cap 1 bis - ziopesce.blog · contempo più delicate e curiose di quelli d ... (da grandi carnivori...
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PREFAZIONE
Sicuramente nessuno di noi entrando un negozio di animali con
una bella esposizione di acquari, non ha potuto fare a meno di
farsi abbagliare dai meravigliosi colori che madre natura ha
donato ai pesci, signori silenti di un mondo ai più sconosciuto.
Fra le tante fantasie cromatiche con cui questi esseri illuminano i
nostri occhi, vi sono quelle pugnaci e violente, quasi artificiali, di
molti pesci marini; altre invece meno appariscenti ma nel
contempo più delicate e curiose di quelli d’acqua dolce.
Fra questi il più famoso (e anche venduto) al mondo è il
Paracheirodon innesi, cioè il pesce d’acquario per antonomasia,
meglio conosciuto come NEON.
Con il corpo attraversato da due bande iridescenti blu e rossa,
sempre presentato in branco, spesso composto da decine e decine
di individui, è sicuramente uno dei maggiori poli di attrazione del
reparto acquari di un negozio di animali.
Certo, un pesce universalmente famoso, ma quanti veramente lo
conoscono?
Quanti sanno fino a che età può vivere? O quanto è grande appena
nato?
E’ intenzione delle prossime righe tentare di portare a conoscenza
la vera vita dei Neon e di tutti quei pesci, quasi conspecifici, che
vengono raggruppati sotto la voce generica con cui da diverso
tempo amano definirli gli americani: i Tetra.
Colori vivaci e comportamento gregario sono le prerogative degli
appartenenti a questa famiglia che annovera tra le più comuni
specie d’acquario.
Questo libro vuole essere un punto di riferimento per tutti: dal
neofita che desidera solo mantenere in buone condizioni i propri
ospiti, all’appassionato più esperto che invece ha l’ardire di
riprodurre le specie che alleva.
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Ci saranno anche brevi cenni sulla gestione ottimale di un
acquario domestico: una piccola guida per districarsi nei meandri
dei prodotti offerti in commercio, con l’intento di risolvere i vari
problemi a monte delle motivazioni del loro nascere, cercando di
evitare invece le soluzioni “usa e getta”, tipiche dei palliativi e
delle proposte che intervengono a valle della problematica
medesima; un particolare riferimento quindi ai rimedi “naturali”
cercando un analisi approfondita delle motivazioni che hanno
provocato gli squilibri: non dimentichiamo mai che un acquario è
un ecosistema chiuso, dal precario equilibrio, e dove vige una
continua interazione fra esseri viventi (vegetali e animali) e le
sostanze chimiche disciolte nel fluido entro il quale essi vivono:
l’acqua!
Va da se perciò che qualunque azione noi facciamo, produce una
reazione a catena, in positivo o in negativo, su tutte le variabili che
entrano in giuoco nel mantenimento dell’equilibrio biologico del
“biosistema” acquario.
E’ imperativo quindi avere le informazione di base (che sono
veramente poche) utili a tutti per evitare i più grossolani errori di
gestione, causa dei primi insuccessi e che troppo spesso portano
all’abbandono di questo meraviglioso hobby.
Poche e semplici regole, che DEVONO però essere
scrupolosamente rispettate, permettono, con pochi minuti al
giorno, anche a un bambino di avere grande soddisfazione dalla
creazione di un proprio mondo subacqueo, un mondo dove i Tetra
fanno da padroni e dove, con un minimo di attenzione alle loro
esigenze, potranno regalarci per lungo tempo i loro guizzi vivaci e
lo scintillio metallico dei loro meravigliosi colori.
Desidero concludere questa breve prefazione, augurando a tutti
una buona lettura con la speranza di aver contribuito ad una
migliore conoscenza di questi pesci che ormai da decenni
popolano gli acquari di tanti appassionati.
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I CARACIDI
Neon & C.
Tutto quello che serve sapere per averli
sempre scintillanti e in salute.
Cardinali F1 made in Italy
Pag 5 - Cap 1………………..………. I TETRA: INIZIAMO A CONOSCERLI
Pag 15 - Cap 2 ……………………….L’ACQUARIO IDEALE PER I TETRA.
Pag 39 - Cap 3………………………. LA CORRETTA GESTIONE
Pag 52 - Cap 4………………..……… I TETRA: conosciamoli uno ad uno.
Pag 99 - Cap 5 ………………………..L’ALIMENTAZIONE.
Pag 105 - Cap 6……………………….. LA RIPRODUZIONE.
Pag 114 - Cap 7……………………….. SANI COME UN PESCE? Non sempre è così.
Pag 138 - Cap 8 ……………………….CONCLUSIONI
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CAP 1
I TETRA: INIZIAMO A CONOSCERLI
Chi sono?
Il termine “Tetra”, coniato dagli americani, è internazionalmente riconosciuto a
livello acquariologico come sinonimo di quel gruppo di graziosi pesci che, fin dagli
albori dell’acquariofilia, hanno popolato gli acquari di tutto il Mondo.
Devono il loro successo e la loro popolarità alle ridotte dimensioni (mediamente 4-8
cm) ed ai vivacissimi colori, alcuni dei quali scaturiscono in iridescenze vere e
proprie; dette iridescenze di colore azzurro, hanno dato nome al più famoso
rappresentante di questa nutrita schiera di ospiti casalinghi: il Paracheirodon Innesi
cioè l’arcinoto NEON.
Cardinale e Neon
In altre specie appartenenti al genere Hyphessobrycon, i maschi, oltre alle suddette
iridescenze, hanno spettacolari prolungamenti delle pinne anale e dorsale, che ne
fanno animali molto appariscenti, in particolare quando le pinne vengono totalmente
spiegate durante le consuete e spettacolari, quanto incruente, parate di minaccia.
Il massimo effetto estetico che queste delicate creature possono offrire ai nostri occhi,
avviene allorquando vengono allevati in gruppi numerosi: i particolari effetti
cromatici che scaturiscono dai loro guizzi sono uno spettacolo affascinante come
pochi, che rallegra le case di tanti acquariofili ormai da svariati decenni.
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Hyphess robertsi
Diffusione e habitat.
Diffusi dal Rio Grande nel Texas meridionale, attraverso l’America centrale fino a
latitudine 41° sud in Cile e Argentina, sono presenti altresì in Africa tropicale e nel
sistema fluviale del Nilo; totalmente assenti nella maggior parte del Nord America, in
Australia e nel continente Eurasiatico dove sono sostituiti dai Ciprinidi; parimenti i
Ciprinidi mancano in Sud America; conclusione logica di questa ultima osservazione
è che queste due famiglie possono essere considerate ecologicamente equivalenti.
Prevalentemente popolano i bacini idrici e le aste fluviali a corrente lenta che
attraversano le grandi foreste, sebbene vivano spesso in situazioni estreme a causa
delle periodiche inondazioni o delle siccità che colpiscono dette zone.
Sono reperibili quindi sia nei grandi fiumi, che in ruscelli attigui e nelle pozze
adiacenti il corso d’acqua principale dove sono maggiormente presenti le specie di
piccole dimensioni.
Da ciò ne scaturisce la loro estrema adattabilità e robustezza. In natura vivono sempre
in gruppo a ridosso di ostacoli sommersi, come tronchi e radici, in prossimità della
vegetazione riparia o vicino agli agglomerati di piante subacquee, utili nascondigli
nei quali trovano rifugio dagli attacchi dei predatori.
Morfologia e classificazione
Dal punto di vista tassonomico i Tetra fanno parte di quel gruppo di pesci che
appartiene alla grande famiglia Characidae, sottordine Characoidei, ordine
Characiformi.
Sebbene a questa famiglia appartengano specie morfologicamente molto differenti fra
di loro, (da grandi carnivori provvisti di zanne sporgenti a colossali erbivori in grado
di frantumare con un morso una noce) in questa sede ci soffermeremo ad analizzare
le più importanti specie che costituiscono uno dei gruppi di pesci d’acquario fra i più
apprezzati, cioè i rappresentanti di piccole dimensioni della grande famiglia dei
Caracidi: i Tetra appunto.
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Limitandoci ad una breve analisi esteriore, possiamo subito capire che si tratta di
veloci nuotatori dal corpo molto idrodinamico, spesso alto e fortemente compresso
lateralmente (Gymnocorymbus).
Pesci di branco per eccellenza (cosa questa che dovremo rispettare nel loro
allevamento inserendo non meno di 5 esemplari per ogni singola specie), hanno il
corpo ricoperto di squame cicloidi.
La loro colorazione come precedentemente detto è molto accentuata; spesso
particolarmente intensa, con una notevole variabilità cromatica; presumibilmente i
colori fungono da richiamo/comunicazione ed è così evidente in relazione al fatto che
questi pesci vivono per lo più in corpi idrici che, scorrendo attraverso grandi foreste,
si arricchiscono di sostanze lignee le quali rendono queste acque scure e acide, le
famose acque “cola” tropicali, dove già a pochi cm dalla superficie la luce fatica a
penetrare.
Tutte le specie hanno la bocca munita di denti, in grado più di tagliuzzare e trattenere
il cibo che di garantire una masticazione vera e propria; dorsalmente presentano una
pinna adiposa (assente in taluni generi come Hasemania), la cui funzione rimane a
tuttora da definire; taluni autori la ritengono un elemento stabilizzatore durante il
nuoto veloce, altri invece ritengono che sia una piccola riserva di nutrimento.
A livello acquariologico sono le sottofamiglie Tetragonopterinae in America e
Alestidae in Africa dove ritroviamo la maggioranza delle specie di Tetra.
Molto simili ai Ciprinidi, i caratteri più salienti che distinguono i Caracidi da questi
ultimi sono la mascella dentata (i Ciprinidi non hanno denti ma ossa faringee per
triturare il cibo) e la pinna adiposa.
Le loro origini si presume risalgano fino a 150 milioni di anni fa, nell’era Mesozoica,
quando ancora le 2 zolle continentali africana e sudamericana erano unite; ne sono
difatti state identificate 1000 specie in Sud America e 200 in Africa anche se i
maggiori esperti ritengono che molte altre debbano ancora essere classificate.
Il fatto che siano presenti in 2 continenti “speculari”, cioè nelle aree tropicali e sub
tropicali di America ed Africa, non fa altro che confermare la famosa teoria di
Wegener sulla deriva dei continenti.
I generi e le specie più comuni.
Evidenziando quindi i generi più adatti ad un utilizzo “domestico” la nostra varietà si
restringe notevolmente. Di seguito un elenco di generi provenienti dal continente
americano (tra parentesi le sottofamiglie differenti dalla Tetragonopterinae):
Aphyocharax (Aphyocharacinae)
Astyanax
Boehlkea
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Gymnocorymbus
Hasemania
Hemigrammus
Hyphessobrycon
Inpaichthys
Megalomphodus
Moenkhausia
Nematobrycon
Paracheirodon
Petitella
Prionobrama (Paragoniatinae)
Pristella
Thayeria
I rappresentanti africani della sottofamiglia Alestidae adatti allo scopo ornamentale si
riducono ai generi Alestes, Phenacogrammus, Micralestes, Hemigrammopetersius,
dei quali il più comune e apprezzato è sicuramente Phenacogrammus interruptus.
Per un maggiore approfondimento sulle esigenze dei Tetra, rimando alle schede del
Cap. 4, dove vengono analizzate in dettaglio, le caratteristiche peculiari delle singole
specie, a livello comportamentale, biologico e riproduttivo.
Etologia: pesci di gruppo, ma…..
Un particolare che i più spesso sottovalutano è il concetto di branco, nel senso che i
Tetra devono essere allevati in non meno di 5/8 esemplari per ogni singola specie.
La prima motivazione che ci spinge a rispettare questa regola è data dal fatto che
anche in natura questi pesci si rinvengono in gruppi numerosi, per non dire in banchi
che contano migliaia di individui.
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E’ però altrettanto vero che ogni individuo ha la necessitò di un suo spazio vitale ed è
proprio per questo motivo che molti acquariofili si stupiscono quando i propri pesci
diventano territoriali.
Se però si vanno ad analizzare in profondità le motivazioni che spingono i pesci alla
costituzione del branco, si evince che esso viene formato nei casi in cui manchino
ripari o nascondigli o nelle situazioni di stress; oppure, come succede in natura,
quando si è costantemente sotto pressione a causa dei predatori.
Ecco perché nelle vasche dei negozi, i nostri Tetra stano fitti fitti come sardine,
mentre una volta inseriti nelle nostre vasche e passati alcuni giorni di acclimatazione,
cominciano a crearsi dei piccoli territori che non di rado difendono, scacciandoli, dai
conspecifici: un comportamento che variabilmente da specie a specie ci fa sembrare
addirittura “aggressivi” i nostri ospiti.
In effetti se vogliono difendere un loro spazio vitale, devono assumere un
comportamento d’attacco che verrà sempre più accentuato quanto minore sarà il
numero di esemplari della stessa specie presenti in vasca e che sfocerà, qualora la
presenza di propri simili sia scarsa o addirittura nulla, nell’aggressione vera e propria
di altri pesci, in particolare di esemplari lenti nel nuoto o dalle lunghe pinne (es:
Poecilia reticulata).
In particolare i generi Gymnocorymbus, Thayeria, Moenkhausia e alcune specie
maggiori di Hyphessobrycon (Rubrostigma…..), presentano in talune circostanze e
con presenza scarsa o assenza completa di propri simili, tali comportamenti aberranti.
A tale proposito e necessario invece soffermarci su due specie di Hyphessobrycon
molto simili anche esteriormente: H. serpae e H. callistus che hanno non di rado la
malsana abitudine, in particolare il primo, di mordicchiare le pinne o addirittura
attaccare gli occhi degli altri abitanti dell’acquario.
Generalizzando però è doveroso sottolineare che i suddetti comportamenti aberranti
sono più dovuti a nostri errori di gestione degli animali (ad es: inserimento in vasca di
pochi esemplari della stessa specie, scarsa o errata alimentazione, valori biochimici
impropri, ecc…..) che ad una caratteristica comportamentale intrinseca dei soggetti;
dove si abbiano problemi di questo tipo è sufficiente inserire un numero cospicuo di
pesci della medesima specie per risolvere totalmente il problema, dato che i primi a
cui vengono rivolte le attenzioni da parte degli “irrequieti” sono i propri simili;
siccome questi ultimi dispongono di tutta una serie di comportamenti comunicativi
che vengono interpretati correttamente dai pesci assalitori, il tutto si riduce al
massimo in semplici parate di minaccia a pinne tremolanti e distese; una nutrita
compagnia funge, inoltre, anche da tranquillante e da rassicurante per pesci troppo
timidi o per chi avesse reazioni, viceversa, eccessivamente vivaci.
Tornando all’etologia è necessario, per capire meglio, soffermarsi su quali siano le
forze che spingono gli esseri viventi a costituire un gruppo, branco o, nel caso
specifico di pesci, banco.
In natura i grossi banchi di pesci si ritrovano in concomitanza di migrazioni (sia a
scopo riproduttivo che di ricerca di nuova fonti di sostentamento) o in specie
prettamente pelagiche (aringhe, sardine, sgombri…).
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In situazioni normali (assenza di eventi particolari o di pericoli) i pesci si dispongono
tendenzialmente in gruppi non fitti, comunque sempre pronti ad un minimo cenno di
pericolo all’ ”adunata” (tale comportamento è facilmente individuabile anche in
specie nostrane quali Alborelle, Sangiunerole, Vaironi e altri piccoli Ciprinidi).
Il branco è fonte di sicurezza, in particolare contro i predatori: se ci si trova faccia a
faccia con uno Squalo, un Barracuda o un Luccio, le probabilità di salvare le “pinne”
sono praticamente nulle, ma in mezzo a qualche migliaio di propri simili………..bhè
non è detto che capiti proprio a me. Ulteriore vantaggio dato dalla formazione di un
folto gruppo consiste nel fatto che all’occhio del predatore quest’ultimo appare come
un grande essere vivente che, con il movimento sincronizzato all’unisono dei suoi
componenti, è fonte di disorientamento per gli assalitori.
Un banco di Cardinali
Nei nostri acquari invece, dove sicuramente sarà difficile trovare dei predatori, la
necessità di aggregarsi fittamente diverrà inesistente ed ecco perché i nostri Tetra si
potranno permettere il lusso di “litigare”; un comportamento di semiterritorialità che
si riassume nella difesa di un piccolo territorio adiacente a quello del vicino.
Così facendo qualora vi fosse la presenza di un pericolo, la trasmissione del
medesimo sarebbe immediata, consentendo agli animali la ricerca del rifugio più
prossimo oppure la ricostituzione del banco fitto (sinonimo di sicurezza).
Concludendo questo breve scorcio sull’etologia dei Tetra, possiamo trarre le dovute
conclusioni sulla necessità di allevare questi pesci in gruppi numerosi, così come non
ci si deve meravigliare che fra di essi vi possano essere delle piccole dispute derivanti
dal fatto di avere una maggiore tranquillità; situazione questa che scaturisce
dall’assenza di due fattori che solo nelle nostre vasche è possibile ottenere: i predatori
e la inevitabile ricerca di cibo.
Sostanzialmente possiamo riassumere che il comportamento “litigioso” fra
conspecifici è sinonimo di ambientazione ottimale; viceversa il comportamento
“aggressivo” interspecifico” deve indurci a valutare eventuali errori di mantenimento:
N° di esemplari, capienza della vasca, somministrazione di cibo (quantità,
qualità…..), habitat, valori biochimici,…… viceversa anche l’estrema timidezza ci
obbliga ad una maggiore considerazione sul tipo di ambiente o di altri animali che
abbiamo utilizzato per allestire il nostro acquario dedicato ai Tetra; in particolare,
oltre ai suggerimenti precedenti, va tenuto presente il comportamento e le dimensioni
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dei compagni di vasca: animali dalle maggiori dimensioni o troppo vivaci inibiscono
la naturale predisposizione al nuoto dei piccoli Caracidi; logico quindi informarsi
preventivamente su quali e quante specie inserire.
In questo capitolo ho cercato di dare una panoramica generalizzata sui principali
generi che si ritrovano in commercio, partendo da una descrizione biologica generica
per arrivare a quella tassonomica vera e propria dei Caracidi, tralasciando
volutamente specie dallo scarso interesse commerciale o dalla rara reperibilità,
oppure specie troppo grosse o troppo aggressive che male si accompagnerebbero alle
esigenze di un neofita o di un acquario domestico. Volevo quindi ricordare a tutti i
lettori che qualora volessero approfondire gli argomenti trattati di fare riferimento ai
testi in bibliografia, tenendo ben presente che gli animali che si possono trovare nei
negozi specializzati non sono che una minima parte di quelli descritti sui libri
specializzati o addirittura di quelli scoperti e classificati.
Cenni di anatomia e fisiologia.
Per completare le nostre conoscenze di base sui Tetra, vediamo di scoprire in breve
la loro struttura interna, molto simile ma estremamente semplificata rispetto ai
vertebrati superiori.
Dal punto di vista zoologico, i pesci appartengono al sottotipo dei Vertebreti e sono a
loro volta suddivisi in due diverse classi: pesci Cartilaginei o Elasmobranchi (Squali
e Razze) e Osteiti, cioè pesci ossei, cui appartengono tutti gli altri ordini.
La classificazione prosegue poi con gli ordini, le famiglie, i generi e le specie.
E’ proprio tramite il genere e la specie che si identifica in maniera univoca un
soggetto.
I pesci sono vertebrati acquatici, dotati di mascelle articolate e di pinne, dal corpo
generalmente idrodinamico e a forma affusolata.
I pesci sono animali a sangue freddo, nel senso che non sono in grado di regolare
autonomamente la loro temperatura corporea: questa è infatti correlata a quella
dell’acqua.
Come conseguenza essi hanno una notevole sensibilità agli sbalzi di temperatura che,
laddove eccessivi, possono cagionare gravi patologie.
Il corpo ha la superficie rivestita di una speciale secrezione mucosa a funzione
protettiva dell’epidermide, ricoperta di squame cicloidi, indipendenti ad
accrescimento circolare, tanto è vero che è possibile determinarne l’età dei Tetra
contando gli anelli presenti entro una scaglia proprio come si determina l’età di un
albero.
Lo scheletro si compone del cranio, della colonna vertebrale e delle appendici adibite
a sostegno di branchie e pinne.
I Tetra possiedono 7 pinne, di cui 4 di esse rappresentano 2 coppie (pinne pari): le
pettorali e le ventrali. Le impari sono la caudale, l’anale e la dorsale. In quasi tutte le
specie sul dorso è presente una piccole pinna adiposa, posizionata tra la pinna dorsale
e la caudale.
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Varie sono le funzioni che assolvono questi importantissimi organi di locomozione.
Le pinne ventrali dorsali ed anali hanno funzione di stabilizzatori, mentre la caudale
ha una funzione propulsiva.
L’apparato digerente è costituito dalla bocca, dai denti ( in posizione e numero
variabili da specie a specie o addirittura assenti), dallo stomaco, dall’intestino e dalla
cloaca, ove sboccano anche i condotti urogenitali.
La vescica natatoria, che può comunicare con l’apparato digerente tramite il dotto
pneumatico è un organo idrostatico e consente agli animali di regolare il loro assetto;
come vedremo in seguito ha anche funzioni di cassa di risonanza ed entra in giuoco in
maniera significativa nelle percezioni uditive.
La respirazione avviene attraverso le branchie che sono costituire da un tessuto
fortemente vascolarizzato costituito da numerosissime lamelle membranose, dette
lamelle banchiali, imputate alla funzione di scambio gassoso. Sono sorrette da un
supporto osseo chiamato “arco branchiale”, nel cui margine interno sono posizionate
le branchiospine, sottili appendici ossee che agiscono come filtro.
Situate ai lati del capo nella cosiddetta camera branchiale, le branchie sono ricoperte
e protette da una struttura cartilaginea detta opercolo.
La respirazione avviene tramite il passaggio dell’acqua dalla bocca nella faringe e da
qui alle branchie per poi tornare all’esterno.
Durante l’atto respiratorio, l’acqua penetra dalla bocca, passa nella camera branchiale
ed entra in contatto con le lamelle dove avvengono gli scambi gassosi tra il sangue e
l’acqua e la respirazione con l’eliminazione dell’anidride carbonica e l’assunzione
dell’ossigeno; di qui viene poi espulsa attraverso gli opercoli nell’ambiente
circostante.
Il cuore, posto al di sotto della faringe, si distingue in 4 cavità: seno venoso, atrio,
ventricolo e bulbo arterioso;
La circolazione sanguigna nei pesci si definisce “semplice” in quanto il sangue, per
completare il giro dell’organismo, passa attraverso il cuore una sola volta e sempre
sotto forma venosa; il sangue fluisce in un'unica direzione verso le branchie, dove
avvengono la cessione dell’anidride carbonica e l’acquisizione di ossigeno per poi
passare al cervello e nel resto dell’organismo.
I reni, coadiuvati dalle branchie in modo determinante, costituiscono l’apparato
escretore.
L’escrezione è il processo tramite cui l’organismo elimina le sostanze di rifiuto che le
cellule dell’organismo riversano nel sangue.
I reni sono organi allungati, generalmente di colore rosso scuro, localizzati sotto la
colonna vertebrale. In essi avviene la filtrazione del sangue, cioè la raccolta delle
sostanze tossiche e la loro espulsione attraverso gli ureteri che confluiscono nella
cloaca.
Anche le branchie, oltre adempiere allo scambio gassoso, sono importanti organi
escretori: si calcola che circa il 90% dell’azoto sotto forma di ammoniaca venga
espulso attraverso questi organi. Esse hanno inoltre, assieme ai reni, l’importante
funzione di osmoregolazione, consentendo a questi organismi di vivere in ambienti a
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concentrazione salina che, rispetto a quella dei propri liquidi corporei, risulta
superiore nel caso dei pesci marini o inferiore nel caso di pesci d’acqua dolce.
Il cervello dei pesci presenta un basso grado di differenziazione: le aree più
sviluppate sono relative ad olfatto e vista.
Ciò non dimeno essi sembrano essere particolarmente portati all’apprendimento ed al
ricordo: in taluni pesci sono così sviluppate dette funzioni da portare addirittura ad
una variazione comportamentale qualora si presenti una situazione particolarmente
positiva o negativa; ciò è maggiormente riscontrabile negli esemplari più anziani e
per così dire più “esperti”.
Gli occhi sono simili a quelli dei mammiferi, ma la pupilla non è in grado di contrarsi
e sono privi di ghiandole lacrimali e palpebre.
I Tetra sono in grado di distinguere bene i colori e le forme, attitudine quanto mai
utile in acque dalla scarsa visibilità.
Hanno una percezione nitida anche di oggetti posti al di fuori dell’elemento liquido e,
non di rado, specie insettivore non esitano a compiere balzi anche spettacolari per
catturare piccole creature che volano sopra gli specchi d’acqua.
L’apparato uditivo è costituito esclusivamente dall’orecchio interno ed è
prevalentemente un organo preposto all’equilibrio; consta in particolari aree adatte a
captare le vibrazioni filtrate attraverso la pelle.
Le percezioni uditive nei Tetra sono decisamente buone, grazie all’amplificazione
consentita dalla vescica natatoria in collegamento agli ossicini di Weber, come
vedremo in seguito.
L’olfatto è generalmente abbastanza sviluppato e risulta determinante per la ricerca
del cibo e per la percezione dei segnali sessuali nelle specie cavernicole (Astyanax).
La sede dell’olfatto è costituita dalle fossette nasali, situate nel capo, davanti agli
occhi, in numero pari e dotate di fori distinti per l’entrata e l’uscita dell’acqua.
Organo sensibilissimo alle fluttuazioni dell’elemento liquido la linea laterale è un
insieme di piccolissimi pori e papille che sono in grado di percepire e interpretare i
mutamenti dell’ambiente circostante, come ad esempio i cambiamenti di pressione
atmosferica che inevitabilmente si ripercuotono in acqua; ma anche gli impercettibili
spostamenti di acqua che producono altri esseri viventi acquatici.
Nei Caracidi (così come in tutti i Cipriniformi) è inoltre presente l’apparato
cosiddetto di Weber (descritto da E.H. Weber nel 1820).
Questo apparato permette un collegamento fra la vescica natatoria e il labirinto e può
essere paragonato alla catena di ossicini che nei vertebrati superiori mette in relazione
labirinto e membrana timpanica.
L’apparato di Weber assolve funzioni sensoriali che permette a questi pesci di
percepire varie frequenze.
Studi recenti hanno dimostrato che questi pesci sono in grado di emettere determinati
tipi di frequenze, grazie ad un particolare dispositivo alloggiato nell’esofago e messo
in azione dalla vescica natatoria. Questa specie di trasmittente agisce tramite il dotto
elastico che mette in collegamento l’esofago alla vescica natatoria.
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Entro certi limiti si potrebbero fare delle ipotesi relative al sistema di orientarsi
attraverso una eco, proprio dei Chrotteri (Pipistrelli), che agevolerebbe la vita di
gruppo propria di questi pesci.
I Caracidi hanno perciò un udito particolarmente sensibile e un “sistema chimico di
avvertimento” che permette loro di percepire i pericoli e le caratteristiche
dell’ambiente circostante.
Le vie urinarie e quelle genitali possono sfociare in parti comuni nella cloaca.
Gli organi dell’apparato riproduttore, maschile e femminile, si sviluppano lungo la
colonna vertebrale, al di sotto dell’apparato renale.
Gli organi deputati alla produzione dei gameti, sono le ovaie, per le femmine, e i
testicoli, nei maschi.
La riproduzione avviene tramite l’espulsione dei prodotti sessuali (uova e sperma) in
acqua; anche qui vi sono eccezioni in cui solo la fecondazione può essere interna (con
un conseguente rilascio di uova fecondate: i Caracidi appartenenti ai generi
Mimagoniates e Corynopoma ne sono un esempio).
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CAPITOLO 2
L’acquario ideale per i Tetra.
Un acquario ideale per piccoli Caracidi
In questo capitolo cercheremo di analizzare quali sono gli elementi fondamentali che
possono guidare il neofita nella giusta scelta di una vasca atta ad ospitare i nostri
piccoli amici; un primo passo riguardante la creazione di un ecosistema funzionale,
equilibrato e perché no, anche multicolore.
Partiamo quindi ad effettuare alcune riflessioni su quale deve essere la struttura atta a
contenere l’acqua.
Partiamo dal vetro.
Il materiale d’elezione per la costruzione degli acquari è il cristallo.
Il cristallo dovrebbe aumentare di 1 mm di spessore ogni 10 cm di lunghezza; una
legge molto empirica e approssimativa (bisognerebbe considerare anche la
conformazione, la struttura e le dimensioni) ma utile per sottolineare il fatto che in
taluni punti vendita non specializzati, vi sono esposte vasche lunghe anche più di un
metro, con vetri di 5 o 6 mm: decisamente poco rassicuranti.
E’ utile anche evidenziare che biologicamente parlando le misure ideali di una vasca
dovrebbero rispettare 2 parametri fondamentali: l’altezza dovrebbe essere uguale alla
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profondità (la lunghezza non ha influenza su quello che è il buon funzionamento
dell’ecosistema acquario).
In particolare è l’altezza che giuoca un ruolo fondamentale: ricordiamoci che è negli
strati superficiali di acqua che si riscontra la maggiore concentrazione di ossigeno e
che anche in natura è a pochi m di profondità che si riscontra la maggiore biodiversità
(pensiamo ad una barriera corallina tropicale o anche uno stagno di casa nostra).
Pertanto le vasche migliori atte a venire incontro le nostre esigenze si aggirano
mediamente intorno ai 50 cm di altezza (anche meno) e, verosimilmente, dovrebbero
essere 50 cm di profondità. Vasche più alte, andrebbero illuminate con lampade
(HQI) dal consumo energetico elevato, dato che la luce emessa dai normali tubi
fluorescenti farebbe fatica ad arrivare sul fondo, facendo soffrire eventuali organismi
vegetali.
La collocazione
Per quanto riguarda il posizionamento della nostra vasca, sarebbe auspicabile uno
studio a priori sulla sua sistemazione all’interno della casa, in quanto una volta
riempito, non potrà più essere spostato, a meno di svuotarlo completamente e ripartire
da capo, con conseguente distruzione dell’equilibrio biologico e grande fatica da
parte nostra.
La prima cosa che bisogna considerare è la vicinanza di una presa di corrente,
elemento indispensabile per porre in funzione gli accessori.
Evitiamo di posizionarlo vicino a fonti termiche o vicino ad una finestra: luce e
calore all’interno dell’acquario devono essere modificati solo in base alle nostre
esigenze e non da fattori al di fuori del nostro controllo; ad esempio un’esposizione
diretta ai raggi solari potrebbe essere causa di uno squilibrio del ciclo luminoso
quotidiano e creare pertanto problemi di iperproliferazione algale.
L’ideale sarebbe il punto più buio della casa dove un bell’acquario illuminato sarebbe
certamente un gradevole polo di attrazione e dove creerebbe un notevole effetto
“arredamento”; un angolo tranquillo possibilmente lontano da sorgenti di rumore,
elettrodomestici, o apparecchiature elettriche fonti di vibrazioni.
Infine, ma non per questo meno importante, è la scelta del supporto adeguato.
Oggigiorno in commercio si possono trovare mobili atti allo scopo, in genere di
colore scuro ma che può essere variato su richiesta dell’acquirente. Si possono
utilizzare anche strutture già presenti in casa, a patto di un’attenta considerazione
sulla loro tenuta: non dimentichiamo infatti che solo l’acqua pesa un chilo a litro,
senza considerare il vetro, la sabbia e gli eventuali arredamenti (rocce,
legni……ecc.).
L’illuminazione.
Proprio per questo motivo nella scelta della vasca giusta, è obbligatorio considerare la
quantità di luce necessaria alle nostre esigenze; i moderni acquari sono dotati di
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impianti luminosi a LED. La potenza luminosa emessa da queste fonti oramai
prevalenti nei moderni acquari, è espressa in Lumen.
Empiricamente per i nostri scopi si dovrebbe calcolare una media d circa 10/15
lumens per ogni L di acqua (es: 100 L x 1500 lumens ) tenendo saldamente in
considerazione che è 10 lumens/L l’intensità minima necessaria a molte piante
(organismi NON accessori ma fondamentali per la creazione di un corretto equilibrio
biologico) per la loro sussistenza.
Da notare che in commercio esistono acquari costruiti a norme CEE che prevedono
un divisorio in plastica trasparente che separi i LED, nonché le altri parti elettriche,
dalla superficie dell’acqua: ciò comporta un’inevitabile perdita di potenza luminosa,
in particolare se tale divisorio non viene regolarmente pulito; d’altro canto gli acquari
fatti in serie hanno invece l’incomparabile vantaggio di essere completamente
accessoriati, sicuri e corredati di istruzioni, facilitando una serie di compiti che a
coloro i quali si affaccino per la prima volta a gestire una vasca potrebbero risultare
di difficile comprensione; resta il fatto comunque che da queste strutture non si può
pretendere di ottenere dei bellissimi acquari in stile “ZEN”, anche se a livello
tecnico/accessoristico possono adempiere egregiamente alla funzione di ospitare i
nostri benamati pesciolini, garantendo anche un sicuro effetto estetico.
Piccola raccomandazione: evitare di pulire accessori, vetri o altre strutture tecniche,
con corpi abrasivi (carta vetrata, pagliette metalliche per piatti, spazzole dure, ecc…)
che potrebbero rovinare irrimediabilmente tali oggetti, in particolare i suddetti
divisori trasparenti.
Usare perciò solo acqua e una spugna morbida, per rispettare i materiali. Al massimo
si può utilizzare per le incrostazioni calcaree dell’acido muriatico, con la precauzione
di un risciacquo scrupoloso a fine lavoro.
Non utilizzare detergenti e solventi: difficili da lavare via, potrebbero essere ancora
presenti durante l’allestimento; minime tracce si rivelerebbero deleterie per la vita in
vasca.
Tornando a parlare di luce vera e propria, non dobbiamo dimenticare che essa dovrà
rimanere accesa per un periodo variante dalle 8 alle 10 ore al giorno, vale a dire la
durata minima necessaria alle piante per completare il loro ciclo biologico quotidiano
e la durata massima oltre la quale è più facile avere un’esplosione algale. E’
sconsigliabile porre a dimora la vasca nelle vicinanze di una finestra o dove possa
essere colpita dai raggi solari diretti: la radiazione luminosa è una di quelle variabili
che dovrebbe rimanere sempre sotto il nostro controllo, in modo tale che a seconda
delle nostre necessità, non si abbia difficoltà ad effettuare eventuali correzioni di
illuminazione.
Oggi giorno la più comune fonte di luce sono gli impianti a LED: in commercio
esiste solo l’imbarazzo della scelta e non ci resta che chiedere consiglio al negoziante
di fiducia, tenendo presente che a qualunque marca essi appartengano, hanno un
consumo elettrico limitatissimo.
Accendere il nostro mondo sommerso sarà allora facilissimo. Basterà solo fare un
“click” sul bottone dell’interruttore: un gesto tanto semplice quanto necessario e che
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spesso è in contrasto con le esigenze di vita di noi uomini, schiavi di orari che nulla
hanno a che fare con i ritmi biologici della natura.
Per mantenere allora inalterato un salutare quanto indispensabile ciclo luminoso
giorno/notte, diventa utile un temporizzatore che accenda e spenga, ad ore da noi
prescelte, il “sole” in acquario; forse sembrerà superfluo, ma è di vitale importanza
per tutti gli organismi acquatici regolare i loro processi vitali con il sorgere e il
tramontare del sole in orari regolari; addirittura alcune specie di pesci
(Pelvicachromis Pulcher, un Ciclide dell’Africa occidentale), regola il suo timer
interno con lo spegnimento della luce e mezz’ora prima che ciò accada, porta nella
tana la sua prole. Ora vi lascio solo immaginare cosa accadrebbe ai piccoli se tale
operazione fosse effettuata con ritmi umani!!!
Il riscaldamento
Provenendo da zone tropicali e sub-tropicali, i Caracidi necessitano di temperature
medie dell’acqua oscillanti dai 20 ai 28°C. A questo scopo si rivela insostituibile un
altro strumento fondamentale per il benessere delle specie che ci accingeremo ad
ospitare: il termoriscaldatore.
Indispensabile in inverno, di svariate marche e dimensioni, ci consente di mantenere
una temperatura dell’acqua “tropicale” anche durante gli inverni più rigidi.
Costituito da una resistenza collegata ad un termostato, quando la temperatura da noi
impostata si abbassa di poco, viene dato l’imput affinché tale resistenza scaldi la
struttura di vetro in cui è contenuta e per contatto anche l’acqua circostante. Una
volta raggiunta la temperatura prescelta, il termostato stacca la resistenza,
interrompendo il riscaldamento. NON TOGLIERE MAI dall’acqua questo strumento
in fase di riscaldamento (si vede da una luce spia) o a spina inserita: potrebbe
esplodervi in mano!!!! Qualora fosse necessario estrarlo, si deve staccare la presa,
lasciare passare 5 minuti e prelevare lo strumento senza nessun problema. Esistono
però in commercio dei termoriscaldatori dell’ultima generazione, cosiddetti
“elettronici”, che anche a spina inserita provvedono automaticamente a spegnersi una
volta estratti dall’acqua. Molto precisi e decisamente sicuri, possono essere una scelta
conveniente per le persone un po’ “sbadate”.
Al momento dell’acquisto non dobbiamo dimenticare di verificare il wattaggio.
Di fatti l’attività di riscaldamento dello strumento è strettamente collegata alla
capacità dell’acquario espressa in litri e per calcolare la giusta potenza (espressa
appunto in Watt), ci viene in soccorso una semplice equazione: 1 Watt per 1 litro di
acqua. Questa formula ci permetterà di ottenere in modo certo, un riscaldamento
efficiente e uniforme in tutta la vasca.
L’aerazione
Il concetto di ossigenazione tramite aerazione, ha perso notevolmente valore.
Sebbene esteticamente le bolle emesse possano attrarre lo sguardo compiaciuto di chi
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osserva il proprio mondo subacqueo, in una vasca equilibrata, che è il fine ultimo di
questo libro, tali bolle sono decisamente nocive!!!!!!!!!
Difatti l’elemento fondamentale per la creazione di un ecosistema sano, ma
soprattutto di un ambiente accogliente per i Caracidi, sono le piante, di cui ci
occuperemo specificatamente in seguito.
Ora, elemento indispensabile per una rigogliosa crescita delle piante, oltre alla luce, è
l’anidride carbonica (CO2). Facile capire come un’eccessiva turbolenza superficiale
aiuti ad espellere la totalità di CO2 presente, che già per sua natura difficilmente, in
una vasca equilibrata, si accumula.
Inserendo l’aeratore toglieremmo anche quel poco di CO2 disponibile per le piante,
condannandole ad una crescita stentata, per non dire morte sicura.
Per contro, come tutte le cose utilizzate con criterio, anche l’aeratore è un accessorio
indispensabile in talune situazioni, come eccessivo numero di pesci, temperature
troppo alte, in caso di inquinamento da sostanze azotate o uso di medicinali che
spesso diminuiscono la capacità di assorbimento dell’ossigeno da parte delle branchie
dei pesci.
L’arredamento
Per rendere accogliente la futura casa dei nostri Tetra, avremo la possibilità di
inserire diversi materiali, che comunque possano rispecchiare in piccolo le zone di
provenienza dei nostri coloratissimi ospiti.
Tenendo presente che provengono da zone di foresta pluviale, soggetta a periodiche
inondazioni dove i fiumi possono salire di livello diversi metri (in Amazzonia si
possono raggiungere anche i 12m!!!) e che quindi avremo una foresta “sommersa”, si
evince quanto siano importanti per un habitat ideali tronchi e piante, con particolare
riferimento proprio a quelle acquatiche e palustri attraverso le quali saremo in grado
di realizzare splendidi giardini subacquei, di grande valore estetico, ma ancor più
importante, casa ideali per i nostri piccoli amici.
Per quanto riguarda i legni, rivolgendosi ad un negozio specializzato non avremo che
l’imbarazzo nella scelta di forma e dimensioni; avremo inoltre la certezza di inserire
strutture che non siano in via di putrefazione o che possano rilasciare sostanze
indesiderate; unico difetto è il fatto che possono rendere l’acqua ambrata, rilasciando
sostanze umiche, quanto mai utili però per un ecosistema amazzonico. Forse per il
neofita tale colorazione potrebbe risultare antiestetica (volendo si potrà utilizzare del
carbone attivo per eliminare tale colorazione, con però conseguente impoverimento
dell’acqua) ma ricordiamoci che se vogliamo ottenere dei risultati soddisfacenti di
lunga durata bisogna privilegiare l’aspetto biologico e MAI quello estetico: verremo
così ricompensati delle nostre fatiche con pesci in salute e longevi. Non
dimentichiamo nemmeno che la maggior parte dei Tetra provengono dalle acqua
scure tropicali, così denominate in quanto, attraversando la foresta ricca di
vegetazione, l’acqua si impregna delle sostanze cedute dal legno caduto che, come
detto i precedenza, rende color “cola” i fiumi di queste zone.
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Un legno adatto ad arredare l’acquario per i Tetra. Tutti i negozi specializzati ne sono provvisti.
Minore importanza hanno invece le rocce: da preferire sono l’ardesia o al limite i
ciottoli tondeggianti dei fiumi. Evitiamo invece altri materiali dagli spigoli vivi o
dalle superfici abrasive come le lave vulcaniche: fuggendo per vari motivi e
cercandovi riparo i nostri piccoli amici potrebbero ferirsi mortalmente.
Assolutamente incompatibili materiali di origine marina, come conchiglie, coralli o
rocce calcaree.
Prima di inserirli in acquario, i vari materiali devono superare 2 prove.
La prima consta nel fatto di versare alcune gocce di acido muriatico sulla superficie
in esame: qualora al contatto reagisca “friggendo” avremo un chiaro segno del
contenuto calcareo della roccia in esame; sarà pertanto da eliminare, in quanto
potrebbe, una volta inserita in acqua, andare ad alterare i valori fisico-chimici.
L’altra, almeno per quei pezzi recuperati in natura, è un accurato lavaggio e
un’attenta bollitura. Evitiamo inoltre di raccogliere pezzi provenienti da zone con alto
contenuto di metalli: immessi nell’elemento liquido diffonderebbero pericolosamente
il loro carico e intossicherebbero tutti gli esseri viventi presenti
Ecco perché nelle vasche “amazzoniche” è auspicabile esclusivamente inserire legni,
che grazie alla grande varietà di forma e colore, lasciano grande spazio alla nostra
creatività.
Concludendo, sono da evitare nel modo più assoluto le piante finte. Ai nostri scopi
(cioè la ricerca di un equilibrio biologico) sono del tutto inutili, se non addirittura
dannose: se impauriti i piccoli Tetra vi si gettano a capofitto, ma essendo queste
ultime rigide possono provocare delle ferite molto pericolose.
Per il fondo, che andremo ad analizzare nel dettaglio nel paragrafo relativo alle
piante, utilizzeremo materiali esclusivamente a scopo acquariologico; anche se alcuni
testi fanno riferimento alla raccolta in natura, è preferibile evitare questa opzione, a
meno di essere certi della provenienza e composizione minerale.
La scelta di sabbia o ghiaietto (meno consigliato dato che tra gli interstizi nel corso
del tempo si accumulano sedimenti organici e altre sostanze di scarto, substrato ideale
per una moltitudine di microorganismi spesso indesiderati se non addirittura
patogeni) dovrà privilegiare i colori scuri naturali, come il marrone, il beige o al
limite il nero, che in contrasto con il verde delle piante, giuocherà un notevole effetto
estetico. Evitiamo le sabbie colorate o chiare che “ucciderebbero” i colori dei nostri
pesci per un motivo tanto utile quanto elementare: in natura (quasi) tutti i pesci hanno
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una colorazione argentata sul ventre e scura sul dorso per il semplice motivo che sono
meno distinguibili dai rispettivi punti di vista di un eventuale predatore che nuoti al di
sotto di essi o che nuoti (o voli) al di sopra di essi.
La natura ha risolto questo problema fornendo ai nostri amici pinnuti, particolari
cellule dette cromatofori in grado di variare l’intensità della colorazione se non
addirittura la colorazione medesima. Il processo è abbastanza semplice e in parole
povere si riassume come segue: in base alla luce (ma anche per paura o in fase
riproduttiva) che viene percepita, il cervello invia dei segnali a queste cellule, che
obbediscono variando il pigmento; come sintesi di tutto questo avremo pertanto una
variazione verso lo scuro e quindi un’accentuazione dei colori su fondo scuro; su
fondo chiaro invece avremo un’attenuazione per non dire una vera e propria
decolorazione degli animali, tanto da farli sembrare appartenenti ad un’altra specie.
Ecco spiegato perché per il nostro acquario è vivamente sconsigliato un fondo chiaro,
o peggio, colorato.
Un fondo scuro o meglio ancora di sabbia ambrata (molto naturale) consente di
esaltare al massimo la colorazione (vedi anche “Sistema Sabbia”).
Alcuni consigli
E’ possibile nelle righe seguenti avere alcuni utili suggerimenti su come allestire
diversi tipi di “ecosistemi” nei quali i Caracidi possano trovare un ambiente
confortevole e appropriato alle loro esigenze biologiche.
- L’acquario di comunità –
Probabilmente è il tipo di ambientazione più diffusa, anche
perché i Tetra ben si addicono a una compagnia multicolore di altri piccoli pesci
pacifici: in pratica tutte le specie elencate nel paragrafo relativo alle “Compatibilità”
sono indicate per popolare una vasca di questo tipo. E’ anche il tipo di vasca con
l’arredamento più variato e su cui la nostra fantasia può dare sfogo a tutta la sua
creatività: radici, pietre non calcaree, piante di tutti i tipi e dimensioni, pezzi di vaso,
cocci, gusci di noce di cocco o foglie di quercia seccate possono concorrere a rendere
ancora più appariscenti i nostri ospiti e a creare utili tane e nascondigli.
I valori biochimici dovrebbero mantenersi entro limiti medi, dato che è necessario
rendere ospitale tale vasca anche a pesci provenienti da acque differenti; pertanto
valori di pH intorno al 7 (anche 7.5) e una durezza intorno ai 10/15 GH sono da
considerarsi accettabili per tutte le specie.
- L’acquario biotopo –
Si entra ora nello specifico, un argomento che può interessare soprattutto gli amanti
della natura incontaminata, nell’intento di ricreare, magari nel proprio salotto, un
vero e proprio scorcio di fiume della foresta pluviale Sudamericana o Africana.
Sostanzialmente non vi sono differenze fra le situazioni ambientali che si possono
riscontrare in Sud America (bacino amazzonico e dell’Orinoco) o in Africa (bacino
del Congo): entrambe hanno in comune l’estrema rusticità dell’ambiente subacqueo,
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dove rami caduti e radici sono predominanti. La vegetazione sommersa è scarsa, a
causa della carenza di luce dovuta alle fronde degli alberi soprastanti e alla presenza
in acqua di elevate concentrazioni di tannini, acidi umici e altre sostanze lignee che
rendono i corsi d’acqua di queste foreste color “cola”.
Il fondo è marroncino scuro con notevoli quantità di fogliame depositato (ottime per
ricreare questo ambente le foglie secche di quercia) e radici e rami che formano un
dedalo intricato ove i piccoli Tetra trovano rifugi sicuri. Nelle poche zone dove la
luce penetra a sufficienza è possibile intravedere alcuni steli di E. tenellus fra il
fogliame caduto. Altri Echinodorus di maggiori dimensioni creano con le loro foglie
degli angoli protetti. Sicuri rifugi sono anche le zone popolate da piante acquatiche
che formano barriere compatte con i loro esili fusti: Cabomba e Mayaca ne sono un
esempio, laddove però il sole riesce a penetrare con tutta la sua intensità.
E’in questi luoghi, apparentemente desolati ad una visione subacquea, dove si
rinvengono la maggioranza delle specie di Tetra: è anche il regno dei Discus, degli
Scalari e dei Ciclidi Nani. Un regno che può essere magicamente riprodotto anche in
una delle nostre case, attraverso l’acquario biotopo.
Indispensabile diviene allora l’utilizzo della torba nel filtro e una durezza che non
superi i 4 GH, con un pH compreso fra il 5.5 (non scendere mai al di sotto di questo
valore: potrebbe essere pericoloso) e il 6.5.
Probabilmente un acquario per intenditori che lascia poco spazio all’estetica, ma che
da un punto di vista prettamente scientifico, può essere spunto di osservazioni
interessanti.
- L’acquario per soli Tetra. –
Quando i Tetra diventano protagonisti assoluti dei nostri acquari, ovverosia quando si
decide di dedicare esclusivamente a loro una vasca tralasciando altre specie, si avrà
un risultato estetico equivalente ad una via di mezzo fra il variopinto mondo
dell’acquario di comunità e il rigore assoluto dell’acquario biotopo.
Conviene utilizzare come arredamento esclusivamente legni (sui quali è possibile fare
crescere il bellissimo Muschio di Giava o piante quali Anubias e Microsorium dato
che le loro radici hanno il potere di fissarsi al substrato), qualche pietra di colore
scuro e piante, tantissime piante di tutti i tipi e di tutte le dimensioni, con le quali si
possono ricreare incantevoli giardini subacquei: i famosi acquari “olandesi” sono un
classico esempio di acquario dedicato ai Caracidi.
Anche i valori biochimici rispecchiano quanto espresso in precedenza: anch’essi si
collocano a metà strada tra quelli del biotopo “foresta” e quelli della vasca di
comunità; il pH potrà quindi oscillare fra un minimo di 6 e un massimo di 7; la
durezza totale potrà essere compresa tra un minimo di 3 e un massimo di 8 GH.
Probabilmente questa è la tipologia di vasca più equilibrata a livello biologico e la
più appariscente a livello estetico, dove senza ombra di dubbio i nostri Tetra
troveranno un ambiente ideale a far risaltare i loro colori.
Unici compagni di vasca consigliati, data la loro indubbia utilità, sono i pulitori di
alghe Crossocheilus (Epalzeorhynchos) siamensis, e i pesci gatto appartenenti al
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genere Corydoras, più comunemente chiamati “pulitori di fondo” o “spazzini”, anche
se questi termini sono un po’ riduttivi per queste simpatiche creature.
In conclusione, con questi esempi, si e cercato di suggerire alcune linee guida su
come allestire diverse tipologie di acquari, basati su concezioni di arredamento molto
diverse, sempre e comunque in grado di fornire ai nostri Tetra un piccolo mondo
dove sentirsi a proprio agio e vivere a lungo.
L’acqua
E’ l’elemento indispensabile alla vita di tutti gli organismi viventi. Composta da una
molecola molto semplice formata da due atomi di idrogeno (simbolo chimico H) e
uno di ossigeno (simbolo chimico O), è il veicolo o se preferiamo il catalizzatore di
molte reazioni chimiche, oltre ad essere un ottimo solvente.
Dal punto di vista acquariologico è molto importante sapere in “quale” acqua nuotano
i nostri pesci, dato che molti problemi legati al loro stato di salute potrebbero
scaturire proprio da un’acqua “sbagliata”. Starà quindi a noi e ad alcuni interventi
correttivi fornire loro l’acqua “giusta”.
I termini “quale”, “sbagliata”, “giusta”, si riferiscono ovviamente ai parametri
biochimici dell’elemento liquido, dei quali sicuramente il più conosciuto e di moda
(anche perché reclamizzato in TV tramite prodotti cosmetici) è sicuramente il pH.
Ora per rimanere in parole povere, il pH esprime l’acidità di un liquido o se vogliamo
essere più precisi la sua concentrazione idrogenionica. La scala di misurazione varia
da 0 a 14, dove 7 indica la neutralità. Da ciò ne deriva che un pH inferiore a 7 è
acido, mentre se è superiore risulta alcalino (o basico).
Per capire un po’ meglio che cosa vuole dire acido e basico, torniamo alla nostra
molecola di acqua: H2O. Tale breve formula indica che se si potesse ingrandire
attraverso un immaginario microscopio una goccia di acqua, potremmo osservare una
infinita quantità di molecole muoversi le une rispetto alle altre, ognuna formata da
due atomi di idrogeno e uno di ossigeno. Essendo però l’ossigeno “avaro” di
elettroni, tende spesso a rubarne uno all’atomo di idrogeno che diventa quindi H+:
ovvero l’atomo di idrogeno ha perso un elettrone (che ha carica negativa) e quindi
assume carica positiva.
Come risultato avremo pertanto la formazione di due particelle (H+ e OH-) che
collidendo potranno eventualmente riformare una molecola di acqua.
Questa ricostituzione dipende però in larga parte dalle cosiddette “sostanze tampone”
cioè sostanze in grado di cedere (acidi) o strappare (basi) ioni H+ all’acqua. Le
principali sostanze tampone sono l’acido carbonico (che viene ottenuto facilmente
attraverso la diffusione di CO2 in acqua) e il bicarbonato di calcio.
Da quanto esposto si può concludere che esistono due soluzioni per correggere il pH:
aggiungere continuamente acido carbonico, oppure ridurre la concentrazione dei sali
disciolti che fungono da tampone e che mantengono stabile, ma verso l’alto, detto
parametro. Non è detto però che semplicemente abbassando la durezza il pH cali
automaticamente: difatti un minor contenuto salino rende più “malleabile” il pH e un
minimo quantitativo di sostanza acida o basica, modificherà detto parametro verso
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valori maggiori o minori di 7. Ecco perché può capitare di avere acque tenerissime
con pH alti.
Per le esigenze di allevamento dei Tetra, sarà opportuno mantenere un pH neutro o
leggermente acido. Ottima allo scopo è la torba, il cui difetto è di imbrunire l’acqua;
difetto peraltro ampiamente compensato dagli infiniti benefici che detto tipo di acqua
apporta alla salute dei nostri pesci.
Anche l’anidride carbonica è utile a questo scopo, oltre a quello di essere il principale
nutrimento delle piante.
Se proprio desideriamo utilizzare un rimedio veloce e pratico conviene rivolgersi
verso gli estratti vegetali, come quello di foglie o corteccia di quercia: in commercio
esistono ottimi prodotti contenenti queste preziose sostanze, ma chi avesse voglia
potrebbe farsi una tisana “fai da te”!
Gli altri sistemi sono palliativi, come per esempio gli acidificanti: ad una prima
aggiunta il pH cala, per poi cominciare a salire, dato che le sostanze tampone sono
ancora presenti; infatti questi acidificanti erodono la “durezza” fino a quando i
tamponi non esistono più. A questo punto è sufficiente una minima aggiunta di
prodotto per far precipitare verso valori letali il pH.
Ma quali sono queste fondamentali sostanze e come facciamo a riconoscerle e a
sapere in quale concentrazione sono presenti nelle nostre acque?
Sicuramente la formula più familiare agli acquariofili che rappresenta questi tamponi
è senza dubbio il KH, o durezza temporanea (dato che si può eliminare tramite
ebollizione e conseguente successiva precipitazione dei sali). In parole molto
semplici essa è formata in larga parte dai carbonati e bicarbonati di calcio e magnesio
ed ha un’azione diretta nel rapporto pH-CO2: più il KH è basso, maggiore è la
diffusione dell’anidride carbonica in acqua e la sua azione nell’abbassare il pH. (vedi
tabella).
SCHEDA 2
Una breve sintesi sulla relazione pH-KH-CO2:
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Più il KH è elevato, maggiore sarà la quantità di CO2 immessa per raggiungere un determinato
valore pH.
Viceversa, minore è il valore KH, minore è la quantità di CO2 da immettere per raggiungere un
determinato valore di pH.
La concentrazione ottimale di CO2 è generalmente compresa tra i 15 e i 20 mg/L.
Da ricordare che con KH inferiori a 2, ci sono possibilità di un crollo del pH verso valori acidi
letali.
La durezza totale rappresenta invece la somma della durezza temporanea e quella
permanente (cioè di quei sali che non vengono eliminati dalla bollitura), formata
principalmente dagli ioni bivalenti di calcio e magnesio.
Parlando di contenuto salino dell’acqua non si può certo evitare di nominare la
conduttività, cioè la capacità dell’acqua di trasportare elettricità: maggiore è il
contenuto salino, maggiore è la quantità di elettricità che può trasportare. Questa
capacità viene misurata in microsiemens/cm: l’acqua piovana o distillata misura 0
mcs/cm, quella marina oltre 50.000 mcs/cm; quest’ultima è quindi un ottimo
conduttore di corrente. Un acquario per i Tetra dovrebbe avere una conduttività
compresa tra i 200 e i 500 mcs/cm; intorno ai 50/150 nelle vasche adibite alla
riproduzione.
Il Conduttivimetro
In commercio possiamo trovare a poche decine di euro dei pratici misuratori a pila
che una volta accesi e immersi nel liquido danno istantaneamente l’indicazione.
Quest’ultimo parametro, che non è altro che una versione più precisa della durezza
totale, è fondamentale qualora ci volessimo cimentare nella riproduzione di specie
“difficili”: sono sufficienti a volte anche poche decine di microsiemens di differenza
(normalmente non rilevabili dai normali misuratori liquidi della durezza) per
decretare l’insuccesso di una deposizione, tanto è vero che gli allevatori professionisti
parlano quasi esclusivamente in termini di conduttività delle loro acque.
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Il filtraggio.
Il filtro è il vero cuore dell’acquario, dove avviene quel processo che ci consente di
avere acqua pulita e depurata in continuazione.
2 sono gli scopi essenziali: trattenere le particelle in sospensione (togliendo quindi il
sedimento e dandoci acqua pulita e chiara: filtraggio meccanico, cioè di rimozione o
prefiltrazione), e trasformare i rifiuti organici degli esseri viventi che ospitiamo
(potenzialmente molto tossici) in altre sostanza assimilabili dalle piante (filtraggio
biologico, cioè di trasformazione).
I materiali che più comunemente vengono utilizzati per assolvere queste funzioni
sono rappresentati da lana di perlon (sicuramente da preferire) o spugne sintetiche a
porosità fine per il filtraggio meccanico.
Lana di perlon
Per il filtraggio biologico non esistono materiali preposti, in quanto esso viene
effettuato da particolari ceppi di batteri (Nitrobacter, Nitrosomonas): è vero però che
tali microorganismi necessitano di un adeguato substrato di accrescimento. Vengono
in nostro aiuto allora i comunissimi (e utilizzati ormai da decenni) “cannolicchi” cioè
cilindretti in ceramica, spugne sintetiche a porosità media o grossa e ultimamente le
cosiddette “bio-ball” da utilizzare esclusivamente in acquari con filtro percolatore.
I cannolicchi
Diversi sono i tipi di filtri che ci vengono proposti dal mercato, starà poi a noi
scegliere quale potrà essere indicato per soddisfare al meglio le nostre esigenze.
Di seguito troveremo una brevissima carrellata di varie tipologie di filtri.
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I filtri interni: hanno pura funzione di rimozione. Costituiti generalmente da una
struttura in plastica contenete il materiale filtrante (in genere spugna sintetica) al cui
apice è inserita una pompa centrifuga. Hanno funzione prettamente meccanica.
In acquari fortemente piantumati, con luce forte e CO2 possono essere usati
tranquillamente per la loro funzione meccanica dato che le sostanze azotate vengono
assorbite immediatamente dall’azione vegetale.
I filtri esterni: hanno l’inconfondibile struttura a barilotto, entro il quale sono presenti
i cestini preposti a contenere i materiali filtranti. Fungono egregiamente come filtri
completi (azione meccanica e biologica), ma sono abbastanza scomodi per quanto
riguarda la manutenzione (a titolo informativo, quelli di ultima generazione sono
molto più pratici).
Filtro sottosabbia: costituito da una serie di placche a griglia da posizionare sul fondo
della vasca, vengono ricoperte poi da materiale di fondo di granulometria non
inferiore ai 4 mm. Sull’estremità di una placca si trova un foro su cui viene inserito
un tubo di plastica all’apice del quale si posizionerà la pompa atta a produrre il
movimento: la pompa aspirerà l’acqua dal fondo e la riporterà in acquario, da questo
poi filtrerà attraverso la ghiaia nell’intercapedine creata per poi essere nuovamente
aspirata dalla pompa. In questo caso la ghiaia ha azione sia biologica (funge quindi da
substrato batterico) sia meccanica (trattiene le particelle). Ottimo dal punto di vista
biologico (grande superficie di attecchimento batterio) dalla però non facile
manutenzione: il fondo andrebbe sifonato scrupolosamente con gli appositi strumenti
almeno una volta al mese. Tale operazione si rende indispensabile onde evitare di
intasare col sedimento gli interstizi nel materiale di fondo entro i quali fluisce e si
depura l’acqua.
Filtro percolatore: indicato in particolare per acquari marini di pesci o per grandi
acquari di Ciclidi, poco si addice ai nostri scopi.
Negli ultimi anni si sono diffusi molto i filtri esterni, a scapito degli ultimi 2 che sono
sempre meno diffusi tra gli acquariofili, poiché occupando meno spazio consentono
un migliore utilizzo della capacità della vasca. Inoltre quelli di ultima generazione
consentono una rapida e comoda manutenzione.
Veniamo ora invece a conoscere quello che è il tipo di filtro più adatto ad un acquario
d’acqua dolce o più specificatamente dedicato ai Caracidi: il filtro interno a vani o
più comunemente chiamato biologico a vani. Sono anche i filtri che più
comunemente troviamo già in dotazione negli acquari.
Come dice la parola, è costituito generalmente da 3 vani filtranti, riempiti di materiali
preposti ad assolvere funzioni meccaniche e biologiche.
I vani filtranti dovrebbero essere sufficientemente ampi da permettere l’introduzione
di una mano al fine di consentire eventuali opere di manutenzione. Evitiamo perciò
quegli acquari dove i vani siano troppo stretti (a volte nel primo si può inserire solo il
termoriscaldatore, senza permettere l’aggiunta di alcun materiale) o che abbiano
meno di 3 scomparti.
Per l’inserimento dei materiali filtranti, la regola è molto semplice e, seppur in modo
diversificato e specifico, uguale per tutte la vasche: in un primo stadio avremo la
prefiltrazione meccanica (operata nella maggior parte dei casi attraverso della lana
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sintetica di perlon) e sequenzialmente la filtrazione vera e propria (o meglio la
trasformazione della sostanze organiche di scarto degli esseri viventi acquatici,
potenzialmente molto velenosi, in altre sostanze molto meno tossiche) ad opera di
alcuni ceppi di batteri che si instaureranno su di un substrato appositamente da noi
creato. In genere questo substrato è costituito da cannolicchi in ceramica o spugne
sintetiche; queste ultime però hanno il difetto di occludersi con il passare del tempo,
impedendo l’indispensabile passaggio di acqua; è preferibile un consistente numero
di cannolicchi, che andranno ad occupare la metà inferiore del 2° vano e la parte
bassa del 3° (per intenderci quello dove viene inserita la pompa centrifuga, che verrà
adagiata proprio sopra tale materiale). Va da se che più batteri abbiamo (ergo
maggiore substrato) più acqua pulita avremo e come riflesso meno problemi di
inquinamento in vasca.
Per quanto riguarda la prefiltrazione, come anzidetto il materiale per eccellenza è la
lana di perlon: ATTENZIONE!!! NON USATE MAI MATERIALI SIMILARI A
SCOPO NON ACQUARIOLOGICO!!!! Spesso questi materiali sono ricoperti da
particelle oleose atte a catturare diversi tipi di molecole (es: filtri per cappe da
cucina).
Inutile dire che tale raccomandazione vale per tutti i materiali, quindi evitiamo di
usare spugne da cucina o per il bagno!
Al fine di adempiere appieno alle loro funzioni, i vari materiali filtranti devono essere
posizionati in modo corretto.
Per quanto riguarda la lana di perlon una prima porzione andrà ad occupare la prima
metà del 1° vano; la seconda porzione andrà ad occupare la prima metà del 2° vano
(proprio sopra i cannolicchi); difatti la lana imprigionando il sedimento, in base a
diversi fattori come ad esempio la popolazione ittica, andrà mano a mano ad intasarsi
e a diventare scura; sarà questo il momento di sostituirla ma così facendo
distruggeremo anche l’utile flora batterica che si sarà insediata tra le sue fibre;
avendo 2 porzioni e cambiandole non contemporaneamente, bensì alternativamente,
avremo un grosso vantaggio: la certezza di mantenere una nutrita schiera di batteri
almeno su una porzione (oltre, ovviamente, a quelli presenti nei cannolicchi).
IMPORTANTISSIMO: quando compiamo operazioni di manutenzione del filtro, è
indispensabile spegnere la pompa centrifuga, onde evitare che lo sporco da uno
scomparto possa passare agli altri.
Da ricordare che il flusso orario di liquido necessario per una depurazione ottimale,
in una vasca di acqua dolce, è uguale a quello della capacità della vasca: 100 litri di
capacità=100 l/h di flusso.
I batteri del filtro infatti sono in grado di trasformare solo un certo quantitativo di
sostanza organica all’ora e un flusso più veloce non aumenta questa potenzialità
come vedremo successivamente del paragrafo dedicato al ciclo dell’azoto.
Fondamentale è anche la capacità del vano filtrante: tanto è maggiore, tanto più
velocemente viene depurata l’acqua che vi circola. Mediamente lo spazio riservato al
filtro non dovrebbe mai essere inferiore al 10/15 % della capacità della vasca.
Tornando all’elemento tecnico in esame, la scelta della pompa dovrà in primo luogo
rispettare le esigenze biologiche di portata (evidenziate sopra) e parimenti le esigenze
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di forma e dimensioni in rapporto allo spazio loro dedicato nel filtro: in commercio
esiste la più ampia gamma di prodotti in grado di soddisfare le necessità anche più
particolari. Ultimamente si assiste ad una continua semplificazione della meccanica e
ad una riduzione nelle dimensioni, con un parallelo miglioramento delle prestazioni
di questi strumenti.
Per concludere il discorso relativo al filtro, è doveroso ricordare il cosiddetto
“filtraggio chimico”.
Con questo concetto si intende riassumere tutti quei processi attraverso i quali si
vanno a modificare i parametri chimici dell’acquario.
I materiali più importanti che assolvono queste funzioni sono principalmente 3:
Carbone attivo: esplica la funzione di rimuovere sostanze chimiche, cataboliti e
residui di medicinali presenti in acqua; utile in situazioni di emergenza, non va però
utilizzato come regola nella vasca in quanto impoverisce l’acqua di preziosi elementi.
Dopo 15/20 giorni cessa la sua attività adsorbente e va sostituito o eliminato.
Torba: indispensabile per modificare in modo naturale pH e KH, tralascia preziosi
acidi umici; imbrunisce l’acqua in modo a volte antiestetico, ma contiene diverse
sostanze efficaci ad aumentare la resistenza dei pesci alle malattie e predisporli alla
riproduzione. Consigliatissima.
Resine a scambio ionico: da usare solo in casi di emergenza. Hanno l’impareggiabile
vantaggio di trattenere sostanze indesiderate (NO3, PO4…..) o di modificare le
caratteristiche chimiche dell’acqua (pH, KH, GH) ma come dice la parola stessa
“scambiano” gli ioni e sovente tralasciano
altre sostanze non proprio utili.
Il ciclo dell’azoto
Ed ora entriamo ad analizzare nel dettaglio il parametro che ha un’influenza diretta
sulla vita dei nostri pesci: l’azoto (N). La sua molecola è alla base di tutte le proteine
e quindi di tutta la materia organica; a seconda delle altre molecole a cui si
accompagna e del grado di degradazione che assume, può diventare addirittura
tossico e mortale per gli esseri viventi acquatici.
Ma vediamo di andare con ordine.
Come detto l’azoto è elemento di base della materia organica, dal cibo, alle feci dei
pesci a una foglia. Ora, una volta che comincia il processo di degradazione delle
sostanze proteiche, derivanti a loro volta dalla decomposizione ad opera di
microrganismi e funghi della materia vivente, il primo composto azotato che verrà a
formarsi è l’ammoniaca (NH3), tossica e mortale anche a concentrazioni minime (0.6
mg/L), oppure di ammonio (NH4), molto meno pericoloso.
Come si può notare ammonio e ammoniaca differiscono chimicamente dal numero di
atomi di idrogeno: su questa minima differenza molecolare, dalla grande rilevanza
pratica (come detto NH4 è meno pericoloso), giuoca un ruolo di primo piano il pH.
30
Infatti a pH acidi, con maggiore presenza di ioni H+, avremo ammonio. Viceversa, a
pH basici, quindi con presenza limitata o nulla di ioni H+, avremo esclusivamente
ammoniaca!
Facile, da queste piccole osservazioni, trarre le dovute conclusioni.
Test Nitriti (NO2): il test più importante. Non dovrebbe mai mancare.
Il passo successivo nella trasformazione dell’ammoniaca sono i Nitriti (NO2) ad
opera dei batteri Nitrosomonas. Anche i nitriti sono estremamente tossici (già da 0.25
mg/L), perché si legano all’emoglobina del sangue ostacolando l’assorbimento e il
trasporto dell’ossigeno.
Fortunatamente la natura ci viene in soccorso con i Nitrobacter, microrganismi in
grado di effettuare l’ultima trasformazione dell’azoto in Nitrati (NO3), che sono
decisamente i meglio sopportati, addirittura fino ad oltre 100 mg/L.
La trasformazione termina qui, con i Nitarti, che andranno via, via accumulandosi in
vasca. Esistono solo 2 soluzioni veramente valide per eliminarli, dato che a
concentrazioni elevate possono diventare pericolosi: un’abbondante popolazione
vegetale e i cambi parziali.
Sebbene come accennato i pesci possano sopportare concentrazioni elevatissime di
NO3, sono comunque un elemento di disturbo nei normali processi di vita degli
animali. Qui mi riferisco in particolare ai processi riproduttivi e all’accrescimento
degli avannotti, oltre ad altri problemi che un’acqua eccessivamente inquinata
potrebbe creare: dalla stentata schiusa, alla scarsa crescita dei pesci, dal minore
sviluppo delle pinne alla minore resistenza verso le
malattie………..all’iperproliferazione delle antiestetiche alghe.
E’ quindi di estrema importanza che il nostro filtro funzioni alla perfezione e che
prima di procedere all’inserimento della maggioranza dei nostri ospiti, abbia
raggiunto un adeguato grado di maturazione.
Ciò si ottiene popolando gradualmente e fin da subito la vasca con un altissimo
numero di piante e solo due o tre pesciolini, preferibilmente pulitori di fondo
(possono sopportare equilibri precari dato che sono in grado di “respirare“ ossigeno
atmosferico) o mangia alghe, a cui verrà somministrato pochissimo mangime,
mantenendo così in equilibrio la sostanza organica presente in acqua; in altre parole i
pochi batteri presenti sulle piante (e che gradualmente colonizzeranno i substrati
creati ad-hoc nel filtro) saranno in grado di degradare la poca materia organica
presente. Tre sono i vantaggi di questo procedimento ”naturale”.
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Il primo come detto è l’inserimento delle piante (ovviamente vere) che apportano di
per se un cospicuo numero di batteri nitrificanti (infatti oltre che nel filtro essi
occupano tutte le superfici sommerse; il filtro serve solo ad aumentarne la
concentrazione) oltre ad essere le vere antagoniste delle alghe.
In più sono in grado fin da subito di assorbire l’azoto presente in acqua sotto forma
anche di composti tossici.
Il secondo è l’inserimento graduale di pochi pesci settimanalmente: saremo in grado
di dare al filtro il giusto tempo di maturazione per smaltire le sostanze di rifiuto di
una popolazione completa
Terzo, osservando l’evoluzione della vasca e controllandone i valori fisico-chimici
settimanalmente, potremo apportare i giusti correttivi (come ad esempio speciali
prodotti contenenti ceppi di batteri selezionati), senza mettere a repentaglio la vita
degli inquilini che vorremo ospitare nei nostri acquari, interrompendo l’inserimento
di pesci allorquando vi siano parametri inadatti.
In sintesi, passeranno da 1 a 3 mesi, prima di vedere nuotare la totalità delle specie da
noi prescelte.
E’ quindi assolutamente da scartare la vecchia concezione di lasciare girare a vuoto la
vasca per alcune settimane: ciò equivarrebbe a popolare immediatamente l’acquario
con tutte le creature che a noi interessano, creando inevitabili quanto pericolosi
squilibri.
Un efficace sistema di smaltimento delle scorie, deve considerare, come accennato
nel paragrafo dedicato al filtraggio, anche il volume che abbiamo a disposizione atto
a contenere i materiali filtranti: maggiore è il volume, più substrato batterico
possiamo utilizzare, maggiore è il quantitativo di acqua che potremo depurare.
Assicuriamoci quindi che lo spazio dedicato al filtro non sia inferiore al 10/15 %
della capacità del nostro acquario.
Un filtro maturo (4/6 mesi di attività) di dimensioni adeguatamente proporzionate alla
capacità totale della vasca, è in grado di garantirci una notevole tranquillità. Non
bisogna però dimenticare che in un acquario avvengono talmente tante interazioni,
alcune delle quali potenzialmente dannose, che anche in situazioni di assoluta
sicurezza e in vasche avviate da tempo, non dobbiamo mai abbassare la guardia,
cercando sempre di rimanere ben lontani dai limiti massimi consentiti di popolamento
e di carico organico.
E’ sufficiente anche l’introduzione di una piccola dose di medicinale o una
somministrazione eccessiva di mangime, per portare al tracollo un ecosistema fragile,
date le ridotte dimensioni, come un acquario.
Volevo inoltre ricordare che meno pesci abbiamo in vasca, più il “biosistema”
acquario è in grado di ammortizzare in modo naturale i nostri eventuali errori.
E’ quindi di fondamentale importanza considerare di popolare il nostro acquario, non
solo in relazione alla capacità complessiva della vasca, ma anche in base alle
dimensioni del filtro, tenendo sempre in mente il concetto che per quanto a noi un
acquario con pochi pesci possa sembrare spoglio, la densità in esso è infinitamente
superiore rispetto a quella che si può rilevare in natura.
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Utile suggerimento: per aiutare a velocizzare la maturazione e la stabilizzazione della
vasca, esistono in commercio utili prodotti che contengono batteri “amici”:
aggiungendoli regolarmente possiamo dare una grossa mano al filtro nel
metabolizzare e trasformare sostanze organiche nocive qualora siano prodotte in
eccesso.
Quindi nei primi 3 mesi la parola d’ordine è una sola: prudenza!
Le piante: indispensabili per la vita!
Come sulla terraferma, anche in acqua le piante non sono mero strumento decorativo,
bensì indispensabile elemento di equilibrio.
Estremamente gradita da parte dei Tetra una vasca densa di piante (non
dimentichiamo che provengono per lo più da zone pluviali soggette ad inondazioni
periodiche che creano una foresta sommersa), è quindi nostro preciso dovere ricreare
tali condizioni, sfruttando peraltro a livello estetico i magnifici accostamenti che le
piante acquatiche sono in grado di offrirci, come nei bellissimi paesaggi offerti dagli
acquari ZEN, in cui i Caracidi sovente sono protagonisti, essendo coloratissimi
quanto tranquilli ospiti.
Oltre a produrre ossigeno assimilando anidride carbonica tramite la fotosintesi
clorofilliana, le piante acquatiche esplicano un’attività di depurazione vera e propria,
essendo delle “spugne chimiche” che assorbono attraverso le radici e le foglie sali
minerali e oligoelementi per creare la loro struttura vivente.
La loro utilità è di fondamentale importanza dato che una delle loro prerogative è
l’assimilazione dell’azoto (N), sotto qualunque forma chimica esso si trovi:
praticamente le piante sono in grado di “consumare” la pericolosissima ammoniaca
(NH3) o i nitriti (NO2); da cui la loro irrinunciabile presenza in abbondanti quantità
in ogni acquario che si voglia far funzionare in modo equilibrato, ergo senza
problemi.
Come abbiamo detto durante la loro attività, espellono ossigeno, oltre che assimilare i
prodotti azotati di scarto dei pesci nonché altre sostanze indesiderate derivanti dal
metabolismo animale, come il fosforo.
Ma per fare in modo che le piante svolgano appieno il loro dovere di “depuratori”
naturali, bisogna creare le premesse adatte alla loro crescita, altrimenti possono
venire spodestate dalle indesiderate alghe, più rustiche e meno esigenti. A grandi
linee possiamo dire che queste ultime, appartenendo anch’esse al mondo vegetale, si
nutrono del medesimo “cibo”, riuscendo a sfruttare fonti di nutrimento che però in
talune situazioni alle piante sono negate. In ultima analisi possiamo
inequivocabilmente affermare che i migliori antialghe, sono proprio le piante
acquatiche che esplicano una pesante azione di concorrenza alimentare.
Vediamo quindi come ottenere in breve una sana crescita delle piante e parimenti un
arresto della crescita algale.
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Il fondo ha un’importanza fondamentale per il buon mantenimento e l’igiene della
vasca.
Tendenzialmente dovrebbe essere costituito da materiale fine (vedi “sistema sabbia”)
che impedisca a particelle grossolane di penetrare negli interstizi e produrre
inevitabili quanto indesiderati fenomeni di putrefazione. Come anticipato il colore
dovrebbe essere scuro o marrone, per esaltare la colorazione dei nostri Tetra.
Uno spessore idoneo all’attecchimento delle radici non dovrebbe essere inferiore ai
10 cm, con un lieve declino dalla parte posteriore a quella anteriore; questo produce 2
vantaggi: il primo di ordine squisitamente estetico, dà una maggiore sensazione di
spazio (inoltre sulla parte anteriore è meglio non mettere piante, se non a prato, che
oscurerebbero la vista; quindi necessita meno spessore); in secondo luogo una parte
bassa è catalizzatore di sporcizia. In altre parole bisogna sapere che le particelle di
sporco tendono a concentrarsi nei “buchi” cioè nei punti più fondi (provate a fare un
buco sul fondo e vedrete che in un paio di giorni sarà pieno di detriti); ora creando un
“buco” sul davanti, faremo in modo che la sporcizia si raduni ben in evidenza,
facilitando la sifonatura e la pulizia del fondale.
Negli ultimi tempi per migliorare la crescita dei vegetali in vasca, è diventato usuale
utilizzare un cavetto riscaldante sotto sabbia, allo scopo di mantenere una
temperatura costante anche nel sottosuolo, creando un effetto “falda freatica”
attraverso una lieve circolazione nel medesimo causata dallo spostamento verso la
superficie dell’acqua riscaldata.
A dire la verità e per esperienza personale, non sembra che tale stratagemma apporti
significativi miglioramenti allo sviluppo delle piante acquatiche, in considerazione
anche del fatto che detto strumento ha un costo non irrilevante.
Ma veniamo a parlare ora dell’elemento fondamentale per la crescita delle piante: il
carbonio.
Come tutti sapranno, il carbonio è la base della vita sulla terra. Tutti gli esseri viventi,
ovviamente in modo differente, ne sono legati.
Tanto per rimanere in argomento basta dire che il 50% della sostanza secca di una
pianta acquatica è costituita da carbonio, e sicuramente la via più facile di accesso a
questo indispensabile componente, per le piante è sicuramente l’anidride carbonica
(CO2). Con il loro preziosissimo laboratorio chimico, attraverso la sintesi clorofilliana
e utilizzando luce, acqua e CO2, le piante diventano creatrici di vita, organicando la
materia inorganica. Difatti al termine di questo lavoro, vengono prodotti gli zuccheri,
fonte di energia e alla base della vita sulla terra. E pensare che come scarto viene
prodotto ossigeno: un bel sistema di riciclaggio, non vi pare?
Ma come avviene tutto ciò?
In parole molto povere possiamo riassumere come segue quanto avviene all’interno
di una pianta.
Innanzi tutto bisogna dire che la formula chimica della molecola dello zucchero
(glucosio) è: C6H12O6.
Per ottenere ciò la pianta utilizza 6 molecole di anidride carbonica (CO2) e 6
molecole di acqua (H2O); da cui 6C+12O e 12H+6O. Semplificando quindi avremo:
6C+18O+12H.
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Praticamente C6H12O18: ma per lo zucchero c’è troppo ossigeno e così la pianta lascia
andare 12 atomi di ossigeno che si trasformano subito in 6 molecole di ossigeno puro:
O2.
In sintesi per ogni molecola di zucchero prodotto, verranno rilasciati 6 molecole di
ossigeno. Senza carbonio, e in particolare senza CO2, ciò non è possibile. A meno di
dispendiose strade alternative che però molte piante non sono in grado di fare (come
ad esempio strappare il carbonio legato ai bicarbonati, cioè la cosiddetta
decalcificazione biogena).
Da non dimenticare che in tale processo anche la luce giuoca un ruolo fondamentale:
solo se nella giusta intensità può essere sfruttata, altrimenti tutto si blocca.
Più precisamente possiamo affermare che, sebbene una scelta di banda luminosa
ottimale debba avere dei picchi nella luce blu e nella rossa (si ottengono facilmente
abbinando lampade a luce fredda e luce calda), si è evidenziato come i vegetali
riescano a sfruttare a loro favore anche bande luminose non proprio canoniche.
Troppo spesso si pensa che utilizzando una lampada fitostimolante (in teoria quindi la
più idonea) si possa risolvere il problema della crescita delle piante acquatiche:
sbagliatissimo! L’unica cosa che è fondamentale per una sana crescita, è l’intensità
luminosa, cioè la potenza emessa la cui unità di misura è il Lumen: ci può bastare
sapere che la potenza necessaria per far sì che la maggioranza delle piante possa
godere di una sana crescita è pari a 10/15 Lumens per litro: in un acquario da 100 L
netti, sono necessari quindi 1500 Lumens di potenza luminosa come limite minimo.
Altro errore grossolano che può commettere un neofita è quello di compensare la
minore intensità aumentando le ore di luce: un ottimo metodo per far crescere le
alghe!
In questo modo le piante sicuramente stenteranno (non hanno luce abbastanza potente
per attivare appieno la sintesi clorofilliana) limitando la loro assimilazione di sali
minerali, e lasciando la maggioranza dei nutrimenti a disposizione delle alghe, per le
quali invece una maggiore durata di luce è sicuramente vantaggiosa.
Riassumendo quindi le situazioni ideali per la coltivazione delle piante acquatiche,
possiamo affermare che occorre la giusta intensità luminosa, e un sufficiente apporto
di anidride carbonica, senza la quale le piante non potrebbero costruire i propri
tessuti.
L’ultimo elemento che occorre per ricreare la nostra “foresta sommersa”, sono i
nutrienti: essi devono contenere in particolare ferro, magnesio e potassio, oltre che
una moltitudine di altri oligoelementi che in questa sede mi sembra superfluo andare
ad elencare. Sappiate comunque che in commercio vi è un’ampia scelta di concimi,
tutti validi; importante è però scegliere solo prodotti esclusivamente creati per
acquariologia che non contengano quindi fosforo, azoto o altre sostanze inquinanti.
Anche il periodo di illuminazione è importante e a seconda di come è gestito, può
favorire o meno l’insorgere delle alghe. Una vasca con piante mediamente possiede 2
o 3 lampade, con cui si riesce ad ottenere una notevole potenza luminosa. Un buon
sistema per ottenere una giusta distribuzione delle ore di luce sarebbe quella di
timerizzare in maniera differente le lampade: una lampada dovrebbe rimanere accesa
dalle 7 alle 10 ore al giorno, mai di più; sarebbe solo uno spreco e un invito alla
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crescita delle alghe. Le altre funzionanti dalle 4 alle 7 ore. Ad esempio: lampada 1
dalle 12 alle 22; lampade 2 e 3 dalle 13 alle 20. Così facendo andremo a riprodurre la
parabola di intensità luminosa del sole: empiricamente se è vero che in natura
mediamente vi sono 12 ore di luce, è anche vero che esiste un alba e un tramonto,
dove la luce è insufficiente per garantire l’attività vegetale; diciamo a grandi linee che
la luce dell’alba (quindi non utilizzabile) duri 2 ore e altrettanto quella del tramonto:
se la matematica non è un’opinione avremo in realtà 8 ore di luce utile (difatti 12 -ore
di luce globale – 4 ore di luce inutilizzabile alba+tramonto = 8 )
In conclusione potremo quindi dire che per una sana e rigogliosa crescita vegetale
non è tanto importante la durata, quanto l’intensità e la potenza luminosa.
Per completare il discorso sulle piante, è doveroso spendere 2 parole sulla cosiddetta
legge del minimo.
In parole povere essa afferma che le piante assorbono i loro nutrienti in modo
proporzionale e in concentrazioni differenti, ma è sufficiente che anche un solo
elemento sia presente in forma insufficiente da bloccare l’assimilazione anche delle
altre sostanze.
In estrema sintesi possiamo evidenziare questo concetto con una semplice equazione:
+luce (intensità, ovviamente) = +CO2+sali minerali (ferro, potassio, ma anche
elementi indesiderati come sostanze azotate e fosforo) e meno nutrienti per le alghe.
Viceversa con meno luce ridurremo l’assimilazione e il fabbisogno degli altri
nutrienti.
Pertanto per ottenere un equilibrio ottimale occorre fornire in maniera adeguata detti
nutrimenti: è inutile aumentare la potenza luminosa senza CO2, o aumentare le CO2
senza aumentare la luce o la concimazione, in quanto il nutriente fornito in surplus
rimarrà inutilizzato, dalle piante, ma a completa disposizione delle alghe.
Siamo così giunti alla conclusione che per ottenere una sana e rigogliosa crescita
delle piante acquatiche, cioè per farle “carburare” al massimo rendendole degli
“antialghe” naturali, è indispensabile fornire in modo equilibrato tutti gli elementi di
cui abbisognano.
Infine 2 parole sulle varie specie di piante acquatiche più adatte a chi per primo si
affaccia sul meraviglioso hobby dell’acquariofilia.
Sicuramente le più robuste sono Anubias e Microsorium (adatte addirittura per
acquari salmastri); praticamente indistruttibili hanno però un grosso difetto: dalla
crescita molto lenta, sono pessime “antialghe”; resistono laddove altre piante
avrebbero solo pochi giorni di vita (ad esempio in vasche con poca luce), ma proprio
perché hanno metabolismo ridotto abbisognano pochi nutrienti, lasciandoli liberi in
vasca e a disposizione della alghe. Troppo spesso si vedono acquari con queste piante
letteralmente infestati.
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Anubias: pianta indistruttibile ma inutile come stabilizzatore biologico.
Le Cryptocoryne , anch’esse molto adattabili e robuste, non sopportano sbalzi di
valori o spostamenti: possono in questi casi perdere le foglie che, però, ricrescono nel
giro di qualche settimana.
Gli Echinodorus si posizionano a metà strada tra piante a crescita lenta e quelle a
crescita veloce. Da menzionare E. tenellus, insostituibile piantina per ricreare tappeti
erbosi.
Ottimi antialghe invece sono Bacopa, Cabomba, Ceratophyllum, Ceratopteris,
Elodea, Gymnocoronis, Heteranthera, Hygrophila, Limnophila, Ludwigia,
Miriophylum, Sagittaria, Trichocoronis, Vallisneria e tutte quelle piante a crescita
veloce: ciò significa che sottraggono all’acqua notevoli quantità di nutrienti, facendo
fare vita difficile alle alghe. Inutile dire che per fare in modo che ciò avvenga, i
suddetti vegetali abbisognano di luce, CO2 e sali minerali nelle giuste quantità.
Ceratophyllum e Limnophila: 2 specie a crescita veloce utilissime nello stabilizzare l’ecosistema.
Ultimo consiglio: evitiamo le piante rosse; esteticamente appariscenti, necessitano
cure che è meglio lasciare agli acquariofili più esperti; sempre per rimanere su specie
da evitare, generi come Spatiphyllum, Hemigraphis, Fittonia e Dracaena, sono da
annoverare tra le piante palustri: coltivate totalmente sommerse durano al massimo
qualche mese.
A conclusione di questo paragrafo dedicato alle piante, volutamente lungo e
particolareggiato dato che la loro abbondante presenza la ritengo essere
un’irrinunciabile prerogativa per il benessere dei Tetra, volevo ricordare a tutti che
seguendo i suggerimenti della legge del minimo, seguendo i suggerimenti della
parabola di intensità luminosa e inserendo le specie di vegetali sopra elencati, può
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risultare anche al meno esperto poter ottenere un affascinante giardino subacqueo, a
mio avviso indispensabile per mantenere un sano equilibrio biologico in un acquario
dedicato ai Tetra.
SCHEDA DI SINTESI 1
Ricordiamo che i valori di importanza vitale per la sopravvivenza dei pesci, sono, in ordine di
importanza:
1. Sostanze azotate, in particolare NH3 (ammoniaca) e NO2 (nitriti) in quanto velenosissimi e in
grado, a concentrazioni elevate, di uccidere in poche ore i pesci. Per quanto riguarda gli NO3
(nitrati) producono danni a concentrazioni elevate in particolare nei pesci giovani in fase di
crescita e nello sviluppo delle pinne.
2. La durezza, cioè l’insieme dei sali minerali disciolti che producono una costante pressione
osmotica sulle cellule; variazioni improvvise di durezza, indeboliscono notevolmente i pesci e
in quelli giovani possono provocare la morte, dato che non sono in grado di sopportare lo shock
osmotico.
3. Il pH. Fra i valori di importanza vitale è forse quello che influisce meno sul benessere dei pesci,
in particolare nel breve periodo, sebbene sbalzi repentini di questo parametro possano uccidere
gli animali.
SCHEDA DI SINTESI 2
Una breve sintesi sulla relazione pH-KH-CO2:
Più il KH è elevato, maggiore sarà la quantità di CO2 immessa per raggiungere un determinato
valore pH.
Viceversa, minore è il valore KH, minore è la quantità di CO2 da immettere per raggiungere un
determinato valore di pH.
La concentrazione ottimale di CO2 è generalmente compresa tra i 15 e i 20 mg/L.
Da ricordare che con KH inferiori a 2, ci sono possibilità di un crollo del pH verso valori acidi
letali.
SCHEDA DI SINTESI 3
Di seguito una breve suddivisione delle piante in base alla loro crescita e quindi alle loro
potenzialità di limitare la crescita delle alghe:
• Piante a crescita rapida galleggianti, ottime antialghe: Lemna minor, Pistia stratiotes, Riccia
fluitans, Ceratopteris thalictroides. In generale tutte le piante galleggianti.
• Piante a crescita rapida, ottime antialghe: Ceratophyllum, Egeria, Hygrophyla polysperma,
Limnophila sessiliflora, Gymnocoronis, Trichocoronis, Ludwigia, Rotala rotundifolia,
Heteranthera zosterifolia, Vallisneria. • Piante a crescita lenta molto robuste, in grado di sopportare valori biochimici estremi e
situazioni ambientali negative (luce, concimi, CO2) : Anubias, Microsorium.
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SCHEDA DI SINTESI 4
Per inserire i pesci in acquario, oltre a limitare il n° di 3/6 esemplari a settimana ( in relazione alla
capacità della vasca) conviene inserire in primo luogo i mangia alghe; la settimana successiva i
pulitori di fondo, dalla terza settimana in poi, verificato che i parametri biochimici siano ottimali e
che i pesci già presenti siano in ottima salute, inserire gli altri coinquilini, sempre in ragione di
piccoli gruppi, fino a raggiungere la popolazione definitiva, che non dovrebbe superare, nel caso di
piccoli pesci, un esemplare ogni 2/4 L di acqua, abbandonando definitivamente la regola ormai
obsoleta di 1 cm di pesce per L.
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CAP 3: La corretta gestione
Tetra pesci facili.
La maggior parte dei pesci fino ad ora menzionati, ha esigenze simili: essendosi
sviluppati su aree dove scorrono grandi fiumi che attraversano foreste come il Rio
delle Amazzoni in Sud America e, specularmente (come analizzato in precedenza) in
Africa il fiume Congo, l’habitat ideale per i Caracidi sarà costituito da una vasca
abbastanza capiente (proporzionalmente alle dimensioni della specie) con acqua
tenera e pH lievemente acido. Indispensabile una copertura vegetale ricca ma che al
contempo lasci spazio libero per il nuoto. Una temperatura compresa tra i 22 e i 26
gradi soddisfa le esigenze generiche di una vasca di comunità, anche se dobbiamo
ricordare che, provenendo da zone fluviali spesso estremamente diverse, sono criteri
di mantenimento che non tengono conto delle peculiarità specifiche: cosa questa
fondamentale qualora volessimo cimentarci nella riproduzione.
Pesci sostanzialmente robusti e facilmente adattabili alle più disparate situazione
ambientali e di valori biochimici, sono però estremamente sensibili al deterioramento
dell’acqua e alle carenze di ossigeno; sarà pertanto compito dell’acquariofilo
premurarsi di fornire loro un ambiente sano (attraverso la cura del filtro e cambi
parziali di acqua) dove questi animali saranno sicuramente in grado di vivere diversi
anni (mediamente 3, 4 e anche più anni) regalando tante soddisfazioni a chi li alleva.
L’inserimento dei Tetra e la manutenzione.
Come inserire i nostri pesci?
Il primo passo che dobbiamo fare per popolare il nostro acquario è, ovviamente,
riempirlo di acqua. Come detto nell’effettuare questa operazione dobbiamo tenere
presente quali siano le esigenze di parametri biochimici che i nostri Tetra
abbisognano: temperatura intorno ai 24°C; pH intorno al 6.5 e GH intorno a 10 sono
in linea di principio i valori ottimali. Fortunatamente i pesci che troviamo oggi in
commercio sono per lo più di allevamento e in grado di vivere bene anche con valori
decisamente diversi.
Volevo di seguito aprire una breve parentesi riguardo i misuratori in commercio.
Ne esistono principalmente di due tipi: liquidi o a strisce colorimetriche. A seconda
delle esigenze sono da preferire gli uni rispetto alle altre. Decisamente più precisi i
liquidi: funzionano a viraggio di colore. Le strisce sono invece di estrema praticità,
ma hanno una scala con maggior intervallo.
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Sono reperibili misuratori in grado di soddisfare tutte le nostre esigenze di
conoscenza dell’acqua: dal pH al GH, dai fosfati al calcio, dall’ammoniaca ai nitrati,
dalla CO2 all’ossigeno………..
Chiusa parentesi.
Una volta inserita l’acqua e portata a temperatura, sarebbe buona norma arredare la
vasca con un cospicuo numero di piante vive, che apporteranno un considerevole
numero di batteri e microrganismi; a loro volta essi colonizzeranno il filtro, rendendo
possibile la vita all'interno dell'acquario.
Sarà ora nostra premura verificare che i valori delle sostanze azotate (in particolare i
pericolosi Nitriti NO2) siano nella norma.
Qualora il risultato di questa verifica sia negativo, è possibile intraprendere due strade
per ovviare alla presenza dei Nitriti: la prima, naturale, consiste dell’avere pazienza e
aspettare che i batteri presenti sulle piante attecchiscano e comincino ad ossidare gli
NO2; la seconda, più rapida, invece è quella di utilizzare degli appositi prodotti in
commercio contenenti in forma inattivata questi batteri “buoni”; una volta messi in
acquario, svolgeranno da subito la loro utile quanto indispensabile attività.
Accertata l’assenza di sostanze inquinanti, si partirà con l’inserire 3 o 4 pulitori e una
volta constatato il loro ambientamento, sarà possibile procedere all’inserimento dei
nostri Caracidi. Nei negozi specializzati potremo trovare un numero pressoché
infinito di generi e specie, da poter soddisfare anche l’appassionato più raffinato ed
esigente. Prima però di tuffarci nel loro acquisto, dobbiamo farci guidare da un
minimo di esame esteriore, onde evitare di incappare in animali dalle precarie
condizioni di salute. Sarà quindi opportuno soffermarsi qualche minuto ad osservare i
pesci destinai alla nostra vaca. Essi devono presentare un nuoto veloce, nuotare in
branco, presentare colori vivaci; inoltre sul corpo e sulle pinne non dovremo notare
chiazze o sfrangiature, segno inequivocabile della presenza di una patologia: nessun
pesce di quella vasca dovrà mai giungere presso di noi, potrebbe infettare il nostro
acquario.
Una volta che i futuri ospiti abbiano rispettato questi primari parametri di qualità, sta
ora a noi cercare di dare loro il massimo benessere.
In primo luogo non bisogna mai dimenticare che i Tetra sono pesci che vivono in
natura anche in folti sciami, perciò acquistarne un gruppo di almeno 5/8 esemplari si
rende indispensabile.
I nostri amici una volta catturati dalla vasca del negoziante, vengono inseriti in
sacchetti di plastica entro i quali possono, a seconda del numero, resistere per qualche
ora; minore è però il tempo di trasferimento, minore è lo stress accumulato: evitiamo
quindi dia andare a fare shopping con i nostri Tetra in borsa.
Bene, ed ora accingiamoci a fare il grande passo: liberare i nostri pesci nel nostro
acquario!!!
Il sistema è abbastanza semplice: si lascia galleggiare il sacchetto chiuso dentro
l’acquario per un quarto d’ora circa, tempo necessario affinché l’acqua nel sacchetto
raggiunga la temperatura della vasca.
La seconda operazione è rappresentata dall’acclimatazione vera e propria: una volta
aperto il sacchetto, lo si riempie gradualmente con l’acqua di destinazione, magari
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con l’ausilio di una tazza; ad intervalli regolari (2/3 minuti) si versa una tazza
all’interno del sacchetto fino a che non abbiamo raddoppiato la quantità di acqua
all’interno di esso.
Si preleverà il sacchetto e lo si svuoterà in un recipiente. Ora cattureremo con un
apposito retino i nostri pesciolini per rilasciarli velocemente in vasca.
Terminata l’operazione getteremo l’acqua residua: per nessuna ragione l’acqua del
sacchetto dovrà terminare nel nostro acquario. La ragione di questo consta in due
validi motivi: il primo e che facilmente avrà parametri biochimici diversi; la seconda
ragione, ben più importante, è che in quest’acqua potrebbero esservi spore patogene
latenti, decisamente da evitare.
Se tutto procede bene e non abbiamo segni evidenti di squilibri o malattie, una decina
di giorni dopo potremo effettuare un nuovo acquisto, fino a raggiungere una densità
di popolazione che in un acquario medio, intorno agli 80 litri, si aggirerà intorno ai 30
esemplari di piccole dimensioni.
Le compatibilità.
Sostanzialmente di indole pacifica, eccetto in alcuni sporadici casi più dovuti a errori
umani che a caratteri esuberanti specifici, i Tetra possono essere facilmente
accompagnati ad altri pesci dalle dimensioni adeguate, ovviamente pacifici e che ne
condividano l’habitat.
E’ovvio che in un acquario dedicato ai Tetra è possibile inserire pesci di altri generi
osservando però la buona regola di informarsi a priori sulle esigenze ambientali e le
peculiarità comportamentali dei coinquilini della vasca.
Inutile dire che pesci dalle cospicue differenze di taglia o dal carattere troppo
aggressivo, non possono (ma soprattutto non devono) essere compagni ideali dei
nostri Caracidi.
Ecco allora una breve carrellata sulle specie più idonee che possano accompagnare
nei loro guizzi i protagonisti di questo libro:
Per quanto riguarda i Ciclidi, sono ottimali i cosiddetti “Ciclidi nani” sia
Sudamenricani che dell’Africa Occidentale. Vivono nelle stesse acque, hanno
medesime esigenze alimentare. Esemplari eccessivamente grandi potrebbero,
comunque, divenire un pericolo per giovani Tetra. Osservare la sana vecchia regola
di non associare mai pesci grandi con pesci piccoli.
Tutti generi menzionati di seguito non raggiungono i 10 cm di lunghezza, eccezion
fatta per gli Perophyllum scalare.
Del genere Apistogramma le specie più comuni sono: Agassizi
Borelli
Cacatuoides
Njisseni
Di seguito altre specie pacifiche di piccoli Cilcidi Sudamericani, ottimali compagni di
vasca:
Crenicara filamentosa
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Laetacara curviceps
“ dorsigera
Nannacara anomala
Mikrogeophagus ramirezi
Un bel soggetto di Apistogramma cacatuoides
Importante se si vogliono tenere questi piccoli pesci, non inserire un folto gruppo di
Tetra: la loro voracità ed ingordigia non permetterebbe ai piccoli Ciclidi una corretta
assunzione di cibo. Ciò vale per i Discus: se attorniati da un eccessivo numero di
pesci, subiscono un continuo stress da competizione alimentare.
Discorso a parte invece per piccoli Ciclidi dell’Africa occidentale (dove nel bacino
congoniano condividono gli ambienti dei Caracidi africani) come Pelvicachromis e
Nanochromis, molto più rustici e robusti. I Ciclidi dell’Africa orientale invece sono
estremamente aggressivi e abbisognano acqua dai valori chimici diametralmente
opposti a quelli ottimali per i Tetra.
Pelvicachromis taeniatus
Relativamente alla convivenza con Scalari e Discus, bisogna aprire una piccola
parentesi.
Con i primi, si possono creare situazioni di convivenza diametralmente opposti, nel
senso che dipende dall’ambiente e dal numero di esemplari di questo Ciclide presenti
in vasca la buona o cattiva convivenza con i piccoli Tetra.
I fattori positivi che possono portare Tetra e Scalari a popolare la medesima vasca,
dipendono in larga parte da come vengono gestiti questi ultimi.
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Innanzi tutto non devono mai essere acquistati in coppia o peggio singoli; in primo
luogo perché inserendone 2 a caso non siamo sicuri di avere una coppia formata
(ottimale situazione per gli Scalari): in questi casi uno dei due sicuramente sarà
dominante e tenderà ad aggredire e scacciare costantemente il suo pari, impedendogli
addirittura di nutrirsi adeguatamente e portandolo, nel lungo periodo ad un
indebolimento talmente profondo da poter sfociare nel decesso. Lo Scalare singolo,
tenderà a diventare molto grande e padrone della vasca, dove non avendo altri simili
con cui avere “discussioni”, se la prenderà con il primo pesce che gli capiterà a tiro,
magari un piccolo Neon, con le disastrose conseguenze che facilmente si possono
immaginare.
Inserendo invece gli Scalari in gruppo (almeno 5 esemplari), sebbene anche in questo
caso si formi un dominante, non riuscirà mai a tenere sottomessi
contemporaneamente gli altri conspecifici, che comunque saranno in grado di
accrescersi normalmente e non di rado opporre resistenza per non dire
prevaricazione. Inoltre l’aggressività degli Scalari è prettamente intraspecifica e viene
rivolta verso altre specie qualora non esistano altri membri della stessa razza.
Creare una situazione positiva è inoltre possibile attraverso l’inserimento di piccoli
Scalari che si accrescano attorniati da Tetra: essi considereranno i piccoli pesci come
parte dell’ambiente ove sono cresciuti e non come possibili spuntini.
Altro fattore determinante è l’ambiente: inutile dire che un acquario ricco di
vegetazione e nascondigli permetterà ai Caracidi di ripararsi da eventuali attacchi,
anche solo a livello conoscitivo (nel senso che i pesci non hanno mani e l’unico modo
che hanno di toccare altre creature acquatiche è la bocca); un volta capito che gli altri
pesci non sono facilmente commestibili, verranno ignorati dai Cilcidi.
Viceversa, l’inserimento di piccoli Tetra in una vasca spoglia e popolata da Scalari, è
sconsigliabile, dato che ad un primo impatto i Caracidi subiranno sicuramente le
attenzioni dei loro coinquilini e si troveranno sovente in mal partita.
Gli stessi esempi sopra menzionati, sono validi anche per i Discus, con la
considerazione però che è preferibile evitare di accompagnarli a specie di Caracidi di
acqua temperata (come i Neon), dato che questi grossi Ciclidi abbisognano di acque
costantemente superiori ai 27°C; essendo i pesci animali a sangue freddo, ciò
provocherebbe un accelerazione del metabolismo in questi Tetra, portandoli ad un
invecchiamento precoce e ad un indebolimento generalizzato: in sintesi avrebbero
una vita più breve. Compagni ideali invece sarebbero i Cardinali che vivono
tranquillamente a temperature costantemente superiori ai 25°C.
Passando ad altri generi, è sicuramente fra i Ciprinidi dove ritroviamo la maggioranza
dei compagni ideali di vasca:
Barbus
Brachydanio
Rasbora
Tanictis
Tutti di piccole dimensioni e prettamente di gruppo, occupano le medesime nicchie
ecologiche dei Caracidi, ma nel continente Eurasiatico.
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Puntius pentazona C. siamensi Rasbora hengeli
Una menzione a parte per il Ciprinide Crossocheilus (ex Epalzeorhynchos)
siamensis: impareggiabile mangiatore di alghe filamentose, è indispensabile qualora
si desideri avere una vasca totalmente priva di questi antiestetici vegetali. Per una
lotta efficace sono indispensabili almeno 2 esemplari ogni 50 L di capienza.
In Australia troviamo invece come pesci di gruppo e dallo stesso carattere dei Tetra i
Melanotaenidi, che preferiscono però acque più dure, sebbene possano essere
abituati a condizioni diverse.
I più comuni rappresentanti sono:
Melanotaenia boesemani
Melanotaenia lacustris
Melanotaenia praecox
Melanotaenia lacustris
Per la categoria pulitori possiamo inserire senza pericolo tutti i rappresentanti della
famiglia Loricaridi:
Ancistrus
Otocinclus
Plecostomus, sono sicuramente i più conosciuti.
Corydoras arcuatus Glyptoperichthys gibbiceps
Stesso discorso vale per i Callichthyidi: i buffi Corydoras sono da tutti
unanimemente riconosciuti come pulitori di fondo. Un consiglio per mantenerli in
buona salute è quello però di non considerarli meri aspirapolvere, bensì animali che
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hanno sviluppato un apparato boccale atto ad assumere nutrimento dai fondali. Se è
vero che consumano eventuali resti di mangime, è altrettanto vero che per svolgere
appieno questa utilissima funzione, devono essere in buona salute, ergo nutrimento
abbondante; esso è costituito dalla somministrazione di apposite compresse di fondo
che ne facilitano il nutrimento, altrimenti ridotto data la presenza di altri coinquilini,
che consumano la maggior parte del mangime, come è giusto che sia, prima che
questo raggiunga il fondo e pervenga alla portata dei barbigli dei Corydoras.
Se vengono sottovalutate le loro esigenze alimentari e di vita di gruppo, capita
sovente che questi simpatici animaletti muoiano d’inedia.
I Belontiidi (cioè gli Anabantidi o se preferite Labirintidi): in particolare le specie
Colisa lalia
Colisa chuna
Colisa fasciata
Betta splendens
e il Pesce Combattente Betta splendens; da inserire in coppie e dei quali non è
difficile ottenere la riproduzione.
Vi sono poi i pesci d’acquario per eccellenza: i famosissimi Poecillidi, i pesci
ovovivipari.
Lebistes
Platy
Xiphophorus e Molly ( cioè le infinite varietà di Poecilia velifera e sphenops) ne
sono i maggiori rappresentanti. Da allevare a coppie, sono estremamente robusti ed
adattabili, anche se ultimamente in commercio esistono animali molto debilitati
geneticamente a causa dell’allevamento industriale spesso in acqua salmastra e
soggetti alle più disparate patologie.
Poecilia endler
Animali invece nati in Italia, sono da preferire. Cerchiamo quindi amici o conoscenti,
anche attraverso le varie associazioni sul territorio nazionale, che possano regalarci o
venderci qualche poecilide made in Italy. Ultimamente non è raro trovare negozi che
abbiano a disposizione animali “nosrani”.
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Per quanto riguada i Ciprinodontidi, detti anche Killi fish, sono animali dai
bellissimi colori, quasi dipinti con acquarello e per questo attraggono facilmente gli
acquirenti; conviene rivolgersi verso specie di piccole dimensioni, dato che sono
avidi micropredatori: specie più grandi potrebbero diventare pericolose.
Mi sento pertanto di consigliere alcune specie di non difficile reperimento e dagli
sfavillanti colori:
Aphyosemion australe
Aphyosemion bivittatum
Epiplatys dageti
Epiplatys annulatus (graziosissimo, piccolo e molto delicato).
Evitiamo invece gli esemplari delle specie di Ciprinodontidi che raggiungono
maggiori dimensioni dato che sono potenzialmente pericolose, come ad esempio il
comunissimo Aphyosemion gardneri.
Aphyosemion bivittatum
Sono stati fin qui riportati generi e specie di più comune accesso nei negozi di
acquariofilia, sebbene spesso ci si possa imbattere i pesci particolari e
commercialmente poco conosciuti, che comunque, informandosi prevntivamente,
possono diventare ottimi compagni di vasca dei nostri piccoli amici.
Cionondimeno il buon senso ci può guidare nella scelta di compagni di vasca diversi
da quelli fin qui riportati.
Un buon testo generale da cui poter attingere informazioni sulle esigenze biologiche,
taglia e aggressività di pesci che volessimo inserire come compagni di vasca per i
nostri Tetra, ci potrà dare le giuste indicazioni nell’effettuare le nostre scelte,
tenendo sempre presente il vecchio detto “pesce grosso mangia pesce piccolo” dato
che per quanto pacifico posa essere il pesce grosso, qualora si presentasse l’occasione
di una facile merenda, non se la lascerebbe sicuramente scappare: la scelta migliore è
sempre e comunque l’associazione di specie della medesima taglia.
La manutenzione.
Una volta inseriti i nostri ospiti, controllato che le parti tecniche funzionino a pieno
regime e che i valori biochimici dell’acqua siano quelli ottimali per il benessere dei
Tetra, possiamo tirare un sospiro di sollievo e pensare che ormai la strada che ci si
presenta sia del tutto in discesa. Difatti la parte più difficile da affrontare, è proprio
nei primi mesi, quando ancora l’equilibrio biologico è traballante e non del tutto
formato. Superati quindi i primi 3/6 mesi, saremo sicuri che, a meno di grossolani
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errori di gestione, tutto quello che avremo sotto i nostri occhi si potrà ammirare per
un lunghissimo periodo di tempo: l’acquario infatti è come una casa che una volta
costruita non può essere più rimossa.
Per ottenere ciò, è però indispensabile un limitatissimo, quanto necessario intervento
umano. L’acquario è da vedere come un essere vivente che consuma materia e
produce scarti. Sono infatti queste sostanze di scarto, che se non opportunamente
eliminate, conducono bene presto ad ottenere una brodaglia antiestetica. In natura
infatti esistono costanti ricicli dati da acqua nuova tramite l’apporto di falde oppure
durante la stagione delle piogge con vere e proprie inondazioni.
Ebbene, è proprio imitando la natura nei suoi fenomeni, che ne possiamo ritrarre la
bellezza entro le pareti di casa.
Il cambio parziale bimensile.
Si rende quindi assolutamente fondamentale il cambio periodico.
Durante questa operazione è opportuno utilizzare il cosiddetto biocondizionatore, un
particolare prodotto in grado di eliminare il cloro e di “invecchiare” l’acqua
proveniente dalle nostre tubature, rendendola così meno “aggressiva” nei confronti
del muco protettivo che riveste l’epidermide dei pesci; questo particolare prodotto è
in grado anche di svolgere l’utile funzione di legare i metalli pesanti che spesso si
rinvengono nelle condotte tropo vecchie o, viceversa, in quelle di nuovissima
fabbricazione.
In base alla mia esperienza, posso assolutamente affermare senza ombra di dubbio
che un cambio regolare di circa 1/3 della capacità della vasca effettuato ogni 15
giorni ci permette di mantenere costante l’equilibrio biologico.
In tale modo si eliminano tutte quelle sostanze che derivano dal metabolismo animale
e che interferirebbero pesantemente sull’ecosistema. Il cambio è anche un passo
fondamentale nella continua battaglia contro le alghe, che non dimentichiamo essere
sempre presente (sebbene in taluni acquari quasi inesistenti) nella nostra vasca: sta a
noi fornire un ambiente inadatto alla loro crescita, ad esempio creando i presupposti
di una rigogliosa crescita vegetale.
Abbiamo quindi detto che il cambio di 1/3 bimensile è l’asso nella manica per
mantenere stabile l’ambiente per lunghissimi periodi (potrei anche dire per sempre,
dato che ho vasche che funzionano così da oltre 10 anni!!!!!!).
La sifonatura.
Oltre al cambio parziale è sicuramente la sifonatura del fondo è l’altra carta vincente
per un’igiene sana e duratura: foglie morte, mangime, escrementi, cadono
inevitabilmente sul fondo e benché una parte venga trascinata via dalla corrente e
convogliata nel filtro, migliaia di particelle si insediamo negli interstizi della ghiaia,
producendo ben presto uno strato di fanghiglia ove pullulano funghi, batteri e
protozoi.
Sebbene molti di questi ultimi sino del tutto innocui, viceversa talune specie trovano
proprio in questi substrati putrescenti, una casa provvisoria; una volta raggiunto un
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numero sufficiente e un’alta densità, non esitano ad attaccare la materia vivente, cioè
i nostri guizzanti pesciolini.
Per eliminare questi indesiderati ospiti, o meglio per contenerne il numero, si rende
indispensabile la suddetta operazione.
Vi sono 2 principali sistemi per mantenere il fondo pulito.
Il primo è quello di utilizzare gli appositi aspira-rifiuti che si possono ritrovare in
commercio, costituiti da un tubo di plastica inserito in un cilindro di plexiglass. (foto)
Una volta adescato di acqua (stile travaso del vino per intenderci) porremo l’estremità
del tubo entro un secchio ove scaricherà l’acqua sporca; il cilindro invece verrà
inserito nel fondo, dove il flusso di acqua di scarico aspirerà solo le particelle di
sporco, più leggere, e non la ghiaia, più pesante.
L’altro sistema è invece quello di utilizzare un semplice tubo di gomma e svuotare
nel secchio acqua e sabbia; sabbia che verrà aspirata dalla parte anteriori della vasca
o nei punti ove lo sporco si accumuli e risulti particolarmente visibile.
Ora non ci resa che sciacquare abbondantemente il contento del secchio fino a che
tutto lo sporco presente sia eliminato. A fine operazione non faremo altro che
reinserire la ghiaia aspirata, sul retro della vasca.
Quest’ultimo sistema, che è quello che utilizzo personalmente, ci permette di ottenere
innumerevoli vantaggi.
Il primo è quello di mantenere il cosiddetto “buco cattura sporco” in posizione
anteriore.
Di mantenere l’effetto estetico dato dalla parte posteriore più alta.
Di evitare l’eccessiva penetrazione della sporcizia nel fondale.
Ottenere una continua rotazione della sabbia, mantenendola pressoché pulita nel
corso del tempo.
Ora una domanda nasce spontanea: “……si ma la sabbia sul davanti, prima o poi
finisce, no?…….”.
La risposta è che grazie al continuo movimento dell’acqua, alla lieve pendenza e
all’opera delle creature del fondale come lumache o pesci pulitori, ben presto il
dislivello si ridurrà; sabbia nuova andrà ad occupare lo spazio da noi liberato, e
qualora noi interrompessimo la nostra operazione di pulizia, in breve tempo il fondo
sarà livellato, impedendoci di concentrare lo sporco in una posizione comoda.
Chi utilizza il cosiddetto “Sistema Sabbia” può esimersi dall’effettuare le operazioni
di sifonatura: questo sistema prevede infatti sabbia finissima e la presenza di diversi
esemplari del genere Corydoras che con la loro azione filtrante lasceranno la sabbia
priva di sedimento. Per ogni approfondimento invito a leggere il relativo articolo sul
mio Blog.
Un’ulteriore operazione di pulizia è il rimuovere le alghe dai vetri.
Premesso che le alghe sono del tutto innocue a i pesci per non dire utili, non da
ultimo sotto il profilo alimentare, è bene periodicamente rimuovere la patina che si
può formare in particolare sul vetro anteriore. In considerazione di quanto espresso,
va sottolineato che qualora il vetro posteriore o altri vetri esclusi dalla visuale ne
fossero incrostati, evitando di eliminarle faremmo un favore ai nostri pesci, dato che
spesso vi trovano sostanze alimentari alternative.
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Evitiamo di usare corpi abrasivi che righerebbero irrimediabilmente i vetri.
In commercio esistono apposite calamite e pratici raschietti che svolgono
egregiamente questo compito.
Il retino, di dimensioni adeguate in relazione alla grandezza e conformazione della
vasca, si rivela strumento indispensabile nello svolgimento di svariate operazioni,
dato che meno si mettono le mani in acqua e meglio è. Recuperare una foglia morta o
detriti, piuttosto che catturare dei pesci o……..haimè……..recuperare dei cadaveri, ci
fanno capire che esso sarà sempre un compagno di lavoro.
La cosa importante comunque è sapere che entrare in un retino per i pesci non è
un’esperienza piacevole; ogni qualvolta che vengono a contatto con le maglie,
subiscono piccolissime microabrasioni e lacerazioni della mucosa, molto pericolose
dato che in questo modo viene indebolita la barriera protettiva verso i microrganismi
patogeni.
I controlli periodici
Quando si effettuano i cambi parziali, è buona norma un piccolo controllo degli
elementi tecnici, verificando che gli strumenti funzionino a pieno regime. In
particolare ogni 4/6 mesi sarebbe auspicabile un lavaggio delle parti meccaniche della
pompa centrifuga; le colonie di batteri che si accumulano sulla bobina magnetica e
sulla girante, a lungo andare possono bloccare il meccanismo di rotazione, fermando
il flusso dell’acqua. Se dovesse accadere in nostra assenza, ad esempio mentre siamo
in vacanza, le conseguenze potrebbero essere devastanti; sempre in tema di vacanza,
se in acquario abbiamo un cospicuo numero di esemplari e se il periodo della nostra
assenza è superiore alle due settimane, è conveniente l’utilizzo di mangiatoie
automatiche; pratiche e dalle piccole dimensioni, è buona norma sperimentarne
l’utilizzo alcune settimane prima di partire: è possibile così evidenziare eventuali
difetti di funzionamento e calibrare la giusta quantità di mangime da somministrare,
quotidianamente, in nostra assenza. Queste apparecchiature inoltre possono essere di
aiuto qualora impegni di lavoro ci impediscano una corretta alimentazione degli
animali.
Altra operazione fondamentale si rivela il controllo dei prefiltri. Soggetti ad
intasamenti vari causati dalle particelle che trattengono, devono essere puliti o
cambiati ogni qualvolta lo sporco trattenuto impedisca un corretto scorrimento
dell’acqua.
Il parco luci, inteso come tubi fluorescenti, andrebbe sostituito ogni 8 mesi circa, dato
che con l’andare del tempo, viene persa potenza luminosa e banda di colore.
Lampade troppo vecchie inoltre favorirebbero la crescita delle alghe.
Oggigiorno con i Led questa operazione risulta superflua poiché hanno una durata di
svariati anni prima di perdere funzionalità.
I controlli sulle parti elettriche devono essere sempre effettuati a spina disinserita.
Come anticipato precedentemente la qualità dell’acqua giuoca un ruolo
fondamentale. Bisogna quindi avere sempre sotto controllo i parametri biochimici
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attraverso i test periodici, in teoria mensili, ma che a seconda delle esigenze possono
assumere maggiore frequenza.
Importante durante i cambi parziali avere dell’acqua possibilmente uguale a quella
della vasca, utilizzando in particolare gli appositi biocondizionatori che legano i
metalli pesanti ed eliminano il cloro nonché l’acqua ad osmosi per mantenere il
giusto grado di durezza. Evitiamo i prodotti che agiscono sul pH, meri palliativi e a
volte se male utilizzati decisamente nocivi. Molto meglio utilizzare in vasca la torba
nel filtro o la CO2, dato che se anche vi fossero lievi differenze fra il pH dell’acqua
nuova e quello della vasca, esso verrà subito modificato nei valori desiderati.
Essendo i pesci animali a sangue freddo, anche la temperatura dovrà essere
sostanzialmente uguale a quella che si ha in acquario. Gli sbalzi repentini rendono i
pesci più soggetti alle patologie.
Non dimentichiamo mai che il mondo dell’acquario, essendo costituito da organismi
viventi, è un mondo dinamico, entro il quale avvengono continue interazioni fra gli
esseri viventi che lo popolano e l’elemento entro il quale nuotano: l’acqua.
Acqua che vuole dire anche sali minerali, molecole e atomi, che a loro volta
interagiscono con gli esseri viventi, in un continuo divenire, dove ottenere delle
soddisfazioni non si riduce a semplici (o complicate) equazioni matematiche: è la
nostra sensibilità, la voglia di imparare e l’amore per la natura e gli animali che ci
faranno diventare dei grandi appassionati, senza bisogno di essere degli ingegneri
nucleari o dei chimici industriali.
SCHEDA DI SINTESI 5
Ecco un breve riassunto sulle principali operazioni di manutenzione da effettuare in un acquario e i
relativi tempi:
• Ogni 15 giorni va effettuato il cambio parziale, in misura di almeno il20/30%.
• Ogni mese, o intervallo maggiore in relazione al numero, dimensioni e dimensioni dei pesci
ospitati, verifica della funzionalità dei prefiltri e eventuale loro sostituzione.
• Ogni 4/6 mesi verifica e pulizia delle parti meccaniche della pompa centrifuga.
• Ogni 8/12 mesi sostituzione dei tubi fluorescenti.
Operazione che NON devono mai essere compiute:
- Svuotare completamente a scopo di pulizia l’acquario.
- Pulire, rimuovere o risciacquare i cannolicchi o altro substrato adibito a filtro biologico: si
eliminerebbero i batteri nitrificanti, con la conseguente produzione in vasca di composti azotati
velenosi come ammoniaca e nitriti.
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SCHEDA DI SINTESI 6
Elenco delle operazioni corrette per l’inserimento di nuovi pesci in acquario:
a- far galleggiare il sacchetto per circa 15 minuti nell’acquario, in modo da portare la temperatura
dell’acqua all’interno del sacchetto dei pesci nuovi, allo stesso valore di quella dell’acquario.
b- inserire ad intervalli di 5 minuti circa, un bicchiere di acqua dell’acquario nel sacchetto.
c- allorquando l’acqua all’interno del sacchetto è raddoppiata, è possibile con un retino, catturare i
pesci e liberarli in vasca. Se tale operazione fosse difficoltosa per vari motivi (ad esempio retino di
maggiori dimensioni rispetto all’apertura del sacchetto), si può svuotare il contenuto del sacchetto,
pesci compresi, in un recipiente, catturare i pesci ed infine gettare l’acqua.
d- una volta inseriti i pesci, gettare l’acqua.
IMPORTANTE! Non inserire MAI in vasca acque provenienti da altri acquari: hanno valori
biochimici diversi e sono potenzialmente patogene.
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CAP 4
I TETRA: conosciamoli uno ad uno.
In questo capitolo troveremo una descrizione generale delle più comuni specie di
Tetra che si possono reperire nei negozi specializzati.
Una breve scheda riassuntiva sulla biologia, la provenienza, gli aspetti
comportamentali di questi piccoli pesci, nonché il nome comune con cui spesso
questi pesci vengono offerti nei negozi.
Ma iniziamo subito a conoscere quello che è sicuramente il rappresentante per
antonomasia di tutti i Caracidi: il Paracheirodon Innesi, ovverosia il Neon.
Paracheirodon innesi (Myers 1936)
Nome comune: pesce Neon
Sin: Hyphessobrycon innesi
Provenienza: Rio Putumayo, Perù orientale, bacino superiore del Rio delle
Amazzoni. La maggior parte di pesci in commercio proviene da allevamenti, in
prevalenza situati ad Hong Kong.
Dimensioni: 40 mm.
Dimorfismo sessuale: maschio tendenzialmente più snello, con la linea iridescente
blu dritta. Femmina più tondeggiante e linea blu che subisce una lieve deviazione
verso l’alto all’altezza della pinna dorsale.
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Comportamento: pesce di branco, molto pacifico ideale per tutti gli acquari di
comunità. Evitare di abbinarlo a pesci troppo grossi o vivaci. Conviene inserire un
piccolo gruppo di almeno 5 esemplari per facilitarne l’adattamento al nuovo habitat.
Allevamento: sebbene possa tollerare acque decisamente differenti da quelle ottimali
(anche 40 GH e pH 8.5) gli animali tenuti in questo modo vedranno ridotta la loro
longevità.
E’ preferibile allevare questa specie in acquari con acqua tenera (fino a 6/8 GH) e pH
lievemente acido (6.5), con frequenti cambi parziali (almeno 2 volte al mese il 30%).
Consigliabile l’utilizzo di un fondo scuro e fitta vegetazione. In queste condizioni i
Neon possono vivere anche svariati anni.
Temperatura: 15/25°C, con optimum intorno ai 20.
N.B. : se i Neon vengono mantenuti costantemente a temperature al di sopra dei
25°C, la loro longevità si riduce drasticamente; la temperatura elevata, accelera il loro
metabolismo, portandoli ad un invecchiamento precoce. Cionondimeno nei mesi
estivi sopporta senza problemi temperature superiori ai 30°C, ma in inverno dovrebbe
essere tenuto invece intorno ai 18/20°C.
Riproduzione: E’ sufficiente una vasca da una decina di litri, dotata di una griglia sul
fondo, come arredamento un ciuffo di muschio di Giava.
La temperatura dovrebbe essere intorno ai 20°C, pH 5.5-6, GH 1.
Le femmine pronte possono arrivare a deporre anche 200 uova, dal diametro inferiore
al mm.
I riproduttori vanno inseriti la sera, il mattino seguente o 24/48 ore dopo avviene
l’accoppiamento.
La buona disponibilità alla riproduzione è visibile allorquando il maschio segue la
femmina in posizione sottostante ad essa.
Una volta terminata la deposizione allontanare i riproduttori, che non esiterebbero a
divorare le proprie uova. Dopo 24/30 ore (in relazione alla temperatura) ne sgusciano
piccole larve trasparenti di un paio di mm di lunghezza. Dopo 4 giorni sono lunghi 3
mm, hanno sviluppato occhi e pinne e devono essere nutriti con fine mangime vivo
come infusori e rotiferi. Dopo circa una decina di giorni si può passare a nutrire gli
avannotti con naupli di artemia appena schiusi.
All’inizio gli avannotti sono trasparenti, solo dopo il primo mese (a circa 1 cm di
lunghezza) compare la tipica fascia rosso-blu iridescente.
Alimentazione: pesci senza esigenze particolare, possono tranquillamente essere
nutriti con normale mangime secco, possibilmente di diverse qualità; ma se
desideriamo selezionare animali belli e dai colori maggiormente brillanti, è
conveniente estendere l’alimentazione ai surgelati e al mangime vivo.
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Proseguiamo ora nella descrizione delle altre due specie appartenenti alla tipologia
dei pesci dalla banda rosso-blu iridescente del genere Parcheirodon, e cioè
Paracheirodon axelrodi e Paracheirodon simulans.
Paracheirodon axelrodi (Schultz 1956)
Nome comune: Cardinale, Neon Cardinale.
Sinonimi: Cheirodon axelrodi, Hyphessobrycon cardinalis.
Origini: largamente diffuso in Venezuela, nell’Orinoco e negli affluenti del Rio
Negro, staziona preferibilmente in acque ferme o poco mosse.
Nota: pesci sfuggiti alle stazioni di stoccaggio situate a Manaus, pare abbiano
popolato i corsi d’acqua della zona.
La quasi totalità degli esemplari in commercio è di cattura.
Dimensioni: 50 mm.
Dimorfismo sessuale: la femmina è più tondeggiante e di maggiori dimensioni.
Comportamento: pesce di branco, anche in acquario deve essere allevato in gruppo,
inserendo non meno di 5/6 esemplari; estremamente pacifico, è adatto agli acquari di
comunità.
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Allevamento: seppur come P. innesi, P. axelrodi è adattabilissimo alle situazioni
ambientali più diverse, non bisogna dimenticare che i fattori negativi presenti nelle
condizioni di allevamento ne riducono la vita e predispongono questi graziosi
pesciolini ad essere maggiormente sensibili alle malattie, in particolare all’Ictio, o
malattia dei puntini bianchi. Ecco perché sarebbe consigliabile allevare i Cardinali in vasche ricche di vegetazione, con acqua
lievemente acida e tenera e con coinquilini non troppo vivaci o aggressivi.
E’ consigliabile l’inserimento di piante galleggianti per creare zone d’ombra
estremamente gradite a questi pesci. E’ uno dei pesci più adatti per le piante ricche di
vegetazione in stile “olandese”: un folto gruppo di Cardinali che nuota su uno sfondo
verde è uno spettacolo veramente unico.
Temperatura: 24/28°C.
Riproduzione: come per P. innesi, ma molto più difficile. La temperatura dovrebbe
rimanere intorno ai 25°C e la vasca dovrebbe avere una maggiore capacità.
Questi pesci depongono all’imbrunire o di notte. Per altre informazioni vedere P
innesi.
Alimentazione: senza esigenze particolari, si nutre avidamente dei mangimi secchi e
liofilizzati presenti in commercio. Una dieta che però comprenda surgelati e mangime
vivo ne esalta la colorazione e il sistema immunitario.
Note: : gli esemplari che vivono ne nostri acquari raggiungono e a volte superano i
50 mm di lunghezza e svariati anni di vita. Sembra però che ciò non avvenga in
natura: vivendo in un ambiente estremamente selettivo, pare che la maggioranza dei
pesci non superino l’anno di vita e la prima riproduzione.
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Paracheirodon simulans (Gery 1963)
Nome comune: -
Sinonimi: Hyphessobrycon simulans.
Origini: sistema fluviale del Rio Negro.
Dimensioni: 35 mm.
Dimorfismo sessuale: le femmine sono più grandi e dal ventre tondeggiante.
Comportamento: pesce di branco e pacifico. Rispetto agli altri cugini Paracheirodon
(axelrodi e innesi) ha un atteggiamento più timido e schivo. Adatto per una vasca di
comunità in compagnia di altri piccoli pesci pacifici.
Allevamento: specie sensibile alle condizioni di igiene dell’acqua, con particolare
riferimento alle sostanze azotate. Un ambiente con acqua tenera e acida ne favorisce
la longevità e la resistenza alle malattie. Indispensabile per garantire un buono stato
di salute, l’inserimento di un piccolo gruppo di almeno 5/8 esemplari. Specie che non si rinviene spesso in commercio.
Temperatura: 24/28°C.
Riproduzione: difficile da ottenere e specie non particolarmente prolifica, occorre
un’acqua molto tenera (1 GH) e decisamente acida ( pH 5.5).
I piccolo vanno nutriti con rotiferi ed infusori o altro mangime microscopico. La
crescita non è particolarmente rapida.
Alimentazione: cibo secco e liofilizzato, mangime surgelato e vivo di piccole
dimensioni. Senza esigenze particolari.
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Proseguiamo ora nella descrizione di altre specie dalla banda iridescente, che però
appartengono al genere Hyphessobrycon ed Hemigrammus: sto parlando di quei pesci
che vengono comunemente distinti attraverso il nome di Neon Rosso e Neon Nero.
Sebbene biologicamente non siano nemmeno parenti delle specie precedentemente
descritte, questi due pesci vengono genericamente annoverati fra i pesci Neon offerti
in commercio.
Hemigrammus erythrozonus.
(Durbin 1909)
Nome comune: Neon Rosso.
Sinonimi: H. gracilis.
Origini: fiume Essequibo, Guyana. Gli esemplari in commercio sono riprodotti per lo
più negli allevamenti del sud est asiatico e nei paesi dell’est europeo (in particolare
repubblica Ceka).
Dimensioni: 40 mm.
Dimorfismo sessule: il maschio rimane più piccolo e snello. Femmine pronte per la
deposizione mostrano, talvolta, un ventre talmente gonfio di uova, che sembrano
esplodere da un momento all’altro.
Comportamento: pacifico pesce di branco, molto comune nei negozi specializzati,
indicato per gli acquari di comunità. Come tutti i Caracidi, l’allevamento in piccoli
gruppi ne esalta il colore e la vivacità.
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Allevamento: preferisce vasche con zone d’ombra ottenute tramite l’utilizzo di
piante galleggianti. L’acqua dovrebbe essere pulita, con frequenti cambi parziali e
con valori medio-teneri di durezza e pH da neutro a lievemente acido
Temperatura: 22/28°C.
Riproduzione: Richiede temperature intorno ai 25°C. Si può procedere in una
vaschetta da pochi L arredata come descritto nel capitolo dedicato alla riproduzione. I
valori biochimici ideali dovrebbero essere simili a quelli descritti per P. innesi, ma in
questa specie una durezza lievemente superiore non compromette il buon esito della
riproduzione. I piccoli si nutrono di fine plancton vivo ed infusori. Crescita
decisamente rapida.
Alimentazione: senza esigenze particolari, si nutre volentieri con cibi commerciali.
Per predisporre la riproduzione è consigliabile la somministrazione di cibo vivo o
surgelato.
Note: uno dei pesci più diffusi in acquariofilia.
Hyphessobrycon herbertaxelrodi (Gery 1961)
Sullo sfondo Hmigrammus bleheri
Nome comune: Neon Nero
Sinonimi: -
Origini: Mato Grosso, Brasile (Rio Taquiri, affluente del Rio Paraguay). Oggi
allevato intensivamente.
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Dimensioni: 50 mm
Dimorfismo sessuale: femmina di maggiori dimensioni e dal ventre tondeggiante.
Comportamento: pesce di branco molto pacifico, adatto per vasche di comunità.
Allevamento: sempre opportuno inserire un piccolo gruppo, dovrebbero nuotare in
un’acqua di durezza medio-tenera e lievemente acida, sebbene possano sopravvivere
senza grossi problemi anche in acque dure ed alcaline. Per esaltarne la colorazione
sarebbe auspicabile un fondo scuro e una vasca con folta vegetazione, anche
galleggainte.
Temperatura: 22/28.
Riproduzione: facile da ottenere, in particolare se vengono somministrate piccole
prede vive. La deposizione avviene in una vasca con acqua tenera e lievemente acida
ad una temperatura intorno ai 25°C. Una trentina di ore dopo ne sgusciano piccole
larvette trasparenti; i piccoli, dopo 4 giorni una volta riassorbito il sacco vitellino,
vanno nutri con rotiferi ed infusori. La crescita è rapida e non presente problemi
particolari.
Alimentazione: senza esigenze particolari. Si allinea con quella degli altri “Neon”.
Continuiamo ora nel conoscere uno ad uno i Tetra più comuni. Di seguito
incontreremo i rappresentanti del genere Hemigrammus, specie molto comuni e
familiari alla maggioranza degli acquariofili. Pesciolini senza particolari esigenze,
hanno generalmente forme molto idrodinamiche. Partiamo subito con la prima specie,
contraddistinta da dimensioni leggermente superiori rispetto alla media di altri Tetra.
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Hemigrammus caudovittatus (Ahl 1923)
Nome comune: -
Sinonimo: Hyphessobrycon anisitsi
Origini: Argentina, Paraguay, regioni sud orientali del Brasile.
Dimensioni: fino ad oltre 80 mm.
Dimorfismo sessuale: maschio molto più snello della femmina, con le pinne di un
colore rosso più acceso, raggiunge dimensioni inferiori.
Comportamento: pesce di gruppo, adatto ad acquari di comunità, prive di piante
delicate. Uno fra i Tetra che se allevato solitario può diventare aggressivo con altri
pesci, dato che è munito di denti piccoli ma accuminati e taglienti, in grado, come
anzi detto, di recidere i germogli teneri di piante dellicate.
Allevamento: è una specie estremamente robusta che riesce a sopravvivere
praticamente in tutti i tipi di acqua.
Temperatura: 15/28°C. E’ da annoverare tra i Tetra di acqua temperata.
Riproduzione: specie molto prolifica, depone in acqua libera o presso piante
galleggianti, ad una temperatura di circa 24°C. Un’acqua medio-tenera e un pH
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leggermente acido aumentano la percentuale di schiusa. I piccoli non presentano
particolari problemi di accrescimento dato che si nutrono da subito di naupli di
Artemia appena schiusi.
La crescita è molto rapida, ma gli avannotti abbisognano di molto spazio.
Alimentazione: la specie è onnivora e si nutre praticamente di tutto. Gli esemplari di
maggiori dimensioni in estate possono essere nutriti con piccoli insetti che, lasciati
cadere sulla superficie dell’acqua, i pesci amano “bollare”, compiendo sovente
spettacolari piroette. Questo mangime “vivo” inoltre è di stimolo alle femmine nella
produzione di uova.
Note: uno fra i Tetra sicuramente più robusti e rustici, è importante però non allevarlo
singolarmente o in vasche di piante.
Hemigrammus pulcher (Ladiges 1938)
Nome comune: -
Sinonimo: -
Origini: corsi d’acqua peruviani affluenti del Rio delle Amazzoni.
Dimensioni: 40 mm.
Dimorfismo sessuale: la femmina è vistosamente più tondeggiante; il maschio
viceversa, è decisamente snello.
Comportamento: questa specie non è grande nuotatrice, e il gruppo preferisce
stazionare a ridosso di grosse foglie di piante acquatiche o ad altri arredamenti.
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Allevamento: indicato per vasche di comunità di tipo “amazzonico” con altre specie
tranquille (Ciclidi nani). Specie molto tranquilla, da allevare in gruppo di almeno 5
esemplari.
Temperatura: 22/28°C.
Riproduzione: abbastanza semplice, occorre un’acqua tenere e acida e una
temperatura intorno ai 25°C. Molto prolifico, lo sviluppo e la crescita degli avannotti
non differisce da quella di altri piccoli Caracidi.
Alimentazione: senza particolari necessità. Una somministrazione di mangime vivo
o surgelato stimola gli animali alla riproduzione.
Hemigrammus ocellifer (Steindachner, 1882)
Nome comune: -
Sinonimi: Tetragonopterus ocellifer, Hotopristis ocellifer.
Origini: Guyana francese, Bolivia nord-orientale.
Dimensioni: 40 mm.
Dimorfismo sessuale: maschio più snello e femmina con ventre tondeggiante; in
femmine adulte e mature che producono molte uova, diventa estremamente evidente.
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Comportamento: specie pacifica, molto simile nel comportamento ad H. pulcher, ma
forse un po’ più timido. Ama l’ombra e le acque a corrente lenta. Ideale per acquari
di comunità, anche con specie più piccole. Deve essere allevato in gruppi di almeno 5
esemplari.
Allevamento: pesce tranquillo e gregario, i suoi colori vengono valorizzati in vasche
“olandesi” a fondo scuro. Disdegna le correnti veloci e può essere allevato con
successo anche in acquari non molto grandi. Un’acqua lievemente acida e di media
durezza è da preferire, sebbene la specie sia adattabile a diverse condizioni
ambientali.
Sebbene si adatti anche a temperature elevate, una temperatura media annuale
inferiore ai 25°C, ne aumenta la longevità.
Temperatura: 22/28°C.
Riproduzione: abbastanza semplice, come descritta per H. pulcher.
Alimentazione: come gli altri Tetra descritti fino ad ora in questo libro, i normali cibi
secchi e in scagli disponibili nei negozi specializzati soddisfano appieno l’appetito di
questi simpatici pesciolini. Mangime vivo e surgelato ne stimolano la riproduzione.
Note: pare che esistano due sottospecie di Hmigrammus ocellifer; una sottospecie che
popola le regioni descritte sopra (H. ocellifer ocellifer), l’altra (H. ocellifer falsus)
pare sia stata rinvenuta in Argentina.
Hemigrammus rodway (Durbin 1909)
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Nome comune: Tetra d’argento.
Sinonimo: Hemigrammus amstrongi.
Origine: Guyana.
Dimensioni: 40 mm.
Dimorfismo sessuale: non particolarmente pronunciato, negli esemplari adulti i
maschi, oltre ad essere più snelli delle femmine, hanno la pinna anale bianca
anteriormente, con sfumature delle pinne di un rossastro più intenso.
Comportamento: pesce vivace, grande nuotatore vive in branchi, il cui numero di
individui in un acquario non dovrebbero mai essere inferiori agli 8/10 esemplari.
Pacifico e di piccole dimensioni, si accompagna facilmente ad altri coinquilini
pacifici.
Allevamento: predilige le acque mediamente correnti, dove stazione degli spazi
superficiali. In estate “bolla” volentieri piccoli insetti gettati sulla superficie
dell’acqua. Per far risaltare le iridescenze argentate, sono necessarie vasche
sufficientemente capienti, dalla vegetazione non eccessiva e con un fondo scuro.
Temperatura: 22/28°C.
Riproduzione: senza necessità particolari; un’acqua medio-tenera e lievemente acida
offre i migliori risultati. I piccoli vanno nutriti nel primo periodo con fine mangime
vivo come infusori. L’accrescimento è rapido e non presente particolari problemi.
Alimentazione: mangime secco, a scaglie e liofilizzato. Surgelato e vivo
predispongono i pesci alla deposizione. Senza particolari esigenze.
Note: la particolare iridescenza oro-argentata di questi pesci, è in genere presente
negli animali selvatici. Infatti questa brillantezza di colore è dovuta ad una secrezione
di “guanina” che i pesci secernono per proteggersi dalle infestazioni di trematodi
parassiti della pelle. In acquario questa colorazione svanisce, dato che questi parassiti
non avendo un ospite intermedio non possono replicarsi. Ancora più importante è che
questa malattia non è contagiosa per gli altri pesci.
Per concludere il discorso relativo agli Hemigrammus di pubblico dominio, così
come abbiamo raggruppato diversi generi e specie sotto il nome comune di “pesci
Neon”, così ora possiamo raggruppare tre diverse specie sotto il nome comune di
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“Tetra dalla testa rossa”. Sebbene come anticipato siano tre specie a se stante,
frequentemente vengono trovate nei negozi sotto il nome di Petitella.
Hemigrammus rhodostomus. (Ahal 1924)
Nome comune: Tetra dalla testa rossa.
Sinonimo: -
Origini: acque scure dell’Amazzonia inferiore.
Dimensioni: 50 mm.
Dimorfismo sessuale: maschio più snello.
Comportamento: pesce di gruppo, abbisogna di spazio per nuotare. Classico pesce
per vasche “olandesi”.
Allevamento: senza particolari esigenze. Predilige acque tenere e acide, ma
soprattutto pulita e con una percentuale minima di sostanze azotate.
Temperatura: 24/28°C.
Riproduzione: relativamente semplice, è necessaria acqua molto tenera, una vasca
sufficientemente grande (20L) e una temperatura intorno ai 26°C. Gli avannotti sono
molto piccoli e abbisognano di cibo microscopico. Rientra nei canoni di riproduzione
di altri piccoli Caracidi.
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Alimentazione: mangime secco e liofilizzato e surgelati, ma abbisogna di piccoli
bocconi data la dimensione della bocca.
Hemigammus bleheri. (Gery 1986)
Nome comune: Tetra dalla testa rossa.
Sinonimi: -
Origini: Colombia, Rio Negro, acque scure dell’amazzonia superiore.
Dimensioni: 50 mm.
Dimorfismo sessuale: femmina più tondeggiante e di maggiori dimensioni.
Comportamento: pesce gregario per eccellenza è indispensabile allevarlo in gruppi
di almeno una decina di esemplari. Fra i pochi pesci di acquario che mantengono il
comportamento di nuoto in gruppo anche in cattività: sono pesci che durante il nuoto
sincronizzano i movimenti all’unisono. Molto timidi, solo in grossi sciami e in
acquari spaziosi sono in grado e esaltare la loro livrea e l’eleganza di nuoto.
Allevamento: necessitano di acquari spaziosi, acque tenere, acide e pulite,
mediamente correnti. Adatto ad acquari di comunità con altre specie pacifiche. Un
fondo scuro ne accentua la colorazione.
Temperatura: 24/28°C.
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Riproduzione: 26°C e acqua molto tenere e acida. La vasca dovrebbe avere una
discreta capienza (una ventina di L). La deposizione avviene generalmente al
crepuscolo o di notte. Dato che gli avannotti sono molto piccoli, necessitano di
mangime vivo microscopico. La crescita è però rapida e non presenta particolari
problemi: a 2 mesi sono già lunghi 20 mm.
Alimentazione: senza esigenze particolari, a causa della piccola bocca le dimensioni
del cibo non devono essere sproporzionate.
Note: succede frequentemente che una volta catturare con il retino e immesse in un
altro ambiente facciano i “finti morti”.
Nel giro di qualche minuto i simpatici pesciolini “resusciteranno” senza accusare il
minimo problema. E’ forse fra i piccoli Tetra la specie che necessita maggiormente la
compagnia di un gruppo di conspecifici.
Petitella georgiae.
(Gery & Boutiere 1964)
Nome comune: Tetra dalla testa rossa; Petitella.
Sinonimi: -
Origini: ruscelli di acque bianche dell’Amazzonia nord-occidentale (piccoli affluenti
del Rio Branco), Perù.
Dimensioni: 60 mm. Fra i “testa rossa” è la specie che raggiunge la maggiore
lunghezza.
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Dimorfismo sessuale: maschio più snello.
Comportamento: pacifico, adatto a vasche di comunità. Anche per questi pesci è
doveroso l’inserimento di almeno 5/8 esemplari.
Allevamento: predilige acque di media durezza con pH neutro o lievemente acido.
Ama l’ombra e rispetto agli altri “testa rossa” è meno vivace nel nuoto, sebbene
preferisca acque mediamente correnti.
Temperatura: 22/28°C.
Riproduzione: come per gli altri “testa rossa”, anche se la deposizione sembra sia
più difficile da ottenere.
Alimentazione: senza esigenze particolari; mangimi secchi liofilizzati, surgelati e
piccole prede vive adatte alle dimensioni della bocca.
Note: sotto il nome Petitella, vengono venduti nei negozi anche gli altri “testa rossa”,
sebbene fra questi il più comune da trovare è sicuramente l’Hemigrammus bleheri,
dato che la colorazione rossa del capo risulta più marcata ed estesa.
Dopo aver conosciuto i rappresentanti dei pesci “Neon”, gli appartenenti al genere
Hmigrammus e i famosissimi “testa rossa”, andiamo a conoscere un genere che
aquariologiamente parlando è forse fra i più rappresentati nei negozi specializzati e
nelle nostre case: sto per l’appunto parlando del genere Hyphessobrycon a cui
appartengono alcune fra le più belle specie di Caracidi domestici, come ad esempio
H. rubrostigma.
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Hyphessobrycon flammeus.
(Myers 1924)
Nome comune: -
Sinonimo: H. bifasciatus.
Origini: Brasile orientale.
Dimensioni: 40 mm.
Dimorfismo sessuale: maschio più piccolo e snello della femmina, con la colorazine
rossa delle pinne più intensa. La femmina adulta quando ben nutrita, produce molte
uova, presentando un ventre visibilmente pronunciato.
Comportamento: pesce di branco pacifico, adatto a tutti gli acquari di comunità on
pesci pacifici.
Allevamento: senza particolari esigenze per quanto riguarda i valori biochimici,
predilige come tutti i Caracidi un fondo scuro e luce non particolarmente intensa,
prediligendo stazionare in zone ombreggiate, come ad esempio sotto foglie di grossi
Echinodorus.
Temperatura: 22/28°C.
Riproduzione: specie particolarmente prolifica, un’acqua di media durezza e pH
lievemente acido, sono preferibili. Per il resto rientra nei canoni degli altri piccoli
Caracidi.
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Alimentazione: senza esigenze particolari. E’ sufficiente anche del normale
mangime secco, somministrato un paio di volte al giorno ma variato nel contenuto,
per permettere alle femmine di sviluppare moltissime uova.
Hyphessobrycon pulchripinnis.
Ahl 1937)
Nome comune: Tetra limone.
Sinonimi: -
Origini: Brasile centrale.
Dimensioni: 40 mm.
Dimorfismo sessuale: non particolarmente evidente; maschio generalmente più
snello, con il bordo scuro della pinna anale più evidente.
Comportamento: pesce timido, da allevare in gruppo, è adatto a vasche di comunità
con altre specie pacifiche.
Allevamento: necessita di un fondo scuro, luce con tonalità calda e spazio libero per
il nuoto, ma anche angoli ricchi di vegetazione con piante galleggiante; spesso nei
negozi dove per cause di forza maggiore non è tenuto in condizioni ottimali, appare
di una colorazione sbiadita, e perciò rimane poco apprezzato dagli acquariofili; è però
sufficiente inserirlo in un acquario con acqua tenera e lievemente acida arredato come
descritto in precedenza, per valorizzare il bel colore “canarino” di questo tranquillo
Caracide.
Temperatura: 24/28°C.
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Riproduzione: specie non molto prolifica, ma relativamente semplice da riprodurre.
La femmina se nutrita con mangime surgelato o vivo, sviluppa più uova e viene
meglio predisposta alla deposizione. Come tutti gli avannotti di Tetra, anche questa
specie nei primi giorni abbisogna mangime vivo minutissimo.
Gli esemplari nati in cattività, non presentano una colorazione così brillante come
quelli selvatici.
Alimentazione: come per altri piccoli Tetra. Per questa specie sarebbe opportuno
somministrare mangime che rafforzi i colori, nonché surgelato e piccole prede vive.
Hyphessobrycon robertsi
Nome comune: -
Sinonimo: si ritiene sia una forma di H. bentosi. Incroci con quest’ultimo hanno dato
risultato positivo.
Origini: Iquitos, Perù.
Dimensioni: 60 mm.
Dimorfismo sessuale: il maschio presenta la pinna dorsale molto prolungata. In
esemplari adulti essa può arrivare a toccare il peduncolo caudale.
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Comportamento: pesce pacifico e abbastanza timido, adatto per vasche di comunità,
deve essere allevato in gruppo; quando nuota è molto elegante e può essere
considerato come H. rubrostigma, uno fra i Tetra di “classe”.
Anch’esso in vasche in stile “olandese” offre il meglio di se come vivacità e
brillantezza di colore
Allevamento: Predilige vasche ampie, con spazio libero per il nuoto, ma anche zone
con fitta vegetazione. I valori dell’acqua dovrebbero essere i classici “amazzonici”
con acqua tenera e pH lievemente acido. Un cambio parziale regolare favorisce lo
sviluppo delle pinne dorsali nei maschi, che durante le parate di minaccia vengono
totalmente distese regalando agli occhi uno spettacolo veramente affascinante.
Temperatura: 24/28°C.
Riproduzione: abbastanza difficile a causa dell’elevata timidezza degli esemplari.
Occorre una vasca sufficientemente ampia, con acqua molto tenere e pH acido.
Coppie forzate difficilmente depongono, è quindi meglio selezionare nel gruppo di
adulti animali che abbiano già incominciato i giochi amorosi.
Per quanto riguarda sviluppo e crescita degli avannotti, non ci si discosta da quello di
altri Caracidi.
Alimentazione: cibo secco di varia natura, non disdegna piccoli bocconi vivi, in
particolare insetti, che i pesci amano venire a “bollare sulla superficie dell’acqua; nel
complesso non ha esigenze particolari.
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Hyphessobrycon bentosi (Durbin 1908)
Nome comune: -
Sinonimi: H. ornatus, H. callistus bentosi.
Origini: Guyana. La maggior parte degli esemplari in commercio proviene dagli
allevamenti asiatici.
Dimensioni: 40 mm.
Dimorfismo sessuale: Nel maschio è evidentissimo il prolungamento della pinna
dorsale; nella femmina questa pinna è corta e in genere termina con una piccola
macchia bianca.
Comportamento: pacifico e vivace pesce di gruppo, adatto per vasche di comunità, è
sempre in movimento. I maschi sono abbastanza aggressivi fra di loro e tendono a
difendere il proprio territorio attraverso parate di minaccia, molto spettacolari dato
che estendono completamente le pinne dorsale e anale.
Allevamento: da allevare in piccoli gruppi, è senza esigenze particolare per quanto
riguarda i valori biochimici, anche se un biotopo amazzonico è sicuramente da
prferire. Predilige un fondo scuro e angoli con ricca vegetazione; anche una lieve
corrente è gradita. I regolari cambi parziali permettono un maggiore sviluppo delle
pinne dorsali dei maschi.
Temperatura: 24/28°C.
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Riproduzione: abbastanza semplice, segue lo standard dei piccoli Caracidi. Spesso
per deporre le uova la coppia si avvicina alle piante di superficie. I piccoli nei primi
giorni devono essere nutriti con mangime vivo microscopico.
Alimentazione: cibi secchi in scaglie e liofilizzati. Gradisce la cattura di piccoli
bocconi (insetti) sulla superficie dell’acqua.
Note: la sua livrea può variare a seconda dell’area di provenienza, con le sfumature
rosse più o meno spiccatamente marcate.
Hyphessobrycon erythrostigma.
Fowler 1943
Nome comune: -
Sinonimi: H. rubrostigma, H. callistus rubrostigma.
Origini: Amazzonia occidentale, Perù.
Dimensioni: 70 mm.
Dimorfismo sessuale: il maschio presenta la pinna dorsale vistosamente allungata.
Comportamento: specie tranquilla, da allevare in gruppo e adatta all’acquario di
comunità. Grande nuotatore, raggiungendo discrete dimensioni, necessita di un
acquario adatto. Esemplari adulti, isolati e allevati in spazi ristretti, possono diventare
aggressivi verso altri coinquilini. Scongiurare questo pericolo è semplicissimo, basta
allevarli in gruppo e dare loro spazio sufficiente per nuotare.
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E’ sicuramente uno dei Tetra di maggiori dimensioni, che a volte può sembrare
“ingombrante” ma i colori e l’estensione delle pinne dei maschi ne fanno una specie
fra le più belle e che varrebbe la pena di provare ad allevare almeno una volta.
Allevamento: sicuramente pesce da acqua tenera e lievemente acida, ama una media
corrente e il fondo scuro, con angoli riparati, anche con abbondante vegetazione (a
volte però può assaggiare i germogli più teneri). Come per tutte le specie fin qui
descritte, anche in questo caso un’acqua pulita e un cambio regolare favoriscono la
crescita delle pinne nei maschi.
Temperatura: 24/28°C.
Riproduzione: raramente riprodotto in acquario, abbisogna di acque particolarmente
tenere e acide, oltre ad una vasca adatta alle dimensioni dei riproduttori.
Alimantazione: cibo secco in scaglie e liofilizzato, nonché vari tipi di surgelato. Se
gli vengono somministrati degli insetti sulla superficie dell’acqua, non esita a partire
da notevole distanza per germirli. Ottimi a questo scopo sarebbero piccoli grilli,
dall’alto contenuto proteico, che tra l’altro potrebbero fungere da stimolo alla
riproduzione.
Hyphessobrycon callistus.
(Boulenger 1900)
Nome comune: -
Sinonimi: Tetragonopterus callistus.
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Origini: Amazzonia meridionale, bacino del Paraguay. Oggigiorno allevato in modo
intensivo nel Sudest asiatico. Ormai raramente in commercio esemplari selvatici.
Dimensioni: 50 mm.
Dimorfismo sessuale: femmina con ventre più tondeggiante. Maschio con la livrea
più accesa e tendenzialmente più snello.
Comportamento: in genere adatto a vasche di comunità, è da allevare in piccoli
gruppi. In situazioni particolari, come ambiente non consono alle esigenze specifiche
o alimentazione insufficiente o errata, può trasformarsi in un piccolo Piranha,
aggredendo gli altri coinquilini e azzannandone le pinne, ma non di rado rivolgendo
la sua aggressività verso gli occhi; questo comportamento può essere rivolto
indifferentemente verso esemplari di altre specie o conspecifici, nel qual caso è il più
debole del branco a farne le spese. Un bellissimo pesce che purtroppo a volte può
regalare sgradite sorprese.
Allevamento: non presenta problemi particolari. In commercio si trovano diverse
varietà cromatiche che hanno il colore rosso più o meno marcato. Esistono anche
forme con pinne a velo. L’allevamento in gruppo numeroso è da preferire, dato il
“caratterino” irrequieto. Ama un fondo scuro e angoli con fitta vegetazione dove ama
stazionare in gruppo. I valori dell’acqua dovrebbero essere i classici amazzonici, con
acque tenere e lievemente acide, sebbene di secondaria importanza. Frequenti cambi
parziali mantengono più vivace la livrea.
Temperatura: 22/28°C.
Riproduzione: in allineamento con gli altri Tetra delle stesse dimensioni. I piccolo
vanno nutriti nei primi giorni con fine mangime vivo. Un’acqua tenere e acida offre i
migliori risultati di schiusa.
Alimentazione: senza esigenze particolari, ma una dieta che preveda la
somministrazione di alimenti altamente proteici (chironomus, larve di zanzare e
piccoli grilli che poi i pesci provvedono a smembrare) possono evitare
comportamenti aberranti.
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Hyphessobricon serpae.
(Durbin 1908)
Nome comune: Tetra serpa.
Sinonimi: -
Origini: corsi d’acqua dell’Amazzonia del sud.
Dimensioni: 50 mm.
Dimorfismo sessuale: come per altri Caracidi, maschi con livrea più lucente e più
snelli.
Comportamento: molto simile esteriormente a H. callistus, anche dal punto di vista
comportamentale ne rispecchia le cattive abitudini, anche se forse è meno aggressivo.
Allevamento: come tutti i piccoli Caracidi, un fondo scuro e una fitta vegetazione
fanno risaltare la livrea rossa di questo pesciolino, che può essere più o meno marcata
a seconda della provenienza o dell’alimentazione.
Temperatura: 22/28°C.
Riproduzione: abbastanza semplice, prima della deposizione è opportuno nutrire i
pesci con mangime surgelato. Sebbene allevato da diverse generazioni in cattività,
valori di acqua tenera e acida aumentano la percentuale di schiusa. L’accrescimento
degli avannotti, passate le prime settimane, è rapido e non presenta problemi
particolari.
Alimentazione: è preferibile, come per altre specie dalle livree lucenti e di fondo
rossastro, somministrare mangimi rafforzanti del colore. Specie sostanzialmente
senza esigenze particolari.
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Note: la principale differenza che contraddistingue H. serpae da H. callistus, è la
chiazza romboidale sulla “spalla” che in H. serpae è meno estesa e a volte poco
evidente o inesistente. Per quanto riguarda la colorazione non può essere un
parametro di riferimento dato che può variare notevolmente in base alla provenienza.
Sembra addirittura che le due specie siano state incrociate e pertanto in commercio si
trovino sovente esemplari ibridi, che ne complicano ulteriormente il riconoscimento.
Astyanax fasciatus mexicanus.
(Cuvier 1819)
Nome comune: Tetra cieco.
Sinonimi: Anopthichthys jordani.
Origini: America centrale, dal Texas a Panama.
Dimensioni: 80 mm.
Dimorfismo sessuale: maschio più snello della femmina.
Comportamento: specie pacifica, da allevare possibilmente in gruppo, in vasche
capienti e con altre specie pacifiche.
Allevamento: molto robusto, si adatta facilmente a vasche di comunità. Oggi non è
più diffuso in acquariofilia come qualche anno fa. Sono pesci particolari, dato che
privi di occhi, sono guidati nella ricerca del nutrimento dall’olfatto; senso che
inevitabilmente risulta sviluppatissimo, tanto da rendere possibile l’assunzione del
cibo tanto efficace quanto quella degli altri coinquilini. Provenendo da acque
cavernicole, risulta consigliabile un allevamento a temperature non eccessivamente
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elevate. I valori biochimici sono di irrilevanti, sebbene sia preferibile un allevamento
in acque medio-dure e con pH neutro-alcalini.
Temperatura: 18/25°C.
Riproduzione: relativamente semplice. La temperatura dovrebbe essere intorno ai
18/20°C. I piccoli possono essere nutriti con naupli di artemia o con fine mangime
industriale. Sembra che nelle prime settimane i piccoli possano ancora vedere.
Alimentazione: non ha praticamente esigenze, anche se risulta utile il mangime in
compresse per i pesci di fondo, dato che inevitabilmente gli altri pesci possono
effettuare una certa competizione alimentare; consigliabile la somministrazione di
verdure lessate, così come alimenti proteici come larve di zanzara e chironomus.
Note: Astyanax fasciatus mexicanus è la forma cavernicola del Caracide Astyanax
fasciatus, specie presente in tutta l’America centrale.
Gymnocorymbus ternetzi.
(Boulenger 1895)
Nome comune: Tetra nero.
Sinonimi: Tetragonopterus ternetzi, Moenkhausia ternetzi.
Origini: Bolivia, Rio Praguay.
Dimensioni: 60 mm.
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Dimorfismo sessuale: la pinna anale del maschio è visibilmente più ampia. Le
femmine adulte raggiungono una dimensione sensibilmente maggiore presentando un
ventre tondeggiante.
Comportamento: specie pacifica in linea generale; esemplari adulti e isolati possono
presentare comportamenti aggressivi; ciò accade anche in situazioni di minima
presenza di consimili. E’ quindi indispensabile allevare un gruppo di almeno 5/8
esemplari in vasche capienti e con piante robuste, dato che con una dieta scarsa di
sostanze vegetali ama sbocconcellare i germogli più teneri.
In generale si tratta di un specie da allevare con altri pesci della stessa taglia.
Allevamento: la vasca dovrebbe avere dimensioni adatte allo sviluppo della specie,
con molto spazio per nuotare, corrente da media a forte, fondo scuro e piante robuste;
i valori biochimici sono di relativa importanza; al contrario la temperatura troppo alta
protratta per lunghi periodi produce un invecchiamento precoce di questa specie che
essendo di acque temperate, può, come i Neon, essere allevata anche senza
riscaldatore, a patto che in inverno la temperatura non scenda al disotto dei 15°C.
Temperatura: 15/25°C.
Riproduzione: decisamente fra le specie più semplici da riprodurre; una temperatura
intorno ai 20/22°C e acqua lievemente acida e meio-tenera garantiscono una
maggiore percentuale di schiusa. I pesci depongono, dopo vivaci giochi amorosi,
appena sotto la superficie dell’acqua, in mezzo alla vegetazione compiendo
addirittura piccoli salti fuori dall’acqua: in questo modo alcune uova possono aderire
anche al di fuori dell’acqua stessa e maturare con la semplice umidità prodotta dalla
superficie. Con coppie particolarmente grandi, accade spesso che i prodotti sessuali
espulsi siano abbondanti e in vasche non capienti possono produrre un
imbiancamento dell’acqua della vasca: in questo caso è necessario, per non perdere la
maggior parte delle uova a causa dell’iperproliferazione batterica, un cambio parziale
almeno del 50% con acqua “uguale” a quella della vasca di deposizione. La schiusa
avviene in 24 ore circa e gli avannotti, dopo aver riassorbito il sacco vitellino,
iniziano a nuotare dopo 4 giorni. Possono essere nutriti da subito con naupli di
artemia appena schiusi. Ad un mese di vita circa compare la tipica forma romboidale
e lo sviluppo dell’ampia pinna anale.
Alimentazione: la specie è onnivora e senza esigenze particolari; ama “bollare”
insetti sulla superficie dell’acqua. Allo scopo possono risultare utili piccoli grilli.
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Hasemania nana.
(Reinhardt 1874)
Nome comune:
Sinonimi: Hemigrammus nanus.
Origini: bacino del Rio Sao Francisco, Brasile orientale; bacino del Rio Purus,
Brasile occidentale.
Dimensioni: 40 mm.
Dimorfismo sessuale: come per tutti i Tetra il maschio è più snello, ma la peculiarità
del sesso maschile in questa specie è la colorazione ambra-ottone; le femmine sono
argentate.
Comportamento: pesce di branco, è opportuno allevarne un gruppo numeroso
(almeno 8 esemplari) con una predominanza di femmine, dato che i maschi tendono a
formare e difendere un proprio piccolo territorio. Preferiscono acqua lievemente
tenera e acida, sebbene non abbiano particolari problemi di adattamento. E’
consigliabile un fondo scura con vegetazione folta, ma anche con molto spazio per
nuotare. Ama la forte corrente e l’acqua molto ossigenata. In situazioni particolari
può diventare aggressivo nei confronti di altri coinquilini, in particolare se tenuto
isolato o con pochi conspecifici.
Allevamento: non presenta particolari problemi. E’ importante allevarne diversi
esemplari. Pesce che può mutare le livrea a seconda del luogo di provenienza o delle
situazioni ambientali.
Temperatura: 22/28°C.
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Riproduzione: abbastanza semplice, rispecchia lo schema tipico dei piccoli caracidi.
Le uova schiudono in una trentina di ore e si presentano nere; gli avannotti appena
nati mostrano un vistoso sacco vitellino nero, che viene riassorbito nel giro di qualche
giorno.
Alimentazione: vivendo in acque correnti, si nutre di tutte le particelle nutritive che
essa trasporta, in particolare piccole larve e insetti caduti in acqua, per cui si tratta di
una specie “carnivora”. Accetta qualunque tipo di mangime industriale, ma l’aggiunta
di surgelato e piccole prede vive mantiene longevi e in salute questi piccoli gioiellini.
Impaichthys kerri.
(Gery & Junk 1977)
Nome comune: -
Sinonimi: -
Origini: Rio Aripuana in Amazzonia.
Dimensioni: 40 mm.
Dimorfismo sessuale: il maschio presenta una colorazione sul dorso viola-bluastra;
nella femmina invece è di un colore marroncino-grigaisto.
Comportamento: pesce adatto a vasche di comunità, da allevare possibilmente in
piccoli gruppi, vivace e appariscente, varrebbe sempre la pena di allevarne un piccolo
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gruppo. A volte i maschi sono litigiosi fra loro e si affrontano in spettacolari parate di
minaccia a pinne spiegate e opercoli branchiali dilatati.
Allevamento: come tutti i piccoli Tetra, un fondo scuro e una folta vegetazione
contraddistinguono l’habitat ideale. I valori biochimici dovrebbero essere registrati
attorno a pH leggermente acidi e acque tenere, sebbene gli esemplari oggi in
commercio siano per la grande maggioranza allevati e pertanto estremamente
adattabili anche a condizioni differenti.
Temperatura: 22/28°C.
Riproduzione: una temperatura intorno ai 24°C e un’acqua tenera e lievemente
acida, offre i risultati migliori. Segue le modalità di tutti gli altri piccoli Tetra fino ad
ora descritti. Il periodo critico per gli avannotti rimangono i primi 10 giorni, quando
devono essere nutriti con plancton microscopico vivo, come rotiferi ed infusori.
Alimentazione: accetta tutti i tipi di mangime industriale.
Nematobrycon palmeri.
(Eigenmann 1911)
Nome comune: -
Sinonimo: N. amphiloxus.
Origini: costa occidentale della Colombia.
Dimensioni: 50 mm.
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Dimorfismo sessuale: il maschio raggiunge dimensioni maggiori, ha una colorazione
più lucente e presente dei prolungamenti sulla pinna dorsale e caudale.
Comportamento: specie pacifica, ma deve essere allevato in gruppi numerosi, con
predominanza di femmine, in quanto i maschi difendono anche veementemente il
loro territorio. Esemplari isolati possono assumere comportamenti aggressivi persino
nei confronti di altre specie
Allevamento: acquari capienti con fondo scuro e ricchi di vegetazione, evidenziano
la bellissima livrea di questa specie. Per quanto riguarda i valori biochimici non ha
esigenze particolari, ma come per tutti i pesci sudamericani, acque medio-tenere e
lievemente acide sono da preferire.
Temperatura: 22/28°C.
Riproduzione: temperatura intorno a 25/26°C; pH lievemente acido e acqua tenera
aumentano la percentuale di schiusa di questa specie che non sembra essere
particolarmente prolifica. Per il resto segue gli standard degli altri piccoli Caracidi.
Alimentazione: accetta volentieri i vari cibi industriali.
Note: la specie assomiglia moltissimo alla precedente, I. kerri, ma se ne distingue
sostanzialmente per le maggiori dimensioni, e una spiccata tendenza aggressiva da
parte dei maschi.
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Megalomphodus megalopterus.
(Eigenmann 1915)
Nome comune: Tetra ombra. Nota: in inglese è denominato “Black phantom Tetra”.
Sinonimi: -
Origini: Rio San Francisco, Brasile centrale. Oggi largamente allevato nel sud est
asiatico.
Dimensioni: 40 mm.
Dimorfismo sessuale: il maschio presenta un colore di fondo grigio-bluastro che
diventa nero vellutato allorquando entra in amore e in condizioni di allevamento
ottimale. La femmina, oltre ad avere un ventre più tondeggiante, sembra appartenere
ad un’altra specie, dato che ha un colore di fondo arancio-rosato e le pinne ventrali e
pettorali rosso-arancione. Inoltre la pinna anale e dorsale dei maschi hanno una
superficie molto estesa e quando sono dispiegate durante le parate di minaccia,
sembrano delle vere e proprie vele. Gli esemplari maschi più maturi hanno pinne più
sviluppate.
Comportamento: assolutamente pacifico, adatto alla convivenza anche con specie
piccole. Le scaramucce fra i pachi sono puramente dimostrative e non arrecano danno
né ai rivali né tanto meno alle femmine o a specie diverse.
Allevamento: indispensabile per poter ammirare il colore fantastico nero-velluto dei
maschi l’allevamento in gruppo, con un fondo assolutamente scuro e in una vasca con
foltissima vegetazione. Solo in questo modo potremo ammirare l’estrema bellezza di
questo piccolo gioiello. Se non si rispettano queste condizioni, questi pesci appaiono
di un anonimo colore grigiastro. Sostanzialmente poi è una specie molto timida e se
non si alleva nel modo ottimale rimarrà un pesce del tutto incolore e anonimo.
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Temperatura: 22/28°C.
Riproduzione: segue lo schema di altri piccoli Tetra. La deposizione avviene in
genere sulla sommità di piante a foglie fini che sfiorano la superficie dell’acqua. I
pesci a volte compiono piccoli salti proprio durante l’atto culminante dell’espulsione
dei prodotti sessuali. Gli avannotti schiudono in 24 ore circa e rimangono appesi alle
piante acquatiche tramite un lungo filamento adesivo. Dopo 5 giorni iniziano a
nuotare e a nutrirsi di infusori e rotiferi. Dopo una settimana assumo naupli di artemia
appena schiusi e dopo un mese, a circa un cm si lunghezza, hanno la colorazione
delle femmine. Occorreranno altri due mesi affinché la colorazione assuma i
connotati sessuali degli adulti.
Alimentazione: accetta volentieri i vari mangimi industriali, ma ama “bollare”
piccoli insetti sulla superficie dell’acqua.
Megalomphodus sweglesi.
(Gery 1961)
Nome comune: -
Sinonimi: -
Origini: bacino superiore dell’Orinoco.
Dimensioni: 40 mm.
Dimorfismo sessuale: la femmina ha la pinna dorsale di colore rosso, nero e bianco.
Nel maschio la pinna dorsale e invece di un uniforme colore rosso vivo e molto
estesa.
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Comportamento: assolutamente pacifico, adatto per acquari di comunità. Indicato in
particolare per vasche “olandesi” dove viene esaltata la colorazione rosso intenso di
questi pesciolini.
Allevamento: da allevare in gruppo, richiede vasche con acqua non troppo calda,
fondo scuro e foltissima vegetazione. In vasche riscaldate deperisce più rapidamente.
Predilige un pH acido e acqua tenera; l’illuminazione troppo forte rende timidi gli
animali, sarà necessario quindi fornire una copertura con piante galleggianti che crei
zone d’ombra.
Temperatura: 15/25°C.
Riproduzione: richiede una temperatura intorno ai 20°C e luce soffusa. Acqua molto
tenera (1 GH) e pH acido (6) offrono le condizioni migliori. Le uova sono di un
colore bruno rossastro. I piccoli si nutrono di mangime vivo finissimo nella prima
settimana. Poi accettano naupli di artemia appena schusi.
Alimentazione: senza problemi, si allinea a quella degli altri piccoli Tetra, con
l’accortezza di mantenere una temperatura intorno ai 20°C. .
Pristella maxillaris. (Urley 1895)
Nome comune: Tetra arlecchino
Sinonimi: Pristella riddlei.
Origini: Amazzonia, Guyana, Venezuela.
Dimensioni: 40 mm.
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Dimorfismo sessuale: maschio più snello; femmina visibilmente più tozza e di
maggiori dimensioni.
Comportamento: specie pacifica da allevare in gruppo. Adatta per qualunque vasca
con altri pesci pacifici.
Allevamento: segue i canoni generali degli altri piccoli Tetra. Pur vivendo bene in
qualunque tipo di acqua, un ambiente di tipo sudamericano è da preferire. Gli
esemplari oggi in commercio provengono quasi esclusivamente da allevamenti
commerciali.
Temperatura: 22/28°C.
Riproduzione: molto semplice, schiudono in acque anche non propriamente tenere e
acide. I piccoli si nutrono di fine mangime vivo per poi passare ai naupli di artemia.
La specie è molto prolifica e una femmina può produrre fino a 400 uova; proprio per
questo motivo sarebbe auspicabile una vasca da riproduzione capiente, onde evitare
che la grande massa di prodotti sessuali espulsi porti ad un rapido deterioramento
della qualità dell’acqua. La crescita degli avannotti è molto rapida e non presenta
particolari problemi.
Alimentazione: senza esigenze, i normali cibi secchi sono ben accetti. Ovviamente le
leccornie sono rappresentate da cibo surgelato o meglio ancora piccole prede vive.
Note: esistono in commercio diverse varietà di questa specie selezionate negli
allevamenti del sud est asiatico. Fra queste spiccano le varietà totalmente trasparenti
in cui è interessante vedere lo sviluppo delle uova nelle femmine.
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Prionobrama filigera
(Cope 1870)
Nome comune: -
Sinonimi: Aphyocharax filigerus.
Origini: Rio Paragauy, Brasile meridionale, Argentina.
Dimensioni: 50 mm.
Dimorfismo sessuale: femmine di dimensioni leggermente superiori e maschi con la
pinna anale maggiormente estesa.
Comportamento: vivace nuotatore, da allevare in grossi branchi, assolutamente
pacifico è adatto per qualunque acquario di comunità. E’ una specie molto timida ed
esemplari isolati diventano estremamente paurosi. Si rivela quindi della massima
importanza l’elemento “branco” per godere appieno della vivacità espressa dal nuoto
di questi pesci.
Allevamento: necessita di una media corrente, fondo scuro e una minima copertura
vegetale. Non ha esigenze relative ai valori biochimici, se non di una bassa presenza
di sostanze azotate. Ama stazionare in corrente, appena al di sotto della superficie
dell’acqua, dove ghermisce piccole particelle di cibo che essa trasporta. Pesce molto
facile da allevare ed adatto al principiante. Importante avere un illuminazione
smorzata, altrimenti i colori rimangono sbiaditi.
Temperatuara: 22/30°C.
Riproduzione: segue i canoni classici degli altri piccoli Caracidi; l’acqua può anche
non essere decisamente tenera. La crescita degli avannotti è abbastanza veloce.
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Alimentazione: si nutre senza problemi di qualunque mangime secco, senza
dimenticare però il mangime surgelato o vivo. A questo proposito possono risultare
utili i moscerini della frutta, cioè le Drosofile, che i Prionobrama “bollano” sulla
superficie dell’acqua nuotando controcorrente.
Note: come per tutti i Caracidi spesso nei negozi ci imbattiamo in esemplari giovani e
sub adulti, tenuti in condizioni di arredamento non ottimali (come luce intensa e
assenza di vegetazione) che ne inibiscono la colorazione, facendo passare inosservati
agli acquariofili non appassionati questi graziosi pesciolini.
Thayeria boehlkei.
(Weitzman 1957)
Nome comune: Tetra pinguino.
Sinonimi: spesso confusa con T.obliqua, da cui si distingue per la riga laterale nera,
che manca in detta specie.
Origini: Amazzonia, Perù, Brasile.
Dimensioni: 60 mm.
Dimorfismo sessuale: femmine con il ventre arrotondato.
Comportamento: pesce vivace, sostanzialmente pacifico, che in situazioni però non
ottimali, a volte può dimostrarsi irruento con pesci dalle minori dimensioni; è
opportuno allevarne un gruppo di almeno 6 esemplari. Adatto per le vasche di
comunità.
Allevamento: abbisogna vasche con spazio libero per il nuoto ma anche luoghi con
densa vegetazione, in particolare galleggiante al di sotto della quale ama stazionare in
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gruppo. Sostanzialmente non ha esigenze di valori biochimici particolari e può
addirittura sopportare acque con basse percentuali di sale. Specie robusta che ben si
adatta a qualunque situazione ambientale, ma non a quella di vivere isolato, dato che
questo può sfociare in un carattere aggressivo con piccoli pesci.
Temperatura: 22/28°C.
Riproduzione: segue i canoni classici dei Tetra; è preferibile utilizzare vasche
capienti, in quanto una femmina matura può produrre fino ad un migliaio di uova;
proporzionalmente anche lo sperma viene emesso in grandi quantità, portando presto
ad una rapida degenerazione della qualità dell’acqua; è consigliabile effettuare un
cambio parziale nella vasca di riproduzione del 50% con acqua uguale a quella della
vasca medesima. Anche nelle situazioni ottimali, molte uova rimangono infecondate
e andrebbero rimosse. L’accrescimento dei piccoli invece è rapido e non presenta
problemi: segue comunque i canoni soliti dei Caracidi.
Alimentazione: accetta ogni tipo di mangime; vivo è surgelato permettono alle
femmine di produrre più uova.
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Moenkhausia sanctafilomenae.
(Steindachner, 1907)
Nome comune: Tetra Santafilomena.
Sinonimi: M. agassizi.
Origini: Pragauy, Bolivia orientale, Perù occidentale, Brasile occidentale
Dimensioni: 60 mm.
Dimorfismo sessuale: le femmine adulte hanno il ventre arrotondato.
Comportamento: pacifico, vive in gruppo. Animali grossi ed isolati possono
diventare aggressivi con altri coinquilini. Adatto per acquari di comunità, a volte ama
sbocconcellare i germogli delle piante. Una specie che comunque è indicata ai
principianti considerando le scarse esigenze complessive.
Allevamento: si allinea agli altri Caracidi senza esigenze eccessive. Consigliabile un
fondo scuro con angoli riparati da vegetazione. Sopporta bene valori biochimici fuori
dalla norma “amazzonica” (pH leggermente acido e acqua tenera), arrivando a vivere
bene anche in acque decisamente alcaline e dure.
Temperatura: 22/28°C.
Riproduzione: segue lo schema tipico dei Caracidi, sebbene preferisca deporre al di
sotto della superficie dell’acqua fra le radici delle piante galleggianti. Acqua tenera e
pH leggermente acido sono da preferire. I piccoli vanno nutriti per la prima settimana
con rotiferi ed infusori, poi, come da copione, i naupli di artemia consentono un
veloce sviluppo. L’accrescimento degli avannotti nel complesso non presenta
difficoltà.
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Alimentazione: ogni mangime in commercio è bene accetto. Qualora abbia
particolari attenzioni per i germogli delle pinte acquatiche, è consigliabile per
risolvere l’inconveniente, somministrare verdure sbollentate. Mangime vivo e
surgelato permettono alle femmine di produrre un maggior numero di uova.
Note: gli esemplari in commercio provengono quasi esclusivamente dagli allevamenti
asiatici.
Moenkhausia pittieri.
(Eigenmann 1920)
Nome comune: -
Sinonimo: -
Origini: Venezuela.
Dimensioni: 70 mm.
Dimorfismo sessuale: nel maschio la pinna dorsale termina in modo appuntito e
diventa di maggiori dimensioni rispetto a quella delle femmine.
Comportamento: pacifico pesce di branco che necessita di molto spazio per nuotare.
Esemplari di grosse dimensioni possono risultare aggressivi se isolati e pertanto,
come per tutti gli appartenenti ai Caracidi, anche questi pesci devono essere allevati
in gruppo.
Adatto per vasche di comunità.
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Allevamento: non ama la luce forte e predilige una copertura con piante galleggianti;
l’acqua dovrebbe essere ambrata, filtrata attraverso torba. Spesso nei negozi non
vengono rispettati i requisiti di mantenimento che questa specie richiede, come ad
esempio un fondo scuro e luce soffusa, facendo risultare questi pesci diafani e
incolori. Viceversa in vasche dalle giuste caratteristiche fisiche e biologiche (non ama
acqua dure e alcaline) l’aspetto di questo magnifico pesce che raggiunge discrete
dimensioni è veramente spettacolare: su uno sfondo grigio bluastro iridescente,
compaiono una miriade di riflessi dorati, come se la pelle di questo Caracide fosse
tempestata di piccoli diamanti: un vero gioiello.
Temperatura: 24/28°C.
Riproduzione: occorre una vasca adatta alle dimensioni dei riproduttori (almeno una
ventina di L) con acqua tenera e acida. Per stimolare ulteriormente i riproduttori, si
dovrebbe somministrare nella settimana precedente la deposizione, mangime
sostanzioso come larve di zanzare o chironomus surgelati, ancor meglio se vivi.
Gli avannotti vanno nutriti nella prima settimana con fine mangime vivo, dopodiché
si può passare ai consueti naupli di artemia salina. L’accrescimento non è
particolarmente veloce e i giovani e subadulti presentano colori sbiaditi. Anche per
questo motivo spesso passano inosservati nei negozi specializzati.
Alimentazione: si nutrono senza problemi di mangime secco e liofilizzato; l’utilizzo
di mangime surgelato o vivo ne stimola la riproduzione e il mantenimento dei
bellissimi colori.
Note: in commercio sono presenti generalmente esemplari giovani o sub adulti, i cui
colori non sono completamente sviluppati, cosa questa che raramente attrae lo
sguardo dell’acquariofilo medio.
Moenkhausia spec. “Colombia”.
Hyphessobrycon columbianus
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Origini: come dice il nome, i primi esemplari di questo pesce furono trovati in
Colombia. Gli esemplari in commercio sembra arrivino anche da allevamenti nella
Repubblica Ceka.
Dimensioni: 50 mm.
Dimorfismo sessuale: femmine con ventre più tondeggiante e di maggiori
dimensioni. I maschi hanno generalmente il rosso delle pinne di un colore più
intenso.
Comportamento: estremamente pacifico, adatto a vasche di comunità. E’ una specie
abbastanza timida e dovrebbe essere allevato in gruppo. In questo modo vengono
anche accentuati i bellissimi colori di questi pesci.
Allevamento: sebbene abbia colori iridescenti di un azzurro metallizzato intenso,
solo in vasche con fondo scuro e luce soffusa questi pesci risplendono della loro
livrea mozzafiato, quasi da pesci marini: su uno sfondo azzurro iridescente si
stagliano in un contrasto accattivante le pinne di un colore rosso intenso. Nelle
vasche dei negozi questi pesci, non essendo in condizioni ottimali, non ci danno
nemmeno lontanamente un’idea delle loro potenzialità cromatiche. Anche se non è
una specie dalle esigenze particolari, se non quella di un’acqua pulita, un’acqua
scura, lievemente acida e tenera, ci permette di godere appieno della loro bellezza.
Temperatura: 24/28°C.
Riproduzione: non presenta particolari difficoltà, segue lo schema degli altri
appartenenti al genere Moenkhausia. Una volta iniziato a consumare naupli di
artemia, l’accrescimento è abbastanza rapido. Pare che gli esemplari allevati in
cattività e nutriti esclusivamente con mangime commerciale, perdano leggermente il
colore rosso delle pinne.
Alimentazione: si nutre senza problemi di qualsiasi mangime in commercio. Sono
però da preferire quelli rafforzanti del colore, per mantenere inalterata la livrea.
Mangime surgelato e vivo possono aiutarci a mantenere lucente il bel colore di questi
pesci.
Con questa ultima specie, si conclude questa carrellata sulle principali specie di
Caracidi sudamericani che possiamo più comunemente ritrovare nei negozi italiani.
Ci sono almeno altrettante specie che compaiono più sporadicamente nelle vasche dei
commercianti e ancora maggiori quelle catalogate, senza considerare quelle esistenti
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non ancora descritte o addirittura scoperte. In queste schede generali ho cercato di
riassumere in poche e semplici parole le caratteristiche salienti di ogni singola specie
che potranno risultare utili al lettore nell’allevamento di questi piccoli animali.
Concludendo la carrellata non si poteva certo dimenticare i Caracidi Africani, animali
veramente bellissimi, ma purtroppo raramente presenti in commercio.
Di seguito troveremo informazioni utili riguardo il più famoso rappresentante dei
parenti africani di Neon, Cardinali & C:
Phenacogrammus interruptus (Boulenger 1899)
Nome comune: Tetra del Congo.
Sinonimi: Micralestes interruptus.
Origini: Zaire.
Dimensioni: 90 mm.
Dimorfismo sessuale: evidentissimo negli esemplari adulti. I maschi sono di
maggiori dimensioni e con colori più accentuati; inoltre la pinna caudale, l’anale e la
dorsale appaiono molto estesa, dai bordi indefiniti e orlate di bianco, che su uno
sfondo scuro danno un aspetto altamente appariscenti a questi animali.
Comportamento: a dispetto delle dimensioni decisamente ragguardevoli se
paragonate i pesci fin qui descritti, è sicuramente fra le specie più timide; questo
pesce deve essere assolutamente allevato in un gruppo di non meno di 6/8 esemplari,
altrimenti rimane timido e dal colore diafano.
Ama sovente sbocconcellare i germogli teneri delle piante acquatiche, abitudine che
può essere eliminata con la somministrazione di un buon cibo vegetale o verdure
sbollentate.
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Allevamento: necessita di vasche ampie con acqua scura, tenera e acida. Se allevato
in acqua alcalina e dura, sebbene il pesce non mostri segnali palesi di indisposizione,
la colorazione ne risentirà. Luce soffusa e fondo scuro esaltano invece gli stupendi
colori iridescenti di questi pesci, che se allevati in gruppo e in vasche di grandi
dimensioni, possono offrire uno spettacolo senza pari: i colori, in particolari dei
maschi adulti, passano infatti a seconda della rifrazione della luce, da un azzurro
carico ad un giallo oro, con gli animali che ad ogni guizzo sembra emanino sprazzi di
luce propria.
Temperatura: 24/28°C.
Riproduzione: occorre una vasca di dimensioni adeguate ai riproduttori (una
quarantina di L) con acqua decisamente tenera e acida. La deposizione avviene in
genere nella mattinata. Una volta terminata la deposizione allontanare gli esemplari
adulti. Le uova di questi pesci sono relativamente più grandi rispetto a quelle di altri
Tetra; schiudono in 4 o 5 giorni e ne sgusciano avannotti che, una volta riassorbito il
sacco vitellino, possono essere nutriti da subito con naupli di artemia appena schiusi.
L’accrescimento è abbastanza rapido, relativamente alle dimensioni degli esemplari
adulti.
Alimentazione: si nutre senza problemi dei mangimi in commercio; mangime vivo e
surgelato mantengono più lucente la spettacolare livrea di questi pesci. Per stimolare
la riproduzione può risultare utile la somministrazione di piccoli grilli che i pesci
amano “bollare” in superficie.
Note: la maggior parte dei pesci in commercio proviene da allevamenti asiatici.
Raramente si trovano esemplari adulti, dato anche gli alti costi; spesso invece si
trovano animali molto giovani e dai colori grigiastri e insignificanti che ben
difficilmente attraggono gli sguardi dei non appassionati.
E con il Tetra del Congo abbiamo proprio finito la nostra carrellata sui piccoli
Caracidi più diffusi in commercio.
Nella speranza di essere stato utile a migliorare la conoscenza di questi pesci, auguro
tanti successi e soddisfazioni a tutti i lettori.
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SCHEDA DI SINTESI 7
Di seguito un breve promemoria sulle specie di Tetra descritte, con riferimento particolare
alle loro dimensioni.
Tetra di piccola taglia (fino a 50 mm), adatti per vasche anche inferiori ai 50 L:
Paracheirodon innesi, Paracheirodon axelrodi, Paracheirodon simulans, Hemigrammus
erithrozonus, Hemigrammus rodway, Hemigrammus bleheri, Hemigrammus rhodostomus,
Petitella georgiae, Hemigrammus pulcher, Hemigrammus ocellifer, Aphyocharax anisitsi,
Hasemania nana, Prionobrama filigera, Hyphessobrycon flammeus, Hyphessobrycon
herbertaxelrodi, Hyphessobrycon pulchripinnis, Hyphessobrycon bentosi, Hyphessobrycon
robertsi, Impaichthys kerry, Megalomphodus Megalopterus, Megalomphodus sweglesi,
Moenkhausia spec. “Columbia”, Pristella maxillaris, Nmatobrycon palmeri.
Tetra di taglia medio-grande (oltre i 50 mm); questi pesci è saggio allevarli in vasche di
capacità assolutamente non inferiore ai 50 L : Gymnocorymbus ternetzi, Phenacogrammus
interruptus, Astyanax fasciatus, Hemigrammus caudiovittatus, Hyphessobrycon
erythrostigma, Tayeria boehlkei, Moenkhausia pittieri, Moenkhausia sanctafilomenae.
Le specie Hyphessobricon callistus ed Hyphessobrycon serpae, possono avere atteggiamenti
fortemente aggressivi qualora allevati in modo errato.
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CAP 5.
L’ALIMENTAZIONE.
Per quanto riguarda l’alimentazione si può senza ombra di dubbio affermare che i
Tetra non mostrano esigenze particolari e la totalità dei mangimi in commercio
soddisfano appieno le esigenze di questi piccoli e variopinti amici.
Di norma nei loro habitat originari i Tetra sono zoofaghi e si nutrono di piccole
creature planctoniche e larve di insetti acquatici, nonché di insetti caduti in acqua
dimostrando però di non disdegnare sostanze vegetali di varia natura; in acquario
potremo quindi integrare la loro dieta con l’inserimento di foglie di spinaci bolliti o
pezzettini di zucchina lessata che verranno lentamente ridotti in brandelli con piccoli
morsi.
A dispetto delle loro dimensioni, dimostrano un invidiabile appetito evidenziando
un’ingordigia fuori dal comune; è opportuno quindi rispettare la vecchia regola del
“poco e spesso” dato hanno l’insana tendenza di ingozzarsi eccessivamente quanto
pericolosamente.
D’altro canto sono anche in grado si sopportare periodi di digiuno a volte anche di
lunga durata (qualche settimana se nutriti regolarmente in precedenza) che ne fanno
animali sostanzialmente robusti e di semplice gestione; non per niente sono fra i pesci
più consigliati a chi per la prima volta si accinge a diventare acquariofilo.
Anche in natura del resto esistono periodi di abbondanza, dove è facile reperire il
nutrimento (stagione delle piogge) ed altri, come durante la stagione secca, dove i
pesci sono messi a dura prova dall’ambiente, e per mancanza d’acqua e per carenza di
fonti alimentari.
Principi generali
Molto speso dalla maggior parte degli acquariofili, questo argomento è sovente
sottovalutato, ritenendo, a torto, che i pesci siano in grado di vivere in modo ottimale
anche con un’alimentazione non adatta o addirittura scarsa, senza dare la giusta
importanza alla qualità del mangime. Sebbene nel breve periodo queste scelte non
comportino deficienze visibili, sul lungo periodo possono comportare difetti
esteticamente rilevanti, come ad esempio la stentata crescita delle pinne, obesità o
viceversa rachitismo e deformazioni all’apparato scheletrico, associati ad un
generalizzato indebolimento del sistema immunitario, con conseguente maggiore
incisività della più disparate patologie.
In particolare è nelle prime settimane di vita che un’alimentazione errata può
addirittura portare alla morte dei soggetti.
La sopravvivenza da parte di molti pesci che vengono nutriti con mangimi di seconda
scelta o di sottomarche, monoqualità, è semplicemente dovuta al fatto che questi
animali hanno, nel corso dell’evoluzione, sviluppato incredibili sistemi di
adattamento alle situazioni ambientali avverse che si presentano in natura.
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In ogni caso tali situazioni sono temporanee e comunque i pesci sono in grado di
recuperare nelle stagioni di abbondanza ciò che hanno dovuto patire in situazioni
negative: cosa questa che in acquario non accade dove invece molto spesso è proprio
la situazione negativa quella standard.
La natura invece permette ai pesci di scegliere, nell’arco della giornata e in base al
loro grado di sviluppo, l’alimento che più si addice alle loro esigenze.
Nelle nostre vasche ciò diventa impossibile, è quindi nostro dovere informarci sulla
giusta alimentazione da somministrare ai nostri ospiti, assicurando una dieta
equilibrata e soprattutto diversificata.
Solo in questo modo essi potranno svilupparsi normalmente, raggiungere la maturità
sessuale e diventare sufficientemente robusti.
Di seguito troveremo una breve descrizione dei principali cibi ad uso acquariologico.
In particolare volevo spendere due parole a favore dei cibi congelati.
Ritengo questi ultimi indispensabili per un sano accrescimento e mantenimento, da
somministrare almeno 3 volte la settimana al posto del normale mangime secco, sono
la più comoda e migliore alternativa al mangime vivo, del quale, se perfettamente
conservati, mantengono tutte le sostanze nutritive.
I cibi secchi
Possiamo quindi tranquillamente orientarci verso i mangimi commerciali in scaglie o
in granuli, somministrati nella quantità che i nostri amici sono in grado di consumare
in una decina di secondi: non dimentichiamo che il mangime non consumato andrà
inequivocabilmente a deteriorare la qualità dell’acqua. Teoricamente andrebbe
somministrato 3 o 4 volte al giorno in tale quantità, ma parallelamente ai cicli vitali di
noi uomini, una somministrazione il mattino e una la sera sono del tutto sufficienti a
soddisfare l’appetito dei Caracidi.
Granuli, Pastiglie per pesci di fondo e Fiocchi sono la base della dieta secca dei pesci d’acquario.
E’ fondamentale avere una differenziazione delle caratteristiche intrinseche del
mangime secco, acquistandone possibilmente diversi tipi e comunque possederne uno
base (quindi completo) e uno vegetale in modo da completare la dieta.
Sebbene a livello organolettico non differisca dal normale cibo in scaglie, anche il
mangime in granuli può essere un validissimo diversivo: difatti esso rispecchia
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abbastanza verosimilmente i piccoli bocconi che i Tetra catturano in natura; da questo
punto di vista è interessante osservare come essi, una volta afferrato il cibo, cerchino
di morderlo e spezzarlo, ricordando nelle movenze dei piccoli Piranha, ai quali
peraltro sono strettamente imparentati. Con i fiocchi questo comportamento non
esiste, dato che vengono facilmente aspirati.
I cibi liofilizzati
Nel menù rientrano anche i cibi liofilizzati, che rappresentano un comodo strumento
per usufruire di nutrimenti grezzi (intesi come insetti o crostacei), ricchi di fibre ed
altre sostanze utili.
Chironomus, Artemia e Gammarus liofilizzati
Sono ottenuti tramite congelamento seguito da sublimazione sotto vuoto e successiva
disseccazione, mantenendo così inalterata le caratteristiche nutrizionali e offrendo,
una volta somministrati in vasca e reidratati, bocconi stuzzicanti per i pesci.
Una valida alternativa al surgelato, dato che rappresentano piccole prede nella loro
integrità, sia strutturale che alimentare.
Mangime surgelato.
Appare evidente però che un’alimentazione varia e ricca di mangime surgelato
(Chironomus, Artemia, Daphnia, Cyclops, larve di zanzara…) o addirittura vivo, non
possa che giovare alla salute, al benessere ma soprattutto alla longevità di questi pesci
che unito a valori d’acqua ottimali consentiranno una vita lunga svariati anni (per
talune specie anche di 10: un vero record per esserini lunghi pochi cm!!!)
Questi mangimi, che si trovano in tutti i negozi specializzati, si presentano o in
confezioni contenenti pratiche dosi a forma di cubetto, oppure in una busta, da cui,
una volta aperta, sarà facile prelevare la quantità di alimento più idonea.
Una volta prelevata detta dose, sarebbe opportuno porla a scongelare in frigorifero e
non a temperatura ambiente, dato che uno scongelamento rapido farebbe perdere
molte sostanze nutritive assieme al liquido di scarto. Gli alimenti scongelati, se non
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Ecco come si presente il cibo surgelato prima e dopo il decongelamento
vengono consumati, vanno eliminati senza essere riposti nel congelatore: potrebbero
essere veicolo di infezioni e altre patologie dell’apparato digerente.
La corretta somministrazione di questi alimenti, si avvale di un risciacquo in acqua
corrente tramite l’utilizzo di un colino da the, o di una garza o alto materiale a maglie
finissime: il liquido di scongelamento, altamente inquinante, non va inserito in
acquario. Ora siamo pronti per dare ai nostri pesci ciò che essi preferiscono in
assoluto fra tutti i cibi a nostra disposizione, ad esclusione, naturalmente, del cibo
vivo, di cui ci occuperemo più in dettaglio in seguito.
Ma vediamo ora di analizzare più approfonditamente le principali caratteristiche
nutritive dei cibi surgelati sopra menzionati:
Chironomus: esteriormente simili a piccoli vermetti rossi, in realtà sono le larve
acquatiche di diverse specie di insetti alati simili alle zanzare, ma al contrario di
queste ultime non ematofaghi. Molto nutrienti e altamente proteici sono un ottimo
cibo in fase di preparazione alla riproduzione e in fase di convalescenza; un abuso
produce un ingrassamento nei pesci indesiderato.
Larve di Zanzara: bianche (Coretra, raramente in commercio e dal minore contenuto
proteico) e nere (Culex, i microvampiri che noi tutti ben conosciamo!).
In particolare le larve nere sono delle vere bombe nutritive e se si ha la possibilità di
usufruirne vive, possibilmente raccolte in acqua non inquinate da sostanze chimiche,
predispongono positivamente i pesci alla riproduzione.
Ottime anche in fase di crescita degli avannotti, non dovrebbero mai essere assenti,
così come i Chironomus, dalla dieta dei nostri pesci.
Artemia salina: è un piccolo crostaceo che vive in raccolte d’acqua, generalmente
salata, e che risulta essere un alimento estremamente equilibrato. Essendo animale
filtratore, in particolare di microalghe, da queste ultime assume moltissime sostanze
utili, tra cui le vitamine. Alimento completo e fondamentale per tutti i pesci. Le larve
di questi gamberetti, detti naupli, sono indispensabile e insostituibile fonte di
nutrimento per tutti gli avannotti nei loro primi giorni di vita.
Dafnia: anch’esso piccolo crostaceo, popola in elevato numero le acqua dolci
stagnanti. Assume il nutrimento filtrando l’acqua come le Artemie, ma a differenza di
quest’ultima, il suo apporto nutritivo è però limitato, dato che la maggior parte della
sua struttura è formata da un guscio protettivo. E’ anche vero però che è un
nutrimento ricco di fibra, quanto mai utile per evitare occlusioni intestinali.
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Cyclops e Bosmine: entrambi microcrostacei (siamo nell’ordine di un paio di mm di
lunghezza) utilissimi per svezzare avannotti esigenti.
Mangime vivo.
Molti di questi piccoli animali, sono reperibili anche nei nostri corsi d’acqua e
qualora usufruissimo di situazioni prive d’inquinamento, potrebbero essere utilizzati
nei nostri acquari: attenzione però ad eventuali larve predatrici che popolano le
medesime acque (ad es: libellule e coleotteri acquatici); è opportuno quindi effettuare
un paio di giorni di attenta osservazione, eliminando eventuali specie indesiderate,
per poi somministrare tranquillamente queste leccornie!
I tanto decantati Tubifex, invece, spesso risultano eccessivamente grassi e fortemente
inquinanti: anche perché è usuale ritrovarlo nei liquami di estrazione organica.
Discorso a parte per il piccolo crostaceo Artemia salina, che addirittura è possibile
allevare in casa. Indispensabile allo stadio di naupli come nutrimento per avannotti,
sono uno dei migliori cibi anche da adulti e per approntare una piccola coltura
casalinga non ci sono particolari difficoltà. Sarà sufficiente una piccola vaschetta
preferibilmente riempita con acqua marina (ma allo scopo funziona anche del
normale sale da cucina) dove inseriremo un piccolo quantitativo di uova, che una
volta schiusi daranno vita ai naupli (cioè lo stadio larvale dei crostacei): occorreranno
una ventina di giorni, in base alla temperatura, affinché avvenga la metamorfosi
completa; come alimento per la crescita potremo usare del lievito o, se
l’illuminazione è forte, saranno sufficienti le microalghe che si creeranno; ricordiamo
che le Artemie sono animali filtratori e che in sintesi qualsiasi nutrimento finemente
polverizzato può essere utile.
Saremo sicuri allora di somministrare ai nostri pesci cibo equilibrato e sicuro dal
punto di vista sanitario.
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SCHEDA DI SINTESI 8
Breve riassunto sulle qualità alimentari di alcuni cibi surgelati o vivi, non vengono menzionati i cibi
commerciali dato che sulle confezioni è scritto il contenuto e le prerogative nutritive, come ad
esempio mangime vegetale, di base, rafforzante del colore, ecc.
Veniamo ora ai surgelati:
Chironomus: ricco di proteine, indicato dopo trasferimenti e forti stress da trasporto. Ideale dieta
antecedente la riproduzione.
Larve nere di zanzara: da recuperare possibilmente vive in acqua non inquinate, stimolano i pesci
alla riproduzione.
Artemia salina: mangime completo, equilibrato ha nel giusto rapporto le varie sostanze nutritive, in
particolare vitamine. Ideale per le convalescenze.
Daphnia: mangime ottimo se vivo, in gran parte formato da scorie, contiene molte vitamine. Ideale
per evitare occlusioni intestinali.
Cyclops, Bosmine: piccoli crostacei di cui sono ghiotti i giovani pesci.
Uova di pesce: stimolano la produzione di uova nelle femmine. Non somministrare regolarmente
dato che è un alimento di difficile digestione in grandi quantità e inquina molto.
Uova di aragosta: ideali per svezzare i piccoli dai naupli di artemia. Altamente nutritivo.
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CAP 6.
La riproduzione.
Analizziamo ora in breve e in modo generalizzato, uno fra gli aspetti più interessanti
del comportamento animale: la riproduzione.
La riproduzione dei Caracidi era ritenuta fino agli anni ’50 impresa di non facile
riuscita, riservata ad allevatori professionisti o agli appassionati più esperti. Le cause
di queste difficoltà erano da ricercare nella difficoltà di reperimento di un’acqua dalle
giuste caratteristiche fisico-chimiche e dalla provenienza pressoché totalmente
selvatica degli esemplari in commercio; animali quindi estremamente esigenti in fatto
di qualità dell’acqua, valori, nutrimento, arredamento, ecc…..
Fortunatamente oggigiorno questa situazione si è notevolmente semplificata: cibi
ottimi che si rinvengono nei negozi di acquariofilia, pubblicazioni specializzate, la
disponibilità di soggetti nati in cattività (di più facile adattamento) e non da ultimo la
facilità di reperimento di acqua “osmotica”, permettono anche ai meno esperti di
avere grandi soddisfazioni.
E’ vero anche che in Italia non è raro sentire “…….ma tanto i Neon non si possono
riprodurre…..” o magari vedere appassionati più esperti snobbare questi pesciolini
per dedicare le loro attenzioni verso generi più interessanti dal punto di vista
comportamentale e riproduttivo; viene quindi poco considerata o per estrema
complessità o, viceversa, per scarso interessante.
I Tetra non praticano cure parentali, quindi non possono certo offrire lo spettacolo di
una coppia di Scalari che accudisce la prole, cionondimeno vi sono aspetti quanto
mai interessanti e che solo riuscendo a riprodurre questi pesci possiamo scoprire.
Dimorfismo sessuale.
Uno dei fattori che spesso scoraggiano anche gli appassionati più esperti, è dato dal
fatto che assai di frequente i 2 sessi sono difficilmente distinguibili.
Sebbene in talune specie (Hyphessobrycon, Megalomphodus….) vi siano evidenti
segnali morfologici ( a livello di colorazione e di sviluppo della pinna dorsale), è
verissimo che solo un occhio per così dire allenato è in grado di riconoscere maschi e
femmine nella maggior parte delle specie.
I canoni estetici di massima che possono con buona approssimazione farci
individuare i sessi, sono principalmente 2: i maschi adulti hanno tendenzialmente un
ventre lineare e corporatura generale più snella, viceversa le femmine adulte, che
sovente raggiungono maggiori dimensioni, presentano ventri tondeggianti, per non
dire propriamente gonfi, e una corporatura più massiccia.
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Coppi di Neon: sopra la femmina in basso il maschio
Allestimento e scelta della vasca di riproduzione.
Dato che non praticano cure parentali e anzi molto spesso sono estremamente golosi
delle proprie uova, è necessario predisporre una vasca apposita: mediamente,
proporzionalmente alle dimensioni dei riproduttori, 10/20 L sono sufficienti. Questa
vaschetta (riempita generalmente con acqua osmotica eventualmente tagliata con sali
o acqua del rubinetto per il giusto valore GH) dovrà essere munita di una reticella sul
fondo (assolutamente privo di sabbia o ghiaino) che impedisca ai genitori di
raggiungere le uova; un piccolo filtro dalla minima portata (caricato con spugne o
lana sintetica a cui aggiungere torba granulare qualora si volesse optare per un ideale
valore pH) , e un ciuffo di piate dalle foglie fini (Limnophila, Cabomba,
Myriophyllum, Ceratophyllum……) o ancor meglio una manciata di muschio di
Giava (Vesicularia dubyana) come substrato per la deposizione completeranno
l’arredamento.
In mancanza di simili piante spesso viene usata della lana di perlon di colore verde
che rispecchia un ciuffo di alghe, ma su questo substrato i pesci faticano ad inserirsi e
le uova facilmente rimangono sulla parte esterna dove sono facile preda dei genitori;
suggerisco quindi di evitare questa ultima soluzione, a meno di cause di forza
maggiore.
Una volta allestita tale vasca e raggiunti i valori fisico-chimici desiderati (una
temperatura sui 25°C, pH intorno a 6-6.5 e GH fra 2 e 5 possono essere considerati
ottimali per quasi tutte le specie), isoleremo al momento opportuno una coppia
“pronta”.
Sebbene nei Tertra il dimorfismo sessuale non sia marcato come in altri generi
(Belontidi o Ciclidi), è possibile dopo un minimo di osservazione e prestando
attenzione ai suggerimenti sopra indicati, individuare con certezza quasi assoluta i
due sessi.
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Nella vasca di riproduzione obbligatoria la griglia sul fondo e Muschio di Giava come substrato di deposizione.
La scelta dei riproduttori.
E’ sempre meglio scegliere una coppia che abbia già iniziato i “giochi amorosi” in
vasca di comunità: se capita di osservare due pesci della stessa specie in cui uno è
intento a nuotare a pinne tremolanti appena a ridosso dell’altro, siamo sicuri di
trovarci di fronte una coppia in imminente riproduzione.
E’ ovvio comunque che per ricevere i giusti stimoli, i pesci devono vivere in un
ambiente positivo, nel senso che devono trovarsi a loro completo agio.
Traducendo concretamente queste esigenze possiamo affermare che acqua pulita,
arredamento che rispecchi il loro habitat naturale, ma soprattutto il giusto nutrimento,
sono fattori senza dubbio predisponenti alla riproduzione o meglio alla deposizione,
dato che spesso essa avviene anche in presenza di valori dell’acqua non ottimali (pH,
durezza) e dove quindi ben difficilmente si otterrà una schiusa.
Di fondamentale importanza a questo proposito risulta essere l’alimentazione: cibo
ricco e variato, in particolare surgelato per non dire vivo, sono il nostro asso nella
manica; sembra addirittura che le larve di zanzara abbiano un forte potere stimolante,
dato che sono ricchissime di proteine.
In situazioni di allevamento particolarmente positive, accade non di rado che più
coppie siano pronte ad accoppiarsi.
Taluni autori consigliano allora di recuperare tutti i possibili riproduttori e di inserirli
nella vaschetta predisposta; frequentemente però, gli animali non coinvolti negli atti
sessuali, trovano particolare gusto nel divorare le uova appena espulse: non dobbiamo
mai dimenticare che esse sono una vera leccornia per tutti i pesci.
Comunque per procedere ad una riproduzione razionale è conveniente preparare
adeguatamente i riproduttori. Una volta individuati i sessi con sicurezza, si
dovrebbero mantenere separati per una decina di giorni in vasche differenti, con i
valori biochimici usuali per l’allevamento. Giuoca un ruolo importantissimo per non
dire fondamentale il tipo di nutrimento.
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Coppia di Cardinali: sopra il maschio sotto la femmina.
Possibilmente sarebbero da somministrare larve di zanzara vive, drosofile (o
moscerini dell’aceto: si ritrovano abbastanza frequentemente nei negozi specializzati
in erpetofilia dato che fungono da nutrimento per piccole creature) e daphnie.
In mancanza di ciò potremo optare per il mangime surgelato: chironomus, artemie,
larve di zanzare, oltre a uova di pesce, possono essere considerati un cocktail
altamente proteico e nutritivo, che permetterà alle femmine in poco tempo di produrre
notevoli quantità di uova.
Quando le femmine avranno raggiunto una buona produzione di uova (messe in
evidenza da un ventre molto tindeggiante), potranno essere immesse assieme al
maschio prescelto nella vasca adibita alla deposizione.
Un breve ambientamento è d’obbligo e generalmente il mattino successivo, a partire
da metà mattinata, avverrà il rituale dell’accoppiamento.
L’accoppiamento.
L’accoppiamento avviene in prevalenza sulla sommità o nell’intrico dei vegetali: il
maschio affianca alla femmina dal basso verso l’alto e con un leggero tremolio delle
pinne i due pesci effettuano un guizzo velocissimo verso la superficie: è in questo
preciso istante che vengono espulsi i prodotti sessuali.
Gli atti possono susseguirsi anche per diverse ore, fino a produrre, variabilmente da
specie a specie, diverse centinaia di uova. Sebbene si rispettino tutti i parametri
fisico-chimici ottimali, è da ritenersi normale l’imbiancamento, cioè la morte degli
embrioni o la mancata fecondazione, di un 20/30% delle uova.
A deposizione avvenuta (le uova sono generalmente in mezzo o al disotto del
substrato messo a disposizione) è imperativo allontanare i genitori, che non
esiterebbero a banchettare con le proprie uova e i propri avannotti.
In una trentina di ore circa, sempre a secondo della temperatura, schiudono; ne
sgusciano piccole larvette trasparenti, di circa un paio di mm di lunghezza (ciò è
valido per le specie più piccole come P. innsi) dotate di un grossissimo sacco vitellino
ed è in tale momento che dovremo spegnere il filtro in quanto inevitabilmente
risucchierebbe queste piccolissime creature: nella maggior parte dei casi, esserini
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Un decimo di secondo dopo l’accoppiamento: evidenziate dalle righe gialle le piccole uova appena espulse.
vitrei che misurano solo qualche mm; giacendo sul fondo, in 4/5 giorni riassorbiranno
il sacco vitellino e si trasformeranno in pesciolini veri e propri; questi ultimi, dalle
dimensioni comprese tra i 3 e i 4 mm, andranno nutriti quotidianamente non meno di
un paio di volte con mangime finissimo vivo come rotiferi e infusori.
Come nutrire gli avannotti
Come detto i piccoli Caracidi, variabilmente da specie a specie, nonappena iniziano a
nuotare assumono esclusivamente cibo vivo: attenzione perché qualunque tentativo
facessimo di nutrirli con altre sostanze, potremmo perdere l’intera covata nel giro di
una settantina di ore.
E’ fondamentale quindi predisporre una coltura apposita di microrganismi. Per le
specie di maggiori dimensioni (Gymnocorymbus, Phenacogrammus…..) saranno
sufficienti naupli di Artemia appna schiusi. Per i piccoli dei Tetra di minori
dimensioni saranno indispensabili per i primi giorni rotiferi ed infusori.
In particolare sembra essere gradito il ciliato Paramecium caudatum, lungo circa 200
micron. Ottenere un’abbondante numero di questi esseri non è difficile, anche se si
ottiene un’acqua dall’odore decisamente sgradevole.
Difatti occorre far macerare del fieno, possibilmente raccolto su sponde di corsi
d’acqua puliti, in un vasetto: si procede riempiendo la metà inferiore di fieno, su cui
viene appoggiata una spugna sintetica (per intenderci una di quelle azzurre che
normalmente utilizziamo come substrato filtrante) di forma tale da formare una
specie di “tappo” sul fieno. Riempiremo successivamente tale vasetto con della
normale acqua di rubinetto a cui aggiungeremo qualche cucchiaino da te di acqua
dell’acquario. Un piccolo pezzo di pianta acquatica putrescente sarà il tocco finale
che permetterà di velocizzare la colonizzazione da parte di microrganismi.
Occorreranno dai 10 ai 15 giorni affinché la nostra coltura sia in grado di produrre
queste piccole creature in quantità tale da sfamare i nostri neonati.
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Bisogna tenere presente che in primo luogo verranno prodotti dei batteri: in questa
fase l’acqua si presenterà lattiginosa e opalescente. Gli infusori veri e propri invece
saranno invece visibili anche ad occhio nudo sotto forma di una finissima polverina
in costante movimento. Se poi possediamo un microscopio, saranno sufficienti anche
solo una cinquantina di ingrandimenti per mostrarci queste piccole creature in tutta la
loro vitalità.
Questi esseri andranno aspirati con una pipetta e inseriti almeno un paio di volte al
giorno (meglio se ogni 3 o 4 ore ) nella vasca dove guizzano i piccoli Caracidi.
Ulteriore accortezza, qualora il numero di avannotti sia elevato e il tempo da dedicare
loro sia limitato, è l’aggiunta in vasca di qualche ciuffo della pianta galleggiante
Riccia fluitans, fra i cui ammassi vive un microcosmo di esseri viventi, futuro cibo
per i piccoli Tetra; personalmente uso anche aggiungere una piccola manciata di
fieno raccolto su sponde di corsi d’acqua pulita: è l’elemento propulsivo alla
formazione di una miriade di microorganismi che andranno ad arricchire il menu dei
pesciolini; in questa delicata fase evitiamo invece di introdurre mangime vivo o
piante raccolte in natura: spesso apportano animaletti indesiderati come larve
carnivore di insetti acquatici.
Se tutto procede bene 7/10 giorni dopo saranno abbastanza grandi per nutrirsi di
naupli di Artemia appena schiusi; allo scopo esistono in commercio pratici schiuditoi
che svolgono egregiamente la loro funzione.
Teniamo presente che per specie dalle grosse dimensioni (Gymnocorymbus,
Phenacogrammus, alcune specie di Hemigrammus…….), può essere evitata la
somministrazione di infusori, dato che le dimensioni, una volta riassorbito il sacco
vitellino, consentono loro di nutrirsi di naupli di Artemia appena schiusi.
Fortunatamente per noi, questi crostacei cosmopoliti hanno un sistema riproduttivo a
prova di bomba (è proprio il caso di dirlo!!!).
Schiuditoio e cisti d’Artemia salina
Normalmente le femmine producono uova che riuniscono a grappolo sotto di esse e
che trasportano nel loro incessante nuotare per assumere cibo (come detto sono
filtratori). Ma quando per svariati motivi, le situazioni ambientali diventano avverse
(ad esempio quando il bacino si prosciuga) emettono delle cisti perenni, ovverosia
delle uova ricoperte di uno scudo protettivo in grado di resistere persino a siccità
perduranti diversi anni o decenni. Sarà sufficiente poi che l’acqua ritorni per fare in
111
modo che nell’arco di una trentina di ore, dalle cisti nascano dei piccoli naupli vitali,
che iniziano a nuotare freneticamente: un cibo insostituibile per i piccoli pesci.
Le ditte specializzate hanno imparato a raccogliere e commercializzare queste cisti.
A noi basterà aggiungere dell’acqua lievemente salata e una manciata di cisti per
ottenere dell’ottimo mangime vivo dalle minute dimensioni
In questo momento non è possibile nutrirli con nessun tipo di mangime commerciale;
il successo sta quindi nella pazienza, l’osservazione e l’attenzione da parte
dell’acquariofilo.
Dato che le somministrazioni di mangime saranno come minimo2/3 al giorno e
avremo il filtro disattivato, risulteranno indispensabili dei cambi parziali quotidiani di
almeno 1/10 (meglio se più) onde evitare l’accumulo di sostanze indesiderate, specie
quelle azotate, che inibirebbero la velocità di crescita dei neonati.
Lo svezzamento.
A un mese di vita (spesso anche più) potremo riaccendere il piccolo filtro e procedere
con lo svezzamento a base di mangimi commerciali: alla prima somministrazione di
Naupli, sostituiremo del fine mangime triturato apposito per avannotti, per poi
proseguire con i successivi pasti a base di piccole Artemie; inevitabilmente alla prima
somministrazione avremo un rifiuto quasi totale, ma lentamente, costantemente e con
infinita pazienza dovremo abituare i nostri (è proprio il caso di dirlo!!!) piccoli amici
ad assumere il cibo secco. E’un operazione che a volte richiede qualche settimana,
ma non bisogna affrettare i tempi: sono ancora in fase di crescita ed un eventuale
carenza alimentare potrebbe compromettere il benessere dei giovani pesci.
Ed è proprio intorno ai 40 giorni che i piccoli Tetra iniziano a diventare più
intraprendenti e ad assumere le sembianze adulte; fino ad ora essi erano delle piccole
creature dall’aspetto vitreo e diafano, quasi alieno, che nuotavano subito a ridosso di
ripari e corpi sommersi, evidentemente più preoccupati di non essere mangiate che a
nutrirsi. Ora invece il corpicino inizia a colorarsi e ad assumere le forme e i colori
classici di ogni specie, avendo raggiunto le dimensioni di circa 1 cm; iniziano anche a
formare piccoli gruppi e ad essere estremamente curiosi ispezionando qualunque
particella che fluttui nell’acqua; è proprio sfruttando questa loro ultima variazione
comportamentale che porteremo a buon fine il difficile compito dello svezzamento.
In parole povere: quando iniziano a colorarsi sopraggiunge il momento di abituarli al
mangime secco, MAI prima.
L’accrescimento.
Una volta iniziato a nutrirsi con mangime secco, il loro accrescimento diviene
incredibilmente rapido, in modo particolare se aiutato da frequenti cambi parziali e da
nutrimento ricco e variato.
Mi soffermerei un istante sull’importanza dei cambi parziali in fase di accrescimento,
sottolineando il fatto che un’acqua troppo ricca di scorie metaboliche (fosfati,
nitrati….) impedisci il normale sviluppo del corpo e produce, in soggetti predisposti o
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deboli, forme di rachitismo e deformazioni all’apparato scheletrico e allo sviluppo
delle pinne.
A parte questa doverosa precisazione, non vi sono altre note di importanza rilevante
da menzionare, dato che nemmeno valori biochimici (intesi come pH o durezza)
diversi da quelli canonici producono alterazioni al benessere dei nostri piccoli Tetra
“made in Italy”.
Presumibilmente la maggior parte dei Tetra oggi presenti in commercio e provenienti
dagli allevamenti intensivi del Sudest asiatico e dei paesi dell’Est europeo (in
particolare la Repubblica Ceka e la Slovacchia) non hanno più di 3/6 mesi di vita.
Ed è proprio intorno ai 6/8 mesi che diventano maturi sessualmente; piccola nota
riguardo ai riproduttori: sono proprio gli esemplari più giovani che sono in grado di
assicurarci un maggiore successo riproduttivo, animali che non abbiano superato i
12/18 mesi di vita. D’altra parte è nota anche la longevità di questi pesciolini, che ci
consentirà per diversi anni di abbellire con i loro sgargianti colori l’acquario di casa,
magari proprio con i “nostri” Tetra fatti in casa.
Piccoli Cardinali: a 4 gg di vita e dopo circa 40 gg.
Come abbiamo visto una volta imparato qualche piccolo trucchetto, la riproduzione
di questi simpatici ospiti degli acquari di tutto il mondo, risulta essere divertente e di
facile realizzazione, in grado di dare grosse soddisfazioni persino a coloro che da
poco si sono affacciati a questo meraviglioso hobby; soddisfazioni semplici da
ottenere considerando anche l’attrezzatura veramente “lillipuziana” necessaria per
ottenere la riproduzione e l’accrescimento dei piccoli.
Gli avannotti dei Caracidi sono sicuramente fra i più rustici e meno esigenti; l’unico
periodo veramente critico è, per le specie piccole, la prima settimana dove devono
essere nutriti con cibo microscopico. Al di la di ciò, è possibile arrivare ad accrescere
una prole anche numerosa in pochi litri di acqua. Ma la cosa veramente importante e
che non mi stancherò di ripetere, sono i cambi parziali: fondamentali e indispensabili
per la salute dei nostri animali.
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SCHEDA DI SINTESI 9
Tempi medi di maturazione dei Tetra, dalla deposizione alla maturità sessuale.
Schiusa: 24 ore.
Riassorbimento sacco vitellino: 4 giorni.
Nutrimento a base di microorganismi (valido per le specie più piccole): una settimana/10 giorni a
partire dal primo giorno di nuoto.
Nutrimento a base di naupli di artemia appena schiusi: 25 giorni a partire dal primo giorno in cui
assumono i naupli di artemia (teoricamente quindi a partire dall’ottavo giorno di nuoto).
A 40 giorni dalla chiusa avviene il mutamento di colore, con l’acquisizione della livrea adulta: ora i
piccoli Tetra sono la copia ridotta dei genitori: lo svezzamento dai naupli dovrà avvenire a partire
da questo momento.
La maturità sessuale avverrà a partire dal momento in cui la taglia degli avannotti avrà raggiunto
poco meno della metà della taglia massima che raggiungeranno da adulti, ad un’età compresa tra i 4
e i 6 mesi di vita.
NOTA: questi sono i tempi medi di una crescita sana fatta da allevatori non professionisti. Nei
centri di allevamento intensivo questi tempi vengono notevolmente ridotti e già a 3 mesi molti Tetra
sono pronti per essere commercializzati.
114
CAP 7 Sani come un pesce?
Non sempre è così.
Criteri di scelta per un corretto acquisto.
Sebbene i vecchi detti popolari derivino da anni ed abbiano fondamenti concreti,
conviene rivedere uno di questi detti dove si affermava che i pesci fossero privi di
malattie: come tutti avrete capito mi sto proprio riferendo al famoso “….sani come un
pesce!”
Ora, sulla validità o meno di questo detto non mi permetto di giudicare, ma si rende
necessario approfondire le argomentazioni dalle quali scaturisce.
Se quindi è vero che le voci di popolo sono mezze verità, è altrettanto vero che i
pesci, ogni tanto, si ammalano.
Esistono migliaia di patologie che possono colpire i pinnuti, come del resto qualsiasi
altro vertebrato: virus, batteri, protozoi, funghi, endo ed ecto parassiti…….
E’ altrettanto vero però che nel corso dell’evoluzione, tutti gli organismi viventi
hanno imparato a combattere o convivere con questi organismi; difatti, nel caso dei
parassiti, il volere ultimo di questi è proprio la morte della loro fonte di
sostentamento!
Cionondimeno, soprattutto in acquariologia, accade sovente di imbatterci in
situazioni devastanti, con morie apocalittiche nel giro di qualche giorno.
Ma andiamo con ordine e cerchiamo di capire il perché della mezza verità “vera” del
saggio detto popolare.
Assodato il fatto dell’esistenza delle malattie dei pesci, dobbiamo sinceramente
affermare che ben difficilmente in natura ci si imbatte in pesci ammalati, e qualora
raramente siano vittime di patologie, dove esse producano sintomi fortemente
debilitanti e che addirittura producano handicap nei soggetti colpiti, ci sono ben
poche probabilità di sopravvivere, da cui è facile dedurre che i pesci hanno ben poche
possibilità di ammalarsi gravemente, dato che non potendo sfuggire ai predatori,
cadono facilmente vittima di questi ultimi.
In estrema sintesi, in natura è difficilmente trovare pesci malati per il semplice
motivo che vengono mangiati prima: solo un pesce sano e nelle piene capacità fisiche
e motorie è in grado di sfuggire alla miriade di predatori che popolano le acque.
Del resto sono proprio i pesci che presentano comportamenti e movimenti anomali
che attraggono i predatori: un pesce che nuota male è sicuramente uno spuntino più
facile!
Abbiamo imparato perciò anche la verità “falsa” e cioè che anche i pesci si
ammalano.
In natura però, essi vivono in un mondo che li ha forgiati in millenni di evoluzione, il
loro mondo, dove gli spazi sono spesso quasi infiniti (pensiamo alle distese oceaniche
115
o semplicemente al Rio delle Amazzoni), dove la densità di popolazione in rapporto
allo spazio è bassissima e dove proprio per questo gli elementi patogeni hanno
maggiore difficoltà a diffondersi. Pensiamo che in natura i pesci hanno a disposizione
tutto il cibo di cui abbisognano 24 ore al giorno e un cambio d’acqua completo
quotidianamente, un’acqua dove sono nati!
Considerando tutti questi, e altri ancora, fattori positivi, si evince che ben
difficilmente in natura i pesci si ammalino e dove ciò avvenga hanno grosse
possibilità di guarire o, viceversa, esser predati, interrompendo in ogni caso il
proliferare di eventuali epidemie.
Tutti i fattori positivi per la salute, sovente in acquario domestico vengono a
mancare: densità elevate, acqua degenerata e priva di ricambio, cibo inadatto,
ambiente ostile e chi più ne ha più ne metta ci fanno spesso riflettere su come
addirittura riescano a campare in certe situazioni, dimostrando che i pesci sono
animali dalle incredibili capacità di adattamento.
Il segreto di avere un bell’acquario, rispecchia un altro detto latino “mens sana in
corpore sano” che tradotto in termini acquariologici vuole dire pesci sani in ambiente
sano!
Per ottenere ciò bisogna partire però con il piede giusto ovverosia con animali sani.
Anche l’introduzione in vasca di un solo pesce colpito da patologia, potrebbe rivelarsi
un bomba a tempo e in pochi giorni distruggere l’intera popolazione di un acquario.
Ma come si fa a riconoscere un pesce sano da un pesce malato?
Per prima cosa dobbiamo guardare le pinne: si osservi la struttura su un libro, la si
verifichi nella vasca del negozio. Se corrisponde nei suoi criteri di massima (ogni
soggetto potrebbe avere piccole differenze, rilevabili in particolare negli esemplari
cosiddetti “pinne a velo”) abbiamo superato il primo step. Diffidiamo da animali che
abbiano pinne vistosamente differenti dai canoni usuali, in particolare di pinne
sfilacciate, monche e dai bordi imbiancati: molto probabilmente sono attaccate da
batteri. Una pinna troncata ma senza bordi bianchi o sfilacciati è sinonimo di un
morso e tendenzialmente l’animale è sano. Pinne chiuse o chiazzate di puntini o
macchie bianche indicano la presenza di protozoi.
Venendo al corpo deve presentare una livrea priva di chiazze rosse (versamenti
ematici), nere (tumori), bianche (batteriosi) o ulcerazioni, oltre a presentare una linea
non incurvata, segno di problemi alla colonna vertebrale.
Se i pesci sembra facciano fatica a galleggiare e continuano a nuotare i direzione
della superficie come se fossero attratti verso il fondo presentano problemi alla
vescica natatoria e sono destinati a breve vita.
L’epidermide deve presentarsi liscia e senza eventuali patine biancastre o opalescenti,
sinonimo di ipersecrezione di muco: un sistema che i pesci adottano per difendersi
dalle infestazioni da parte di protozoi o vermi della pelle.
Anche il comportamento ci può guidare in una corretta scelta: un nuoto veloce,
scattante e privo di incertezze è sicuramente sinonimo di salute; viceversa animali
apatici, che non reagiscono e che rimangono dondolanti in un angolo o in superficie,
ci inviano chiari messaggi dei problemi che li affliggono.
116
Altro segnale importante ci viene dato qualora venga mimato il gesto della
somministrazione del cibo: abituati di riflesso a tale movimento che significa “….è
pronto da mangiare……” animali sani si gettano a capofitto verso la superficie,
impazienti di abboccare le particelle alimentari che vengono inserite in vasca.
Anche durante il pasto è opportuno verificare le condizioni di salute dei pesci: se
presentano, variabilmente da specie a specie una sana voracità, è segno che gli organi
interni sono a posto.
Viceversa, pesci che rifiutano o abboccano e sputano il nutrimento normalmente dato
loro, potrebbero indicarci che i loro organi interni sono affetti da patologie, in
particolare Flagellati intestinali.
E’ quindi prima di tutto il nostro occhio e un pizzico di esperienza (nonché l’onesta
del negoziante) a guidarci verso una sicura scelta dal punto di vista sanitario dei
nostri pesci.
Altre utili osservazioni che possono guidarci nella scelta riguardano invece proprio di
soggetti medesimi.
E’ infatti preferibile acquistare pesci giovani, dato che si abituano meglio al nuovo
ambiente cui verranno destinati, senza contare che potranno allietare con i loro colori
la nostra vasca per un maggiore periodo di tempo. Pesci giovani che a volte non
presentano gli straordinari riflessi degli adulti; è vero però che, se correttamente
allevati, anch’essi nel giro di breve tempo svilupperanno i medesimi colori.
Diffidiamo invece di pesci giovani molto…….anzi troppo colorati: per ottenere
questa colorazione, spesso vengono utilizzati ormoni, che rovinano per sempre gli
animali, in particolare per quanto riguarda l’apparato riproduttore.
Meglio prevenire che curare.
Quante volte abbiamo sentito dai medici l’affermazione “…..prevenire è meglio che
curare……..”, un’affermazione che trova applicazione in tutti i campi, anche in
quello acquariologico.
Seguire poche regole fondamentali che derivano e da una base di cultura specifica
(ad esempio informandosi sulla biologia delle specie ospitate) e da suggerimenti
derivanti dal normale buon senso (come inserire specie della medesima taglia) ci
aiuteranno sicuramente a mantenere bassa o addirittura inesistente la presenza di
malattie nella nostra vasca.
Seguire la normale manutenzione della vasca è opera assolutamente necessaria:
l’acquario, sebbene abbia necessità di mantenimento infinitamente inferiori se
paragonate a quelle di un cane o solamente di un criceto, deve, e ripeto deve, essere
considerato a tutti gli effetti come un essere vivente, con i suoi equilibri interni ed
esterni, nel senso di sostanze da eliminare. Pertanto così come una cane elimina le
proprie scorie durante le passeggiate rituali, altrettanto dobbiamo fare noi con il
nostro acquario; ovviamente non potendolo portare al parco al guinzaglio per farli
depositare i proprio bisogni, dovremo fare le veci di questa funzione con un’azione
tanto semplice quanto importante: il cambio d’acqua. Non mi stancherò mai di
ripetere questa frase; oltre a ridurre i cataboliti animali e altre sostanze indesiderate,
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questa azione ha l’impareggiabile pregio di ridurre la carica microbica presente in
vasca; in acquari equilibrati e non sovraffollati, talune patologie non virulente e
circoscritte, possono essere risolte semplicemente con abbondanti cambi d’acqua.
Non dimentichiamo nemmeno l’importanza del cibo che somministriamo: più ricco e
variato si presenta, più salute saremo in grado di dare ai nostri animali.
Una convinzione personale è quella che, in un ambiente sano ed equilibrato, se
paradossalmente i pesci avessero a disposizione del mangime vivo dalla mattina alla
sera, i pesci non si ammalerebbero MAI.
Ricordiamo inoltre che i pesci devono mangiare a sufficienza: 2/3 somministrazioni
quotidiane che siano consumate in una decina di secondi saranno in grado di
soddisfare l’appetito dei pinnuti senza creare sovrabbondanze inutili che andrebbero
ad intaccare la buona qualità dell’acqua.
Anche l’habitat giuoca un ruolo importante. Per non commettere errori conviene in
questo caso avere delle piccole cognizioni biologiche sulla provenienza degli
animale, cercando in acquario di riproporre l’ambiente naturale dove vivono queste
specie, anche se a dire il vero molte di esse provengano semplicemente da
allevamenti industriali.
Stesso discorso vale per i valori biochimici, con particolare riferimento a pH e
durezza: sebbene ormai la maggior parte delle specie sia allevata e abituata a
condizioni variabili, conviene sempre rispettare, nei limiti delle nostre possibilità,
della vasca e degli altri ospiti, i valori di riferimento specifici.
L’importanza della quarantena
Tutto quanto entra nell’acquario comporta un’interferenza nel normale equilibrio biologico
preesistente, e la creazione di un nuovo equilibrio biologico.
L’inserimento di nuovi organismi, potrebbe portare agenti patogeni, che rapidamente
si trasmetterebbero rapidamente ai vecchi ospiti; viceversa agenti patogeni latenti
nella nostra vasca, a cui i pesci già presenti resistono grazie alla presenza di anticorpi
specifici, potrebbero a loro volta attaccare il nuovo ospite.
Da sottolineare che il termine “nuovo” comprende tutti gli organismi viventi e non
che vengono inseriti in acquario e che potenzialmente potrebbero tramutarsi in veicoli
di trasmissione di malattie; pericolo quanto mai concreto laddove anche oggetti
inanimati provengano da vasche con altri pesci. E’ sufficiente l’inserimento anche di
una sola pianta o sasso che arriva da vasche contaminate, per creare effetti devastanti
nel luogo i destinazione. Anche il passaggio di una mano o di un retino da una vasca
all’altra può essere veicolo di infezione: e sufficiente anche una sola goccia per creare
un disastro inimmaginabile.
Sarebbe buona norma quindi mantenere per almeno un paio di settimane gli animali
appena acquistati in una vasca di quarantena, con acqua pulita ed abbondante
alimentazione.
Per le piante, qualora provengano da ambienti potenzialmente contaminati (ad
esempio raccolta in natura), si dovrebbero immergere per qualche minuto in una
soluzione acquosa disinfettante (1 cucchiaino di allume in 1 L d’acqua); sassi, legni e
118
altri oggetti, qualora provengano da vasche abitate che abbiano avuto problemi di
parassitosi, dovrebbe essere bolliti. Se invece di nuova acquisizione, sarà sufficiente
un’abbondante risciacquo i acqua corrente.
Brevi cenni sulle principali patologie e loro cure.
Sebbene i Caracidi siano pesci sostanzialmente robusti e adattabilissimi alle più
disparate situazioni ambientali (non dimentichiamo che in natura affrontano e
superano con successe periodi di piogge prolungate o, viceversa, siccità perduranti),
se sottoposti a stress fisici prolungati o a cattive condizioni di allevamento, possono
presentare diverse patologie.
Terapia specifica.
Il farmaco somministrato al pesce malato o sano è una sostanza estranea al
metabolismo animale e pertanto possiede sempre un certo grado di tossicità.
Per questo motivo è sempre preferibile seguire un iter razionale per poter debellare al
meglio la patologia.
Per fare ciò è necessario individuare per certo quale malanno abbia colpito i nostri
ospiti, cercando di evitare di intervenire con più farmaci nella speranza di
“azzeccare” quello giusto: se somministriamo a caso il rimedio potrebbe rivelarsi
peggiore del male. E’ anche importante seguire scrupolosamente le istruzioni: a volte
bastano poche gocce di differenza per creare situazioni compromettenti l’equilibrio
biologico e la vita della nostra vasca.
Quali rimedi scegliere.
Sicuramente in qualunque punto commerciale specializzato in acquariofilia è
possibile reperire rimedi di sicuro effetto sulle principali malattie che colpiscono i
pesci d’acquario.
Ciò nondimeno è possibile recuperare altre fonti, che in situazioni particolarmente
gravi, potrebbero dare maggiori benefici, anche se più difficili da utilizzare; per
questo qualora determinati sintomi perdurassero, sarebbe cosa saggia rivolgersi
presso qualche veterinario.
Fondamentalmente per curare i pesci si possono utilizzare:
- presidi medico chirurgici a uso veterinario specifici per l’acquriologia e
acquistabili liberamente presso i negozi del settore in forma di liquidi o compresse
solubili in acqua.
- Farmaci ad uso veterinario, ma efficaci anche sui pesci.
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- Farmaci ad uso umano contenenti principi attivi non registrati per alcuna
formulazione a uso veterinario, reperibili in farmacia, per i quali è necessaria una
ricetta medico-veterinaria riportante i dati anagrafici dell’acquirente.
Se non si ha molta dimestichezza con le dosi, alla prima somministrazione è bene
farsi aiutare nella diluizione di questi rimedi, calcolando direttamente il dosaggio da
utilizzare.
Per quanto riguarda le modalità di somministrazione, si possono riassumere in 3
principali metodologie:
- la via parenterale: con una siringa con ago da insulina o addirittura più piccolo, si
inietta il principio attivo direttamente nell’organismo.
- via orale nel cibo: il farmaco viene sciolto nel cibo, iniettato o miscelato ad esso.
- via ambientale: cioè in soluzione acquosa e inserito nell’acquario o, meglio nelle
vaschette infermeria, dove vengono assorbiti attraverso le branchie e la cute.
I primi due sono stati citate a puro titolo informativo, dato che per i Tetra hanno
poche possibilità di applicazione sia per motivi di dimensioni (un ago difficilmente
potrebbe penetrare in corpi tanto piccoli da non provocare danni) che patologici, in
quanto difficilmente vengono colpiti da malattie interne.
Ben più minacciosi sono i batteri e i protozoi, facilmente eliminabili attraverso
farmaci in soluzione.
Un’ultima osservazione: se si tratta di malattie non infettive è bene curare i soggetti
colpiti a parte in una particolare vaschetta ad uso infermeria, dato che inserire in un
acquario avviato sostanze tossiche avrebbe sicuramente ripercussioni negative.
Tali vaschette, dovrebbero essere munite di termoriscaldatore, una piccola luce
(sufficiente per poter osservare l’evolversi della patologia ma non eccessivamente
forte da intimidire l’ospite) e un piccolo filtro caricato a resina espansa, nonché un
aeratore.
Un’anfora e piante finte o altri oggetti che fungano da rifugio completano
l’arredamento della vasca.
Inutile dire che la qualità dell’acqua dovrà mantenere le medesime caratteristiche
chimico-fisiche della vasca di provenienza.
Fatta questa doverosa premessa passiamo ad analizzare quali sono le principali
patologie che possono colpire i nostri Tetra in acquario, provando anche a descrivere
i sintomi principali per ciascuna patologia (compito non semplice dato che malattie
differenti possono avere sintomi esterni uguali) al fine di individuare quale sia la
diagnosi ed effettuare la cura ottimale per la guarigione.
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Le malattie dei Tetra.
Per cominciare volevo descrivere non propriamente una malattia con cause e relative
cure, ma più semplicemente un sintomo esteriore, che a dire il vero potrebbe avere
diverse origini: da quella virale a quella batterica a quella di un’acqua deteriorata.
Quando uno dei nostri pesci presenta occhi sporgenti (esoftalmia), squame sollevate e
ventre rigonfio (idropisia)in modo abnorme, siamo in presenza della cosiddetta
ascite.
Tendenzialmente colpisce pesci indeboliti o che vivono in situazioni di scarsa igiene
e l’elemento scatenante è, generalmente un virus, a cui si accompagnano i batteri che
trovano nel pesce malato terreno fertile per la loro replicazione, in particolare nel
liquido che si accumula nella cavità addominale.
Anche in letteratura specializzata non si trovano cause specifiche scatenanti questa
patologia, se non quelle relative a cattive condizioni generali di allevamento.
Sebbene su tale letteratura si faccia riferimento a diversi sistemi curativi,
personalmente, data la gravità e potenziale pericolosità infettiva (il pesca colpito è
simile a una bomba biologica, dato che al suo interno si sviluppano miriadi di
batteri) preferisco sopprimere l’animale: i sistemi curativi sono spesso inefficaci,
anche se una terapia a base di antibiotici potrebbe sortire effetti positivi qualora la
malattia fosse diagnosticata in tempi ristrettissimi.
Siamo partiti a descrivere questa patologia per prima dato che non sarebbe stato
corretto farla rientrare in un gruppo specifico di malattie, come vedremo in seguito, in
quanto la causa della sua comparsa è ancora incerta.
Troveremo di seguito descrizioni interessanti suddivisi per agente patogeno dei
principali malanni che possono colpire i nostri pesci.
- Le malattie virali -
Le cause di queste malattie sono ovviamente i virus, cioè organismi non visibili con
un normale microscopio ottico, che vivono solo all’interno di cellule appartenenti a
un essere vivente.
Molte malattie sono provocate da un virus, per esempio il raffreddore, il morbillo,
l’epatite, e molte altre ancora.
Mentre le malattie batteriche possono essere facilmente debellate con l’uso di
antibiotici specifici, per le malattie virali non esiste una terapia atta a sconfiggere il
virus, bensì solo una cura cosiddetta “sintomatica” che aiuta l’organismo a superare
l’infezione virale.
Fortunatamente per i nostri Tetra esse non rappresentano pericoli incipienti, dato che
nella maggior parte dei casi i virus sono strettamente correlati alla specie che viene
121
attaccata. Cionondimeno in casi di forte sovraffollamento e situazioni ambientali
sfavorevoli questi organismi sono in grado di mutare e migrare verso nuovi ospiti.
- Linfocisti - E’ forse l’unica malattia virale relativamente frequente in acquari
popolati da Tetra. In effetti rispetto ad altre patologie è decisamente più unica che
rara, ma è bene conoscerla per dovere di cronaca.
Questa patologia ha decorso cronico, cioè lento, e , pur essendo raramente mortale,
debilita notevolmente i soggetti colpiti.
E’ provocata da un Iridovirus ed è riscontrabile su molte specie di pesci di acqua
dolce, salmastra e marina.
I soggetti più colpiti sono tendenzialmente animali di cattura, giovani o esemplari
sottoposti a stress continuato. Da sottolineare che pesci sani e tenuti in buone
condizioni igieniche (anche alimentari) non sono minimamente attaccati da questa
patologia.
Sintomi: la linfocisti si manifesta con una serie di piccoli noduli da mezzo millimetro
a circa 2 mm di diametro, singoli o raccolti, più frequentemente, a gruppi di solito
biancastri , talune volte di colore più scuro. Sono simili a piccole perle generalmente
riscontrabili sui bordi delle pinne, ma possono essere presenti anche su altre parti del
corpo. Dato che queste piccole protuberanze danno all’animale un aspetto abbastanza
caratteristico, sono facilmente individuabili dato che non possono essere confuse con
altri sintomi, è pertanto estremamente semplice emettere una precisa dia gnosi.
L’animale colpito in un primo momento non sembra presentare sintomi secondari
eclatanti. Solo se non si interviene con la dovuta terapia, in beve tempo i piccoli
noduli si moltiplicheranno e parallelamente al loro sviluppo, l’animale accentuerà
comportamenti insoliti, come l’isolamento, l’astenia e il dimagrimento.
- Terapia: i soggetti affetti da linfocisti devono essere isolati e trasferiti in acquari
ben riscaldati e dotati di buon filtraggio. A volte queste misure, unitamente ad
un’alimentazione appropriata (ricca e variata), sono sufficienti per ottenere una
guarigione spontanea. L’uso di farmaci disinfettanti, è in genere superfluo a meno
di evidenziare l’insorgenza di altre patologie collaterali (dovute quindi ad
indebolimento organico). Essendo l’agente patogeno un virus, è solo l’organismo
attaccato che può difendersi e non ci resta quindi che migliorare le condizioni
igieniche generali e alimentari. Anche l’aggiunta di prodotti polivitaminici in
acqua, può essere di aiuto. L’intervento chirurgico, qualora i noduli abbiano
attaccato le pinne, può essere risolutorio coadiuvato dal miglioramento generico
sopra citato: il piccolo intervento consiste nell’asportare i noduli attraverso
un’incisione della pinna, mantenendo un batuffolo di ovatta imbevuta di acqua
sulla testa del soggetto e utilizzando una lametta da barba; in pesci piccoli, come i
Tertra, bisogna avere particolari cautele nella manipolazione e sarebbe auspicabile
l’utilizzo di guanti in lattice.
122
Fortunatamente nei nostri Caracidi tale patologia è decisamente rara ed è stata
menzionata più per dovere di cronaca che per effettivo riscontro.
Ma veniamo ora a descrivere delle patologie che invece sono ben più minacciose e
presenti nella vita dei pesci d’acquario in oggetto.
Sto parlando delle cosiddette malattie batteriche.
I batteri, spesso associati ad altri organismi patogeni quali virus, protozoi e miceti,
sono la causa di un ampio gruppo di malattie contagiose che possono interessare con
modalità più o meno virulente tutti i pesci.
Una volta diagnosticato con sicurezza il tipo di patologia, è possibile debellare
completamente la malattia batterica con l’uso di antibiotici appropriati o altri rimedi
farmacologici.
E’ importantissimo in molti casi una diagnosi precoce: in vasche sovrappopolate e
con animali stressati, talune infezioni possono uccidere un’intera popolazione nel giro
di 48 ore.
La corrosione della pinne - E’ una malattia batterica, provocata da più tipi di
batteri, quali Pseudomona, Aeromonas e Vibrio . Stress e condizioni di
allevamento inadeguate ne sono le cause principali. Si riscontra altresì nei pesci
d’importazione dopo lunghi tragitti e con un non perfetto adattamento ai valori
biochimici dell’acqua di destinazione. Un ambientamento troppo rapido produce
uno shock osmotico e un fortissimo indebolimento. I batteri hanno perciò facile
accesso alle estremità e le pinne sono il primo substrato a cui attecchire.
- Sintomi: sono principalmente riscontrabili sulle pinne; esse incominciano ad
ispessirsi, assumendo un aspetto lattiginoso e quindi si assottigliano e si sfilacciano,
lasciando nudi i raggi. Anche eventuali morsi possono intaccare le pinne, ma la
principale differenza tra un eventuale attacco batterico e un morso, è dovuto al fatto
che qualora una pinna venga danneggiata da quest’ultimo, presenta bordi trasparenti;
bordi invece biancastri possono essere un campanello d’allarme.
Le pinne così ferite sono facilmente aggredite da altri organismi opportunisti come
miceti e altri microrganismi, peggiorando la situazione generale
- Terapia: la comparsa di questa batteriosi deve indurre l’acquariofilo a una
valutazione generale del corretto funzionamento dell’acquario. E conveniente
allora effettuare alcune riflessioni sul corretto funzionamento della vasca. In
particolare una verifica su
- Alimentazione
- Impianto di filtraggio
- Igiene generale (in particolare del fondale)
- Valori fisico-chimici
- Temperatura
A questo punto e dopo aver consultato il veterinario di fiducia, si potrà procedere ad
instaurare una terapia adeguata.
123
La corrosione delle pinne si può presentare insieme ad altre patologie, per cui sarà
opportuno controllare attentamente se il soggetto presenta altri sintomi.
Nei Tetra questa malattia compare dopo lunghi viaggi, in presenza di altri soggetti
ammalati e in situazione di stress e sovraffollamento. Ha un grado di infettività
abbastanza elevata ed è fondamentale un intervento immediato.
E’ frequente nei pesci appena importati dal Sudest asiatico, anche se non ha un
decorso rapidissimo e lascia ottime chances di recupero, al contrario di altre
patologie, dove l’intervento repentino risulta decisivo.
- La malattia colonnare – E’ causata dal batterio: Flexibacter columnaris.
Il nome della malattia deriva dalla predisposizione di questi batteri dalla tipica forma
a bastoncello di raggrupparsi in “colonne”.
Questa patologia si manifesta tendenzialmente in pesci tropicali, dato che questi
microrganismi trovano terreno ideale di crescita a temperature generalmente superiori
ai 24/25°C.
Nei Tetra, sebbene non frequente, risulta essere devastante e potenzialmente, in
situazioni sfavorevoli come il sovraffollamento, è in grado di uccidere i pesci
all’incredibile ritmo di circa 10 soggetti all’ora.
- Sintomi: esteriormente attacca parti del corpo differenti da specie a specie. Nei
Pecilidi è la bocca e l’attacco delle pinne pettorali a portare i primi segni
dell’aggressione batterica.
Nei Tetra vengono attaccati i fianchi e la zona ventrale. La malattia compare nelle
zone descritte come punti biancastri dai bordi indefiniti.
Gli animali appaiono nervosi e tendono ad isolarsi; la respirazione assume un ritmo
elevato e il nuoto diviene via via sempre più difficoltoso, a scatti e in direzione della
superficie.
Nel giro di poche ore, le lesioni puntiformi si riuniscono, formando delle aree simili a
muffe, ma prive delle ife esterne (quei particolari filamenti caratteristici delle micosi).
Speso accade che i bordi di queste chiazze biancastre siano sanguinolenti e ulcerati.
Se non viene curato tempestivamente l’animale muore entro pochi giorni.
E’ una malattia che nei Caracidi ha un decorso velocissimo e per lo più letale; al
minimo allarme e dubbio è preferibile intervenire con un disinfettante generico in
rivendita presso i negozi specializzati in acquariologia.
Per casi gravi bisogna utilizzare antibiotici specifici.
- Terapia: come anticipato nei casi gravi consiste nella somministrazione di
antibiotici in vasca, previo un abbondante cambio parziale da proseguire anche
durante il trattamento; questa soluzione ci può dare una grossa mano a mantenere
limitata la carica batterica presente in acqua. Come accennato la malattia colonnare è
particolarmente virulenta e per lo più ha forme acute, ma è altrettanto vero che in
situazioni di vasche equilibrate e con limitata popolazione ittica, può essere risolta
124
semplicemente con abbondanti cambi d’acqua: in tale modo, anche se non si salvano
gli animali già colpiti, quantomeno si preservano gli altri ancora in salute.
E’ una malattia a decorso rapidissimo e deve essere diagnosticata nel minor tempo
possibile; purtroppo per i soggetti fortemente colpiti non c’è speranza e andrebbero
soppressi: eliminare questi pesci ormai indeboliti e ridotti a substrato di
accrescimento batterico è un sistema per interrompere o quantomeno diminuire la
loro proliferazione.
E’ però altrettanto vero che questa rapidità di intervento ci permette una efficace
risoluzione di questa patologia, con la guarigione totale dei pesci, almeno per quel
che concerne i Tetra. Per altri generi, come ad es. i Pecilidi, la situazione è un o’ più
complicata, a causa dell’indebolimento organico di questi pesci causato dalla
selezione esasperata.
Le malattie micotiche.
Le malattie micotiche sono sostenute da funghi.
Le micosi dei pesci ornamentali, non sono delle zoonosi, quindi non possono essere
trasmesse all’uomo, né hanno nulla in comune con le micosi umane (per esempio la
tigna), che a volte trovano nel cane e nel gatto il loro serbatoio potenziale.
Se immettiamo un pesce sano in un acquario ben equilibrato e lo alimentiamo con
una dieta bilanciata in tute le sue componenti difficilmente questo animale verrà
colpito da una malattia fungina.
Abrasioni, ferite cutanee, anche causate da morsi, alterazioni del muco che ricopre
l’epidermide dei pesci sono fattori predisponenti perché i funghi possano diventare
patogeni.
Un esempio banale che può offrire un varco all’aggressione da parte dei miceti è il
maneggiare pesci a mani asciutte: tale procedimento asporta dalla pelle dei pesci il
muco protettivo, lasciando una specie di ustione dove i funghi e altri elementi
patogeni trovano terreno fertile. Anche i Tetra sono frequentemente soggetti a queste
patologie, in particolare in acquari trascurati, con accumulo di sostanze putrescenti
sul fondo, una scarsa igiene generale e la mancanza di cambi parziali (ricodiamo
nuovamente che si dovrebbero effettuare un paio di volte al mese).
Le più comuni micosi che colpiscono i pinnuti sono la Saprolegna e l’Achlya.
Questi funghi sono i medesimi responsabile di quella peluria biancastra che si forma
sui cadaveri, sul mangime avanzato e sulle uova in cui l’embrione è morto.
Non va dimenticato un fattore importantissimo. I miceti sono sempre presenti in
acquario, appartengono infatti a tutta quella serie di organismi detti “degradatori”,
cioè tutte quelle creature, come batteri e protozoi, che attaccano e disgregano la
materia organica (foglie morte, pesci morti, feci, avanzi di mangime….)
Quando però la materia organica è presente in eccesso (come in vasche ove non viene
sifonato il fondo e sovrappopolate), vi è un’iperproliferazione di tutte queste creature
(fra cui i funghi) che sovente attaccano anche la materia vivente qualora trovino un
varco. Tale varco può essere prodotto da un morso, una ferita, una manipolazione che
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riduca lo spessore di muco (inteso anche come utilizzo di un retino)…….tutte
situazioni che non avrebbero nessuna conseguenza in vasche igienicamente sane (non
sovraffollate e con cambi regolari), ma potenzialmente pericolosissime in situazioni
negative. I funghi in particolare sono ottimi opportunisti e comunque si devono
annoverare fra le patologie secondarie, dato che generalmente sopravvengono in
seguito ad un trauma preesistente.
- Sintomi: inizialmente depositi cotonosi biancastri si localizzano in piccole zone
sulla pelle e sulle squame del pesce, ma nell’arco di breve tempo tendono a
ricoprire per intero il corpo dell’animale. Il pesce sembra ricoperto da una fitta
peluria e nel giro di alcuni giorni sopravviene la morte. Il decorso di questa
malattia è variabile in relazione alla qualità dell’acqua: più è “sporca” più è
rapida; viceversa è addirittura possibile che l’animale riesca autonomamente a
guarire.
- Terapia: un primo approccio consiste nell’utilizzare in vasca di quarantena 2 mg/L
di blu di metilene con un cucchiaino da tè di sale da cucina in 10 L di acqua.
Si può anche procedere nell’asportazione delle masse cotonose, con l’accortezza di
disinfettare la ferita con una soluzione di Betadine e acqua in rapporto di 1 a 10; per i
Tetra è un trattamento sconsigliato date le piccole dimensioni e il forte stress a cui
sarebbero sottoposti in caso di manipolazione.
Quale disinfettante specifico da utilizzate in acquario, possono essere utilizzati i vari
rimedi commerciali antifungini ad uso acquariologico.
A titolo di cronaca bisogna sapere che esistono altre patologie collegate a miceti
diversi dalla Saprolegna e Achlya, ma decisamente più rari e dai sintomi simili a tutte
le altre malattie dovute a indebolimento organico o cattive condizioni igieniche.
Sebbene anche i suddetti miceti possano attaccare le branchie (si vedranno allora i
sottili filamenti cotonosi fuoriuscire da esse), esiste però una micosi particolare che
attacca specificatamente queste ultime: il Branchiomyces sanguinis. Le branchie si
decolorano, si deteriorano e vengono invase da muco abbondante e filante.
I sintomi sono prevalentemente respiratori, associati a nuoto superficiale e aumento
del ritmo di respirazione. Si manifesta generalmente in acquari con presenza di
melma sul fondale e, di conseguenza, scarsamente sifonati.
Come abbiamo visto le micosi sono per lo più dovute a condizioni igieniche scadenti.
I Caracidi mostrano una discreta resistenza verso condizioni igieniche avverse e
pertanto queste patologie sono praticamente assenti in vasche ben gestite.
Le malattie parassitarie
Sono dovute principalmente a organismi pluricellulari invertebrati, che
attaccano il loro ospite suggendone i liquidi organici o divorando le sue cellule o
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tessuti. Possono vivere anche all’interno degli organi e degli apparati e la loro
azione debilitante si esplica attraverso la captazione degli alimenti o
l’interferenza più o meno spiccata nei normali processi vitali.
Sebbene in acquario questi organismi portino spesso alla morte dell’animale
parassitato, il loro interesse ultimo è proprio questo. In natura infatti convivono con il
loro ospite.
Stress, spazi ristretti e chiusi, cibo inadeguato, elevata densità di popolazione sono
tutti fattori predisponenti ad una massiccia riproduzione dei parassiti. Situazioni che
in acquario si trovano nella maggioranza dei casi e che indeboliscono le normali
difese organiche dei nostri pesci, rendendoli maggiormente vulnerabili agli attacchi di
queste creature.
- La dattilogirosi – E’causata da un’infestazione di vermi Trematodi del genere
Dactylogyrus, lunghi da 0.5 a 2 mm. Questi vermi sono quasi trasparenti, hanno
una tipica forma a foglia appiattita e sono muniti di microscopiche ventose e di
uncini che consentono loro di aderire perfettamente alle branchie dei pesci.
E’una parassitosi che colpisce molti generi di pesci d’acqua dolce, in particolare in
età giovanile o in condizioni debilitate dovute ad un allevamento non ottimale.
Sintomi: le branchie in particolare sono gli organi bersaglio di questi parassiti,
sebbene, in casi particolarmente gravi, possano estendere il loro raggio di azione
anche alla pelle, generalmente in zone posteriori gli opercoli branchiali.
Le principali sintomatologie esterne riscontrabili sono:
- aumento del muco branchiale che si presenta filamentoso;
- nuoto a scatti e protrusione della bocca;
- prurito e intenso sfregamento della parte anteriore del corpo;
- respirazione accelerata e opercoli sollevati.
Quest’ultimo sintomo è quello che ci indica inequivocabilmente l’attacco di questi
vermi. Grazie ad una attenta osservazione delle branchie sarà possibile osservare i
piccoli vermi. Sarà poi sufficiente prelevare una piccola quantità di muco branchiale
per avere la conferma della diagnosi. Allo scopo è può bastare anche un normale
microscopio ottico.
Terapia: se il vostro veterinario conferma la diagnosi, prima di iniziare la terapia è
necessario scoprire perché questa elmintasi ha invaso l’acquario.
Le cause più frequenti sono:
somministrazione di cibi contaminati;
immissione di piante su cui i Trematodi hanno deposto le uova; immissione in
acquario di nuovi pesci già parassitati; immissione in acquario di materiali
d’arredamento prelevati in natura senza una accurata disinfezione.
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Per quanto riguarda le proposte terapeutiche, è sempre consigliabile rivolgersi ad un
veterinario specializzato in ittiopatologia; sul web non dovrebbe essere difficile
reperire indirizzi utili.
Il rimedio che personalmente ritengo essere più valido, anche in questo caso deve
essere ripetuto per distruggere le giovani larve, è l’immersione dei pesci in acqua
marina, cioè con circa 30 g di sale (da cucina) per L.
Occorre prestare molta attenzione ai pesci procedendo al loro immediato
trasferimento in presenza di comportamenti anomali.
Saranno sufficienti un paio di minuti (anche meno in caso di esemplari di piccole
dimensioni) per uccidere i vermi a causa di shock osmotico: in pratica i parassiti
vengono disidratati dal fatto che i loro liquidi interni, avendo una densità minore
rispetto all’acqua salata esterna, migrano verso di essa, lasciandoli per così dire,
all’asciutto.
Efficacissimo e senza possibilità di sviluppo di organismi resistenti, assolutamente
privo di tossicità, va però detto che può essere pericoloso per animali di piccole
dimensioni se durante il trattamento non vengono tenuti sotto scrupoloso controllo.
Va ricordato che nei Tetra questa malattia fortunatamente non è molto frequente, ma
è comunque utile saperla diagnosticare, dato che potrebbe colpire altri coinquilini.
La girodattilosi: è provocata dal verme Trematode del genere Gyrodactylus che
infesta la pelle dei pesci. Difficilmente assale le branchie.
Sintomi:
- Aumento della secrezione di muco cutaneo associato a prurito e insistenti
sfregamenti;
- Opacizzazione di aree circoscritte (lungo i fianchi e sul dorso) dovuta ad
ipersecrezione mucosa e alle lesioni che questi vermi, se presenti in numero
massiccio, provocano all’epidermide;
- Dimagrimento e isolamento;
- Pinne chiuse e raccolte lungo il corpo; in un secondo momento sfrangiamento
delle medesime dovute all’attacco secondario di funghi e batteri.
- Terapia: esiste una sostanziale differenza a livello biologico-riproduttivo tra
Dactylogyrus e Gyrodactylus.
Il primo si riproduce liberando in acqua uova, che come abbiamo visto risultano
essere resistenti anche ai medicinali, il secondo trattiene un embrione al suo interno
fino al momento della nascita. Questa peculiarità ci rende più facile il debellare la
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malattia, dato che con un solo intervento, è possibile distruggere tutti i vermi senza
possibilità di ricaduta.
Infatti una volta neutralizzati gli adulti, non vi è più modo di incorrere in una
reinfestazione causata da larve latenti, dato che vivono all’interno dei genitori. A
differenza invece di quanto avviene con la dattilogirosi che richiede la ripetizione del
trattamento a distanza di quindici giorni per neutralizzare le giovani larve.
Una curiosità: esistono alcune specie di Caracidi, come Hmigrammus rodway e
Hyphessobrycon bifasciatus, che se parassitati da vermi Trematodi proteggono la loro
epidermide emettendo una secrezione di guanina per proteggersi, facendoli sembrare
ricoperti di una patina oro-argentata. Questa malattia non è contagiosa per gli altri
ospiti e si rinviene solo in esemplari prelevati in natura. A lungo andare in acquario i
pesci “guariscono” perdendo così i loro colori iridescenti.
Le elmintasi intestinali sono provocate dall’infestazione da parte di alcuni tipi di
vermi che parassitano di preferenza l’ultimo tratto dell’apparato digerente:
- Nematodi: vermi a sezione rotonda;
- Cestodi: vermi piatti formati da più segmenti e conosciuti anche con il nome di
“verme solitario”;
- Acantocefali: vermi con estremità uncinata;
- Trematodi: vermi piatti a forma di fogliolina.
Questi parassiti sono decisamente rari sui Tetra e possono comparire principalmente
in animali di cattura, dato che spesso per completare il loro ciclo biologico
abbisognano di un ospite intermedio. Possono altresì penetrare in acquario attraverso
cibo vivo, che funge proprio da veicolo di infestazione.
- Sintomi: la sintomatologia principale è caratterizzata dal dimagrimento del pesce
associato alla presenza di feci mucillaginose che sovente rimangono attaccate all’ano.
Raramente queste infestazioni risultano mortali per l’animale colpito, e se questi
soggetti vengono allevati in condizioni ottimali, per lo più tali parassiti rimangono
inosservabili, dato che non producono segni esteriori degni di nota. L’unico sistema
di avere una diagnosi precisa in caso di dubbio, è l’esame microscopico delle feci.
- Terapia: i farmaci utilizzati per debellare queste infestazioni sono vari
antielmintici; un veterinario saprà dare la giusta soluzione.
Altri vermi parassiti dell’apparato digerente e assai più comuni sono gli organismi
che provocano la cosiddetta “malattia dei vermi dalla testa a fresa”.
E’ causata da un verme nematode, il Camallanus cotti.
Questi vermi di colore rossastro, che fuoriescono dall’apertura anale del soggetto
colpito, sono conosciuti anche con il nome di “vermi dalla testa a fresa” (da cui il
nome della malattia) in quanto dotati di un particolare apparato boccale che consente
loro di tenersi saldamente ancorati alla parete intestinale del malcapitato ospite.
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I maschi sono lunghi circa 3 mm e le femmine al massimo 1 cm e risultano visibili ad
occhio nudo; parassitano in particolare proprio i Caracidi e Pecilidi.
Spesso sono introdotti assieme al cibo vivo.
- Sintomi: il ciuffetto di vermi fuoriesce dall’ano prevalentemente quando l’animale
sta riposando. Bisogna evitare di rimuoverlo, per esempio tirando con una
pinzetta, poiché si rischia di strappare o lesionare un tratto dell’intestino del pesce
parassitato.
- Terapia: anche in questo caso si rende necessaria una cura a base di antielmintici.
Rispetto alle altre elmintasi intestinali è più frequente, dato che l’infestazione può
avvenire anche senza necessità di ospite intermedio per alcune generazioni; difatti
le femmine di questi vermi partoriscono larve vive. E’ comunque, rispetto ad altre
patologie, molto poco diffusa negli acquari ornamentali o per lo più ignorata.
Infestazioni da crostacei.
L’ultimo gruppo di parassiti da ricordare è quello dei crostacei.
Un noto crostaceo parassita dei pesci appartiene al genere Lernaea, e per la sua
caratteristica morfologia, viene comunemente definito “verme ancora”, anche se in
realtà non è un verme.
La femmina adulta, che può raggiungere al massimo 2 cm di lunghezza, presenta,
un’3tremità cefalica provvista di un apparato formato da strutture rigide e simile ad
un’ancora, che consente la perfetta adesione del parassita alla muscolatura.
Il corpo allungato di questo crostaceo termina con due sacchetti ovigeri che danno
una forma esteriore simile ad una freccina conficcata nel corpo del pesce.
Il parassita vero e proprio è infatti solo la femmina, mentre il maschio conduce una
vita planctonica e ha una mera funzione riproduttiva. L’infestazione può avvenire tramite l’introduzione di pesci già parassitati, oppure cibo vivo
finemente setacciato che ne introduca le larve planctoniche.
- Sintomi: il pesce colpito appare anemico e agitato, soffre di prurito e presenta
lesioni rossastre dovute all’infezione secondaria da batteri e funghi sulla cute.
Altro segno della malattia è il nuoto a scatti accompagnato da intensi sfregamenti
sugli oggetti sommersi. Sovente vengono colpite le branchie, fortemente
vascolarizzate e quindi molto appetibili da questi parassiti, con conseguente
abbondante produzione di muco e tendenza degli animali a stazionate in
superficie.
- Terapia: se non viene curata, questa malattia può uccidere un’intera popolazione
di pesci nell’arco di alcune settimane, in relazione all’opposizione delle difese
immunitarie degli animali e la densità di popolazione che accelera il processo di
diffusione. I parassiti adulti femmine dall’inconfondibile forma di freccina,
formata da parte del corpo e i 2 sacchi ovigeri, sono inconfondibili anche se
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spesso passano inosservati ad occhi poco attenti. Nel momento che viene
individuata una “fereccia” occorre eliminarla, eradicandola con una pinzetta e con
le dovute cautele, ricordandosi dell’esistenza della particolare struttura rigida “ad
ancora” infissa nella muscolatura, cioè la testa del parassita con cui sugge i liquidi
organici dei pesci. Tutti i gli abitanti dell’acquario possono essere in pericolo e
bisogna agire al minimo segnale. Se l’infestazione è all’inizio, sarà sufficiente
estrarre i parassiti. La lesione cutanea residua può essere disinfettata con una
soluzione di Blu di Metilene o di Betadine (soluzione 1 a 10 parti di acqua).
E’importante ricordare che una volta catturato, con un retino, il pesce deve essere
mantenuto umido e non deve venire a contatto con le mani asciutte; per questo è
consigliabile indossare quanti in lattice di gomma da bagnare prima
dell’intervento sull’animale. Queste precauzioni sono necessarie perché la
temperatura cutanea dell’uomo è superiore a quella della pelle di pesci, anche se
tropicali. Il pesce dovrà essere tenuto in una vaschetta- infermeria per qualche
giorno, per poter eventualmente ripetere le applicazioni con il disinfettante.
Tendenzialmente però sarà sufficiente reimmeterlo con delicatezza in vasca, a
patto di avere condizioni igieniche sufficientemente accettabili al fino di non
provocare infezioni alla ferita. Se invece i parassiti sono molto numerosi e
l’infestazione risulta essere massiccia, sarà opportuno ricorrere ad un bagno con
cloruro di sodio, cioè il sale da cucina, alla dose di 2/4 cucchiaini da te per litro. Il
bagno può, a seconda delle necessità, essere ripetuto più volte. Una decina di
minuti in soluzione salina sono sufficienti. IMPORTANTE: durante il trattamento
tenere sotto controllo il soggetto; al minimo accenno di sofferenza riportarlo in
acqua dolce!
Esistono anche altri rimedi più forti a base di antiparassitari ma a causa della
tossicità del trattamento, è sconsigliabile l’utilizzo; qualora la necessità sia
irrinunciabile, è allora bene rivolgersi a qualcuno più esperto, magari facendo
riferimento al proprio veterinario di fiducia o al club acquariofilo più vicino a
casa.
Un altro crostaceo parassita che si ritrova di frequente sui pesci è il cosiddetto
“pidocchio dei pesci”, appartenente al genere Argulus.
Lungo circa mezzo cm, grigio-trasparente e a forma a ferro di cavallo, questo
parassita aderisce saldamente alla cute dei pesci.
Rispetto a quello dei Lernaea, ha un diverso sistema di adesione alla muscolatura,
attraverso ventose ed uncini.
Anche se l’Argolus si “insedia” a minore profondità, l’asportazione deve sempre
essere svolta con molta cautela, evitando di entrare in contatto con la mucosa del
pesce con le mani asciutte. Per quanto riguarda la cura, è la medesima descritta per i
Lernaea.
Questi animali possono essere introdotti con pesci selvatici, mangime vivo o
attraverso le uova deposte su piante raccolte in natura inserite poi in acquario.
Gli Argulus non sono facilmente distinguibili sulla pelle dei pesci, dato che attraverso
la loro forma discoidale si confondono con le squame dei pesci, ma se si nota una
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squama con due occhietti e delle branchie sottostanti in movimento, non siete di
fronte ad una mutazione, bensì ad uno di questi parassiti.
Non è molto infettivo e la guarigione è meno complicata rispetto ai “vermi ancora”.
Le malattie protozoarie.
Le malattie sostenute da un’infestazione da protozoi sono le patologie più comuni che
possono colpire i pesci allevati in acquario. Questo fatto è confermato da alcune
statistiche in cui viene evidenziato che circa il 60% di tutte le patologie che
colpiscono i pesci ornamentali sono dovute a questi microrganismi.
Sono sicuramente le più conosciute, ma a volte, forse per eccessiva sicurezza,
sottovalutate ance dall’acquariofilo più esperto.
I protozoi sono organismi monocellulari che, pur facendo parte dell’ecosistema-
acquario, possono diventare patogeni ed infestare i pesci.
Nell’uomo una tipica malattia protozoaria è sostenuta dal Plasmodium che provoca la
malaria.
Non dimentichiamo che altri animali, come il cane, possono essere colpiti da malattie
protozoarie, veicolate dal morso di alcuni parassiti ematofaghi come le zecche.
- La malattia dei puntini bianchi o ictioftiriasi.
E’una nota malattia che colpisce i pesci d’acqua dolce, causata dal protozoo ciliato
Ichthyophthirius multifiliis che penetrando con un movimento circolare nello strato
esterno dell’epidermide del pesce parassitato, provoca una reazione cellulare che si
evidenzia esternamente con la formazione del tipico puntino bianco.
Inizialmente i puntini sono radi e scarsamente visibili, ma nel giro di qualche giorno,
la cute del pesce si riempie di numerosi piccoli granuli, come se qualcuno avesse
cosparso il pesce di farina.
L’Ictio è un buon nuotatore, di dimensioni variabili (1mm circa di diametro) e
presenta ad una visione ravvicinata al microscopio, il caratteristico nucleo a forma di
ferro di cavallo.
Quando è maturo oppure se l’ospite muore, il protozoo si stacca dalla pelle del pesce
e nuota, quindi si posa su una pianta o sul fondo della vasca e forma intorno a se una
sorta di capsula mucosa (cisti). A questo punto inizia riprodursi: lacune ore dopo,
infatti, la cisti esplode liberando in acqua le larve (da alcune centinaia a un migliaio
circa) chiamate “tomiti”, lunghi solo alcuni micron. Abili nuotatori devono
assolutamente trovare un pesce su cui aderire e crescere entro un paio di giorni al
massimo, pena la morte.
Questa patologia è diffusissima in acquario, dove spazi stretti e alta densità di
popolazione sono elementi favorevoli ai “tomiti” nella ricerca di un ospite. Viceversa
in natura è praticamente inesistente.
Questa malattia è presente durante tutto l’arco dell’anno, con picchi individuabili in
primavera ed in autunno, evidentemente a causa degli sbalzi di temperatura che si
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hanno in questi periodi. Gli sbalzi di temperatura sono per i pesci (animali a sangue
freddo) fonte di stress; questo indebolimento consente quindi ai protozoi di trovare
una più rapida via d’accesso verso l’organismo da attaccare.
E’ però altrettanto vero che pesci in salute e in situazioni igienico-ambientali ottimali,
difficilmente ne sono assaliti, dato che in dette situazioni lo strato di muco protettivo
del pesce non viene intaccato mantenendo i protozoi esterni alla cute: non possono
nutrirsi e muoiono.
I pesci di allevamento come trote, pesci gatto, anguille così come Cilcidi e Caracidi
ne sono particolarmente sensibili.
Del resto è una patologia che si riscontra anche nei pesci appena pescati e immessi
nei laghetti (come Triotti e Alborelle).
Come detto un pesce stressato è sicuramente un ricettacolo di protozoi: un pesce
appena acquistato e immesso da poco nell’acquario può esserlo ed infatti sono
proprio questo i soggetti più a rischio di infestazione.
Il pesce guarito dalla malattia può comunque albergare in modo invisibile e in forma
latente i protozoi, i quali al primo accenno di calo delle difese immunitarie,
ricominciano il loro ciclo vitale; e questa la causa per cui appena immesso un nuovo
inquilino in vaca, vi sono concrete possibilità della ricomparsa della malattia. E’
altresì vero che anche il nuovo ospite potrebbe veicolare i microrganismi in vasca,
senza necessariamente che questi siano visibili al momento dell’acquisto.
- Sintomi: oltre ai puntini bianchi sopra descritti che compaiono sulla pelle e sulle
pinne del pesce, è il prurito intenso e il conseguente sfregamento sui corpi
sommersi e l’arredamento dell’acquario che ci indica la presenza dei protozoi.
Successivamente, l’animale malato diviene apatico, nuota in modo anormale, non
si alimenta, dimagrisce e muore nel giro di pochi giorni.
- Terapia: essendo sicuramente la più diffusa, in commercio si trovano rimedi
efficacissimi che nel giro di pochi giorni debellano i protozoi: essendo però sostanze
chimiche, vanno però scrupolosamente osservate le istruzioni e le modalità d'uso.
Un altro tipo di terapia, che però non richiede l’uso di farmaci, è la cosiddetta
“termoterapia”, che consiste nell’aumentare gradualmente la temperatura (1°C
all’ora) sino al raggiungimento dei 30/32°C, che devono essere mantenuti per dieci
giorni. In questo modo si interrompe il ciclo vitale dei protozoi; a dire il vero esistono
opinioni discordanti su tale modo di agire. Personalmente non ho mai ottenuto
risultati positivi, altre persone invece utilizzano con successo tale stratagemma,
sebbene in alcuni casi le piante possano risentirne.
E’ fondamentale un intervento tempestivo, dato che specialmente i Tetra soffrono
moltissimo e sono particolarmente soggetti a tale malattia. Sembra invece che il
ciprinide Tanichthys albonubes ne sia immune.
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L’oodiniasi o malattia del velluto nei pesci d’acqua dolce. E’causata dai protozoi
dinoflagellati Oodinium pillularis (cosmopolita) e Oodinium limneticum
(nordamericano).
E’una patologia cronica, ad andamento lento, molto diffusa in tutti i pesci
ornamentali d’acqua dolce, ma in particolare nei Ciclidi, Belontidi, Poecilidi e nei
Caracidi. Trova facile diffusione in acquari biologicamente non equilibrati e in pesci
indeboliti dall’inquinamento acqueo e dalla malnutrizione.
L’oodiniasi è ancora più diffusa dell’ictioftiriasi, ma è meno riconoscibile
dall’acquariofilo poco esperto poiché sul corpo del pesce parassitato non sempre sono
presenti i puntini, in genere molto piccoli, chiari e leggermente allungati.
- Sintomi: il segno caratteristico è l’aspetto vellutato della cute, causata
dall’ipersecrezione mucosa che viene prodotta dal pesce nel tentativo di difendersi
dai parassiti; ben evidenziata se si osserva l’animale colpito in luce radente.
- Il sintomo più evidente è la respirazione accelerata dovuta all’insediamento dei
protozoi nelle lamelle branchiali, organo che in questa patologia è proprio
l’obbiettivo del parassita. I pesci, data la diminuita funzionalità di respirazione,
tendono a rimanere nei pressi della superficie, zona generalmente più ricca
d’ossigeno.
- Altri sintomi, comuni peraltro ad altre patologie, sono:
- Mancanza di appetito;
- Dimagrimento;
- Decolorazione della livrea;
- Anomali comportamentali, come eccessiva timidezza ed isolamento;
- Nuoto lento e difficoltoso;
- Pinne chiuse.
Se non si interviene, dopo alcune settimane compaiono arre cutanee erose
sanguinanti, la mucosa inizia a distaccarsi a brandelli dal pesce, dando via libera ad
una miriade di infezioni secondarie sostenute da altri protozoi, miceti e batteri.
Il pesce muore entro brevissimo tempo.
- Terapia: possono essere utilizzati gli stessi rimedi anti Ictio, o ancor meglio i
preparati a base di solfato di rame che vengono utilizzati per l’Oodinium marino.
E’una patologia che se presa in tempo non danneggia in modo consistente i pesci,
essendo meno infettiva e meno rapida a livello di diffusione in vasca. In vasche
equilibrate è praticamente inesistente.
La pleistoforosi o malattia del pesce neon. Ed ora veniamo a parlare di una
patologia che, sebbene non particolarmente contagiosa e diffusa, è comunque una
malattia che colpisce particolarmente i Neon ed altri caracidi e quindi ci interessa da
vicino. E’sostenuta dal protozoo Pleistophora hyphessobryconis.
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- Sintomi: la vivace livrea rosso azzurra dei pesci neon sbiadisce divenendo
lattiginosa e con i margini delle striature poco definiti, specialmente nella regione
sottostante la pinna dorsale. Queste lesioni sono dovute alla necrosi, cioè la morte,
delle cellule muscolari colpite. Altri sintomi sono:
- dimagrimento;
- mancanza di appetito;
- nuoto a scatti e in situazione di malattia avanzata difficoltà motorie vere e proprie.
Può capitare che i pesci, soprattutto in situazioni di forte sovraffollamento come in
una vasca di vendita, mangino i cadaveri dei propri compagni che qualora infetti,
possono trasmettere tale malattia ad altri soggetti, dato che il protozoo penetra
nell’organismo attraverso l’apparato digerente. Siccome non esistono rimedi
concretamente efficaci, è consigliabile sopprimere o eventualmente trasferire in una
apposita vasca infermeria gli animali che potenzialmente potrebbero essere portatori
della patologia. Solo l’esame microscopico permette di diagnosticare con certezza la
presenza della Pleistophora, grazie al rilevamento delle sue spore nei preparati a
fresco delle lesioni.
E’una malattia cronica a decorso molto lento, che non colpisce contemporaneamente
tutta una popolazione d’acquario, dato che per provocare la patologia, questi
microrganismi devono essere assunti per via orale. In genere è sufficiente eliminare i
pesci sospetti per interrompere la presenza del parassita in vasca.
- Terapia: una terapia veramente efficace e provata non esiste. Probabilmente dosi
elevate di antibiotici possono sortire effetti, ma sinceramente non mi sento di
esprimere giudizi pro o contro questo o quel rimedio. L’unico sistema sicuro di
debellare la Pleistophora, e quello di eliminare i pesci sospetti e migliorare le
condizioni igieniche generali, dato che anche nelle feci dei pesci infetto sono
presenti le spore dei protozoi, e un’ingestione accidentale potrebbe diffondere
maggiormente la patologia.
NOTA: spesso si ritiene a torto, che tutte le sintomatologie esterne che producono la
comparsa di una decolorazione o una fascia bianca su neon o altri pesci, siano sintomi
di Pleistophora.
Non è assolutamente vero!!!!
Così come un’ipersecrezione mucosa può essere causata da una miriade di fattori,
anche la comparsa di fasce biancastre sui Tetra o altri pesci non sono sinonimo di
questa patologia. Ben più frequentemente sono invece un indice di epidemia
batterica; la principale differenza tra la Pleistofora e le batteriosi che danno gli stessi
sintomi, è dovuta al semplice fatto che nel primo caso la diffusione della malattia è
molto lenta, nel secondo caso possiamo arrivare a perdere diverse centinaia di pesci
in poche ore, con l’impressionante ritmo, in casi di sovraffollamento eccessivo, di un
animale ogni 5 minuti!!!!
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Vi è però anche da sottolineare che una adeguata terapia a base di antibiotici risolve
drasticamente e definitivamente la batteriosi. Per la Pleistophora, non vi è mai la
matematica sicurezza, a meno di sopprimere i pesci colpiti.
Le dermatitti protozoarie: con questa definizione, abbiamo raccolto sotto un unico
nome, quelle patologia diverse tra loro ma che causano i medesimi sintomi e
utilizzano la stessa terapia.
I protozoi responsabili diventano patogeni allorquando le condizioni di allevamento
non sono ideali:
- alimentazione errata;
- sovraffollaento;
- filtraggio insufficiente;
- mancanza o insufficienza di cambio parziale (concentrazione sostanze azotate);
- caratteristiche fisico-chimiche dell’acqua inadegaute (Temp., pH, durezza);
- mancanza di sifonatura del fondo con accumulo di detriti putrescnti;
sono tutti fattori predisponenti l’insorgere di dette patologie.
Pesci giovani e stressati sono i principali soggetti a rischio di queste malattie, che
molti autori annoverano tra le cosiddette “malattie dei deboli”.
I protozoi responsabili di queste patologie sono:
- Ichthyobodo (Costia) necatrix (protozoo flagellato);
- Chilodonella cyprini (protozoo ciliato);
- Cyclochaeta spp. (Trichodina) (protozoo ciliato).
- Terapia: le principali manifestazioni esteriori della presenza di questi microrganismi
sono il prurito, con conseguente nuoto a scatti e sfregamento continuato ed insistente
sugli arredamenti della vasca, pinne chiuse, ipersecrezione mucosa e lesioni cutanee.
In un primo momento il pesce produce grosse quantità di muco, con zone opalescenti
che ben presto lasciano spazio ad evidenti chiazze biancastre. Successivamente
queste macchie si sollevano, si staccano lasciando l’epidermide del pesce alla mercé
di infezioni secondarie, dovute principalmente a batteri e miceti che causano erosioni
della cute, che a loro volta evolvono in vere e proprie ulcerazioni sanguinolente.
- Terapia: innanzi tutto migliorare le condizioni igieniche generali della vasca.
Come presidi disinfettanti sono utili i rimedi anti Ictio. Ma anche altri prodotti si
rivelano utili allo scopo che possono essere facilmente reperibili in qualsiasi
negozio specializzato. Come coadiuvante la terapia può essere utile, ove possibile,
l’aggiunta di sale da cucina in ragiona di un cucchiaino da tè ogni 2/3 L.
Queste patologie se prese in tempo, non hanno alcuna conseguenza oggettiva sugli
animali, che guariscono nell’arco di alcuni giorni, fermo restando che se non vengono
modificate le situazioni negative predisponenti, qualsiasi rimedio chimico è
puramente un palliativo. Viceversa in situazioni ottimali, le dermatiti protozoarie
sono inesistenti.
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E con le dermatiti protozoarie abbiamo anche concluso questo capitolo, forse un po’
lungo dedicato alle patologie che possono colpire i nostri Tetra. A mio avviso,
quando si scrive al riguardo delle malattie, non ci si dilunga mai abbastanza e ho
ritenuto indispensabile sottolineare nel modo migliore possibile, sempre nei limiti di
un libro non specifico, le varie tipologie di malessere che sono più diffuse tra i pesci
d’acquario e nei Caracidi in particolare. Qualora si volesse approfondire tale
argomento, invito alla documentazione su testi specifici di ittiopatologia e al consulto
di un veterinario specializzato: una malattia diagnosticata in tempo è una malattia
mezza guarita!
SCHEDA DI SINTESI 10
Criteri di scelta per un corretto acquisto di pesci in salute:
• Occhi: non devono presentare opalescenze; devono essere alloggiati all’interno dell’orbita in
modo naturale, quindi non devono essere sporgenti, né viceversa infossati; non devono
presentare ulcerazioni o evidenziare versamenti ematici.
• Pelle: deve presentarsi integra e priva di alterazioni cromatiche differenti da quelle
caratteristiche della specie, e cioè: chiazze bianche, puntini, aree schiarite o viceversa nere; non
deve presentare ulcerazioni o versamenti ematici; non deve presentare un aspetto velluatato.
• Pinne: devono presentarsi integre e prive di orli irregolari, bianchi e/o sfrangiati; devono essere
trasparenti o avere i colori caratteristici della specie; devono essere prive di chiazze biancastre o
aree opalescenti o puntini bianchi; non devono essere “chiuse” e attaccate al corpo.
• Branchie: devono presentarsi rosse, ma soprattutto ad un primo esame superficiale, gli opercoli
devono mantenere la posizione di copertura totale di questi organi fondamentali: essi non
devono lasciare intravedere le branchi, cioè non devono essere sollevati.
• Corpo: la testa deve essere proporzionata al resto del corpo; un capo sproporzionatamente
grande è sinonimo di possibili patologie interne; la spina dorsale deve essere dritta, pertanto il
pesce non deve presentare curvature innaturali; il ventre non deve essere incurvato o viceversa
ingrossato in modo sproporzionato.
• Nuoto: deve essere fluido e non visibilmente rallentato né a scatti irregolari; all’inserimento di
un retino (o altra situazione di pericolo) i pesci devono fuggire; in caso contrario, animali che
stazionano in modo impassibile nelle vicinanze di un “pericolo” dimostrano un’alterazione del
riflesso di fuga e una possibile patologia.
SCHEDA DI SINTESI 11
Le principali patologie di Tetra.
• Ascite – Sintomi: ventre gonfio in modo abnorme (idropisia), occhi sporgenti (esoftalmia) –
Rimedi: antibiotici a largo spettro; difficile da curare, ma non molto comune; praticamente
assente in acquari igienicamente sani.
• Linfocisti – Sintomi: noduli biancastri sulle pinne e sul corpo. – Rimedi: dovuti a situazioni
ambientali errate, occorre eliminare tale situazione e somministrare vitamine. – Rara nei Tetra.
137
• Corrosione delle pinne – Sintomi: pinne sfrangiate e dagli orli biancastri. - Rimedi: antibiotici a
largo spettro; – Frequente in animali appena importati.
• Malattia colonnare – Sintomi: chiazze bianche ulcerate sul corpo. - Rimedi: antibiotici; –
Frequente in animali appena importati.
• Micosi – Sintomi: batuffoli cotonosi su pinne e/o corpo. – Rimedi: Blu di Metilene, Cloruro di
sodio, Fulcin, Betadine. - Frequenti in situazioni igieniche compromesse.
• Dattilogirosi (vermi delle branchie) – Sintomi: opercoli dilatati e respirazione accelerata,
dimagrimento. – Rimedi: antiparassitari ad uso vetrinario. – Non frequente.
• Girotdattilosi (vermi della pelle) – Sintomi: opacizzazione di aree circoscritte della cute,
dimagrimento. – Rimedi: come per la Dattilogirosi. – Non frequente.
• Elmintasi intestinali – Sintomi: dimagrimento; nei Camallanus è possibile vedere il ciuffetto di
parassiti pendere dall’ano. – Rimedi: Antielmintici – Non frequente.
• Crostacei parassiti: Lernaea, Argulus – Sintomi: i parassiti si notano facilmente sul pesce. –
Rimedi: rimozione con una pinzetta e disinfezione della ferita, cloruro di sodio – Non frequente.
• Ictio o malattia dei puntini bianchi – Sintomi: i pesci sono ricoperti da puntini bianchi. –
Rimedi: Faunamor, Protazol – Molto comune e molto infettiva.
• Oodinium o malattia del velluto – Sintomi: il pesce ha un’apparenza vellutata, respiro affannato
e possono comparire piccolissimi puntini grigaistri. – Rimedi: Protazol, solfato di rame. -
Frequenza relativa.
• Pleistophora - Sintomi: aspetto lattiginoso delle fasce muscolari; non ha carattere epidemico. –
Rimedi: soppressione dei pesci colpito, aumento dell’igiene in vasca. – Rara.
• Dermatiti protozoarie: Costia, Chilodonella, Trichodina – Sintomi: dimagrimento, pinne chiuse,
ipersecrezione mucosa. – Rimedi: cloruro di sodio, Blu di Metilene, Protazol.
NOTA: prima dell’utilizzo di ogni rimedio consultare un veterinario
specializzato.
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CAP. 8
CONCLUSIONI
Non ci resta ora che fare un breve punto riassuntivo di quanto abbiamo fino ad ora
potuto apprendere dalle precedenti pagine.
Abbiamo potuto capire che i Tetra sono piccoli pesci per lo più abitanti di acque
scure, tenere ed acide che attraversano le immense foreste pluviali del sud America e
dell’Africa. Oggi abbiamo comunque un vantaggio rispetto ai nostri predecessori
acquariofili di qualche generazione fa: ci troviamo di fronte infatti ad animali
provenienti da allevamenti intensivi e per questo motivo maggiormente adattabili alla
cattività e a valori biochimici anche diametralmente opposti rispetto a quelli dei
luoghi di ritrovamento degli esemplari selvatici. E’ comunque opportuno, nei limiti
delle nostre possibilità, cercare di mantenere gli animali in condizioni almeno simili a
quelle dei loro antenati selvatici.
Ci siamo addentrati nelle intimità riproduttive di questi pesci, decisamente aiutati in
questo dalle motivazioni sopra riportate: in natura gli animali rispettano cicli
biologici scaturiti da migliaia di anni di evoluzione, rispettando i periodi di siccità o
la stagione delle piogge che porta i fiumi abitati da questi pesci ad aumentare il loro
livello di oltre 10 metri. Ed è spesso in concomitanza di queste acque alte, di questo
incontro acqua-terra che molte specie di pesci, fra cui i Caracidi, entrano in frega. E’
proprio l’incontro dell’acqua con l’intimità della foresta a determinare un’esplosione
di creature microscopiche che come abbiamo potuto vedere sono il primo cibo per i
piccoli avannotti; un mare di acqua nuova, acqua piovana, priva di sali minerali, che
azzera la durezza, peraltro già bassa, di queste acque. E’ questo uno di quei motivi
che spesso ci costringe ad utilizzare acque estremamente tenere per ottenere la
deposizione delle uova e la loro schiusa.
Ma se riflettiamo un poco, ci accorgiamo che anche a casa nostra avviene una cosa
simili con i piccoli abitanti delle nostre acque: i Ciprinidi. Essi infatti entrano in frega
generalmente nella tarda primavera, in concomitanza o appena dopo le piene
primaverili: anche da noi quindi acqua nuova, piovana, priva di sali, un incontro
acqua-terra che anche da noi determina lo sviluppo di una miriade di esseri viventi
planctonici.
Abbiamo anche visto che i Caracidi sono pesci prettamente gregari, che
l’allevamento isolato può produrre comportamenti aggressivi o viceversa di estrema
timidezza.
Si tratta di pesci molto rustici che ben si adattano alla condizione di allevamento in
acquario, accettando di buon grado i comodi mangimi commerciali di cui le
scaffalature dei negozi specializzati sono ricchi; non dimentichiamo però che fra una
scatoletta di carne e una bella “fiorentina”, c’è una bella differenza ……..a buon
intenditore “acquariofilo”, poche parole, anzi due: mangime surgelato o, ancor
meglio, mangime vivo.
139
Ci siamo soffermati anche sulle principali malattie che colpiscono questi pesci che a
dire il vero sono sicuramente fra le specie che danno meno problemi dal punto di
vista sanitario. A questo proposito vorrei soffermarmi su alcuni piccoli aspetti che
permetto a questi pesci di essere quasi immuni dalle più frequenti patologie che
colpiscono generalmente gli ospiti degli acquari ornamentali: una corretta
alimentazione e i regolari cambi parziali rendono i nostri Tetra dei veri e propri
“immortali” in grado di allietare con la loro presenza la nostra casa anche per diversi
anni. Un altro fattore però che ci permette di avere pesci sani e in buona salute, ma
soprattutto dalle lucenti e vivaci livree, è sicuramente l’arredamento, che deve avere
3 requisiti fondamentali: lo spazio per nuotare, angoli densi di vegetazione, anche
galleggiante per creare zone d’ombra dove i Tetra amano stazionare e il fondo
assolutamente scuro al fine di far risaltare nel miglior modo possibile i colori.
I pesci di acqua dolce, al contrario di quelli marini che mantengono le spettacolari
livree addirittura per diverso tempo anche dopo essere deceduti, hanno bisogno
dell’ambiente giusto per rendere al massimo dal punto di vista cromatico. Da notare
comunque che una livrea sbiadita è sinonimo di condizioni di allevamento non
ottimali, quindi di stress e in ultima analisi una maggior possibilità di essere soggetti
a malattie.
Questi pochi requisiti, se rispettati fino in fondo, faranno del nostro acquario un
bellissimo angolo di natura, con un limitatissimo tempo di manutenzione, in grado di
regalarci, accanto a momenti rilassanti, istanti pieni di emozioni.
In conclusione è mio intento con questo libro di essere stato di aiuto a tutti gli
acquariofili appassionati di piccoli pesci, con la speranza di aver inserito
informazioni complete e sufficientemente chiare per il neofita, così come di avere
dato utili spunti di approfondimento agli appassionati più esperti.
Auguro a tutti di avere le mie stesse soddisfazioni con queste piccole creature dai
colori iridescenti che fortunatamente possiamo allevare in maniera ottimale anche in
vasche “domestiche” e da cui è possibile avere la incomparabile soddisfazione di
ottenerne la riproduzione persino in pochi litri d’acqua.
Dedicato a Tommaso Molè il “Mago”, il più esperto allevatore di pesci tropicali
che abbia mai conosciuto, ovunque tu sia, sempre nel cuore.
Ringraziamenti.
E’però doveroso menzionare alcune persone che mi hanno permesso con il loro
indispensabile aiuto e collaborazione di redigere quest’opera.
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Innanzi tutto volevo ringraziare una persona senza il cui supporto tecnico forse sarei
ancora a scrivere, che ho conosciuto prima via internet e poi di persona: Andrea
Varisco un appassionato di rara cultura, ma poi soprattutto un grandissimo amico
…….. una storia che dura oramai dal Giurassico 😊
Non e’ da meno Andrea Meazza, per l’indispensabile supporto bibliogrtafico, grande
esperto e amico di sempre.
In ultimo, ma non per questo meno importante, il Dr. Massimo Millefanti, che mi ha
spinto a compilare questo documento.
Testo e Foto © Zio Pesce.blog
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