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Lorenzo di Piero de' Medici, detto Lorenzo il Magnifico (Firenze, 1º gennaio 1449 – Careggi, 8 aprile 1492)

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LORENZO DE' MEDICI1 Fugita la stagion che avea conversi e fiori in pomi gi maturi e clti; in ramo non pu pi foglia tenersi, ma sparte per li boschi assai men folti si fan sentir, se avvien che gli atraversi el cacciatore, e i pochi paion molti; la fera, se ben l'orme vaghe asconde, non va segreta per le secche fronde. 2 Tra li lbor secchi stassi il lur lieto, e di Ciprigna l'odorato arbusto; verdeggia nelle bianche alpe l'abeto, e piega e rami gi di neve onusto; tiene il cipresso qualche uccel secreto, e co' venti combatte il pin robusto; l'umil ginepro con le acute foglie la man non punge altrui, chi ben lo coglie; 3 La uliva in qualche dolce piaggia aprica secondo il vento par or verde or bianca: natura in questi tal serba e nutrica quel verde che nell'altre fronde manca. Gi e peregrini uccei con gran fatica hanno condotto la famiglia stanca di l dal mare, e pel camin lor mostri Neride, Tritoni ed altri mostri. 4 Ha combattuto dello imperio e vinto la Notte, e prigion mena el breve giorno: nel ciel seren d'etterne fiamme cinto lieta el carro stellato mena intorno; n prima surge, che in Occan tinto si vede l'altro aurato carro adorno; Oron freddo col coltel minaccia Febo, se mostra a noi la bella faccia. 5 Seguon questo notturno carro ardente Vigilie, Escubie e sollecite Cure, el Sonno (e bench'e' sia molto potente, queste importune il vincon talor pure), e' dolci Sogni, che ingannon la mente, quando opressa da fortune dure: di sanit, d'assai tesor fa festa alcun che infermo e povero si desta. 6 Oh miser quel che in notte cos lunga non dorme, e il disato giorno aspetta, se avvien che molto e dolce disio il punga, quale il futuro giorno li prometta! e, bench ambo le ciglia insieme aggiunga, e' pensier tristi escluda e' dolci ametta, dormendo o desto, acci che il tempo inganni, gli par la notte un secol di cento anni. 7 Oh miser chi tra fonde truova fuora si lunga natte, assai lontan dal lito, e 'l cammin rompe della cieca prora el vento, e freme il mare un fer mugito! con molti prieghi e voti l'Arora chiamata, sta col suo vecchio marito. Numera tristo e disoso guarda e passi lenti della Notte tarda. 8 Quanto diversa, anzi contraria sorte de' lieti amanti nella algente bruma, a cui le notte sono e chiare e corte, il giorno oscuro e tardo si consuma! Nella stagion cos gelida e forte, gi rivestiti di novella piuma, hanno deposto gli ugelletti alquanto non so s'io dica o e lieti versi o 'l pianto. 9 Stridendo in cielo e gru vegonsi a lunge l'er stampar di varie e belle forme; l'ultima col collo steso agiunge ove quella dinanzi, alle vane orme; e, poi che nelli aprichi lochi giunge, vigile un guarda, e l'altra schiera dorme: cuoprono e prati e van leggier' pe' laghi mille spezie d'uccei dipinti e vaghi. 10 L'aquila spesso col volato lento minaccia tutti, e sopra il stagno vola: levonsi insieme e caccionla col vento delle penne stridente; e, se pur sola una fuor resta del pennuto armento, l'uccel di Giove subito la invola: resta ingannata, misera, se crede andarne a Giove come Ganimede. 11 Zefiro s' fuggito in Cipri, e balla con Flora, oziosi per la erbetta lieta; l'aria non pi serena, bella e gialla Borra ed Aquilon rompe e inquieta; l'acqua corrente e querula incristalla el ghiaccio, e stracca or si riposa cheta: preso il pesce nell'onda dura e chiara resta come in ambra aura zanzara. 12 Quel monte che se oppone a Cauro fero, che non molesti il gentil fior, cresciuto nel suo grembo d'onor, ricchezze e impero, cigne di nebbie el capo gi canuto; gli omer' candenti, gi dal capo altero, cuoprono e bianchi crini, e 'l petto irsuto la orribil barba, che pel ghiaccio rigida; fan gli occhi e 'l naso un fonte, e 'l gel lo infrigida. 13 La nebulosa ghirlanda che cigne l'alte tempie gli mette Noto in testa; Borrea da l'alpe poi la caccia e spigne, e nudo e bianco el vecchio capo resta; Noto sopra Pale umide e maligne la nebbia porta, e par di nuovo il vesta: cos Morello irato, or carco or lieve, minaccia al pian subietto or acqua or neve 14 Partesi de Etopia caldo e tinto Astro, e sazia l'assetate spugne nell'onde salse di Tirreno intinto; appena a' destinati luoghi giugne, gravido d'acqua e da' nugoli cinto e stanco, stringe poi ambo le pugne: e fiumi lieti contro all'acque amiche escono allor delle caverne antiche. 15 Rendon grazie ad Occan padre, adorni d'ulva e di fronde fluval' le tempie; suonan per festa e rochi e torti corni; tumido il ventre, gi superbo, s'empie; lo sdegno, conceputo molti giorni contro alle ripe timide, s'adempie: spumoso ha rotto gi lo inimico argine, n serva il corso dello antico margine. 16 Non per vie lunghe o per cammino oblico a guisa di serpenti, a gran volumi, sollecitan la via al padre antico: congiungon l'onde insieme e lontan' fiumi, e dice l'uno all'altro, come amico, nuove del suo paese e de' costumi: cos insieme, in una strana voce, cercon, n truovon, la smarrita foce. 17 Quando gonfiato e largo si ristrigne tra li alti monti d'una chiusa valle, stridon frenate, turbide e maligne l'onde, e miste con terra paion gialle; e grave petre sopra petre pigne, irato a' sassi dello angusto calle; l'onde spumose gira, e orribil freme: vede il pastor da alto, e, secur, teme. 18 Tal fremito piangendo rende trista la terra dentro al cavo ventre adusta: caccia col fumo fuor fiamma cqua mista gridando, ch'esce per la bocca angusta, terribile alli orecchi ed alla vista: teme, vicina, il suon alta e robusta Volterra, e' lagon' torbidi che spumano, e piove aspetta se pi alto fumano. 19 Cos crucciato il fer torrente frende superbo, e le contrarie ripe rode; ma, poi che nel pian largo si distende, quasi contento alora appena se ode: incerto se in su torna o se pur scende, ha de' monti distanti fatto prode: gi vincitore il cheto lago incede, di rami e tronchi pien, montane prede. 20 A pena suta a tempo la villana pavida prire alle bestie la stalla; porta il figlio, che piange, nella zana; segue la figlia grande, ed ha la spalla grave di panni vili, lini e lana; va l'altra vecchia masserizia a galla: nuotono e porci e, spaventati, e buoi, le pecorelle, e non si toson poi. 21 Alcun della famiglia s' ridotto in cima della casa, e su dal tetto la povera ricchezza vede ir sotto, la fatica, la speme; e per sospetto di se stesso, non duolsi e non fa motto: teme alla vita el cuor nel tristo petto, n delle cose car' par conto faccia: cos la magior cura ogn'altra caccia. 22 La nota e verde ripa alor non frena e pesci lieti, che han pi ampli spazii; l'antica e giusta voglia alquanto piena di veder nuovi liti; e, non ben sazii, questo nuovo piacer vaghi gli mena a veder le ruine e' grandi strazii delli edificii, e sotto l'acqua e muri veggon lieti e ancor non ben sicuri. 23 In guisa alor di piccola isoletta Ombrone amante superbo Ambra cigne; Ambra, non meno da Lur diletta, geloso se 'l rival la tocca e strigne; Ambra drde, a Delia sua accetta quanto alcuna che stral fuor d'arco pigne; tanto bella e gentil, che alfin li nuoce, leggier di piedi e pi ch'altra veloce. 24 Fu da' primi anni questa ninfa amata dal suo Lur gentil, pastore alpino, d'un casto amor: n era penetrata lasciva fiamma al petto peregrino. Fuggendo il caldo un d nuda era entrata nell'onde fredde de Ombron, d'Appennino figlio, superbo in vista e ne' costumi pel padre antico e' cento frati fiumi. 25 Come le membra virginali entrorno nella acqua bruna e gelida sento, e, mosso da leggiadro corpo adorno, della spilonca usc l'altero iddio; dalla sinistra prese il torto corno, e nudo el resto, acceso di disio, difende il capo inculto a' febei raggi coronato d'abeti e montn' faggi. 23 E verso il loco ove la ninfa stassi giva pian pian, coperto dalle fronde; n era visto, n sentire e passi lasciava il mormorio delle chiare onde. Cos vicin tanto alla ninfa fassi che giugner crede le sue trecce bionde, e quella bella ninfa in braccio avere, e, nudo, el nudo e bel corpo tenere. 27 S come pesce, alr, che incauto cuopra el pescator con rara e sottil maglia, fugge la rete, qual sente di sopra, lasciando, per fuggire, alcuna scaglia; cos la ninfa, quando par si scuopra, fugge lo dio, che addosso si li scaglia, n fu s presta, anzi fu s presto elli, che in man lasciolli alcun de' sua capelli. 28 E, saltando dell'onde, strigne il passo; di timor piena fugge nuda e scalza; lascia e panni e li stral', l'arco e'l tarcasse non cura e pruni acuti o l'aspra balza; resta lo dio dolente, aflitto e lasso; pel dolor le man' strigne, al ciel li occhi alza; maladisce la man crudele e tarda, quando e biondi capelli svelti guarda. 29 E seguendola, alor, diceva: - O mano, a vellere e be' crin' presta e feroce, ma a tener quel corpo pi che umano e farmi lieto, ohim, poco veloce! Cos piangendo il primo errore invano, credendo almeno agiugner con la boce dove arrivar non puote il passo tardo, gridava: - O ninfa, un fiume sono, ed ardo! 30 Tu m'accendesti in mezzo alle fredde acque el petto d'uno ardente disir cieco: perch, come nell'onda el corpo giacque, non giace, ch staria me' assai, con meco? Se l'ombra e l'acqua mia chiara ti piacque, pi bella ombra, pi bella acqua ha el mio speco. Piaccionti le mia cose, e non piaccio io: e son pur d'Appennin figliuolo, e dio. 31 La ninfa fugge, e sorda a' prieghi fassi; a' bianchi pi agiugne ale il timore. Sollecita lo dio, correndo, e passi, fatti a seguir veloci dallo amore; vede da' pruni e da' taglienti sassi e bianchi pi ferir con gran dolore; cresce el disio, pel quale e ghiaccia e suda, vedendola fugir s bella e nuda. 32 Timida e vergognosa Ambra pur corre; nel corso a' venti rapidi non cede; le leggier' piante sulle spighe porre potria, e sosterrieno il gentil piede; vedesi Ombrone ognor pi campo trre, la ninfa ad ogni passo manco vede: gi nel pian largo tanto il corso avanza, che di giugnerla perde ogni speranza. 33 Gi pria per li alti monti aspri e repenti vena tra' sassi con rapido corso; e passi a lei manco espediti, e lenti, faceano a lui sperar qualche soccorso; ma giunto, lasso, gi ne' pian' patenti, f u messo quasi al fiume stanco un morso: poi che non pu col pi, per la campagna col disio e cogli occhi l'acompagna. 34 Che debbe far lo innamorato iddio, poi che la bella ninfa pi non giugne? Quanto gli pi negata, pi disio lo 'nnamorato core accende e pugne. La ninfa era gi presso ove Arno mio riceve Ombrone, e l'onde si congiugne: Ombrone, Arno veggendo, si conforta, e surge alquanto la speranza morta. 35 Grida da lungi: - O Arno, a cui refugge la magior parte di noi fiumi toschi, la bella ninfa che come uccel fugge, da me seguta in tanti monti e boschi, sanza alcuna piatate el cor mi strugge, n par che amor el duro cor conoschi: rendimi lei, e la speranza persa, e el legier corso suo rompi e 'ntraversa. 36 Io sono Ombron che le mia cerule onde per te raccoglio: a te tutte le serbo, e fatte tue diventon s profonde, che sprezzi e ripe e ponti, alto e superbo; questa mia preda, e queste trecce bionde, qual in man porto con dolore acerbo, ne fan chiar segno; in te mie speme sola: soccorri presto, ch la ninfa vola! - 37 Arno vedendo Ombron, da piet mosso, per che el tempo non basta a far risposta, ritenne l'acqua, e gi gonfiato e grosso da lungi al corso della bella Ambra osta. Fu da nuovo timor freddo e percosso el vergin petto, quanto pi s'acosta: drieto Ombron sente, e innanzi vede un lago, n sa che farsi, il cor gelato e vago. 38 Come fera cacciata e gi difesa da' can', fuggendo la bocca bramosa, fuor del periglio gi, la rete tesa veggendo innanzi agli occhi, purosa, quasi gi certa dovere esser presa, n fugge innanzi o indrieto tornar osa, teme e cani, alla rete non si fida, non sa che farsi, e spaventata grida; 39 tal della bella ninfa era la sorte: da ogni parte da pura oppressa, non sa che farsi, se non disfar morte; vede l'un fiume e l'altro che s'apressa, e disperata alor gridava forte: - O casta dea, a cui io fui concessa dal caro padre e dalla madre antica, unica aiuta all'ultima fatica! 40 Dana bella, questo petto casto non macul giammai folle disio: guardalo or tu, perch'io, ninfa, non basto a dua nimici; e l'uno e l'altro dio. Col desio del morir m' sol rimasto al core el casto amor di Lur mio; portate, o venti, questa voce estrema a Lur mio, che la mia morte gema! 41 N eron quasi della bocca fore queste parole, che i candidi piedi fumo occupati da novel rigore; crescerli poi e farsi un sasso vedi, mutar le membra e 'l bel corpo colore; ma pur, che donna fussi ancor tu credi: le membra mostron come suol figura bozzata e non finita in pietra dura. 42 Ombron pel corso faticato e lasso, per la speranza della cara preda prende nuovo vigore e strigne il passo, e par che quasi in braccio aver la creda: crescer veggendo innanzi agli occhi il sasso, ignaro ancor, non sa donde proceda; ma poi, veggendo vana ogni suo voglia, si ferma pien di maraviglia e doglia. 43 Come in un parco cerva od altra fera, ch' di materia o picciol muro chiuso, soprafatta da' can' campar non spera vicina al muro, e per timor l suso salta, e si lieva innanzi al can legiera, resta el can dentro misero e deluso; non potendo seguir dove salita, fermasi, e guarda el loco onde fuggita; 44 cos lo dio ferma la veloce orma, guarda piatoso il bel sasso crescente, el sasso, che ancor serba qualche forma di bella donna, e qualche poco sente; e come amore e la piet lo 'nforma, di pianto bagna il sasso amaramente, dicendo: - O Ambra mia, queste son l'acque, ove bagnar gi el bel corpo ti piacque! 45 Io non aria creduto in dolor tanto che la propia piat, vinta da quella della mia ninfa, si fugissi alquanto: per la maggior piet d'Ambra mia bella, questa, non gi la mia, muove in me il pianto. E pur la vita trista e meschinella, ancor che etterna, quando meco penso, peggio in me, che in lei non aver senso, 46 Lasso, ne' monti miei paterni eccelsi son tante ninfe, e sicura ciascuna; tra mille belle la pi bella scelsi, non so come; ed amando sol questa una, primo segno di amore e crini svelsi, e caccia'la della acqua fresca e bruna; tenera e nuda poi, fuggendo esangue, tinse le spine e' sassi el sacro sangue. 47 E finalmente in un sasso conversa, per colpa sol del mio crudel disio, non so, non sendo mia, come l' persa, n posso perder questo viver mio: in questo troppo la mia sorte avversa, misero essendo ed immortale dio; ch, s'io potessi pure almen morire, potria il giusto immortal dolor finire. 48 Io ho imparato come si compiacci a donna amata ed il suo amor guadagni, che a quella che pi ami pi dispiacci! O Borea algente, che gelato stagni, l'acque correnti fa s'induri e ghiacci, che, petra fatto, la ninfa acompagni: n sol giamai co' raggi chiari e gialli risolva in acqua e rigidi cristalli.