseppe Doria, incisione di Giuseppe Vasi, 1745. Roma, GCS, GS 690.

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Fig. 13. Louis-Joseph Le Lorrain, Fantasia architettonica con colonnato, obelisco e fontana, disegno, ma-tita nera, acquerello grigio e inchiostro di china diluito, mm 349x224, 1744/1745? New York, Cooper-Hewitt, Smithsonian Design Museum, 1911-28-507.

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Fig. 14. Louis-Joseph Le Lorrain, Fantasia architettonica con colonnato, vaso, erma e rovine, disegno, matita nera, acquerello grigio e inchiostro di china diluito, mm 347x225, 1744/1745? New York, Cooper-Hewitt, Smithsonian Design Museum, 1911-28-101.

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Fig. 15. Gabriel-Martin Dumont, Détails des plus intéressantes parties d’architecture de la Basilique de St. Pierre de Rome..., à Paris, Chez l’Auteur... et chez Madame Chereau..., 1763, tav. 1, disegno di Gabriel-Martin Dumont, incisione di Jean Baptiste Bichard e tav. 2 con la planimetria della piazza di San Pietro.

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Fig. 16. Gabriel-Martin Dumont, Prospetto di progetto per un Tempio in onore delle tre Arti, disegno, penna, inchio-stro nero e acquerello grigio, mm 440x502, 1746. Roma, AASL, Doni Accademici, 2138.

Fig. 17. Dettaglio della figura precedente.

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Fig. 18. Louis-Joseph Le Lorrain, Tempio di Minerva, prima macchina pirotecnica per la festa del-la Chinea del 1746, disegno e incisione di Louis-Joseph Le Lorraine, 1746. Roma, GCS, GS 2843.

Fig. 19. Giovanni Battista Piranesi, «Campidoglio antico a cui ascendeva per circa cento gra-dini», da Prima Parte di Architetture e Prospettive, [Roma 1743], disegno e incisione di Gio-vanni Battista Piranesi. Roma, GCS, MR 13292.

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Fig. 20. Ferdinando Fuga e Louis-Joseph Le Lorrain (qui attribuito), Facciata della chiesa di San Gia-como degli Spagnoli verso il palazzo della Sapienza allestita per le esequie di Filippo V di Spagna e inserita in un paesaggio di fantasia con edifici antichi, 1746, disegno di Ferdinando Fuga (facciata) e Louis-Joseph Le Lorrain (paesaggio), incisione di Louis-Joseph Le Lorrain, 1746. Roma, ICG, FN 6519. Per gentile concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo.

Fig. 21. Ferdinando Fuga e Louis-Joseph Le Lorrain (qui attribuito), Facciata della chiesa di San Gia-como degli Spagnoli verso il palazzo della Sapienza allestita per le esequie di Filippo V di Spagna e inserita in un paesaggio di fantasia con edifici antichi, disegno preparatorio per l’incisione di Louis-Joseph Le Lorrain, matita nera, penna, inchiostro nero e bruno, acquerello grigio, mm 460x695, 1746. Roma, ICG, FN 1275 (13847). Per gentile concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo.

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Fig. 22. Giovanni Battista Piranesi, «Mausoleo antico eretto per le ceneri d’un Imperadore Romano», da Prima Parte di Architetture e Prospettive, [Roma 1743], disegno e incisione di Giovanni Battista Piranesi. Roma, GCS, MR 13287.

Fig. 23. Dettagli della figura precedente e della Fig. 20. Si noti la presenza di un identico motivo decorativo con aquile e festoni sugli edifici principali delle due fantasie architettoniche.

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