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L’antropologia delle migrazioni e l’etnografia della transnazionalità
Sommario Introduzione all’antropologia transnazionale
La discussione sul ruolo dello stato nei processi migratori Processi di globalizzazione e politiche dell’identià
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Per una definizione di transnazionalismo
Possiamo definire “transnazionalismo” il processo attraverso il quale i migranti, grazie anche alle innovazioni tecnologiche, tessono reti e mantengono relazioni sociali, economiche, culturali e politiche che, collegando le loro società di origine a quelle di approdo, attraversano i confini nazionali
Tale approccio, inoltre, si caratterizza anche per la sua capacità dii evidenziare la dimensione “micro” così spesso assente nelle analisi della globalizzazione: le etnografie multilocali si concentrano infatti sulle esperienze quotidiane
delle persone. Il flusso di oggetti o di idee viene considerato come parte integrante delle
relazioni sociali dei migranti in quanto soggetti attivi nella creazione di campi sociali transnazionali.
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La discussione sul carattere innovativo del transnazionalismo
C’è discussione all’interno della comunità degli antropologi sulla novità del transnazionalismo inteso sia come specifico comportamento migratorio che come approccio alle migrazioni stesse
alcuni autori hanno espresso dubbi in quanto l’idea di reti multiple che collegano in modo continuo più contesti, presenta celebri antecedenti nella letteratura antropologica britannica in Africa nel periodo coloniale e post coloniale In particolare gli studi di Epstein e di Parkin, appartenenti alla scuola di
Manchester, erano già studi sulla circolarità che univa il rurale e l'urbano attraverso reti sociali.
altri autori, invece, hanno sottolineato come, grazie alle innovazioni tecnologiche e ai processi di decolonizzazione, le reti transnazionali possano funzionare con un'intensità sconosciuta nel passato: con un’estensione globale e quasi in tempo reale Secondo questi autori sarebbero quindi queste caratteristiche di velocità,
intensità e frequenza a caratterizzare la novità del transnazionalismo contemporaneo.
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L’antropologia della contemporaneità e il migrante come metafora
Tendenza nel dibatti antropologico sulla contemporaneità ad assumere i migranti come simboli di: ibridità o di creolizzazione di varie forme di riarticolazioni liberatorie e trasgressive delle
relazioni tra luoghi, culture e identità, non più considerabili come naturali e immobili
altri autori, al contrario, trovano prematuro il tono astrattamente e eccessivamente celebrativo dell’antropologia transnazionale accusandola di esaltare la figura delle persone ai margini senza preoccuparsi abbastanza della loro effettiva marginalizzazione
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L’antropologia delle migrazioni e l’etnografia della transnazionalità.
L’antropologia delle migrazioni ha subito profonde trasformazioni sotto l’influenza dei recenti approcci transnazionali: contribuendo al superamento graduale dai tradizionali studi fortemente
localizzati e centrati sui contesti di approdo consentendo di tenere conto, nell’analisi, del background socioculturale degli
immigrati e dei loro legami con il contesto di partenza Favorendo lo spostamento dell’attenzione
• sulla diaspora come condizione di vita e sul tema delle identità multiple che vi emergono
• Sulla sfera dell’immaginazione e sulla costruzione immaginaria delle località
• Sui diversi flussi culturali
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Approcci transnazionali al fenomeno migratorio
l’etnografia della transnazionalità considera il transnazionale come una morfologia sociale utilizzando concetti quali: rete, comunità, movimento o campo sociale
si focalizza, attraverso ricerche etnografiche “multilocali”: sul fenomeno migratorio e sullo studio di relazioni sociali concrete. sulle molteplici modalità con cui alcuni migranti continuano ad essere
orientati al ritorno e mantengono una forte identificazione con il proprio contesto di partenza.
cerca di superare il modello “bipolare” che tendeva a rappresentare il migrante come uno “sradicato”, rispetto a un contesto considerato immutabile, che mira ad “integrarsi” faticosamente in un altro contesto (assunto come egualmente dato e monolitico)
cerca di richiamare l’attenzione sulla capacità di molti migranti di essere in entrambi i contesti contemporaneamente.
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I senegalesi in Italia come esempio di transnazionalità
Le migrazioni senegalesi che hanno caratterizzato il contesto italiano rappresentano un buon esempio di migrazione transnazionale
I senegalesi in Italia sono quasi 35.000 che emigrano individualmente seguendo contatti e reti sociali.
Il fatto che essi siano principalmente uomini (94%) testimonia una certa identificazione nei confronti di un modo migratorio maschile e mobile.
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Il contesto di partenza
Il Senegal contemporaneo è caratterizzato da una situazione economica e sociale precaria: Molti giovani senegalesi ritengono di non avere altra scelta oltre a
quella di partire;
I ritorni temporanei, specialmente quando sono caratterizzati da un certo grado di ostentazione delle ricchezze accumulate, influenzano l'immaginazione delle persone che rimangono e formano uno stimolo simbolico alla partenza e una sorta di cultura dell’emigrazione
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Comunità religiosa e transnazionalità
La maggioranza dei migranti senegalesi: sono Wolof, provengono dal bacino arachidiero e dalla capitale e appartengono
alla confraternita sufi Muridiyya, ordine fondato negli anni ottanta del XIX° secolo da Cheick Amadou Bamba che riunì discepoli tra diversi strati della società
Sono diversi gli studi che hanno mostrato come i legami verticali ed orizzontali della confraternita hanno facilitato anche lo sviluppo di reti sociali nell'emigrazione e nelle relazioni economiche
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Caratteristiche della transnazionalità fra i senegalesi
La transnazionalità dei senegalesi si rivela in attività e transazioni economiche, tra cui il commercio, attraverso confini nazionali e anche a notevole distanza.
Essi trascorrono molto del loro tempo fuori dal contesto d'origine ma ritornandoci frequentemente con la finalità di costruire una vita economica sociale e spirituale per loro e le loro famiglie in Senegal.
L'orientamento al ritorno piuttosto che all'insediamento permanente è un altro fattore che contraddistingue le esperienze migratorie dei senegalesi
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Reti religiose e reti commerciali
Gi studi che si sono focalizzati sulla diaspora commerciale muride in diversi contesti di approdo sottolineano il potere di un sistema quasi autosufficiente di reti che collegano legami di appartenenza e attività commerciale
Nonostante l'esistenza di questi legami sia indiscutibile, le reti di appartenenza religiosa o famigliare non si sovrappongono meccanicamente a quelle commerciali ma si aiutano e stimolano reciprocamente
Le reti commerciali non sono dei sistemi chiusi come alcuni potrebbero pensare: studenti, operai in congedo o anche impiegati possono affidarsi a queste reti commerciali per incrementare i loro guadagni
Spesso le appartenenze etnico-religiose vengono temperate a favore di una solidarietà nazionale o regionale
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Le competenze maturate nel contesto di partenza e attività dei senegalesi in Italia
L'attività economica svolta da molti senegalesi in Italia è la vendita ambulante anche se sono in aumento i casi di inserimento lavorativo come dipendenti a volte con ruoli qualificati
Molti studi hanno evidenziato una relazione fra questa la vendita ambulante e una diretta o indiretta esperienza in campo commerciale nel contesto di partenza
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Le modalità di attivazione e mantenimento delle reti transnazionali
Gli spazi transnazionali sono mantenuti in vita da: conversazioni a distanza, telefoniche e con
persone in continuo movimento tra il contesto di origine e quello di approdo
dalla vendita di cassette in cui, oltre ai poemi sacri, vi si ascoltano anche informazioni sulle decisioni delle gerarchie di Touba.
L'uso di internet tra alcuni circoli sparsi per il mondo
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La discussione sul ruolo dello stato nei processi migratori
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Migrazioni transnazionali e stato
Nell’ambito del filone di studi sul transnazionalismo alcuni autori vedono nelle migrazioni transnazionali dei sintomi del declino dello stato nazionale:
Kearney, ipotizza un'era “post-nazionale” in cui le comunità sfuggono al controllo degli stati, trascendendo il potere definitorio di questi ultimi nel fissare categorie di identità per le persone.
Appadurai, sulla base degli effetti congiunti della mediazione elettronica di massa e delle migrazioni transnazionali, ritiene che lo stato come complessa forma politica moderna e l’epoca stessa dello stato nazionale siano giunti a conclusione
Entrambi gli autori considerano le pratiche transnazionali come atti di resistenza nei confronti del potere definitorio e regolatore degli stati nazionali
Callari Galli, seguendo questa linea di pensiero, sostiene che “migrazioni e sistema di comunicazione stanno ponendo in crisi i principi su cui si fonda lo stato nazionale, eroso, nei suoi presupposti ideologici e nella sua operatività, sia dai nuovi esacerbati localismi che dalle nuove trasversalità” (2000:10)
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La ineludibilità del ruolo dello stato
Bruno Riccio contrappone alle tesi di questi autori alcune considerazioni interessanti: rischio di confondere le potenzialità con le realtà sociali quotidiane. lo stato è importante per il transnazionalismo, in quanto è insito nella
sua stessa definizione: i trasmigranti sono coloro le cui vite quotidiane si svolgono “qui” e “là”, tra due o più stati nazionali, con profonde conseguenze sia per i migranti sia per gli stati che questi ultimi attraversano.
il potere di esclusione e la forza disciplinatrice degli stati sono ancora molto attivi e lo stato può rivelarsi in alcuni casi un attore creativo nell'utilizzo economico o politico delle reti transnazionali. Esempio, la cooperazione decentrata
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lo sviluppo delle migrazioni transnazionali potrebbe stimolare più delle trasformazioni dello stato nazionale come ci siamo abituati a concepirlo che un esaurirsi totale della sua funzione: in zone del mondo diverse fra loro, gli stati nazionali, ben lungi
dal perdere il loro potere e sovranità, stanno adattando e ridefinendo le loro pratiche per gestire le conseguenze della ristrutturazione economica globale
In Europa, specialmente per quanto riguarda le politiche migratorie, gli stati nazionali mantengono ancora una sovranità assoluta sul processo decisionale, e la globalizzazione
Nell’ambito delle economie capitaliste occidentali, gli stati stanno adattando i propri ruoli alle mutevoli contingenze economiche tagliando la spesa pubblica e ristrutturando o addirittura smantellando i sistemi assistenziali, ma controllando nel contempo i flussi migratori
Trasformazione del ruolo dello stato vs. erosione del ruolo dello stato
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Un esempio di coinvolgimento dei migranti nelle strategie degli attori politici nel contesto di partenza
prima di vincere le elezioni del 2000, il presidente senegalese Wade ha puntato sull’influenza degli immigrati sui loro parenti nel contesto di origine riuscendo ad ottenere i voti della maggioranza degli elettori.
“La strategia di puntare sui collegamenti transnazionali come moltiplicatori di voti ha creato una mobilitazione economica importante di sostenitori politici”
Questo è un esempio di come migrazione transnazionale possa essere funzionale alle strategie di attori politici che operano all’interno dello stato nazionale di partenza
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Il ruolo dello stato nel contesto di approdo
La rilevanza dello stato, risulta evidente anche quando si rivolge l’attenzione verso il contesto di approdo: è solo quando si è ottenuto un permesso di soggiorno che ci si può
permettere con serenità di attuare una strategia di vita transnazionale muovendosi come un pendolare che attraversa i confini degli stati
Semplicemente questo dato ci dovrebbe indurre a temperare le previsioni post-nazionali e a riconoscere che comunque le comunità transnazionali sono obbligate a negoziare con il potere che lo stato esercita sui confini territoriali
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Contesto di approdo ed esclusione sociale
Se e quando entrano all’interno degli stati, i senegalesi come altri migranti devono scontrarsi con numerosi problemi: Alcuni migranti ricordano la prima entrata nel paese di approdo come
una prova di pazienza e fatica, in cui aspettare il momento opportuno per tentare la sorte
La diffusa rappresentazione dei migranti come criminali affibbiando lo statuto di illegalità agli irregolari ha comportato la formazione di un segmento sempre più vasto della società che si caratterizza come impaurito, senza alcuna tutela legale, privo di difesa nei confronti di datori di lavoro o di padroni di casa che vedono in esso una ghiotta occasione di sfruttamento
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L’ambiguità nel percorso delle politiche sull’immigrazione in Italia
Le politiche sull’immigrazione in Italia: da un lato esprimono il bisogno oggettivo di lavoratori stranieri da parte
del mercato del lavoro dall’altro, una crescente criminalizzazione dei migranti rappresentati a
più riprese come un pericolo da espellere. Già negli anni ’80, la reazione del Governo Italiano al fenomeno della
migrazione rispecchiava quest’ambiguità: Da un lato si dichiarava che l’Italia non desiderava basare il proprio
sviluppo economico sulla forza lavoro straniera Dall’altro, l’Italia affermava di essere pronta ad accogliere i migranti nel
nome della sua tradizione democratica e della solidarietà con la difficile situazione economica dei paesi in via di sviluppo
Di conseguenza, ai migranti veniva data la possibilità di stabilirsi in Italia, ma senza un vero riconoscimento politico del loro status e delle loro esigenze.
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In questo contesto, fino al 1986, data della prima delle tre leggi nazionali (1986, 1990, 1998), l’immigrazione è stata affrontata in termini d’ordine pubblico e di controllo, lasciando le questioni sociali al settore del lavoro volontario
La legge del 1986 non costituisce un netto cambio di direzione rispetto al periodo precedente e provvede a disciplinare alcuni aspetti importanti, come ad es. i ricongiungimenti familiari.
E solo con la legge del 1990 che si comincia ad emergere il problema delle quote
La legge del 1986
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La legge del 1990 e l’evoluzione della politica italiana nel contesto europeo
In base alla seconda legge, emanata nel 1990, il numero di immigrati che potevano essere accettati in Italia sarebbe stato determinato in base alle esigenze economiche nazionali e conformemente con i trattati europei
Un fattore significativo dell’evoluzione della politica italiana è stato l’appartenenza alla UE: L’immigrazione in Italia (e in altri paesi del Sud dell’Europa) ha contribuito
ad una crescente preoccupazione a livello europeo circa le frontiere. In questo quadro, i governi italiani di tutti gli orientamenti politici hanno
dovuto dimostrare di non offrire un facile punto d’ingresso, di non costituire in pratica il punto debole dell’unione.
Occorre notare, tuttavia che, come per ironia, le politiche che hanno teso a rafforzare le barriere contro coloro che cercavano di lavorare legalmente in Italia, hanno incoraggiato implicitamente l’ingresso illegale nel paese
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Gli esiti formali delle leggi sull’immigrazione
Queste leggi hanno contribuito a definire i diritti degli immigrati e a stabilire alcune misure per la loro integrazione con garanzie formali a tutti i lavoratori “extracomunitari” regolarmente residenti in Italia ed alle loro famiglie completa eguaglianza di trattamento rispetto ai lavoratori italiani.
Inoltre, esse sanciscono il loro diritto ad avere una casa, a frequentare la scuola, ad organizzarsi in associazioni e a mantenere le loro identità culturali.
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Gli esiti sostanziali delle leggi sull’immigrazione
Tuttavia è forte la discrepanza sostanziale tra la definizione formale di diritti e la loro attuazione. Nella maggior parte dei casi i diritti alla casa, al lavoro e all’assistenza
sanitaria rimangono solo teorici. sul versante coercitivo, la legge del 1998 perpetuava la
criminalizzazione dell’immigrazione illegale fissando pene severe a coloro che incoraggiano l’immigrazione clandestina e creando i cosiddetti centri di permanenza temporanea (CPT) per coloro che sono entrati illegalmente
La legge Bossi-Fini attualmente in vigore è paradossalmente più coerente: istituzionalizza un regime di quasi-apartheid.
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Il rapporto fra politiche italiane e politiche dei paesi europei
Concentrato sulla protezione della frontiera, il discorso politico italiano riproduce quanto si ritrova in molti altri paesi europei.
In quasi tutta Europa, infatti, L’immigrazione irregolare è stata per tutti gli anni novanta uno dei cavalli di battaglia di aggressive campagne politiche, condotte non solo dall’estrema destra.
Ciò ha contribuito: alla politicizzazione del fenomeno migratorio e la tendenza mediatica a rappresentare
i migranti come un problema socio-culturale senza apprezzare la complessità e la varietà delle migrazioni
A coinvolgere anche le minoranze presenti nei paesi europei da più generazioni nel clima xenofobo stimolato da questa crescente tensione maniacale sul controllo dei confini territoriali
Ad una forte politicizzazione del concetto di cultura e di appartenenza culturale Ad una crescente legittimazione delle differenze, delle disuguaglianze e delle pratiche
di esclusione con ragioni “culturalizzanti” fino a giungere a quel “fondamentalismo culturale” che esalta e che forgia il nuovo razzismo differenzialista sempre più diffuso nei paesi europei
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Il “fondamentalismo culturale” e il razzismo differenzialista
“Si tratta di un tipo di strategia discorsiva che nega e contemporaneamente costruisce simbolicamente la sua opposizione nei confronti dei migranti attraverso argomentazioni emergenti dal senso comune quali il desiderio di regole chiare, l’anelito a legge ed ordine, la difesa di interessi economici nazionali o locali e quella di interessi politici autoctoni, legittimando così la diffusa ostilità nei confronti dei migranti come naturale espressione di difesa del proprio territorio” Riccio 2004:135).
Implicitamente, dietro a questi discorsi si annidano concezioni dei migranti come persone culturalmente differenti in modo incommensurabile.
Non di rado tale differenza si rivela poi sinonimo di inferiorità e disuguaglianza.
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Processi di globalizzazione e politiche dell’identià
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Passing e particolarismi identitari
I processi identitari nell’età contemporanea sembrano caratterizzati da due movimenti opposti ma coesistenti: da un lato vi è una tensione verso l’uniformizzazione degli stili di vita e delle
aspirazioni identitarie” generata dalla planetarizzazione dei mercati che tende a presentarci l’identità come una merce che si può vendere e comprare
• come sostengono da un paio di decenni alcune avanguardie culturali, questo segnerebbe la fine delle appartenenze stabili e l’affermarsi di modelli esistenziali basati sul passing, cioè sul tentativo di mutare razza e status, di oltrepassare un accesso vietato
dall’altro lato, tuttavia, un numero sempre crescente di individui, gruppi e nazioni rivendica l’irriducibilità della propria identità e il proprio diritto a viverla separatamente: a vari livelli in tutto il mondo, infatti, si producono fenomeni di
particolarismo identitario (fondamentalismo islamico, regionalismi, nazionalismi come nel caso della ex Jugoslavia, ecc.).
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Identità culturale e identità etnica
L’emergenza di particolarismi etnico-identitari sembra prodursi proprio contestualmente all’affermarsi della globalizzazione
Ed è proprio il paradigma dell’etnicità, in molti casi, a dare forma e a “giustificare” l’irrigidimento o l’ “invenzione” della tradizione, l’attaccamento a una propria identità culturale “autentica”, l’enfasi sulle “radici”.
Paradossalmente, proprio la deterritorializzazione risulta essere uno dei fattori più rilevanti delle manifestazioni ipertrofiche del radicamento.
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Contro una visione naturalistica dell’identità etnica Nel linguaggio dei media concetti come “identità etnica”, “etnia”, “etnicità” sembrano
rinviare a realtà dotate di statuto oggettivo solitamente assegnato a fenomeni naturali In questa visione naturalistica l’etnicità appare come qualcosa che è costituito da un certo
numero di individui: Parlanti la stessa lingua In possesso di un certo numero di tradizioni comuni Abitanti uno stesso territorio
Allo stesso modo parliamo di etnicità come se si trattasse di una rivendicazione di identità che scaturisce in maniera naturale dall’esistenza delle stesse etnie
Questa concezione è alla base di una visione distorta dei motivi di conflitto tra gruppi “etnici” diversi
Concezione distorta perché in questa visione i conflitti vengono ascritti all’etnicità
considerata come espressione naturale dell’esistenza delle etnie
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L’etnia in una prospettiva antropologica
Necessità di superare una concezione naturalistica di “identità etnica” Dal punto di vista antropologico l’etnia non è una realtà “naturale”, ma
“culturale” Per l’antropologia appartenere ad un determinato gruppo etnico è una
questione che ha che fare con l’ordine del simbolico Detto in altri termini, il sentimento di appartenere ad un gruppo etnico a a
che fare con definizioni del “se” e dell’”altro” collettivi che hanno quasi sempre le proprie radici in rapporti di forza tra gruppi coagulati intorno ad interessi specifici
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Il dibattito sulla natura dell’”identità etnica”
Le discussioni sulla natura dell’identità etnica si sono fatte particolarmente accese a partire dagli anni ‘80 prendendo le mosse da riflessioni intorno al tema del nazionalismo
Nel corso di questo dibattito sono emerse prospettive e concezioni diverse sull’identità fra le quali particolarmente interessanti, rispetto al rapporto fra identità e processi di globalizzazione, risultano quelle:
di A. Cohen, che considera l’aspetto “strumentale dell’etnicità: In questa prospettiva l’etnicità sarebbe soprattutto un costrutto simbolico in
grado di orientare dei gruppi impegnati in una lotta per l’accesso alle risorse Dei cosiddetti “situazionisti”, come Epstein, che focalizzano l’attenzione
sul processo di formazione di un’idea del “noi” etnico come risultato dell’attivazione in determinate circostanze di simboli e immagini capaci di sostenere il sentimento identitario
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Per un’analisi fenomenologica dell’etnicità
La riflessione antropologica oggi, piuttosto che partire da principi generali o dalla identificazione e discussione di teorie generali sull’etnicità, è orientata sempre più verso l’analisi di quella che viene definita la “fenomenologia etnica”
In questa prospettiva gli approcci come quelli di F. Barth di A. Cohen, di Epstein, ecc. permettono di considerare più da vicino i processi sociali e simbolico-culturali che caratterizzano l’emergere del fenomeno etnico nei diversi contesti
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Fondamentalismi identitari e migrazioni
Le aggregazioni fondamentaliste trovano infatti alimento ideale e sostegno pratico proprio: nelle condizioni di vita degli immigrati, nella reazione all’esclusione e allo sradicamento cui li sottopone la loro
condizione di stranieri e, spesso, di emarginati; nelle difficoltà “oggettive” “materiali”, di praticare la propria fede
religiosa nei paesi d’accoglienza, nella facilità con cui, su tutto questo, si innestano la propaganda e il
fanatismo di alcuni gruppi politici e dei loro leader locali le difficoltà di inserimento incontrate da chi si trasferisce in una
società occidentale, possono determinare, un nuovo sentimento di attaccamento e un nuovo senso di lealtà nei confronti di ciò che con l’emigrazione essi avevano tentato di mutare.
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I cambiamenti che coinvolgono le nostre società e l’emergere di nuovi particolarismi identitari
Anche i membri dei paesi industrializzati, sono investiti da cambiamenti continui e di diversa natura, da quelli inerenti la vita quotidiana a quelli di carattere più generale quali:
la fine del bipolarismo Est/Ovest e il conseguente estinguersi del “nemico tradizionale” l’indebolimento del paradigma politico sinistra/destra, i processi di integrazione europea la riorganizzazione delle politiche interne nazionali spesso effettuata ai danni dei
sistemi di welfare e di protezione sociale le trasformazioni demografiche l’immersione continua e in molti casi passiva nel “flusso culturale globale”
L’insieme di questi cambiamenti sembra generare un disagio esistenziale e materiale, uno sperdimento cognitivo e identitario difficile da gestire sia per i migranti che per noi occidentali e rende difficile per entrambi sottrarsi al fascino esercitato dalla forza e dalla non-complessità delle «identità di sostegno» di tipo etnicizzante
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