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Sbobinature Corso Allergoimmunologia e Reumatologia aa. 2016/2017 “Università degli Studi della Campania – Luigi Vanvitelli” - CDLM Medicina e Chirurgia (Sede di Caserta) Sbobinature Allergoimmunologia e Reumatologia 2017

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Sbobinature Corso Allergoimmunologia e Reumatologia aa. 2016/2017

“Università degli Studi della Campania – Luigi Vanvitelli” - CDLM Medicina e Chirurgia (Sede di Caserta)

Sbobinature

Allergoimmunologia e Reumatologia

2017

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Sommario

ROMANO

Lezione 1 (01-03-17) – Malattie IgE mediate, Rinite allergica .................................................................................... 3

Lezione 2 (02-03-17) – Asma Bronchiale ......................................................................................................................... 13

Lezione 3 (08-03-11) – Orticaria ed angioedema .......................................................................................................... 26

Lezione 4 (23-03-17) – Isolated Angioedema ................................................................................................................. 37

Lezione 5 (17-03-17) – Immunodeficienze primitive (PIDs) I ................................................................................. 44

Lezione 6 (04-04-17) – Immunodeficienze (S.C.I.D.) e Dermatite Allergica ....................................................... 56

Lezione 7 (06-04-17) – Food allergy ................................................................................................................................... 67

Lezione 8 (11-04-17) – Dermatite allergica da contatto; dermatite atopica ...................................................... 77

Lezione 9 (20-04-17) – Prove allergiche ........................................................................................................................... 83

Lezione 10 (21-04-17) – Anafilassi ...................................................................................................................................... 88

CUOMO

Lezione 1 (06-03-17) – Lezione introduttiva .................................................................................................................. 97

Lezione 2 (09-03-17) – Artriti da agenti infettivi ........................................................................................................111

Lezione 3 (10-03-17) – Artrite reumatoide ...................................................................................................................127

Lezione 4 (17-03-17) – Coinvolgimento cardiaco in corso di sclerosi sistemica ...........................................143

Lezione 5 (20-03-17) – Sclerosi Sistemica......................................................................................................................156

Lezione 6 (21-03-17) – Spondiloentesoartriti ..............................................................................................................174

Lezione 7 (22-03-17) – Lupus Eritematoso Sistemico ..............................................................................................204

Lezione 8 (03-04-17) – Connettiviti ..................................................................................................................................213

Lezione 9 (05-04-17) – Malattie dell’immunità innata e osteoporosi .................................................................232

Lezione 10 (07-04-17) – Gotta e Artriti microcristalline..........................................................................................244

Lezione 11 (10-04-17) – Osteoartrosi e reumatismi extrarticolari .....................................................................254

Lezione 12 (12-04-17) – Vasculiti. .....................................................................................................................................264

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Romano – Lezione 1 (01-03-17) – Malattie IgE mediate, Rinite allergica

Sbobinatore: Anna Cerbone

Coordinatore: Antimo Nunziante

Malattie IgE mediate

Allora ragazzi io mi occupo più di allergologia e immunologia clinica, poi farete la reumatologia con la

professoressa Cuomo. Per quanto riguarda la parte di allergologia mi focalizzerò sulle malattie IgE

mediate cioè le malattie da ipersensibilità immediata secondo la classificazione di Gell e

Coombs[leggi Ghell e Cumbs] che immagino avete fatto in immunologia.

Le malattie IgE mediate sono malattie da ipersensibilità immediata perché le manifestazioni cliniche

che si verificano dopo breve tempo all’esposizione all’antigene, che in questo caso viene chiamato

allergene, sono appannaggio non di tutti i soggetti ma solo di coloro che sono definiti atopici.

L’atopico, che in greco significa” fuori luogo”, è il soggetto che invece di produrre anticorpi di isotipi

più comuni come IgG, IgA, IgM nei confronti di un determinato antigene, produce le IgE.

Le IgE,come sapete, hanno recettori ad alta affinità sui mastociti e sui basofili e il legame di queste IgE

ai recettori fa sì che queste cellule si armino, diventando pronte per la degranulazione. Liberano i

propri mediatori; questo avviene quando i recettori, con le IgE legati ad essi, vengono avvicinati.

Fenomeno che prende nome in inglese di Cross-Linking, e questo avviene quando un allergene

avvicina il frammento legante l’antigene delle IgE alla superficie di queste cellule, ma questo poi lo

vedremo successivamente.

Chiaramente il prerequisito per cui si formano le IgE nei confronti di un determinato antigene è il fatto

che questi soggetti devono avere la tendenza innata a produrre IgE invece di altri isotipi

immunoglobulinici,questa tendenza a produrre IgE si chiama atopia. Più o meno diciamo che

attualmente la prevalenza dell’atopia è intorno al 20%,quindi un soggetto su cinque tende ad essere

atopico,quindi a produrre a IgE nei confronti di determinati antigeni e quindi di soffrire eventualmente

di malattie IgE mediate, di cui le più comuni le vedremo in rapida carrellata.

Il punto è: che cos’è che determina l’atopia? Non sappiamo perché un soggetto diventi atopico,

chiaramente c’è una familiarità e normalmente un soggetto atopico ha uno o entrambi i genitori che

sono atopici; anche se recentemente si è osservato che l’atopia compare anche in famiglie in cui non è

presente l’atopia, e per questo sono state formulate diverse ipotesi e siccome non conosciamo la

costruzione genetica, abbiamo degli studi che hanno cercato di trovare un background per questa

atopia: sono state rilevate in alcuni gruppi di pazienti alcune condizioni che possono essere

predisponenti. Queste situazioni quali sono? Per esempio la presenza dei polimorfismi delle

interleuchine; il polimorfismo che cos’è: è una variante di un gene per il quale questo gene ha

un’attività più accentuata o più ridotta. Per quanto riguarda i polimorfismi delle citochine per esempio

delle interleuchine, ci sono delle interleuchine che sono tipicamente prodotte dalle cellule che

mediano l’atopia cioè i linfociti TH2.

Vi faccio un breve raccordo con immunologia: essenzialmente noi possiamo dividere la risposta

immunitaria di tipo T helper in più espressioni: due espressioni tipiche iniziali erano solo Th1 e Th2,

ora però ci sono anche Th9,Th17,Th22, man mano che si va avanti e si conosce meglio la riposta

immunitaria andiamo a descriverla sempre più accuratamente.

Inizialmente la prima dicotomia ad essere individuata è stata appunto quella di Th1 e Th2. I Th1 sono i

T helper 1 che producono citochine tipo l’interferone γ, mentre i Th2 sono le cellule che producono

citochine come le IL-4, IL-5,IL-13 e così via. La differenza qual è ?L’interferone γ è una citochina

importante nella risposta nelle infezioni,mentre le citochine come le IL-4, IL-5,IL-13 rientrano nelle

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risposte dell’atopia, perché favoriscono lo switch anticorpale nei confronti dell’isotipo dell’IgE, oppure

perché, come IL-5, favoriscono l’accumulo degli eosinofili che sono l’elemento cellulo-mediato

dell’infiammazione atopica.

Quindi per esempio questi polimorfismi delle citochine Th 2 a cosa predisporrebbero?

Predisporrebbero alla più accentuata riposta del sistema immunitario associata a queste citochine,

siccome sono citochine che favoriscono lo switch verso le IgE questi soggetti o questi polimorfismi

possono avere la tendenza innata a produrre più IL-4,IL-5, IL-13 a seconda dei casi, e quindi ad avere

una risposta immunitaria che tende a favorire a produrre più IgE rispetto agli altri isotipi. Però ci sono

anche altre possibilità,per quanto riguarda l’aumento di prevalenza legato all’assenza dei fattori

genetici o di familiarità: adesso si parla anche di una teoria dell’igiene, perché si è visto che da un

punto di vista epidemiologico l’atopia è più comune nei paesi industrialiazzati e con condizioni socio-

sanitarie più sviluppate rispetto a paesi più poveri in cui le condizioni igieniche sono più carenti. E

questo è spiegato in questo senso: se il sistema immunitario si trova a combattere continuamente nei

confronti di germi come virus e batteri, la riposta immunitaria sarà polarizzata essenzialmente verso

la riposta Th1, quindi non ci sarà margine per Th2 per svilupparsi, questo perché,come vi ho detto

prima, queste risposte inizialmente quando sono state individuate erano dicotomiche: cioè se c’è l’una

l’altra viene inibita e viceversa. Quindi se il sistema immunitario è impegnato a combattere con virus e

batteri continuamente, perché le situazioni socio-sanitarie non sono ottimali, si sviluppa

essenzialmente una risposta di tipo Th1 e la riposta Th2 viene ad essere inibita. Viceversa, nei paesi

industrializzati e con condizioni socio-sanitarie migliori avviene il contrario: il sistema immunitario

non ha questo impegno di combattere continuamente germi e batteri perché si disinfetta tutto oggi,i

bambini sono sottoposti a vaccinazioni e non hanno più le malattie infettive infantili come un tempo,

per cui la risposta Th1 è un po’ oziosa,di conseguenza poiché le due risposte sono dicotomiche la Th2

tende a prevalere e quindi c’è questa maggior tendenza all’atopia.

Quindi volendo sintetizzare in breve: da un lato ci deve essere una costituzione genetica per cui anche

se essenzialmente sconosciuta, ci sono questi polimorfismi ma possono esservi anche altre alterazioni

non ancora identificate che favoriscono la riposta IgE, da un lato c’è la condizione ambientale per cui

nei paesi più avanzati si spiega l’aumento da un punto di vista epidemiologico la prevalenza

dell’incidenza [credo sia “aumento dell’incidenza“] dell’atopia. L’esempio più chiaro da questo punto di

vista è rappresentato dal riscontro in un’area geografica contigua alla Finlandia che sarebbe una delle

piccole repubbliche russe che si sono formate dopo lo sfaldamento dell’ex Unione Sovietica,

praticamente è la stessa regione geografica, l’unica differenza è che in Finlandia le condizioni socio-

economiche e igieniche sono avanzatissime ed in questa piccola repubblica russa, molto povera, le

condizioni socio-economiche e igieniche sono molto più precarie; ne deriva che in Finlandia c’è una

prevalenza di bambini atopici elevatissima, mentre superando il confine nella repubblica russa l’atopia

è molto meno frequente e questo avvalora la teoria dell’igiene proprio perché nella stessa area

geografica separata da condizioni di vita differenti, noi avremo un’alta prevalenza da un alto e

bassissima prevalenza dall’altro.

Questo è ancora per ricordare questa situazione [vedi slide 2]: vi ho detto che queste risposte sono in

antagonismo tra di loro, quindi tutto ciò che favorisce la risposta Th1 inibisce la Th2 e viceversa ;

questo spiega perché l’atopia è meno frequente nelle famiglie molto numerose: in queste c’è più

possibilità che ci sia la trasmissione tra i bambini e quindi la riposta Th1. Se vivono in un ambiente

rurale piuttosto che in città, poiché l’ambiente rurale favorisce di più le infezioni, la risposta Th1

predomina, viceversa la riposta Th2 è predominante quando c’è un uso massivo degli antibiotici e

quindi impedisce il sistema immunitario di sviluppare il braccio Th1; quando c’è uno stile di vita

occidentale che è caratterizzata da queste migliorate condizioni igieniche per cui le risposte Th2

prevalgono e le risposte Th1 sono inibite. Anche perché le citochine come l’interferone γ prodotto da

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Th1, hanno un effetto soppressivo su Th2, viceversa le altre citochine come le IL-4, IL-5, IL-13

inibiscono le risposte Th1.

Vediamo adesso la patogenesi delle malattie IgE mediate [slide 3 ]

La patogenesi è la stessa di tutte le malattie IgE mediate, perché parte dal fatto che le cellule B

evolvono a plasmacellule IgE secernenti sotto l’azione di linfociti Th2. Questi inducono la

secrezione di IgE tramite le IL-4, IL-5,IL-13 che inducono lo switch isotipico e questi anticorpi hanno

recettori ad alta affinità soprattutto su mastcellule, le quali sono diffuse in tutti i tessuti

dell’organismo, e i basofili che sono la loro controparte circolante cioè le cellule che si ritrovano nel

sangue. Siccome sono recettori ad alta affinità, le IgE circolanti si legano ai recettori di queste cellule e

poi aspettano che arrivi eventualmente l’allergene. Se arriva l’allergene come si vede qui [vedi slide 3 ]

l’allergene che lega due IgE a ponte, avvicina i recettori,si determina il cosiddetto “cross-linking” che

dà un segnale di degradazione alla cellula. Quindi le mastcellule rilasciano come mediatori principali

alcuni pre-formati, cioè sono già presenti nei loro granuli, tipo l’istamina e altri che sono di nuova

sintesi come il fattore attivante le piastrine e così via. L’istamina è una sostanza che determina

vasodilatazione, aumenta la permeabilità vascolare e stimola le fibre nervose del prurito, per cui ogni

volta che c’è il rilascio dell’istamina noi avremo un eritema, un essudato eventualmente e il prurito

come sensazione obiettiva. Gli altri mediatori hanno anche altri effetti come ad esempio inducono la

contrattura della muscolatura liscia, quando questo si verifica al livello bronchiale determina

l’ostruzione dei bronchi e quindi la comparsa dell’asma. Ci sono anche mediatori che inducono la

stimolazione delle ghiandole presenti nelle mucose e quindi la secrezione di muco può favorire poi la

partecipazione alle manifestazioni cliniche di queste malattie. Quindi le malattie IgE mediate sono

tutte da collegare alla degranulazione di queste cellule ovvero mastociti e basofili. Questa è la

riposta immediata, esiste però una risposta un po’ più tardiva perché le mastcellule, oltre ai linfociti

Th2, con il rilascio delle interleuchine tipo le IL-5, richiama altre cellule infiammatorie come gli

eosinofili che tipicamente si riscontrano nella mucosa colpita dall’infiammazione allergica IgE

mediata propriamente detta. Gli eosinofili rilasciano le proteasi che distruggono la componente

strutturale del connettivo, favoriscono poi i danni cronici che si determinano al livello delle mucose

interessate.

Questo è invece il ruolo delle interleuchine [slide 4], vedete che con il rilascio di interleuchine si

richiamano gli eosinofili, si inducono le cellule B a produrre altri IgE e queste inducono la loro

attivazione e quindi tutto questo processo si amplifica e si protrae. È chiaro che è necessaria, ogni volta

che c’è una reazione IgE mediata, prima una sensibilizzazione del gene perché è necessario che si

formino le IgE che armano le mastcellule, cioè la reazione IgE mediata non avviene a primo contatto

con l’antigene ma avviene dopo la sensibilizzazione, dopo la produzione iniziale delle IgE specifiche.

Se per esempio un soggetto si sensibilizza ad un polline produrrà queste IgE contro il polline alla

prima inalazione delle componenti polliniche, però alla prima inalazione non svilupperà i sintomi, ma

la prima inalazione servirà a produrre le IgE contro il polline. Ad una successiva esposizione le IgE

saranno già presenti sulle mastcellule e basofili, legheranno l’antigene che riconoscono, e le IgE

indurranno alla degranulazione. Quindi è necessario che ci sia questa prima fase di sensibilizzazione.

Questo è un riassunto degli effetti dei mediatori delle mastcellule [slide 6° 7] in breve: abbiamo

detto che c’è la vasodilatazione e l’aumento della permeabilità vascolare, questo fa sì che i vasi si

dilatino e fuoriesca il liquido dai vasi stessi, abbiamo anche la contrazione della muscolatura liscia

bronchiale, la stimolazione nervosa e la secrezione di muco dalle ghiandole della mucosa; oltre al

richiamo, tramite questi fattori chemiotattici, di queste altre cellule che contribuiscono a far infiltrare

le cellule nella mucosa interessata dall’infiammazione e poi il rilascio dei mediatori di queste cellule

contribuisce anche al danno tissutale. Questa diapositiva [slide] riassume le citochine di tipo Th2 più

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importanti che sono le IL-4, IL-5,IL-13,IL-9. L’IL-5 ha essenzialmente un effetto sugli eosinofili mentre

le altre hanno un effetto sullo switch isotipico verso le IgE.

RINITE ALLERGICA

Una delle più comuni manifestazioni di atopia, anche se c’è da dire che l’atopia non è sempre sinonimo

di malattia IgE mediata, ci sono dei soggetti che possono essere atopici ma non avere manifestazioni

cliniche. Quindi l’atopia è solo la predisposizione a produrre IgE, poi l’estrinsecazione clinica varia da

soggetto a soggetto: c’è il soggetto che ha atopia ma non ha manifestazione clinica e c’è invece il

soggetto che ha atopia e ha come manifestazione la rinite allergica, l’asma bronchiale, l’orticaria, la

dermatite atopica oppure una sola di queste manifestazioni. Però per far sì che si manifestino queste

malattie IgE mediate ci deve essere come substrato quest’atopia di fondo.

Allora vi dicevo che la manifestazione di malattia IgE mediata più comune,e credo che qui dentro ci sia

più di una persona in base ai dati di prevalenza di rinite allergica, che abbia questa condizione.

La rinite allergica o oculorinite allergica, perché vi è spesso anche l’impegno delle congiuntive, è una

condizione caratterizzata da queste manifestazioni cliniche:

• Starnuti a salve: la persona starnutisce 10-15 volte consecutive e tipicamente questo succede

soprattutto al mattino e al risveglio,anche se può accadere anche del corso della giornata;

starnuti a salve che non sono come quelli del raffreddore che uno fa due-tre starnuti e basta,

qua abbiamo 10-15 starnuti di fila.

• Rinorrea che è sierosa cioè il muco è trasparente perché non è un muco di natura infettiva,

come nel caso della rinite virale in cui il muco è purulento è giallastro è pastoso, qui invece il

muco è dovuto al fatto della stimolazione delle ghiandole e abbiamo questa secrezione limpida

perché non è infettata,viene definita limpida come l’acqua di fonte, quindi muco chiaro

trasparente.

• Congestione nasale che si verifica perché c’è un’infiammazione: la mucosa diventa congesta

perché i vasi si dilatano, c’è aumento della permeabilità vascolare, c’è l’extravasazione dei

liquidi e la mucosa diventa più turgida. Chiaramente poi con il tempo c’è anche l’infiltrazione

cellulare che partecipa a questo ispessimento della mucosa, e se si ispessisce la mucosa si

riduce il calibro delle narici e il passaggio dell’aria,quindi il paziente ha l’ostruzione nasale.

• abbiamo detto che l’istamina determina le sensazione di prurito e quindi questi pazienti

hanno il naso che prude,gli occhi [che prudono] perché abbiamo detto che c’è la congiuntivite

consensuale ed il faringe [che prude],il palato [che prude] e possiamo avere anche prurito alle

orecchie, quindi tutta la regione contigua può essere interessata.

• lacrimazione proprio perché abbiamo anche consensualmente l’interessamento delle

congiuntive, quindi al livello oculare prurito, lacrimazione e arrossamento delle congiuntive;

mentre al livello nasale: starnuti in serie di tipo sieroso, congestione nasale, prurito al naso e

alle regioni contigue

L’altra cosa da tener presente è che la rinite allergica si riconosce facilmente perché mentre la rinite di

natura infettiva virale nel giro di 4-5 giorni si risolve e poi il muco è purulento, gli starnuti non sono

così frequenti, non c’è il prurito, la rinite allergica persiste per settimane a seconda dell’allergene nei

confronti dei quali il paziente è sensibilizzato. Se per esempio abbiamo la sensibilizzazione nei

confronti dei pollini, le manifestazioni cliniche inizieranno per esempio in primavera e dureranno 3-4

mesi al massimo, inizia in genere a marzo e durano fino a metà giugno. Mentre la sensibilizzazione nei

confronti di un allergene perenne come può essere l’acaro della polvere (il dermatofagoide) allora

queste manifestazioni possono essere presenti tutto l’anno, con due picchi soprattutto in primavera e

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in autunno perché nelle stagioni di passaggio l’acaro prolifera di più, però le manifestazioni cliniche

possono essere diffuse in tutto l’arco dell’anno.

Per quanto riguarda quella stagionale chiaramente d’inverno non ci sono i pollini e la rinite in genere

non è presente.

Quali sono i soggetti più interessati? Chiaramente poiché l’atopia dipende da fattori genetici, la rinite

allergica può essere presente sin dall’infanzia: il bambino può cominciare ad avere i sintomi già

nell’età infantile anche se nell’età adolescenziale c’è il picco di manifestazioni. L’altra cosa importante è

che se il bambino è atopico può avere la cosiddetta “marcia allergica“ nel senso che nasce con la

dermatite atopica con la crosta lattea poi fa la rinite allergica, poi fa anche l’asma bronchiale. La rinite

allergica può essere una delle manifestazioni della cosiddetta marcia atopica [qui la chiama in modo

diverso ma credo si riferisca sempre alla marcia allergica] però non è sempre così: il paziente può

avere solo la rinite allergica che si può manifestare o in età infantile o in età adolescenziale. In genere

gli adulti che hanno la rinite allergica ce l’hanno già da quando erano adolescenti o bambini,

normalmente la rinite allergica non si sviluppa ex novo nell’adulto oppure può capitare che

inizialmente i sintomi sono blandi poi diventano più evidenti; in alcuni casi nell’adulto però questo

non è la normalità perché la rinite allergica tende ad attenuarsi dal punto di vista sintomatologico con

l’età. Quindi per lo più bambini ed adolescenti che se la portano con l’età adulta. È difficile che l’esordio

sia d’amblée nell’età adulta, in genere ci sono dei sintomi già precedenti in cui il paziente magari non

ha dato molto peso.

Dal punto di vista della gravità si distingue in lieve,moderata o severa in base all’interferenza che ha

la rinite sulle attività quotidiane ; se per esempio uno studente ha la rinite severa, può capitare che

questo possa inficiare le sue attività di studente, come per i lavoratori, perché durante la notte queste

persone possono non respirare bene, dovuto all’occlusione nasale che porta i soggetti con la rinite

allergica a respirare con la bocca quindi il sonno può non essere ristoratore e durante la giornata, per

la necessità continua di ricorrere ai fazzoletti per via degli stranuti e della rinorrea, possono non

riuscire a mantenere la concentrazione. Chiaramente se i sintomi sono blandi tutto questo non viene

ad essere inficiato, il paziente riesce a riposare bene di notte, se questo succedesse allora la rinite

viene definita lieve. Quindi lieve,moderata, severa in base a come i sintomi inficiano le attività

quotidiane. Come dicevo prima non c’è nessuna correlazione con l’atopia, quindi il paziente atopico

può avere tanto sintomi severi quanto sintomi molto blandi o anche molto spesso sconosciuti.

La rinite viene poi definita intermittente o stagionale o persistente se dura tutto l’anno; l’intermittenza

significa che è presente solo durante la pollinazione mentre le forme resistenti sono dovuti a un

allergene presente tutto l’anno quindi come gli acari della polvere.

Facciamo un excursus sui principali allergeni che sono responsabili della sensibilizzazione anche

dei pazienti con rinite e asma allergica. Le più comuni sono le Graminacee che sono le erbe dei campi

incolti e fioriscono tra Marzo e Giugno, quindi in questo periodo i pazienti con sensibilizzazione alle

graminacee hanno i sintomi; questi sono alcuni esempi di graminacee [vedi slide] ; questo è l’orzo

volgare [slide] che appartiene alla famiglia delle graminacee,questi [slide] sono i pollini verso cui i pz

producono IgE e quindi si sensibilizza. Questo[slide] è un altro esempio di pianta appartenete alla

famiglia delle graminacee che si trova nei campi.

L ’altra pianta importante è la Parietaria, che è la cosiddetta erba muraiola, cioè l’erba che cresce sui

muri e che qui al sud si comporta in alcuni casi anche come un allergene perenne perché mentre dal

centro Italia in su la pollinazione termina sempre verso il periodo di giugno, al sud invece abbiamo la

presenza del polline per un periodo più prolungato fino addirittura ad ottobre anche inizi di

novembre, a seconda del clima che qui al sud che è mite,per cui chi è sensibilizzato verso la parietaria a

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volte non ha i sintomi solo nella stagione primaverile ma qui al sud può avere i sintomi anche fino ad

ottobre inoltrato. Poi con il freddo intenso di dicembre, gennaio e febbraio in genere il paziente che è

sensibilizzato alle parietarie non ha sintomi.

Altra famiglia sono quelle delle Composite e l’assenzio è la pianta maggiormente interessata [slide], le

composite invece impollinano a fine estate quindi chi è allergico alle composite può avere i sintomi a

fine agosto e per tutto il mese di settembre e anche in questo caso la sensibilizzazione termina e così

anche i sintomi ; questa è la pianta di assenzio [slide] e qui sono i pollini che determinano la

sensibilizzazione; in America invece è l’ambrosia che appartiene sempre a questa famiglia,la

caratteristica però essenzialmente è l’impollinazione che è al termine dell’estate.

Oltre alle piante ci si può sensibilizzare anche nei confronti degli alberi e qui nella Macchia

Mediterranea abbiamo gli olivi, i pini, i cipressi e così via, i noccioli e anche in questo caso si può avere

la sensibilizzazione nei confronti dei pollini di questi alberi che possono fiorire tra febbraio marzo fino

a giugno a seconda dell’albero interessato. Questi sono i calendari pollinici dove potete vedere la

differenza tra nord e sud [slide] come vedete la parietaria, che appartiene alla famiglia delle orticarie,

ha un decorso molto protratto qui al sud e quindi a volte più che un allergene stagionale si comporta

come un allergene perenne, mentre se vedete al nord noi l’avremo solamente tra maggio, con picco tra

giugno e luglio e poi si riduce quindi al nord la parietaria si comporta come un allergene stagionale al

sud si comporta come un allergene perenne.

Questo [slide] è il dermatofagoide cioè l’acaro della polvere verso cui formano le IgE coloro i quali

hanno manifestazioni persistenti. Si ritrova nei materassi, nella polvere, nei cuscini di lana, nei tappeti,

nelle tende, nei peluche, in tutto ciò che è peloso e quindi la sensibilizzazione è frequente per chi è

allergico alla polvere, visto che non può fare a meno di respirarlo perché si trova ovunque negli

ambienti domestici, si può tentare di abbattere la carica allergica usando i copri materassi antipolvere

che hanno una trama più spessa, oppure cuscini in lattice o sintetici, non bisogna usare le coperte di

lana ma i piumoni e così via, così riduce l’esposizione all’acaro anche se è presente sempre

nell’ambiente domestico, soprattutto nella camera da letto, così quando uno dorme sta a contatto dalle

6 alle 8 ore ogni giorno per cui lo respira continuamente e si sensibilizza e può avere manifestazioni

cliniche correlate alla degranulazione dei mastociti armati con IgE anti-acaro.

Ci sono anche delle sensibilizzazioni professionali nel senso che si possono formare dell IgE nei

confronti di sostanze presenti nell’ambiente di lavoro quindi come i ricercatori che lavorano con la

cavie, gli animali da laboratorio, si possono sensibilizzare contro il pelo di questi animali e quindi fare

le IgE nei confronti di questi antigeni e durante le ore lavorative possono avere i sintomi, quando

tornano a casa i sintomi scompaiono perché non c’è più l’esposizione all’allergene oppure i panettieri

possono sensibilizzarsi nei confronti dei componenti della farina e inalando queste componenti

durante il lavoro possono dare manifestazioni cliniche che a casa non si verificano. I lavoratori del

legno che si possono sensibilizzare al legno e anche in questo caso solamente durante le ore lavorative.

Invece i soggetti che si sensibilizzano al polline ovunque essi si trovino possono avere i sintomi perché

i pollini sono presenti nell’aria e in maniera ubiquitaria.

ESAME CLINICO

Se facciamo una rinoscopia anteriore cioè ci mettiamo con una lampadina e una lente orientate

all’interno delle cavita nasali vedremo che la mucosa è pallida e irregolare (irregolare perché

caratterizzato dalle cunette dovute all’accumularsi di questo liquido che è travasato in seguito

all’effetto delle istamine che determinano vasodilatazione e aumento della permeabilità vascolare ) ;

pallida perché abbiamo l’essudato.

Che succede se la rinite allergica non viene trattata in maniera adeguata? la mucosa va incontro a

modificazione nel tempo che nell’ordine sono rappresentate da:

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• ipertrofia dei turbinati, quindi ispessimento;

• formazione dei polipi. I polipi nasali sono delle estroflessioni di mucosa, cioè la mucosa che

continua ad accumulare cellule e a congestionarsi diventa ridondante cioè comincia ad essere

abbondante e protrude all’interno delle cavità come delle formazioni polipoidi.

Quando arriviamo a questo livello non possiamo fare più nulla con la terapia medica ma è necessaria

l’asportazione chirurgica del polipo; con l’ipertrofia dei turbinati possiamo ancora agire con i farmaci

topici ma quando abbiamo la formazione dei polipi quindi queste estroflessioni di mucosa infiammata

cronicamente, congesta e così via non possiamo far altro che mandare il paziente dallo specialista

ORL[otorinolaringoiatra] per l’asportazione dei polipi.

Le altre manifestazioni cliniche sono rappresentate dalla congestione delle congiuntive, dalla

lacrimazione e ovviamente il paziente avrà prurito in tutte queste zone. Se andiamo a vedere la

faringe che è tipicamente arrossata nelle forme virali, nelle forme allergiche è normale perché lì non

avviene il processo di degranulazione. Quindi uno degli elementi che differenziano la rinite allergica da

quella virale è rappresentato dal fatto che la faringe ha un aspetto normale.

Questo è un esempio di una bambina con la rinite allergica [slide] che ha questi elementi

caratterizzanti: respira con la bocca perché ha il naso occluso, ha la palpebra cadente perché questi

bambini con la rinite allergica grave non riposano di notte e hanno la tendenza ad addormentarsi

durante la giornata perché sono stanchi, non avendo riposato in maniera adeguata durante la notte.

Un altro segno che si può trovare è una plica nasale che si trova sul dorso del naso proprio perché

questi soggetti hanno prurito fanno continuamente questo movimento per alleviare il prurito e questo

a lungo andare porta alla formazione di questa plica al termine della piramide nasale.

Questo è un esempio di polipo nasale [slide] questa estroflessione della mucosa che magari non è stata

riconosciuta inizialmente quindi si è congestionata quindi adesso protrude dalla fossa nasale e in

questa condizione da un punto di vista medico,terapeutico non possiamo fare niente.

Questo invece è [slide] una congiuntiva, con il disegno vascolare evidente perché l’istamina determina

vasodilatazione e quindi il disegno vascolare è chiaro ed è arrossato per lo stesso motivo: per la

vasodilatazione indotta dall’istamina. Altri esempi [slide] con la trama vascolare evidente per

vasodilatazione

DIAGNOSI

La diagnosi è semplice, la storia familiare in molti casi ci aiuta, poiché fratelli o genitori avranno la

stessa patologia, poiché l’atopia è una condizione familiare.

L’esame obiettivo vi fa vedere la mucosa pallida e irregolare e poi la diagnosi di natura si fa con gli

skin test cioè è un test di degranulazione in vivo per il quale si pone una goccia di una soluzione

allergenica su una superficie volare dell’avambraccio poi si va pungere con un aghetto di plastica di 1

mm di lunghezza: se negli strati superficiali della cute sono presenti mastcellule con le IgE fissate ai

proprio recettori specifiche per quell’allergene, le mastcellule degranulano e determinano la

formazione di un ponfo. Il ponfo è una lesione rilevata perché abbiamo l’accumulo e la fuoriuscita del

liquido dai vasi e ha un alone eritematoso periferico che è dovuto alla vasodilatazione,

tendenzialmente dà prurito e tutte queste sono manifestazioni del rilascio di istamina che è il

mediatore preformato delle mastcellule. Se nella goccia c’è un allergene nei confronti del quale le

mastcellule non hanno le IgE specifiche sulla superficie non avviene alcun tipo di degranulazione e

quindi al test non viene evidenziato il ponfo. Questo è quello che succede quando i prick sono positivi,

Questi sono i ponfi [slide], che non sono papule, cioè non sono solide per cui se voi andate premere con

un dito, i ponfi scompaiono perché voi non fate altro che spostare il liquido che è essudato dai vasi

però sono intensamente pruriginosi e intorno hanno un alone eritematoso.

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Qui i prick sono tutti positivi [slide] però è un esempio estremo perché possono esserci soggetti

monosensibili cioè con una sensibilizzazione o con due sensibilizzazioni oppure multiple

sensibilizzazioni. Per fare questo noi usiamo una batteria preformata di skin test che copre circa il

95% dei possibili sensibilizzazioni: comprende i pollini delle erbe che abbiamo visto prima quindi

graminacee e orticacee cioè la parietaria, i pollini degli alberi, comprendono i dermatofagoidi che sono

gli allergeni perenni, le muffe eventualmente e anche i derivati epidermici degli animali domestici tipo

cani e gatti. Quindi mettendo insieme tutti questi test si scova nel 90-95% dei soggetti la

sensibilizzazione verso un determinato allergene e quindi si può etichettare il paziente come allergico

nei confronti di una sostanza specifica.

Quando si fano gli skin test si fa anche un controllo positivo e un controllo negativo: il controllo

positivo è l’istamina cioè la sostanza stessa rilasciata dalle mastcellule che serve per verificare che la

cute sia reattiva cioè se metto l’istamina che reagisce direttamente sui vasi e si crea il ponfo, cioè la

vasodilatazione e l’aumento della permeabilità vascolare. Se non me lo dà[il ponfo ] la cute di quel

paziente non è reattiva e quindi lo skin test non è attendibile perché avrò tutti risultati negativi anche

se il paziente è sensibilizzato ; questo può succedere se il paziente è in trattamento con antistaminici:

se il paziente giunge a visita dopo molto tempo e nel frattempo ha preso antistaminici per alleviare la

sintomatologia perché essendo molto spesso situazioni familiari già sanno come trattarla, e viene a

fare il test sotto antistaminico che bloccando l’azione dell’istamina sui vasi impedisce la formazione

[del ponfo ] e quindi la possibilità dello skin test[credo intenda “viene meno l’attendibilità del test“].

Quindi il controllo positivo ci serve per verificare che la cute sia reattiva cioè che se facciamo uno skin

test e c’è un allergene nei confronti del quale il paziente è sensibilizzato possiamo avere una risposta

positiva.

Analogamente abbiamo un controllo negativo che è la soluzione in cui sono disciolti gli allergeni

senza l’allergene[non ha molto senso, su internet c’è scritto che il controllo negativo contiene una

soluzione salina o glicerina e serve per documentare l’eventuale iper-reattività cutanea, anche in

questo caso se il test è positivo, il risultato del test non è attendibile -fonte:allergologo.net ] perché

questo ci serve per verificare la reale non reattività del liquido perché a volte ci sono dei soggetti che

hanno una iper-reattività cutanea per cui basta che pungo anche solo con l’ago, senza nemmeno la

soluzione, si forma un ponfo e questo succedere soprattutto con i soggetti che hanno l’orticaria di cui

parleremo prossimamente. Se il controllo negativo diventa positivo allora gli skin test non sono

attendibili perché tutti i positivo che vediamo possono essere dei falsi positivi quindi il negativo deve

essere sempre negativo e positivo deve essere sempre positivo per avere una lettura attendibile degli

skin test.

DIAGNOSI DIFFERENZIALE

La diagnosi differenziale prevede la rinite infettiva la quale si diagnostica semplicemente perché dura

4-5 giorni, il muco è purulento cioè giallastro e pastoso, mentre il muco della rinite allergica è chiaro

e trasparente, nella rinite infettiva non abbiamo gli starnuti a salve che invece abbiamo nella rinite

allergica e la rinite allergica dura 3-4 mesi.

L’altra rinite è la rinite vasomotoria che è una rinite permanente che dura tutto l’anno e quindi può

simulare la rinite allergica da allergeni perenni come i dermatofagoidi. La differenza è che la rinite

vasomotoria si presenta con manifestazioni di natura ostruttiva, cioè c’è l’ostruzione nasale come

sintomo prevalente, c’è poca rinorrea rispetto alla rinite allergica e ci sono pochi starnuti, anche se la

durata è simile alla rinite permanente. Gli skin test però sono negativi e quindi la diagnosi differenziale

si basa su questi aspetti qua: skin test negativi e manifestazioni cliniche caratterizzate da ostruzione

nasale come sintomo prevalente.

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Poi c’è la rinite indotta da farmaci e in particolare dai vasocostrittori quando sia fa un abuso di

vasocostrittori; i vasocostrittori non sono indicati per la rinite allergica però può capitare che il

farmacista può consigliare un vasocostrittore che è un farmaco che può andare bene per qualche

giorno ma non può essere utilizzato per mesi come la durata della rinite allergica. Questo perché se

utilizziamo un vasocostrittore per settimane o mesi, inducendo la vasocostrizione della mucosa nasale,

portiamo la mucosa ad uno stato di atrofia perché la vasocostrizione riduce l’apporto nutritivo della

mucosa,quindi la mucosa diventa atrofica e chiaramente diventa debole. Quando poi noi andiamo a

togliere questo vasocostrittore dopo settimane e settimane che lo usiamo, abbiamo una

vasodilatazione di rimbalzo che in una mucosa debole comporta la formazione di un’infiammazione di

natura traumatica per la quale abbiamo i sintomi di rimbalzo della rinite. Però questo è dovuto al fatto

che andiamo a vasodilatare all’improvviso la mucosa che per tanto tempo è rimasta atrofica e che si è

indebolita. Quindi i vasocostrittori sono da proscrivere nella rinite allergica e vanno bene nella rinite

infettiva che dura 4-5 giorni dando sollievo però finisce lì, ma non possiamo usarli nella rinite allergica

che dura settimane perché i vasocostrittori danno riduzione dell’apporto nutritizio di sangue e di

ossigeno alla mucosa per cui con il tempo la mucosa diventa atrofica e poi risponde alla

vasodilatazione riflessa alla sospensione del farmaco in maniera traumatica.

Anche durante la gravidanza si può avere la rinite legata all’eccesso di ormoni associata alla

gravidanza che però si risolve al termine della stessa e anche in questo caso gli skin test sono negativi.

TRATTAMENTO

Si dovrebbe evitare l’allergene ma questo si può fare per le rinite allergiche occupazionali, ma nel

caso di una rinite verso i pollini presenti nell’atmosfera non è possibile evitarli, si può ridurre

l’esposizione agli acari con le accortezze dette prima cioè: coprimaterasso anti-acaro, materasso di

lattice, il cuscino di lattice, togliendo i tappeti, le tende, i peluche e tutta la roba pelosa, però comunque

un minimo di esposizione sempre c’è; si può fare per gli allergeni professionali [evitare l’allergene], ma

questo dipende un po' se il soggetto ha la possibilità di cambiare lavoro.

Per quanto riguarda la terapia farmacologica si usano due classi di farmaci: gli antistaminici e gli

steroidi topici. Gli antistaminici sono dei sintomatici [credo intenda “hanno effetti sui sintomi“]

perché bloccano l’azione dell’istamina: quindi legandosi ai recettori dell’istamina ne bloccano l’attività

sui vasi e quindi la vasodilatazione, aumento della permeabilità vascolare e la stimolazione delle fibre

del prurito. Tuttavia gli antistaminici non sono il trattamento ideale della rinite allergica perché non ci

tolgono l’infiammazione cioè sono solo dei farmaci che impediscono all’istamina di dare i suoi effetti;

siccome abbiamo detto che se la rinite allergica non viene trattata in tempo abbiamo l’ipertrofia dei

turbinati, abbiamo la poliposi nasale e addirittura abbiamo la comparsa dell’asma bronchiale perché le

vie aeree superiori ed inferiori non è che hanno un confine netto quando c’è l’infiammazione delle vie

aeree c’è un’infiammazione di tutte le vie aeree, per tutto l’albero respiratorio. Al livello bronchiale

l’infiammazione può essere sub clinica, nel senso che il paziente ha la rinite ma non ha la

manifestazione di asma pur avendo un’infiammazione documentabile da un punto di vista bioptico

della mucosa dei bronchi. Se noi non trattiamo la bronchite questa infiammazione sub clinica a livello

della mucosa dei bronchi può diventare evidente e quindi il paziente con la rinite si può complicare e

avrà anche manifestazioni asmatiche.

Per trattare in maniera adeguata la rinite dobbiamo usare gli steroidi topici, cioè i cortisonici ad

azione locale perché sono gli unici farmaci che possono dare l’apoptosi della cellule infiammatorie, gli

antistaminici non danno l’apoptosi delle cellule infiammatorie servono solo ad antagonizzare gli effetti

dell’istamina quindi le mastcellule hanno già degranulato e hanno già rilasciato le citochine per il

richiamo delle cellule dell’infiammazione come gli eosinofili e altri linfociti e così via ; quindi l’unica

maniera per bloccare più a monte il processo è mandare in apoptosi le cellule dell’infiammazione e

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questi steroidi topici nasali hanno questo effetto. Quindi il trattamento della rinite non può

prescindere anche dall’impiego degli steroidi topici cioè si fanno degli spruzzi con gli steroidi per via

nasale che a livello locale determinano l’apoptosi delle cellule dell’infiammazione, in questa maniera si

riduce l’infiammazione della mucosa e si previene l’ipertrofia dei turbinati, la poliposi nasale e anche

l’eventuale sviluppo di asma bronchiale.

Quindi solo gli antistaminici non sono il trattamento adeguato e sono necessari gli steroidi

topici e sono da evitare gli steroidi per via sistemica perché spesso in passato per esempio si

usavano i trattamenti per via intramuscolo degli steroidi a lunga durata d’azione tipo il Chenacort,

nome commerciale, che è una preparazione iniettabile per via intramuscolare che però ha un’emivita

di 3 settimane, questi soggetti fanno una fiala di Chenacort e hanno questo steroide nell’organismo che

perdura per almeno 3 settimane. E’ chiaro che scompaiono i sintomi della rinite e così via ma sapete

bene che gli steroidi assunti per lungo tempo possono dare effetti cushingoidi: aumenta la pressione,

possono determinare il diabete, possono dare ritenzione idrica,ridurre la calcificazione delle ossa, per

cui la somministrazione per via parenterale degli steroidi per trattare la rinite allergica sono da

proscrivere cioè è vietato. Gli steroidi topici sono il compromesso più giusto perché agiscono solo

localmente, danno l’apoptosi delle cellule e non danno riverberi sistemici sull’organismo.

Infine, abbiamo l’ultima possibilità cioè l’immunoterapia specifica, la vaccinazione detta in termini

volgari, che consiste nella somministrazione di dosi crescenti dell’allergene per indurre

desensibilizzazione. Questo si faceva un tempo solo per via sottocutanea con somministrazioni

settimanali, adesso ci sono le somministrazioni orali, sublinguali, a gocce oppure a compresse, a dosi

crescenti che il paziente può fare anche a casa per indurre un’inibizione della risposta Th2 nei

confronti di questo allergene. L’immunoterapia specifica si può fare quando il paziente è

monosensibile o al massimo ha due sensibilizzazioni perché ogni ciclo di immunoterapia si può fare

nei confronti di un singolo allergene. Quindi se il paziente ha più di un allergene dominante, ne ha 3 o 4

cioè ha graminacee, ha parietarie, i dermatofagoidi, l’immunoterapia non è più il caso di farla perché ci

sono troppi allergeni nei confronti dei quali la desensibilizzazione [non sarebbe efficace].

Funziona[l’immunoterapia] essenzialmente quando c’è un singolo allergene dominante o al massimo

due e prima si fa meglio è nel senso che va bene nei bambini e negli adolescenti ma già nell’adulto le

risposte sono meno efficaci. L’altro problema è che bisogna farlo per minimo 3 anni meglio se 5 anni,

per di più la regione Campania non lo passa, e quindi è a totale costo del paziente e sono anche costi

significativi. Quindi l’immunoterapia in genere è limitata a quelle condizioni di rinite allergica molto

intense e gravi che inficiano le attività quotidiane e per le quali la terapia con steroidi topici e

antistaminici non è soddisfacente, allora si può pensare di fare lo step con l’immunoterapia.

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Romano – Lezione 2 (02-03-17) – Asma Bronchiale

Sbobinatore: Vincenzo D’Agostino Coordinatore: Luca Caterina Riprendendo il discorso della scorsa lezione, abbiamo detto che le vie aeree sono praticamente un

tutt’uno e quindi se il paziente ha la rinite allergica sicuramente, anche se non manifesta sintomi, ha

anche infiammazione delle basse vie respiratorie. I sintomi possono comparire successivamente,

soprattutto se la rinite non viene ben trattata; oppure l’interessamento delle vie aeree inferiori, che si

estrinseca con l’asma bronchiale, può avvenire contemporaneamente alla rinite, può seguire la rinite,

o può essere indipendente dalla rinite, nel senso che il paziente può avere l’asma ma non

necessariamente avere anche la rinite. Quindi queste sono le tre possibilità di manifestazione: assieme

alla rinite, dopo la rinite o indipendentemente dalla rinite.

Prima di tutto bisogna dire che ci sono due forme più comuni di asma:

• l’asma allergica o estrinseco

• l’asma intrinseca, così detto perché non sappiamo cosa la determini: gli skin test sono

negativi, e l’unica cosa che possiamo dire è che l’asma intrinseca è caratterizzata da una

situazione di iperreattività bronchiale non determinata da un allergene. Perché anche

nell’asma allergica c’è l’iperreattività bronchiale, però è dovuta all’infiammazione allergica di

fondo. Per iperreattività bronchiale vogliamo dire che il paziente risponde con un fenomeno di

broncocostrizione a stimoli irritativi minimi sulla mucosa bronchiale.

Questi stimoli irritativi minimi possono essere:

inalazione di un profumo intenso, oppure di un detergente, oppure semplicemente una corsa

perché si ha iperventilazione e questa modifica la temperatura delle vie aeree, modifica

l’umidità e anche l’osmolarità perché, a seconda dell’area che evapora, si possono concentrare

più elettroliti. Queste piccole modifiche di temperatura, umidità e osmolarità possono essere

uno stimolo irritativo che in soggetti con iperreattività comportano broncocostrizione. Nel

soggetto normale questo non succede, ci vogliono ben altri stimoli irritativi, perché la soglia è

molto più alta, mentre nel soggetto con asma intrinseca o con asma allergica invece bastano

piccoli stimoli per determinare la broncocostrizione e quindi questo è il fenomeno

dell’iperreattività bronchiale.

Mentre nell’asma allergica l’iperreattività bronchiale è conseguenza dell’infiammazione allergica che

deduce (riduce?) la soglia di reattività dell’albero bronchiale (c’è sensibilizzazione nei confronti di

qualche allergene ben definito), nell’asma intrinseca non sappiamo perché questi soggetti hanno

iperreattività.

DIAGNOSI DI ASMA

La diagnosi di asma è semplice, la categorizzazione dell’asma allergica e intrinseca anche è semplice;

però talora ci sono forme meno comuni di asma che vanno prese in considerazione se non vi

convince che il paziente possa avere un’asma allergica o intrinseca. Se nella valutazione globale c’è

qualcosa che non vi quadra, se non è proprio un quadro tipico di asma allergica o intrinseca, dovete

andare a considerare le forme meno frequenti quindi più peculiari che rientrano poi nella diagnostica

differenziale. Dovete però sempre considerare che le forme più comuni sono quelle, se sentite un

rumore di zoccoli pensate prima ai cavalli e poi alle zebre no? Si dice così in diagnostica differenziale.

Prima le condizioni più comuni e poi eventualmente potete pensare che “sia qualche altro quadrupede

a fare rumore”.

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ASMA ALLERGICA

L’asma allergica, malattia IgE mediata, è una condizione in cui c’è un processo infiammatorio cronico

che interessa la mucosa bronchiale e che è caratterizzato da un’ostruzione bronchiale reversibile.

Questo significa che terminato l’accesso asmatico, il lume e la pervietà dei bronchi ritornano normali.

Quindi non abbiamo nessun’altra sequela dell’evento precedente, per cui il paziente ritorna allo “status

quo ante”; il paziente con asma allergica al termine dell’accesso asmatico, è un paziente praticamente

normale. Quindi la caratteristica della reversibilità fa parte proprio dell’asma allergica, ma anche

dell’asma intrinseco ovviamente. L’asma, indipendentemente dal tipo, è comunque caratterizzata

da reversibilità. L’altra situazione è l’iperreattività che nell’asma allergica è secondaria a

infiammazione bronchiale, mentre nelle altre forme bisogna vedere.

CLINICA

L’asma ha un quadro clinico tipico: si caratterizza per episodi di dispnea, prevalentemente espiratoria,

che, nei bambini soprattutto, si accompagna al reperto di un sibilo, un “fischietto”, che gli

anglosassoni chiamano wheezing. Quindi nel bambino con l’asma quando respira, soprattutto nella

fase espiratoria, si sente proprio un fischietto o sibilo. Questo è semplicemente l’espressione del

passaggio dell’aria attraverso un lume ristretto. Se voi prendete uno strumento musicale come un

flauto e soffiate leggermente, vedrete che emettete un sibilo, un fischio, proprio perché l’aria passa

attraverso una cavità ristretta. La stessa cosa avviane con i bronchi quando si restringono.

Anche nell’adulto, sebbene più tipico nei bambini, si può avvertire il sibilo in espirazione profonda,

poggiando il fonendoscopio sulla parete toracica posteriore durante l’accesso asmatico. Essendo

l’accesso asmatico reversibile, una volta passato non sentirete più nulla all’auscultazione, ma solo il

semplice murmure vescicolare. Durante l’accesso asmatico sentirete fischi, sibili, gemiti che sono

praticamente i rumori secchi che si repertano quando il lume delle vie aeree è ristretto.

Ripetendo l’esame obbiettivo al termine dell’accesso asmatico c’è solo murmure vescicolare.

Questa è la distinzione fondamentale soprattutto per i soggetti più anziani: ad esempio la BPCO, tipica

dei fumatori, si caratterizza per ipersecrezione di muco legato al processo infiammatorio cronico e

non ha bronco reversibilità. Quindi il reperto auscultatorio è costante. Ma anche questo è un quadro

abbastanza evidente, il clinico con una certa esperienza differenzia le due cose tranquillamente.

Se l’asma è particolarmente severa durante la crisi, il paziente può dire che ha difficoltà ad espandere

il torace, avverte una morsa intorno al torace. Addirittura nelle forme molto marcate si può avere

l’impegno dei muscoli ausiliari della respirazione, cioè la contrazione degli sternocleidomastoidei e dei

muscoli intercostali, quindi molto impegno che nella respirazione normale non è presente.

La maggior parte delle forme di asma è di tipo lieve-moderato, mentre quelle severe sono meno

frequenti, infatti la forma lieve-moderata domina l’epidemiologia.

MECCANISMO PATOGENETICO

Il processo che determina l’asma allergica è lo stesso della rinite allergica; è lo schema che si ripete in

tutte le malattie allergiche, quello che cambia è l’organo target. A seconda dell’organo target

avremo una sintomatologia differente:

• a livello del naso noi avremo l’ostruzione con la congestione della mucosa, la rinorrea per la

secrezione delle ghiandole, prurito e starnuti.

• a livello delle vie respiratorie inferiori ciò che domina è la bronco ostruzione. A cosa è dovuta?

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Alla contrattura della muscolatura

liscia bronchiale, perché ci sono i

mediatori delle mastcellule che hanno

un effetto molto intenso su di essa, ad

esempio i leucotrieni e il fattore

attivante le piastrine (PAF). L’aumento

della contrattilità bronchiale è solo uno

dei meccanismi che determina la

riduzione del lume. Tra gli altri

meccanismi vi è la congestione della

mucosa, perché l’istamina rilasciata

determina vasodilatazione, aumento

della permeabilità vascolare ed

essudazione di liquidi. Poiché la mucosa

riveste un lume, se si congestiona il

lume si restringe. Analogamente anche

qui abbiamo delle ghiandole che

secernono muco, ghiandole mucipare,

che sono sensibili all’azione dei

mediatori delle mastcellule. In questo

caso non abbiamo chiaramente la

rinorrea sierosa, ma abbiamo la

secrezione di muco. Questo muco si

accumula sulla superficie della mucosa

e partecipa anche esso alla riduzione del lume. Quindi contrattilità della muscolatura liscia bronchiale,

congestione della mucosa e secrezione di muco sono i fattori che riducono il lume bronchiale, e quindi

limitano il passaggio di aria, soprattutto durante la fase di espirazione.

Il meccanismo è sempre lo stesso: l’allergene inalatorio giunge nelle vie aeree respiratorie, vengono

prodotte le IgE a seguito della prima sensibilizzazione. Le IgE si fissano sui mastociti, questi

degranulano e con il PAF e i leucotrieni determinano contrattura della muscolatura liscia bronchiale,

mentre con gli altri mediatori determinano secrezione di muco e congestione della mucosa.

Ovviamente vi ricordo che gli eosinofili sono le principali cellule dell’infiammazione allergica. Le

citochine, in particolare l’IL-5 che è una citochina Th2, richiamano gli eosinofili che passano nella

mucosa bronchiale e poi rilasciano le metallo proteasi, la proteina cationica eosinofila, la proteina

basica maggiore, che digeriscono la componente connettivale della parete bronchiale. Per cui bronco

reversibilità c’è per lungo tempo nell’asma, ma se poi noi lasciamo che questo processo infiammatorio

sia inalterato nel tempo, i mediatori dell’infiammazione allergica cronica (le proteasi rilasciate dagli

eosinofili) alla fine determinano la digestione soprattutto della componente elastica del bronco, per cui

la broncoreversibilità a quel tempo non si manifesta più a pieno. Nella fase iniziale il bronco anche per

lungo tempo mantiene la propria bronco reversibilità, poi in seguito si può avere un rimodellamento

della struttura legato all’azione protratta e continua di questi mediatori.

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DIAGNOSI DI ASMA BRONCHIALE

La diagnosi è essenzialmente clinica, soprattutto se il paziente giunge in ambulatorio con i sintomi. Se

il paziente ce li viene solo a raccontare, facciamo la visita ma non troviamo niente all’esame obiettivo,

quindi possiamo solo fare una presunzione di diagnosi sulla base di quello che ci viene raccontato. Il

paziente racconta che di punto in bianco ha avuto broncoostruzione, che a volte è correlata

all’esposizione ad un allergene. Per esempio un paziente allergico ai dermatofagoidi: la casalinga che fa

il cambio di stagione, apre l’armadio, prende le coperte di lana che sono piene di acari, respira e ha

l’episodio di broncocostrizione.

Questo è già compatibile con la

diagnosi di asma allergica secondaria

alla inalazione di acari.

Oppure può capitare che il paziente

dica di aver fatto una passeggiata tra i

prati e ad un certo punto ha avuto una

broncocostrizione.

Oppure può capitare che il paziente

giunga in ambulatorio con la bronco

costrizione. In questo caso quando

noi lo visitiamo, riusciamo a sentire i

rumori secchi (fischi e sibili) e

diciamo che è broncocostrizione.

Adesso bisogna capire se è intrinseca

o estrinseca.

Da un punto di vista strumentale

l’esame che ci dice se il paziente ha

l’asma è la spirometria: dà

informazioni sulla presenza e sul

grado di broncocostrizione e poi

soprattutto ci consente di valutare la

broncoreversibilità.

Se il paziente viene già con un certo

grado di broncocostrizione, può

capitare nell’asma lieve o moderata

che non stia prendendo farmaci per

alleviare la situazione perché riesce ancora a tollerarla, allora noi sentiamo gemiti, fischi e sibili. In

questo caso si pensa all’asma e si fa la spirometria per quantificare il grado di ostruzione. Dopodiché si

può dare un bronco dilatatore cioè uno spray contenente un beta2 agonista a rapida azione, ovvero

un farmaco che stimola i recettori beta2 adrenergici presenti sulla muscolatura liscia dei bronchi che

danno l’effetto di rilasciamento. Dopo 10 minuti andiamo a ripetere la spirometria e la ritroviamo

praticamente normale, oppure con un significativo miglioramento che significa che i volumi

polmonari sono aumentati almeno di 200 ml, quindi c’è un miglioramento superiore al 12%.

Quindi la spirometria ci serve essenzialmente per confermare la diagnosi clinica, fatta con il

fonendoscopio all’auscultazione del torace, ci consente di valutare il grado di broncoostruzione e di

eseguire il test della reversibilità che è la caratteristica propria dell’asma.

Gli altri test si fanno in condizioni particolari:

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• La radiografia del torace si fa nei casi in cui il clinico non è molto convinto che il paziente

abbia l’asma. In un soggetto con l’asma la RX è perfettamente normale, infatti i sintomi

dell’asma sono dovuti solo ad un fenomeno reversibile meccanico, cioè contrattura e

rilasciamento. Quindi con la radiografia del torace non trovo malattie parenchimali.

Si fa se si pensa che ci possa essere qualcosa in aggiunta all’asma oppure quando la diagnosi di

asma non convince e magari si pensa ad una malattia parenchimale. In conclusione è un esame

che si fa eventualmente in un secondo momento.

• L’emocromo non si fa normalmente, però può capitare che i familiari o il paziente stesso

l’abbiano fatto e si può notare semplicemente un aumento degli eosinofili, quando abbiamo

l’asma allergica. Tutte le forme di asma allergica hanno un certo grado di eosinofilia: si può

avere un lieve grado di eosinofilia (gli eosinofili sono al massimo 500/mm3), mentre gli atopici

possono avere 600-700-800 eosinofili/mm3, quindi una modesta eosinofilia periferica. Questa

situazione è compatibile con l’asma allergica e quindi non richiede ulteriori valutazioni.

Ci sono eosinofilie legate anche ad altre condizioni: da parassitosi, da malattie

linfoproliferative, da sindrome iper-eosinofila. Per queste forme però i valori di eosinofili sono

molto più alti e poi ci sono altri sintomi che indirizzano il clinico verso la diagnosi.

• biomarkers dell’infiammazione si valutano ad esempio negli studi clinici per vedere se il

paziente risponde adeguatamente ad un farmaco sperimentale quindi per il momento non ci

interessa.

• Le IgE si dosano se non possiamo fare uno skin test. Quest’ultimo è il test più semplice, meno

costoso, abbiamo una lettura immediata e costa meno del dosaggio delle IgE. Ma siccome

l’entità dello skin test non correla con l’entità delle manifestazioni cliniche, sapere quante IgE

ci sono, da un punto di vista della predizione clinica, non ci aiuta perché possiamo avere un

paziente con un “grosso” skin test ma sintomi blandi, o un paziente con uno skin test appena

positivo ma con sintomi molto severi. Quindi lo skin test o le IgE ci servono semplicemente per

dire se il paziente è allergico o meno. Se non è allergico dobbiamo prendere in considerazione

altre forme di asma.

Facciamo il dosaggio delle IgE se: il paziente ha l’iperreattività cutanea, quindi anche il

soggetto negativo esce positivo; se sta prendendo gli antistaminici, non li vuole togliere e allora

ho il test ematico per definire qual è l’agente responsabile. In altri casi facciamo direttamente

lo skin test.

Riassumendo: la diagnosi di asma è clinica. L’unico esame strumentale che utilizziamo per il work-up

dell’asma è la spirometria che consente di valutare la gravità dell’asma ed il grado di broncocostrizione

e la broncoreversibilità.

SEVERITA’ DELL’ASMA E TERAPIA

La severità dell’asma si valuta in base a due parametri: uno è un parametro riportato dal paziente, cioè

quanti episodi ha nel tempo; l’altro è un parametro strumentale dato dalla spirometria.

Distinguiamo l’asma, in base al pattern temporale, in due forme: intermittente e persistente.

Asma intermittente: il paziente ha, per esempio, un episodio a settimana, al mese, due episodi al

mese, un episodio ogni tre mesi, cioè gli episodi sono sporadici.

Asma persistente: il paziente ha almeno 3 episodi a settimana (per esempio un giorno si e uno no).

Allora in questo caso è persistente perché è presente nella maggior parte del tempo. Il grado di

severità dell’asma persistente (lieve/moderato/severo) si valuta tramite la spirometria, perché ci dice

quanto è intensa la bronco costrizione.

Questa distinzione è importante dal punto di vista terapeutico, perché se l’asma è intermittente viene

trattata nella maniera più semplice possibile; se è persistente c’è uno step-up di terapia che dipende

poi dal grado di ostruzione bronchiale. Però in entrambi i casi bisogna dire che il substrato è sempre lo

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stesso: nell’asma allergica c’è un’infiammazione, per lo più eosinofila, di fondo che interessa i bronchi.

Nell’asma intermittente l’infiammazione è abbastanza lieve e comporta una iperreattività bronchiale e

quindi la comparsa della broncocostrizione una tantum.

Nella forma persistente l’infiammazione di base è un po’ più marcata, per cui l’iperreattività è

maggiore e gli episodi di asma si verificano con una maggiore frequenza.

• Nell’una tantum io uso solo un broncodilatatore al bisogno, cioè un β2-stimolante a breve

durata di azione, perché so che una volta che è passato l’accesso poi se ne riparlerà dopo

qualche settimana o addirittura dopo qualche mese. Se il paziente ad esempio sa quali sono le

condizioni che più facilmente gli inducono l’asma, mantenendo una certa condotta può anche

evitarlo per diverso tempo.

• L’asma persistente invece è caratterizzata da almeno 3 episodi a settimana: non possiamo dare

solo il broncodilatatore per alleviare i sintomi, ma in più dobbiamo abbattere l’infiammazione

bronchiale che è il prerequisito per l’iperreattività e quindi per la bronco costrizione.

Diamo una combinazione di farmaci: il broncodilatatore che ci serve per alleviare il sintomo

nell’immediatezza; il cortisonico inalatorio, come facciamo per la rinite, perché serve per

dare l’apoptosi delle cellule dell’infiammazione.

Adesso ci sono farmaci che sono combinati insieme nei vari device e strumenti per l’inalazione,

per cui abbiamo varie combinazioni che possiamo utilizzare. Adesso però il broncodilatatore è

a lunga durata di azione, perché nell’asma persistente durante la giornata possiamo avere

anche più di un episodio, può capitare al mattino ma anche la notte. Conviene avere uno stato

di broncodilatazione, un po’ più lungo rispetto alla norma, che duri almeno 12 ore.

Ci sono anche broncodilatatori che durano 24 ore, per cui si fa una copertura, facendo due

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spruzzi ogni 12 ore, di tutte le 24 ore.

Questo per le forme persistenti lievi o anche moderate può essere sufficiente.

Chiaramente siccome dobbiamo dare tempo al cortisonico di eliminare piano piano

l’infiammazione, è una terapia che va fatta per varie settimane. Il paziente comincia a fare le

inalazioni mattina e sera, per coprire le 24 ore, però, se anche è vero che i sintomi scompaiono

rapidamente perché c’è il broncodilatatore, che mantiene i bronchi pervi, il trattamento va

continuato anche con il paziente che non ha più i sintomi perché dobbiamo aspettare che il

cortisonico piano piano tolga l’infiammazione bronchiale. Infatti in caso di interruzione della

terapia dopo 4/5 giorni, (perché già dopo 24 ore il paziente può stare bene), il paziente ricade

perché l’infiammazione bronchiale continua ad alimentarsi. Ad esempio i pazienti che hanno

allergia ai pollini, durante la stagione pollinica, inalano l’allergene ogni giorno, e questo ogni

giorno va a dare la degranulazione mastcellulare, questa richiama le cellule e il processo si

alimenta. Per cui durante il periodo di pollinazione, questi soggetti devono comunque

assumere i farmaci per tutta la durata in cui c’è l’allergene nell’aria, altrimenti il processo si

alimenta nonostante la scomparsa dei sintomi.

• Può capitare che il paziente con la sola combinazione broncodilatatore-cortisonico inalatorio

non vada bene. Allora si raddoppia il dosaggio dei farmaci inalatori e possono andare bene.

• Se non vanno ancora bene con questi, bisogna fare ancora uno step-up di terapia. Possiamo

dare un antileucotrienico (è una compressa somministrata per os), dato che uno dei

principali mediatori della bronco costrizione è il leucotriene, prodotto dalle mastcellule. Se noi

aggiungiamo al beta2stimolante un farmaco che antagonizzi gli effetti dei leucotrieni possiamo

ridurre questa bronco costrizione.

• Un ulteriore step-up: si somministrano farmaci che appartengono alla classe dei teofillinici ,

che pure sono dei farmaci che danno broncodilatazione. In genere sono farmaci che si fanno

per coloro che stanno cominciando a perdere la broncoreversibilità perché per molti anni non

si sono curati.

• Infine per l’asma allergica se tutto questo aumento di terapia non conduce ad un significativo

miglioramento della qualità di vita, abbiamo la possibilità di fare la cosiddetta terapia

biologica, cioè la terapia con anticorpi monoclonali.

Sono disponibili due anticorpi monoclonali: omalizumab e mepolizumab.

Omalizumab è un antiIgE, ed è quello che è entrato prima in commercio. Meccanismo d’azione:

l’anticorpo monoclonale, somministrato per via sottocutanea ad intervalli regolari, va a legare

le IgE specifiche per l’allergene che sono prodotte dalle plasmacellule. Questo impedisce che le

IgE si leghino ai recettori sulle mastcellule e quindi impedisce a queste mastcellule di

degranulare quando arriva l'allergene.

Mepolizumab invece è disponibile da poco tempo. Meccanismo d’azione: blocca l’IL5 che è la

citochina fondamentale per lo sviluppo degli eosinofili. Quindi bloccando la sostanza che

mantiene gli eosinofili attivi, vivi e proliferanti, impedisce che si protragga l’infiammazione

eosinofila della mucosa bronchiale.

Come funziona l’omalizumab? Questo presenta due siti di legame per le IgE localizzati sul frammento

Fc nel terzo dominio della catena costante, che è lo stesso che viene riconosciuto dai recettori delle

mastcellule. Perché è stato scelto questo punto? Se l’omalizumab legasse le IgE in un altro sito,

potrebbe legare anche le IgE che sono legate al recettore delle mastcellule ed in questo modo potrebbe

determinare un cross-linking e potrebbe simulare l’azione dell’allergene. Se l’anticorpo anti IgE si

legasse nella parte libera della IgE, potrebbe determinare un cross linking delle IgE legate al recettore

e di conseguenza una degranulazione massiva delle mastcellule in tutte le parti del corpo

(l’omalizumab è somministrato per via parenterale), e quindi porterebbe all’anafilassi del paziente.

L’omalizumab invece lega solo la parte che è nascosta dal recettore, per cui, se l’IgE è già legata al

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recettore, l’anticorpo non ha accesso a quel punto dell’IgE e quindi non può legarla. Nel caso in cui l’IgE

sia libera, allora l’anticorpo può legarla e toglierla dalla circolazione e quindi dalla disponibilità delle

mastcellule. L’omalizumab sequestra le IgE ed impedisce che si leghino alle mastcellule, e quindi

la degranulazione quando arriva l’allergene. E’ un meccanismo che agisce a monte rispetto a quelli

tipici della terapia standard.

L’omalizumab inoltre determina anche un aumento della soglia di degranulazione delle

mastcellule. Le IgE e i recettori dei mastociti, sono in mutua regolazione: quando ci sono molte IgE in

circolo, le mastcellule aumentano sulla loro superficie i recettori per le IgE; se si riducono le IgE

automaticamente le mastcellule riducono la densità dei recettori. Se l’omalizumab toglie la

disponibilità delle IgE, la mastcellula automaticamente riduce la densità dei recettori per evitare una

sintesi proteica inutile. Di conseguenza se la densità è ridotta, la distanza tra i recettori aumenta: il

cross-linking diventa più difficile anche se arriva un allergene con le IgE ancora legate al recettore.

Quindi in questa maniera la soglia di degranulazione aumenta.

Quindi l’omalizumab toglie le IgE dalla circolazione, impedisce che le mastcellule si [40:56]ma ne

aumenta anche la soglia di degranulazione perché riduce la densità dei recettori.

L’omalizumab è un farmaco molto efficace, però costa una cifra! Tutte le terapie biologiche hanno un

alto costo, per questo motivo viene indicato solo per le forme severe che non hanno risposto

adeguatamente alle terapie convenzionali. Mentre con gli steroidi andiamo a combattere

un’infiammazione che si è già determinata, usando l’omalizumab, evitando la de granulazione delle

mastcellule, noi evitiamo che vengano richiamate le cellule dell’infiammazione, quindi agiamo a monte

del processo. È chiaro che l’omalizumab non toglie l’atopia: se il paziente è atopico resta atopico. Se

continua ad inalare allergeni, continuerà a produrre IgE, però impedirà alle IgE di raggiungere i

mastociti, quindi agisce più a monte rispetto agli altri farmaci.

FORME PARTICOLARI DI ASMA

Le due categorie principali di asma sono l’asma allergica e l’asma intrinseca. Per dire che il paziente ha

l’asma intrinseca noi dobbiamo avere gli skin test NEGATIVI, ed il paziente deve avere un’asma

persistente. C’è iperreattività bronchiale perché si ritrova in tutte le forme di asma.

Per stabilire se è presente iperreattività bronchiale si fa il test alla metacolina: si somministra una

sostanza, simile all’acetilcolina, per via inalatoria, che a dosi inferiori a quelle che nel soggetto normale

determinano bronco costrizione, nel soggetto con iperreattività bronchiale già danno broncospasmo.

Quindi si fa diagnosi di asma intrinseca quando c’è asma persistente, gli skin test sono negativi ed il

test alla metacolina è positivo a dosi molto basse, che nel soggetto normale non determinano

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iperreattività bronchiale.

Se siamo soddisfatti di questo inquadramento ci fermiamo qua, ipotizziamo asma allergico o asma

intrinseco. Se invece non siamo soddisfatti, perché c’è qualcosa che ancora non ci quadra, allora

dobbiamo considerare delle forme particolari.

L’asma occupazionale: il paziente ha l’asma solo quando sta a lavoro, poi torna a casa e passa.

Bisogna indagare sul lavoro fa il paziente: ad esempio ha una fattoria, oppure è un veterinario e quindi

è a contatto con animali. In questo caso si può avere la sensibilizzazione nei confronti di un agente

legato al lavoro. Altro esempio è quello dei lavoratori dell’industria chimica, che sono esposti

all’inalazione di vapori chimici che hanno un effetto irritante sulle vie respiratorie, e quindi possono

determinare una iperreattività bronchiale specifica. Oppure soggetti che segano il legno dei mobili

nelle falegnamerie, se non usano le maschere ed inalano le fini polveri del legno, possono sviluppare

un’irritazione delle vie respiratorie e

broncocostrizione.

Quindi è necessario indagare anamnesisticamente il

tipo di lavoro svolto dal paziente, per vedere se ci

sono elementi nell’ambiente professionale che

possono irritare le vie respiratorie.

L’asma indotta dall’esercizio fisico: è una

condizione di iperreattività bronchiale legata a

modifiche di temperatura, di umidità e di osmolarità

dovute alla iperventilazione delle vie aeree durante

l’esercizio fisico. Chiaramente l’asma si verifica solo

quando c’è attività fisica, mentre al di fuori il paziente

non ha l’asma.

L’asma da aspirina: sono soggetti che hanno la

bronco costrizione poco tempo dopo aver assunto

un’aspirina o un FANS (ibuprofene, ketoprofene) che

condividono con l’aspirina lo stesso meccanismo

d’azione. Si chiama asma da aspirina perché

inizialmente è stato visto con l’aspirina, però il

meccanismo è lo stesso poiché sono tutti farmaci che

determinano il blocco della ciclossigenasi, enzima

deputato al metabolismo dell’acido arachidonico. In

alcuni soggetti ci sono dei polimorfismi della

ciclossigenasi, per cui l’enzima risulta essere bloccato

in maniera più completa e più duratura rispetto ad un

soggetto normale. La COX serve per produrre le

prostaglandine dall’acido arachidonico; se la via della

COX è bloccata, l’acido arachidonico viene

completamente metabolizzato tramite la via della

lipossigenasi, che porta all’antagonista delle

prostaglandine, cioè i leucotrieni.

I leucotrieni hanno un effetto bronco costrittore

molto marcato, per cui, coloro che sono sensibili al

blocca della COX per propri polimorfismi genetici, sulla base di un farmaco che blocca quest’enzima,

come l’aspirina o gli altri FANS, possono avere un accumulo nel sangue di leucotrieni che chiaramente

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sulla mucosa bronchiale determinano l’effetto di bronco costrizione.

Il paziente dirà che ha l’effetto di broncocostrizione una tantum: all’inizio può anche non riuscire a

spiegarselo, perché se la prende per un mal di testa o mal di schiena episodico o per un raffreddore, gli

episodi di asma capiteranno una tantum. Allora vi dirà “io ho notato che ogni 4-5 mesi, mi viene l’asma.

Ho fatto i test, ma sono negativi, ma come mai?”. Non vi trovate con l’asma intrinseca perché questa è

persistente, quindi ci deve essere un’altra causa. Togliendo cause professionali, hobby ecc.. potreste

ricavare dall’anamnesi che in quelle occasioni, magari qualche ora prima, il paziente ha preso un

antinfiammatorio. Tra l’altro, generalmente questi soggetti hanno poliposi nasale che affianca

l’ipersensibilità all’aspirina e l’asma. Quindi è un’asma legata ad un problema metabolico: un accumulo

di leucotrieni perché la COX di questi soggetti, per polimorfismi genetici, è più sensibile al blocco

dovuto all’aspirina e ai FANS, inoltre il blocco è più duraturo.

L’asma da reflusso gastro-esofageo: è dovuta all’incontinenza del cardias. Si ritrova soprattutto nei

soggetti in sovrappeso, francamente obesi e si verifica durante la notte, in posizione supina, o quando

il paziente solleva dei pesi, determinando l’aumento della pressione endoaddominale che può favorire

il reflusso di liquido gastrico acido e scatenare l’asma.

E’ un’asma con una tempistica particolare: un’asma notturna legata alla posizione supina che favorisce

il reflusso di liquido gastrico acido, oppure un’asma che insorge quando il paziente assume

atteggiamenti che aumentano la pressione endoaddominale.

Qual è il meccanismo? È un riflesso vagale a partenza dall’esofago, che non ha una mucosa atta a

sopportare l’acidità gastrica. In alcuni soggetti quando il materiale gastrico passa in esofago, può

irritare la mucosa e scatenare un riflesso vagale. Il vago ha un effetto di costrizione sulla muscolatura

liscia e quindi a livello bronchiale può determinare bronco costrizione. A volte il riflesso vagale è

scatenato proprio dall’irritazione diretta della mucosa delle vie respiratorie, soprattutto quando il

paziente è in posizione supina, perché il materiale acido può refluire dall’esofago nelle prime vie

respiratorie e questo induce il riflesso vagale.

Il clinico pensa a questa forma da reflusso gastro-esofageo quando la tempistica non segue quella

caratteristica dell’asma.

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Questo quadro ve lo spiegherà più nel dettaglio la professoressa Cuomo, perché è una vasculite. Si

chiamava Sindrome di Churg-Strauss [leggi ciarg-strauss], mentre il termine che viene utilizzato oggi è

granulomatosi eosinofila con poliangioite. È una vasculite dei piccoli vasi, caratterizzata dalla

positività per gli anticorpi anti citoplasma dei neutrofili, detti ANCA.

Ci sono tre vasculiti ANCA-associate: la vasculite di Wegener, che adesso si chiama granulomatosi con

poliangioite (siccome si è scoperto che questo medico aveva avuto un passato da nazista, gli hanno

tolto l’eponimo); la poliangiote microscopica e la Sindrome di Churg-Strauss.

Questa vasculite può essere preceduta per settimane, mesi o addirittura anni, da un quadro di asma

bronchiale che simula l’asma allergica: troveremo le IgE positive, talora anche la sensibilizzazione nei

confronti di pollini, anche se non è necessaria, però le IgE sono alte e l’eosinofilia. Allora, soprattutto

nelle fasi iniziali, quando non ci sono ancora manifestazioni di vasculite, si può pensare che sia asma

allergica. Il problema è che spesso questa è un’asma che non risponde tanto bene alle terapie classiche

inalatorie, ma risponde bene solo allo steroide per via orale, a dosaggi abbastanza congrui.

Questa terapia con steroidi orali normalmente non si fa, per gli effetti collaterali che hanno gli steroidi

quando si fa una terapia a lungo termine, perché potremmo indurre un Cushing iatrogeno (il paziente

con faccia a luna piena, strie rubrae, diabete, ipertensione, osteoporosi, cataratta). Per cui sono stati

sviluppati steroidi inalatori proprio per evitare di dare gli steroidi per os. Però l’asma che precede la

Churg-Strauss può essere talmente resistente che alla fine il clinico è costretto a dare lo steroide per

os, per tenere l’asma sotto controllo. Non si capacita perché è un’asma che risponde solo allo steroide,

salvo scoprire dopo settimane o mesi la comparsa di altre manifestazioni.

La porpora agli arti inferiore è l’espressione tipica della vasculite a livello cutaneo: è caratterizzata da

chiazzette rosso-violaceo, che non scompaiono alla digitopressione e sono dovute a piccoli stravasi

emorragici per la lesione dei piccoli vasi sanguigni. Poi con il tempo, proprio perché sono dovute a

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stravaso di globuli rossi, che rimangono al di fuori dei vasi, con la trasformazione emoglobina ->

ematina, le chiazzette da rosso-violaceo diventano poi brunastre. L’ematina infatti è il prodotto di

degradazione dell’emoglobina da parte dei macrofagi tissutali, ed ha proprio un colorito marroncino.

Un altro segno è la mono neurite: la vasculite, poiché può interessare anche i vasa nervorum, può

paralizzare qualche nervo periferico. Ad esempio un piede cadente perché il paziente ha perso la

capacità di mobilizzare il piede per l’interessamento solo di quel nervo periferico, o ancora possiamo

avere interessamento del nervo mediano, ulnare in maniera diciamo isolata.

Quindi questa combinazione di reperti porta a fare la diagnosi di vasculite, soprattutto se facciamo una

biopsia in un luogo accessibile, come può essere la cute: troveremo un granuloma con infiltrazione di

eosinofili e quindi facciamo diagnosi di Churg-Strauss.

Al torace, al contrario dell’asma normale dove non troviamo nessun reperto, nella sindrome di Churg-

Strauss possiamo trovare dei noduli, zone più opache che sono dovute all’accumulo di eosinofili. Questi

sono fugaci, perché tendono poi a scomparire nei giorni successivi con la risoluzione di quell’accumulo

soprattutto se diamo gli steroidi per os.

Quindi questa forma va presa in considerazione quando un soggetto con asma, che sembra allergica, è

resistente alla terapia standard e dobbiamo pensare se possa avere una malattia sistemica, con gli altri

suoi sintomi come la stanchezza, facile affaticabilità, la perdita di peso non intenzionale, anche se non

fa la dieta.

ASMA CARDIACA

Gli pneumologi dicono che un soggetto non ha asma bronchiale se non ha almeno un episodio durante

la notte: l’asma tipicamente si verifica anche durante il riposo notturno. Questo spinge il paziente a

correre alla finestra per respirare, per trovare sollievo in quel momento.

Il problema può sorgere nel momento in cui in un paziente, che in età giovanile ha sofferto di asma, poi

con l’andare dell’età si sovrappone qualche altra condizione che può simulare l’asma. Immaginiamo un

paziente che da giovane ha sofferto di asma bronchiale notturna, magari allergica, poi ha una storia di

fumo (20 sigarette al giorno), di ipertensione, di dislipidemia. L’asma, come la rinite, con l’età tende ad

attenuarsi, ma il paziente ad un certo punto torna ad avere i sintomi dell’asma. Il soggetto ha questi

accessi durante la notte, quindi si mette in mezzo a letto e respira in maniera affannosa.

Il medico curante, che lo conosce bene, sapendo che ha nella storia un’asma giovanile, magari può

pensare che il paziente abbia avuto una solita crisi asmatica. Ma dovete stare attenti alla possibilità

dell’asma cardiaca: se ci sono fattori di rischio cardiovascolare, allora con il tempo questi soggetti

comunque possono sviluppare anche altre condizioni che simulano l’asma. Allora, il fatto che abbiamo

una storia di asma in età giovanile, non vi deve distogliere dalla possibilità che ci possa essere un’altra

situazione.

L’asma cardiaca si verifica quando c’è insufficienza del ventricolo sinistro perché, in genere, è

ischemico (ischemia cardiaca è la condizione più comune) e dà questa sensazione di dispnea notturna

che può essere confusa con asma, in soggetto che ha storia di asma da età giovanile. Il ventricolo

sinistro insufficiente, durante la sistole, non riesce a mandare in aorta tutta la quantità di sangue che è

presente in esso. Al termine di questo ciclo, giunge il sangue del ciclo successivo. Si apre la mitrale, il

sangue scende nel ventricolo che però è già parzialmente occupato dal sangue che non è stato inviato

in aorta perché il ventricolo è insufficiente. Allora questo comporta un aumento di volume e pressione,

che si ripercuote a monte, quindi all’atrio sinistro. Siccome questo è in diretta comunicazione con le

vene polmonari, e non c’è una valvola tra di essi, la pressione aumentata nell’atrio sinistro si trasmette

nelle vene polmonari. Poi ancora si trasmette a monte fino ai capillari polmonari, e qui aumenta la

pressione idrostatica: ciò favorisce il passaggio di liquido nell’interstizio, e forma la condizione che si

chiama pre-edema polmonare. Se poi la pressione è molto marcata, il liquido dall’interstizio passa

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nell’alveolo, e abbiamo l’edema polmonare. Nel momento in cui c’è il pre-edema o l’edema polmonare

il paziente comincia ad avvertire la dispnea. Con l’auscultazione con il fonendoscopio noi non avremo

sibili, fischi, gemiti ma avremo i rantoli, cioè i rumori umidi. Questi sono legati alla rottura delle bolle

di acqua sollevate dall’aria che arriva agli alveoli. L’aria che il paziente inspira solleva il liquido negli

alveoli e lo rompe in bolle e noi avremo il corrispettivo auscultatorio dei rantoli (come se voi soffiaste

con una cannuccia nell’acqua). A seconda del rumore avete rantoli a piccole, medio o grosse bolle, a

seconda della quantità di liquido che è negli alveoli.

Tutto questo spiega tra l’altro perché il paziente ha gli accessi soprattutto in posizione supina: perché

il ritorno venoso è facilitato, il ventricolo si congestiona più facilmente, e più facilmente si potrà avere

pre-edema o edema polmonare. Ovviamente questa situazione che va a simulare un’asma allergica,

avuta già dal paziente in età giovanile, va trattata in maniera differente.

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Romano – Lezione 3 (08-03-11) – Orticaria ed angioedema

Sbobinatore: Nicola Napolitano

Coordinatore: Antonella Farina

ORTICARIA

Un grosso capitolo dell’Allergologia ed Immunologia Clinica è l’Orticaria. L’Orticaria è una condizione

abbastanza comune ed in maniera, diciamo, impropria viene associata ad una malattia allergica. In

realtà, le orticarie di natura allergica, IgE-mediate, sono una minoranza di casi.

[Questa è una cosa che io ripeterò più volte durante la lezione, perché poi quando venite all’esame e la

prima cosa che dite è che l’orticaria è una manifestazione antiallergica, vi alzate e ve ne andate perché

l’ho ripetuto tante volte!]

Generalità

Popolarmente è considerata un’espressione antiallergica ma in realtà l’allergia c’entra in una

minoranza dei casi. Allora, fatta questa premessa che io ripeterò nel corso della lezione, l’orticaria è

una condizione che proprio per il fatto di essere non sempre IgE-mediata, è caratterizzata dal fatto che

gli agenti elicitanti, cioè gli agenti inducenti, possono essere i più svariati. Il problema è che molto

spesso l’agente elicitante sfugge all’individuazione e quindi praticamente l’orticaria spesso rimane

senza una causa apparente. Quando la causa è individuabile diciamo che la relazione causa-effetto è

immediata, ma in altri casi, spesso devo dire, facciamo diagnosi di orticaria senza essere riusciti ad

individuare l’agente che praticamente la determini. Ora, la cosa fondamentale è che la lesione è uguale

per qualunque agente abbia determinato l’orticaria e cioè il cosiddetto pomfo.

Il pomfo è una lesione rilevata ma non è una papula, perché la papula, se ricordate, è praticamente

una lesione solida, invece il pomfo è praticamente una lesione che scompare alla digitopressione.

Quindi sotto (al pomfo) non c’è un accumulo di materiale solido ma essenzialmente c’è materiale

liquido, perché è dovuto all’azione dell’istamina che determina vasodilatazione, aumenta la

permeabilità capillare e quindi lo stravaso di liquido dai vasi. Questo stravaso porta alla formazione di

questa rilevatezza, il pomfo, che ha nella regione circostante un alone eritematoso. L’eritema è

l’espressione, appunto, della vasodilatazione e il pomfo è l’espressione dell’aumentata permeabilità

vascolare, con il passaggio di liquidi verso l’esterno dei vasi. In più, l’altra caratteristica del pomfo, è

che è estremamente pruriginoso perché, come vi ho detto già inizialmente, l’istamina stimola le fibre

del prurito e quindi è una lesione pruriginosa.

Ora, quando abbiamo solamente l’interessamento degli strati superficiali della cute, noi parliamo di

orticaria però, a volte, questo processo può interessare anche gli strati profondi della cute fino al

derma e allora abbiamo la sindrome orticaria angioedema. Quest’ultima va distinta

dall’angioedema isolato.

Quindi noi possiamo avere essenzialmente due possibilità:

• l’orticaria con o senza angioedema, nel quale caso rientrano pomfi con eventualmente

l’interessamento anche del derma profondo ed anche delle mucose ma con la caratteristica del

prurito;

• l’angioedema senza l’orticaria.

Questa distinzione è importante dal punto di vista eziopatogenetico perché le cause che determinano

l’angioedema isolato rispetto all’angioedema associato all’orticaria sono praticamente differenti.

Mentre l’angioedema associato all’orticaria ha la stessa patogenesi dell’orticaria, l’angioedema isolato

è una cosa differente.

[Il prof. da questo momento ripete quanto detto precedentemente: l’orticaria ha come lesione

caratteristica il pomfo e il pomfo è una condizione che interessa essenzialmente solo gli strati

superficiali della cute. Talora vi può essere anche l’interessamento degli strati profondi della cute e

allora abbiamo l’orticaria associata all’angioedema e quindi la sindrome orticaria angioedema. ]

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ANGIOEDEMA

Poi c’è una condizione a parte che si chiama Angioedema senza orticaria. Allora, l’angioedema senza

orticaria si caratterizza per l’interessamento degli strati profondi del derma, non abbiamo il prurito

tipico dell’orticaria ed è una condizione che è, dal punto di vista eziopatogenetico, un po’ differente. La

cosa ancora caratteristica dell’orticaria è che le lesioni ovviamente scompaiono senza lasciare traccia

perché nel momento in cui passa lo stato di vasodilatazione e viene riassorbito il liquido di nuovo nei

vasi, non abbiamo esiti sulla cute, quindi si ritorna allo stato precedente e tutto questo, in genere, si

risolve nel giro di 24 ore. La lesione pomfoide isolata, nel giro di 24 ore scompare però, se un paziente

ha un’orticaria persistente, dopo la scomparsa di questa lesione ne può comparire un’altra in un’altra

sede, ma la caratteristica fondamentale è che ogni lesione scompare nel giro di 24 ore. Quindi

l’orticaria si può protrarre per giorni ma le lesioni cambiano localizzazione e scompaiono nel giro di 24

ore. Io posso avere un’orticaria che mi dura settimane, per esempio: ho un pomfo sul braccio, mi

scompare il pomfo sul braccio nel giro di 24 ore, me ne ricompare uno sul torace, poi mi compare sulla

coscia, però tutte queste lesioni isolate tendono poi a risolversi nel giro di 24 ore. Solo che ci possono

essere la comparsa di nuove che sostituiscono le precedenti ma sempre con la tempistica, diciamo,

della risoluzione nelle 24 ore.

Domanda di una studentessa: professore quindi sono solo delle lesioni isolate e non multiple? E

possono comparire anche nel cavo orale?

Risposta: quella è dove si prendono le mucose ed è angioedema, comunque adesso le passiamo in

rassegna, diciamo che questa è l’introduzione, poi vi faccio vedere meglio tutte le varie condizioni.

Va bene, allora abbiamo detto le caratteristiche del pomfo, la scomparsa delle 24 ore pure e va bene.

[Ora il prof. comincia a descrivere delle immagini]

Questo è un esempio di orticaria, cioè di lesioni rilevate, pruriginose. Vediamo qui, forse si vede un po’

meglio. Le riuscite a vedere? Queste sono rilevate, pruriginose. Queste sono praticamente tutte rosee.

Possiamo avere, per esempio, le lesioni in cui l’alone eritematoso è più evidente in periferia rispetto

alla regione centrale, dove praticamente c’è di più rilascio di questi mediatori. Come vedete, le lesioni

possono essere multiple però, come dicevo prima, questa manifestazione scompare nel giro di 24 ore

ma ricompare qua che poi scompare nelle 24 ore e poi ricompare in un altro punto.

L’orticaria può persistere per giorni o settimane, anche mesi, addirittura anni nella forma cronica, ma

le singole lesioni scompaiono nel giro di 24 ore. Tra l’altro scompaiono senza lasciare esiti. Ecco questa

è un’altra manifestazione: singole lesioni pomfoidi. In alcune forme di orticaria le lesioni pomfoidi

possono andare incontro a coalescenza e dare luogo a manifestazioni a “carta geografica”, cioè a

lesioni pomfoidi talmente estese che poi simulano l’aspetto di una carta geografica. Ecco, per esempio,

lì già c’è (riferito alla slide) un certo tipo di coalescenza, varie lesioni pomfoidi sulla coscia che tendono

ad avvicinarsi e formare delle lesioni pomfoidi un po’ più grandi, che però nelle 24 ore scompaiono e

poi magari ne ricompaiono altre e così via. Queste (sempre riferendosi alle slide) sono manifestazioni

di coalescenza ancora maggiore. Ancora varie lesioni pomfoidi. Questa a carta geografica simula la

morfologia di un continente, un mappamondo. Anche questa simula la morfologia di un mappamondo:

sono praticamente lesioni pomfoidi a carta geografica. Questa è la tipica morfologia con un alone

eritematoso periferico, con regione centrale più chiara perché c’è praticamente lo stravaso di liquido

che ricopre il colore dei vasi, mentre più perifericamente, dove il liquido è meno evidente, prevale

l’aspetto della vasodilatazione e quindi praticamente l’eritema.

Ovviamente tutte queste lesioni sono estremamente pruriginose e inficiano molto la qualità della vita

del paziente, tanto è vero, che in uno studio sulla qualità della vita, si è visto che i pazienti con

l’orticaria, soprattutto quelli affetti da forme croniche di orticaria che durano mesi o addirittura anni,

hanno una qualità di vita sovrapponibile a quella dei pazienti che hanno cardiopatia ischemica. Anche

se l’orticaria è una condizione essenzialmente benigna, perché non dà lesioni d’organo, però il prurito

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intenso condiziona gli aspetti sociali, perché il paziente che presenta lesioni sulle parti visibili del

corpo chiaramente si sente a disagio nello stare in mezzo ad altre persone. In più il prurito può essere

molto intenso tale da impedire il riposo notturno e quindi anche la produttività a lavoro o a scuola.

Pertanto la qualità della vita è talmente inficiata che può simulare ed arrivare a quella dei pazienti con

cardiopatia ischemica, quindi a quei pazienti che sono impossibilitati a condurre una vita normale per

lesione d’organo importante.

Ecco altre lesioni con alone eritematoso periferico e zona centrale chiara. (slide)

L’Angioedema abbiamo detto che è una condizione che interessa i tessuti profondi e poiché la

sindrome orticaria angioedema ha una condizione di angioedema meno evidente rispetto alle forme

da angioedema idiopatico, tende a localizzarsi principalmente nelle zone dove il connettivo è più

lasso, dove più facilmente può essere imbibito dal rilascio di plasma dei vasi sanguigni. Le regioni di

connettivo più lasso sono: le regioni periorbitarie e la mucosa labiale. Quindi la regione intorno agli

occhi è praticamente tumefatta e, siccome la tumefazione coesiste con la presenza di pomfi, questa è la

sindrome orticaria angioedema; quindi non è l’angioedema isolato. Essendo una sindrome

orticaria angioedema, quando faremo diagnostica differenziale, noi prenderemo in considerazione le

cause che hanno determinato l’orticaria. Questi (riferendosi sempre alle slide) sono altri pomfi con una

caratteristica classica:

o alone eritematoso,

o zona centrale chiara,

o prurito.

Criteri per valutare la gravità dell’orticaria

La gravità dell’orticaria si valuta mediante uno score, cioè un punteggio, che è il punteggio

dell’attività dell’orticaria. Questo punteggio prevede praticamente, la valutazione di due parametri: i

pomfi e il prurito. Si dà un valore da 0 fino a 3. Quando il paziente ha 0, l’orticaria ovviamente è

risolta. Mentre con punteggio crescente la gravità dell’orticaria è maggiore. Quindi praticamente

avremo:

• Forma lieve, in cui contiamo meno di 20 pomfi sulla superficie corporea delle 24 ore. (Diciamo

sempre 24 ore perché i pomfi scompaiono e si riproducono nel giro delle 24 ore)

• Forma moderata, fra 20 e 50 pomfi;

• Forma intensa, sopra i 50 pomfi.

Poiché, chiaramente, non è solo l’aspetto visivo ma essenzialmente è il prurito che inficia l’attività

giornaliera, noi avremo un:

▪ prurito lieve, che è presente ma non è fastidioso;

▪ prurito moderato, che è fastidioso però non interferisce con il sonno;

▪ prurito intenso, che può interferire sia con le attività normali e quotidiane, sia con il sonno.

Questo score arriva massimo a 6 nelle forme più severe, e poi praticamente viene valutato settimana

per settimana. Quindi praticamente va moltiplicato, poiché si fa la valutazione settimanale per i vari

giorni fino a 7, quindi il punteggio più alto sarebbe 42 se il paziente ha questa situazione intensa, cioè

6 giornaliero per 7 giorni alla settimana. Il punteggio peggiore quindi è 42. Questo si fa essenzialmente

quando si deve valutare l’efficacia di una terapia. Anche perché con l’orticaria, c’è un problema di

terapia che spesso non si riesce a tenere sotto controllo.

Forme di orticaria IgE mediate

Allora, veniamo prima alle forme IgE mediate, quelle di orticaria allergica, che però sono poco

frequenti e sono dovute ad allergia per esempio alimentare. Ora siccome l’allergia alimentare è tipica

soprattutto dei bambini, quindi l’orticaria nel bambino può essere legata ad un’allergia alimentare. Il

bambino è quello che va dallo svezzamento fino praticamente ai 4-5 anni di età. Se l’allergia viene

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riconosciuta dal pediatra rapidamente, si allontanano gli alimenti che determinano l’allergia e nel giro

di 5-7 anni il bambino supera l’allergia alimentare. Poi lo vedremo quando faremo l’allergia

alimentare. L’orticaria nell’allergia alimentare è solo chiaramente uno dei sintomi. Chiaramente,

poiché l’organo target nell’allergia alimentare è il tubo digerente, il bambino non avrà solo orticaria ma

avrà: mal di pancia, vomito e diarrea, che potrebbero essere anche i sintomi principali. Su questi

sintomi si può aggiungere anche l’orticaria. A volte nelle forme blande, diciamo, ci sono sintomi

gastrointestinali molto lievi e l’orticaria come sintomo maggiormente evidente. C’è una relazione

abbastanza netta con l’assunzione degli alimenti perché le manifestazioni IgE-mediate sono di

ipersensibilità immediata. Quindi l’orticaria, con o senza i sintomi gastrointestinali, compare in 20-

30 minuti al massimo dall’ingestione di un determinato alimento. Quindi la mamma del bambino se ne

accorge, cioè riconosce l’alimento come l’evento incitante alla comparsa della sintomatologia. Vale a

dire che in ambulatorio, ogni volta che gli dò un po’ di latte, o l’uovo o qualche altro alimento, abbiamo

la comparsa o di sintomi gastrointestinali o di orticaria o di entrambi. Queste non sono le uniche

manifestazioni di allergie alimentari, perché nelle forme gravi il paziente può avere l’anafilassi però

ne riparleremo successivamente. Questo giusto per dire che l’orticaria da allergia alimentare è più

tipica dei bambini, ci può essere anche degli adulti. Negli adulti, in genere, può essere determinata, con

o senza sintomi gastrointestinali, da:

▪ frutta secca, come noci e nocciole;

▪ crostacei, che sono i gamberi, le aragoste, gli scampi.

Diciamo che questi sono i cibi maggiormente interessati. Quindi nei bambini latte e uova e negli adulti

in genere crostacei e frutta secca.

Poi altre forme IgE mediate possono essere i farmaci, soprattutto le beta-lattamine, cioè le

penicilline, le cefalosporine. Anche qui, quindi, c’è il rilievo anamnestico, cioè il paziente riferirà che

l’orticaria è comparsa dopo la somministrazione di un antibiotico della classe delle beta-lattamine.

Poi il veleno degli imenotteri, dove sono interessate delle categorie professionali.

Raramente, i pazienti con allergie respiratorie, quindi con rinite allergica, asma bronchiale. Questi

soggetti, durante il periodo primaverile, oltre ad avere gli starnuti, la lacrimazione, il fischietto con

l’asma, qualche volta posso avere anche delle crisi di orticaria, perché l’allergene che viene inalato può

comunque passare nel circolo sanguigno e quindi stimolare le mastcellule cutanee. Non è la norma ma

qualche volta può capitare.

Poi ci sono quelle da parassiti, orticaria da contatto che compare proprio in genere al contatto,

magari proprio con l’ortica, che determina proprio la comparsa di questa manifestazione.

Tutti questi agenti elicitanti, in genere, si rilevano all’anamnesi e poiché sono forme IgE mediate, con

meccanismo immunologico sotto, sono riproducibili, quindi non capita in una sola occasione ma

capita in tutte quelle occasioni in cui il paziente si sottopone a quell’agente eccitante. Quindi l’agente

viene riconosciuto abbastanza agevolmente dal paziente e poi chiaramente confermato dal medico che

sente l’anamnesi e quindi il racconto clinico. Però, ripeto, questa è una condizione meno frequente.

Forme di orticaria NON IgE mediate

Poi ci sono altre forme di orticaria che possono comparire, per esempio, durante infezioni virali,

tipiche soprattutto dei bambini, e in genere c’è una concomitanza di fattori: c’è l’infezione virale, c’è

la febbre alta e l’assunzione di un antipiretico. Non è che ogni volta che il bambino ha la febbre alta

compare l’orticaria ma diciamo che le mastcellule, sotto la stimolazione di più agenti eccitanti

contemporaneamente, possono degranulare e dare luogo ad una orticaria. Questa concomitanza di

fattori, in genere, è rappresentata dall’infezione virale che porta a febbre alta con l’assunzione di un

antipiretico che abbassa la febbre. Chiaramente è una forma non IgE mediata. Non è una forma

immunologica, per cui non è una forma riproducibile. Ciò significa che una seconda volta, in cui il

bambino prende l’infezione virale ed ha la febbre alta e prende l’antipiretico, non necessariamente

deve avere l’orticaria. È praticamente lo stato dell’organismo che in quel momento può favorire o

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meno la degranulazione di mastcellule. Il problema è che noi non conosciamo il meccanismo per cui si

scateni l’orticaria in queste condizioni, semplicemente, abbiamo notato che compare con la

concomitanza di più fattori e non si verifica sempre, poiché non è immunologico.

Poi c’è l’orticaria dovuta a induttori diretti di istamina e questi sono alcune tipologie di farmaci, per

esempio, gli oppiacei che vengono utilizzati per la terapia del dolore, cioè i derivati della morfina.

Questo perché le mastcellule hanno un recettore per gli oppiacei e quindi in alcuni soggetti questa

terapia, che serve per attenuare il dolore, può determinare l’orticaria. Quindi le mastcellule hanno il

recettore per gli oppiacei e la stimolazione di questo recettore può dare degranulazione.

Oppure ci sono i mezzi di contrasto radiologici, quelli usati per fare la tac con mezzo di contrasto,

soprattutto quelli un po’ vecchiotti. Adesso non succede più perché i nuovi mezzi di contrasto sono

meglio tollerati, ma i mezzi di contrasto precedenti determinavano la lisi osmotica delle mastcellule e

questo condizionava il rush dei mediatori preformati. Adesso sono stati migliorati e questo accade

molto più raramente.

Poi abbiamo le forme fisiche di orticaria che sono indotte da nuovi stimoli come caldo, freddo,

pressione, temperatura, vibrazione; lo vedremo e ne riparleremo caso per caso.

Una forma particolare è l’orticaria vasculite che ha delle caratteristiche che consentono di

differenziarla dall’orticaria classica. Le vasculiti le farete con la prof. Cuomo. Comunque, in breve, le

vasculiti sono caratterizzate dall’infiammazione della parete vascolare. Questa infiammazione della

parete vascolare che è indotta dall’immunità innata, in genere, comporta la lesione dei piccoli vasi.

Quando c’è una lesione dei piccoli vasi, gli eritrociti stravasano all’esterno del vaso e quindi rimangono

attorno al vaso ma non all’interno del lume, quindi non circolano più, e rimanendo lì danno la

comparsa di piccole petecchie rosso-vinoso, un rosso un po’ più scuro. Queste petecchie non

scompaiono alla digitopressione, perché chiaramente i globuli rossi sono fuoriusciti dai vasi e

quindi, poiché il vaso si è lesionato, gli eritrociti stanno nel connettivo che circonda il vaso e non

possono essere più resi invisibili dalla digitopressione. La caratteristica qual è? Questa vasculite talora

si accompagna anche alla stimolazione delle mastcellule e quindi alla comparsa di orticaria. La

vasculite, però, non si risolve nelle 24 ore, quindi dopo 24 ore quella lesione noi la vediamo ancora,

dove stava originariamente. In più, con i giorni, tende a cambiare di colore e quindi da rosso-vinoso

tende progressivamente a diventare marroncino-brunastro, perché l’Hb contenuta all’interno degli

eritrociti stravasati viene convertita in ematina dai macrofagi che stanno nel connettivo. Quindi

abbiamo la persistenza della lesione oltre le 24 ore e il passaggio dalla pigmentazione rosso-vinoso a

quella praticamente marroncina-brunastra per la conversione dell’Hb in ematina. L’altra caratteristica

è che queste lesioni, le lesioni da vasculite, si localizzano più frequentemente agli arti inferiori perché

c’è anche il concorso della gravità, che favorisce la lesione dei capillari, soprattutto nelle zone

maggiormente sottoposte a pressione idrostatica, cioè agli arti inferiori. Quindi noi troviamo queste

lesioni simili orticarioidi, ma da vasculite, agli arti inferiori che durano più di 24 ore, rimangono nella

stessa sede e cambiano di colore con il tempo. Siccome la vasculite è una malattia sistemica, il paziente

ha manifestazioni generali che sono: malessere, astenia, perdita di peso non intenzionale e poi i

segni e i sintomi della vasculite responsabile, perché poi di vasculite ce ne sono vari tipi.

L ‘orticaria vasculite è quella che accompagna più frequentemente il Lupus Eritematoso Sistemico che

è il paradigma delle connettiviti, forse è la connettivite considerata più importante (che farete sempre

con la prof. Cuomo). Si caratterizza per l’interessamento cutaneo e degli organi interni e quindi noi

possiamo avere per esempio, oltre alla vasculite, il tipico rush a farfalla sul volto oppure

l’interessamento delle sierose e quindi: pericardite, pleurite, interessamento renale, glomerulonefrite

e così via. Quindi non è che troverete solamente l’orticaria vasculite isolata, troverete anche l’orticaria

vasculite nell’ambito di una connettivite sistemica che è, nella maggior parte dei casi, il lupus

eritematoso sistemico. Siccome il lupus è una malattia da immunocomplessi, cioè da formazione di

complessi antigene-anticorpo che fissano il complemento, la vasculite è dovuta chiaramente alla

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deposizione di questi immunocomplessi. Dal punto di vista sierologico e di laboratorio troverete il

consumo di complemento, cioè di bassi valori di C3 e C4 e questo è importante per confermare la

formazione di immunocomplessi e quindi la patogenesi da immunocomplessi nell’ambito della

vasculite. (Tutto questo ve lo ripeterà la prof. Cuomo quando vi parlerà del Lupus perché il Lupus,

diciamo, è la connettivite che più si accompagna all’orticaria vasculite.) Quindi, in questo caso,

l’orticaria vasculite noi la riconosceremo perché è una delle espressioni di una connettivite sistemica,

per lo più il lupus, e si presenta in genere agli arti inferiori perché la vasculite tende ad interessare

maggiormente gli arti inferiori. Poi queste lesioni simil-pomfoidi sono di durata superiore alle 24 ore

con pigmentazione che cambia nel tempo, per lo stravaso degli eritrociti e quindi la degradazione

dell’emoglobina in ematina che è di pigmento brunastro.

Poi abbiamo altre forme, le forme psicogeniche di orticaria che compaiono senza causa apparente in

soggetti che sono sottoposti ad intensi traumi emotivi o che hanno avuto un importante trauma

emotivo come può essere un lutto, una separazione e così via. In questi soggetti può comparire

un’orticaria che risolve tipicamente con la terapia psicologica, non sappiamo precisamente come

questi traumi emotivi possano indurre la degranulazione delle mastcellule, però l’elemento a favore è

che esiste la possibilità della psicologia perché i soggetti che si sottopongono a psicoterapia, per

cercare di superare il trauma emotivo, risolvono contestualmente anche l’orticaria.

Poi, raramente, l’orticaria può essere una sindrome paraneoplastica, cioè può essere espressione di

una neoplasia solida o ematologica. Anche in questo caso l’orticaria la riconoscete perché c’è una

compromissione generale. Come vi ho detto inizialmente, l’orticaria di per sé è una patologia benigna

che non dà lesione d’organo. L’orticaria dà questi pomfi che però scompaiono, senza lasciare dei

liquati, e che sono molto fastidiosi, perché pruriginosi, ma essenzialmente un danno alla cute o agli

organi interni non c’è. Se invece è una manifestazione paraneoplastica noi avremo, chiaramente, i

sintomi correlati alla neoplasia di base, perché quando si manifesta una sindrome paraneoplastica, in

genere la neoplasia è in stadio avanzato e quindi predominano i sintomi correlati alla neoplasia. Il

paziente può avere una neoplasia del colon, del polmone, una neoplasia ematologica, chiaramente,

queste neoplasie danno sintomi di sé stesso e l’orticaria viene interpretata come un epifenomeno di

questa neoplasia.

Poi ci sono forme più rare che lasciamo stare.

Classificazione delle varie orticarie in base alla durata

Adesso vediamo come si classifica in base alla durata

• Se dura meno di 6 settimane viene definita orticaria acuta.

• Se dura più di 6 settimane viene definita orticaria cronica.

Questa distinzione è utile soprattutto per l’orticaria cronica perché ci sono solo due forme di orticaria

cronica, come vedremo successivamente, per le quali è inutile andare a perdere tempo con screening

di vario genere, poiché ce ne sono solo 2, se non è l’una è l’altra e quindi non è necessario fare tutto

quello che si fa per le forme acute.

Forme acute

Vediamo allora, per esempio, le forme acute, che durano meno di 6 settimane, ma possono durare

anche solo un 1 giorno con un singolo episodio che si risolve e buonanotte; questo può avvenire per

esempio nel caso di orticaria dovuta all’assunzione di un farmaco. Uno prende un farmaco, ha

l’orticaria, poi termina l’effetto e quindi praticamente l’orticaria non si ripete più, a meno che quel

paziente non riprenda quel farmaco. Quindi questa è la forma di orticaria acuta che può durare un

giorno, 24 ore e poi praticamente si risolve.

Altre forme sono per esempio quelle legate agli alimenti. Ad esempio, il bambino prende il bicchiere

di latte o mangia un pezzo di torta, dove chiaramente c’è il latte o le uova e, essendo allergico a questi

alimenti, ha il mal di pancia e orticaria, ma una volta terminato l’effetto e smette di assumere questi

alimenti il giorno dopo: non succede niente e l’orticaria si ferma qui.

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La stessa cosa per gli imenotteri e così via.

Per quella legata per esempio alle situazioni infettive può durare 4-5 giorni, il tempo che termina

l’effetto dell’infezione, dell’iperpiressia.

Poi ci sono le forme cosiddette spontanee dove non si conosce il trigger.

Le forme legate all’inalazione di allergeni durano, in genere, un po’ di giorni (ma meno di 6 settimane)

e poi praticamente si risolvono, sotto terapia di antistaminico.

Quindi posso avere 4 -5 generi di orticaria che si risolve. Stop, questa è l’orticaria acuta.

Forme Croniche più di 6 settimane, due forme di cui parleremo dopo sono l’orticaria cronica

spontanea e l’orticaria cronica autoimmune. Se non è l’una è l’altra e da un punto di vista

terapeutico non cambia molto, serve solo per dare un’etichetta alla forma di orticaria cronica.

Forme indicibili

E vediamo le forme inducibili e cioè le orticarie fisiche. Anche queste si rilevano con un’anamnesi

dettagliata, tanto è vero che molto spesso noi risaliamo all’eziopatogenesi con un’anamnesi accurata.

Basta tenere in mente quali sono i fattori che possono determinare l’orticaria, li chiediamo al paziente

o ce li dice il paziente spontaneamente, ed etichettiamo dal punto di vista eziopatogenetico l’orticaria.

Tutto ciò vale tranne ovviamente per quelle forme spontanee (termine eufemistico per dire che non

sappiamo chi le ha determinate) che prima venivano chiamate idiopatiche; adesso, per togliere questo

termine che sa tanto di ignoranza sulla causa che l’ha determinata, si usa il termine spontaneo ma

diciamo che la sostanza non cambia.

Allora nelle forme fisiche, il paziente, in questo caso, vi dirà che, urtando contro lo spigolo di un

mobile o di qualsiasi altro suppellettile, si è formato un pomfo. Quindi già questa cosa è indicativa di

una forma di orticaria che si chiama dermografismo sintomatico. Noi come avvaloriamo questo

sospetto? Prendiamo per esempio una matita, una penna, qualcosa con la punta smussa, strisciamo

sulla pelle del paziente e quindi non facciamo altro che applicare uno stimolo fisico e avremo

praticamente nel giro di 10 minuti la formazione di un pomfo figurato, cioè di un pomfo che

riproduce la linea di pressione che è stata praticamente esercitata. In questo caso (si riferisce alla

slide) sono state disegnate 2 lettere (sul dorso del paziente) e si forma un pomfo figurato che si

stabilisce lungo le linee di pressione: in questa maniera facciamo tranquillamente diagnosi di

dermografismo sintomatico. Non si sa perché le mastcellule siano così delicate in questi soggetti

poiché basta questo stimolo fisico sulla cute per indurre la degranulazione. Fatto sta che basta uno

stimolo fisico e non immunologico per indurre la degranulazione. Quindi non è un’orticaria allergica

nemmeno questa.

Poi c’è una forma di orticaria che si chiama orticaria colinergica cosiddetta perché dovuta al

rilascio di acetilcolina, per questo motivo viene chiamata orticaria colinergica. Tanto è vero che,

proprio per questa ragione, non risponde tanto bene agli antistaminici. La caratteristica qual è? Che i

pomfi dell’orticaria colinergica, rispetto a quelli dell’orticaria classica, sono:

• molto piccoli, del diametro di pochi mm, a volte della testa di uno spillo,

• molto diffusi, soprattutto al tronco,

• indotti da brusche variazioni di temperatura, quando praticamente vi è uno sbalzo di

temperatura interna.

Per esempio, il soggetto che torna a casa e si butta sotto la doccia bollente, questa situazione aumenta

la temperatura interna improvvisamente, stimola le fibre colinergiche in questo soggetto e questo

comporta la comparsa di orticaria, o al termine o durante la doccia. La stessa cosa se, per esempio, il

paziente, durante una serata di inverno molto fredda, sta in strada e passa all’improvviso in un

ambiente molto riscaldato. Questo brusco cambiamento di temperatura, può determinare la comparsa

di questi pomfi piccoli, del diametro di una testa di uno spillo, talora diffusi soprattutto al tronco e che

sono dovuti a questa variazione di temperatura.

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I pomfi possono essere dovuti anche ad uno sforzo fisico, infatti esiste una variante di orticaria da

sforzo fisico che è molto più rara e che si manifesta solo durante lo sforzo fisico.

L’orticaria colinergica si manifesta anche a riposo, l’importante è che ci sia la variazione di

temperatura. Quindi anche i soggetti che vanno in discoteca che passano da un ambiente freddo

esterno e in discoteca cominciano a muoversi e a determinare un aumento della temperatura interna,

possono avere l’orticaria colinergica.

E infine, possono avere l’orticaria colinergica anche i soggetti particolarmente emotivi, per cui

davanti ad una condizione di estrema tensione, possono cominciare non solo a sudare freddo ma

anche a manifestare un’orticaria colinergica. I soggetti per esempio che vanno a fare un esame, molto

preoccupati, possono avere l’orticaria durante praticamente l’esame. Quindi l’orticaria colinergica si

differenzia dall’orticaria classica per la grandezza dei pomfi che sono molto più piccoli e sono anche

più numerosi e comunque scatenata da queste brusche variazioni della temperatura interna,

soprattutto quando la temperatura interna tende praticamente a salire.

Poi c’è l’orticaria da freddo che è anche questa una condizione non frequente. È un’orticaria che si

verifica in quei soggetti esposti a brusche cali di temperatura. Quindi possiamo fare sempre l’esempio

di quei soggetti che stanno in strada quando è inverno, con un vento molto freddo, svilupperanno

l’orticaria al volto e alle mani, se sono le uniche parti scoperte del corpo. Altro esempio, il soggetto che

prende dal freezer qualcosa di congelato, lo tiene in mano per qualche minuto, farà i pomfi a livello

della mano. Una lattina di coca-cola fredda, presa dal frigo, la tiene in mano, durante l’estate, dopo un

po’ comincerà ad avvertire la comparsa di pomfi al palmo della mano. Il problema qual è? È che se

l’orticaria da freddo è blanda, il paziente non ci fa tanto caso, avverte che il freddo gli dà questa

sensazione di fastidio ma poi insomma sa che non esponendosi a temperature molto basse non ha

grossi problemi. Però può succedere di avere, se viene sottovalutata, una grave sindrome da

degranulazione massiva, per esempio nel periodo estivo con i primi bagni, se ci si butta a mare senza

acclimatazione allora in questo caso è tutta la superficie corporea che viene investita dallo stimolo

fisico e quindi dal freddo e quindi si può avere una degranulazione massiva che può comportare

praticamente uno shock anafilattico. Più mastcellule degranulano, più istamina viene rilasciata, più

vasodilatazione avviene, più facilmente cadrà la pressione. Questi soggetti, quindi, se non sono al

corrente del fatto che hanno un’orticaria da freddo e se non si acclimatano quando espongono tutta la

superficie corporea allo stimolo freddo, possono rischiare una sindrome simil-anafilattica. Alcuni casi

di morte dovuta ad annegamento, raramente, sono dovute a questa situazione di orticaria da freddo

non riconosciuta. L’orticaria da freddo si riconosce facendo il test al cubetto di ghiaccio: si pone il

cubetto di ghiaccio sulla superficie volare dell’avambraccio e dopo 10 minuti si forma un pomfo

figurato. Chiaramente nel soggetto normale questo non succede. Ecco, questo è l’andamento, se avete il

cubetto di ghiaccio, vedete man mano eritema, poi progressivamente si rende più evidente, fino

praticamente a mostrare la regione centrale più chiara che è data dalla massiva liberazione di liquido

dai vasi interessati dall’aumento di permeabilità vascolare.

Poi abbiamo l’orticaria ritardata da pressione. L’orticaria ritardata da pressione è dovuta, invece, ad

uno stimolo pressorio che determina la comparsa di pomfi dopo 4-6 ore che è stato applicato questo

stimolo pressorio. È tipico delle giovani donne che possono avere concomitantemente anche

un’orticaria cronica, ma può essere anche un evento isolato e si caratterizza anche qui per la comparsa

di pomfi figurati che riflettono la forma della zona dove è stata applicata la pressione. Un esempio può

essere la tracolla di una borsa troppo pesante, se si tiene sulla spalla per diverso tempo, poi quando

viene tolto lo stimolo pressorio, 4- 6 ore dopo, compare un pomfo figurato sulla spalla.

Una cosa ancora più curiosa è la comparsa di pomfi plantari, cioè alla pianta dei piedi, dopo aver

passeggiato per qualche oretta, praticamente lo stimolo pressorio è il peso del corpo sulla pianta dei

piedi che può far comparire questi pomfi alla pianta dei piedi 4-6 ore dopo che uno ha terminato di

fare una passeggiata. Oppure un reggiseno troppo stretto, quando poi viene allentata la pressione, 4-6

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ore dopo, compare un pomfo figurato dove era attaccato il reggiseno. Quindi, la caratteristica

dell’orticaria da pressione è che il pomfo compare ore dopo che è stato applicato lo stimolo pressorio.

Questo può essere evidenziato con un semplice strumento che è il dermatografometro, che è un

apparecchio che applica varie intensità di pressione sulla cute e si legge dopo 4-6 ore, osservando a

quale pressione si è formato il pomfo e si fa quindi diagnosi di orticaria ritardata da pressione.

Chiaramente per tutte queste situazioni l’unica maniera per evitare la comparsa di orticaria è non

esporsi allo stimolo fisico.

Poi abbiamo l’orticaria vibratoria che è tipica dei soggetti che usano il martello pneumatico e

formano dei pomfi fino all’angioedema delle mani, perché, ovviamente, è la zona dove si concentra

principalmente lo stimolo vibratorio. Ed anche questo è facilmente documentabile con l’anamnesi e il

test per verificarlo, il test al vortex. Se siete stati in un laboratorio, esiste un apparecchio che serve ad

agitare le provette: si mette la provetta dentro e l’apparecchio comincia a vibrare. Se voi tenete per 10

minuti una provetta con il vortex e avete l’angioedema vibratorio da orticaria vibratoria, dopo 10

minuti vi comparirà l’orticaria con angioedema al palmo delle mani.

Poi c’è l’orticaria solare che chiaramente si verifica solo nelle zone foto-esposte, dove battono i raggi

ultravioletti durante la stagione estiva: decolletè, viso, mani, braccia. Chiaramente questa è una

condizione che può facilmente essere evidenziabile con delle lampade ad UV con differente lunghezza

d’onda. L’utilizzo di queste lampade UV consente anche di discriminare quale sia la lunghezza d’onda

verso la quale queste mastcellule sono sensibili e quindi di usare dei filtri appositi.

Forme croniche

E veniamo adesso alle forme croniche:

• l’orticaria spontanea,

• l’orticaria autoimmune.

Qua abbiamo visto (si riferisce alle slide) le forme inducibili, cioè se uno non evita lo stimolo fisico,

chiaramente l’orticaria diventa cronica, però se lo riconosce l’orticaria termina. Se il paziente vi dice io

ho da 3 mesi l’orticaria, tutti i giorni o un giorno sì o un giorno no, questa è l’orticaria cronica, perché

dura più di 6 settimane. Allora noi non andiamo nemmeno a fare l’anamnesi (hai mangiato questo?

Ecc.) perché quelle fanno parte del protocollo diagnostico dell’orticaria acuta. Sappiamo che è

un’orticaria cronica, quindi, esistono due forme:

▪ Spontanea, di cui non si conosce cosa l’abbia indotta, per cui è inutile cercare cosa determini

l’orticaria in questo soggetto perché non riusciremo a trovare lo stimolo inducente. Essendo

una condizione che dura da più di 6 settimane, questo paziente deve essere sottoposto ad uno

stimolo ignoto almeno giornalmente e quindi normalmente non si riesce a riconoscerlo, quindi

per questo viene definito orticaria spontanea. Tutte le altre cause che abbiamo detto prima,

una volta riconosciute, si eliminano e l’orticaria termina mentre, in questo caso, non riusciamo

a ritrovare la causa né in un alimento né in un fattore infettivo, né in un altro tipo di trigger o

farmaco, per cui l’orticaria è spontanea.

▪ Autoimmune. Come si fa praticamente a differenziare le due forme? Si fa con il cosiddetto test

al siero autologo: analizziamo il siero del paziente. È autoimmune perché questi soggetti

hanno un anticorpo che va a stimolare le mastcellule e poi vi faccio vedere il meccanismo. Per

verificare la presenza dell’anticorpo si fa il test al siero autologo: 1) facciamo un prelievo, 2)

prendiamo il siero del paziente, 3) lo iniettiamo nella regione superficiale della cute e quindi

facciamo una introdermoreazione , 4)vediamo praticamente se si forma il pomfo. Se è presente

l’anticorpo, questo anticorpo andrà a reagire con queste mastcellule le farà degranulare e noi

avremo il pomfo. Se non c’è l’anticorpo, non succederà nulla. Quindi se il test al siero autologo

è negativo, noi diciamo orticaria cronica spontanea, non sappiamo da cosa sia determinata e

pensiamo solo a trattarla, ad alleviare il problema al paziente. Se il test è positivo, diciamo che

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ha l’orticaria cronica autoimmune, cioè c’è quest’anticorpo che stimola le mastcellule. Ora

l’anticorpo come funziona? L’anticorpo funziona in due modi. Ci sono due tipi di anticorpi: uno

è più prevalente dell’altro. 1) C’è un anticorpo anti-IgE, questa è la condizione meno

frequente, questo anticorpo lega due IgE, che sono legate proprio ai recettori, e simula la stessa

cosa che fa l’allergene quando si lega e quindi induce il cross-linking. 2) L’altro anticorpo, che è

molto più frequente e che si trova nel 40 – 45 % dei casi, è un anticorpo specifico per i

recettori che può legare i recettori senza avere nemmeno un IgE adeso alla superficie, per cui

cross-linka direttamente il recettore e induce lo stimolo di degranulazione. Quindi con il test al

siero autologo noi facciamo questo. Non cambia molto dal punto di vista della terapia, la

terapia è identica in entrambi i casi. Con la forma autoimmune possiamo provare ad utilizzare

anche l’immunosoppressore, però, in genere, la terapia rimane praticamente la stessa. A noi

interessa semplicemente caratterizzare, capire se ha l’orticaria cronica perché se il paziente ha

l’orticaria cronica non ci mettiamo a sottoporre il paziente ad una marea di indagini. Una volta

conosciuta la tempistica, per la forma cronica noi ci mettiamo l’anima in pace e se non è l’una è

l’altra e la andiamo direttamente a trattare. Non sottoponiamo il paziente ad una marea di

esami che poi si riveleranno inutili, perché non ci daranno praticamente nessuna risposta.

Trattamento

Ora il trattamento dell’orticaria è semplice dal punto di vista concettuale, il problema è che non è

sempre così efficace.

Allora per le forme acute sappiamo che durano poco tempo e quindi noi, per accelerare la remissione

del paziente: diamo l’antistaminico, cioè il farmaco che si oppone agli effetti dell’istamina; impedisce di

legarsi ai suoi recettori e quindi impedisce la degranulazione. Diamo l’antistaminico per breve tempo

perché l’orticaria acuta si risolve in 5 giorni, massimo una settimana.

L’orticaria cronica, invece, siccome è presente giornalmente, o quasi, ed è presente per mesi, la

terapia antistaminica va fatta continuamente, cioè tutti i giorni. Ora, se risponde alla singola

somministrazione di antistaminico, bene, se non risponde noi abbiamo due possibilità. La prima è che

aumentiamo il dosaggio dell’antistaminico fino a 4 volte la dose indicata: in genere si da una

compressa di antistaminico, si può arrivare fino a dare 2 compresse per dominare l’orticaria cronica.

Il problema degli antistaminici sono la sonnolenza, quindi noi, aumentando la quantità di

antistaminico, aumentiamo anche la sonnolenza nel paziente e questo può essere un effetto limitante

perché se magari riusciamo a controllare i pomfi, il paziente comunque non riesce a fare niente perché

ha la sonnolenza. La seconda possibilità è che, se l’antistaminico non funziona, noi passiamo

direttamente all’impiego dell’omalizumab, cioè quel farmaco che utilizziamo per l’asma, cioè

l’anticorpo anti IgE. Se vi ricordate, vi feci vedere che l’omalizumab lega le IgE e, legando le IgE, porta

alla downregolazione dei recettori e, in questo modo, il crosslinking diventa meno probabile e quindi

si innalza la soglia di degranulazione delle mastcellule. Quindi anche se l’omalizumab lega le IgE e,

anche se l’orticaria cronica non ha nulla a che vedere con un meccanismo IgE-mediato, noi diamo

l’omalizumab perché ha la capacità di downregolare i recettori delle mastcellule e quindi noi

sfruttiamo questo meccanismo. Quindi non vi confondete! L’omalizumab è un anticorpo anti-IgE,

quindi uno, in linea di principio, potrebbe pensare: “allora l’orticaria cronica è IgE-mediata “NO! Noi

diamo l’anticorpo anti-IgE perché questo anticorpo lega le IgE circolanti, perché tutti i soggetti, anche

quelli normali, hanno le IgE (gli atopici ce ne hanno di più, mentre nei soggetti normali sono di meno).

Se abbasso le IgE, si abbassano i recettori per le IgE. L’anticorpo antirecettore non può fare il

crosslinking facilmente se i recettori sono praticamente dislocati, lontani tra di loro, sulla superficie

delle mastcellule. Si impedisce poi alle IgG antirecettore di andarsi a legare. Quindi si sfrutta

l’anticorpo monoclonale perché riduce la densità di questi recettori. È un farmaco che funziona in

maniera spettacolare nell’orticaria cronica, semplicemente perché eleva la soglia di degranulazione.

Riepilogo (con qualche aggiunta sull’orticaria vasculite)

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Poi questa è l’orticaria vasculite che rimane praticamente per più di 24 ore e porta a discolorazione

cutanea. Il colorito rosso-vinoso. Questa è la biopsia che fa vedere praticamente che si tratta di una

vasculite.

Ora, ritornando a fare la somma di tutto quello che abbiamo detto, la mastcellula è la cellula centrale

dell’orticaria perché con la degranulazione della mastcellula noi abbiamo la liberazione dell’istamina e

di tutto il resto e quindi questi mediatori sono responsabili della vasodilatazione e quindi della

formazione del pomfo. Ma ciò che determina la degranulazione della mastcellula può essere quanto di

più variabile. In sintesi la patogenesi è degranulazione delle mastcellule, l’eziologia può variare. E

quindi, noi qui avremo che le mastcellule possono degranulare perché c’è l’allergene che stimola i

recettori e quindi qui avremo l’orticaria IgE-mediata che abbiamo detto prima. Ma abbiamo anche

l’orticaria da stimoli fisici in cui non sappiamo quali siano i meccanismi che determinano la

degranulazione. Abbiamo le forme spontanee e non sappiamo come le forme spontanee determinino la

degranulazione e questi sono i meccanismi non immunologici, non IgE-mediati, ma è un altro

meccanismo immunologico mediato da IgG, quindi IgG anti-recettori o anti-IgE fissate ai recettori.

Poi nelle forme da immunocomplessi, cioè nell’orticaria vasculite, siccome il lupus è una malattia da

immunocomplessi e quindi da complessi antigene-anticorpo che fissano il complemento, quando si

fissa il complemento si formano le anafilotossine, cioè prodotti di degranulazione di alcune

componenti C3a C5a. Le mastcellule hanno i recettori per il C5a e quindi praticamente quando

abbiamo una malattia da immunocomplessi, come il Lupus, si ha il rilascio di C5a che può praticamente

legarsi a recettori per il C5a sulle mastcellule e si ha degranulazione, per questo, in corso di vasculite,

noi possiamo avere anche l’orticaria che si accompagna diciamo alla porpora. Solo che poi abbiamo

questa situazione che persiste nel tempo e porta ad escoriazione progressiva. Quindi patogenesi è

sempre degranulazione di mastcellule, l’eziologia dobbiamo ricavarla con l’anamnesi.

Domanda di una studentessa: professore in merito alla vasculite che abbiamo visto l’altra volta, visto

che la sintomatologia è la stessa…

Professore: Quale vasculite?

Studentessa: La Churg-Strauss (si legge ciarg strauss)

Professore: Allora la vasculite da churg strauss è una cosiddetta vasculite ANCA-associata, cioè con la

presenza di anticorpi anti-citoplasma dei neutrofili, cioè ci sono degli anticorpi che attaccano i

neutrofili e quindi il neutrofilo rilascia praticamente tutte le sue proteasi e dà il danno vascolare. Nel

Lupus, invece, il meccanismo è differente perché è da immunocomplessi, cioè ci sono i complessi,

anticorpi diretti contro il DNA a doppia elica. Questo complesso anticorpo anti-dna a doppia elica, fissa

il complemento e rilascia le anafilotossine C3a C5a. C5a stimola anche le mastcellule, però gli

immunocomplessi tendono a precipitare nei piccoli vasi: quando precipitano nel rene danno una

glomerulonefrite, quando precipitano nella cute danno la vasculite cutanea con la porpora. Nella

Churg strauss, invece, noi abbiamo praticamente una lesione dei neutrofili con la presenza degli anca.

Anche quella è una vasculite dei piccoli vasi, però la patogenesi è differente. L’aspetto esteriore è

simile, l’aspetto vasculite è simile in tutte le forme: piccole chiazzette rosse, dal diametro di una testa

di spillo, rosso-vinoso, generalmente presenti sulle gambe, perché la gravità facilita la deposizione

soprattutto nelle zone declivi, però il meccanismo patogenetico può variare. La lesione dei vasi nella

vasculite, anche associata, è dovuta al coinvolgimento dei neutrofili, mentre nel lupus è dovuto alla

formazione di immunocomplessi. Queste comunque ve le farà la professoressa Cuomo in maniera più

dettagliata.

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Romano – Lezione 4 (23-03-17) – Isolated Angioedema

Sbobinatore: Antonella Granata

Coordinatore: Linda Vanacore

ISOLATED ANGIOEDEMA

Allora ragazzi lasciammo in sospeso l’angioedema l’altra volta, dicemmo che esisteva anche una

situazione a parte che era praticamente l’angioedema isolato.

Vi ricordo che vi ho parlato dell’orticaria l’altra volta che è una condizione che si manifesta

essenzialmente con la formazione di ponfi (slide 16/55) che sono delle rilevatezze con una rima

periferica eritematosa, regione centrale più chiara, in genere anche rilevate, appunto, per la presenza

del liquido che stravasa dai vasi resi impermeabili dall’istamina.

Abbiamo visto anche che l’orticaria si può associare all’angioedema, cioè alla tumefazione dei tessuti

profondi della cute e in questa foto abbiamo un esempio di orticaria angioedema (slide 15/55):

orticaria sul corpo, angioedema periorbitario.

L’angioedema della sindrome da orticaria-angioedema si localizza soprattutto nelle regioni in cui il

tessuto connettivo è più lasso e quindi regione periorbitaria, labbra, lingua, a volte mani, regione

scrotale nell’uomo e così via. Quando l’angioedema è associato all’orticaria da un punto di vista della

gestione diagnostico-differenziale per quanto riguarda l’agente eccitante, è la stessa dell’orticaria.

Quindi angioedema con orticaria uguale orticaria.

La cosa differente è se invece voi avete l’ANGIOEDEMA ISOLATO (slide 40/55), cioè un angioedema

senza l’orticaria, perché in questo caso le condizioni possono essere differenti.

L’angioedema isolato, quindi senza l’orticaria, si può verificare essenzialmente in 3 condizioni

ereditarie e in circa 4 condizioni acquisite. Quindi quando andiamo ad esaminare un paziente con

angioedema isolato noi teniamo in considerazione queste 7 possibilità: 3 ereditarie da un punto di

vista patogenetico, e 4 praticamente acquisite.

Allora partiamo praticamente prima dall’angioedema ereditario: l’angioedema ereditario è

cosiddetto perché ha una trasmissione nota genetica e chiaramente è una condizione che ricorre nella

famiglia, per cui se ce l’ha un bambino, ce l’avrà anche uno dei genitori; è una condizione che compare

sin dall’età infantile, quindi diciamo che è facilmente riconoscibile da questo punto di vista, perché c’è

la familiarità e c’è il fatto che comincia praticamente già in età infantile. Sono praticamente gli stress, i

traumi, condizioni che turbano in un determinato momento la situazione di equilibrio dell’organismo,

che possono scatenare un attacco di angioedema.

Questi sono casi di angioedema ereditario (slide 41) che ovviamente, poiché ereditario, ce l’ho nel

bambino e continua anche nell’età adulta; e la caratteristica essenziale è che rispetto alla sindrome

orticaria-angioedema, è molto più pronunciata, quindi le manifestazioni che vediamo nell’angioedema

isolato, e soprattutto nella forma ereditaria, sono disfiguranti se comparati alla sindrome orticaria-

angioedema.

Vedete per esempio qui pazienti con labbro superiore che è edematoso (slide 41)

Classificazione dal punto di vista patogenetico (slide 42).

la condizione ereditaria più comune è dovuta a deficit di una proteina che si chiama C1 inibitore (C1-

INH), la quale inibisce l’attività della proteina C1 che è una proteina della cascata complementare;

quindi praticamente la proteina C1-INH interviene nel blocco dell’attivazione del complemento.

Perché dà l’angioedema in questi soggetti? Dà angioedema perché l’assenza di C1-INH comporta la

mancata soppressione di altre vie enzimatiche che portano all’accumulo di un mediatore che si chiama

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bradichinina. La bradichinina ha gli stessi effetti dell’istamina sui vasi, cioè praticamente determina

vasodilatazione e aumenta la permeabilità vascolare, ma non ha gli stessi effetti sulle fibre sensitive,

quindi non dà prurito.

Quindi l’angioedema ereditario isolato è caratterizzato da: (1) questa serie di episodi di angioedema

nelle regioni connettivali più lasse, per quanto riguarda la cute, che non sono associate a prurito, anzi

(2) il sintomo che i pazienti avvertono nel momento in cui sta per svilupparsi l’angioedema, è una

sensazione di punture, di stiramento dei tessuti profondi che è dovuto appunto ad un progressivo

accumulo di liquido nei tessuti profondi della cute; quindi non hanno prurito, ma questa sensazione di

stiramento e di punture a livello della cute. Altra caratteristica è che, chiaramente, (3) anche le mucose

sono spesso interessate nella forma ereditaria, per cui a parte la lingua, possiamo avere l’edema della

glottide, che è una condizione pericolosa per la vita, perché condiziona il restringimento del lume al

passaggio dell’aria e il paziente può avere soffocamento. Può dare (4) la congestione della mucosa del

tubo digerente, e allora se la mucosa del tubo digerente si congestiona, si chiude il lume e si crea una

condizione di ileo, cioè praticamente di blocco della progressione intestinale, tant’è che questi soggetti

hanno una sintomatologia addominale che ricalca quella dell’addome acuto. (se non viene detto al

chirurgo di pronto soccorso che soffre di angioedema ereditario, il chirurgo è capace di mandarlo sul

tavolo operatorio, che non è, chiaramente, l’opzione che si deve effettuare in questi casi.)

Quindi a parte l’aspetto disfigurante, l’angioedema ereditario comporta anche un possibile rischio per

la vita in caso in cui interessi le vie respiratorie o anche tutto il digerente con una condizione

particolarmente importante.

Esistono due condizioni di deficit di C1-INH:

1. una è dovuta al fatto che c’è una mutazione che impedisce la sintesi della proteina, e quindi è

cosiddetto angioedema ereditario di tipo I, per cui questi pazienti non hanno proprio la sintesi

del C1-INH;

2. Poi abbiamo la forma tipo II di angioedema ereditario, in cui la proteina C1-INH è sintetizzata,

ma non funziona, quindi c’è un difetto qualitativo.

Quindi: se andiamo a fare il dosaggio del C1-INH nel primo caso, lo troviamo praticamente basso o

indosabile, nel secondo caso è dosabile, però praticamente non funziona, bisogna fare un test

qualitativo.

L’assenza di C1-INH comporta il consumo di complemento; alcune componenti del complemento

possono essere dosate ordinariamente in clinica e sono essenzialmente le componenti C3 e C4 del

complemento (in alcune malattie, in alcune connettiviti, tipo il lupus, il C3 e il C4 hanno un importante

valore perché un loro deficit implica un consumo continuo e quindi l’attività di malattia)

Il C3 e il C4, se il C1-INH non funziona e quindi c’è consumo di complemento, saranno praticamente

bassi in questi soggetti, soprattutto C4, che identifica la via classica di attivazione del complemento.

Quindi se il dosaggio del C1-INH, soprattutto per quanto riguarda il deficit qualitativo, non lo fanno

tutti i laboratori, il C3 e il C4, invece, è dosabile in tutti i laboratori.

Può anche capitare che il C3 e il C4 al di fuori degli attacchi di angioedema ereditario siano normali, ma

quando praticamente il paziente ha l’attacco di angioedema ereditario, sicuramente C3 e C4 è basso

perché c’è il consumo di complemento. Anche perché non è che il paziente con angioedema ereditario,

ha un angioedema tutti i giorni, ha l’angioedema ereditario in quelle condizioni in cui si verifica un

evento “stressore” nella sua vita che comporta poi l’attivazione del complemento che non è più

controllato dalla C1-INH. Questi possono essere, oltre agli stress fisici, traumi, interventi chirurgici,

una malattia sistemica importante, e così via.

3. Esiste poi un altro tipo di deficit di C1-INH ereditario di tipo III in cui il C1 è praticamente

normale e forse è quello che si associa alla mutazione del fattore XII della coagulazione. Questa

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condizione non è praticamente determinabile in laboratorio perché non esiste un test di

laboratorio che vada a verificare la mutazione del fattore XII. È necessario fare l’analisi

genetica, che non è semplice. Si fa diagnosi di angioedema ereditario da tipo III quando la

malattia ricorre in famiglia, il paziente ce l’ha già da piccolo, e il C1-INH è praticamente

normale (in questo caso il C3 C4 non hanno significato), sia quello dosato, sia da un punto di

vista qualitativo. Quindi diciamo è un tipo di diagnosi che si fa sulla base di parametri di

esclusione.

E questa è la condizione cosiddetta ereditaria.

Quindi RICAPITOLANDO: possiamo avere un angioedema ereditario che compare sin dall’infanzia e

che è presente chiaramente in famiglia e che è dovuto, nelle forme classiche, al deficit di C1-inibitore:

tipo I, assenza di proteina; tipo II proteina presente ma non funzionante; in entrambi i casi si ha il

consumo di complemento che si può verificare sicuramente durante le fasi acute, durante l’attacco, e in

alcuni pazienti si può osservare un complemento ridotto anche nei periodi intercorrenti, cioè

intercritici. E poi esiste una forma con il C1-INH normale, in cui c’è la ricorrenza in famiglia degli

episodi, ma praticamente il C1-INH non sembra interessato e viene definito angioedema ereditario

tipo III; alcune fonti potrebbe essere dovute ad una mutazione del fattore XII della coagulazione.

Poi abbiamo le forme acquisite. Acquisite significa che non sono presenti sin dall’infanzia, possono

comparire successivamente in età adulta e non c’è, chiaramente, familiarità.

Esistono tre forme particolari in cui la più comune è quella senza una causa apparente, tant’è che si

dice che l’angioedema è idiopatico o spontaneo (come si usa nella terminologia dell’orticaria cronica) e

in questo caso la sua categorizzazione si fa sulla base della risposta ai farmaci, cioè:

➢ se il paziente con questi episodi di angioedema isolato, quindi sempre senza orticaria, risponde

agli antistaminici, allora si dice che è un angioedema spontaneo o idiopatico istaminergico,

diciamo in base alla prova empirica del trattamento con antistaminici, si dice che è un

angioedema in cui presumibilmente il mediatore è l’istamina, anche se questo paziente non ha

l’orticaria come succede nelle forme effettivamente mediate dall’istamina.

➢ Se noi invece noi diamo antistaminico a questo paziente e gli episodi di angioedema si ripetono

lo stesso, diciamo che è un angioedema spontaneo o idiopatico non istaminergico, in cui il

mediatore può essere un altro che non è stato ancora identificato. Vi ricordo che il mediatore

delle forme ereditarie è la bradichinina, poi vediamo di puntualizzare questa situazione.

➢ Altre forme acquisite quali sono? Sono quelle da alcuni farmaci antiipertensivi, cosiddetti ACE-

inibitori, cioè inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina. [Prof: Voi avete fatto

farmacologia? aula: no]

Allora: esiste una classe di farmaci antiipertensivi, che tra l’altro sono importantissimi anche nel post-

infarto, per evitare un rimodellamento del cuore, che appartengono ad una classe definita ACE-

inibitori, cioè sono farmaci che inibiscono l’enzima di conversione dell’angiotensina. Questi farmaci

hanno un importante ruolo in ambito cardiovascolare, non solo per l’ipertensione, come dicevo, ma

anche per il rimodellamento cardiaco, hanno anche un effetto di nefroprotezione, quindi sono farmaci

il cui profilo benefico è ben definito, però in una piccola percentuale di pazienti, gli ACE-inibitori, con

l’inibizione dell’enzima di conversione dell’angiotensina, comportano un aumento della bradichinina. E

quindi aumentando la bradichinina succede la stessa cosa che avviene con la forma ereditaria da

deficit di C1-INH: la bradichinina diventa il mediatore degli episodi di angioedema. Chiaramente è una

condizione che si diagnostica anamnesticamente se è un paziente già adulto, che ha iniziato una

terapia di ipertensione con ACE-INH e dopo pochi giorni o addirittura anche dopo qualche mese

(perché la risposta può essere anche lenta nel tempo), comincia ad avere episodi di angioedema

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isolato, allora il tentativo terapeutico è togliere l’ACE-INH e sostituirlo con altro farmaco

antiipertensivo: se gli episodi di angioedema non ricorrono più abbiamo la prova empirica, anche in

questo caso, che gli episodi di angioedema erano dovuti al trattamento con l’ACE-INH.

➢ Poi esiste, infine, un’ultima forma di angioedema isolato acquisito, che si verifica anche questo

in soggetti diciamo adulti, per lo più in soggetti al di sopra dei 40 anni, in cui c’è un deficit

acquisito di C1-INH, cioè: il C1-INH prodotto normalmente, funziona normalmente quindi non

è come l’angioedema ereditario, ma viene sequestrato e quindi viene impedita la sua funzione

da un anticorpo anti-C1-INH.

Questa condizione si verifica in concomitanza con una malattia linfoproliferativa, cioè per

esempio con un linfoma o con una malattia delle plasmacellule, il mieloma, che sono

praticamente delle malattie che inducono i cloni neoplastici a secernere anche degli anticorpi

anomali che possono reagire con dei costituenti normali dell’organismo. Quando abbiamo la

formazione di questo anticorpo che sequestra C1-INH noi avremo praticamente una

condizione di deficit acquisito del C1-INH, quindi un accumulo di bradichinina e la comparsa di

angioedema.

Chiaramente quando noi esaminiamo il paziente con angioedema isolato, dopo aver escluso le forme

ereditarie, ci troviamo davanti a queste possibilità di forma acquisita.

Per la forma da anticorpo, dobbiamo chiaramente visitare il paziente in maniera adeguata da verificare

se ha linfoadenopatie superficiali, se ha un ingrossamento della milza, del fegato, cioè praticamente dei

siti di proliferazione delle cellule del sistema immunitario; dobbiamo vedere se nel quadro proteico si

trova un’immunoglobulina monoclonale, perché anche questa è un’espressione di un clone singolo che

sta producendo un singolo tipo di anticorpo anomalo, e solo in questa maniera possiamo avere il

sospetto che si tratti di questo tipo di forma acquisita.

Ovviamente dobbiamo chiedere se prende anche gli antiipertensivi della classe degli ACE- inibitori.

Se non troviamo nessuna di queste possibili cause di angioedema acquisito, allora gli facciamo il

trattamento con l’antistaminico, per vedere se è una forma spontanea istaminergica o no. Se risponde

all’istamina, è una forma istaminergica, se non risponde è una forma non istaminergica.

Per le forme non istaminergiche si usa un altro tipo di farmaco, che è l’acido tranexamico, che blocca la

conversione del plasminogeno in plasmina, e interviene un po’ nella via anche della bradichinina; però

anche questo è empirico, perché non sappiamo precisamente cos’è che determini l’angioedema

idiopatico non istaminergico; empiricamente sappiamo che utilizzando l’acido tranexamico abbiamo

una riduzione o la scomparsa degli attacchi di angioedema.

Allora questa è la via che porta all’eccesso di bradichinina nella forma ereditaria (slide 43).

Normalmente, quando c’è l’attivazione del complemento, abbiamo il consumo di C1 che poi innesca

l’attivazione del complemento, ma abbiamo anche tutta un’altra serie di vie che portano alla

formazione della bradichinina. Se noi non abbiamo la C1-INH che blocca tutto questo processo, la

bradichinina si accumula, e quindi nella forma ereditaria noi avremo l’angioedema perché la

bradichinina è un agente che determina vasodilatazione, aumento della permeabilità vascolare, e

agisce sia sui sistemi superficiali che profondi della cute, per cui abbiamo queste manifestazioni

disfiguranti o addirittura un interessamento delle vie respiratorie e del tubo digerente.

Questi sono i criteri per la diagnosi dell’angioedema ereditario (slide 44):

per i criteri clinici: è necessario verificare la familiarità, e i singoli episodi durano dalle 24 alle 72 ore,

perché poi il processo si può bloccare anche spontaneamente. Il problema è che quando c’è

l’interessamento delle vie respiratorie del tubo digerente, è necessario agire tempestivamente con la

terapia.

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Che cosa si fa in questi casi? Si somministra nella forma ereditaria dei concentrati di C1-INH, e tra

l’altro siccome il paziente ha già una diagnosi perché è una condizione ereditaria, ce l’ha già a

disposizione, quindi va al pronto soccorso col suo concentrato e se lo fa infondere. Adesso c’è anche un

altro tipo di farmaco, che è un po’ un’evoluzione legato al riconoscimento e alla patogenesi, che è un

antagonista recettoriale della bradichinina, si chiama icatibant, si somministra per via sottocutanea e,

bloccando i recettori della bradichinina, impedisce alla bradichinina di determinare i suoi effetti sui

vasi.

Un’altra caratteristica clinica a parte la sensazione di stiramento dei tessuti, è quella per cui i pazienti

con angioedema ereditario possono avere spie iniziali di allarme, oltre questa sensazioni, anche la

comparsa di un eritema marginato (slide 45). Si chiama marginato perché l’eritema è più evidente alla

periferia delle chiazze. Possono comparire queste macchie, il paziente riconosce le macchie come il

segno che sta per avvenire un episodio di angioedema e quindi corre in pronto soccorso col suo

concentrato a farsi fare, praticamente, un’infusione.

Queste sono alcune immagini di angioedema periorbitario (slide 46-47), questa la stessa paziente con

pacco di angioedema ereditario e una volta risolto l’angioedema ereditario.

Ha un effetto disfigurante perché interessa i tessuti profondi in maniera molto più diffusa ed estesa

rispetto che alla sindrome orticaria-angioedema. Il mediatore differente: qua la bradichinina,

sindrome orticaria-angioedema è sempre l’istamina. Abbiamo poi solamente l’angioedema nelle

regioni dove il connettivo è più lasso.

L’angioedema ereditario è la condizione più diffusa e più estesa, quindi vedete: regione periorbitaria,

labbra, ma anche il volto, le guance, sono praticamente interessate.

(slide 48) Questa è l’evoluzione progressiva dell’angioedema ereditario: vedete che si tratta di una

paziente che è avanti con gli anni, perché essendo la condizione geneticamente determinata, inizia in

età infantile, ma il paziente si porta questa condizione per tutta la vita, quindi gli episodi possono

comparire poi successivamente sempre in concomitanza con qualche evento stressore, durante tutto il

corso della vita. Proprio per questo, poi, gli stessi pazienti sono in grado poi di riconoscere

precocemente i sintomi prodromici e via via con il tempo riuscire ad anticipare la comparsa delle

manifestazioni.

Vedete piano piano abbiamo l’interessamento del labbro superiore parzialmente, poi diffusamente, e

poi abbiamo praticamente quest’aspetto a bocca di tinca della paziente.

Angioedema dell’ugola (slide 49), in questo caso, però abbiamo detto possiamo avere anche

interessamento della laringe e quando c’è interessamento della laringe il paziente soffoca se non si

ripristina la pervietà delle vie respiratorie.

Questo è l’angioedema delle aritenoidi (50), vedete qua praticamente è chiuso il passaggio all’aria e poi

lì si ripristina, e questo è un esempio di angioedema da ACE-inibitori: lisinopril è un ACE-INH. Quindi

queste sono forme fortunatamente reversibili, perché se togliamo il farmaco che aumenta i livelli di

bradichinina, l’ACE-INH, e lo sostituiamo con un altro ipertensivo che non ha lo stesso meccanismo

d’azione, poi gli episodi di angioedema non si ripetono più. Quindi questa è una condizione pericolosa

per la vita.

Questa è un’altra da ACE-INH (slide 51): vedete la lingua che è talmente edematosa che impedisce

praticamente, il passaggio dell’aria attraverso la bocca.

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Voi ripeto che nel caso degli ACE-inibitori, l’angioedema può avvenire anche anni dopo che il paziente

è in trattamento con lo stesso farmaco, non è che dice: “vabbè ma io lo prendo da anni, non può essere

il farmaco”, invece la caratteristica dell’angioedema da ACE-inibitore, è che può comparire

precocemente in corso di una terapia con questi farmaci ma anche tardivamente. Le forme più comune

sono quelle che si verifica precocemente nel corso di un trattamento da ACE-inibitori, però ci sono

anche forme che si manifestano poi tardivamente, presumibilmente perché con il tempo si sono

sovrapposti altri fattori che contribuiscono ad un aumento della bradichinina.

Questa è la mano (slide 52a) è la forma più grave come espressione clinica. Normalmente

l’interessamento della mano non lo abbiamo nella sindrome orticaria-angioedema, lo possiamo avere

nell’angioedema da ACE-inibitori, ma più comunemente nella forma di angioedema ereditario, quindi:

tumefazione di tutta la mano e interessamento dell’intestino. Vedete questo è il piccolo intestino (slide

52b), progressivamente fino alla chiusura completa del lume intestinale; questa è una condizione che

può portare il paziente sul tavolo operatorio, se il paziente o i suoi familiari non dicono che il problema

è un angioedema ereditario, e si risolve con un’infusione di concentrato di C1-INH oppure con la

somministrazione dell’antagonista recettoriale della bradichinina: l’icatibant.

Ecco questo poi è una condizione particolare: questo era un paziente che aveva una stomìa e che

contestualmente ha avuto un episodio di angioedema ereditario. La stomìa è praticamente

l’abboccamento di un’ansa intestinale sulla parete addominale. A volte si fanno delle stomie transitorie

quando c’è una resezione intestinale, perché i margini non si possono subito, diciamo, anastomizzare

per paura della deiscenza dell’anastomosi, questo succede sempre in malattie infiammatorie croniche

intestinali in cui la mucosa è infiammata, allora si fa prima l’abboccamento, si aspetta che passi

l’infiammazione della parete e poi si anastomizzano di nuovo i monconi intestinali; se lo facessero

subito, poiché i monconi intestinali sono friabili, dovuti all’infiammazione, l’anastòmosi cederebbe, il

paziente può avere praticamente un addome acuto post-intervento con lo shock settico e tutto il resto

perché poi passa il contenuto fecale nell’addome e quindi si può avere anche questa complicazione.

Allora a volte si fanno queste stomie transitorie: questa è una stomia in un paziente con angioedema e

vedete che nel corso dell’attacco dell’angioedema si è avuta la congestione della mucosa che poi via via

si è risolta con il trattamento; questo per farvi vedere che cosa succede con la mucosa che diventa

progressivamente congestionata.

Ora ritorniamo un attimo sui mediatori (slide 55) così ripuntualizziamo questo concetto: allora se noi

vediamo un angioedema, questo deve essere sempre la flow-chat diagnostica differenziale da avere in

mente se vediamo un angioedema dovremmo capire se è con l’orticaria o senza orticaria. Se è con

l’orticaria noi facciamo praticamente tutto il discorso diagnostico differenziale che abbiamo fatto per

l’orticaria: cioè l’orticaria da alimenti, da punture di imenòtteri, l’orticaria fisica, le orticarie da virus,

orticarie vasculite, ecc. Se non c’è l’orticaria bisogna praticamente vedere se è un istaminergico o non

istaminergico. Se è un istaminergico noi lasciamo il paziente con l’antistaminico, non sappiamo la

causa che l’ha determinato, ma sappiamo che risponde all’antistamina. Se non risponde

all’antistaminico, allora, verosimilmente il mediatore è la brachinina. Allora noi abbiamo quel deficit di

C1-INH che però è congenito lo identifichiamo in base all’anamnesi familiare, anzi ce lo dice proprio il

paziente; può essere legato agli ACE-inibitore e ce lo dice sempre il paziente facendo un’accurata

anamnesi; se non troviamo niente allora praticamente può essere un idiopatico non istaminergico e

allora partiamo con l’acido tranexamico.

L’acido tranexamico nelle forme non istaminergiche (slide 43) lo diamo perché praticamente blocca

questo passaggio qua, da plasminogeno a plasmina, oltre che ad agire anche a monte, quindi è un

farmaco che comunque in qualche maniera abbassa la bradichinina. Quindi noi diciamo che in maniera

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empirica lo usiamo per le forme non istaminergiche e anche se non sappiamo se sia la bradichinina o

meno a dare queste forme, però il farmaco comunque funziona, quindi diciamo che è empirico, però il

farmaco funziona.

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Romano – Lezione 5 (17-03-17) – Immunodeficienze primitive (PIDs) I

Sbobinatore: Rosa Franzese

Coordinatore: Paolino Sommese

Le immunodeficienze primitive sono delle condizioni in cui vi è un'alterazione del sistema

immunitario per cui la risposta immunitaria è deficitaria:

- Nel braccio umorale, quindi anticorpale;

- Nel braccio cellulo-mediato;

- In entrambi i bracci del SI.

Sono chiamate immunodeficienze primitive perché sono geneticamente determinate, quindi congenite

e sono pertanto presenti sin dalla nascita.

Adesso parleremo delle immunodeficienze umorali, cioè quelle caratterizzate dal deficit umorale.

RIEPILOGO DELLE IMMUNOGLOBULINE

Le immunoglobuline circolanti sono di 5 isotipi:

IgG, IgA e IgM, che sono le prevalenti;

IgD che sono scarsissime e le

IgE che sono basse nei soggetti NON atopici e variabili (da alte a molto alte) nei soggetti atopici. In ogni

caso anche nei soggetti atopici non sono in quantità tali da equiparare il numero degli isotipi

principali, cioè IgG, IgA e IgM.

Questo è un tracciato elettroforetico delle proteine:

Questo tracciato corrisponde a quello NORMALE. Sono presenti vari picchi: Il primo che incontriamo è quello dell'ALBUMINA, che è la principale proteina circolante, responsabile del mantenimento della Pressione Colloido-Osmotica; poi abbiamo le Α 1-GLOBULINE, che comprendono tra le varie proteine l’α 1- anti-tripsina; le proteine Α 2-GLOBULINE, che sono le proteine della fase acuta = quindi tutti i soggetti che hanno una flogosi acuta al quadro elettroforetico mostreranno un incremento di queste proteine;

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nelle BETA- GLOBULINE migrano essenzialmente le proteine che veicolano i lipidi, per cui i dislipidemici hanno spesso le b-globuline aumentate; ed infine le γ-GLOBULINE, che corrispondono al picco delle immunoglobuline. Il picco degli anticorpi è una cuspide a base larga perché le Ig sono policlonali, cioè ogni anticorpo ha una specificità differente nei confronti di un determinante antigene. Quindi tutti gli anticorpi sono diversi gli uni dagli altri e nel tracciato elettroforetico danno una cuspide ad ampia base. 2)

In questo quadro si è verificato un incremento delle α2-globuline e delle γ-globuline, cioè è il tipico quadro che si riscontra nelle FLOGOSI ACUTE. Quindi i picchi sono un po' più alti e se andiamo a vedere le concentrazioni, le γ sono aumentate, tanto è vero che il valore normale è compreso tra 0,6 e 1,5 g/dl, mentre in questo caso sono pari a 2,17g/dl. In questo caso parliamo di IPERGAMMAGLOBULINEMIA POLICLONALE perché la base della cuspide è ampia. 3)

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In questo caso abbiamo sempre un incremento delle immunoglobuline (le γ sono aumentate a 3,98 g /dl) però la cuspide è a base stretta. Questo significa che in quel picco c'è una grossa quantità di Ig che hanno la stessa struttura e specificità. Si tratta di una IPERGAMMAGLOBULINEMIA MONOCLONALE con aspetto caratteristico del tracciato a CORNA, A DUPLICE GUGLIA, perché sono presenti 2 picchi, quello dell'albumina e quello delle γ-globuline. Questa situazione è tipica del MIELOMA MULTIPLO, che è una patologia neoplastica delle plasmacellule per cui si forma un clone di cellule tumorali che secernono tutte sempre la stessa Ig. 4)

Questo è un caso di una SINDROME NEFROSICA, in cui i glomeruli perdono la loro tipica impermeabilità alle proteine di grosso peso molecolare che di conseguenza vengono perse con le urine. Si perdono essenzialmente le Ig, tutta un'altra serie di proteine tranne quelle molto grosse come l'α-2-macroglobulina che comunque non riesce ad attraversare i pori e quindi diventa dominante nel plasma e quindi nel quadro elettroforetico. 5)

In questo quadro proteico manca la cuspide γ , si definisce un quadro di AGAMMAGLOBULINEMIA.

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Solitamente i pazienti che hanno deficit anticorpali arrivano tardi alla diagnosi nonostante il quadro proteico (l’elettroforesi delle sieroproteine) sia un esame di 1 livello, di routine. Questo si verifica perché nella concezione generale si tende a dare molta più importanza ai primi 3 quadri patologici piuttosto che al deficit anticorpale. Solitamente il medico di medicina generale che vede quest'ultimo quadro sostiene che non sia un grosso problema ("non è niente di che") visto che nella sua ottica le patologie gravi sono quelle che prevedono un aumento delle Ig. In realtà è grave anche l'assenza assoluta o la riduzione significativa di immunoglobuline perché questo predispone il pz a infezioni ricorrenti che, se determinate da germi particolarmente virulenti, possono determinare la morte per infezione fulminante e sepsi. 6) Esiste anche la condizione di IPOGAMMAGLOBULINEMIA, in cui la cuspide permane ma è molto ridotta. IMMUNODEFICIENZA COMUNE VARIABILE (CVID) "Diffidate dagli appunti in cui c'è scritto immunodeficienza ORMONALE variabile perché negli anni scorsi qualcuno ha trascritto gli appunti in questa maniera e i ragazzi che vengono all'esame parlando di questa immunodeficienza ormonale variabile vengono bocciati". Si tratta di un'immunodeficienza congenita, quindi geneticamente determinata. Si definisce VARIABILE perché le manifestazioni cliniche sono variabili e COMUNE perché è la più comune tra le immunodeficienze anticorpali. NB: le immunodeficienze anticorpali sono malattie rare. La CVID presenta alcune caratteristiche peculiari che consentono di differenziarla dagli altri immunodeficit. [DEFICIT SELETTIVO DELLE IgA] In realtà, l’immunodeficienza Umorale più comune è il DEFICIT SELETTIVO DELLE IgA che può essere ASINTOMATICO e DECORRERE IN MANIERA MISCONOSCIUTA anche agli esami di laboratorio. Questo si verifica perché nel picco delle γ-globuline l'isotipo predominante sono le IgG e in caso di deficit di IgA il picco non subisce grosse variazioni; infatti le patologie che prevedono un abbassamento o addirittura l'assenza del picco γ sono quelle in cui abbiamo un deficit delle IgG. Quindi, ricapitolando, se il pz ha deficit selettivo di IgA guardando un quadro proteico non lo riconosciamo perché il contributo che le IgA danno al picco è molto scarso, inferiore alle IgG. Il picco non viene alterato nella sua morfologia. Domanda: IN caso di defict selettivo di IgA il picco si restringe? Risposta: Assolutamente NO, si restringe solo nei casi in cui c'è un accumulo di anticorpi monoclonali; infatti è la variabilità delle immunoglobuline a dare la base larga. Il defict selettivo delle IgA è l'immunodeficienza primitiva più comune; può essere misconosciuto e può rappresentare l’ANTICAMERA DELL'IMMUNODEFICIENZA VARIABILE COMUNE. Quindi possiamo avere un deficit selettivo di IgA come tale e che rimane tale per tutta la vita (e un tipo che precede l'immunodeficienza variabile comune). Può essere misconosciuto o diagnosticato qualora si associ a una certa sintomatologia. Quale tipo di sintomatologia possono dare? Le IgA sono gli anticorpi che riscontriamo a livello delle mucose, QUINDI SE IL PZ PRESENTA EPISODI RICORRENTI di infezioni che interessano il distretto mucosale come le prime vie aeree, le basse

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vie aeree, il tubo digerente, può venire il dubbio al medico che il pz possa essere suscettibile alle infezioni perché presenta un qualche tipo di immunodeficit. In questo caso è necessario FARE DIAGNOSI ATTRAVERSO GLI ISOTIPI (perché con il quadro proteico non lo vediamo) e noteremo che le IgG, IgM, IgD, IgE sono normali mentre le IgA sono basse. E allora facciamo diagnosi di deficit selettivo di IgA. Poi, come vedremo, ci sono anche altri tipi di criteri che ci consentono di fare diagnosi ma li vediamo dopo. Altra cosa importante è che la malattia celiaca si accompagna molto spesso al deficit selettivo di IgA e per fare diagnosi umorale di celiachia si ricercano anticorpi anti-transglutaminasi, anti-gliadina IgA e IgG. Se tuttavia il pz presenta deficit selettivo di IgA e noi facciamo gli anticorpi IgA anti-transglutaminasi, anti-gliadina possono risultare FALSAMENTE NEGATIVI. QUINDI IN CASO DI SOSPETTA CELICHIA ASSOCIATA A DEFICT SELETTIVO DELLE IgA BISOGNA RICHIEDERE NON SOLO GLI ANTICORPI SPECIFICI MA ANCHE IL DOSAGGIO DELLE IgA TOTALI perché solo nel caso in cui queste siano normali è possibile considerare i risultati affidabili. [IMMUNODEFICIENZA COMUNE VARIABILE- CONTINUO] EPIDEMIOLOGIA La caratteristica clinica dell'IMMUNODEFICIENZA COMUNE VARIABILE è che ha 2 picchi principali di incidenza: -intorno ai 5anni -l'altro tra i 16-20 anni. TUTTE LE ALTRE IMMUNODEFICIENZE UMORALI INVECE COMPAIONO ENTRO I 6/9 MESI DALLA NASCITA perché le Ig materne, che passano la placenta durante la vita intrauterina nell'arco di 6-9 mesi vengono catabolizzate e quindi scompaiono. Se il bambino NON le produce è scoperto dal punto di vista umorale e comincerà a presentare delle infezioni ricorrenti. LA CVID è L'UNICA CHE PUO’ MANIFESTARSI DURANTE L'INFANZIA O DURANTE L'ETA ADOLESCENZIALE O ADDIRITTURA NEI GIOVANI ADULTI, INTORNO AI 30-40 ANNI. SINTOMATOLOGIA La CVID si definisce variabile perché il quadro clinico classico, costituito da IPOGAMMAGLOBULINEMIA CHE INTERESSA TUTTI GLI ISOTIPI (IgA, IgG, IgM...) E INFEZIONI ASSOCIATE, può essere complicato o meno da altre manifestazioni come: -AUTOIMMUNITÀ: spettro opposto paradossalmente della condizione, perché probabilmente i bracci del SI (umorale e cellulo-mediato) sono in mutua regolazione e se manca un braccio del sistema l'altro può andare fuori controllo; si manifestano essenzialmente sotto forma di ANEMIA EMOLITICA AUTOIMMUNE, PIASTRINOPENIA AUTOIMMUNE, quindi in genere l'interessamento è a carico delle cellule ematiche; -INFEZIONI POLMONARI CRONICHE che dipendono fondamentalmente dalla formazione di BRONCHIECTASIE. Questo succede quando la malattia non viene riconosciuta precocemente perché i pz hanno episodi ripetuti di BRONCHITE; l’infiammazione ripetuta dei bronchi porta alla DISTRUZIONE PROGRESSIVA DEL CONNETTIVO BRONCHIALE; la perdita di elasticità conseguente comporta la dilatazione del bronco che quindi diventa ECTASICO.

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Questa dilatazione favorisce il ristagno di muco che costituisce un pabulum per i batteri, per la loro crescita; si crea quindi un circolo vizioso in cui il pz con bronchiectasia continua a presentare infezioni perché il ristagno di muco a livello delle dilatazioni crea il microambiente adatto per la crescita batterica. -MALATTIE INFIAMMATORIE CRONICHE INTESTINALI, condizioni simili al morbo di Crohn e alla rettocolite ulcerosa dal punto di vista istologico e che hanno lo stesso decorso e le stesse manifestazioni cliniche cioè la DIARREA CRONICA accompagnata a MAL DI PANCIA con l’EMISSIONE DI MUCO E SANGUE NELLE FECI. -MALATTIA GRANULOMATOSA SISTEMICA, che si evidenzia soprattutto a livello dei linfonodi. Questi soggetti possono avere una LINFADENOPATIA GENERALIZZATA che può simulare un linfoma però se si fa un esame istologico si trovano dei granulomi come reperto istologico tipico. Il granuloma è espressione di un'infiammazione cronica, che va avanti nel tempo, senza freno e questa è sempre una conseguenza della perdita di regolazione del SI. -IPERPLASIA LINFOIDE, più o meno la stessa manifestazione della malattia granulomatosa, dovuta ad un’iperattività del SI. -NEOPLASIE MALIGNE, come i LINFOMI perché un SI cronicamente attivato accumula mutazioni nelle cellule che si replicano continuamente e una di queste mutazioni fa deragliare le cellule e produce un linfoma. A livello dei tumori solidi il tipo di tumore più comune è il CARCINOMA GASTRICO, a prognosi infausta perché molto spesso riconosciuto tardivamente; quindi anche questo limita l'aspettativa di vita dei pz. Quindi possiamo avere un quadro classico rappresentato dall' IPOGAMMAGLOBULINEMIA e la TENDENZA A presentare INFEZIONI RIPETUTE (come OTITI, MASTOIDITI, BRONCHITI, BRONCOPOLMONITI E POLMONITI, EPISODI DI DIARREA CRONICA) fino a un quadro molto composito in cui una o più di queste manifestazioni si sovrappongono al quadro clinico e per questo l'abbiamo definita immunodeficienza VARIABILE comune. I germi che danno maggiormente infezione in caso di immunodeficit umorale sono I BATTERI CAPSULATI, STREPTOCOCCHI, STAFILOCOCCHI, EMOFILI. Dal momento che il braccio cellulo-mediato in questi pz è ben conservato le infezioni virali ripetute NON sono una caratteristica di questa patologia perché nell'eradicazione di un'infezione virale intervengono prevalentemente i linfociti citotossici. A livello intestinale c'è una parassitosi molto frequente che è quella da GIARDIA LAMBLIA; quindi in caso di infezione da giardia CHE DETERMINA A LIVELLO CLINICO DIARREA CRONICA bisogna sospettare un'immunodeficienza comune variabile. PATOGENESI L'immunodeficienza comune variabile è una patologia congenita. Purtroppo non conosciamo ancora il gene o il gruppo di geni che determinano la malattia fenotipicamente evidente. Per alcune famiglie sono stati individuati delle alterazioni ma purtroppo si tratta solo di clusters molto localizzati che non spiegano tutti i casi di CVID. E' stato visto che si tratta di molecole coinvolte con la regolazione del SI o la costimolazione però sono situazioni limitate a dei cluters familiari. Nella maggior parte dei pz non conosciamo il difetto genetico.

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Common variable immunodeficiency(CVID)

• The genetic cause of CVID is most commonly unknown and most frequently the result of a sporadic emergence in individual patients.

• However, the identification of CVID familial cohorts and the progression of some IgA-deficient patients to CVID indicate a strong contribution of genetics.

• Polymorphisms in the costimulatory molecules CD18, CD19, CD20, CD21, inducible costimulator (ICOS), transmembrane activator and calcium-modulating and cyclophilin ligand interactor(TACI), and B cell–activating factor of the TNF family (BAFF) have all been linked to CVID.

In questa patologia NON abbiamo anticorpi circolanti ma NON perché non ci sono plasmacellule o linfociti B precursori ma il DIFETTO è essenzialmente FUNZIONALE, cioè la cellula B esiste ma non è in grado di produrre gli anticorpi. DIAGNOSI Qual è il limite che si utilizza per la diagnosi di CVID?

Age IgA (mg/dl) IgG (mg/dl) IgM (mg/dl)

Umbilical cord blood 0 - 5 760 - 1700 4 - 24

Newborn 0 - 0,2 700 - 1480 5 - 30

2-6 months 3 - 82 300 - 1000 15 - 109

6 months – 2 years 14 - 108 500 - 1200 43 - 239

2-6 years 23 - 190 500 - 1300 50 - 199

6-12 years 29 - 270 700 - 1650 50 - 200

12-16 years 81 - 232 700 - 1550 45 - 240

Adulthood 76 - 390 600 - 1600 40 - 345

Normal serum immunoglobulin values

Le IgG nell'adulto sono comprese tra 600 -1600 mg/dl; facciamo diagnosi di CVID quando le IgG scendono al di sotto dei 300 mg/dl e le IgA al di sotto di 5mg/dl perché nella CVID noi abbiamo deficit di IgG, IgA e IgM, quindi di tutte le classi isotipiche. Chiaramente dobbiamo anche considerare che esistono delle forme secondarie di IPOGAMMAGLOBULINEMIA, quindi prima di fare diagnosi di CVID dobbiamo escludere che il pz stia prendendo qualche farmaco immunosoppressore che ovviamente frenano il SI (es: la ciclosporina) oppure ci sono farmaci come alcuni anti-epilettici e alcuni anti-reumatici che come effetto collaterale determinano la mancata produzione delle immunoglobuline.

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Quindi prima di diagnosticare la CVID, POICHE' NON ABBIAMO UN TEST GENETICO PER CONFERMARLO, DOBBIAMO ESCLUDERE che il pz stia prendendo farmaci che possano ridurre la sintesi di Ig. Quando andiamo a fare il quadro proteico troviamo la CUSPIDE RIDOTTA MA NON ANNULLATA perché si tratta in genere di una IPOgammaglobulinemia. Se facciamo un EMOCROMO avremo un numero totale di bianchi e la suddivisione in granulociti neutrofili, eosinofili, basofili, linfociti e monociti. SE ANDIAMO A VEDERE IL NUMERO TOTALE DEI LINFOCITI E' NORMALE! Perché? Perché abbiamo un deficit FUNZIONALE dei linfociti B. Se anche avessimo un'assenza dei linfociti B nell'emocromo NON LO VEDREMMO PERCHE’ i LINFOCITI T COSTITUISCONO IL 65-75% di tutti i linfociti; i LINFOCITI B COSTITUISCONO IL 10% IN MEDIA E I NATURAL KILLER IL 10%. Quindi se perdo i linfociti B, perdo solo il 10% dei linfociti totali e quindi il numero globale non varia molto. Ma non è il caso di questa condizione perché il numero di linfociti B è normale. Come faccio a sapere se il pz ha perso una delle sottopopolazioni di linfociti? Dobbiamo eseguire il LINFOCITOGRAMMA, che si fa con la citometria a flusso. La citometria a flusso è una tecnica per la quale i linfociti sono riconosciuti perché vengono legati con un anticorpo diretto verso un loro determinante antigenico di superficie coniugato ad un fluorocromo che può essere rosso, verde, viola, si possono utilizzare diversi colori; per esempio: i linfociti T hanno come marcatore di superficie il CD3; i linfociti B hanno come marcatore di superficie CD19 E CD20; i NK CD16 E CD56. Quindi ad esempio utilizziamo il marcatore per CD3 coniugato al fluorocromo verde, quello rosso per CD19 e quello viola per CD16 e CD56. In base a quanti anticorpi si legano alla cellula si può fare il calcolo di quanti linfociti ci sono e ci può dire precisamente la percentuale dei CD3, dei CD19, CD20, CD16 e CD56 nell’ ambito delle popolazioni linfocitaria. Quindi per conoscere le varie sottopopolazioni dobbiamo fare la citometria a flusso. SINDROME DA IPER-IgM E' un'immunodeficienza congenita legata al sesso, cioè X-linked. Significa che si manifesta principalmente nei bambini di sesso maschile perché le femmine, seppur ereditano la malattia, hanno un altro cromosoma X che presenta il gene sano e che quindi vicaria la funzione del gene mutato. Qui il difetto genetico è conosciuto:

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Hyper-IgM syndrome (X-linked)

La mutazione riguarda questa coppia di molecole: CD40 -CD40Ligando. RICHIAMO DI IMMUNOLOGIA Perché si definisce "sindrome da iper-IgM"? Il linfocita T in condizioni normali (resting, di quiescenza) presenta CD4, altri marcatori ma NON presenta il CD40L. CD40L è una proteina che viene prodotta dal linfocita T quando viene attivato, cioè quando è in corso una risposta immunitaria. Questa molecola lega il proprio recettore, CD40, prodotto costituzionalmente dal linfocita B: cioè tutti i linfociti B hanno CD40 sulla superfice che aspetta il segnale dal linfocita T. Si tratta di una INTERAZIONE DI CO-STIMOLAZIONE CHE INDUCE NEI LINFOCITI B LO SWITCH ISOTIPICO, cioè fa sì che la risposta primaria da IgM diventi IgG, IgA, IgE e in maniera trascurabile IgD. E' un segnale che il linfocita T invia al linfocita B per fargli produrre le Ig a più alta affinità per l’antigene. Questo perché la risposta primaria dei linfociti B prevede la produzione di IgM che sono anticorpi che presentano una bassa affinità per l'antigene; affinché abbia più affinità per l'antigene l'IgM deve switchare verso un altro isotipo che modifica anche in maniera più specifica il sito per l'antigene. Questo è il segnale specifico per lo switch, poi esistono le citochine che informano la cellula su quale istotipo sarebbe meglio produrre. Se il bambino ha una mutazione del CD40L questa interazione NON può avvenire, quindi i linfociti B producono IgM e poi si fermano lì perché non hanno il segnale per switchare isotipo. Quindi si chiama sindrome da Iper- IgM non perché ci sia un eccesso di IgM ma perché le IgM sono l'unico isotipo che viene prodotto. EPIDEMIOLOGIA Questa immunodeficienza è presente sin dalla nascita e quindi dopo 6/9 mesi dalla nascita, quando le Ig materne scompaiono, il bambino inizia a presentare infezioni ricorrenti da BATTERI CAPSULATI (sono coinvolti sempre i batteri perché si tratta sempre di un deficit UMORALE) oppure potrebbe presentare diarrea cronica causata da Giardia. La mutazione è a carico di CD40L, tanto è vero che se in vitro stimoliamo i linfociti B di questi pazienti con il CD40L sintetico mi fanno lo switch isotipico.

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AGAMMAGLOBULINEMIA DI BRUTON Si chiama così perché è una condizione che non dà la produzione evidente di Ig. Quindi il quadro proteico è:

Non abbiamo il picco delle γ-globuline ma è completamente piatto. EPIDEMIOLOGIA Questa sindrome si manifesta alla nascita, dopo 6/9mesi, quando le Ig materne vengono catabolizzate e scompaiono. PATOGENESI Anche in questo caso il deficit congenito è noto: si tratta di una mutazione genetica che interessa una tirosin-chinasi di Bruton, in onore del pediatra che per primo descrisse questa mutazione. Questa protein-chinasi interviene nei processi di trasduzione del segnale ed è fondamentale già allo stadio PRO-B per far avanzare la cellula lungo tutto il processo maturativo. QUINDI IN ASSENZA DI BTK (tirosin-chinasi di Bruton) LA CELLULA NON PASSA DA PRO-B A PRE-B E DA QUI A CELLULA B MATURA. DI CONSEGUENZA NON SI FORMANO CELLULE B MATURE E OVVIAMENTE NEMMENO PLASMACELLULE. SICCOME LE PLASMACELLULE PRDUCONO ANTICORPI IN QUESTA SINDROME NON AVREMO LA PRODUZIONE DI Ig.

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BTK involved along the whole

differentiation pathway

X-linked agammaglobulinemia (Bruton’s syndrome)

Poiché NON si sviluppano i linfociti B quando facciamo la CITOMETRIA A FLUSSO troveremo: valori normali in termini % dei linfociti T (65-75%) valori normali in termini % dei linfociti NK (10%) 0% DEI LINFOCITI B. Se facciamo un EMOCROMO avremo un NUMERO TOTALE DEI LINFOCITI NORMALE perché i linfociti B sono solo il 10% della popolazione linfocitaria. Esempio: I linfociti circolanti oscillano tra 2000-4000unità/mm3. Supponiamo che il pz abbia 3000/mm3; il 10% di 3000 è 300, quindi se ne togliamo 300 avremo 2700 che rientra nella norma. Solo nel caso in cui ho un'alterazione dei linfociti T registro delle alterazioni all'emocromo (LINFOPENIA). Quindi come esame di 1 livello l'emocromo non mi serve, devo fare la citometria a flusso. RIEPILOGO Nell'immunodeficienza comune variabile il numero di linfociti all'emocromo è normale, se faccio la citometria a flusso le varie sottopopolazioni sono normali. Nell'agammaglobulinemia di Bruton il numero dei linfociti all'emocromo è normale, se faccio la citometria a flusso ho 0% dei linfociti B. Nella sindrome da iper-IgM il numero di linfociti all'emocromo è normale, se faccio la citometria a flusso pure è normale perché ho un deficit funzionale. Per la diagnosi di immunodeficienze umorali prendiamo in considerazione: 1)criterio di comparsa delle manifestazioni cliniche: se compaiono poco dopo la nascita dobbiamo considerare la sindrome di Bruton, quella da iper-IgM, anche l'immunodeficienza variabile comune potrebbe essere ma dobbiamo poi analizzare gli altri criteri perché il picco di incidenza si evidenzia in età pediatrica o in età adolescenziale. Se compare in età adolescenziale o adulta allora può essere solo immunodeficienza variabile comune. 2)Quadro proteico, esame di 1 livello si associa a IPOgammaglobulinemia nell' immunodeficienza variabile comune (bassi livelli di IgG, IgA, IgM)

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NORMOglobulinemia nel deficit selettivo delle IgA, perché sono una piccola costituente del picco; RIDOTTO nella sindrome da iper-IgM ASSENTE nella agammaglobulinemia di Bruton. 3)Emocromo: esame di 1 livello Il numero totale di linfociti è NORMALE in tutte le forme. 4)citometria a flusso: NORMALE in tutte le forme, tranne nella BRUTON dove mancano i linfociti B. Mettendo insieme tutti i tasselli si arriva alla diagnosi. L'esame definitivo è l'esame mutazionale genetica che si può fare solo per la Bruton e per la sindrome da Iper-IgM. Per l'immunodeficienza variabile comune e per il deficit selettivo di IgA la diagnosi è clinico-laboratoristica e di esclusione perché non conosciamo ancora la mutazione alla base. Domanda: nella sindrome da Iper-IgM come è la citometria a flusso? Risposta: È normale ma la domanda è pertinente perché se non abbiamo la possibilità di fare l'analisi mutazionale (ci vogliono 4/6mesi di tempo per avere i risultati) nella sindrome da iper-IgM possiamo avere la possibilità di fare un test funzionale in citometria a flusso: come identifichiamo il CD3, CD19, CD20... con gli anticorpi marcati con il fluorocromo possiamo identificare anche il CD40L. Utilizziamo quindi un anticorpo marcato con un fluorocromo con un colore diverso, tipo il blu. Il CD40L è espresso solo dai linfociti T attivati. Quindi se prendo il sangue periferico del pz e lo marco il CD40L, avrò un test negativo perché non è espresso dai linfociti T in quanto sono quiescenti. Per verificarne la presenza devo stimolare i linfociti T; ci sono degli attivatori policlonali che si utilizzano in vitro, si aggiungono alla popolazione linfocitaria e dopo 4 ore tutti i linfociti sono attivati. Quindi il test di stimolazione prevede di prendere il sangue dal pz, isolare i linfociti, metterli in coltura, stimolarli con l'attivatore policlonale per quattro ore. Si fanno 2 verifiche con la citometria a flusso, una al tempo 0, prima della stimolazione, e l'altra dopo 4ore, dopo la stimolazione: nel soggetto normale alla prima verifica CD40L manca (perché i linfociti non sono attivi), mentre alla seconda verifica (dopo che i linfociti sono stati attivati) esso è espresso. Nel soggetto con la sindrome da Iper- IgM permane la negatività anche dopo aver utilizzato l'attivatore policlonale. Ovviamente bisogna utilizzare il sangue di un soggetto normale come controllo, onde minimizzare gli errori. Potremmo anche fare un errore di laboratorio come ad esempio utilizzare un attivatore policlonale NON funzionante, scaduto, denaturato e quindi avere un FALSO POSITIVO. Quindi se in parallelo (stesse condizioni sia per il pz che per il controllo sano) il soggetto normale risponde normalmente ma il soggetto preso in analisi NO, allora confermiamo la diagnosi di sindrome da Iper-IgM.

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Romano – Lezione 6 (04-04-17) – Immunodeficienze (S.C.I.D.) e Dermatite Allergica

Sbobinatore: Alberto Troisi

Coordinatore: Antimo Nunziante

IMMUNODEFICIENZE

Allora continuiamo il discorso sulle immunodeficienze (S.C.I.D.), adesso affrontiamo una classe un

po' più composita ed eterogenea che hanno comunque delle caratteristiche comuni: le

immunodeficienze combinate severe.

Si chiamano combinate perché sono immunodeficienze sia cellulo-mediate che umorali. Quelle che

abbiamo visto l'altra volta sono essenzialmente umorali, cioè hanno come deficit principale quello

anticorpale.

In queste immunodeficienze combinate abbiamo alterazioni di entrambi i bracci del sistema

immunitario, quello umorale e quello cellulo-mediato e sono severe perché portano a morte il

bambino se non vengono riconosciute precocemente.

Sono delle emergenze pediatriche che vanno riconosciute subito dopo la nascita perché l'unica

possibilità di sopravvivenza di questi bambini è il trapianto di midollo fatta eccezione per qualche

condizione in cui si può fare la terapia genica o almeno per la quale la terapia genica è stata

sperimentata dando dei risultati importanti. Però la maggior parte di queste immunodeficienze

richiedono il trapianto di midollo quindi vanno riconosciute rapidamente alla nascita.

Vi ho detto che sono un gruppo eterogeneo perché i deficit genetici che si conosco per la stragrande

maggioranza di queste forme combinate severe sono variabili, colpendo una o più linee linfocitarie

dando un quadro abbastanza composito.

Il termine dell'abbreviazione inglese la pronunciano SCHID quindi noi diciamo SCID, usando lo stesso

termine ma lo pronunciamo “male”, la pronuncia giusta è SCHID, come potete sentire a Telethon dove

spesso portano i bambini con le immunodeficienze combinate severe però trattati con la terapia

genica, vi dirò successivamente in cosa consiste questa terapia, per dire che se si finanzia il Telethon

c'è la possibilità di risolvere geneticamente altre condizioni più terminali.

Partiamo dal presupposto che la popolazione linfocitaria è costituita da tre linee principali: i linfociti T,

B e NK poi ci sono anche delle situazioni di (5:18) con altre piccole variazioni ma comunque le tre

popolazioni principali classiche sono queste qua.

Nelle SCID il denominatore comune anche se vi ho detto che sono essenzialmente eterogenee è la

mancanza di linfociti T.

Facciamo un passo indietro su quello che abbiamo detto delle immunodeficienze umorali e cioè se noi

facciamo un esame di prima istanza, un emocromo, nelle immunodeficienze umorali non abbiamo

indizi, perché il 65-75% della popolazione linfocitaria totale è costituita dai linfociti T, 10-15% dai

linfociti B, 10-15% sono linfociti NK.

Allora se io non ho i B perdo un 10-15% della popolazione totale quindi il numero globale si abbassa di

poco; nelle immunodeficienze umorali abbiamo a volte sia T che B che NK integri da un punto di vista

numerico ma non funzionano, cioè non sono in grado di produrre immunoglobuline per esempio e

quindi anche in questo caso se guardiamo l'emocromo il numero totale di linfociti è normale.

Nelle SCID poiché la caratteristica comune è il deficit dei linfociti T che ammontano al 65-75%

della popolazione linfocitaria totale perdiamo in questi bambini circa i ¾ dei linfociti, quindi la

caratteristica tipica ad un esame di primo livello che è nell'emocromo, con la linfopenia, in tutte le

forme di SCID.

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I linfociti T possono essere l'unica popolazione linfocitaria deficitaria oppure possono essere T e NK

oppure T e B oppure tutti e tre assenti.

Li classifichiamo a seconda della popolazione mancante in quattro classi.

Per fare la classificazione dobbiamo fare il linfocitogramma, l'analisi della popolazione linfocitaria,

perché l'emocromo ci dà soltanto il numero, non ci dice se sono T, B o NK; per fare l'analisi dobbiamo

usare il citofluorimetro che riconosce i vari linfociti grazie a degli anticorpi monoclonali coniugati ad

un fluorocromo, cioè una sostanza che emette una luce se eccitata dal laser e questi anticorpi

monoclonali sono diretti verso i marcatori tipici e unici di quella popolazione linfocitaria, i CD3 per i T,

CD19 e CD20 per i B, CD16 e CD56 per i NK, questa è la base del citofluorimetro.

Quindi li andiamo a suddividere sulla base di un emocromo che ci dà una linfopenia alla nascita e di un

linfocitogramma che ci dice quali sono oltre ai T i linfociti che mancano.

Qui sono state riassunte solo alcuni dei deficit genetici delle SCID perché ce ne sono moltissimi altri,

le SCID sono in numero molto nutrito, chiaramente voi non le dovete conoscere tutte. È solo per farvi

capire da un punto di vista logico per fare una correlazione genetico fenotipica, perché abbiamo i

deficit di T associato o meno agli altri deficit linfocitari.

Partiamo con la prima forma di SCID, cioè quella in cui i T sono assenti, i B e gli NK sono presenti.

Qua sono elencati tre difetti genetici trovate in queste SCID, quindi fenotipicamenmte abbiamo

l'assenza dei linfociti T e la presenza dei B e degli NK ma dal punto di vista genetico noi possiamo

avere varie forme.

Una di queste è la presenza del recettore per l'interleuchina 7 non funzionante perché ci manca la

catena alfa che lega specificamente la citochina, cioè l'interleuchina 7, le altre catene servono per

trasdurre il segnale o stabilizzare il recettore, il vero antirecettore è la catena alfa.

Perché in questa SCID noi abbiamo solo il deficit dei linfociti T?

Perché l'interleuchina 7 è una citochina specifica solo per lo sviluppo dei linfociti T, quindi non ha

influenza sui linfociti B e NK, l'assenza del recettore per IL 7 inficia solamente sullo sviluppo dei

linfociti T; quindi noi abbiamo una SCID con deficit di linfociti T per l'impossibilità di questi a

svilupparsi non potendo recepire il segnale di sviluppo che è mediato dall' IL7.

Altra possbilità, deficit della catena delta del complesso CD3 o analogamente della catena della

catena epsilon del complesso CD3; sapete che il recettore dei linfociti T, il TCR, è il recettore per

identificare l'antigene ma è in mutua interazione con una serie di proteine che nell'insieme

costituiscono il complesso CD3 che è importante per la trasduzione del segnale a partire dal TCR.

Nelle fasi iniziali di sviluppo e selezione dei linfociti T alcuni segnali di sopravvivenza vengono mediati

tramite TCR, il recettore dei linfociti T, se chiaramente noi abbiamo il complesso CD3 che provvede a

trasdurre il segnale deficitario, questo segnale di sopravvivenza non si trasmette e quindi il linfocita T

va in apoptosi, muore perché pur avendo il TCR e pur ricevendo il segnale di sopravvivenza non ha la

trasduzione intracellulare del segnale per l'assenza di una delle proteine del complesso CD3, una di

queste è la catena delta. Un'altra SCID analoga è caratterizzata dalla mutazione della catena epsilon.

Siccome il complesso CD3 è unico ai linfociti T questo deficit genetico non inficia lo sviluppo delle altre

linee linfocitarie.

Quindi riassumendo questa prima classe di SCID, sono caratterizzate da deficit dei linfociti T

geneticamente determinate da una alterazione che inficia esclusivamente la linea cellulare T perché le

molecole che sono colpite dalla mutazione sono fondamentali per lo sviluppo solo ed esclusivamente

di questa linea cellulare.

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Analogamente in questa SCID noi abbiamo che sopravvivono solo i linfociti B, quindi abbiamo

l'assenza di T e NK avendo solo un 10-15% di linfociti circolanti, i linfociti circolanti variano da 2000

a 4000 quindi questi pazienti avranno 200-400 linfociti circolanti quindi una linfopenia marcata,

evidente.

Facciamo la citofluorimetria e avremo positività solo per il segnale CD 19, cioè le uniche cellule

riconosciute dal citofluorimetro sono i linfociti B.

Allora quali sono le possibilità, qua ne sono elencate sempre tre per farvi capire il concetto però è una

cosa che si estende anche ad altre mutazioni.

Una possibilità è il deficit di catena gamma comune, allora una catena gamma comune è una catena

che trasduce il segnale, vedete questa è catena gamma, catena gamma, catena gamma e catena gamma,

è uguale per tutti questi recettori che sono i recettori per IL 2, 7, 4, 9 e 15.

Questi recettori si differenziano solo per le catene alfa e beta che provvedono al legame con la

citochina, la catena gamma invece trasduce il segnale dalle due catene che legano la citochina a ad altre

proteine intracitoplasmatiche come JUNK3.

Quindi vedete che la trasduzione del segnale ha una linea comune per queste citochine, cioè catena

gamma - JUNK3 - altre proteine, e arriva al nucleo; quello che differenzia invece i recettori sono le

prime due catene alfa e beta, alfa, alfa, alfa e beta che invece sono specifiche per la citochina.

Quindi queste citochine: 2, 4, 7, 9, 15 e anche la 21 che non è segnata qui hanno un meccanismo di

trasduzione del segnale comune che è impiegato dalla catena gamma che è uguale per tutti questi

recettori, ed a valle di questa tramite la proteina JUNK3 che è uguale per tutti quanti, poi dopo di

questa c'è un'altra cascata fin quando non arriva il segnale al nucleo.

Allora se io ho una mutazione in questa proteina, la catena gamma, significa che ogni volta che l'IL 2, 4,

7, 9, 15 e 21 si legano ai loro recettori non c'è trasduzione del segnale.

Adesso perché abbiamo deficit di T e NK e non di B? Abbiamo deficit di T perché abbiamo detto che

l'IL7 è fondamentale per lo sviluppo dei linfociti T, quindi nella SCID che abbiamo visto prima c'era il

deficit di questa catena qui, quindi il problema riguardava solo il legame della citochina con il recettore

che non avveniva, in questa invece abbiamo l'assenza della catena gamma cioè la citochina si lega ma il

segnale non viene trasdotto e questo comune anche alle altre citochine.

Quindi per questo deficit di catena gamma comunel'IL7 non trasduce il segnale, chi ci va di mezzo

perché l'IL7 è fondamentale per il loro sviluppo sono i linfociti T, ok? Gli NK non se ne importano

dell'IL7 perché non è questa la citochina che serve per il loro sviluppo, però abbiamo visto che c'è

anche il deficit di NK, la citochina fondamentale per lo sviluppo dei NK è l'IL 15 che non serve ne ai T

ne ai B quindi se ci fosse stato per esempio la mutazione della catena alfa del recettore noi avremmo

avuto solamente deficit di NK, siccome il deficit interessa la catena gamma che è comune a queste

citochine, noi abbiamo deficit di T perché necessitano dell'IL7 e di NK perché necessitano di IL15 per il

loro sviluppo.

I linfociti B non necessitano di nessuna di questa citochine per il loro sviluppo, nel senso che sono

segnali che i B possono ottenere anche da altre citochine o altre molecole di stimolazione, quindi

poiché non sono segnali unici i B non ne risentono e quindi sopravvivono, i segnali che dovrebbero

ricevere ad esempio dall'IL4 che è importante per lo switch isotipico ma anche dalll'IL2 che può essere

importante per lo sviluppo dei linfociti B, siccome possono ottenere segnali di sviluppo tramite altre

fonti anche se c'è questo deficit non ne risentono.

Gli unici a risentirne sono i T e gli NK perché nelle fasi precoci di sviluppo di queste cellule hanno

bisogno dei segnali di queste due citochine: IL7 e IL15.

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Questa è l'unica SCID legata al sesso come trasmissione, solo nei soggetti di sesso maschile, le altre

forme sono autosomiche recessive o dominanti

Ad esempio il deficit di JUNK3 può interessare anche le femmine perché succede quello che vi dicevo

prima, deficit di junk 3 dà lo stesso fenotipo perché qui la trasduzione del segnale si blocca a questo

livello, cioè la catena gamma trasduce il segnale dell'IL7 ai linfociti T, il segnale dell' IL 15 viene

recepito dal recettore e dalla catena gamma che lo trasmette a JUNK3 che però è mutato, quindi la

trasduzione del segnale si blocca ad un livello più basso, portando allo stesso risultato fenotipico, solo

che essendo autosomica recessiva anche le femmine sono interessate.

Poi c'è un altro deficit di CD45 che è una fosfatasi inibitoria e che anche in questo caso ha un ruolo sui

T e sui NK.

Poi abbiamo una terza classe di SCID in cui sopravvivono solo gli NK, mancano i linfociti T e i B.

Questo tipo di SCID è dovuta a mutazione o nel gene ARTEMIS o nei geni RAG1 e RAG2, forse

ARTEMIS non lo ricordate perché è una cosa più specifica ma RAG1 e RAG2 sono gli enzimi attivanti la

ricombinazione, che hanno un ruolo nella produzione del TCR e delle immunoglobuline di superficie

sui linfociti B.

Vi ricorderete che la produzione di una immunoglobulina parte dalla selezione di un frammento

costante di congiunzione, di un frammento di diversità e di un frammento variabile, quindi noi sul

cromosoma abbiamo un gran numero di tutti questi geni. Per fare l'ig tipica solo di quel clone è

necessario che, in maniera casuale, uno solo di questi geni venga associato ad un altro delle altre classi

di (geni?) di immunoglobuline.

Questo lavoro lo fanno degli enzimi che tagliano e cuciono che si chiamano ricombinasi e ARTEMIS è

uno di questi enzimi che ricombinano il DNA.

Alla fine mettendo insieme le singole porzioni di questi frammenti avremo il gene completo dell'Ig che

però sarà specifico solo per quel singolo clone dei linfociti B, ogni linfocita B ha un Ig differente che

deriva dal “taglia e cuci” casuale di tutti questi frammenti genici; questo lavoro lo fanno appunto RAG1,

RAG2 e ARTEMIS.

La stessa cosa succede per il TCR perché ha la stessa struttura, cioè catena costante e catena variabile,

quindi anche per il TCR è necessario fare questo lavoro di copia e incolla in maniera tale che ogni

linfocita T abbia il suo recettore differente.

I NK non hanno il recettore specifico per ogni cellula, cioè hanno un recettore invariante, lo stesso in

tutti i NK quindi non hanno bisogno di ricombinare il DNA, per cui se io ho un deficit di RAG1, RAG2 o

ARTEMIS, i linfociti T e B non possono produrre il recettore di superficie, il TCR per i T e l'ig di

superficie per i B che poi è anche l'ig che viene secreta quando c'è l'evoluzione in plasmacellula.

Come vi ho detto inizialmente, durante le fasi iniziali di sviluppo sia della linea B che T alcuni segnali di

proliferazione e di sviluppo vengono trasmessi tramite il recettore di superficie, TCR per i T, Ig di

superficie per i B.

Se il linfocita T o B non ha il recettore per questo deficit di ricombinasi, non possono assorbire segnali

di sviluppo, e quindi non si producono ne B ne T e le uniche cellule che si producono sono i NK, perché

non hanno bisogno di questi enzimi essendo il loro recettore invariante cioè uguale per tutte le cellule

NK.

Infine abbiamo l'ultima classe che è quella caratterizzata dall'assenza totale di linfociti quindi ne B

ne T ne NK, quindi qui dobbiamo suppore che il deficit genetico è un deficit che influenzi lo sviluppo di

tutte e tre le linee cellulari, deve essere un gene che è importante sia per i B che T che NK.

Mentre in quella precedente abbiamo visto che il gene mutato essenzialmente va a colpire una o due

delle linee linfocitarie in questo caso abbiamo un deficit linfocitario completo.

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Questa è la SCID che portano a Telethon, quella che tratta una terapia genica, cioè il deficit di

adenosin deaminasi che è un enzima implicato nel metabolismo delle purine cioè praticamente del

DNA.

Più specificamente serve per detossificare la cellula dai prodotti di degradazione delle purine quando

c'è il rinnovo del DNA.

Se non c'è l'enzima i prodotti di degradazione delle purine si accumulano nella cellula diventando

tossici e la cellula muore, questo vale sia per i T che per i B che per i NK.

Adesso siccome il deficit genetico è presente in tutte le cellule (perché non è che uno ha la mutazione e

la esprime solo in una linea cellulare perché se io ho una mutazione genetica la esprimo in tutte le

cellule dell'organismo) è chiaro che le cellule specializzate hanno attivi alcuni geni e sono silenti altri,

l'adenosin deaminasi essendo un enzima che serve a detossificare il metabolismo delle purine

teoricamente dovrebbe essere funzionante in tutte le cellule dell'organismo indipendentemente dalla

loro specializzazione, infatti è cosi, quindi ci dovremmo aspettare che non si sviluppi proprio

l'embrione perché tutte le cellule hanno questo deficit.

Invece vanno a morte solo i linfociti perché durante lo sviluppo della linea linfocitaria l'unica via

metabolica che viene lasciata a disposizione di queste cellule per detossificare le purine è quella

delll'adenosin deaminasi, tutte le altre cellule hanno vie alternative di detossificazione, quindi anche se

l'adenosin deaminasi non funziona ci sono altri enzimi preposti alla detossificazione del metabolismo

delle purine mentre nei linfociti no, ne hanno una sola, e quindi quando c'è mutazione di questa si

accumulano i prodotti di degradazione e i linfociti muoiono.

Per tutte le SCID c'è bisogno del trapianto di midollo.

Per quanto riguarda invece quest'ultima la terapia è meno impegnativa perché anche prima della

terapia genica si era trovata la maniera di inviare l'enzima nella cellula tramite una modificazione

chimica, cioè si prendeva l'enzima adenosin deaminasi e si legava ad una sostanza che è il polietilen

glicole e si somministra per via parenterale sottocute, questa somministrazione rilascia l'enzima

progressivamente nel sangue e fortunatamente riesce a passare attraverso la membrana dei linfociti,

quindi in parte questo difetto genetico veniva superato tramite il passaggio attraverso la membrana di

un enzima che veniva dato dall'esterno.

Adesso c'è anche la terapia genica, cioè si può inviare un vettore virale nel midollo per trasdurre il

gene buono nei linfociti in maniera tale che lo esprimano normalmente, questo è quello che fanno

vedere qualche volte a Telethon.

Per tutte le altre forme c'è il trapianto di midollo che è un problema perché non è un trattamento

esente da rischi cioè comunque ha la sua morbilità e mortalità, cioè non tutti i bambini sopravvivono al

trapianto di midollo oppure possono sopravvivere anche con delle conseguenze, per cui la terapia

genica sarebbe l'ideale se si riuscisse a fare per tutti questi tipi di SCID, il problema è che sono

tantissime, poi sono molto rare e quindi non sempre c'è un investimento in queste patologie che sono

praticamente delle patologie di nicchia, però per i pediatri alla nascita questi sono dei problemi

importanti e chiaramente non vi dico per le famiglie che hanno un bambino con la SCID.

Va bene, se è tutto chiaro passiamo al prossimo quadro clinico, le SCID vi sono chiare?

Quindi si differenziano quelle umorali perché stavolta abbiamo anche l'emocromo che ci indica un

deficit che è un deficit della popolazione intesa in senso globale, poi l'analisi della citometria a flusso

che ci dice qual è la sottopopolazione mancante.

Dimenticavo di dirvi che poiché i linfociti T comprendono anche i T helper, anche nelle forme in cui

mancano solo i T ma i B sono presenti noi abbiamo il deficit umorale cioè il deficit anticorpale perché i

B senza l'attività dei T helper non possono produrre le Ig, quindi abbiamo deficit della componente

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cellulare ma abbiamo anche l'immunodeficienza umorale quindi il quadro proteico di questi bambini

mostrerà un ipogammaglobulinemia o una gammaglobulinemia totale quando mancano totalmente i

linfociti B nelle forme in cui sono coinvolti sia B che T o T, B e NK.

Va bene vediamo adesso qualche altro quadro particolare, questa è la sindrome di Giobbe che viene

chiamata anche sindrome da iper IgE non legata al sesso, a diferenza della Sindrome da iper IgM

che era X linked, dovuta allo switch isotipico, questa è un'altra forma particolare che si chiama

sindrome da iper IgE perché i valori di IgE che normalmente in un soggetto sono bassissimi a meno

che non sia atopico che sono un po' più alti, però a questa forma sono molto molto più alti anche

praticamente nelle decine di migliaia rispetto ai soggetti normali.

Esistono varie forme di sindrome di Giobbe ma la forma classica è quella autosomica dominante dal

punto di vista della trasmissione genetica, le IgE sono molto alte, dai 2000 in su, però si può arrivare a 10000, 15000 in alcuni casi anche a 50000 IgE, tenete presente che un soggetto normale non atopico

ha un valore di IgE totali non superiori a 240-250 unità internazionali per ml, ok?

Quindi 250, questi hanno almeno 10 volte in più e possono arrivare a centinaia di volte in più quindi

da 2000 a 10-15 o addirittura in rari casi a 50 mila IgE, in un soggetto normale 240.

L'atopico può arrivare anche a 1500, per esempio la dermatite atopica si trovano spesso alti livelli di

IgE, 1500-2000, ci possono anche arrivare ma al di sopra di questo c'è la sindrome da iper IgE.

Da che cosa è caratterizzata?

Una delle caratteristiche della sindrome da iper IgE è la presenza di ascessi cutanei dovuti allo

stafilococco che è il germe che si annida normalmente sulla cute, freddi, cioè senza i segni della flogosi,

quindi senza l'arrossamento, senza l'eritema, il calore, e questo poi lo vediamo per quale motivo.

Oltre la cute si possono avere gli stessi ascessi anche al livello del polmone, chiaramente essendo SCID

abbiamo spesso la polmonite come infezione predominante, si può formare il pneumatocele, cioè delle

cavitá del polmone a seguito di episodi ripetuti infettivi o ascessuali che distruggono il parenchima e

quindi rimangono queste cavita vuote che si riempiono di aria.

Abbiamo l’eosinofilia, l’eczema e adesso chiaramente quando c’è eosinofilia, eczema e IgE alte il

problema è che può andare in diagnosi differenziale con la dermatite atopica, quando faremo la

dermatite atopica vedremo che queste caratteristiche sono condivise, abbiamo l’eczema che è la

lesione cutanea tipica, l’eczema è una lesione eritemato vescicolosa, cioè rossa con formazioni

vescicolari a contenuto liquido chiaro, sterile, che poi si seccano e formano delle croste.

La dermatite atopica si chiama così perché c’è un substrato atopico nei ¾ dei pazienti, oltre il 75%

caratterizzato da IgE alte ed eosinofilia, quindi eosinofilia, eczema ed IgE alte sono condizioni

condivise sia dalla dermatite atopica, molto più comune, sia dalla sindrome di Giobbe che però è una

situazione un po' più particolare.

Vedete li, sono gli ascessi cutanei, che lá sono addominali, c’è scarso o nullo eritema intorno, sono

solamente delle raccolte di pus senza che ci siano dei segni di infiammazione quindi sono ascessi

freddi.

Li c’è pneumatocele, vedete questa cavita qui, è dovuta a ripetuti episodi infettivi (polmoniti) con

formazioni di ascessi che poi distruggono il parenchima e lasciano queste cavità che sono riempite da

aria.

La patogenesi è dovuta alla mutazione di un'altra molecola che trasduce il segnale che si chiama STAT,

è una delle molecole che trasduce il segnale sempre dai recettori linfocitari.

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Questo deficit di STAT3 impedisce lo sviluppo dei linfociti Th17 perché impedisce l’espressione del

fattore di trascrizione tipico dei Th17 che è RORγt (ROR gamma T), ora non è che dovete imparare

tutta sta cosa, l’importante è che sappiate che questa mutazione determina l’assenza di linfociti Th17

che sono importanti nella difesa contro le infezioni.

All’inizio noi sapevamo che c’erano i Th1, Th2 e basta poi si è visto che in alcune malattie sia infettive

che autoimmuni, cioè con infiammazioni croniche importanti, i Th17 avevano un ruolo addirittura piu

importante dei Th1.

I Th17 sono anche importanti per il richiamo dei neutrofili.

Alla fine per questo deficit noi abbiamo un problema soprattutto con le infezioni da batteri

extracellulari, perchè gli intracellulari sono uccisi dai linfociti citotossici, e i miceti.

Vedete che questi pazienti spesso presentano l’onicomicosi, quindi un’altra situazione che si associa,

nella dermatite atopica invece noi non ce l’abbiamo.

Questo per ricordarvi le principali popolazioni ad essere tipicate, prima avevamo Th1 e Th2, Th1

essenzialmente per l’immunita cellulo mediata, le infezioni, ma adesso i Th17 sembrano avere un

ruolo ancora più importante, sono importanti anche per i neutrofili, i Th2 sono i linfociti da atopia e

poi abbiamo i T reg che frenano le risposte immunitarie, cioè i cosiddetti linfociti suppressor di una

volta e sono comunque CD4 CD25.

Ognuno di queste sottopopolazioni di linfociti T ha un suo fattore di trascrizione che lo identifica, i T

regolatori sono caratterizzati dall’espressione del FOXP3I che è il loro fattore di trascrizione che li

indentifica, Th17 invece RORγt.

L’assenza di STAT3 impedisce l’espressione di RORγt che è un fattore di trascrizione fondamentale per

lo sviluppo dei Th17 e i Th17 non si sviluppano.

Per i Th2 GATA3 è il tipico e T-bet è quello dei Th1.

Quindi le mutazioni di questi fattori di trascrizione impediscono lo sviluppo di queste sottopopolazioni

linfocitarie.

Altre caratteristiche cliniche di questi pazienti che aiutano per differenziare dalla dermatite atopica

sono che tendono a mantenere i denti decidui, cioè non cadono e contemporaneamente si formano i

denti permanenti, a volte vedete capitano che hanno due fila di denti, cioè i denti permanenti che si

sovrappongono ai denti decidui.

Se vedete qui dalla radiografia si vedono l’avvallarsi dei denti decidui e permanenti, caratteristica

tipica della sindrome di Giobbe.

Poi ci sono le caratteristiche facciali, una delle caratteristiche facciali è l ‘asimmetria del viso, con una

parte che è un po più sviluppata rispetto all’altra, con la piramide nasale molto marcata, con la

distanza fra gli occhi più allargata rispetto alla norma, la fronte prominente e a volte con un po' di

prognatismo, si vede bene in questo soggetto qua, cioè la tendenza della mandibola a protrudere in

avanti.

Queste sono le varianti, che però le lasciamo stare perché diventa un po troppo specialistico come

situazione, che sono dovuti ad altri deficit della trasduzione del segnale che porta al fatto che stat3 alla

fine non trasduce ma questo lasciamolo stare.

E poi vediamo praticamente l’eczema, questo è l’eczema cioè l’eritema con le vescicole, che si seccano e

poi danno la formazione di croste e si possono ritrovare anche nella dermatite atopica che raramente è

diffusa come la sindrome di Giobbe e quindi ne differenzia anche in questa cosa.

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L’infezione da herpes virus ovvero un’altra situazione di immunodeficienza, qui praticamente abbiamo

le verruche, espressione di infezione virale.

Mollusco contagioso altra espressione di infezioni che questi pazienti possono avere.

La sindrome di Omenn ve la risparmio perché senó diventa un po' troppo pesante, questo solo per

farvi vedere che quello che ho fatto fin ora è solo una piccola parte delle immunodeficienze.

Queste sono le combinate e quelle in rosso sono le possibili diagnosi che ci sono, queste sono, queste

sono altre sindromi, cioè noi abbiamo fatto solo quelle che più facilmente possiamo incontrare

soprattutto per chi vorrà fare pediatria, perché le immunodeficienze primitive sono essenzialmente

appannaggio del pediatra, quindi le SCID le vedranno prevalentemente loro e dovranno indirizzare poi

verso il centro specializzato a trattarle perché vi ripeto è proprio un’emergenza pediatrica, questi

bambini muoiono subito perché non hanno entrambi i bracci del sistema immunitario e quindi

prendono subito infezioni fatali.

Anche gli anticorpi materni che dovrebbero proteggerli, in realtà possono farlo solo per breve tempo

verso i batteri capsulati pero 4 hanno i linfociti t e quindi tutte le infezioni virali le prendono

rapidamente e quindi avere un’infezione fulminante subito dopo la nascita.

Dermatite Atopica

Questa non è un'immunodeficienza ma una condizione di frequente riscontro visto che l'atopia è una

condizione abbastanza prevalente.

La dermatite atopica è caratterizzata dall'eczema come substrato fondamentale che come vi ho detto

prima, è una lesione eritematosa con la comparsa di piccole vescicole che si seccano e si formano le

croste.

Esordisce nei bambini che se la possono portare fino all'età adulta oppure si può fermare nell'età

infantile. Si può fermare, oppure costituire il primo step della cosiddetta marcia atopica, cioè nascono

con la dermatite atopica, la prima espressione della dermatite atopica è la crosta lattea, che sarebbe

l'eczema al cuoio capelluto, questa dermatite atopica può passare e basta finisce qua, oppure si ha

questa marcia atopica e quindi il bambino dalla dermatite atopica passa alla rinite allergica e passa poi

all'asma bronchiale, oppure se la può portare all'età adulta ma in maniera molto più limitata, come

vedremo tra poco.

Ha un decorso ricorrente, cioè ci sono periodi di quiescenza con periodi di esacerbazione e è associato

ad IgE alte, anche 2000, la sindrome di Giobbe è oltre i 2000, ci sono anche valori overlap ma non

raggiunge mai valori elevatissimi come quelli della sindrome di Giobbe e questa condizione con le IgE

alte si ritrova nel 75% dei casi, infatti gli americani non la chiamano dermatite atopica perché un

bambino su 4 non ha eosinofilia, ne l'IgE, la storia familiare può anche mancare e quindi per loro

chiamare tutte queste condizioni atopia non è corretto perché ¼ dei bambini non ha manifestazioni di

atopia alla comparsa dell'eczema, queste però possono comparire successivamente, cioè il bambino

inizialmente ha solo l'eczema, poi con la crescita può mostrare l'IgE che aumentano, può avere

l'eosinofilia e le altre manifestazioni di atopia come la rinite e l'asma.

Quindi nell'¼ dei casi c'è solo l'eczema, nei ¾ c'è anche le IgE alte e l'eosinofilia, però anche quei casi

negativi all'inizio possono anche diventare positivi per la condizione atopica.

Si può chiamare anche eczema atopico oltre a dermatite atopica a seconda di con chi avete a che fare.

Allora altre informazioni generali, la comparsa della dermatite atopica si ha tra i 3 e i 6 mesi d'età,

quindi proprio in età infantile, il 60% dei pazienti con la dermatite atopica la sviluppa entro il primo

anno e il 90% entro il 5 anno, quindi è proprio una condizione tipica del bambino.

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Come vi ho detto prima la condizione si può risolvere quando giunge l'età adulta, tra il 10 e il 30% non

la risolvono, e una più piccola percentuale può avere la comparsa dei sintomi in età adulta ma questa è

una condizione molto infrequente.

Si chiama dermatite atopica però bisogna dire che non va assimilata dal punto di vista pato-genetico

alla rinite allergica e all'asma bronchiale perché non è puramente IgE mediata, ha una patogenesi

mista in cui c'è la componente mediata dalle IgE, quindi con le mastcellule che degradano l’istamina

come nelle altre condizioni atopiche però come vi ho detto prima ¼ dei pazienti alla nascita non ha

queste caratteristiche, infatti ha anche la componente cellulare, la dermatite atopica ha l'infiltrazione

dei linfociti nella cute, quindi non è totalmente IgE mediata ma è mista, in parte cellulo-mediata e in

parte IgE mediata.

L’eziopatologia della dermatite atopica è complessa e solo in parte chiarita. Esiste una componente

genetica di base a cui si associano almeno altre 2 grandi categorie di cause: un’alterazione del sistema

immunitario e un’alterazione della barriera cutanea.

[Estratto e riassunto da Internet/Wikipedia, andate su quest’ultima per altri dettagli come le citochine

specifiche]

L’alterazione della barriera cutanea può essere sia strutturale sia funzionale. Nel primo caso si ha una

anomala organizzazione delle lamelle cornee degli strati più superficiali dell’epidermide con conseguente

minor coesione tra le cellule stesse. Questa condizione favorisce una maggior perdita di acqua attraverso

la cute, nota come TEWL (transepidermal water loss), determinando l’insorgenza di xerosi cutanea e poi

prurito, quindi infiammazione dell’epidermide.

Questo facilita la penetrazione nella cute di allergeni e apteni che si legano ai cheratinociti e alle cellule

di Langerhans, e cellule IDEC (inflamatory dendritic epidermal cells), attivandole.

Il loro compito è quello di presentare i diversi antigeni ai linfociti T e causare la produzione di numerose

citokine che regolano la risposta infiammatoria tipica della dermatite atopica.

Quali sono le caratteristiche cliniche? Abbiamo detto l'eritema con la vescicolazione, la cute secca,

l'erosione e l'escoriazione che derivano dal fatto che il paziente si gratta, la fuoriuscita di liquido dalle

vescicole, la formazione di croste ed infine la lichenificazione, che sarebbe la cronicizzazione con

ispessimento delle pliche cutanee, adesso vi faccio vedere tutte queste manifestazioni.

Da un punto di vista soggettivo clinico, il prurito è il sintomo fondamentale che è fastidioso per il

bambino ma anche per l'adulto.

La patogenesi come vi ho detto è mista, ci sono i linfociti T, le mastcellule, le cellule dendritiche che

presentano l'antigene ma comunque non è solo IgE mediata.

Nel bambino a dermatite atopica tende ad interessare il viso, le guance, il cuoio capelluto, la superficie

estensoria degli arti, il tronco e poi avere questo aspetto, questa tendenza a pinzettarsi perché il

pinzettamento al bambino piccolo serve ad alleviare il prurito.

Ovviamente il bambino nella dermatite atopica può non riuscire a riposarsi, piange di notte, per via del

prurito che lo tormenta.

Qui vedete le vescicole si sono rotte ed abbiamo la formazione di croste, quando le croste si fanno

giallastre sotto c'è una sovrainfezione perché chiaramente se uno si gratta si rompono le croste e lo

stafilococco, streptococco, danno immediatamente la sovrainfezione.

L'altra possibilità infettiva nella dermatite atopica è l'infezione da herpes virus, queste due sono le

principali infezioni che peggiorano molto la dermatite in questi bambini.

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Le forme lievi ma anche le forme dell'adulto si caratterizzano dal fatto che interessano le superfici

flessorie degli arti, quindi i cavi poplitei e le fosse antecubitali.

Questo è un' interessamento della mano in cui l'eritema e le vescicole sono ben evidenti, e questo è

l'interessamento delle fosse antecubitali però questa è già una fase diciamo non acuta, è una fase

cronica perché non abbiamo l'eritema, abbiamo la lichenificazione caratterizzata dal fatto che si

vedono bene le linee di flessura della regione (non termina la frase), anche questa la lichenificazione

vedete ci sono le linee della cute che sono spesse, quindi la lichenificazione è un' espressione di

cronicizzazione della dermatite.

Qui ancora sono presenti solamente alle fosse antecubitali ma c'è una forte lichenificazione, quindi con

ispessimento delle pliche cutanee che da questo tipico aspetto.

Questo è un ingrandimento che fa vedere che si notano queste linee, questa è con escoriazioni, le fosse

antecubitali, interessamento cronico con scarso eritema però ispessimento, lichenificazione e presenza

di croste.

Questo è il paziente adulto con interessamento del volto, vedete le vescicole si sono rotte, si sono fatte

le croste che si stanno sfaldando.

Altra regione antecubitale sempre più con lichenificazione, poi un altro tipico aspetto è il

dermografismo bianco.

Se noi andiamo a strisciare con la punta smussa invece di avere la linea arrossata e prominente

abbiamo una stria bianca dovuta alla vasocostrizione, tipico della dermatite atopica.

Nell’orticaria se vi ricordate se noi smussiamo si forma una linea figurata però ponfoide, cioè rilevata

con l'eritema, cosa che qui non abbiamo, qui abbiamo il dermografismo bianco, la vasocostrizione.

La dermatite atopica viene classificata in base alla gravità con questo sistema che si chiama SCORAD,

cioè Scoring Atopic Dermatitis per dare un punteggio alla dermatite atopica.

In pratica sopra un foglio già preformato con la superficie corporea, si deve valutare in maniera più o

meno attendibile quanta superficie cutanea è interessata dalla dermatite, si riporta su un foglio e in più

bisogna aggiungere altri due segni soggettivi, il prurito e la perdita del riposo notturno perché questi

sono altri due fattori che implicano la serietà della malattia.

Per lo Scoring c'è la regola del 9, nel senso che gli arti sono il 9%, gli arti superiori sono il 9% ciascuno,

gli arti inferiori messi insieme sono il 9 % della superficie cutanea, 18% è il tronco e così via, cioè o 9 o

multipli di 9, in questa maniera si fa un'idea quanto più attendibile possibile dell'estensione della

dermatite, si aggiungono i valori da 0 a 10 del prurito e della perdita di sonno e si ha un indice che se è

al di sotto di 25 la dermatite atopica è lieve, tra il 25 e 50 è moderata, superiore a 50 è severa.

Questa è quando c'è lo sovrapposizione con il virus erpetico che chiaramente peggiora tutta la

situazione, questa è la sovra infezione con lo stafilococco, vedete le croste che sono di solito giallastre

perché il liquido no è più sterile ma purulento.

I problemi che possono condizionare l'andamento della dermatite atopica quali sono, la coesistenza di

un'allergia alimentare, se il bambino con ha la dermatite atopica che ha l'allergia alimentare, ogni volta

che mangia un alimento accidentalmente verso il quale ha le IgE avrà la riattivazione della dermatite

atopica.

In genere sono gli alimenti oppure la sensibilizzazione agli acari, quindi l'esposizione alla polvere è

un'altra condizione che peggiora la dermatite atopica.

Altri segni sono queste rughe che si ritrovano nella regione periorbitaria che sono altri segni di

cronicizzazione della malattia.

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La prossima volta faremo anche la dermatite da contatto.

Come si tratta, poiché la cute è spesso secca si danno delle creme idratanti, però vi ho detto che c'è

l'infiltrazione linfocitaria nella cute, quindi dobbiamo togliere quest' infiltrazione, facciamo sempre gli

steroidi che danno apoptosi dei linfociti, soprattutto steroidi topici, se la dermatite non è troppo estesa

passiamo lo steroide nelle regioni interessate dalla lesione e in questa maniera lo steroide penetra

nella cute e toglie l'infiammazione, il problema è che dopo un po' comunque la malattia ritorna, per le

forme più resistenti possiamo usare degli immunosoppressori.

Bene dare anche dei farmaci anti-puriginosi.

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Romano – Lezione 7 (06-04-17) – Food allergy

Sbobinatore: Aniello Moccia

Coordinatore: Sabrina Goriani

Oggi affrontiamo il tema delle allergie alimentari che rientra nel quadro un po' più complesso delle

reazioni avverse agli alimenti. Per darvi un’idea di sotto quale ombrello cada l’allergia alimentare,

diciamo che tutte le reazioni avverse agli alimenti possono essere suddivise in “immuno-mediate” e

“non immuno-mediate”. L’allergia alimentare propriamente detta è IgE mediata ed è chiaramente una

reazione avversa agli alimenti

mediata da anticorpi. Ci sono

anche quelle “non IgE

mediate”, quelle miste e quelle

cellulo-mediate.

Noi prenderemo in rassegna

solo le IgE mediate perché le

altre le tratterete in altri esami

(la enterocolite proteina-

indotta, ad esempio, è una cosa

che farete in pediatria poiché è una condizione tipica dell’infante e normalmente tende a risolversi).

Sulla dermatite atopica -allergia agli alimenti di forma mista- magari ci ritorneremo in una lezione

successiva, mentre la gastroenterite eosinofila la farete in gastroenterologia). Quindi per evitare

situazioni ridondanti, tra le immuno-mediate, faremo solo le IgE-mediate.

Poi ci sono le “non immuno-mediate” e queste vengono definite come intolleranze alimentari, tra cui

vi è l’intolleranza al lattosio che è un problema legato ad un deficit della lattasi sull’epitelio intestinale.

È un problema dovuto alla riduzione della lattasi rispetto alle condizioni normali: se si assume troppo

lattosio negli alimenti, si supera la capacità dell’enzima di metabolizzarlo e abbiamo i sintomi

dell’intolleranza. Quindi si ha una condizione “dose-dipendente” che è relativa alla quantità della lattasi

residua sulla mucosa intestinale.

Le altre forme avverse sono quelle farmacologiche, per esempio la caffeina: se vi fate una caffettiera

intera di caffè vi viene la tachicardia. Questa è una reazione avversa dovuta all’azione farmacologica

della caffeina che è uno stimolante.

Ci sono forme tossiche come la sgombrotossicosi dovuta a una tossina che si forma nel pesce avariato o

l’intolleranza ai solfiti che si trovano nel vino bianco (chi beve vino bianco ed è intollerante ai solfiti, può

avere episodi di broncospasmo). Tutte queste ultime sono “non immuno-mediate”.

Le “immuno-mediate” sono le allergie alimentari e la malattia celiaca, che è invece una condizione per

la quale si troveranno infiltrazioni di linfociti nel duodeno e che è dovuta a una reazione immuno-

mediata verso la gliadina che è una componente del glutine (chiede se l’abbiamo fatta in gastro e poi la

spiega per grosse linee ribadendo che la celiachia è dovuta alla presenza di linfociti sensibilizzati nei

confronti della gliadina, componente del glutine. Se si fa un esame istologico della mucosa si vede

l’infiltrazione linfocitaria. Come fenomeni sierologici, si troveranno aumentati gli anticorpi contro la

gliadina e le transglutaminasi, che sono gli enzimi deputati alla digestione).

Quindi noi faremo essenzialmente le forme IgE mediate. Queste ultime, essendo immuno-mediate, sono

“riproducibili”. Significa che ogni volta che il soggetto ingerisce quell’alimento, avrà sempre una

reazione che può variare in termini clinici (lo spettro clinico varia da situazioni più lievi a situazioni

molto gravi, però essenzialmente riproducibili). Questo la differenzia dalle forme non immuno-mediate,

le quali, spesso, sono “dose-dipendente”. Quindi, tornando all’esempio della caffeina, una cosa è farsi

una tazzina di caffè, una cosa è farsene due o tre caffettiere. Si ha una manifestazione clinica dipendente

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dalla dose: se prendete una tazzina di caffè, non succede niente. Con le forme immuno-mediate o IgE

mediate, tutte le volte che si assume un alimento, indipendentemente dalla dose, si ha sempre una

manifestazione clinica dovuta agli anticorpi (nelle forme IgE-mediate) oppure mediata da cellule

sensibilizzate verso

quell’alimento. Per questo si dice

che tali reazioni sono

“riproducibili” (perché avvengono

ogniqualvolta si ha il contatto con

l’alimento, indipendentemente

dalla dose).

Quella in tabella è la classificazione

delle IgE mediate, miste e cellulo-

mediate, con tutte le possibili

varianti cliniche: la sindrome orale

allergica, orticaria/angioedema,

sintomi gastrointestinali fino

addirittura ad anafilassi o

anafilassi dipendente da esercizio

fisico.

Ora vediamo un po' più nei particolari le forme IgE mediate.

Essendo una reazione immunopatologica di primo tipo, le manifestazioni cliniche devono verificarsi a

breve giro dall’assunzione dell’alimento. Nelle forme non IgE mediate e nelle forme miste, la

manifestazione clinica può avvenire anche diverse ore dall’assunzione dell’alimento, perché non sono

reazioni da ipersensibilità immediata. Diciamo che tipicamente tra i 20 e 40 minuti dall’ingestione

dell’alimento, nelle forme IgE mediate si hanno i sintomi. Nelle altre forme possono passare anche ore

(ad esempio nelle forme cellulo-mediate c’è una ipersensibilità ritardata, nelle forme miste c’è

comunque una componente cellulo-mediata e quindi la comparsa di sintomi può essere variabile).

Nelle forme IgE mediate, gli skin-test potrebbero avere un ruolo (poi ne parleremo più in dettaglio)

perché a differenza delle allergie respiratorie, gli skin-test per le allergie alimentari non sono poi così

attendibili. Devono infatti essere correlati con la storia clinica. Nelle forme non IgE mediate e nelle forme

miste, gli skin-test, invece, non hanno alcun valore perché sono cellulo-mediate o forme miste. Quindi

gli skin-test servono solo per evidenziare sensibilizzazione IgE mediata. Se vi ricordate il principio, si

mette una goccia di un estratto allergenico sulla cute e se ci sono mast-cellule con IgE specifiche per

quell’allergene, noi avremo una piccola reazione di degranulazione circoscritta, rappresentata dal

pomfo.

Le forme IgE mediate, quindi ipersensibilità immediata, si

distinguono in 2 classi fondamentali:

-una è la classica allergia alimentare, che viene definita di “tipo 1”

-l’altra è la cosiddetta “sindrome orale allergica”, che è la forma di

tipo 2.

Mentre la forma di tipo 1, che è la classica forma di allergie alimentari, è un condizione accompagnata

da sintomi importanti, nella forma di tipo 2 le manifestazioni sono circoscritte. Questa forma è detta

“sindrome orale allergica” perché i sintomi sono circoscritti alla cavità orale, alle labbra, alla lingua, al

palato. In genere non vanno oltre la gola. E questo perché l’allergene è labile cioè, una volta superata la

mucosa orale, viene degradato e quindi non ha più la possibilità di dare sintomi. Viceversa, nella classica

allergia alimentare, l’allergene è stabile sia nei confronti della digestione pepsinica –quindi proteica,

nello stomaco- sia nei confronti del secreto acido dello stomaco: quindi è capace di superare il processo

di digestione dello stomaco e sensibilizzare attraverso il tubo digerente. Precisamente il meccanismo è

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sempre lo stesso: l’alimento giunge alla fine del tubo digerente, viene captato dalle cellule presentanti

l’antigene che lo presentano ai linfociti CD4 (che sono linfociti di tipo Th2 essenzialmente) e poi

inducono le cellule B, tramite le citochine Th2, a produrre le IgE specifiche verso quell’alimento. Dopo

la sensibilizzazione che avviene nel tubo digerente, quindi, queste IgE sono riversate nel torrente

circolatorio. Di conseguenza, tutte le mastcellule dell’organismo (quindi non solo le intestinali, ma anche

quelle che si trovano nell’apparato respiratorio o quelle che si trovano nella cute – anche nel cuore ci

sono mastociti) che sono raggiunte dal torrente circolatorio, possono captare queste IgE e armarsi con

le IgE specifiche per gli alimenti. Questo meccanismo spiega perché, se uno mangia un alimento verso

cui è allergico, può avere sintomi che non interessano necessariamente solo l’organo target, cioè

l’intestino, ma i sintomi possono coinvolgere anche organi distanti tra loro. Questo semplicemente

perché le mastcellule sono ubiquitarie e, una volta prodotte le IgE, queste vanno nel torrente circolatorio

e possono armare le mastcellule in qualsiasi distretto dell’organismo.

L’allergia alimentare è tipica dei bambini fondamentalmente. Anche gli adulti possono avere allergie

alimentari ma in genere gli alimenti sono differenti. I bambini, tra i 5 e i 7 anni di età, tendono a superarla

se il pediatra si rende conto del problema e allontana l’allergene (la cosa fondamentale è allontanare

l’allergene): allontanando l’allergene, infatti, il bambino diventa tollerante. Nonostante ciò, vedremo che

ci sono alcuni alimenti che difficilmente danno remissione dell’allergia alimentare. Però, nella maggior

parte dei casi, se il bambino segue una dieta priva dell’allergene entro i 5/7 anni, il bambino supera

l’allergia alimentare. Questa condizione è dovuta al fatto che, non essendovi più la stimolazione

antigenica tramite il tubo digerente, non si formano più IgE e quelle formate in precedenza chiaramente

non sono eterne, vanno incontro a catabolismo (ricordo che le Ig hanno una emivita di 21 giorni quindi,

se non vengono rinnovate, alla fine le perdiamo). Nel tempo, con l’intestino che diventa meno

permeabile alle grosse molecole, con l’allontanamento dell’allergene, c’è una predominanza della

funzione T-regolatoria (i T-reg sono immunosoppressori) : i T-reg inibiscono le cellule Th2

precedentemente sensibilizzate, non si formano più anticorpi e quindi non ci saranno più IgE che vanno

ad armare i mastociti. Quindi il passaggio dall’allergia alimentare alla tolleranza all’alimento è

caratterizzato da una predominanza della risposta T-regolatoria. I cloni precedentemente sensibilizzati

sono ancora presenti, solo che sono tenuti inibiti dalla funzione T-regolatoria.

Un altro concetto importante è che non esiste l’allergia alimentare a tutti gli alimenti : negli ambulatori

si sentono cose incredibili del tipo “sono allergico a tutto ciò che mangio”. Questa cosa non ha

fondamento scientifico. Normalmente chi dice di essere allergico a tutto quello che mangia, è affetto da

sindrome del colon irritabile, nella variante diarroica (ce ne sono di due tipi, quella stiptica e quella

diarroica). Questi soggetti sono emotivamente più sensibili, per cui stress, emozioni o prese di

responsabilità si scaricano in maniera somato-psichica sull’intestino, causando episodi di diarrea

soprattutto dopo i pasti. Allora i pazienti abbinano la sintomatologia col fatto che mangiano ma non sono

in grado di individuare l’alimento causante la sintomatologia. Altra cosa comune sono i pazienti obesi

che dicono di avere allergie alimentari perché non dimagriscono. E’ esattamente il contrario: se hai una

allergia alimentare, hai un deficit di assorbimento. Questo rende impossibile diventare obesi.

Prima dicevo che ci sono pochi alimenti che, spesso, danno allergia alimentare. Ve ne sono alcuni meno

frequenti ma quelli tipicamente responsabili di allergie alimentari sono : il latte, il tuorlo d’uovo, la soia,

il frumento, la frutta secca (arachidi, noci…), il pesce e i molluschi. Negli adulti ci sono anche i crostacei,

mentre nei bambini i più frequenti sono soprattutto latte e uova (nei bambini americani ci sono anche

le arachidi, sempre per il discorso del burro di arachidi che viene usato come merenda).

Nell’immagine (slide 10) è riportata la storia naturale di questi allergeni:

-l’albume d’uovo normalmente dà le sue manifestazioni tra i 6 mesi e i 2 anni di età ma intorno ai 7 anni

si risolve se il bambino viene messo a dieta

-il latte vaccino tra i 6 e 12 mesi, mentre intorno ai 5 anni la situazione si risolve se il bambino viene

messo a dieta

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-invece le allergie per la frutta secca (arachidi e noci) spesso diventano persistenti. Infatti solo il 10-20%

dei bambini che viene tenuto a dieta allontanando l’allergene, risolve l’allergia. La maggior parte se la

porta anche in età adulta

-poi abbiamo i semi di sesamo, il pesce e i molluschi (tipiche dell’adulto), il frumento, la soia e la frutta

(però della frutta parleremo a proposito della sindrome orale allergica).

L’impossibilità, da parte del paziente, di riconoscere un alimento responsabile è sinonimo di una

condizione di assenza di allergia alimentare. Perché, come abbiamo detto prima, l’allergia è

riproducibile. Quindi il paziente sa che ogni volta che mangia quell’alimento, qualcosa deve succedere.

Ora può essere lieve come può essere grave… ma qualcosa deve succedere! Quindi se nella storia clinica

vi dice di essere allergico ma non sa a quale alimento, verosimilmente non vi è alcuna allergia alimentare.

Domanda: professore come mai alcune insorgono nell’età adulta (come il pesce) e non sono presenti

nel bambino?

Risposta: la sensibilizzazione può avvenire anche dopo. Però gli allergeni differiscono tra i bambini e

gli adulti: bisogna considerare che l’adulto è sempre un adulto atopico e bisogna considerare anche

l’influenza ambientale dalla quale è avvenuta la sensibilizzazione, perché, se vi ricordate anche con gli

allergeni respiratori, abbiamo detto che gli skin-test non sono predittivi della gravità di manifestazioni

cliniche. Cioè si possono avere dei grossi skin-test e scarsi sintomi respiratori oppure piccoli skin-test e

paziente con asma grave (risposta, in generale, poco chiara). Qui è la stessa cosa, questi sono soggetti

comunque atopici che magari manifestano clinicamente l’allergia verso l’alimento tardivamente perché

in quella fase della vita è intervenuto un qualcosa che li ha sensibilizzati più facilmente. Tra i fattori che

possono influire sulla sensibilizzazione vi può essere una infiammazione temporanea dell’intestino: se

per esempio, il paziente ha una gastroenterite virale, l’infiammazione aumenta la permeabilità

dell’intestino. Se in quello stesso periodo il paziente mangia pesce più frequentemente, le molecole

possono passare più facilmente attraverso l’intestino e sensibilizzare il paziente che da quel momento

può avere una predisposizione all’intolleranza. Dopodiché interviene una componente ambientale che

fa si che si abbiano manifestazioni cliniche in un certo periodo della vita.

Altro esempio è l’intolleranza agli acari dell’età adulta: si fa pulizia in un armadio, si aprono le ante e si

inalano dermatofagoidi che generano reazione sintomatica. Prima magari non si generava alcuna

reazione semplicemente perché l’armadio veniva pulito dalla mamma.

Domanda: professore questo è lo stesso principio che ti permette di scoprire di essere celiaco a 40 anni?

Risposta: la malattia celiaca ha anch’essa uno spettro di manifestazioni variabili, nel senso che ci

possono essere manifestazioni molto blande fino al deperimento dovuto a un malassorbimento

evidente. Nelle forme molto blande, il paziente può avere iposideremia semplicemente perché il ferro

può essere la sostanza che inizialmente assorbe di meno. Allora, soprattutto nelle giovani donne che

hanno sideremia bassa spesso dovuta a cicli mestruali, l’iposideremia non viene manco presa in

considerazione. Poi magari, col passare del tempo, si sovrappongono altri eventi e la malattia celiaca

diventa più evidente. Magari si scopre che da una frattura per un trauma banale, la mineralizzazione

ossea è più bassa rispetto a quella prevista dall’età della paziente. Allora ferro basso e mineralizzazione

bassa possono far pensare a un deficit di assorbimento di questi nutrienti e si scopre che il paziente ha

la celiachia. Oppure la celiachia si può manifestare subito con sintomi importanti come diarrea,

malassorbimento, perdita di peso: il paziente in 2 mesi perde 10/15 kg e allora subito la individui. Però

anche questo dipende dalle influenze ambientali.

In ambulatorio, ad esempio, abbiamo visto un caso di malattia celiaca esordito tardivamente, intorno ai

35-36 anni, di una giovane donna che non aveva mai avuto problemi prima. Questa donna si era recata

a fare una gita in un agriturismo dove fanno la pasta a mano con la farina di loro produzione.

Presumibilmente la componente gliadinica era un po' più grezza rispetto a quella che si fa normalmente.

Poiché per 7 giorni aveva mangiato la pasta fatta con questa farina, la paziente ha cominciato ad avere

diarrea, deperimento, ipopotassiemia, anemia e poi si è scoperta la malattia celiaca. Fino a prima di

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andare in agriturismo non aveva niente, mangiava tranquillamente di tutto. Quindi insieme a una

influenza ambientale ci deve essere una componente genetica.

Vi dicevo che le manifestazioni cliniche variano ma sono sempre presenti, quindi riproducibili. Noi

possiamo avere manifestazioni che vanno dall’orticaria con il flushing (cioè eritema e prurito) al

broncospasmo, all’interessamento preminente solo del tubo digerente, quindi con diarrea, crampi,

vomito, nausea. Chi ha la dermatite atopica ha il peggioramento di quest’ultima o addirittura anafilassi

come primo episodio. Quindi il paziente mangia un alimento verso cui è allergico e magari non lo sa

ancora. Se gli va bene, inizialmente c’è solo orticaria, senza sintomi gastro-intestinali. Però poi la

seconda volta ne mangia un po' di più e gli viene anche la diarrea oltre all’orticaria, alla nausea, al vomito.

Ne mangia ancora di più e ai sintomi precedenti si può aggiungere l’anafilassi.

Quindi l’entità delle manifestazioni può variare da soggetto a soggetto anche in base alla quantità di

alimento che si ingerisce però la condizione è riproducibile. Per cui,

normalmente, quando si tratta di bambini, è sempre la mamma a notare

che il figlio ogni volta che mangia una torta contenente uova, ad esempio,

oppure una frittata, il bambino vomita o comincia ad avere macchie sulla

pelle. Da questo punto si fanno i test clinici e se sono correlabili alla storia

clinica, si può fare diagnosi di allergia alimentare.

L’immagine riporta i vari sistemi e riflette il fatto che le IgE sono

ubiquitarie e quindi ubiquitariamente si possono sensibilizzare con le

IgE nei confronti degli allergeni. Quindi noi abbiamo il mantello cutaneo

dove sono presenti IgE, mastcellule cutanee. Anche a livello dell’occhio, il

paziente può avere lacrimazione, prurito congiuntivale, si strofina gli

occhi anche perché ci sono mastcellule.

Può sembrare strano che un alimento possa dare manifestazioni lontano

dal tubo digerente ma è legato semplicemente al fatto che le mastcellule

si trovano dappertutto e possono essere armate con le IgE specifiche in

ogni sito dell’organismo perché le IgE prodotte dalle plasmacellule

circolano nel sangue e quindi vanno ad armare le mastcellule situate in

ogni organo.

Nel tratto respiratorio, invece, possiamo avere rinite, asma,

bronscospasmo anche severo, edema della glottide addirittura,

congestione della mucosa laringea e tosse, sintomi gastrointestinali.

Quando avviene il coinvolgimento anche del sistema cardiovascolare

(come avviene nello shock anafilattico) noi abbiamo degli avvii alla

caduta di pressione e questi pazienti, di conseguenza, vanno trattati

direttamente con adrenalina.

Per la diagnosi è necessaria anche una anamnesi accurata. Come dicevo prima, l’alimento deve essere

correlato anche all’età del paziente, in quanto alcuni alimenti sono tipici dell’età pediatrica e altri dell’età

adulta (è improbabile che un soggetto adulto, a 40/50 anni si sensibilizzi al latte se da piccolo non l’ha

mai avuta. Se ciò dovesse verificarsi, c’è da pensare più ad una intolleranza al lattosio piuttosto che ad

una allergia alimentare perché l’allergia al latte è tipica dei bambini). Quindi se il sintomo della reazione

avversa al latte lo cita un adulto è un conto, se lo fa un bambino è un altro. Nel bambino può essere

effettivamente un’allergia alimentare mentre in un adulto si tratta presumibilmente di intolleranza al

lattosio.

Poi dobbiamo considerare il tempo di comparsa della reazione allergica: dato che le IgE sono immediate,

entro 20 minuti dall’assunzione compaiono dei sintomi che devono essere riproducibili. Cioè

ogniqualvolta si mangia quell’alimento, abbiamo le manifestazioni. I sintomi che vengono riferiti devono

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rientrare nel quadro delle manifestazioni IgE mediate (e quindi le manifestazioni riportate in

precedenza: orticaria con prurito per il mantello cutaneo, broncospasmo per le vie aeree inferiori, rinite

per le vie aeree superiori, diarrea, nausea e vomito). Altre cose che vengono prese in considerazione

sono la sterilità e anche l’esposizione all’allergene. Per esempio è possibile che si abbia una reazione ad

alimenti anche per proteine aerosolizzate: i cuochi (ve lo dissi già quando facemmo la rinite allergica)

che sono allergici alla tropomiosina, cioè la proteina dei gamberetti, quando mettono a bollire i gamberi

o i frutti di mare, possono aerosolizzare la tropomiosina ed avere reazioni allergiche con manifestazioni

che saranno prevalentemente respiratorie perché gli allergeni entrano attraverso il respiratorio. Però

la sola manifestazione di broncospasmo, di rinite o di lacrimazione per esempio, può essere una

manifestazione da IgE alimentare senza manifestazioni gastrointestinali. Delle IgE cross-reattive

parleremo dopo.

Allora, come vi ho detto prima, lo skin-test per le allergie respiratorie è attendibile. Quindi se dobbiamo

fare diagnosi di allergie a pollini o a dermatofagoidi o a muffe, non abbiamo alcun problema perché lo

skin-test è attendibile.

Con le allergie alimentari il problema è più complesso, perché la predittività negativa è abbastanza

buona. Nel senso che se lo skin-test alimentare è negativo, il paziente verosimilmente non ha l’allergia

alimentare. Ma le positività dello skin-test non sono sempre attendibili. Esse vanno correlate alla storia

clinica perché ci sono delle condizioni di false positività legate a fenomeni di cross-reazione che vi dirò

tra poco. Quindi supponiamo che il bambino sia allergico al latte e che la mamma riferisca che al figlio,

ogni volta che beve il latte, viene l’orticaria o la diarrea (a seconda di quanto ne beve) mentre gli altri

alimenti non gli danno alcun problema. Siccome l’allergia si verifica solo per pochi alimenti, il genitore

(o la persona stessa, se si tratta di un adulto) riesce ad individuare il possibile colpevole. Facendo lo

skin-test e uscendo positivo, dato che la storia clinica è suggestiva, posso fare diagnosi di allergia.

Se lo skin-test è negativo, ci sono 2 possibilità: o la mia boccettina contenente la sostanza iniettata per il

test si è denaturata e allora si avrà un falso negativo e posso fare il cosiddetto “prick by prick”, cioè mi

faccio portare un po' di latte dalla mamma e gli faccio il test col latte fresco. Se il test sarà positivo, la

sostanza usata in precedenza si era denaturata e per questo veniva fuori la negatività.

Se nonostante la suggestività si ottiene un test negativo – credo si riferisca al prick by prick – si fa il test

del doppio cieco: né il medico né il bambino sanno cosa il paziente sta mangiando. Il medico non deve

saperlo perché se il paziente ha una manifestazione generica, quella stessa manifestazione potrebbe

essere interpretata erroneamente come manifestazione da allergia alimentare, in quanto al paziente

viene somministrato sia l’allergene sia il placebo. Nessuno dei due deve saperlo perché la valutazione

deve essere quanto più obiettiva possibile. Questo test è detto “doppio cieco controllato da placebo” che

si fa quando il paziente ha una storia suggestiva e gli skin-test sono negativi. Questo è un caso limite

perché normalmente esce uno skin-test positivo (sia quello con le boccettine sia quello con l’alimento

fresco) quando la storia clinica è suggestiva. Quando la storia non è suggestiva, si arriva alla fine del

protocollo facendo il test in doppio cieco: se il bambino ha avuto l’anafilassi, però, questo test non

possiamo farlo in quanto pericoloso. Infatti in questo caso, dando l’alimento anche in quantità minime,

si potrebbe scatenare l’anafilassi. Però bisogna superare questa situazione e dopo vediamo come farlo.

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Quindi il gold standard è DBPCFC (Double Blind, Placebo-Controlled Food Challenge), cioè il test

del doppio cieco controllato da placebo che si fa quando non si riesce ad arrivare a diagnosi di allergia

con skin-test, con paziente con storia suggestiva. Se la storia clinica non è suggestiva e lo skin-test è

negativo, allora mi fermo allo skin-test e non vado a fare il test del doppio cieco. Se, invece, ogni volta

che il paziente beve il latte succede qualche cosa di

grado variabile, bisogna andare avanti col protocollo

perché probabilmente non riesco ad individuarlo con lo

skin-test (tranne nei casi di anafilassi perché con

l’anafilassi c’è un rischio).

C’è un pediatra americano che ha valutato i livelli di IgE

sierici: invece di fare lo skin-test, misura le IgE

specifiche per un determinato alimento.

Questo

nell’immagine è

l’apparecchio

utilizzato per questa analisi, in dotazione anche al Policlinico. In

pratica il pediatra americano ha preso gli alimenti che

comunemente danno allergie alimentari nei bambini e ha misurato

il dosaggio delle IgE nel sangue, cioè quante IgE per quell’alimento

i bambini hanno nel sangue. Poi ha correlato questi valori di IgE

ottenuti con questo dosaggio con i valori ottenuti con il test in

doppio cieco: cioè ha visto quante IgE per quegli alimenti avevano

nel sangue i bambini che rispondevano al test in doppio cieco. In

questo modo ha sviluppato dei cut-off, cioè se il bambino ha dei

valori superiori al cut-off è inutile fare il doppio cieco perché il

bambino sarà sicuramente positivo. E quindi lui ha visto che se per

l’albume d’uovo si ha un valore superiore a 6 Kilounità di IgE

specifiche per litro (KU/liter), è inutile che gli faccio il test in

doppio cieco (o test di esposizione), perché il 95% dei bambini con

questo valore ha la risposta positiva al test. Con il latte il cut-off è

32, con le arachidi è 15, con il pesce è 20 e con le nocciole è 15.

Quindi lui per evitare di esporre i bambini a un pericolo di anafilassi col test in doppio cieco, misura le

IgE specifiche nel sangue e, se il valore è superiore a questo, certifica l’allergia alimentare (i bambini con

questi valori certamente daranno una reazione positiva al test di esposizione). Analogamente ha

individuato dei cut-off negativi: se per l’uovo è 0.6, è sicuramente negativo; se per il latte è 1, è

sicuramente negativo; se per il pesce è 5 è sicuramente negativo. Chiaramente ci sono delle zone

intermedie per cui non si sa se il paziente è positivo o negativo. In questo caso si discrimina un po’ in

base alla storia clinica del paziente e buon senso da parte del medico.

Addirittura lo ha fatto per i bambini al di sotto di 1 anno, proprio per evitare i problemi del test dello

scatenamento in vivo.

L’altra cosa fondamentale è che, quando noi prendiamo un alimento, non tutte le proteine contenute in

esso sono responsabili di allergia ma solamente una o poche proteine indurranno la produzione di IgE

contro di esse. Per questo ci sono i cosiddetti allergeni maggiori individuati per questi alimenti che

sono quelli verso cui si formano le IgE e che danno le manifestazioni sistemiche importanti, che possono

arrivare fino all’anafilassi. Poi ci sono delle proteine minori verso cui ci può essere una

sensibilizzazione ma che non danno manifestazioni sistemiche in quanto si tratta di proteine che

l’organismo riesce a degradare. Gli allergeni maggiori, al contrario, hanno la caratteristica di superare

la digestione pepsinica e quella acida dello stomaco e di arrivare a stimolare il sistema immunitario.

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Per fare un esempio: l’ovomucoide, che è l’allergene maggiore dell’albume, dà l’allergia addirittura anche

all’uovo cotto in quanto è termostabile, quindi non si denatura cuocendo l’uovo.

A voi non interessa sapere i valori-soglia di tutti gli

allergeni ma interessa sapere il concetto che

possiamo superare il problema del test in doppio

cieco conoscendo il valore delle IgE specifiche del

sangue per cui, se superiori a una certa soglia,

sappiamo che il bambino reagirà sicuramente.

Per il latte (vedi immagine) la caseina è la proteina

che dà stabilità al calore. Quindi anche se noi

riscaldiamo il latte o usiamo il latte per fare le torte,

se il bambino è allergico alla caseina, avrà l’allergia

nei confronti del latte . Viceversa, se il bambino è

allergico alla alfa-albumina o alla beta-lattoglobulina (che sono le altre due proteine verso cui si possono

fare le IgE) avrà una reazione al latte solo se il latte è crudo, in quanto queste proteine possono essere

denaturate dal calore. Quindi il latte contenuto nei dolci non gli darà problemi mentre il latte crudo potrà

dare sintomi.

Questa invece è la flowchart per

fare la diagnosi. Noi distinguiamo

2 possibilità:

una reazione che dà pericolo di

vita (anafilassi). Anche il

broncospasmo è una reazione per

la quale il doppio cieco non si fa

poiché il paziente potrebbe

morire soffocato. Nel caso in cui

siamo in una reazione che può

dare pericolo di vita

(anafilassi/broncospasmo),

allora si fanno gli skin-test o il

dosaggio delle IgE. Se sono

positive, si elimina l’alimento

dalla dieta e poi si vedrà più in là,

dopo un po' di anni, se il bambino

ha tollerato la situazione. Quindi se il test è positivo, lo usiamo per fare diagnosi. Se è negativo, dobbiamo

fare il test orale però non lo faremo prima di aver fatto il dosaggio delle IgE, perché nelle reazioni gravi

si rischia l’anafilassi del bambino. Se la storia per l’allergia alimentare è compatibile, facciamo sempre

gli skin-test oppure le IgE. Se è positivo, facciamo la stessa cosa: eliminiamo l’allergene dalla dieta e poi

vediamo, quando si fa grande, se lo tollera. Se è negativo, allora poi dovremmo fare o il “prick-by-prick”

per vedere se era denaturato oppure, un’altra cosa che si può fare prima di fare il test di esposizione è

provare ad eliminare l’allergene dalla dieta (quello sospetto), vedere se il bambino non ha più reazioni

e poi introdurlo dopo un mese per vedere se ha di nuovo reazioni. Se ha reazioni, allora c’è la possibilità

che il bambino sia allergico.

Veniamo adesso alla sindrome orale allergica, cioè quella limitata solamente alla mucosa del cavo

orale. È una situazione che normalmente è caratterizzata dal fatto che il soggetto è già sensibilizzato

verso i pollini. Questo perché tra i pollini e la frutta fresca ci possono essere proteine cross-reattive. Cioè

io mi sensibilizzo alle proteine dei pollini e tra queste ci sono delle proteine che sono simili per struttura

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a quelle che ci sono nella frutta fresca. Allora non è che io ho l’allergia alimentare perché mi sono

sensibilizzato all’alimento; ho la sindrome orale allergica perché mi sono sensibilizzato al polline. Ho

fatto le IgE anche nei confronti di proteine che normalmente sono condivise da certi alimenti che

esistono anche nella frutta fresca. Però queste proteine normalmente sono degradate appena passano

la mucosa orale, cioè si hanno manifestazioni di prurito solamente alla mucosa orale, alla lingua e al

palato. Le reazioni sistemiche non si manifestano.

Supponiamo che il paziente abbia una rinite allergica con asma per sensibilizzazione alla betulla, alle

graminacee, all’ambrosia o all’assenzio. Siccome questi allergeni respiratori possono dare anche una

sensibilizzazione verso le proteine cross-reattive della frutta fresca, chi è allergico alla betulla, ad

esempio, può avere una sindrome orale allergica quando mangia la mela o anche la ciliegia, l’albicocca,

la carota (per frequenza decrescente). Chi è sensibile all’ambrosia può avere sindrome orale allergica

quando mangia il melone (sia giallo che bianco) e la banana. Chi è allergico alle graminacee può avere

una reazione allergica al pomodoro, al kiwi, all’anguria e alla patata. Chi lo è all’assenzio può avere una

reazione al finocchio, alla carota e al prezzemolo. Chi è allergico al lattice in genere ha manifestazioni

alla frutta esotica, tipo alla banana, all’avocado, al kiwi e così via.

Domanda: professore ma si manifesta soltanto con prurito o anche con bolle?

Risposta: al massimo intorno alla bocca. Poi l’allergene viene eliminato.

Questo tipo di allergia, ve lo ricordo di nuovo, non è attraverso sensibilizzazione del tubo digerente ma

avviene attraverso i pollini. Questi possono avere una proteina cross-reattiva con la frutta fresca.

L’ultima cosa è il fatto che noi, poiché adesso conosciamo i geni maggiori e quelli minori (tipo questi che

danno le cross-reattività), conosciamo la sequenza proteica e quindi possiamo sintetizzarli in

laboratorio, possiamo fare dei test specifici di queste proteine in maniera tale da superare il problema

della diagnosi specifica. Se, per esempio, prendiamo una

pesca, vediamo che essa è costituita da un insieme di

proteine tutte diverse tra loro ma quelle che danno la

sensibilizzazione sono solo poche, sono ad esempio solo

quelle colorate. L’estratto che si usa tuttora prende

l’alimento e fa una soluzione di tutte le proteine presenti

in esso. Però come dicevo prima, la maggior parte di

queste sono inutili in quanto non generano

sensibilizzazione. Solo alcune sono responsabili, altre

sono cross-reattive (hanno lo stesso colore

nell’immagine perché le possiamo trovare in vari alimenti differenti ma con la stessa struttura). Quindi

adesso, da un singolo alimento posso derivare solo le proteine che mi interessano : le proteine maggiori

e le cross-reattive per capire se posso avere una reazione importante (nel caso di proteine maggiori)

oppure una reazione banale contro le cross-reattive.

Domanda: professore ma per quanto riguarda gli alimenti che presentano i residui tipo “può contenere

tracce di…”, tipo la nocciola nelle industrie in cui si produce gelato. La trovi un po' ovunque.

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Risposta: adesso lo mettono proprio perché chi ha l’allergia alimentare reagisce anche a bassissime

dosi. Adesso le industrie sono obbligate a dire che nella loro catena di montaggio non si fa solo

quell’alimento ma anche altri. Quindi ci può essere contaminazione perché può capitare che io, allergico

agli arachidi, mi prenda un sacchetto di patatine e mi viene una reazione. Tale reazione non è dovuta

alle patatine che ho sempre mangiato ma alla contaminazione da arachidi che vengono prodotti nella

stessa azienda che fa le patatine. Allora il paziente allergico si va a leggere l’etichetta perché se sa che

nella fabbrica delle patatine si fanno anche arachidi, egli evita di mangiare quelle patatine in quanto può

avere una ingestione inapparente perché ci sono tracce di quell’alimento verso cui è allergico anche se

il prodotto consumato è completamente differente.

Qui sono riportate le sigle di proteine che sono cross-

reattive tra la betulla, le arachidi e la soia. Noi adesso

le conosciamo e possiamo richiedere le IgE specifiche

proprio per queste molecole. Per cui se faccio un test

contro una molecola specifica ed esce positivo, so che

il paziente può avere una reazione sistemica

importante. Se invece gli cerco le IgE verso una

componente cross-reattiva, so che può essere una

reazione banale e quindi gli impedisco completamente di sottoporsi all’eliminazione dell’alimento. Ci

sono proteine stabili e labili. Adesso sono praticamente tutte identificate e quindi possiamo fare una

ricerca più precisa e sapere se il paziente è sensibilizzato per una proteina stabile, per una labile, per

una resistente al calore o non resistente al calore e, in base al risultato, stabilire se lo deve eliminare

totalmente o deve semplicemente stare attento perché le reazioni possono essere confinate. Oppure

basta che il paziente riscaldi l’alimento e non ha alcun effetto.

La proteina labile dà una reazione locale. La proteina stabile dà una reazione sistemica.

L’ultima cosa: diffidate da quei test di intolleranze alimentari che normalmente fanno i laboratori

privati, poiché non hanno alcun fondamento scientifico (tipo quello per l’elettrostimolazione dell’iride

o citotossicità). Gli unici test riconosciuti dalla comunità scientifica sono quelli per il glutine e il lattosio.

Tutti gli altri sono praticamente cose che fanno alcuni laboratori privati. Nessun laboratorio ospedaliero

fa questi test poiché non hanno alcun valore.

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Romano – Lezione 8 (11-04-17) – Dermatite allergica da contatto; dermatite atopica

Sbobinatore: Libero Cozzolino

Coordinatore: Annalisa Iorio

DERMATITE ALLERGICA DA CONTATTO

Oggi parleremo della dermatite allergica da contatto, una condizione che da un punto di vista obiettivo si presenta con l’eczema, così come la dermatite atopica. [Ritorneremo, inoltre, come concetti anche sulla dermatite atopica in modo tale che impariate a differenziare le due forme, altrimenti è possibile che facciate confusione]. La dermatite da contatto viene essenzialmente differenziata in due forme: una forma irritativa (definita dermatite irritativa da contatto), e una forma più propriamente allergica. Quest’ultima forma riconosce un meccanismo immunopatologico alla base della dermatite, mentre la dermatite irritativa da contatto è essenzialmente dovuta all’effetto irritativo di sostanze (in genere chimiche come detersivi e solventi) sulla cute. La dermatite irritativa da contatto è una situazione che si può tranquillamente ritrovare nelle casalinghe, che hanno a che fare con detersivi e disinfettanti, è irritativo anche il contatto con alcuni alimenti, per esempio l’aglio ,la cipolla, gli agrumi, il pomodoro sono tutte sostanze che presentano una componente acido-irritativa e una cute ripetutamente esposta a queste sollecitazioni può andare incontro a lesione (soprattutto se intervengono altri fattori come detergenti, solventi e così via). Questa forma non è immunologica e si può manifestare già al primo contatto senza una precedente sensibilizzazione. La dermatite allergica da contatto è una forma di dermatite il cui meccanismo immunopatologico è riconducibile ad una reazione di tipo 4,cioè ad una reazione di ipersensibilità ritardata. Chiaramente in questo caso dovremo avere una prima fase di sensibilizzazione, dopodiché ai successivi contatti con la sostanza verso cui si è avuto la sensibilizzazione, avremo la reazione. Non si tratta di antigeni completi, quelli che determinano la sensibilizzazione, ma si tratta di apteni cioè di piccole molecole che si legano a carrier proteici di grosse dimensioni, ad esempio l’albumina, e grazie a questi carrier acquistano l’immunogenicità, mentre da soli sono molecole troppo piccole per funzionare come antigeni. La patogenesi è quella dei meccanismi cellulo-mediati, quindi ritardati, per cui la sostanza penetra attraverso la superficie cutanea, perché essendo dermatite da contatto ci deve essere un contatto anche prolungato con la sostanza, dopodiché questa è captata dalle cellule presentanti l’antigene che la introducono e la presentano alle cellule T. Le cellule T proliferano, ricircolano e presentano anche una molecola di superficie che favorisce l’homing alla cute, vale a dire la distrettualizzazione alla cute. Chiaramente quando c’è una successiva esposizione, i linfociti sono già sensibilizzati, giungono nella regione dove c’è stato il contatto e favoriscono il rilascio di mediatori che portano all’infiammazione eczematosa. Questa reazione, essendo cellulo-mediata e quindi ritardata, necessita di diverse ore per manifestarsi (in genere dalle 8 alle 48 ore), a volte è molto più rapida e può manifestarsi entro 2/3 ore. La dermatite allergica da contatto è una condizione di facile riconoscimento perché con le caratteristiche cliniche e con l’anamnesi, anche in via presuntiva si può risalire all’agente determinante quindi all’aptene determinante la sensibilizzazione. Questo perché normalmente le manifestazioni, a meno che non si tratti di dermatite allergica da contatto severa che può essere diffusa in maniera sistemica sul mantello cutaneo, negli altri casi si localizzano nei punti di contatto e risalendo al punto di contatto si può determinare cosa ha determinato l’eczema. L’eczema è una dermatite eritemato-vescicolosa, cioè una reazione infiammatoria con la formazione di piccole vescicole a contenuto sieroso che poi si possono rompere e formare le croste, determinando anche una condizione particolarmente pruriginosa. Per la dermatite da contatto è necessario, oltre ovviamente all’anamnesi generale, anche l’anamnesi lavorativa perché alcune dermatiti da contatto sono legate al fatto che il soggetto maneggia sostanze tipiche dell’ambiente in cui lavora [come i muratori che maneggiano la calce, i lavoratori delle plastiche, gli odontotecnici, che hanno a che fare con le varie sostanze per la formazione delle protesi o i parrucchieri che hanno a che fare con tinture e shampoo. Inoltre anche lo sport può essere un veicolo di sensibilizzazione perché le sostanze utilizzate, per esempio le tute di spandex di materiale sintetico, possono sensibilizzare].

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Poi bisogna fare anche un’anamnesi che riguarda i cosmetici utilizzati ed è questo il motivo per il quale la dermatite da contatto è molto più frequente nelle donne che negli uomini. Infine anche gli oggetti di bigiotteria possono essere sensibilizzanti. Il sintomo clinico è il prurito, in alcune forme può essere preminente anche una sensazione di puntura, bruciore o addirittura dolore, però il prurito rimane il sintomo principale. Non bisogna sottovalutare il fatto che il paziente dichiari di non aver cambiato mai le sue abitudini perché la sensibilizzazione può avvenire anche anni dopo che si maneggiano sempre le stesse sostanze. L’anamnesi deve quindi tenere in considerazione anche gli oggetti che i pazienti maneggiano con maggiore frequenza perché la sensibilizzazione può avvenire anche anni dopo. I soggetti con la dermatite atopica hanno un aumentato rischio di avere una dermatite allergica da contatto soprattutto alle mani, questo perché chi ha una dermatite atopica ha già una lesione cutanea che può favorire più facilmente il passaggio di sostanze attraverso la cute e quindi generare una sensibilizzazione dei linfociti. Chi ha una dermatite atopica, quindi, può complicare l’eczema anche con una dermatite allergica da contatto, che sempre con l’eczema si manifesta, però poi bisogna andare a distinguere le due cose perché a volte la dermatite atopica può avere una localizzazione di eczema acuto in una sede, con tutte le altre sedi a riposo e bisogna andare a chiedersi perché solo in quella sede si è avuta la riacutizzazione e il motivo bisogna andare a ricercarlo in una sovrapposizione in quella zona di una dermatite allergica da contatto. L’esame obiettivo è importante, se diamo un’occhiata alla sede in cui la dermatite da contatto è localizzata, non avremo difficoltà ad immaginare quale possa essere stato l’agente sensibilizzante. Abbiamo detto che si tratta essenzialmente di eczema che poi può cronicizzare, e nella stessa maniera della dermatite atopica, la cute si può ispessire, si possono formare delle rughe, dei solchi su questa cute che prendono il nome di lichenificazione e chiaramente poiché si è cronicizzata, avremo la componente eritematosa che sfuma, quindi non abbiamo più il rosso vivo ma una lesione più rosea che rossa, perché l’infiammazione acuta evolve verso la forma cronica. La cute nelle forme croniche è anche secca, può essere fissurata, ci possono essere delle lesioni da grattamento sovrapposte e questa è una condizione che simula la dermatite atopica. Le localizzazioni tipiche per la dermatite allergica da contatto sono: le palpebre, il viso, le labbra, le mani, la superficie dorsale dei piedi, la superficie superiore della schiena e le parti prossimali e laterali degli arti superiori. Questo riflette la localizzazione delle sostanze che più frequentemente danno la dermatite da contatto e infatti, andando a vedere la distribuzione, c’è un maggior rischio per un certo allergene a seconda della localizzazione. In particolare, quando abbiamo la dermatite da contatto che interessa le labbra, chiaramente noi possiamo pensare ad esempio al burrocacao o il rossetto oppure anche i profumi e il nichel che è un metallo contenuto dappertutto e può anche dare una manifestazione a livello delle labbra. Per quanto riguarda le palpebre avremo anche qui il nichel come possibile agente, i profumi e poi la formaldeide che è contenuta nelle tinture per capelli e durante il processo di colorazione può interessare anche la regione frontale e le palpebre. Per quanto riguarda il viso, anche qui i profumi, il nichel, alcuni prodotti che contengono conservanti, ma anche shampoo, balsamo, i prodotti struccanti che possono determinare sensibilizzazione. Per le mani, il nichel è molto frequente, i componenti della gomma, poi ci sono anche categorie di lavoratori come i muratori che possono avere sensibilizzazioni a componenti della calce, in particolare il bicromato di potassio. Anche per i piedi, sulla superficie dorsale, possono essere o componenti della gomma oppure sostanze utilizzate per la concia delle pelli come nel caso dei mocassini quando li utilizziamo senza calzini perché la pelle è a contatto con la pelle dei mocassini e quindi le sostanze utilizzate per la concia delle pelli possono sensibilizzare la cute. Per le ascelle invece parliamo di profumi oppure di conservanti contenuti nei profumi. Per il collo sempre il nichel, i profumi, la formaldeide contenuta nella tintura dei capelli e le sostanze contenute negli smalti delle unghie per contatto accidentale. Questa (slide n°9) è la lesione della dermatite allergica da contatto che ricorda quella della dermatite atopica, vedete l’area eritematosa e le piccole vescicole ripiene di liquido ed è una lesione essenzialmente pruriginosa. Interessa l’avanbraccio ed è dovuta a componenti della gomma e quindi ai

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guanti di gomma. Questa (slide n°10) è una lesione molto limitata localizzata alla regione interna della coscia, era una paziente che utilizzava le calze e a rete ed è dovuta al ferretto che sosteneva le calze e che prendeva contatto con la faccia interna della coscia. Il nichel, contenuto in tutti gli oggetti di metallo, è responsabile di questa sensibilizzazione. Questa (slide n°11) è una reazione da dermatite atopica localizzata nella regione periorale delle labbra ed è dovuta ai componenti del rossetto o del burrocacao. Questa (slide n°12) è la regione laterale del collo, scende nella regione del torace, ha una colorazione giallastra dovuta alle vescicole che si rompono e si formano queste croste giallastre ed è dovuta ai profumi che si spruzzano a livello del collo e delle ascelle. Quindi osservando la zona colpita dalla dermatite è possibile sospettare l’agente responsabile. Questa (slide n°13) è una forma di dermatite da contatto particolare perché riproduce fedelmente la zona interessata dal contatto e sono praticamente i cerotti che vengono utilizzati in clinica dagli infermieri. Questo (slide n°14) è un caso di allergia ad una clip di un reggiseno e parliamo ancora una volta di allergia al nichel. Tutte le sostanze metalliche contengono nichel quindi quando c’è contatto con la sostanza metallica è quasi patognomonica la sensibilizzazione per il nichel. Questa (slide n°15) è una mano di un muratore allergico ai sali di cromo contenuti nella calce, in particolare il bicromato di potassio che si trova sia nella calce che nel materiale utilizzato nella concia delle pelli, quindi se trovate questa lesione anche al dorso del piede è una sensibilizzazione al bicromato di potassio, a meno che le scarpe non siano di gomma. È una situazione figurata perché la dermatite termina laddove termina il contatto con la pelle della scarpa. Quindi è una sensibilizzazione per lo stesso agente, il bicromato di potassio, però in un caso contenuto nella calce e in un altro utilizzato come componente per la concia delle pelli. Questa(slide n°17) è una dermatite da contatto sempre di natura lavorativa, su una paziente che lavorava in serra ed è una fitodermatite per il contatto con i pollini della pianta. Questa (slide n°18) è una dermatite da contatto in una bambina nella regione degli occhi e come vedete la dermatite si può anche estendere dalla regione periorbitaria al braccio perché se la sostanza passa nel sangue si può chiaramente diffondere dappertutto e si possono avere manifestazioni a distanza. Si tratta di una reazione dovuta alle gocce per l’occhio, in particolare collirio contenente neomicina. Quando viene messo nella congiuntiva, una parte passa nel sangue e si possono avere dei riflessi a distanza dovuti al passaggio in circolo della sostanza. Queste situazioni, a parte per la localizzazione, si riconoscono facilmente per l’anamnesi perché la madre della bambina ricorda di aver messo le gocce nell’occhio ed ovviamente non si tratta della prima goccia perché ci deve essere prima sensibilizzazione, è poi con le somministrazioni successive che si può avere una manifestazione. Questo (slide n°19) eritema e vescicole nella regione laterale della fronte, può essere dovuto a una tintura o ad uno shampoo, ma essendo un paziente maschile possiamo sospettare maggiormente che sia dovuto all’uso di uno shampoo e in particolare alla dimetilpropilammina contenuta nello shampoo. Questa (slide n°20) è una manifestazione dovuta sempre al nichel contenuto nella fibbia della cintura ed è anche questa figurata nella regione di contatto. Questa (slide n°21) è la regione del lobo auricolare, dovuta quindi all’orecchino e quindi dovuta al nichel. Questa (slide n°22) sempre figurata, dovuta alla montatura degli occhiali e sempre al nichel. Una volta sospettata la dermatite e individuato la presenza di un eczema in una determinata zona, la diagnosi deve essere corroborata da un test diagnostico. Il test che si utilizza nella dermatite allergica da contatto è il patch-test (slide n°23-24), importante per la differenziazione con la dermatite irritativa da contatto perché se ritorniamo all’esempio delle casalinghe che possono avere la dermatite alle mani, magari noi facciamo tutti i patch test che risultano negativi e questo ci differenzia le due condizioni. Alla casalinga diremo quindi di mettere dei guanti quando usa detergenti, solventi, detersivi per i piatti e quando taglia alcuni alimenti che possono avere un effetto irritativo sulla cute come cipolla, aglio, pomodoro e agrumi. L’approccio diagnostico per la dermatite allergica da contatto si fonda sull’applicazione dei patch test che sono dei dischetti rotondi su ognuno dei quali viene messa una goccia o comunque una piccola quantità di queste sostanze chimiche o metalli. Si applica in genere sulla cute del dorso e vengono letti dopo

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48/72 ore per permettere alla reazione di avvenire. Se dopo 48 ore sono negativi, si dirà al paziente di ritornare il giorno dopo perché si possono positivizzare con un po’ più di lentezza, sempre se il sospetto è molto forte per una determinata sostanza. Normalmente per coloro che non hanno una storia particolare, vale a dire che non hanno una professione che li espone a sostanze specifiche o che non hanno degli hobby particolari, si usa una serie standard composta da circa una trentina di sostanze tra sostanze chimiche, metalli e cosmetici e che dovrebbe coprire la stragrande maggioranza delle possibili sensibilizzazioni in un soggetto che conduce una vita senza particolari esposizioni. Oltre a questa serie standard, esistono poi delle serie professionali che possono essere fatte se c’è il sospetto di sensibilizzazione verso qualche sostanza meno frequentemente utilizzata, ma più specifica per una determinata professione. Quindi abbiamo la serie per i parrucchieri che contengono, oltre alle sostanze delle tinture o dello shampoo che troviamo anche nella serie standard, anche altre sostanze aggiunte. Per gli odontotecnici ed odontoiatri anche esiste una serie a parte. Così come esiste la serie delle gomme per i lavoratori della gomma, anche coloro che assemblano i cruscotti delle auto nella catena di montaggio che toccano sempre e solo i cruscotti di gomma, possono avere una sensibilizzazione a particolari sostanze che non sono presenti nella serie standard. Se il paziente ha una storia particolare, si utilizza la serie standard, la quale non è obbligatoria al 100%,vale a dire non bisogna utilizzare per forza tutti e 30 le sostanze perché se si ha il sospetto verso un singolo aptene, ad esempio il nichel, si può utilizzare anche solo ed esclusivamente il nichel. La serie standard si utilizza quando abbiamo una dermatite un po’ più estesa. Per evitare che ci siano anche altre situazioni correlate, si utilizza la serie standard. Una volta levati i cerotti, nelle zone in cui è avvenuta la reazione cellulo-mediata,si avrà la presenza di un eczema tondeggiante circoscritto, una piccola reazione in vivo ,come nel prick test, con la differenza che nel prick test abbiamo una reazione Ig-mediata, qui invece una reazione cellulo-mediata ed è per questo che dobbiamo aspettare 48/72 ore. Nella serie standard troviamo anche macchie dei vestiti, che non rappresentano positività, ma semplicemente macchie di coloranti dei tessuti dei vestiti che non devono essere confusi. La positività si ha solo in presenza di un eczema. Si darà poi un punteggio a questo patch test. Se c’è solo un lieve eritema, non possiamo dire che il test è positivo perché l’eczema deve avere le vescicole, quindi all’eritema singolo si mette un punto interrogativo perché potrebbe essere semplicemente un eritema irritativo dovuto al contatto per 72 ore con una sostanza estranea che potrebbe dare irritazione. È positiva solo se c’è l’eritema con l’infiltrazione ed eventualmente le papule, perché l’infiltrazione quando è marcata può dare la cute un po’ sopraelevata e mettendo il dito sentite che è infiltrata, cioè ci sono le cellule sotto e rappresenta la positività più banale. Qui (slide n°29) invece con due crocette abbiamo eritema e vescicole che possono andare anche oltre l’area del patch test, quando le vescicole si fondono insieme a formare delle bolle diamo 3 crocette al test. [Domanda di uno studente “Ma il primo caso come si interpreta?” risposta del professore “dubbio, sicuramente non positivo ed eventualmente da riverificare. Si può anche rimettere dopo un po’ di tempo lo stesso test per rivedere, però se la storia non dà sospetti lo date direttamente negativo”]. Questa (slide n°28) è una reazione con una solo crocetta, vale a dire con un eritema e vescicola singole, ovviamente la regione è infiltrata. Qui (slide n°29) ci sono molte più vescicole, quindi praticamente diamo due crocette a questa reazione. Questa (slide n°30) invece è una reazione con la presenza anche di bolle e vengono date 3 crocette. La terapia della dermatite da contatto si basa sull’allontanamento dell’allergene e quindi in questo caso dell’aptene. Chiaramente dipende dalla profilassi delle manifestazioni. Il trattamento si basa sull’uso di antistaminici per placare il prurito però per togliere l’infiltrazione vi è bisogno sempre degli steroidi topici che messi sulla zona della dermatite, vengono assorbiti ed essendo linfocitolitici ammazzano i linfociti responsabili di queste reazioni immunopatologiche. Qui non abbiamo necessità di darlo per via orale perché le lesioni in genere sono confinate a zone di cute perlopiù ristrette, tranne nelle forme diffuse di dermatite da contatto, e quindi usiamo creme al cortisone. In genere bastano 5-7 giorni di applicazione mattina e sera e la dermatite va via. Il paziente prende gli antistaminici per placare il prurito, ma una volta che la dermatite va via scompare anche il prurito.

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Poi c’è la questione di evitare l’allergene, l’aptene. Dipende molto da qual è l’agente responsabile, per la bigiotteria, ad esempio, i soggetti che hanno una reazione al nichel, non dovrebbero mettere più bigiotteria e sono costretti a mettere l’oro. (Chiaramente camminare con oggetti d’oro al centro di Napoli non so quanto sia salutare). [Domanda di una studentessa “Perché l’argento dà la stessa reazione che dà il nichel?”. Risposta del professore “Perché c’è una componente di nichel anche nell’argento, però non tutto l’argento, perché quanto più puro è l’argento tanto meno rischi si hanno per la dermatite da contatto, dipende dalla percentuale”]. L’oro in genere non dà questa situazione. Il problema è per chi ha un’attività professionale e deve stare per forza in contatto con quella sostanza, allora spesso deve utilizzare guanti di protezione, in genere si usano guanti di cotone prima e gomma poi, per evitare ulteriori sensibilizzazioni perché i guanti di cotone proteggono il paziente anche da quelli di gomma. Per alcune professioni può essere anche scomodo però è l’unica maniera per evitare il ritorno della dermatite. DERMATITE ATOPICA Torniamo brevemente sulla dermatite atopica e farvi vedere come differenziare la dermatite atopica con la dermatite allergica da contatto, altrimenti può succedere che confondiate le due cose. Si tratta di eczema in entrambi i casi, però adesso che abbiamo visto entrambi, possiamo vedere meglio le differenze, perché la dermatite atopica la troviamo nel bambino, mentre la dermatite da contatto è essenzialmente dell’adulto. Il bambino con la dermatite atopica può avere una sensibilizzazione da contatto se la zona della dermatite atopica va a sottoporsi a contatto frequente con qualche sostanza. La dermatite atopica ha una storia di atopia, condizione che non troviamo nella dermatite da contatto perché la dermatite da contatto è cellulo-mediata. La dermatite atopica invece ha dietro una storia familiare di atopia, i genitori con la rinite allergica, con l’asma allergica e il bambino con la dermatite atopica può avere anche le allergie respiratorie ed è una condizione che si caratterizza per un meccanismo IgE mediato, anche se questa è a patogenesi mista. Inoltre la dermatite atopica si chiama così anche se solo il 75% dei bambini alla diagnosi ha una storia di atopia alla base, il 25% non ce l’ha però può svilupparla con il tempo. I bambini tra i 3 e i 6 mesi ed entro i 5 anni di età hanno la dermatite atopica. La patogenesi è differente perché si parte nella dermatite atopica da un problema probabilmente di barriera cutanea, anche se non è stato individuato con certezza, vale a dire che i bambini per motivi genetici e ambientali hanno una barriera epiteliale non perfetta e da qui avviene la lesione dei cheratinociti da cui parte tutto il processo infiammatorio che prevede il reclutamento delle cellule T, per lo più Th2, il rilascio di citochine e l’intervento delle IgE. Quindi un meccanismo patogenetico misto, in parte cellulo mediato e in parte IgE mediato. Nella forma acuta l’infiammazione è dominata dai T helper, in particolare T helper 2 e T helper 17,mentre nella forma cronica c’è tutta la serie di T helper interessati,Th1, Th2,Th17 e Th22, quindi interessa entrambi i bracci del sistema immunitario, quello dedito alla lotta contro le infezione e quello dell’atopia. Il prurito è la caratteristica fondamentale, questo si trova anche nella dermatite da contatto, e i soggetti sono perlopiù bambini con un interessamento del viso, delle superfici estensorie degli arti, il cuoio capelluto. Man mano che si fanno grandi, la dermatite si localizza alle regioni flessurali e soprattutto ai cavi poplitei e pieghe antecubitali (tipica manifestazione anche nell’adulto). Questa (slide n°11) con localizzazione solo sulle mani, è dermatite atopica, però se in altre regioni non troviamo la stessa manifestazione, dobbiamo pensare che in quella zona potrebbe essersi sovrapposto un problema di dermatite allergica da contatto. Poiché la patogenesi di questa dermatite prevede che ci sia un’interruzione della barriera cutanea è facile che nelle zone di dermatite atopica si sia avuta una sensibilizzazione e se il bambino gioca di continuo con materiale di metallo, dobbiamo pensare che abbia una dermatite al nichel sovrapposta alla dermatite atopica. Questa (slide n°12) è la forma lichenificata, tardiva, l’eritema è scarso e ci sono soprattutto le pieghe cutanee più marcate con la cute ispessita e la pelle secca. Stessa cosa qui (slide n°13), l’eritema è più roseo, quindi è una forma subacuta e con la presenza di

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escoriazioni dovute al grattamento, forma lichenificata con pieghe cutanee e aspetto della cute acciottolato, proprio a causa dell’ispessimento nella regione dei cheratinociti ed è tipico dei bambini. Questa (slide n°16) è la regione poplitea, quindi le localizzazioni qui sono in genere fisse, negli adulti pieghe antecubitali e pieghe poplitee e nei bambini volto, guance e superfici estensorie degli arti. Invece nella dermatite da contatto la localizzazione dipende dalla zona in cui si ha più frequentemente il contatto con la sostanza sensibilizzante, però parliamo in genere di adulti. Questo (slide n°17) è un soggetto adulto che ha avuto una dermatite da contatto da piccolo. Un altro segno è la perdita delle ciglia nella regione laterale causato dallo sfregamento dovuto al prurito e questo segno lo si può ritrovare sia nell’adulto che nel bambino che ha la dermatite atopica. Altra forma è la lichenificazione alle braccia. Un altro segno è il dermografismo bianco, vale a dire che se andiamo con una punta smussa, si ha vasocostrizione con la formazione di strie bianche, al contrario di strie rosse come dovrebbe normalmente accadere. Queste (slide n°22/23) sono le possibili sovrainfezioni, quindi qui (slide n°22) abbiamo l’herpes, che normalmente non significa dermatite da contatto, e qui (slide n°23) sia herpes che stafilococco, batterio che si trova normalmente sulla cute. La dermatite atopica, se il bambino ha l’allergia alimentare concomitante che può essere la cosiddetta marcia allergica, se mangio quell’alimento a cui sono allergico, la dermatite atopica peggiora. Nella dermatite da contatto questo non accade, perché è il contatto a determinare la reazione. La dermatite atopica anche con il contatto con gli aereoallergeni come il polline può peggiorare, ovviamente questo non succede con la dermatite da contatto. Questa (slide n°26) è una dermatite atopica che peggiora durante il periodo primaverile perché c’è il contatto con i pollini nella cute della regione periorbitale. La terapia è la stessa, si usano gli steroidi topici perché la dermatite atopica prevede l’infiltrazione di cellule nella regione interessata, si danno anche qui antistaminici per alleviare il prurito e per la pelle secca si usano anche sostanze per idratare la cute. Nelle forme resistenti si usano anche gli immunosoppressori. [L’atopia è il requisito per avere l’allergia, è quella caratteristica del soggetto che ti fa fare le IgE contro un antigene invece che le IgG. Ad esempio se io non sono atopico e respiro i pollini non faccio le IgE contro i pollini e quindi non avrò mai la rinite allergica. Se tu sei atopico, quando arrivano i pollini farai le IgE contro i pollini e le IgE andranno sulle mastocellule e ad un successivo contatto con i pollini avrai la liberazioni del contenuto delle mastocellule con manifestazioni di riniti e di asma a seconda del tuo fenotipo clinico. Solo l’atopico fa le IgE contro gli antigeni respiratori e gli antigeni alimentari.]

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Romano – Lezione 9 (20-04-17) – Prove allergiche

Sbobinatore: Emilio Coviello (in questi primi minuti l’audio è poco chiaro e disturbato da un brusio di sottofondo proveniente dall’esterno e dai ragazzi della prima fila, chiedo scusa quindi per le parti incomprensibili) prof: Che sintomi ha la dermatite atopica? -studente: E’ molto accentuata soprattutto nelle stagioni di transizione ad esempio, primavera ed autunno, manifestazioni soprattutto diciamo “in zone”, però anche rinite allergica, il prof. fa un’altra domanda che non si riesce a sentire. -lo studente risponde: ehm nelle pliche, soprattutto interno coscia Allora i test sono praticamente vediamo. Io vi ho detto che facciamo una batteria di test che coprono la maggior parte delle sensibilizzazioni per quanto riguarda l’area geografica in cui uno si trova ad operare, ogni boccetta praticamente contiene un estratto di un allergene, l’estratto come vi dissi, consiste nell’ottenimento di una miscela di proteine dall’allergene (quindi non c’è una singola proteina ma c’è una serie di proteine che compongono l’agente responsabile). Qui per esempio abbiamo le graminacee e vediamo cos’è stato fatto, hanno preso le erbe delle graminacee le hanno maciullate, hanno fatto il passaggio in acqua ed alcool per ottenere le proteine idro e liposolubili e poi hanno fatto una soluzione acquosa di tutte queste proteine, quindi ci sono tutte le proteine che sono state ottenute da questo processo (ovviamente chi è sensibilizzato verso i pollini di graminacee ha una reattività nei confronti di poche proteine, non di tutte le proteine delle piante, quindi quì dentro ci sono anche le proteine verso le quali il soggetto non è sensibilizzato, ci possono essere proteine costituzionali della pianta che hanno altri significati), però da ricordare che c’è anche la proteina allergica). Quindi l’estratto significa essenzialmente che abbiamo una miscela di proteine derivanti da una determinata sostanza che può dare sensibilizzazione. Questo per differenziarlo come vi dissi l’altra volta dall’allergene ricombinante, perché quest’ultimo è quello riconosciuto responsabile della sensibilizzazione, che è stato sequenziato, si può sintetizzare in vitro e quindi possiamo avere anche degli estratti delle soluzioni del singolo allergene dominante. ok? Per il momento sono ancora in voga gli estratti globali però in futuro si utilizzeranno essenzialmente solo gli allergeni dominanti, riconosciuti, sequenziati e quindi sintetizzati in laboratorio, non ci sarà più bisogno di maciullare la pianta per ottenere la miscela mista ma si farà la sintesi in laboratorio! SQUILLA IL CELL E PARLA AL TELEFONO… Allora queste praticamente sono le graminacee per gli allergeni respiratori la batteria prevede: graminacee (sulle erbe dei campi, le erbe incolte insomma) poi le composite che sono le erbe che fioriscono a fine estate come l’assenzio, poi l’ulivo (il polline chiaramente dell’albero), il cipresso, il nocciolo, la paritaria o erba vetriola, i due acari, …indecifrabile… della polvere, i derivati epidermici di animali domestici (per chi ha cane e gatto) e poi le muffe (in particolare l’alternaria che si trova nelle cantine). —> con questo pannello la maggior parte delle sensibilizzazioni le individuiamo, quindi se un soggetto è atopico, ha una rinite allergica o una manifestazione respiratoria alla fine deve uscire positiva una di queste. Allora il test come si fa: si pone una goccia.. perché il principio è : se il soggetto ha i mastociti cutanei sensibilizzati cioè con le IgE specifiche per quell’allergene, quando io lo metto in contatto con l’allergene, avrò una piccola reazione di degranulazione in vivo, circoscritta perché ho messo una piccola goccia - se non ce li ha e ha quindi IgE associate ad altri antigeni non avremo nulla. Le gocce vanno messe almeno a 2 cm dal cavo del gomito e dal polso per avere un omogeneità di risposta, perché agisce in maniera differente e quindi si segnano…. Poi ogni allergene va distanziata, ogni gocciolina, di almeno un paio di cm perché quando ci sono reazioni molto intense c’è rischio che sconfinino, perciò diamo un margine per evitare che vengano interessati siti..(2 min di silenzio a caso..)

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Posso mettere anche due file sullo stesso braccio l’importante sono i 2 cm l’una dall’altra.. (altri min di silenzio a caso) Allora poi, questi sono gli aghetti che si usano per pungere, vedete che la punta è millimetrica di plastica, perché deve andare solo agli strati superficiali dove ci sono insomma INDECIFRABILE. Una volta fatto questo ed aver fato entrare la goccia, la “cosa” si può togliere subito, non c’è necessita che il braccio resti bloccato per via del test. Poi ci sono 2 controlli: 1-negativo: il liquido che utilizziamo per la sospensione degli allergeni. 2-positivo è l’istamina, quello che rilasciano le cell. Qua posso usare lo stesso ago, non posso fare l’inverso altrimenti I N D E C I F R A B I L E. Poiché sono reazioni per sensibilità immediata nel giro di 10 min noi dovremmo avere la reazione. I controlli sono necessari perché: -il controllo negativo, perché se ha iperattività cutanea, un dermografismo, soffre di orticaria, quindi soprattuto le forme fisiche che basta che uno ha un trauma e abbiamo la comparsa del pomfo anche in questo caso facendo un piccolo trauma con l’ago se ha un iperattività mi fa un pomo sul negativo quindi mi inficia la lettura degli altri perché se il negativo mi diventa positivo non so se questi sono davvero positivi. ESPERIMENTO SU UNO STUDENTE Questi poi vi dicevo che si graduano in base all’istamina, si da sempre 3 crocette all’istamina, e se questi sono uguali si da 3 (tre crocette , quindi lo stesso punteggio), se sono più grandi si da 4, se sono grandi la metà si da 2, se inferiore a 3 mm si da una crocetta —> una maniera di catalogare che non ha alcuna relazione con la manifestazione clinica (non ha rilevanza dal punto di vista clinico pratico, infatti ci sono soggetti che hanno piccoli pomfi ma una forte sintomatologia respiratoria, e altri con pomfi di dimensioni grandi ma una ridotta sintomatologia). Ci sono anche soggetti che non sanno di essere atopici, risultano positivi ai test ma non hanno sintomi, quindi è un metodo di punteggio ma non ha alcuna correlazione con la manifestazione clinica, es: non è che se ho 4 crocette verso gli acari sono iperallergico, NO è semplicemente un metodo per stabilire la sensibilizzazione. L’altra cosa, per quanto riguarda le allergie respiratorie è il numero di allergeni verso cui una persona può essere sensibilizzata, perché un vostro collega chiedeva che implicazione ha, essere sensibili a uno solo o più allergeni. L’implicazione riguarda l’immunoterapia specifica, il cosiddetto vaccino, perché si trattano con la terapia sempre nella stessa maniera, che essi siano mono o polisensibili, cioè se è una rinite allergica la trattiamo con antistaminici e inalazioni di steroidi (terapia standard) per annullare le infiltrazioni infiammatorie della mucosa nasale ( altrimenti poi ci sono delle complicanze e può addirittura presentarsi l’asma in un soggetto che non ce l’ha ancora). Invece la differenza tra mono e polisensibili è importante nell’immunoterapia, questa si fa quando la terapia standard sopraindicata non è sufficiente. Può essere considerato il vaccino infatti in quei soggetti che non rispondono alla terapia standard, solo però, se il paziente è mono o al massimo sensibile a due allergeni, perché se sono più di due dal punto di vista pratico diventa difficile effettuarla. Non è possibile per le persone allergiche a più di due allergeni, perché il principio si basa sul far assumere al paziente allergene in dosi crescenti, all’inizio con una certa frequenza fino a raggiungere la dose di mantenimento e poi costantemente per 3/5 anni, quindi farlo per due allergeni è gia fin troppo, se sono più di due no. Poi c’è la componente ETA’ perché gli adolescenti rispondono all’immunità specifica in modo migliore degli adulti (pur avendo negli adulti il suo beneficio) e siccome costa, e la regione Campania non passa a differenza di altre, e quindi fare immunoterapia già è costoso poi moltiplicato per 5 anni e per due

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allergeni, ecco.. quindi la polisensibilità serve per escludere la possibilità di fare immunoterapia se il paziente ha una rinite allergica severa o un’asma allergico severo che può essere una delle possibili armi a disposizione. - studente: non esiste un metodo per capire nei polisensibili, la rinite da quale di quelli allergeni è causata? così si potrebbe curare solo quello. -prof: in genere la reattività è verso gli allergeni verso cui uno è positivo, e la conferma te la da il paziente raccontandoti lo sviluppo temporale delle manifestazioni. Per esempio se lui ha gli acari e la paritaria ma ha sintomi solo in primavera, sono parietarie. Se invece ha sia in primavera che negli altri periodi dell’anno i sintomi allora possono essere entrambi responsabili e quindi per forza devi fare la terapia per entrambi gli allergeni. -studente: nemmeno con indagini strumentali? -prof: NO, devi essere tu a correlare le manifestazioni cliniche. SQUILLA IL TEL: MOMENTO DI CONFUSIONE Quindi il controllo -Negativo ci serve per capire se c’è iperattività cutanea, il Positivo invece, per interpretare meglio il risultato qualora il paziente è sotto terapia che può bloccare la reattività. (IL PROF VALUTA L’ESPERIMENTO DI PROVE ALLERGICHE EFFETTUATO SU CLEMENTE GAGLIARDO: chiedere a lui per delucidazioni) Allora questo per quanto riguarda i test respiratori, e sono comodi perché abbiamo risposta entro 10 min perché l’alternativa sono le IgE specifiche sul sangue che richiede tempi di attesa più lunghi tra prelievo, trasporto ecc. e aumentano anche i costi di queste ultime indagini. Le IgE specifiche vi possono meglio quantizzare il tatto perché vi ho detto, questo è uno score semiquantitativo che noi lo facciamo sulla base della positività all’istamina. Si fa “a vista”, mentre con le IgE invece abbiamo il dosaggio specifico, però analogamente a quanto abbiamo detto prima, non sempre c’è la correlazione clinica tra positività e sintomi. Il dosaggio di queste IgE può anche essere utile poi per il monitoraggio dell’efficacia dell’immunoterapia perché le persone che rispondono alla terapia, diminuiscono le IgE verso quell’allergene ed aumentano le IgG. Però per valutare l’efficacia della terapia si osservano principalmente i cambiamenti sintomatici in senso di “miglioramenti”. Quindi questi sono attendibili per quel che concerne le analisi delle allergie respiratorie, lo facciamo per la rinite e per l’asma allergico ( se il paziente ha l’asma ma i test sono negativi pensiamo ad altre forme di asma: intrinseco che è la forma più comune, presente tutto l’anno, poi ancora dal reflusso gastroesofageo, da aspirina, da esercizio fisico. Se non è nessuno di questi allora se non è estrinseco, in genere è intrinseco. Il problema viene invece con gli allergeni alimentari, noi abbiamo gli allergeni alimentari e anche qui abbiamo una batteria che ricopre i più comuni, però siccome vi ho detto riguardo a questi che è una condizione riproducibile e limitata a 1 o 2 alimenti in genere, è il paziente stesso che li individua, quindi abbiamo sì, questa batteria che possiamo utilizzare come screening ma senza manifestazioni cliniche non ha alcun significato. Allora, INDECIFRABILE il frumento contenuto nel pane, nella pasta, nella pizza ecc. Però qual’è il problema, è che come vi ho detto gli allergeni alimentari non sono sempre attendibili, per esempio, se una persona è allergica alle graminacee e in questo momento è sotto antistaminico quindi non possiamo, avere variazioni marcate però le graminacee se vi ricordate, le spighette fanno parte delle graminacee quindi praticamente anche il frumento ha delle proteine in comune con le graminacee. Ci sono delle proteine che sono labili e quindi non sensibilizzano l’epitelio del tubo digerente, si chiamano “proteinine”, può succedere che questo soggetto essendo allergico alle graminacee abbia una possibilità anche per le proteine presenti nel frumento. Se io metto un estratto del frumento lui mi può dare positività, pero mangia pizza,pasta senza alcun problema (quindi positività al test che non è reale

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perché il sogg è senza manifestazioni cliniche). I test alimentari quindi come abbiamo detto, sono meno attendibili perché ci sono alcune proteine che essendo labili vengono distrutte prima di raggiungere il tubo digerente, dall’acidita dello stomaco e dalla pepsina, quindi il paziente non avrà sensibilizzazione ( manifestazione clinica) pur risultando positivo al test. Quindi per le allergie alimentari bisogna far attenzione quando si interpretano i test, perché positività non significa necessariamente reattività clinica. Viceversa la Negatività è molto più attendibile ed un soggetto negativo al test sarà quasi sicuramente sarà una vera negatività, quindi senza allergia alimentare, mentre come gia spiegato è la positività che deve essere inquadrata e se c’è positività al test bisogna che ci sia correlazione clinica ( se non c’è non possiamo indicare al paziente di evitare determinati alimenti con frumento) non dobbiamo etichettare come soggetto allergico, un soggetto senza manifestazione clinica. Vi dicevo della frutta fresca che alle volte cross reagisce (crossa) con i pollini, ad esempio la paritaria che può avere una cross-reazione con proteine dell’anguria e quindi può uscire positivo il test per l’anguria in soggetti che non sono allergici. Nelle allergie alimentari è sempre il paziente a farvi presente che ogni qualvolta che mangia un determinato alimento, ha una reazione, per questo il test positivo va interpretato sempre sulla base delle manifestazioni cliniche. Le allergie alimentari nell’adulto sono per lo più crostacei e frutta secca (noci nocciole e arachide) se queste sono positive e c’è anche storia clinica è possibile la correlazione. Per i bambini: latte, uova, pesce e chiaramente solo se il test è positivo con storia clinica positiva si può considerare; proprio per questo non serve fare dei test a tappeto (nelle allergie alimentari) cioè se il paziente ha solo sintomi respiratori ed un genitore chiede di fare anche quelle alimentari, non ha senso farle perché non c’è manifestazione e quindi reattività clinica documentata (altrimenti si insinua un tarlo nella mente del paziente che non capisce perché il medico gli ha indicato di poter continuare ad assumere determinati alimenti nonostante positivo al test). QUINDI SE NON VI SONO MANIFESTAZIONI CLINICHE NOI IL TEST PER LE ALLERGIE ALIMENTARI NON LO FACCIAMO!!! Altra cosa è che a volte ci può essere reattività verso la frutta fresca reale (esempio la pesca) che però poiché anche le proteine della pesca vengono degradate facilmente avremo sintomi solo localizzati alla mucosa orale, con prurito e arrossamento. Se il test con la pesca risulta negativo possiamo fare anche il test con alimenti freschi perché gli allergeni essendo labili si possono degradare anche in provetta, quindi se ha storia ma test negativo per essere più certi chiediamo al paziente di portare con se una pesca e intingiamo l?aghetto nella pesca subito prima di fare il prick. In questa maniera stiamo utilizzando allergene fresco (non denaturato) e se positivo ci sarà una risposta positiva, questo test si chiama Prick by Prick test. Questa tecnica si utilizza quindi soprattuto con frutta e verdura in pazienti con storia positiva ma con test negativo, ricorrendo ad allergeni freschi, portando l’alimento in ambulatorio. Altra cosa importante degli allergeni alimentari, è che il test definitivo comunque è il test di somministrazione dell’alimento doppio cieco controllato con placebo, test fatto essenzialmente dai pediatri poiché le allergie alimentari sono più frequenti nei bambini e lo fanno quando non si giunge ad una conclusione (risultando sempre negativo il test, anche con gli alimenti freschi, pur avendo un soggetto che presenta storia clinica) questa è l’ultima possibilità. Vediamo il test “doppio cieco controllato da placebo”: al bambino in un mezzo inerte (sostanza gelatinosa tipo yogurt) si nasconde l’alimento in dosi crescenti, però alcune di queste dosi sono intramezzate da placebo, ma non si sa quali sono (ne il medico ne il paziente) perché preparati da personale estero in altra sede. Se il medico dovesse saperlo potrebbe essere influenzato nell’interpretazione del sintomo, perché il bambino può anche dire “mi fa venire la nausea” ma semplicemente perché non gli piace la consistenza ed il medico può essere fuorviato, quindi il fatto che il pediatra non lo sappia annulla la possibilità di essere influenzato. Quindi quando c’è positività di storia clinica, i test convenzionali sono negativi, sono negativi anche quelli con alimenti freschi, ci serviamo del “doppio cieco..” che però NON si fa quando la reazione descritta dalla mamma del bambino corrisponde ad un’anafilassi, perché se lo fosse il bambino rischia di nuovo l’anafilassi.

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Altra cosa che possiamo fare per ovviare a questo test doppio cieco è misurare le IgE specifiche, quindi fare un test su sangue perché per gli alimenti più comuni(pesce, frutta secca, latteuova ) sono stati definiti dei cut off, dei valori oltre i quali o a parità dei quali il bambino nel 95% dei casi scatenerà reazione al test del doppio cieco. Un esempio è una madre che percepisce una reazione del figlio verso il latte e la riferisce al medico, il quale non vuole esporre il paziente al test del doppio cieco, e valuterà quindi le IgE specifiche, che nel caso del latte hanno un cut off di 32 ku/L, quindi se il bambino avrà più di 32 IgE specifiche, sarà sicuramente reattivo al test del doppio cieco che in questo modo abbiamo ovviato. E’ da ricordare però che le IgE specifiche sono state valutate solo per gli alimenti più comuni (limite di questo test), se c’è un alimento meno frequente quindi non si può ovviare il doppio cieco, che andrà per forza di cose effettuato. Quindi ricapitolando, il problema degli allergeni alimentari è la FALSA POSITIVITA’, che può essere data ad esempio dalla cross reazione con allergeni respiratori e quindi SOLO la storia clinica compatibile al test positivo ci darà conferma definitiva, se ci sono casi dubbi facciamo il “doppio cieco” e se infine si tratta di un alimento comune, evitiamo quest’ultimo e procediamo con la quantificazione delle IgE specifiche. Prima di chiudere vi indico quelli che facciamo normalmente: frumento (può avere cross reattività con le graminacee), pomodoro, poi abbiamo per il latte due allergeni, la lattoalbumina e la caseina ( la differenza è che la prima si denatura con il calore quindi se il paziente è allergico al latte avrà reazione solo se lo beve fresco, la Caseina invece è termostabile e quindi anche il latte caldo o nei dolci porterà ad una reattività) poi albume d’uovo (allergene dell’uovo a differenza del tuorlo, anche qui con proteine termo stabili e labili, quindi con reattività ad uova fresche o cotte al variare di quale proteina siamo allergici), mix di carni ( molto rara), mais, frutti esotici ( kiwi, ananas e banana, qui abbiamo una cross-reattività con il lattice cioè i pazienti allergici al lattice possono avere una cross-reattività questa volta clinicamente manifesta con i frutti esotici, per la presenza di una proteina cross-reattiva), crostacei ( chi ha gli acari può avere una cross-reazione con i crostacei perché la tropomiosina contenuta negli acari è presente anche nel carapace dei crostacei, è simile diciamo), la pesca (ricordatevi la possibilità del prick by prick in questo alimento e negli altri con proteine termolabili), mix di pesci ( la proteina in comune è la parvalbumina, chiamata così perché più piccola rispetto a quella umana, se volete farlo su sangue insomma è questo l’allergene), mix di frutta fresca ( albicocche, pesca, prugna), le solanacee ( peperoni,patate,pomodori e melanzane). RICORDATE ragazzi questi li teniamo, NON per fare screening, ma per testare in caso di pazienti con sintomatologia, perché per l’allergia alimentare valgono i sintomi, mentre per l’allergia respiratoria uno può essere atipico e non avere manifestazioni, ma prima o poi le presenterà, mentre in quelle alimentari dobbiamo avere i sintomi. Ultima cosa per chiudere sugli alimenti è che possono essere usati per una rara sindrome che si chiama “anafilassi da sforzo fisico alimento dipendente” (la faremo domani con le anafilassi), condizione rara che però va conosciuta per poter indirizzare il paziente al test. Il paziente ha episodi di anafilassi entro le 3h dal pasto in genere sempre con lo stesso alimento per lo più il frumento (pane,pasta,pizza), e si reca a fare attività fisica presenterà una reazione anafilattica. In questa patologia se il paziente non fa esercizio fisico non presenta alcuna sintomatologia, così come se fa esercizio senza aver mangiato (questi alimenti) se invece mangia e fa esercizio avrà anafilassi. Altra cosa piùcomune è la INDECIFRABILE per la proteina del frumento, se facciamo il test per questa proteina del frumento che si chiama omega5gliadina il test risulta essere positivo, però attenti alla storia clinica perché il paziente vi dirà che mangia pane ecc. regolarmente senza reazione ( solo quando fa esercizio fisico) quindi una positività al test che appare negativa come sintomatologia, ma in realtà è positiva. -studente: che tipo di attività? -prof: anche una corsa, infatti uno dei test è farlo correre sul tapis roulant. Se però il paziente aspetta 4h non succede nulla, questo si pensa sia dovuto al fatto che l’esercizio fisico aumenta la permeabilità a livello della mucosa intestinale e quindi questo allergene viene assorbito in quantità maggiore.

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Romano – Lezione 10 (21-04-17) – Anafilassi

Sbobinatore: Lidia Cicia

Coordinatore: Antonietta Di Somma

ANAFILASSI

Vi ho detto ieri che la reazione e piu grave quando e IgE mediata. In realta il termine anafilassi si riferiva originariamente solo a stuazioni IgE mediate pero lo stesso quadro clinico puo essere determinato da situazioni non IgE mediate (per cui diciamo il termine adesso e intercambiabile).Se vogliamo proprio essere puntigliosi l’anafilassi e IgE mediata mentre le reazioni anafilattoidi non sono IgE mediate pero clinicamente si presentano nella stessa maniera, cioe sono reazioni sistemiche che mettono in pericolo la vita e che si verificano entro breve tempo, entro pochi minuti, con l’interessamento sempre di qualche organo o apparato vitale come per esempio l’apparato respiratorio, il sistema cardiovascolare, a volte anche il tubo digerente ed e quasi sempre (anche se non obbligatoriamente ma diciamo nel 90% dei casi ) associato a manifestazioni cutanee o mucose. Quindi e una reazioni sistemica, severa, in grado di mettere in pericolo la vita, che si verifica entro pochi minuti dopo l’esposizione ad un possibile agente incitante, che puo essere un allergene (questa e l’anafilassi propriamente detta) oppure un’altra sostanza che determina allo stesso modo degranulazione massiva dei mastociti (in questo caso si parla di reazione anafilattoide). Pero vi ripeto, ora i termini (anafilassi e reazione anafilattoide) si utilizzano in maniera intercambiabile, quindi IgE mediata o non IgE mediata, l’anafilassi e caratterizzata da degranulazione massiva dei mastociti e quindi con gli effetti dei loro mediatori al livello sistemico. L’interessamento degli organi interni e risultato dal fatto che, essendo l’organismo inondato da questa serie di mediatori preformati e non nelle mastcellule (quindi l’istamina che e un vasodilatatore), aumenta la permeabilita vascolare. Se questo succede a livello sistemico chiaramente nell’ambito circolatorio succede che: si dilatano i vasi, cade la pressione, e di conseguenza come meccanismo di difesa abbiamo l’aumento della frequenza cardiaca. Il polso pero e piccolo perche non c’e volume sufficiente quando si ha la sistole. Per cui polso piccolo e frequente, caduta di pressione (per quanto riguarda l’apparato cardiovascolare). Nell’apparato respiratorio (vi ricordo che i leucotrieni sono bronco costrittori) possiamo avere broncospasmo severo con difficolta praticamente a respirare, con ipossia, con fischi, sibili, gemiti. Mentre il paziente cerca di respirare vedete che i muscoli ausiliari della respirazione (quindi muscoli intercostali, sternocleidomastoidei) presentano delle rientranze in quanto questi muscoli cercano di dare un supporto alla funzione respiratoria. Nell’apparato respiratorio abbiamo anche chiaramente la congestione della mucosa. Quindi il broncospasmo e dovuto a contrattura della muscolatura, la congestione della mucosa e dovuta alla vasodilatazione che aumenta la permeabilita vascolare interna alla mucosa bronchiale. Quindi cio comporta chiusura dei bronchi poiche la secrezione di muco chiude il bronco. Questo si puo verificare anche in altre parti dell’albero respiratorio, quindi la congestione mucosa se interessa la regione della glottide, della laringe, il paziente puo avere un soffocamento anche per difficolta dell’aria ad entrare oltre che a uscire(come nel caso dell’asma). Quindi edema della glottide e broncospasmo severo possono essere le manifestazioni più temibili che riguardano l’apparato respiratorio. Il collasso pressorio è invece la manifestazione più temibile a carico dell’apparato cardiovascolare e poi c’è anche l’interessamento del tubo digerente (perche come vi ho detto tutte queste manifestazioni possono presentarsi da sole o in associazione). A livello dell’apparato gastrointestinale noi avremo la congestione della mucosa che quindi praticamente chiude il lume della mucosa intestinale e in questo caso si verifica la condizione di ileo, cioe praticamente il blocco della progressione intestinale per la chiusura del lume intestinale dovuto alla congestione della mucosa. E’ un ileo chiaramente non legato alla presenza di una ostruzione reale ma e proprio dall’interno della mucosa che si congestiona. Questo puo portare chiaramente (come in tutti i casi di ileo) a dolore addominale, crampiforme, a volte con aspetto di addome acuto tale da indurre il chirurgo di pronto soccorso a prevedere la necessita di aprire l’addome per verificare che cosa e successo, cioe qual e la patologia acuta addominale che ha determinato la reazione di difesa. Ci puo essere anche nausea e vomito ovviamente. Vi dicevo che nella stragrande maggioranza dei casi vi è anche interessamento cutaneo che si

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appalesa con una orticaria diffusa con o senza angioedema, quindi con la sindrome orticaria-angioedema. Oppure anche con un eritema diffuso non necessariamente orticariode pero per lo piu e orticariode quindi con pomfi diffusi a carta geografica con eventualmente angioedema (quindi tumefazione della regione periorbitaria, delle labbra, della lingua eventualmente). E se e presente anche angioedema delle mucose troviamo l’edema della glottide come dicevo prima. Perché si possa parlare di anafilassi noi dobbiamo avere sempre l’interessamento di un organo vitale: se, per esempio, il paziente si fa una siringa di penicillina e dopo venti minuti ha una orticaria diffusa senza compromissione respiratoria, senza caduta di pressione, senza disturbi gastrointestinali, questa non e anafilassi ma e semplicemente un’orticaria generalizzata. Se invece il paziente fa una fiala di penicillina e ha l’orticaria ma comincia ad avere difficolta a respirare questa e anafilassi (anche se non abbiamo la caduta pressoria). Quando c’e la caduta pressoria noi parliamo piu di specificamente di shock anafilattico pero l’anafilassi si puo verificare anche senza caduta pressoria, l’importante e che ci sia l’interessamento di un organo vitale, quindi o apparato respiratorio o cardiovascolare e nei casi piu gravi anche il tubo digerente). PATOGENESI La patogenesi e uguale per tutte le reazioni di anafilassi, cioe al centro ci sono i mastociti e i basofili circolanti che sono la controparte diciamo ematica dei mastociti in quanto anche i basofili hanno i recettori per le IgE ad alta affinita ed anche questi degranulano quando c’e cross-linking. Quindi mastociti nei tessuti e basofili circolanti. La degranulazione di queste cellule in maniera massiva, cioè che interessi praticamente la popolazione diffusa in tutto l’organismo, comporta l’anafilassi (risultato dell’effetto quantitativo della degranulazione). Degranulazioni limitate (come nella rinite allergica e nell’asma bronchiale) danno solo sintomi limitati alla sede in cui e avvenuta la de granulazione. Se abbiamo l’interessamento diffuso dei mastociti, che sono presenti ubiquitariamente nell’organismo (sono presenti anche al livello del muscolo cardiaco), possiamo avere per l’inondazione di mediatori un effetto sistemico e quindi anafilassi. Questa degranulazione puo essere dovuta a:

• meccanismi immunologici IgE mediati, quindi la tipica anafilassi propriamente detta. In questo caso vi ricordo di nuovo che tutti gli allergeni in grado di determinare degranulazione mastocitaria possono dare anafilassi se questa e diffusa. Ovviamente non mi venite a dire che in primavera i pollini nell’aria possono dare anafilassi perche in genere e solo una situazione limitata alle vie respiratorie. Invece gli alimenti che vengono assorbiti al livello del tubo digerente e poi diffusi per via sistemica attraverso il circolo sanguigno chiaramente possono determinare la saturazione dei recettori sui mastociti respiratori, sui mastociti cardiaci, sui mastociti cutanei semplicemente perche l’allergene alimentare arriva al tubo digerente, da le reazioni al livello del tubo digerente ma viene anche assorbito e quindi passando nel sangue puo sensibilizzare i mastociti presenti in vari organi e apparati. Quindi per questo gli alimenti possono dare anafilassi.

Studente: “Se io per esempio sono allergico al polline, che e sempre una reazione IgE mediata, ed ho anche un conivolgimento respiratorio, nel senso che non riesco a respirare” [il prof non fa concludere la frase] Prof: Puoi avere un’asma grave pero NON è ANAFILASSI se non hai anche l’interessamento cutaneo (nell’anafilassi deve esserci l’interessamento cutaneo normalmente, e presente nel 90% dei casi. Questo diciamo e lo standard poi ci sono anche forme di anafilassi senza interessamento cutaneo)e l’interessamento di un organo importante come l’apparato respiratorio. Se con i pollini ti viene un broncospasmo serrato non e anafilassi ma e asma grave. Puoi avere delle reazioni gravi con i pollini che si estrinsecano essenzialmente nell’asma grave pero l’ anafilassi non e tipica poiche i pollini rimangono per lo piu al livello dell’albero respiratorio, cioe sensibilizzano l’albero respiratorio. Studente: “Lei ha detto che nel 90% dei casi abbiamo sempre un interessamento cutaneo e nel 10% non abbiamo un interessamento cutaneo, in quel 10% dei casi in cui e interessato ad esempio solo l’albero respiratorio e non la cute come facciamo in questo caso a distinguere tra anafilassi e ..?”

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Prof: adesso lo vediamo. Ci deve essere comunque la storia di esposizione ad un verosimile agente eccitante, adesso lo vediamo nella definizione perche ci sono le definizioni per queste forme di anafilassi un po’ piu particolari. Allora sono responsabili gli allergeni per i meccanismi immunologici IgE mediati, quindi: - gli alimenti - i farmaci (soprattutto le beta-lattamine, cioe penicilline e cefalosporine, ovvero antibiotici che possono stimolare la priduzione di IgE) possono dare reazioni IgE mediate, ovviamente non alla prima somministrazione ma ad una successiva somministrazione dopo aver avuto la sensibilizzazione. Gli stessi antibiotici pero possono dare anche anafilassi non IgE mediata attraverso meccanismi differenti. - puntura degli insetti (imenotteri essenzialmente) - il lattice (l’esposizione al lattice in un paziente sensibilizzato durante un intervento operatorio puo comportare anafilassi). Ci sono altre situazioni immunologiche non IgE mediate(slide 3)che quindi rientrano in altri meccanismi immunopatologici:

• la formazione di immunocomplessi. • il sistema del complemento. Vi ricordo che i mastociti hanno i recettori per C3A e C5A, il quale

e un componente del complemento attivato. Il complemento si attiva quando ci sono immunocomplessi e quindi C5A, se viene prodotta una gran quantita di immunocomplessi va a stimolare i mastociti tramite la via del C5A. Anche questo e un meccanismo immunologico ma non dipendente dalle IgE.

C’e anche la possibilita che le mastcellule degranulino mediante meccanismi non immunologici, come:

• l’esercizio fisico (abbiamo detto ieri l’anafilassi alimento-dipendente) • Farmaci. Ad esempio gli oppioidi che vengono utilizzati nella terapia del dolore: i mastociti

hanno i recettori per gli oppioidi quindi se si saturano questi mastociti oltre a calmare il dolore possono dare degli episodi di anafilassi.

MEDIATORI DELL’ANAFILASSI (slide 3) I mediatori dell’anafilassi li conoscete: 1. I(mediatori)preformati sono: - istamina(il piu importante) - triptasi 2. Quelli di nuova generazione comprendono: - leucotrieni, che causano bronco costrizione essenzialmente - prostaglandine -il platelet activating factor(pure determina broncocostrizione); 3. Poi ci sono citochine e chemochine,che servono per richiamare le cellule dell’infiammazione e sono responsabili degli episodi della anafilassi bifasica: cioe dopo un primo episodio di anafilassi, superato questo episodio, dopo 6-12 ore il paziente puo avere un altro episodio di anafilassi anche se non si e esposto di nuovo all’agente eccitante perche arrivano praticamente le cellule che sono state richiamate dai fattori chemiotattici. ORGANI INTERESSATI - Le mucose e la cute (nel 90% dei casi) da sole o in combinazione. - Apparato respiratorio (vie respiratorie alte ,edema della glottide o broncospasmo serrato). - Tubo digerente: ileo per occlusione intestinale dovuta alla congestione mucosa. - Apparato cardiovascolare: caduta di pressione nello shock anafilattico propriamente detto. - Interessamento del sistema nervoso centrale: puo portare ad obnubilamento della coscienza fino alla perdita di coscienza vera e propria. DEFINIZIONI DI ANAFILASSI

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Abbiamo la prima definizione, che e quella classica, in cui c’e sicuramente la manifestazione cutanea che e evidente (il medico di pronto soccorso vede il paziente che ha una orticaria diffusa) pero deve avere o un interessamento respiratorio o cardiovascolare. Se il paziente arriva al pronto soccorso che e in uno stato obnubilato (lo trovano altre persone per strada che lo portano al pronto soccorso) non possiamo sapere se e stato esposto ad allergene pero questa combinazione di sintomi, ossia orticaria diffusa e interessamento o respiratorio o cardiovascolare o entrambi e praticamente sinonimo di anafilassi e quindi viene trattato per anafilassi. Lo shock puo essere anche non anafilattico quando non sono interessate le mastcellule: possiamo avere uno shock cariogeno, uno shock settico, neurogeno, ma tutti questi non hanno un interessamento cutaneo. Proprio per questo quando il paziente viene con l’orticaria diffusa e la compromissione gastrointestinale, respiratoria, cardiovascolare se non siamo in grado di avere notizie su come e avvenuta la reazione possiamo comunque considerarla come anafilassi. Questa e la situazione classica. Poi puo succedere che il paziente o chi sta vicino a lui dice che fatta la fiala di penicillina dopo 20 minuti e successo questo, oppure stava nei campi ed e stato morso da un calabrone e dopo 10-20 minuti ha cominciato a stare male. Quindi questo e un verosimile agente eccitante, lo ricaviamo dalla storia, e quindi possiamo avere anamnesi positiva e interessamento cutaneo con interessamento respiratorio o cardiovascolare o gastrointestinale. Ovviamente se non abbiamo interessamento cutaneo (come chiedeva il collega) ma c’e una storia suggestiva, cioe l’esposizione al farmaco, la puntura di imenotteri o un alimento (per quanto riguarda i bambini soprattutto, anche nell’adulto pure possiamo avere l’allergia alimentare, pero e piu comune nei bambini), ad esempio dopo aver mangiato un piatto di crostacei ci si sente male, allora se c’è questa esposizione verosimile, non c’è interessamento cutaneo ma c’è interessamento respiratorio, cardiovascolare, gastrointestinale, anche questa è anafilassi perche abbiamo la possibilita anamnestica di risalire al possibile agente incitante. L’anafilassi viene considerata severa quando la compromissione e grave cioe quando la saturazione di ossigeno si abbassa al livello degli alveoli, sopraggiunge il collasso, la perdita di coscienza, addirittura l’incontinenza. La severita dipende anche dalla presenza o meno di alcuni cofattori (slide 5-6) che possono far precipitare le manifestazioni cliniche. Alcuni cofattori sono ad esempio: - Esercizio fisico: chi ha l’allergia alimentare con l’esercizio fisico puo peggiorare la situazione perche l’esercizio fisico aumenta la permeabilita della mucosa intestinale e quindi praticamente l’assorbimento dell’alimento per cui e piu facile che l’alimento saturi piu facilmente le IgE delle mastcellule diffuse al livello dell’organismo. - Alcool: questo e un fattore di rischio che gia determina vasodilatazione, quindi gia abbassa la pressione per l’effetto vasodilatatorio poi si aggiunge l’elemento che determina l’anafilassi e c’e l’ulteriore caduta di pressione. - Alcuni farmaci:

o FANS, che gia per il problema della via della COX bloccata aumentano i leucotrieni. Quando abbiamo la degranulazione si aggiungono altri leucotrieni e quindi si potenzia l’effetto dei leucotrieni.

o ACE-inibitori: sono farmaci per la pressione quindi gia abbassano la pressione di per se e quindi se c’e l’interessamento cardiovascolare il paziente va in shock anafilattico.

o Beta-bloccanti: utilizzati sempre per la pressione o per tenere il cuore un po’ piu a riposo nei soggetti con malattie di cuore. Creano un problema diciamo nei meccanismi di difesa dell’organismo. Se l’anafilassi crea caduta di pressione chiaramente c’e il riflesso simpatico che si attiva per tentare di rimettere la perfusione degli organi nelle condizioni piu ottimali, tuttavia se abbiamo i beta-bloccanti la reazioni simpatica non riesce ad avere effetto perche i recettori adrenergici sono bloccati dal beta-bloccante. Quindi abbiamo praticamente un blocco farmacologico al meccanismo di difesa, cioe all’attivazione del sistema nervoso simpatico. Questa quindi e un’altra condizione che rende l’anafilassi piu grave essendo un cofattore che ne aumenta la gravita .

Ci sono altri cofattori che possono essere transitori tipo: gravidanza ,le ,infezioni e così via, che

chiaramente in quel momento possono portare uno stato di debilitaazione dell’ organismo come una

infezione virale in corso, la febbre con infezione virale che già determina la riduzione di pressione

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arteriosa dell’organismo per la vasodilatazione. Anche questo è un fattore che può portare

un’anafilassi più grave. Chiaramente se il paziente soffre già di asma allergico è chiaro che un ulteriore

stimolo alla broncocostrizione in corso di anafilassi peggiorerà soprattutto la funzione respiratoria.

L’anafilassi è trattata con l’adrenalina (il farmaco di prima scelta) quindi in pronto soccorso si fanno i

cortisonici e gli antistaminici ma quelli non hanno significato per l’evento acuto, quelli servono per il

post. Il farmaco di prima scelta è l’adrenalina perché chiaramente serve ad antagonizzare la

vasodilatazione e quindi la caduta di pressione. L’adrenalina è un vasocostrittore quindi deve riportare

la pressione arteriosa ai valori di normale perfusione tissutale, aumenta la capacità del cuore di

pompare sangue e quindi è il farmaco di prima scelta. L’adrenalina infatti funziona essenzialmente,

come vedete (slide 7), soprattutto sul sistema cardiovascolare quindi è il farmaco di elezione; però vi

ricordo che anche a livello respiratorio i recettori beta-adrenergici determinano la dilatazione della

muscolatura liscia bronchiale. Quindi l’adrenalina ha un effetto anche sulla funzione respiratoria, poca

chiaramente sulla cute e men che meno ancora sullo stato di di ripresa del paziente che dipende

chiaramente se si riprende la funzione cardiovascolare, non dipende dall’azione del farmaco. Mentre

l’antistaminico ,vedete, funziona essenzialmente sulla cute e sul comportamento perché poi toglie

anche il prurito, da un senso di sedazione e quindi se il paziente è sveglio lo calma anche in questo

senso; però funziona essenzialmente sulla cute e calma un po’ il paziente dall’ansia di quel momento.

L’antistaminico per le compromissioni gravi non ci serve perché ormai la degranulazione è già

avvenuta, l’istamina è già fuoriuscita dalle mastcellule ed ha già saturato i recettori dell’istamina e

quindi praticamente un antistaminico può semplicemente blandire questi sintomi ma non li

controbilancia . Poi noi diamo gli steroidi perché servono per evitare l’ anafilassi bifasica. Questo è

anche il motivo per cui il paziente che va per anafilassi in pronto soccorso, e che supera l’episodio

immediatamente, non viene dimesso, viene infatti trattenuto in osservazione breve cioè rimane lì in

pronto soccorso per le successive sei ore. Questo perché può capitare che il paziente vada incontro alla

seconda fase dell’ anafilassi cioè quella ritardata per cui potrebbe anche necessitare ancora dell’

adrenalina. Quindi il paziente non può andare via dal pronto soccorso se non sono passate almeno sei

ore dal termine del primo evento .

Studente: “Come puo’ essere la reazione in un persona che viene punta da un insetto ed è in terapia

con antistaminici perché già allergico?”

Il professore: la reazione allergica sarà più blanda soprattutto se assume l’ antistaminico da un po’ di

tempo.

Vi è un quinto delle persone che presenta anafilassi ma non è possibile capire come l’ ha avuta

perché non si riesce ad identificare un evento o fattore scatenante . Alcune di queste persone

possono avere, ma non lo sanno, una condizione che si chiama MASTOCITOSI che è una

proliferazione clonale delle mastcellule che quindi si ritrovano in un numero superiore alla norma .

Queste mastcellule possono degranulare in base a stimoli vari, quindi non necessariamente uno

stimolo identificabile (ad esempio anche un trauma lieve o una situazione stressante può

determinare una degranulazione mastocitaria e quindi causare una anafilassi). Quando l’ anafilassi è

idiopatica, i pazienti vanno indagati per verificare se vi sia una sottostante mastocitosi, questo solo se

gli episodi di anafilassi si ripetono. Se si verifica un singolo episodio e poi non ne capitano più , può

darsi che il paziente non sia stato in grado di ricordare precisamente le circostanze e quindi è sfuggito

all’ anamnesi perché il paziente non l’ha ricordato oppure non ha considerato importante un fattore

che invece per il medico poteva essere inducente (magari qualche fattore inducente a cui si è sempre

esposto in precedenza ma che magari poi ha indotto sensibilizzazione e lui non l’ha considerato

inducente perché l’aveva tollerato fino a quel momento). Se però gli episodi di anafilassi si ripetono

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senza una causa apparente allora va indagata la possibilità che il paziente possa avere una sottostante

mastocitosi, cioè questa proliferazione clonale dei mastociti.

Più precisamente, poiché l’anafilassi è una reazione diciamo per lo più immediata, in genere entro 20-

30 minuti dall’esposizione si manifesta (questo nella stragrande maggioranza dei casi). Però in alcuni

casi dobbiamo aspettare il più possibile, anche due ore. Alcuni allergeni la danno sicuramente subito

(entro 20-30 minuti) come ad esempio gli alimenti, la puntura degli insetti ed i farmaci se vengono dati

per via parenterale (perché già passano praticamente nella circolazione sanguigna), i farmaci per via

orale invece richiedono prima l’assorbimento e poi la manifestazione; per questo il farmaco per os la

può dare anche un’ora dopo averlo ingerito, mentre per via parenterale la manifestazione è

praticamente immediata.

PRESENTAZIONE CLINICA

Le manifestazione cutanee sono all’84% circa, comuni sono poi quelle dell’apparato

cardiovascolare(72%) e poi vengono quelle dell’apparato respiratorio. Come vi ho detto

precedentemente le varie manifestazione possono essere o tutte presenti o variamente associate tra

loro oppure può essere presente l’interessamento di un solo sistema importante per la vita più

praticamente la cute. I sintomi respiratori sono più comuni nei bambini, invece negli adulti

predominano i sintomi cardiovascolari; quando c’è l’interessamento del tubo digerente nausea e

vomito rappresentano le altre manifestazioni.

Anafilassi bifasica (slide 12): un paziente su 5 può avere questa manifestazione per cui dopo che è

passata la prima fase noi aspettiamo. Gli steroidi quando si danno durante il primo episodio non

sempre servono per l’evento acuto di anafilassi ma servono per prevenire l’anafilassi bifasica e

l’adrenalina è il farmaco di prima scelta che va dato per via intramuscolo, in genere sulla faccia laterale

del quadricipite perché li c’è l’assorbimento migliore. Se il paziente non risponde all’adrenalina si può

fare una seconda dose dopo qualche minuto e si può fare anche per via endovenosa nel caso in cui

l’anafilassi risulti essere refrattaria però chiaramente aumentano anche le possibilità che il paziente

possa avere delle aritmie essendo un farmaco beta-adrenergico.

Questi sono i criteri che abbiamo detto (slide 12).

DIAGNOSI DIFFERENZIALI (slide 13)

Ci sono poi le diagnosi differenziali, diciamo:

- L’eruzione orticarioide diffusa. Questa non è anafilassi se non c’è interessamento degli organi interni.

- L’asma acuto severo. Se non c’è l’interessamento cutaneo o l’interessamento cardiovascolare non è

anafilassi. Se però ho un broncospasmo dopo che ho preso per esempio un farmaco, allora questo è un

possibile agente eccitante più l’interessamento di un sistema importante questa può essere anafilassi.

Quindi se c’è il possibile agente eccitante ed un broncospasmo importante questa può essere una

reazione di anafilassi.

Poi ci sono anche delle situazioni particolari:

- Attacchi di panico.

- La sincope per altri motivi, però nella sincope per altri motivi noi non abbiamo certamente l’orticaria.

La sincope più comune è la sincope vaso-vagale ma questa la differenziate facilmente perché succede

in ambienti caldi, affollati, in soggetti che sono particolarmente emotivi, nel soggetto che si sottopone a

prelievo di sangue e ha paura di vedere la puntura: tutte queste sono sincopi vaso-vagali e si

differenziano facilmente.

Poi ci sono altre manifestazioni, tipo:

- La sindrome da ristorante cinese dovuta all’intossicazione da monoglutammato sodico perché nel

ristorante cinese usano come esaltatore di sapidità il glutammato sodico che può dare episodi di

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flushing cutaneo oltre a difficoltà respiratoria. Quindi può simulare una condizione di anafilassi però

invece è dovuto all’eccesso di glutammato monopodico contenuto negli alimenti che sono tipici della

cucina cinese perché loro abbondano con il monoglutammato come esaltatore di sapidità.

Altre situazione di intossicazione alimentare che possono simulare l’anafilassi sono:

- La scombroidosi, dovuta al consumo di pesce che non è stato conservato bene.

Succede che i microrganismi presenti all’interno dell’intestino dei pesci hanno una decarbossilasi che

produce una gran quantità di istamina a partire dai precursori per cui se voi mangiate questo pesce un

po’ avariato mangiate una grossa quantità di istamina, quindi l’istamina la introducete dall’esterno ed

avete gli effetti dell’istamina, cioè l’orticaria, mal di pancia, nausea o vomito ed anche un po’ di caduta

di pressione. Tutto questo chiaramente va messo in diagnosi differenziale.

-Poi c’è la mastocitosi, come ho detto prima, che va sospettata in soggetti con l’anafilassi idiopatica

ripetuta.

Altre situazioni le lasciamo più agli specialisti..

FATTORI CORRELATI AL PAZIENTE IN GRADO DI INFLUENZARE L’ENTITÀ DELLE

MANIFESTAZIONI CLINICHEDELL’ANAFILASSI (slide 14)

Altri problemi quali sono?

Che il dottore spesso ha difficoltà a fare la diagnosi perché se si tratta di un bambino, il bambino che

non parla non può descrivere i sintomi quindi il pediatra passa un brutto quarto d’ora se non riesce

subito ad inquadrare la situazione. Con gli adolescenti, che sono dediti ad esempio il sabato sera a bere

in maniera eccessiva o utilizzare altri additivi, può capitare che arrivino in stato confusionale per cui

può risultare difficile anche in questo caso reperire l’anamnesi. Per la gravidanza c’è qualche altro

problema che magari vi accenno dopo e poi l’anziano, perché praticamente l’anziano può non avvertire

immediatamente il pericolo perché la soglia di coscienza e quella di allarme è un po’ più elevata e

quindi i primi sintomi prodromi possono essere non considerati. Vi ricordo che uno dei prodromi tipici

dell’anafilassi è l’avvertimento di un sapore metallico in bocca prima che si abbiano manifestazione

negli organi interni. Quindi una delle caratteristiche è che il paziente prima di sentirsi male avverte un

strano sapore metallico sulla lingua (questo è un prodromo importante).

Chiaramente se ci sono malattie concomitanti ad es. il paziente già ha problemi respiratori, è un

paziente cardiopatico, ha una mastocitosi che aumenta il problema e così via.. , può avere una

anafilassi più grave. Se prendiamo i farmaci che abbassano la pressione, l’anafilassi è più grave; se

prendiamo altre sostanze che abbassano la pressione, come l’alcol, il vino, la birra, etc, l’anafilassi è più

grave. Altre situazioni che amplificano (le abbiamo viste già) sono l’esercizio (soprattutto con gli

alimenti), le infezioni acute (es. la febbre abbassa la pressione), lo stato emotivo, etc.

MECCANISMI DELL’ANAFILASSI (slide 15)

Qua sono di nuovo sintetizzati i meccanismi IgE mediati e quelli(slide) sono gli allergeni più comuni (si

riconoscono dalla storia clinica), quindi: latte, uova, pesce per i bambini, i crostacei, la frutta secca per

gli adulti soprattutto, la puntura degli insetti, gli antibiotici soprattutto beta-lattamici, i fans ossia

antiinfiammatori non steroidei che bloccano la ciclo-ossigenasi e altri farmaci . Poi ci sono anche i

mezzi di contrasto radiologici che possono dare anafilassi: in questo caso non è un meccanismo IgE

mediato ma è un meccanismo in genere un meccanismo di lisi diretta dei mastociti. Ci sono poi

situazioni particolari, come le professioni sanitarie (prima che si fossero i presidi latex-free). Altri

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agenti occupazionali, addirittura rari casi di allergia al liquido seminale (ma queste sono situazioni

molto rare) che si evidenziano perché avvengono subito dopo i rapporti sessuali. Sembra una strana

anafilassi ma esiste l’anafilassi da allergia al liquido seminale.

Anafilassi idiopatica, abbiamo detto sospettate sempre che il paziente abbia una mastocitosi,

situazione che comporta anafilassi idiopatica e ripetuta.

CLINICA DELL’ANAFILASSI (slide 16)

Questa slide riassume un po’ tutto. Vedete l’orticaria diffusa, difficoltà respiratorie. Il paziente

chiaramente va messo in posizione supina perché la pressione è bassa; quando viene praticamente

affrontato dal medico di pronto soccorso ,il paziente deve essere messo in posizione supina dagli

astanti perché questo favorisce il ritorno venoso al cuore. Poi questa è una delle possibilità. L’ altra

possibilità è sempre l’ orticaria, sintomi respiratori e poi anche sintomi cardiovascolari e poi

addirittura sintomi del tubo digerente . Poi ci sono delle situazioni per cui invece avete solamente la

caduta di pressione senza manifestazioni cutanee , senza manifestazioni respiratorie ed una caduta di

pressione non spiegata , anche questa può essere anafilassi se avete il reperto anamnestico di

esposizione a possibili agenti eccitanti. Quindi nei casi più misconosciuti, quelli che possono più

confondere sono questi , in cui c ‘è una acuta caduta di pressione senza che ci siano tutti gli altri

sintomi , però almeno anamnesticamente il paziente o chi gli sta vicino può dire “veramente è

successo questo dopo che ha preso il farmaco, dopo che ha mangiato questo o dopo che è stato punto

da un insetto”. Quindi sono forme un pò più particolari di anafilassi in cui l’ anamnesi ha un valore

importante . La gestione è quella che dicevo prima : il paziente viene posto in posizione supina con le

gambe sollevate, si danno chiaramente anche infusioni di soluzioni saline che servono per riempire i

vasi , ma soprattutto l’ adrenalina. Quella è la penna di adrenalina con la quale si fa l’ iniezione nel

quadricipite , nella faccia esterna del quadricipite, che può essere anche ripetuta . Una volta che il

paziente è stato dimesso poi chiaramente deve portare il braccialetto perché se lo ritrovano in stato di

incoscienza per terra , almeno vedono il braccialetto e sanno che il soggetto ha già avuto anafilassi e

quindi è più facile riconoscere .

Il paziente deve essere poi inviato a visita specialistica per vedere se si individua effettivamente il fattore impegnato nell’ anafilassi, basato anche sulla storia clinica: si fanno gli skin test, i test per le allergie specifiche per le forme IgE mediate. Nelle forme non IgE mediate non abbiamo i test e quindi vale essenzialmente l’ anamnesi. Poi chiaramente se sono alimenti si devono evitare, se sono farmaci o si cambiano con farmaci alternativi oppure se sono necessari per la malattie di base del paziente si puo fare la sensibilizzazione: cioe il paziente in ambiente protetto , in clinica, viene sottoposto a dosi crescenti del farmaco in questione fin quando raggiunge la dose terapeutica che deve essere poi mantenuta per mantenere la tolleranza . Ovviamente il paziente va tenuto con la linea venosa presa e con l’ adrenalina sempre sotto mano, poi se la desensibilizzazione funziona il paziente non puo piu staccare il farmaco perche poi quando lo stacca puo perdere la tolleranza . L’ adrenalina, che abbiamo detto e il farmaco di scelta ed e un alfa e beta agonista , funziona sia sui vasi dove ci sono i recettori alfa adrenergici ed ha un’azione vasocostrittrice, sia sul cuore dove ci sono piu recettori beta adrenergici che ne aumentano la contrattilita e la frequenza. Funziona anche sulla muscolatura liscia bronchiale perche determina la bronco dilatazione data la presenza dei recettori beta adrenergici . Se un paziente e un atopico ( perche c’e anche questa diceria che non e corretta) si ritiene che se va a fare una procedura radiologica con mezzo di contrasto puo essere a rischio di anafilassi. Questo non e vero perche il rischio di anafilassi del paziente atopico ,quando va a fare le procedure con i mezzi di contrasto, e uguale al paziente non atopico. L’ unico problema e che, se dovesse capitare l’ anafilassi, puo essere peggiore perche se nel paziente e presente un asma bronchiale, l’ asma bronchiale e un fattore che predispone a manifestazioni respiratorie piu severe, pero il rischio ,cioe la probabilita che abbia una anafilassi, e uguale a quella del soggetto praticamente normale, quindi non e quantificabile. Tuttavia , in clinica, tutti quanti per pararsi dal punto di vista medico –legale, invitano praticamente questi soggetti a seguire una premedicazione con antistaminici e talora anche con

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steroidi , a partire da qualche giorno prima della procedura. Pero questo, vi ripeto, non e fondamentale perche il rischio non e maggiore rispetto al soggetto normale. Anche la paziente con la gravidanza puo avere l’ anafilassi: a parte , diciamo , i sintomi classici che vi ho detto , vi sono dei sintomi specifici che sono rappresentati da crampi uterini. Quindi noi possiamo avere sempre l ‘orticaria, la compromissione respiratoria , la compromissione cardiovascolare e così via pero possiamo avere i crampi uterini con irradiazione posteriore, quindi dolore alla schiena e anche praticamente prurito a livello vulvare e vaginale. Chiaramente il bambino puo andare in distress e si puo avere anche un anticipo del parto. Pero i crampi uterini e il prurito vaginale e vulvare possono essere i sintomi in piu che interessano la paziente in gravidanza. Il trattamento ovviamente rimane lo stesso. L’ ultima cosa ancora, vi ricordo che l’ OMALIZUMAB, l’ anticorpo anti IgE, sequestrando le IgE riduce i recettori. Allora per coloro che hanno l’ anafilassi idiopatica ripetuta , anche quelli che hanno la mastocitosi , possono fare la profilassi dell’ anafilassi usando l’omalizumab perche l’ omalizumab, come vi ho detto , aumenta la soglia di risposta alle IgE delle mastcellule perche distanzia i recettori sulla superficie. Vedete questi sono i casi di due pazienti con la mastocitosi sistemica (slide 32): - Questo e un paziente che prima della terapia (un anno e mezzo prima della terapia) ha avuto piu di 20 episodi di anafilassi idiopatica, quindi questo ha rischiato per 20 volte nell’ultimo anno e mezzo di morire con anafilassi. Prende l’omalizumab e nei due anni successivi non ha piu gli episodi di anafilassi (questo per dire l’efficacia del farmaco nell’aumentare la soglia di degranulazione). - Stessa cosa l’altro paziente, questo solo 5 volte ha rischiato di morire, 5 episodi di anafilassi. Nei due anni successivi all’omalizumab praticamente nessun episodio di anafilassi. Quindi quando gli episodi sono ripetuti si puo ricorrere alla terapia biologica, cioe all’anticorpo monoclonale anti IgE per abbassare i recettori sulle mastcellule e ridurre il rischio di anafilassi. Ultima cosa per coloro che si ritroveranno in pronto soccorso (perche quando sarete laureati il primo impiego che troverete e il pronto soccorso poi chissa se riuscirete a fare la specialistica, se non cambiano le cose la prima cosa che farete e il pronto soccorso). Allora vi ho detto prima che il paziente che prende beta-bloccanti e a rischio di anafilassi severa perche anche se diamo l’adrenalina come farmaco per risolvere l’anafilassi, noi troviamo i recettori beta-adrenergici bloccati dal beta-bloccante. Quindi anche la terapia dell’anafilassi in questo paziente puo risultare non efficace perche abbiamo i recettori bloccati. Quindi non solo il beta bloccante impedisce il riflesso di compenso del simpatico, ma impedisce anche a noi dall’esterno di revertire l’anafilassi usando l’adrenalina perche abbiamo i recettori bloccati dal beta bloccante. Allora cosa si fa in questi casi? Si da il glucagone perche l’adrenalina agisce,dopo essersi legata ai suoi recettori adrenergici aumentando all’interno delle cellule l’AMPciclico. L’AMPciclico e il secondo messaggero dell’adrenalina allora noi bypassiamo il recettore, diamo il glucagone che ha la capacita di aumentare l’AMPciclico all’interno delle cellule, quindi bypassiamo il recettore beta-adrenergico facendo aumentare direttamente l’AMPciclico con un farmaco che non ha nulla a che vedere con…perche il glucagone sapete serve per liberare il glucosio..ok?Pero ha questa capacita : aumentare l’AMPciclico intracellulare che e il secondo messaggero anche dell’adrenalina. In questa maniera noi trattiamo i pazienti con anafilassi in contemporaneo trattamento con beta-bloccanti altrimenti l’adrenalina con il beta-bloccante non ha l’effetto che ci aspettiamo. Studente: “Quindi il glucagone agisce anche al livello cardiaco?” Prof: Si, praticamente agisce superando il blocco del recettore, aumentando l’AMPciclico.

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Cuomo – Lezione 1 (06-03-17) – Lezione introduttiva

Sbobinatore: Mariella Perretta

Coordinatore: Sabrina Goriani

LEZIONE INTRODUTTIVA

Che cosa è la reumatologia? E’ una branca della medicina interna che si interessa dello studio, sul

piano eziologico, patogenetico, fisiopatologico, diagnostico e terapeutico, delle malattie mediche

articolari, muscolo-scheletriche e del connettivo.

Cosa andiamo a valutare quando ci troviamo di fronte a un paziente che potrebbe presentare una

malattia reumatica?

- Innanzitutto la valutazione, l’assessment

- Poi faremo una classificazione delle malattie reumatiche, quindi la classificazione delle articolazioni,

la patogenesi e come le alterazioni delle articolazioni possano determinare patologie

- Andiamo a valutare il liquido sinoviale, che è importante per la diagnosi di molte malattie reumatiche

che studieremo

- Andiamo a valutare il dolore in reumatologia, che è diverso dal dolore neuropatico, dal dolore

oncologico e da altri tipi di dolore

- Poi i meccanismi patogenetici che sono alla base delle malattie reumatiche.

Che cosa sono le malattie reumatiche? In questa slide ci sono alcune delle immagini che noi

andiamo a vedere quando ci troviamo di fronte a un paziente con malattia reumatica.

1) Questa è una colonna vertebrale in cui ci sono già i segni di una patologia in atto, perché c’è una

ossificazione del legamento longitudinale laterale (la prof dice laterale ma penso che

intendesse dire posteriore).

2) Queste sono delle mani che non sono normali, perché sono tumefatte.

3) Questo è un piede tumefatto.

4) Questa è una classica lesione eritematosa desquamativa, detta “a farfalla”, che si ritrova nel

lupus, una delle malattie reumatiche più gravi.

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5) Questa è una facies sclerodermica, tipica dei pazienti con sclerosi sistemica.

6) Questa è una fibrosi polmonare : molte malattie reumatiche colpiscono il polmone (l’artrite

reumatoide, la sclerosi sistemica, le vasculiti, il lupus).

7) Questa è una glomerulonefrite.

Quindi, in senso lato, sono reumatiche tutte le condizioni morbose che determinano, costantemente o

con frequenza più o meno elevata, manifestazioni dolorose a carico dell’apparato locomotore e, in

generale, l’interessamento dei tessuti connettivi di tutto l’organismo. Questo perché ogni organo è

costituito da connettivo, per cui la connettivite può colpire tutti gli organi, dipende dal tipo di

connettivite.

Malattie del sistema immunitario e reumatologia

Quali sono le malattie del sistema immunitario e della reumatologia? Sono delle malattie relative alla

espressione di un deficit o di una iperattività della risposta immune e sono malattie mediche associate

a manifestazioni dolorose a carico dell’apparato locomotore.

A capo c’è la medicina interna. La reumatologia si occupa delle malattie mediche dell’apparato

locomotore; da qui si può sviluppare anche l’immunologia di base. La reumatologia si occupa anche di

malattie osteoarticolari non immunoflogistiche. Quindi l’immunologia clinica, l’allergologia, malattie

immunoflogistiche sistemiche. La parte di sinistra è pertinenza del reumatologo, la parte centrale è

pertinenza dell’immunologo, l’altra è pertinenza dell’allergologo, ma sono delle figure che si possono

sovrapporre l’una all’altra. Da qui il perché viene fatto il corso integrato di immunologia clinica,

allergologia e reumatologia, perché è tutto collegato.

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Come si fa la diagnosi in corso di malattia reumatica?

-Bisogna valutare il subset di malattia, perché alcune malattie devono essere diagnosticate e poi si

deve determinare il subset (per esempio la sclerosi sistemica può presentare un subset limitato o un

subset diffuso. È importante fare la distinzione perché prognosi e approccio terapeutico sono molto

diversi tra le due forme).

-Poi bisogna definire l’estensione, quindi gli organi colpiti.

-Segue la definizione dello stadio evolutivo, quindi l’attività e il danno: per attività si intende quella

parte di danno che è ancora reversibile, dove terapeuticamente noi possiamo agire; quando si parla di

danno vero e proprio, come la fibrosi, a quel punto non è più reversibile.

-La definizione della prognosi ci dice la severità della malattia.

-Infine la valutazione della risposta al trattamento.

Quali sono i criteri usati in reumatologia?

1) Criteri di classificazione: bisogna distinguere i pazienti che hanno la malattia da quelli che non

ce l’hanno. Per ogni malattia ci sono dei criteri, ad esempio per il lupus ci sono 11 criteri, per

l’artrite reumatoide ce ne sono 6, per la sindrome di Sjogren (pronuncia scìogren) altri 6. Per

ogni malattia ci sono dei criteri classificativi e bisogna conoscere questi criteri altrimenti non si

può fare la diagnosi.

2) Criteri di stato di malattia: gli indici di attività e gli indici di danno, cioè valutare la quota parte

reversibile e quella irreversibile del processo morboso.

3) Criteri prognostici: identificare i pazienti con prognosi relativamente favorevole rispetto a

quelli con un’evoluzione sfavorevole.

4) Criteri di outcome (risposta): valutare le conseguenze globali, come risponde al trattamento.

I criteri di classificazione hanno lo scopo di assicurare o almeno migliorare la comparabilità fra

casistiche raccolte in centri diversi. Sono molto importanti per i trials, cioè quando si vuole fare uno

studio clinico i pazienti devono rispondere ai criteri classificativi.

Diverso è il criterio diagnostico: noi possiamo fare la diagnosi anche senza avere i criteri di

classificazione, che servono esclusivamente per i trials; per fare la diagnosi ci possiamo accontentare

anche di 3 criteri su 6.

Quali sono i criteri di subsetting? Per esempio l’artrite reumatoide può essere sieropositiva o

sieronegativa. La sieropositiva ha una prognosi peggiore perché il fattore reumatoide positivo e gli

anticitrullina positivi sono fattori prognostici sfavorevoli, in quanto è una malattia più erosiva e porta

più facilmente a deformazioni ossee. Altri criteri di subsetting sono la suddivisione della sclerosi

sistemica in forma limitata e forma diffusa e la distinzione tra polimiosite e dermatomiosite, le quali

sono patologie diverse con patogenesi diversa.

Poi vanno valutati i criteri di stato di malattia, cioè l’attività verso il danno.

Per i criteri di attività è importante una valutazione nella pratica clinica di indici validati per trials

terapeutici; per esempio alcuni criteri non sono proprio adeguati, come nel caso dell’artrite

reumatoide in cui si valuta l’attività di malattia con un indice che valuta solo 28 articolazioni, mentre

nella valutazione globale le articolazioni sono 66. Ma è stato visto che in questo indice di attività, che si

chiama DAS28, valutare solo 28 articolazioni già ci dice effettivamente quanto la malattia sia attiva,

anche senza valutare le altre articolazioni. Inoltre per determinare l’attività di malattia bisogna

valutare parametri influenzati da processi di danno e/o da condizioni preesistenti. Ne è un esempio

l’HAQ-DI, che è un questionario somministrato al paziente; dalle risposte si ricava un punteggio, che

indica la severità della malattia, la disabilità della stessa e quindi quanto il paziente è disabile in quel

momento. Però in chi ha già una patologia grave (per esempio in chi già ha le mani a colpo di vento e

non può scrivere) l’indice sarà sempre lo stesso, poiché il danno già è stato fatto. Quindi è un

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questionario che andrebbe fatto solo nelle prime fasi della malattia, cioè quando c’è solo l’attività e non

il danno. Un’altra cosa importante è la conta delle articolazioni dolenti in pazienti di artrite reumatoide

che a volte si può confondere con la fibromialgia; la sindrome fibromialgica è una malattia che causa

dolore un po’ dappertutto, anche se ci sono dei tender points che si considerano, ma a volte può

mimare il dolore dell’artrite reumatoide. Infine la mancanza di corrispondenza fra condizioni

etichettate con mezzi diversi. Per quanto riguarda l’attività di malattia dell’artrite reumatoide,

abbiamo una bassa attività di malattia se gli indici hanno i seguenti valori: CDAI≤10, SDAI≤11,

DAS28VES≤3.2 e DAS28PCR≤2.4. Poi lo vedremo quando faremo l’artrite reumatoide, in base al valore

degli indici sapremo se la malattia è in fase di remissione o no, quindi se continuare la terapia o no.

Invece i criteri di danno riguardano la presenza di alterazioni “caratteristiche” delle artriti

(tenosinoviti, edema osseo, erosioni) in soggetti normali alla RMN. L’attività più il danno ci dà la

severità della malattia.

Quali sono i criteri prognostici? Vengono utilizzati parametri influenzati da condizioni coesistenti e

reversibili. Per esempio in caso di sclerosi sistemica, poiché è colpito anche il polmone, si fa la

spirometria con la valutazione della DLCO (diffusione alveolo-capillare del monossido di carbonio),

oppure l’aumento della VES può essere dovuto a una infezione respiratoria in pazienti di sclerosi

sistemica piuttosto che ad una alterazione della alveolo-capillare.

Infine parliamo dei criteri di outcome. È necessario disporre di parametri surrogato di valutazione la

cui variazione a breve-medio termine rifletta l’evoluzione a lungo termine. Va valutata la disabilità del

paziente, l’end stage organ disease (per esempio l’insufficienza renale) e infine la morte. Ad esempio,

come criterio di outcome, va valutata la progressione del danno radiologico in pazienti affetti da artrite

reumatoide in remissione clinica, cioè pur essendo in remissione clinica il paziente può presentare

dopo 1 anno una erosione visibile radiograficamente.

Quali sono le modalità di presentazione del paziente reumatologico?

1) Dolori a carico dell’apparato locomotore

2) Manifestazioni suggestive di malattia sistemica (organi e apparati diversi colpiti

contemporaneamente o in tempi distinti)

3) Reperti di laboratorio di flogosi e/o di risposta autoimmune

Come si valutano i pazienti con malattie muscolo-scheletriche?

L’approccio è il seguente:

1) Localizzare il dolore (articolare/non articolare)

2) Determinare la natura del processo patologico (infiammatoria/non infiammatoria)

3) Determinare il grado di estensione della patologia (monoarticolare, poliarticolare, localizzata o

circoscritta, diffusa o sistemica)

4) Definire la cronologia della patologia (acuta/cronica)

5) Diagnosi differenziale

Cosa sono le artropatie?

Patologie che colpiscono membrana sinoviale, cavo articolare e cartilagine ialina.

Cosa sono i reumatismi extra-articolari?

Patologie che colpiscono capsula articolare, tendini, legamenti, entesi, muscoli, borse, fasce.

Cos’è l’artralgia?

Un dolore subiettivo spontaneo (es. al polso) che può essere a riposo e/o al movimento e/o alla

pressione.

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Invece per artrite si intende dolore riferito più manifestazioni obiettive di flogosi; quali sono questi

segni di flogosi? Tumefazione da versamento e/o da iperplasia sinoviale e/o limitazione funzionale.

L’artrite si può presentare in vari modi:

-monoartrite (una sola articolazione)

-oligoartrite (2-4 articolazioni)

-poliartrite (≥5 articolazioni)

Può essere simmetrica o asimmetrica, dipende dal tipo di patologia.

L’esordio può essere: acuto (sviluppo del quadro clinico in ore-giorni) o subdolo (sviluppo del quadro

in settimane-mesi).

Il decorso può essere: acuto (si risolve in ore-giorni), subacuto ( si risolve da 1 a 6 settimane) oppure

cronico (>6 settimane).

Questo è importante, perché per fare la diagnosi di alcune patologie bisogna considerare il decorso (ad

esempio nella spondilite anchilosante la lombalgia deve essere presente per almeno 12 settimane,

altrimenti non si può fare diagnosi di spondilite).

Quali sono i segni di diagnosi differenziale tra un’artrite e un reumatismo non articolare?

La tumefazione riguarda tutta la superficie articolare in caso di artrite (es. tutto il polso); invece nel

reumatismo non-articolare può essere presente solo a un lato (quindi o mediale o laterale e così via). Il

dolore alla pressione nell’artrite è a carico di tutta l’articolazione perché è infiammata tutta

l’articolazione; invece nel reumatismo extra-articolare è a carico di un’area limitata, a volte localizzata

al di fuori dei limiti della capsula articolare. Infine la limitazione funzionale dei movimenti: quando voi

avete un polso tumefatto e dolente, il dolore al movimento lo trovate sia se lo fa il paziente sia se lo fa il

medico, cioè se è il medico a muovere l’articolazione, nel caso dell’artrite; invece nei reumatismi extra-

articolari si presenta soprattutto nei movimenti attivi piuttosto che in quelli passivi, cioè se è il medico

che aiuta il paziente a muovere l’articolazione il dolore è meno intenso.

Un’altra diagnosi differenziale bisogna farla tra un reumatismo infiammatorio (sinovite

articolare o extra-articolare) e un reumatismo degenerativo (artrosi, tendinopatia).

Ci sono sintomi diversi per distinguerli. Nel reumatismo infiammatorio la rigidità è di lunga durata,

massima al risveglio. Quindi durante la notte l’infiammazione è presente, al mattino il paziente si

presenta rigido in tutte le articolazioni, lui riferisce che si alza tipo un robot perché per mettersi in

movimento ha bisogno di tempo. Questa rigidità può essere anche di 1, 2 o 3 ore. Nel reumatismo

degenerativo, quindi nell’artrosi, la rigidità è di breve durata e si trova al cambio di posizione. Il dolore

di tipo infiammatorio si ritrova anche a riposo, cioè il paziente a riposo ha dolore. Invece il dolore

degenerativo è da carico, per esempio nell’artrosi voi trovate il dolore alla fine della giornata, non

all’inizio, perché è un dolore da carico, cioè è un’articolazione che viene stressata durante la giornata e

quindi presenta dolore.

Quindi l’assessment l’abbiamo fatto, ora facciamo la classificazione delle malattie reumatiche:

Reumatismi infiammatori

• Artrite reumatoide, spondiloartriti e artriti sieronegative

• Cronici dell’infanzia

• Transitori e ricorrenti

Connettiviti

• Lupus eritematoso sistemico

• Sclerodermia

• Fascite diffusa

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• Sindromi da overlap (ci sono persone che presentano anche 2 malattie, ad esempio artrite

reumatoide più sclerosi sistemica oppure il lupus più la sindrome di Sjogren e così via…)

• Vasculiti

• Polimialgia reumatica

• Panniculite ricorrente

• Policondrite ricorrente

Artropatie da alterazioni metaboliche

• Artriti da microcristalli (tipo la gotta)

• Artropatie da deposito

Artriti da agenti infettivi

• Artriti infettive

• Artriti reattive

Osteoartrosi e altre forme degenerative

• Osteoartrosi primaria

• Osteoartrosi secondaria

Sindromi neurologiche e neurovascolari

• Neuropatie da compressione

• Sindromi algoneurodistrofiche

• Artropatie neurogene

Malattie dell’osso

• Osteoporosi

• Malattia di Paget

• Osteonecrosi

Neoplasie e sindromi paraneoplastiche (sono presenti in reumatologia: per esempio alcune patologie

come la polimialgia reumatica o la dermatomiosite a volte si presentano come delle sindromi

paraneoplastiche; cioè ci sono dei tumori, per esempio dell’ovaio o della mammella, che si presentano

sintomatologicamente come una dermatomiosite. Quindi il paziente ha tutti i sintomi della

dermatomiosite, però è un tumore, quindi sindrome paraneoplastica).

Qual è l’età di insorgenza di queste malattie?

Praticamente colpiscono tutte le età:

-l’artrite reumatoide si ritrova tra i 40 e i 70 anni

-l’artrite psoriasica tra i 25-30 e i 50 anni

-le connettiviti tra i 25 e i 60 anni

-la fibromialgia dai 20 ai 60-70 anni

-l’osteoartrosi nell’età più anziana

-la gotta intorno ai 50 anni

-la spondilite anchilosante, che è una malattia infiammatoria della colonna, si ritrova prima dei 40 anni

(quindi è difficile trovare un paziente con una lombalgia cronica di 50 anni che possa sviluppare una

spondilite anchilosante).

Il parametro età è molto importante in queste malattie.

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Poi ci sono le artriti giovanili, chiaramente prima dei 18 anni, e la polimialgia reumatica dopo i 50 anni.

Quindi alla fine sono diverse ma vanno a colpire più fasce di età. Chiaramente non dobbiamo

considerare che dopo i 70 anni non possono sviluppare più l’artrite reumatoide, prima dei 70 anni la

sviluppano di più rispetto a quelli post 70enni.

Questa è una distribuzione delle malattie reumatiche un po’ datata: l’artrosi è quella più rappresentata,

mentre sono più rare connettiviti, reumatismo articolare acuto, spondilite e così via. Sicuramente le

più frequenti sono l’artrosi e i reumatismi extra-articolari.

Poi andiamo alla classificazione delle articolazioni.

Quelle che ci interessano sono soprattutto le diartrosi, perché le sinartrosi (le ossa del cranio) non ci

interessano molto in reumatologia; le anfiartrosi un po’, soprattutto perché sono rappresentate dalle

articolazioni sacro-iliache che sono molto importanti da valutare soprattutto nella spondilite

anchilosante e nelle spondiloartriti in genere. E poi ci sono le diartrosi che sono le più comuni e sono le

articolazioni mobili. Poiché tali articolazioni hanno una membrana sinoviale e contengono liquido

sinoviale, esse vengono definite articolazioni sinoviali (quindi ricoperte da sinovia). Un’altra cosa

importante è la membrana sinoviale che aderisce alla superficie interna della capsula articolare ed è

costituita da un rivestimento connettivo dello spessore di 0,5-5 mm. Ricopre non solo la superficie

interna delle articolazioni ma anche le guaine tendinee e le borse, per cui la membrana sinoviale voi la

trovate anche intorno ai tendini, all’interno delle borse (perciò quando si infiamma la borsa aumenta

perché si ha una produzione di liquido sinoviale). Poi abbiamo il liquido sinoviale che è un

ultrafiltrato del plasma e che ha una funzione nutritiva per la membrana sinoviale. Poi abbiamo il

tessuto muscolo-scheletrico che garantisce la motilità delle articolazioni.

Quindi se noi classifichiamo le articolazioni in base al movimento abbiamo:

- le sinartrosi

-le anfiartrosi

-le diartrosi

In base alle caratteristiche anatomiche abbiamo:

-le sindesmosi o sincondrosi

-le sinoviali o diartrodiali.

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Questa è l’articolazione diartrodiale: vedete la capsula articolare, questo è lo spazio articolare, questa è

la cartilagine (questo filo nero), questa è la membrana sinoviale, il tendine al di sopra che poi va con la

struttura miotendinea nel muscolo, questo è il piatto tibiale e questa è l’entesi. L’entesi è molto

importante perché le entesi sono il sito più colpito dall’entesite nelle spondiloartriti.

Queste invece sono le articolazioni del canale vertebrale che presentano un istmo, ma quello che ci

interessa di più sono generalmente i legamenti longitudinali perché vanno incontro ad ossificazione

poiché si ha la formazione di sindesmofiti, che sono dei ponti ossei che vanno a unire un’articolazione

all’altra e quindi determinano ossificazione del legamento.

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Questa è la sacro-iliaca che, come vi dicevo prima, è importante tenere in considerazione.

Poi c’è il liquido sinoviale.

Su questo vorrei un po’ di attenzione perché il liquido sinoviale è importante nelle malattie reumatiche

perché a volte la diagnosi può essere fatta solo grazie a una artrocentesi e quindi ad una valutazione in

laboratorio di questo liquido.

Cos’è il liquido sinoviale? È un tessuto connettivo avascolare, ipocellulato. Praticamente è un trasudato

del plasma contenente ialuronato prodotto dai sinoviociti. Contiene proteine, circa 1,3 g/dl (quindi

20% del plasma). In corso di patologia la quantità di liquido sinoviale aumenta e può essere aspirata

ed analizzata. L’analisi del liquido sinoviale è indispensabile per la diagnosi di alcune artropatie

(soprattutto durante la fase acuta) come le artriti microcristalline ed è di fondamentale importanza

nelle artriti settiche perché in base all’esame del liquido sinoviale si può capire che tipo di antibiotico

fornire al paziente. Sono da considerarsi patologiche quantità superiori ai 2 ml.

Quali sono le alterazioni del liquido sinoviale? Il liquido sinoviale normale è incolore, paglierino,

l’aspetto è limpido, la viscosità è conservata, i leucociti sono <200/mm3 e i PMN rappresentano meno

del 25%. In quello artrosico abbiamo un leggero aumento dei leucociti, però non cambia molto perché

non è un liquido infiammatorio, per cui noi possiamo trovare nell’artrosi un paziente con un ginocchio

gonfio, asportiamo il liquido, però vediamo che le caratteristiche sono più o meno normali, è solo

aumentato il liquido perché è trasudato. In quello infiammatorio invece già cambia il colore, diventa

citrino, può cambiare anche l’aspetto che può diventare torbido, presenta una viscosità ridotta rispetto

al normale e qui già i leucociti cominciano ad aumentare, possono raggiungere anche il valore di

50000/mm3. Al di sopra di 50000/mm3 è sempre settico ed è importante fare la diagnosi di artrite

settica grazie al liquido sinoviale perché dal punto di vista prognostico l’artrite settica può essere

mortale. Dal punto di vista diagnostico, facilmente possiamo fare la diagnosi e quindi la terapia.

Per quanto riguarda il colore, voi trovate un colore citrino, quasi verdastro, per cui già quando aspirate

il liquido potete vedere che è molto più denso, il colore è molto diverso rispetto al normale.

Per quanto riguarda invece la valutazione dei cristalli nel liquido, per esempio in corso di gotta o in

corso di condrocalcinosi, noi possiamo andare alla ricerca di vari tipi di cristalli. Quelli più frequenti

sono quelli di urato monosodico e sono ad aspetto aghiforme, tipo aghi di pino, e sono fortemente

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birifrangenti. Quelli di pirofosfato di calcio diidrato sono parallelepipedi, hanno una forma più tipica a

parallelepipedo e sono debolmente birifrangenti. Quelli di idrossiapatite sono piccoli ammassi amorfi e

non sono birifrangenti. Poi possiamo trovare anche cristalli di colesterolo, cristalli di lipidi e di ossalati

di calcio, ma quelli più importanti sono quelli di urato monosodico nella gotta e quelli di pirofosfato di

calcio diidrato nella condrocalcinosi.

Andiamo a valutare il dolore adesso.

Come può essere il dolore? Il dolore dell’artrite vero e proprio è un dolore articolare fisso, a carattere

tensivo, che si accentua nelle ore notturne e al risveglio ed è associato a rigidità mattutina (quindi

quando un paziente vi dirà che ha dolore, voi chiedete sempre se questo dolore è presente di notte,

perché se è presente di notte effettivamente si tratta di un dolore infiammatorio). Il dolore artrosico

invece è un dolore sempre articolare fisso ma è a carattere gravativo, un dolore meccanico che si

accentua con l’esercizio e ha intensità massima nelle ore serali, quindi durante la giornata si accentua.

Invece il dolore fibrositico è un dolore extra-articolare, quindi che non colpisce l’articolazione ma le

strutture intorno, è a carattere migrante (quindi si può trovare prima alla spalla, poi al gomito, poi al

ginocchio e così via), è meteoropatico (quindi cambia con la temperatura e con l’umidità), è evocato da

pressione nei punti tender (ci sono dei particolari punti che, premendoli, fanno esacerbare il dolore

ancora di più).

Poi abbiamo il dolore nevralgico che invece è fisso nel territorio del nervo, è a carattere trafittivo, ha

intensità variabile ed è evocato da manovre di compressione del nervo (per esempio quello del tunnel

carpale oppure l’infiammazione del trigemino).

Ora andiamo a valutare i meccanismi patogenetici delle malattie reumatiche.

Intanto andiamo a valutare la neuroimmunoendocrinologia, ovvero è tutto collegato: la neurologia,

l’immunologia, l’endocrinologia. Infatti tutte le patologie immuno/infiammatorie sono accomunate da:

1) una predisposizione genetica, familiarità legata alla trasmissione, solitamente recessiva, di

particolari geni (per esempio il DR4 nell’artrite reumatoide, l’HLA-B27 nella spondilite

anchilosante)

2) modificazione nell’omeostasi del sistema nervoso centrale e periferico (per esempio uno stress

acuto o cronico)in cui si collegano alterazioni degli assetti ormonali endocrini (per esempio la

fibromialgia è una patologia psicosomatica, quindi che agisce sui valori della serotonina).

Infine esiste un andamento circadiano (variazione nelle 24 ore), esiste un andamento stagionale della

sintomatologia clinica che derivano da fluttuazioni ritmiche dei rapporti tra il sistema nervoso, il

sistema endocrino e la risposta immunitaria e che sono collegati da variazioni ambientali.

La patogenesi delle malattie reumatiche è multifattoriale, non c’è un solo fattore. Intanto c’è una

predisposizione genetica, cioè c’è un campo genetico dove agiscono vari starter che possono essere:

-infezioni (sia virali sia batteriche che parassitarie)

-il genere femminile (per un fatto ormonale le malattie reumatiche sono molto più frequenti nel genere

femminile, tranne la spondilite anchilosante che è più frequente nel sesso maschile)

-lo stress cronico.

Alla base c’è sempre la predisposizione genetica, cioè se lo stesso batterio colpisce due persone diverse

e una è predisposta e l’altra no, una sviluppa la malattia e l’altra no.

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Poi il processo infiammatorio.

Come si determina? La prima linea di difesa dell’organismo al danno tissutale è la risposta

infiammatoria, quindi c’è sempre un danno tissutale che risponde con una sequenza di segni: eritema,

colore, tumefazione, dolore, functio laesa. Lo scopo della risposta è quello di confinare e rimuovere lo

stimolo e di riparare il danno tissutale. Il processo infiammatorio può essere dovuto a varie noxae,

quindi vari starter, che possono essere agenti causali (ad esempio microrganismi, radiazioni

ionizzanti), agenti chimici e traumi meccanici nella fase di infiammazione acuta; invece

nell’infiammazione cronica la persistenza dello stimolo infiammatorio e la presenza di fenomeni

autoimmuni. Le cellule coinvolte nell’infiammazione acuta sono soprattutto neutrofili, monociti,

macrofagi e mastcellule; in quella cronica i macrofagi, i linfociti e i fibroblasti. Perché i fibroblasti?

Perché nella fase cronica, quando comincia a verificarsi il danno, i fibroblasti cominciano a produrre e

quindi si ha fibrosi (infatti la fibrosi è segno di danno). Nell’infiammazione acuta i mediatori solubili

sono le amine vasoattive, le citochine, le chemochine; in quella cronica l’INF-gamma, le citochine e i

fattori di crescita. I mediatori solubili sono molto importanti perché è su queste molecole che sono

stati sviluppati i farmaci di nuova generazione, cioè gli anticorpi monoclonali verso queste molecole, i

cosiddetti “farmaci biologici”, che hanno cambiato l’evoluzione delle malattie reumatiche (per esempio

per l’artrite, per il lupus, ci sono degli anticorpi monoclonali che bloccano il processo infiammatorio, il

processo patogenetico e la malattia può andare in remissione e mantenere la remissione anche per

anni). C’è stata proprio una svolta grazie a questi farmaci nel trattamento di queste patologie. Per

quanto riguarda la durata, l’infiammazione acuta dura pochi giorni; quella cronica può durare mesi o

anni. Infine per quanto riguarda l’evoluzione ci può essere una restitutio ad integrum o la

cronicizzazione in caso di infiammazione acuta, mentre in quella cronica si ha la distruzione tissutale e

quindi la fibrosi, perciò agiscono i fibroblasti, sono i fibroblasti che determinano la fibrosi, quindi è

tutto collegato.

La funzione del sistema immunitario è tradizionalmente divisa in innata e adattativa.

Perché quella innata ha importanza nelle malattie reumatiche? Presenta una risposta rapida e i

meccanismi sono:

-fagocitosi

-rilascio dei mediatori dell’infiammazione (macrofagi, neutrofili, cellule dendritiche, cellule NK)

-attivazione del complemento (è molto importante la cascata del complemento soprattutto nelle

patologie come il lupus, perché un’ipocomplementemia sta ad indicare che c’è un consumo di queste

cellule e quindi la malattia è attiva. Il complemento è uno degli elementi che va sempre valutato nel

monitoraggio con gli esami ematologici, va sempre chiesto perché l’attività di malattia si vede

soprattutto dal complemento)

-sintesi di proteine della fase acuta (amine vasoattive: istamina e serotonina; peptidi vasoattivi:

bradichinina; derivati dell’acido arachidonico), citochine (soprattutto IL-8), chemochine (TNF-alfa, IL-

6, IL-1, INF).

I farmaci biologici di cui vi dicevo prima sono stati i pionieri, cioè i primi anticorpi monoclonali diretti

contro TNF-alfa. Poi ci sono stati quelli contro IL-6 (sia solubile che recettoriale) e ce ne sono ancora

tanti altri, poi faremo una lezione sui farmaci biologici.

Per quanto riguarda l’immunità adattativa, è antigene-specifica, conserva la memoria immunologica,

subentra all’immunità innata come seconda linea di difesa ed è più efficace e specifica nel controllare e

neutralizzare qualsiasi aggressione da parte di agenti esogeni. La persistenza dello stimolo esogeno

determina lo sviluppo delle IRP (immunoreazioni patogene).

Come si dividono le immuno-reazioni patogene?

1) Reazioni di tipo I: sono sostenute da un allergene con IgE (interesse limitato, è più

allergologico), possono sviluppare una diatesi allergica in pazienti che sviluppano vasculiti,

condizione essenziale per lo sviluppo della Churg-Strauss [pronuncia “ciurg-strauss”]. La

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Churg-Strauss è una vasculite la cui diagnosi è difficile da fare, però in corso di una iper IgE si

ha il sospetto di questo tipo di vasculite, che colpisce i polmoni, può determinare una

emorragia a livello polmonare, quindi la sua diagnosi è importante, bisogna sapere che esiste

questo tipo di vasculite.

2) Reazioni di tipo II: sono anticorpi contro antigeni di membrana; si possono avere nelle reazioni

trasfusionali, possono determinare porpora trombocitopenica, anemie emolitiche autoimmuni

idiopatiche o in corso di LES. Quindi queste forme di anemie emolitiche che possono essere

idiopatiche, le possiamo trovare forse anche in corso di sindrome da anticorpi antifosfolipidi.

3) Reazioni di tipo III: sono dovute a immunocomplessi, cioè anticorpi verso antigeni solubili, e

sono alla base della patogenesi del lupus, dell’artrite reumatoide, della crioglobulinemia HCV

correlata. Anche la crioglobulinemia è una vasculite, che si presenta soprattutto in pazienti con

epatite C; in verità ora, con i farmaci nuovi per l’epatite C che hanno debellato il virus, questa

globulinemia la si ritrova molto raramente.

4) Reazioni di tipo IV: sono quelle cellulo-mediate da ipersensibilità ritardata e anche queste

fanno parte della patogenesi delle vasculiti.

Meccanismi di danno tissutale

I meccanismi di danno tissutale invece implicano gli stessi mediatori cellulari e molecolari coinvolti

nelle funzioni del sistema immunitario, comprendendo tanto mediatori dell’immunità innata quanto

quelli dell’immunità adattativa. Nella fisiopatologia del sistema immunitario è fondamentale il

mantenimento di un equilibrio dinamico tra attivazione delle risposte immuni e regolazione delle

stesse. Infatti quando, per un’eccessiva immuno-stimolazione o per un deficit dei meccanismi

regolatori, tale equilibrio si sposta verso l’attivazione dell’immunità, si generano processi patologici

che possono condurre a danno tissutale reversibile o irreversibile, a carico di tutti gli organi e apparati.

I meccanismi di danno tissutale sono alla base di: malattie autoimmuni, malattie infiammatorie

croniche immuno-mediate, patologie infettive, allergopatie, reazione di rigetto ai trapianti,

immunodeficienze. Quindi è tutto collegato, è tutto dovuto a questi meccanismi di danno tissutale.

Quali sono i meccanismi alla base di tali patologie?

1) Meccanismi di danno da attivazione dell’immunità umorale

2) Meccanismi di danno da attivazione dell’immunità cellulo-mediata

I meccanismi di danno da attivazione dell’immunità umorale sono dovuti a un legame diretto di

anticorpi ad antigeni espressi sulle cellule o sulla matrice extracellulare dei tessuti. Sono dovuti a

formazione di complessi tra antigeni e anticorpi. Le malattie da immunocomplessi sono sistemiche con

danno d’organo nella sede di deposito degli immunocomplessi. Esempio tipico sono le glomerulonefriti

nel lupus, perché il deposito degli immunocomplessi determina infiammazione e quindi l’attivazione di

questa patologia. Le patologie provocate da anticorpi diretti contro l’antigene espressi su cellule sono

organo-specifiche (per esempio le tiroiditi che sono organo-specifiche). Il danno diretto da anticorpi

può essere:

1) Opsonizzazione delle cellule

2) Complemento con liberazione di mediatori chemiotattici

3) Citotossicità cellulare anticorpo-dipendente (ADCC)

4) Interferenza con le funzioni cellulari

5) Penetrazione all’interno della cellula ed interferenza con la trasduzione del segnale o le

funzioni nucleari

Gli anticorpi possono essere diretti contro antigeni self oppure in risposta ad antigeni esogeni (batteri)

e cross-reagiscono con antigeni self. Le principali patologie nella cui patogenesi la dis-regolazione

dell’immunità umorale svolge un ruolo cruciale sono:

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1) Anemia emolitica autoimmune, che può essere sia idiopatica, sia conseguente al lupus. Cosa

succede qui? Succede che si ha un’emolisi che è dovuta ad opsonizzazione, a fagocitosi delle

emazie dal sistema reticolo-endoteliale. Quindi sviluppano questa anemia che può essere

anche mortale nel lupus.

2) Porpora trombocitopenica autoimmune. Cosa succede? Si ha una lisi delle piastrine, causata da

opsonizzazione e fagocitosi dal sistema reticolo-endoteliale. La porpora può essere primitiva o

secondaria sempre al lupus o a sindrome da anticorpi antifofsfolipidi.

3) Sindrome da anticorpi antifofsfolipidi: sono anticorpi diretti verso i fosfolipidi, interferendo

con la coagulazione. Questa sindrome si presenta in giovani donne e si presenta a volte

direttamente con l’aborto; praticamente chi ha un aborto ripetuto, dopo il primo trimestre

deve valutare la presenza di questi anticorpi perché a volte è il primo sintomo, cioè la giovane

donna non sa di essere affetta da questa malattia, quindi in caso di aborti ripetuti si deve

escludere la diagnosi di sindrome da anticorpi antifosfolipidi.

Danno da immunocomplessi (IC)

La patogenicità degli IC è determinata dai seguenti fattori:

1) Caratteristiche chimico-fisiche e concentrazione dell’antigene

2) Caratteristiche chimico-fisiche e concentrazione dell’anticorpo

3) Dinamica di formazione e clearance degli IC

4) Caratteristiche dei vasi sanguigni o del distretto capillare, dove precipitano questi IC.

Gli IC circolanti si depositano a livello tissutale e possono innescare un processo infiammatorio

attivando il complemento e reclutando e attivando granulociti neutrofili, cellule del sistema monocito-

macrofagico, produzione di citochine pro-infiammatorie, chemochine, mediatori vasoattivi con

modulazione della permeabilità endoteliale. Quindi innescano il processo infiammatorio che porta al

danno tissutale.

I principali quadri di patologia da IC sono:

1) Glomerulonefrite lupica

2) Glomerulonefrite post-streptococcica

In quella lupica gli anticorpi si legano ad antigeni self, mentre in quella post-streptococcica gli antigeni

sono esogeni (in questo caso è un batterio, bisogna fare la distinzione tra queste 2 cose).

Meccanismi di danno da attivazione dell’immunità cellulo-mediata

Tutte le cellule del sistema immunitario ( granulociti, mastociti, monociti, macrofagi, cellule NK,

linfociti T e linfociti B ) possono far parte dei meccanismi di danno da attivazione dell’immunità

cellulo-mediata. Sono cellule coinvolte nei processi immuno-flogistici e possono essere anche le cellule

endoteliali (quindi l’endotelio, in questo caso si hanno per esempio le vasculiti, oppure l’endotelio è

colpito soprattutto nella sclerosi sistemica, perché il danno endoteliale è proprio alla base della

sclerosi sistemica), fibroblasti (nella sclerosi sistemica fanno da padrone, perché i fibroblasti

producono fibrosi e infatti la sclerosi sistemica è caratterizzata dal fatto che la cute diventa spessa,

diventa dura e questo per la produzione di collagene, quindi fibrosi), sinoviociti, osteociti-osteoclasti

(soprattutto nell’osteoporosi, che è una malattia dell’anziano; però delle giovani donne, o per problemi

ormonali o perché subiscono interventi chirurgici durante i quali vengono asportati ovaie e utero,

possono andare incontro a osteoporosi precoce, che va valutata perché l’osteoporosi determina

fratture).

Infine, il danno tissutale cellulo-mediato lo ritroviamo in:

1) Artrite reumatoide: troviamo soprattutto un infiltrato infiammatorio cronico di monociti-

macrofagi, linfociti T e B, granulociti neutrofili, produzione di citochine pro-infiammatorie tra

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le quali TNF-alfa e IL-6. Per questa patologia, contro queste citochine sono stati formati

anticorpi monoclonali contro il TNF, contro IL-6 solubile o recettoriale; c’è anche un farmaco

che va contro la cooperazione linfociti T-linfociti B, quindi che blocca proprio il processo

infiammatorio a monte, prima ancora di produrre le citochine pro-infiammatorie. E’

importante sapere il tipo di cellule che viene implicato nella patologia, perché è da qui che si

sono sviluppati gli anticorpi monoclonali, i farmaci.

2) Psoriasi cutanea: infiltrato infiammatorio di linfociti in cui l’iper-proliferazione cheratinocitica

è promossa e mantenuta da citochine del pattern Th 1. Infatti, per esempio, nell’artrite

psoriasica ci sono anche citochine pro-infiammatorie tipo TNF-alfa e infatti gli anticorpi

monoclonali anti TNF-alfa vanno bene, però non vanno bene quelli contro l’IL-6 perché

nell’artrite psoriasica l’IL-6 non è coinvolta, invece sono coinvolte IL-17 e IL-23 (recenti

sviluppi di farmaci hanno prodotto anticorpi contro IL-17 e IL-23, sono sempre anticorpi

monoclonali ma sono farmaci nuovi). Più si conosce sulla patogenesi, sulle cellule e sulle

citochine coinvolte, più si riesce a bloccare la malattia.

3) Aterosclerosi: sembra un argomento a parte ma non lo è, perché alla base dell’aterosclerosi c’è

l’infiammazione, per cui in tutte le patologie infiammatorie croniche della reumatologia

bisogna sempre valutare l’aterosclerosi. Infatti oggi è considerata una patologia immuno-

mediata con infiltrato di monociti-macrofagi che, a seguito della fagocitosi di LDL ossidate, si

trasformano in cellule schiumose.

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Cuomo – Lezione 2 (09-03-17) – Artriti da agenti infettivi Sbobinatore: Nello Romanelli Coordinatore: Daniele Paolella

ARTRITI DA AGENTI INFETTIVI

Oggi parliamo delle artriti infettive, che cosa sono le artriti infettive.

Intanto le artriti infettive sono un’emergenza medica che è importante riconoscere poiché se non

riconosciute possono portare un’alterazione irreversibile della funzionalità articolare e poi

perché nel 30% dei casi possono essere addirittura mortali perché un’artrite infetta può portare una

disseminazione in tutto l’organismo risultando quindi mortali. Quindi la conoscenza dell’artrite

infettiva è un’emergenza medica reumatologica.

Che cos’è importante per limitare le sequele: intanto, una rapida ed approfondita valutazione del

paziente con sospetta artrite infettiva in modo tale da intraprendere una terapia specifica.

L’artrite infettiva deve essere sospettata sempre di fronte ad un’articolazione gonfia, tumefatta,

dolente e rossa; a volte si può presentare anche in pronto soccorso dove arriva un paziente che ha un

ginocchio gonfio oppure lo potete ritrovare anche in ambulatorio. La prima cosa che bisogna dire è che

il paziente ha anche dei sintomi sistemici, capire se questa artrite è conseguente ad una lesione, un

trauma e così via ed è importante capire e fare diagnosi differenziale perché nell’anziano, ad

esempio, l’artrite infettiva può essere mortale: il ginocchio gonfio lo si può ritrovare anche in

un’artrosi oppure una [5 min. 29 sec, penso dica “podocalcinosi”] oppure in una gotta per cui la

diagnosi differenziale va fatta sempre. Quindi prima cosa escludere che si possa trattare di un’artrite

infettiva sia con l’anamnesi sia con gli esami successivi.

Tutte le alterazioni che troviamo a carico del paziente fanno parte di un paradigma delle malattie

infettive cioè come succede per una malattia infettiva (interazione ospite - patogeno - ambiente) così

succede anche per l’artrite infetta. Quindi bisogna considerare le manifestazioni cliniche, la severità, il

trattamento e la prognosi: tutto dipende dallo stato immunologico del paziente, chiaramente nel

paziente immunocompromesso, nel paziente anziano, nei bambini, è più facile riscontrare un’artrite

infettiva rispetto alle altre forme di artrite; le comorbidità, per esempio i pazienti diabetici, si sospetta

che sia un’artrite infettiva perché chiaramente sono più soggetti alle infezioni chi ha il diabete o altri

tipi di comorbidità, se il paziente ha già una gotta o una [6 min. 53 sec] è più facile che possa poi

sviluppare un’artrite infettiva.

Importante è poi l’identificazione dell’ agente microbico, perché solo grazie a questo noi possiamo

instaurare una terapia specifica, la virulenza dello stesso e infine la sorgente di infezione, cioè come

questa infezione si è sviluppata nell’organismo e in particolare nell’articolazione.

Queste artriti possono essere di vario tipo:

• Causate da batteri

• Causate da virus

• Causate da miceti

• Causate da parassiti

Tutti si sviluppano attivamente nel cavo articolare provocando un’intensa risposta infiammatoria.

Vi sono anche quelli che non si sviluppano nel cavo articolare con un meccanismo di mimetismo

antigenico, riconoscono delle strutture presenti nell’articolazione, e quindi inducono la produzione di

anticorpi e lo sviluppo del processo infettivo.

Le forme acute sono quelle da batteri piogeni e da virus, le forme croniche o subdole invece sono

quelle da funghi o da micobatteri. Per quanto riguarda quelle batteriche le più frequenti sono quelle

non-gonococciche, cioè da piogeni (brucella, micobatteri, borrelia che causa la Malattia di Lyme

[pronuncia laim] e da troponema che determina la Malattia di Whipple [pronuncia uipple]), e poi

quelle gonococciche.

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Quelle invece virali possono essere dovute a vari virus per esempio parvovirus B19, HCV, HBV, HIV,

HTLV-I, virus trasmessi da artropodi oppure virus che causano malattie esantematiche (virus rosolia,

citomegalovirus, Epstein-Barr virus.

Ci sono poi quelle fungine che possono essere dovute adactinomicenes, aspergillus, blastomyces,

candida, cocciciodes, cryptococcus, Histoplasma, sporotrix.

Infine quelle parassitarie da echinococco, filarie, giardia lamblia, schiastosomamansoni, tenie,

toxoplasma gondii.

Le artriti infettive di origine batterica sono dette anche piogene, sono settiche o suppurative e sono

quelle più frequenti ma anche più gravi. L’agente eziologico più comune sia in Europa sia negli Stati

uniti è lo Staphyloccus aureus infatti su 100000 persone/anno ci possono essere 2-10 casi.

Aumentano inoltre quando ci sono dei fattori predisponenti, ad esempio nei soggetti che presentano

artrite reumatoide, i casi aumentano a 28-38 casi su 100000 mila persone/anno, quindi è chiaro che

chi presenta fattori predisponenti questa infezione può aumentare e negli ultimi 30 anni, nonostante

tutti i nuovi farmaci, l’aumento dell’assistenza ospedaliera e le misure fisio-terapiche, non vi è stata

variazione di questo andamento (addirittura le sequele si possono presentare nel 50% dei casi qualora

non diagnosticata in tempo).

Quali sono le vie di acquisizione?

• Ematogena, la più frequente, che si può avere durante una batteriemia: a livello del tessuto

sinoviale abbiamo una membrana basale e quindi i batteri attraversano questa membrana ed

arrivano nel cavo articolare;

• Infezione ossea o dei tessuti molli contigui alla articolazione;

• Per inoculazione diretta in seguito a traumi o morsi di animali;

• Infiltrazioni di glucocorticoidi o altre procedure intra-articolari, meno frequente ma è una

delle possibilità da considerare, cioè quando praticamente nei soggetti anziani si hanno le

infiltrazioni di acido ialuronico o di corticosteroidi bisogna sempre farlo in asepsi perché è

possibile che queste persone possano sviluppare poi una arterite se non fatto in modo sterile;

Qual è l’esordio delle artriti batteriche?

L’ esordio è con una mono-artrite, perciò abbiamo preso come esempio il ginocchio perché è quello

più colpito. L’esordio è acuto infatti può avvenire pochi giorni o al massimo in 2 settimane

dall’infezione e ci sono tutti i sintomi e i segni dell’infiammazione quindi dolore, tumefazione,

arrossamento e limitazione funzionale sia ai movimenti passivi sia a quelli attivi.

Quali sono le articolazioni più colpite?

• Ginocchio nel 50% dei casi;

• Anca, soprattutto nei bambini;

• Spalla;

• Polso;

• Nei soggetti immunodepressi o in caso di setticemia generalizzata ci sono delle forme

poliarticolari, cioè vengono colpite più articolazioni. Quindi generalmente si presenta come

una mono-artrite (ginocchio, spalla, polso) però in soggetti immunocompromessi l’artrite è di

tipo poliarticolare.

Questa è l’immagine di un’artrite settica [slide 14, “artriti da agenti infettivi”]: c’è questo dito

(immagine B), il quinto dito da porre in diagnosi differenziale con l’artrite psoriasica perché questo

potrebbe mimare un dito a salsicciotto che è tipico dell’artrite psoriasica. Questa è però un’artrite

infettiva perché dalla risonanza magnetica si vede proprio il danno osseo che questa va a determinare.

Questa è un’artrite infettiva (immagine A) e si pone in diagnosi differenziale con la gotta perché questa

è l’articolazione maggiormente colpita nella gotta cioè la cosiddetta [incomprensibile 13 min 40 sec, si

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riferisce all’articolazione metatarso-falangea dell’alluce.

Questa è un’artrite infettiva ed è colpito il ginocchio (immagine C).

Quali sono i sintomi che vanno ricercati, i sintomi sistemici?

Soprattutto la febbre, cioè si chiede al paziente se ha avuto febbre (anche se all’esordio può essere

presente solo nel 60% dei casi quindi l’artrite infettiva si può presentare anche senza febbre), i

brividi, anche senza aumento della temperatura corporea, malessere generale e a volte si può

riscontrare una linfoadenopatia satellite, per una stimolazione del sistema linfoproliferativo e quindi

i linfonodi si ingrossano.

Per quanto riguarda la diagnosi innanzitutto si fa l’analisi del liquido sinoviale, quindi si preleva il

liquido e si va ad analizzare. Che cosa troviamo? Intanto l’artrocentesi va effettuata prima di

iniziare l’antibiotico perché altrimenti può essere falsato. Il campione va trasportato in tempi rapidi in laboratorio di microbiologia, cioè appena viene fatta l’artrocentesi subito viene inviata al

laboratorio proprio per garantire l’immediata coltura dei batteri. Bisogna sempre indicare il batterio

che si sospetta perché in base al sospetto clinico si devono utilizzare terreni per batteri a lenta

crescita come per la Neisseria o la Brucella oppure quelli a più rapida crescita.

Che cosa troviamo in un’analisi del liquido sinoviale quando si tratta di un’infezione? (questo

l’abbiamo visto anche la scorsa lezione)

Durante un’artrite settica il liquido è torbido (generalmente, fisiologicamente, è giallo paglierino), non

presenta trasparenza, è più torbido, presenta una viscosità ridotta e la conta media dei leucociti,

prevalentemente polimorfonucleati, è compresa tra 50000 e 150000. Si possono trovare nel

liquido sinoviale di pazienti con artrite settica anche dei cristalli però questo non deve far spostare la

diagnosi verso la gotta o condrocalcinosi perché l’artrite settica può sovrapporsi ad esse, quindi se noi

troviamo entrambi gli elementi non dobbiamo sorprenderci.

Qua vi ho riportato la tabella dell’altra volta [slide 18] cioè di come il liquido sinoviale si presenta a

seconda della patologia:

Normalmente si presenta di colore giallo paglierino, incolore, con un aspetto limpido; i leucociti sono

meno di 200 per mm3 e i polimorfonucleati rappresentano solo il 25%.

Vedete invece quello settico: i leucociti sono più di 50000 e la quota di PMN aumenta in

concentrazione superando il 75%; invece quello infiammatorio è una via di mezzo tra quello artrosico,

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che generalmente non è infiammatorio, e quello settico che è francamente infiammatorio con tutta

questa serie di caratteristiche (riferimento alla tabella). Questa è una cosa importante da sapere

perché con questo fate diagnosi di artrite settica e potete salvare la vita al paziente perché qualora si

sbagliasse la diagnosi e nell’artrite si dà il cortisonico (potente antinfiammatorio) per cui noi subito

andiamo a far tacere l’infiammazione. Chiaramente però il cortisonico fa aumentare l’infezione, anzi la

peggiora, e quindi se è un soggetto già anziano, con comorbidità, si rischia che il paziente vada

incontro a sequele molto importanti.

Se il liquido sinoviale dovesse essere poi negativo si può ricorrere anche alla biopsia sinoviale. Se voi

non siete convinti che per la diagnosi basti l’artrocentesi, essendo negativa, ma siete convinti che

possa avere un’artrite settica si può fare la biopsia sinoviale e in quel caso avere la certezza al 100%.

Sono utili le indagini batterioscopiche e colturali a livello di ogni possibile focolaio extra-

articolare, emocolture, prima del trattamento antibiotico, ed è importante valutare l’indice di

infiammazione che chiaramente sono sempre elevati, come la VES e la PCR.

Ci sono poi degli esami strumentali che sono complementari: la risonanza magnetica; la TAC

(tomografia computerizzata) che in fase precoce mi evidenzia la presenza e l’estensione

dell’infiammazione mentre nella fase tardiva si può fare anche una radiografia tradizionale dove

evidenzia soprattutto l’entità del danno strutturale.

Quali sono le artriti non gonococciche?

Il batterio più frequente, nel 37-67% dei casi di pazienti non immunocompromessi, è lo S. aureus e

arriva fino al 75% nei soggetti che presentano un’artrite reumatoide, quindi che presentano una

comorbidità (in questo caso è riportata l’artrite reumatoide però aumenta anche in caso di diabete,

persone anziane e così via). Negli ultimi anni c’è stata una maggiore segnalazione di infezione da S.

aureusmeticillino-resistenti in soggetti già trattati precedentemente poiché chiaramente, in soggetti

già trattati con antibiotici, sviluppano resistenze e quindi è più difficile poi trattarli. Gli streptococchi invece rappresentano la seconda causa di artrite nei soggetti adulti (quindi lo S.

aureus come prima causa poi gli streptococchi). I batteri Gram – determinano artriti infettive

soprattutto nei neonati e nei bambini, ad esempio la Kingellakingae (leggi kinghellakinge) un saprofita

della mucosa orale oppure negli anziani, negli immunodepressi o nei tossicodipendenti Pseudomonas

aeruginosa (soprattutto nei pazienti allettatti ed ospedalizzati va sempre ricercato lo Pseudomonas).

Altri germi che possono causare artriti non-gonococciche sono Corynebacterium, Salmonella,

Mycoplasmahominis, Ureaplasmaurealyticum, Neisseria meningitidis, Listeria monocytogenes. Ci sono

poi specie batteriche meno note associate ad infezioni secondarie a morsi: ad esempio Pasteurella

multocida e Capnocyphagaspp. nel caso di morsi di cani e gatti, Streptobacillusmoniliformis morsi di

ratto, Eikenellacorrodens e Fusobacteriumnucleatum morsi da uomo. Infine Pantoeaagglomerans è il

batterio più frequente isolato nelle artriti infettive conseguenti a punture di spina di piante.

Le artriti settiche non-gonococciche generalmente possono essere a coltura polimicrobica circa l’8%

mentre a coltura negativa sono più spesso associate ad infezioni da Borreliaburgdorferi o

Tropherymawhipplei, dove una determina la malattia di Lyme e l’altra determina la malattia di

Whipple (che poi andremo a vedere).

Meccanismi patogenetici.

I meccanismi patogenetici non sono completamente chiari però alcuni studi su modelli animali hanno

dimostrato che ci sono alcune condizioni che favoriscono l’esposizione di proteine intra-articolari

(artropatie, traumi), creino una matrice che supporta l’adesione batterica, favorendo quindi

l’adesione del batterio. Ci sono fenomeni di mimetismo che poi vi dico.

Artriti non-gonococciche: vi sono inoltre batteri che producono tossine, quindi non agiscono

direttamente per cui il danno articolare è provocato dalla risposta immunitaria all’infezione da parte

dell’ospite.

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Artriti gonococciche: per quanto riguarda le artriti gonococciche la Neisseria gonorrhoeae è la più

frequente ed è stata per decenni la causa principale nei giovani perché trasmessa sessualmente ma alla

fine del secolo scorso questa artrite è andata in declino. Ci sono stati altri tipi di malattia soprattutto

nei pazienti sieropositivi, soggetti affetti da AIDS, queste artriti sono aumentate di nuovo.

Quali sono le due manifestazioni più importanti nell’artrite gonococcica? L’artrite e poi una

sindrome caratterizzata dalla presenza di pustole cutanee, tenosinoviti e artralgie senza artrite

purulenta.

Questo tipo di artrite colpisce soprattutto le grandi articolazioni che sono le ginocchia ed i polsi, si

può sviluppare in 2-3 settimane e può svilupparsi per disseminazione ematogena del batterio.

L’infezione viene trasmessa sessualmente, spesso è asintomatica, può essere trasmessa attraverso le

mucose genitali, rettali o faringee. Una volta che si è disseminato il batterio può localizzarsi in varie

articolazioni e abbiamo detto che quelle più frequenti sono quella del ginocchio e del polso. Nelle

donne l’infezione si può presentare 4 volte più frequentemente rispetto all’uomo ed è più frequente

nel periodo mestruale oppure durante la gravidanza o nel post-partum. Il gonococco ha sviluppato

recentemente crescente resistenza a numerosi antibiotici (per cui più si utilizzano antibiotici più si ha

una resistenza da parte di questo tipo di batteri).

Artriti da micobatteri: per quanto riguarda invece le artriti da micobatteri la più importante è quella

tubercolare che è causata dal Mycobacteriumtuberculosis e viene riportato nell’1-3% dei casi di

tubercolosi. Anche in questo caso la disseminazione ematogena può essere secondaria ad

un’infezione polmonare, quindi la tubercolosi polmonare può causare una disseminazione batterica e

quindi artrite. Nei paesi sviluppati la localizzazione articolare è associata ai classici fattori di rischio

per la tubercolosi: alcolismo, infezioni da HIV, immunodepressione, neoplasie, diabete mellito,

artropatie pre-esistenti, quindi chiaramente l’associazione di due patologie aumenta il rischio di

sviluppo di artrite.

L’andamento clinico è quello di un’artrite cronica e anche in questo caso colpisce ginocchia e polsi

(sono le due articolazioni più colpite in quasi tutte le artriti infettive) mentre per quanto riguarda le

manifestazioni extra-articolari e sistemiche possono essere presenti solo nella metà dei pazienti

quindi quando c’è un’artrite non sempre troviamo la manifestazione sistemica risultando difficile una

diagnosi precisa. Però la maggior parte dei pazienti presentano positività all’intradermoreazione di

Mantouxo anche alQuantiferonquindi al test di stimolazione linfocitario.

Per quanto riguarda la conferma diagnostica anche in questo caso può essere accertata al 100% con la

biopsia sinoviale, isolando appunto il bacillo.

Ci sono poi altre infezioni da micobatteri non tubercolari, avium e marinum, che sono provocate da

inoculazioni dirette quindi non disseminate come quella tipica tubercolare.

Artriti da Brucella: l’artrite da brucella è molto frequente nelle nostre zone dove c’è la

pastorizzazione. L’interessamento osteoarticolare rappresenta forse la principale forma d’infezione

localizzata in corso di malattia e nei giovani si può presentare soprattutto una sacro-

ileitemonolaterale, quindi a livello del bacino, oppure può presentarsi come un’artrite a carico delle

grosse articolazioni degli arti inferiori. Negli anziani è più frequente la spondilite lombare e in

questi soggetti va sempre effettuata la diagnosi differenziale tra la spondiloartrite ed un’artrite da

brucella perché spesso i sintomi sono uguali ma se si effettua un’anamnesi corretta e capire la storia

del paziente questo tipo di artrite è un’artrite infettiva quindi va trattata diversamente da una

spondiloartrite.

Il decorso di un’artrite da brucella può sfociare in una distruzione articolare vera e propria in quanto

il decorso è cronico e se la coltura del liquido sinoviale risulta negativa può essere di ausilio la

sierologia quindi troveremo un titolo anticorpale elevato oppure un aumento significativo nel tempo

di questi anticorpi anti-Brucella. Possiamo trovare dal punto di vista dell’emocromo una neutropenia

e la terapia va fatta con antibiotici protratta per almeno 6 settimane dopo la scoperta dell’artrite e

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nelle forme gravi questa antibiotico-terapia può essere protratta anche per 3 mesi.

Malattia di Lyme: si tratta di una zoonosi (trasmissione animale-uomo) e viene trasmessa dalle

zecche che praticamente inoculano la spirocheta nella cute, generalmente sono delle zone umide,

quindi sotto le ascelle oppure a livello inguinale. Quello che viene trasmesso è la

Borreliaburgdorferi oppure l’azfelii o la garinii. La zecca per trasmettere poi la spirocheta deve

restare a contatto con l’uomo, a contatto con la superficie cutanea, almeno 24-36 ore altrimenti non

c’è il passaggio del batterio. La zecca a sua volta prende questo batterio dai roditori, dai cervi e dagli

ungulati ed è quindi più frequente nelle zone rurali, campagne o boschi. Come vi dicevo prima vengono

inoculate all’uomo in zone nascoste come le pieghe inguinali e ascellari o il cuoio capelluto e questo è

chiaro perché in una zona esposta la zecca la vedete però in queste zone non sempre è visibile per cui

stazionando più ore c’è la capacità di trasmettere il batterio. L’incidenza negli USA nel 2010 è stata di

22500 casi mentre in Italia colpisce soprattutto la Liguria e le regioni del Nord-Est. Sono colpiti

soprattutto i bambini tra i 5 e i 14 anni, le manifestazioni cutanee sono precoci e si possono

presentare soprattutto nella stagione estiva, invece i sintomi tardivi possono interessare organi ed

apparati, soprattutto il sistema nervoso centrale, nella stagione invernale.

Questa malattia di Lyme sicuramente è un’artrite ma soprattutto una malattia multi-sistemica,

quindi la sua diagnosi deve essere ben delineata, e spesso può essere anche variabile poiché può

predominare un sintomo anziché un altro. Può colpire la cute, articolazioni e il sistema nervoso.

Entro 1 mese che cosa abbiamo: possiamo avere a livello cutaneo un eritema, l’eritema migrante,

caratterizzato da una lesione cutanea che si espande lateralmente e al centro diventa più chiara, di

solito il centro è rappresentato dal punto di puntura della zecca. Invece l’artrite si presenta con

carattere intermittente e migrante (quindi migra da un’articolazione all’altra) e i soggetti che

sviluppano questo tipo di artrite possono presentare una predisposizione genetica, infatti è stato visto

che hanno una penetranza del 10% dell’HLA DRB1*0401.

Questo è l’aspetto dell’eritema [riferimento slide 40], questa è la puntura della zecca poi si ha questa

parte bianca e poi piano piano si allarga.

Invece per quanto riguarda l’interessamento degli altri organi abbiamo detto può colpire il sistema

nervoso centrale determinando una pleiocitosi del liquor nella Nueroborreliosi, una paralisi

faciale periferica oppure una Borreliosi del SNC [fa riferimento alla figura C slide 41].

La malattia nonostante la terapia antibiotica può comunque cronicizzare e può protrarsi anche per

molti anni per cui è importante effettuare una corretta diagnosi perché instaurando da subito una

terapia antibiotica si evita questa cronicizzazione che generalmente si può avere nonostante l’utilizzo

dell’antibiotico. La cronicizzazione è sostenuta da una reattività immunitaria dei linfociti B e T nei

confronti di un autoantigene presente nella membrana e nel liquido sinoviale,

l’endothelialcellgrowthfactor.

Per quanto riguarda l’interessamento neurologico si può sviluppare una meningite asettica, una encefalomielite, una neuropatia craniale, una radicolo-neurite motoria e sensitiva e addirittura

un’atassia cerebellare. I sintomi neurologici comunque possono migliorare o regredire dopo settimane

o mesi anche senza terapia, quindi si autolimitano indipendentemente dalla terapia antibiotica.

Per quanto riguarda altri tipi di manifestazioni abbiamo anomalie cardiache, che si presentano

raramente con disturbi della conduzione atrio-ventricolare, miopericardite acuta, lieve disfunzione del

ventricolo sx o cardiomiopatia dilatativa cronica, o anche anomalie oculari, anche queste rare,

presentandosi con una congiuntivite, una cheratite o una uveite.

Per quanto riguarda il decorso dopo settimane o mesi senza trattamento si può sviluppare una acro-

dermatite atrofica, cioè praticamente una sclerosi delle estremità che mimano molto la sclerosi

sistemica per cui si ha questa fibrosi a livello cutaneo soprattutto alle estremità, si può avere una

encefalopatia cronica e malessere generale quindi astenia.

Per quanto riguarda la diagnosi va confermata con indagini sierologiche e nella maggior parte dei

pazienti dopo un mese dall’infezione presentano positività sia per le IgG che per le IgM anti-Borrelia, la

sola positività delle IgM può essere un falso positivo quindi deve essere sempre confermato dalla

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presenza anche delle IgG. Nelle fasi iniziali, prima della comparsa degli anticorpi, la biopsia delle

lesioni cutanee o il prelievo del liquido sinoviale consentono di eseguire l’esame colturale e

quindi la ricerca della Borrelia; la ricerca della PCR nel liquido sinoviale è molto sensibile si può

ritrovare anche nel 50-70% dei pazienti.

Per quanto riguarda la terapia si utilizza il ceftriaxone per via parenterale e si fa 1 g per due volte al

giorno per 14-21 giorni oppure si può utilizzare la doxiciclina 200 mg/die per 30 giorni mentre nei

bambini e nelle donne gravide si utilizza l’amoxicillina 500-750 mg tre volte al giorno sempre per 21

giorni.

Malattia di Whipple: anche questa è determinata da un batterio, Tropherymawhippelii, la cui

diagnosi si effettua con microscopia elettronica oppure con metodiche biomolecolari, quindi la

diagnosi è più difficile e quando ci si ritrova di fronte alla sintomatologia allora si va a ricercare la

presenza del batterio con tecniche biomolecolari. Il Tropherymawhippelii è un commensale

ubiquitario dell’organismo e la prevalenza nella popolazione sana è dell’1,5-7%. Per quanto riguarda la

malattia invece presenta una incidenza di 0.5-1 caso per milione di abitanti quindi è molto rara però è

importante riconoscerlo perché questo tipo di malattia ha una prognosi molto severa. Vengono colpiti

per il 97% i maschi con un’età media intorno ai 40 anni.

Tropherymawhippelii è un batterio prevalentemente intracellulare con spiccato trofismo sia per

monociti che per macrofagi e la sua persistenza nelle cellule è dovuta a un’alterazione della

degradazione intracellulare dei batteri che precede l’invasione della mucosa intestinale e la diffusione

in altri organi. Come conseguenza della glicosilazione degli antigeni batterici di superficie si ha una

assente o scarsa risposta auto-anticorpale quindi non c’è più la formazione di questi anticorpi e

allora l’antigene batterico inizia a disseminarsi.

La diagnosi generalmente è tardiva poiché è una malattia rara, non si pensa possa essere questo tipo

di malattia, è eterogenea nelle manifestazioni cliniche e può presentare quadri atipici poiché

generalmente c’è l’interessamento intestinale però possiamo trovare anche casi in cui non c’è

interessamento intestinale e quindi non si va a pensare possa essere questo tipo di malattia.

Per quanto riguarda la trasmissione del batterio può essere per via oro-fecale o oro-orale poiché è

stato isolato dalle feci e dalla saliva.

Quando va sospetta la diagnosi? Va sospettata nei maschi quando hanno degli episodi intermittenti

di poliartrite simmetrica sieronegativa o oligoartrite delle grosse articolazioni (ginocchia, polsi,

caviglie). Quindi un paziente con un’artrite, simmetrica, con fattore reumatoide negativo ed ha degli

episodi intermittenti, ad esempio 3-4 volte l’anno, oppure un oligoartrite, ossia un interessamento

inferiore a 5 articolazioni, da 2 a 4 articolazioni, allora si può sospettare però deve esserci anche

interessamento intestinale che può presentarsi con diarrea cronica e calo ponderale. Oltre a questo

interessamento intestinale e all’artrite che può precedere di anni la comparsa di manifestazioni

tipiche, l’artrite può anche cronicizzare e le immagini radiografiche presentano caratteristiche simili all’artrite reumatoide per cui bisogna fare una diagnosi differenziale; può presentare la formazione

di noduli e anche in questo caso va fatta diagnosi differenziale con l’artrite reumatoide poiché anche

quest’ultima può presentare i cosiddetti noduli reumatoidi, positività del fattore reumatoide, che è

sempre negativo nella malattia di Whipple, e poi le piccole articolazioni nella malattia di W. sono

risparmiate poiché come abbiamo detto colpisce soprattutto le grandi articolazioni. Quando invece è

presente l’impegno assiale, che può essere presente dal 6 al 40% dei casi, si può avere un’anchilosi

delle articolazioni sacro-iliache e la formazione di sindesmofiti e in questo caso si fa la diagnosi

differenziale con la [min 43 20 sec] dove appunto le articolazioni più colpite sono le sacro-iliache.

Come vi dicevo, oltre all’interessamento articolare e all’interessamento intestinale, abbiamo

interessamento cardiaco, che può presentarsi o con pericardite o con endocardite o con miocardite

quindi possono essere colpiti tutti e tre i foglietti cardiaci, si possono avere anche delle alterazioni a

carico del sistema nervoso centrale quindi con alterazioni neuro-cognitive, a carico dell’occhio

presentandosi con un’uveite, una vitreite o una retinite quindi condizioni abbastanza gravi,

interessamento polmonare con pleurite oppure un’adenopatia granulomatosa mediastinica.

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Iter diagnosico: la PCR su saliva, feci e liquido sinoviale con metodiche di biologia molecolare. Se

questa è negativa sui tre campioni la diagnosi è esclusa; se almeno una è positiva va effettuato il

riscontro istologico su biopsie multiple del piccolo intestino che presenta in questo caso degli

infiltrati mucosali di macrofagi schiumosi che si colorano con l’acido periodico di Schiff. Se positivi solo

su feci e saliva invece si tratta di un portatore sano. Chiaramente ci sarà un aumento degli indici

infiammatori, quindi un aumento della VES, un aumento della PCR, anemia, leucocitosi, eosinofilia

e alterazioni da malassorbimento perché la malattia appunto colpisce il piccolo intestino e quindi si

ha malassorbimento.

Per quanto riguarda la terapia si utilizza il timetropin-sulfometossazolo 2 volte al giorno per 1-2

anni mentre se c’è un impegno neurologico si usa la sulfadiazina, anche per tutta la vita per evitare

recidive che si possono presentare nel 15% dei casi.

Allora abbiamo visto le artriti batteriche che sono quelle un po’ più “tremende” dal punto di vista

prognostico, adesso vediamo quelle virali che sono generalmente acute, colpiscono diverse

articolazioni quindi non si presentano mai come una mono-artrite ma sempre poli-articolare, si

associano a malattia sistemica senza lasciare particolari sequele e la diagnosi si effettua andando a

ricercare il virus nella membrana sinoviale oppure con la valutazione della risposta immunitaria

dell’ospite nei confronti del virus, quindi la presenza di anticorpi.

Quelle più frequenti sono quelle da Parvovirus B19 con quadro di poliartrite simil-reumatoide cioè

praticamente durante l’infezione oppure subito dopo l’infezione si può avere un quadro di artrite,

generalmente poli-articolare e simmetrica e questo può far sospettare un’artrite reumatoide per cui va

effettuata una diagnosi differenziale; presenta una prevalenza femmine/maschi di 2:1 ed è ad

andamento stagionale con picchi in inverno-primavera. La diagnosi è soprattutto clinica e queste sono

le articolazioni che maggiormente vengono colpite [riferimento slide 58], queste qua sono soprattutto

dolenti (sulla slide “pain”) però si possono riscontrare anche delle articolazioni tumefatte (sulla slide

“swelling”) a livello delle mani e delle dita con un totale di circa il 58% dei casi, di cui il 35% può

colpire le articolazioni metacarpo-falangee, il 54% le interfalangee prossimali e il 19% le interfalangee

distali. Quindi in queste articolazioni oltre al dolore si può avere anche una tumefazione e questo può

far pensare all’artrite reumatoide perciò bisogna fare una corretta diagnosi differenziale.

Per quanto riguarda gli altri tipi di artrite c’è quella causata dal virus della Rosolia, anche in questo

caso è un quadro di poliartrite e si presenta entro pochi giorni dall’esordio della malattia

esantematica; non cronicizza mai e dura solo un paio di mesi, la diagnosi anche in questo caso è

clinica e la terapia viene fatta con antinfiammatori (FANS).

Abbiamo poi quella da epatite B, anche in questo abbiamo un quadro di poliartrite con quadro

prodromico sistemico accompagnato da eruzione cutanea entro pochi giorni, anche in questo caso

non cronicizza e generalmente regredisce con la comparsa dell’ittero.

Poi abbiamo le artriti da Retrovirusche possono presentarsi con una poliartrite ma anche con un’oligoartrite che colpiscono soprattutto le grandi articolazioni. Sono malattie provocate dalla

puntura della zanzara tigre e spesso è una poliartrite disabilitante che può durare anche settimane o

mesi.

Quelle virali non causano particolari problemi però è chiaro che non bisogna confondersi nella

diagnosi quindi generalmente quelle virali sono poliarticolari e si autolimitano non causando sequele,

non cronicizzano mai.

Vediamo quelle fungine. I funghi responsabili sono diversi come ad esempio criptococcus,

coccidioides, blastomyces e così via però vi sono quelli che colpiscono i pazienti

immunocompromessi e sono soprattutto la candida, aspergillus e criptococcus. In questo caso il

quadro non è quello di una poliartrite ma è quello di una mono-oligoartrite che può essere cronica,

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con esordio insidioso ed andamentoindolente. La diagnosi è tardiva e spesso si verifica un danno

anatomico severo perché l’artrite non viene riconosciuta né viene accusata dal paziente per cui nel

momento in cui si manifesta clinicamente ormai si è già formato il danno anatomico. La patologia

articolare può avvenire per disseminazione ematogena soprattutto nei pazienti

immunocompromessi con polmonite oppure può avvenire in seguito a traumi negli

immunocompetenti. La diagnosi si effettua con la coltura del liquido sinoviale e la terapia con

antifungini.

Ci sono dei fattori predisponenti di artriti infettive che sono l’età avanzata, la nascita prematura,

malattie articolari pre-esistenti, malattie sistemiche croniche, endocardite, immunodepressione,

recenti interventi chirurgici o traumi, protesi articolari, uso di droghe endovena, terapia antibiotica

protratta nel caso della candida anche una lunga ospedalizzazione o alimentazione parenterale e

presenza di catetere venoso centrale. Questi fattori vanno sempre chiesti anamnesticamente di fronte

ad un’artrite sospetta che può essere un’artrite infettiva.

In questo capitolo vi parlo anche della malattia reumatica e quindi della febbre reumatica perché fa

parte delle artriti infettive o post-infettive. Insorge in seguito ad infezione da batterio streptococco di

gruppo A, generalmente tutti hanno questo tipo di infezione, manifestandosi con faringiti e tonsilliti.

Se le infezioni non vengono curate il sistema immunitario attacca non solo i veri nemici, quindi gli

streptococchi, ma anche alcuni tessuti del corpo perché si ha un fenomeno di mimetismo.

La malattia reumatica è una malattia importante da conoscere per chi fa la reumatologia, è una

malattia infiammatoria cronica multi-sistemica immunomediata. Si sviluppa in pazienti

predisposti, quindi faringiti e tonsilliti possono svilupparle tutti però solo in alcuni può succedere

questo con interessamento articolare, encefalico e cardiaco. L’infezione orofaringea è causata da

streptococco emolitico di gruppo A e il decorso può essere acuto con interessamento delle

articolazioni, cuore, cute e sistema nervoso centrale.

Epidemiologia: la faringite ha un’incidenza piuttosto elevata mentre la malattia reumatica si manifesta solo in una minoranza dei casi. La storia naturale della malattia reumatica è caratterizzata da uno o più

episodi acuti che possono esitare nella cardiopatia reumatica, condizione cronica ed irreversibile

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caratterizzata da deformità delle valvole cardiache con conseguente stenosi o insufficienza che può

portare a morte per insufficienza cardiaca anche pazienti molto giovani quindi è importante la

diagnosi di questa malattia. Nei paesi occidentali, con l’avvento della terapia antibiotica, l’incidenza

annua della malattia reumatica è ridotta, praticamente si è quasi azzerata però è sempre meglio

conoscerla perché può comunque verificarsi infatti in tutto il mondo sono stimati 18 milioni di casi di

malattia reumatica e 500000

decessi per cardiopatia

reumatica ogni anno dei quali

300000 in Africa. La malattia

reumatica predilige

soprattutto l’età scolare e le

classi meno abbienti a

prescindere dal sesso.

Come si sviluppa la malattia

reumatica [riferimento slide

69]: questo è lo streptococco,

laringite e tonsillite.

Se le infezioni non vengono

curate succede che il sistema

immunitario per combattere

l’infiammazione inizia a

colpire vari organi tra cui

articolazioni, encefalo e cuore

determinando la febbre

reumatica. Quindi se noi

blocchiamo il processo qua (si

riferisce alle laringiti ed alle tonsilliti) tutto questo non si verifica anche se il sistema immunitario

comunque si attiva contro lo streptococco però è chiaro che se noi qua non andiamo a bloccare può

colpire anche il resto dell’organismo.

Eziopatogenesi: la malattia reumatica insorge dopo un’infezione da streptococco emolitico di

gruppo A, dopo infezione orofaringea. L’infezione da streptococco da streptococco emolitico di

gruppo A è ampiamente riconosciuta poiché sono stati individuati degli epitopi antigenici, la

cosiddetta proteina M, comuni tra alcuni componenti dello streptococco emolitico di gruppo A e

proteine presenti nei tessuti umani perciò gli anticorpi che l’organismo sviluppa contro il batterio sono

gli stessi anticorpi che poi vanno contro alcuni organi dell’organismo umano, quindi la cross-reazione

tra la proteina M e la miosina cardiaca spiegherebbe la cardite, processo di mimetismo molecolare.

Quindi l’organismo produce anticorpi contro la proteina M che però noi troviamo anche nella miosina cardiaca per cui i costituenti della parete dello streptococco emolitico inducono

un’autoimmunità cellulo-mediata di tipo ritardato. Gli anticorpi, reagendo con gli antigeni

streptococcici, danno vita alla formazione di immunocomplessi responsabili delle manifestazioni

cliniche articolari e sierositi che tipiche dell’attacco reumatico acuto. Quindi da una parte la cardite è

dovuta soprattutto a questo meccanismo di mimetismo molecolare mentre le altre alterazioni sono

dovute alla precipitazione di immunocomplessi tra gli anticorpi prodotti dall’ospite e gli antigeni

streptococcici, quindi ci sono due tipi di meccanismi.

Per quanto riguarda la cardite ci sono delle alterazioni tipiche della malattia reumatica e questa

lesione anatomo-patologica tipica è detta nodulo di Aschoff caratterizzato da una zona centrale di

necrosi fibrinoide e da una zona periferica con cellule epitelioidi, linfociti e plasmacellule. I noduli di

Aschoff sono ubiquitari però si localizzano elettivamente al miocardio cioè possiamo trovarli a

livello dei vari foglietti cardiaci ma si riscontrano in particolare a livello miocardico. A livello

endocardico si osserva invece la deposizione sotto-endoteliale di materiale fibrinoide che

configura il quadro dell’endocardite verrucosa. Quindi quando ci si trova di fronte ad un sospetto di

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malattia reumatica bisogna sempre fare un ecocardiogramma per andare a vedere se c’è in particolare

questa endocardite di tipo verrucosa. Per quanto riguarda invece le alterazioni sinoviali aspecifiche

in genere si svolgono senza esiti.

Abbiamo detto che solo una piccola percentuale di soggetti sviluppa la malattia reumatica e in

particolare il 3% dei pazienti con infezione acuta può svilupparla. Si può avere anche una reinfezione

streptococcica in pazienti già con malattia reumatica e ciò si associa ad una recidiva nel 30% dei casi

per cui chi ha avuto la malattia reumatica deve fare sempre una profilassi proprio per impedire che

altre infezioni possano provocare di nuovo questo episodio di malattia reumatica. Inoltre la malattia

reumatica presenta una concordanza del 20% nei gemelli identici ed è stata descritta un’aggregazione

familiare dei casi. Queste osservazioni implicano la presenza di fattori patogenetici predisponenti allo

sviluppo della malattia reumatica.

Quadro clinico: per quanto riguarda il quadro clinico, si presenta con un’infezione delle vie aeree

superiori che può essere anche una faringo-tonsillite acuta, in 1/3 dei casi è silente mentre in ½ dei

casi può presentarsi con un rash scarlattiforme. Dopo 2-4 settimane che sono completamente silenti,

quindi asintomatiche, si può avere febbre elevata, aumento degli indici di flogosi, artralgia quindi solo

dolori articolari, non artriti, interessamento cardiaco, interessamento cutaneo ed interessamento del

SNC. L’artrite si presenta come una poliartrite asimmetrica, quindi più di 5 articolazioni ma non ad

esempio entrambe le mani, ma generalmente una mano, un piede, una spalla e così via, è di tipo

migrante, ha una risoluzione spontanea e non è mai destruente. Può presentarsi anche come una

oligoartrite, cioè meno di 5 articolazioni coinvolte e può colpire ginocchia, caviglie, gomiti e polsi. Nel

caso della malattia reumatica bisogna effettuare sempre diagnosi differenziale con l’artrite reattiva

post-streptococcica perché quest’altro tipo di artrite si sviluppa dopo circa 7-10 giorni dall’infezione

ed è un’artrite aggiuntiva (il polso, poi l’altro polso, la spalla poi l’altra spalla quindi aggiuntiva, cioè

prevede l’interessamento di un’articolazione più l’altra) e persistente, quindi non migrante, e può

colpire tutte le articolazioni non solo le grandi articolazioni con possibilità di coinvolgimento anche

dello scheletro assiale. Inoltre non è responsiva ai salicilati diversamente dalla malattia reumatica.

Manifestazioni cardiache: per quanto riguarda le manifestazioni cardiache abbiamo detto sono

quelle più importanti dal punto di vista clinico, si manifestano in circa la metà dei casi con pericardite,

miocardite ed endocardite asettica. L’endocardite interessa soprattutto la valvola aortica e la mitrale

e può esitare in un vizio valvolare permanente. La miocardite invece si associa a danno valvolare

grave, quindi la miocardite più l’endocardite può portare a morte per scompenso cardiaco congestizio.

La diagnosi di cardite è avvalorata dalla comparsa di un soffio cardiaco, dalle alterazioni

elettrocardiografiche, ad esempio abbiamo un allungamento del PQ oppure un blocco atrio-

ventricolare, da un rapido aumento delle dimensioni cardiache o dalla comparsa di uno

sfregamento pericardico, quindi l’esame cardiologico in questi pazienti è importantissimo.

Manifestazioni cutanee: per quanto riguarda le manifestazioni cutanee possiamo avere un eritema

marginato o anulare che generalmente si presenta di colore rosa con zone centrali più chiare e margini rotondeggianti oppure serpiginosi, generalmente non pruriginoso, transitorio e migrante. Si

localizza sulle braccia o al tronco. Un’altra manifestazione cutanea sono i noduli sottocutanei di

Meynet, fissi e non dolenti, e possono localizzarsi sulle superfici estensorie delle braccia con cute

sovrastante mobile e senza segni di flogosi. Quando presenti si associano spesso alla cardite reumatica.

Manifestazioni neurologiche: per quanto riguarda invece le manifestazioni neurologiche, la

manifestazione tardiva della malattia reumatica con interessamento neurologico è la corea di

Sydenham caratterizzata da movimenti rapidi, involontari ed afinalistici. Può coesistere astenia

quindi debolezza muscolare e anormalità comportamentali.

La malattia reumatica si può risolvere in genere entro pochi mesi dalla comparsa della febbre, delle

artriti e delle manifestazioni cutanee invece la cardite può residuare con vizi valvolari in 1/3 dei casi.

La corea persiste per alcuni mesi ma comunque si autolimita. La prognosi di questa malattia è legata

soprattutto all’interessamento cardiaco.

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Come si fa la diagnosi? In questo caso

ci sono i cosiddetti criteri di Jones del

1992 e per fare diagnosi c’è bisogno

della presenza di 2 criteri maggiori

che sono cardite, poliartrite, eritema

marginato, noduli sottocutanei, corea,

oppure 1 criterio maggiore e 2

minori, i minori sono febbre,

artralgie, VES elevata, PCR positiva,

allungamento dell’intervallo PR

all’ECG. Poi chiaramente bisogna

dimostrare che è avvenuta

un’infezione streptococcica quindi o

con un aumento del titolo degli

anticorpi anti-streptococco o con un

tampone faringeo positivo per streptococco A oppure un test rapido per l’antigene streptococcico.

Per quanto riguarda la terapia, in questo caso abbiamo una terapia che si basa soprattutto sulla

profilassi, una profilassi primitiva ed una secondaria.

La profilassi primitiva chiaramente è configurata nel trattamento dell’infezione delle prime vie

respiratorie da streptococco emolitico di gruppo A, è obbligatoria per pazienti con faringite da

streptococco certa o sospetta soprattutto nei soggetti a rischio per età, familiarità e condizioni

ambientali quindi nei bambini la profilassi va fatta sempre poiché sono quelli più colpiti. Viene

effettuata con un’iniezione intramuscolare di penicillina G benzatinao con cefalosporine di prima

generazione, per chi è intollerante o allergico alla penicillina si usa l’eritromicina.

La profilassi secondaria consiste nella somministrazione intramuscolare, ogni 3 settimane, di

penicillina G benzatina per prevenire la colonizzazione oppure la reinfezione delle prime vie aeree.

La profilassi è raccomandata per lunghi periodi, nei pazienti con cardiopatia valvolare reumatica

anche per tutta la vita perché sono quei pazienti più a rischio di una malattia grave ed anche mortale.

I pazienti che invece non hanno sviluppato cardite, la profilassi va effettuata per un minimo di 5 anni

dopo l’ultimo attacco di malattia reumatica quindi viene ad esempio ad 11 anni, fino a 16 anni va fatta

la profilassi. Inoltre i pazienti con coinvolgimento cardiaco iniziale dovrebbero continuare la profilassi

per 10 anni dopo l’ultimo

attacco.

Descrive la slide 86 riportata

di seguito senza fare ulteriori aggiunte.

Per quanto riguarda invece la

febbre e i dolori articolari si

usano i FANS o l’aspirina,

cioè l’acido acetilsalicilico, i

corticosteroidi ad alti

dosaggi vengono dati nei

casi di cardite attiva per

prevenire le complicanze

valvolari, poi gradualmente

ridotti, quindi vengono dati

prima in alto dosaggio in 2-3

somministrazione

giornaliere poi viene tutto

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dato in un’unica somministrazione al mattino e poi si comincia una una riduzione graduale del 15-20%

a settimana.

Questo è una tabella[riferimento

slide 88] che schematizza l’uso

degli steroidi soprattutto in

presenza di cardite: se la cardite è

lieve per una settimana, se è severa

anche per sei settimane. Invece

l’aspirina se è presente solo artrite

per 1-2 settimane, se c’è una cardite

lieve per 2-4 settimane mentre se

c’è una cardite severa per 5-7

settimane vengono associati.

Inoltre è importante il riposo in questi soggetti che hanno questa sintomatologia generalizzata mentre

per quanto riguarda l’interessamento neurologico che è la corea minor questa non risponde alla

terapia steroidea o con salicilati ma è una complicanza autolimitante quindi si presenta durante la fase

acuta della malattia però poi dopo un paio di mesi scompare.

Parliamo poi dell’eritema nodoso che ritroviamo anche nella malattia reumatica ma presente anche

in altre patologie di interesse reumatologico o anche in patologie non reumatologiche come neoplasie

o sarcoidosi. L’eritema nodoso è una patologia ad esordio acuto caratterizzata dalla comparsa di

noduli cutanei eritematosi, dolenti e duri alla palpazione, quindi a differenza invece di altri noduli

che abbiamo visto sulla superficie estensorianon dolenti quando si tratta di eritema nodoso sono

sempre dolenti anche spontaneamente, non c’è bisogno di palparli, duri alla palpazione, il paziente si

accorge della presenza di questi noduli perché fanno male, cioè sentono dolore dove è presente il

nodulo, e dal punto di vista clinico sono espressione di una panniculite settale del tessuto

connettivo adiposo sottocutaneo quindi è colpito in questo caso proprio il connettivo.

Questo eritema nodoso presenza un’incidenza 2,4 nuovi casi su 10000 abitanti/anno, quindi è anche

abbastanza frequente rispetto alle patologie che abbiamo visto prima, alle forme di artriti virali e

batteriche, è una patologia che si presenta soprattutto nel sesso femminile però in età pediatrica può

essere presente sia nei maschi che nelle femmine e si riscontra un picco di incidenza tra i 18 e i 34

anni.

Patogenesi: l’eritema nodoso è sostenuto da una reazione di ipersensibilità ritardata di IV tipo nei

confronti di numerosi antigeni

esogeni o endogeni.

Vi ho riportato la tabella dove sono riportati i tipi di reazione [slide

93], abbiamo detto reazione di IV

tipo, quindi cellulo-mediata o da

ipersensibilità ritardata che è tipica

proprio delle vasculiti e infatti

questo eritema nodoso lo troviamo

associato alle vasculiti. Vi ricordo

quello di tipo III invece che sono

dovute soprattutto ad

immunocomplessi, quelle di tipo II

dovute alla reazione tra anticorpi

ed antigeni di membrana mentre

quelle di tipo I sono sostenute da

allergeni con IgE.

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Abbiamo detto che è una panniculite settale in assenza di vasculite quindi interessa solo il connettivo

infatti i setti del tessuto adiposo sottocutaneo appaiono ispessiti ed infiltrati da cellule

infiammatorie sebbene talvolta queste ultime possano estendersi alle aree perisettali dei lobuli

adiposi. Inoltre è possibile osservare nel derma sovrastante, dove c’è il nodulo, anche un infiltrato

infiammatorio composto prevalentemente da cellule linfocitarie e il caratteristico aspetto

eritematoso, quindi questo colore rosa-rosso, è dovuto proprio a questa componente infiammatoria

mentre l’aspetto nodulare è dovuto all’interessamento sottocutaneo. Quindi nel sottocutaneo c’è

questo nodulo duro, palpabile, dolente, invece nella parte sovrastante, dove ci sono soprattutto cellule

linfocitarie, c’è dolore dovuto soprattutto a questa infiammazione che determina anche il colorito

tipico di questi noduli. Per quanto riguarda la composizione dell’essudato infiammatorio evolve nel

tempo infatti nelle fasi iniziali ci sono soprattutto granulociti polimorfonucleati neutrofili, edema

interstiziale e piccole soffusioni emorragiche mentre nelle fasi avanzate si hanno linfociti, macrofagi e

si possono avere inoltre la formazione di granulomi radiali, i cosiddetti granulomi radiali di

Miescher, costituiti da aggregati nodulari di istiociti e sono un segno istopatologico patognomonico di

eritema nodoso.

Eziologia e fattori scatenanti: quali sono le cause che possono determinare un eritema nodoso?

Possono essere cause infettive, neoplastiche, iatrogene e correlate a svariate patologie sistemiche

ed è importante questo tipo di inquadramento diagnostico in cui è presente questo tipo di sintomo

perché è importante capire il fattore scatenante ma anche quale sia la patologia di base che lo ha

determinato anche se nel 50% dei casi purtroppo la diagnosi non si riesce ad effettuare restando

idiopatico. Quindi per il 50% è associato ad una patologia e per la restante parte non si sa definendolo

quindi idiopatico.

Le infezioni da streptococco emolitico sono la causa più frequente infatti rappresenta il 48% dei

casi e i noduli compaiono dopo 2-3 settimane dopo un episodio di faringite streptococcica, quindi

per i pazienti che presentano questi noduli innanzitutto va fatto un tampone faringeo per vedere se

hanno avuto un’infezione da streptococco e va ripetuto a 4 settimane dall’inizio del trattamento.

Può essere manifestazione cutanea di una tubercolosi primaria e in alcuni casi può precedere la

positivizzazione dello skin-test alla tubercolina, quindi praticamente voi fate l’intradermoreazione

però questa può risultare negativa positivizzando dopo ed essere una manifestazione della tubercolosi

primaria. Tutti i pazienti andrebbero stratificati per il rischio di esposizione al bacillo tubercolare e

quindi andrebbe instaurata una terapia antibiotica mirata proprio per prevenire la disseminazione

tubercolare, vanno inoltre valutati anche gli altri micobatteri atipici perché possono sviluppare un

eritema nodoso.

Può essere inoltre legata alla sarcoidosi che è causa di circa il 25% dei casi di eritema nodoso e se

associata all’artrite, all’uveite ed a linfadenopatia bilaterale configura la cosiddetta sindrome di

Lofgren.

Si può presentare in molte micosi sistemiche come ad esempio da Histoplasma capsulatum, da Blastomyces dermatidis, Paracoccidioides brasiliensis e così via oppure altri patogeni di natura

batterica come la Yersinia enterocolitica, Mycoplasma pneumoniae, le salmonelle ecc. e anche alcuni

virus tra cui il citomegalovirus ed EBV.

Si può avere anche per reazioni di ipersensibilità per alcuni farmaci, quindi ci sono alcuni farmaci

che possono determinare la comparsa dell’eritema nodoso, tra questi ci sono alcuni antibiotici, alcuni

contraccettivi orali e meno frequentemente inibitori di pompa, per cui va valutata anche l’anamnsesi

farmacologica di questi pazienti.

Inoltre può essere una manifestazione dermatologica delle MICI, ossia delle malattie croniche

intestinali, quindi chi ha il morbo di Chron, chi ha la rettocolite ulcerosa, può presentare questa

manifestazione cutanea di eritema nodoso.

Infine può essere anche un marker di patologia neoplastica maligna, soprattutto patologie

linfoproliferative, assumendo in questo caso il ruolo di manifestazione paraneoplastica. Meno

frequentemente si associa ai carcinoidi oppure ai carcinomi del colon o del pancreas.

Clinica: dal punto di vista clinico abbiamo detto sono noduli eritematosi e dolenti, hanno margini

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non ben definiti, hanno un diametro che può variare da 1 a 10 cm, evolvono durante il decorso della

malattia divenendo più duri e dolenti alla palpazione e poi possono variare anche la tonalità, per cui

possono andare dal rosso vivo al bluastro fino ad assumere nelle fasi finali una colorazione giallastra.

Si presentano soprattutto alle superfici estensorie degli arti inferiori, regione pretibiale, ma anche

sulla superficie estensoria dell’avambraccio, a livello delle cosce e del tronco. Generalmente le eruzioni

cutanee possono essere precedute da una sintomatologia simil-influenzale con febbre, malessere

generale, mialgia, astenia e poliartralgie che possono colpire tutte le articolazioni (polsi, caviglie,

ginocchia), però non ci sono delle vere e proprie artriti, sono delle artralgie quindi non c’è una sinovite

vera e propria e non hanno mai un carattere erosivo. La risoluzione di queste lesioni cutanee può

avvenire in 6-7 settimane però possono persistere fino a 18 settimane se indotte da infezioni

batteriche e fino a 6 mesi nelle forme idiopatiche.

Queste sono alcune degli aspetti [slide 106], vedete questa è la superficie estensoria delle gambe, sono

abbastanza piccoli però il paziente riferisce dolore e alla palpazione si nota questa consistenza dura e

diventano anche più dolenti nel momento in cui vengono toccati.

Vedete invece qua [slide 107] sono molto più ampi.

Esami di laboratorio: quali sono gli esami di laboratorio per una valutazione completa per capire

questo eritema nodoso: un esame emocromocitometrico con formula leucocitaria per vedere

soprattutto se c’è un aumento dei globuli bianchi, c’è una piastrinosi che è sintomo di infiammazione,

la misurazione di VES e PCR che sono gli indici di infiammazione più frequenti che troviamo elevati,

tampone faringeo se abbiamo un titolo antistreptolisinico elevato, le analisi delle urine, il test alla

tubercolina con quantiferon, che sarebbe un test di stimolazione linfocitaria, una RX toracica

soprattutto se si sospetta un’infezione tubercolare ma anche se si sospetta un’eziologia neoplastica o

da sarcoidosi. Poi per la natura infettiva dell’eritema nodoso vanno valutate la sierologia quindi gli

anticorpi contro HBV, HCV, HBV, citomegalovirus e poi indagare sempre la presenza di sangue occulto

nelle feci nel sospetto di una MICI associata ed eseguire delle coprocolture.

Diagnosi differenziale: la diagnosi differenziale va fatta con l’eritema induratum che interessa la

regione posteriore delle gambe diversamente dall’eritema nodoso che si presenta sempre alla

superficie estensorie, è un eritema più duraturo che possono anche ulcerarsi e infatti la guarigione si

ha sempre con esiti cicatriziali. Poi bisogna fare diagnosi differenziale con la poliarterite nodosa

(PAN) che è una delle vasculiti a maggiore frequenza, in questo caso i noduli si localizzano sulla

superficie dorsale degli arti inferiori, sono ulcerati, sono associati a livedo, che è praticamente una

marezzatura della superficie sia delle cosce sia delle gambe che si ha proprio nelle vasculiti ma anche

nel lupus, e istologicamente la diagnosi viene fatta per la presenza di arterie di piccolo e medio calibro

e la presenza di arteriole dei setti del pannicolo adiposo con pareti ispessite e necrosi fibrinoide, in

questo caso non c’è interessamento dei setti o dei lobuli adiposi. Quindi istologicamente sono

completamente diversi perché nell’eritema nodoso sono colpiti i setti adiposi invece in questo caso c’è

una necrosi fibrinoide ed una vasculite proprio dei piccoli vasi. Inoltre anche nella pancreatite si possono avere la comparsa di noduli a digestione del tessuto adiposo sottocutaneo ad opera delle

lipasi pancreatiche liberate nel circolo ematico. Va fatta diagnosi differenziale con la panniculite di

Weber-Christian, in questo caso i noduli sottocutanei sono non suppurativi, sono localizzati a livello

del tronco, delle natiche e delle cosce, guariscono lasciando degli esiti quindi una cicatrice. Nella

panniculite c’è anche un interessamento sistemico quindi ha una prognosi peggiore. La diagnosi

differenziale in questo caso è istologica.

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Un’ultima cosa in riferimento a ciò che abbiamo detto l’ultima volta poiché abbiamo parlato del dolore

articolare. Questo [slide 112] è un algoritmo che vi voglio far fissare. Il dolore articolare può essere

associato ad una riduzione della VES che generalmente si ritrova soprattutto in dolore di tipo non

infiammatorio e quindi nell’artrosi, nella fibromi algia, nellE alterazioni tiroidee, nei disturbi neuro-

vascolari e così via. Invece un aumento della VES che può essere associato o meno a tumefazione, se

non è associato a tumefazione generalmente il dolore articolare è più da connettivite anche se ci sono

connettiviti che si associano comunque all’artrite, quando invece è presente dolore, tumefazione e

aumento degli indici di flogosi, in questo caso ho riportato la VES, generalmente ci si trova di fronte

all’artrite reumatoide, che è una malattia cronica infiammatoria, o connettiviti, tipo la malattia mista

del tessuto connettivo, infezioni, artrite psoriasica anche può essere presente ma anche se

infiammatoria generalmente la VES non è così alta come si verifica nell’artrite reumatoide. Inoltre

quando è presente una VES molto alta, perché i valori della VES sono importanti, cioè non solo un

aumento ma anche i valori sono importanti, quando è intorno ai 100 bisogna sempre pensare alla

malattia reumatica, escludere una neoplasia, però nella reumatologia quando è associato ad astenia

severa, in pazienti di età superiore ai 50-60 anni con astenia soprattutto del cingolo scapolare e

pelvico, bisogna pensare ad una polimialgia reumatica sempre facendo una diagnosi differenziale con

le patologie neoplastiche anzi generalmente la polimialgia reumatica si presenta come sindrome

paraneoplastica, quindi in tumori della mammella, utero o polmone possono presentarsi con una

polimialgia reumatica.

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Cuomo – Lezione 3 (10-03-17) – Artrite reumatoide Sbobinatore: Elettra Parisi Coordinatore: Daniele Paolella

ARTRITE REUMATOIDE

Ieri abbiamo visto le artriti infettive e abbiamo detto come a volte ci sono dei quadri che si somigliano e quindi c’è bisogno di fare una diagnosi differenziale tra le varie forme di artriti. Poi vi farò vedere un caso clinico in cui per anni un paziente è stato trattato per artrite reumatoide e invece poi facendo tutte le indagini si è visto che questo paziente aveva la malattia di Whipple che ha oltre un impegno articolare, anche un impegno sistemico soprattutto gastrointestinale. È facile sbagliare la diagnosi e quindi per anni trattare i pazienti con i farmaci sbagliati. L’artrite reumatoide è una sindrome infiammatoria cronica ed è caratterizzata da un processo infiammatorio a carico delle articolazioni determinando una precoce distruzione a livello dei capi articolari; comporta nel tempo una disabilità progressiva e determina una riduzione dell’aspettativa di vita dei pazienti. Fino a qualche anno fa questa aspettativa di vita era molto ridotta, pero con l’introduzione dei farmaci biotecnologici questa aspettativa di vita è migliorata. Tanto è vero che i danni articolari le cosiddette articolazioni “distrutte” come “la mano a colpo di vento” sono difficili da riscontrare. Si possono invece incontrare in pazienti anziani che hanno la malattia da molto tempo.

L’artrite reumatoide è una POLIARTRITE perché prende più articolazioni; è simmetrica e bilaterale. Determina anchilosi delle articolazioni ed è a patogenesi autoimmunitaria. Ha un’eziologia sconosciuta, ma in realtà multifattoriale e si verifica principalmente a carico delle articolazioni sinoviali. Noi nella prima lezione abbiamo visto la classificazione delle articolazioni, abbiamo visto che l’artrite si verifica soprattutto nelle articolazioni sinoviali. Nella classificazione (slides 4) quelle che ci interessano sono le diartrosi: articolazioni mobili perché queste sono ricoperte dalla membrana sinoviale e contengono il liquido sinoviale per cui qui è dove si verifica il processo infiammatorio. EPIDEMIOLOGIA DELL’ AR (artrite reumatoide) Dal punto di vista epidemiologico la malattia colpisce lo 0,5% 1% della popolazione europea ed americana. Il rapporto maschio/femmine è di 1 a 3 cioè è più comune nelle donne che nei maschi. La maggiore età in cui si manifesta l’artrite reumatoide è intorno ai 60 anni, però questa è una malattia che si può verificare a qualunque età della vita. L’aspettativa di vita è di 13-18 anni. L’aspettativa di vita è ridotta perché l’artrite reumatoide essendo una malattia cronica infiammatoria colpisce anche altri organi soprattutto l’apparato cardiovascolare infatti c’è un aumentato rischio di aterosclerosi ed essendo una malattia infiammatoria va sempre indagata in tutte le patologie infiammatorie autoimmunitarie. Chiaramente il grado di coinvolgimento sistemico è il maggior determinante di sopravvivenza. Allora dal punto di vista epidemiolgico l’AR è diffusa in tutto il mondo e non ci sono predilizioni di clima e razza. Nel mondo si stima che l’artrite reumatoide abbia una prevalenza intorno allo 0,3-1,6%. Anche se nella prima slides vi ho detto 0.5% 1% le casistiche cambiano, ma la percentuale è più o meno la stessa. In italia la prevalenza dell’AR è dello 0,31%- 0,70%. Ogni anno si registrano tra i 2 e i 4 casi ogni 10.000 adulti. In realtà questo numero è aumentato perché oggi c’è una maggiore capacità di fare una diagnosi precoce perché anche i criteri di diagnosi sono cambiati; per anni i criteri di diagnosi utilizzati escludevano una parte di pazienti con artrite perché in fase precoce la diagnosi non veniva fatta. Con i nuovi criteri si può fare diagnosi anche nella fase precoce della malattia per cui il numero di casi diagnosticati è maggiore.

Circa il 4% dei pazienti ha un’età <20 anni

il 66% tra 20 e 65 anni il 30 % >65 anni.

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Le principali cause di morte:

-Le cause di morte sono soprattutto legate a patologie cardiovascolari infatti rappresentano la metà delle cause di morte in questi pazienti; La maggior parte dei pazienti con artrite reumatoide muore per la stessa causa della popolazione generale, ma ad una età più precoce. - malattie infettive perché questi pazienti sono immunodepressi non solo per un’alterazione del sistema immunitario che determina la malattia, ma anche per le terapie che questi pazienti fanno (immunosoppressori).

- Malattie renali: spesso questi farmaci possono determinare alterazioni al livello renale

- Malattie respiratorie: si può avere fibrosi legata all’AR

- Malattie gastrointestinali.

Ci sono dei fattori predittivi che ci indicano una maggiore mortalità per AR:

- Numero elevate di articolazioni coinvolte

- Età avanzata

- Minor livello di istruzione

- Significativa compromissione funzionale

- Presenza di comorbidità cardiovascolare

Questi sono tutti fattori prognostici negativi per la sopravvivenza del paziente.

EZIOPATOGENESI: La causa non si conosce, non è ancora completamente chiarita. Chiaramente è una malattia multifattoriale dove c’è sempre una predisposizione genetica. L’ipotesi più accreditata prevede che la malattia si sviluppi quando in un soggetto geneticamente predisposto agisce un antigene scatenante (sconosciuto), il quale determinerebbe una attivazione del sistema immunitario, che, attraverso una complessa serie di eventi coinvolgenti l’immunità umorale e cellulare, porterebbe allo sviluppo di un processo infiammatorio acuto e successivamente al suo automantenimento ed alla cronicizzazione. Quindi l’incontro con un determinato antigene e l’ospite predisposto innesca il processo patologico che porta poi allo sviluppo dell’artrite. Il bersaglio di questo antigene è sicuramente la membrana sinoviale e poi succede che a carico di questa membrana sinoviale si ha: •danno endoteliale •passaggio di cellule •proliferazione cellulare (linfociti T, B, macrofagi, siniviociti, etc.) •produzione citochine: in particolare TNFa e IL •liberazione enzimi •sintesi del FR FATTORE REUMATOIDE (che è un autoanticorpo) •deficit di apoptosi Tutti questi processi danno luogo alla proliferazione sinoviale danno della sinoviale. PREDISPOSIZIONE GENETICA: solo il soggetto geneticamente predisposto sviluppa l’artrite. Il rischio di prendere la malattia per chi è geneticamente predisposto è 4-5 volte superiore alla popolazione generale. È dovuto soprattutto alla presenza dell’HLADR4 e HLADR1.

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Quando abbiamo l’HLADR4 positività la malattia sarà più severa. Quindi questo gene è correlato anche ad una maggiore severità della malattia. AGENTI SCATENANTI:

- BATTERI: YERSINIA, SALMONELLA, SHIGELLA E CHLAMYDIA

- VIRUS: HBV, COXSACKIE, HERPES, ADENOVIRUS, EBV, PAPOVAVIRUS.

Ricapitolando - Le cause dell’artrite reumatoide sono:

- GENETICA: (prevalenza nel sesso femminile), presenza dell’antigene HLADR4 sui linfociti B - VIRALE: tutti virus lenti EBV - AUTOIMMUNITA: FR (fattore reumatoide) - AMBIENTE: CLIMA FREDDO E UMIDO E I TRAUMI - FATTORI ENDOCRINI: gravidanza, menopausa, contraccezione orale, attività surrenalica e

ipotiroidismo - FATTORI PSICOLOGICI

PATOGENESI:

Vedete qui a carico dell’articolazione ci sta la distruzione della cartilagine, la capsula è infiammata, il liquido sinoviale è infiammato. Quindi abbiamo una Malattia infiammatoria cronica sistemica a patogenesi autoimmunitaria dominata dal coinvolgimento della membrana sinoviale perché è lì che si verifica il processo infiammatorio e la distruzione delle componenti cartilaginee ed ossee delle stesse. (potenzialmente può coinvolgere ogni distretto dell’organismo). La sinovia è il tessuto dove si sviluppa inizialmente. (sono un po’ ripetitiva ma questo è importante perché ci fa capire la patogenesi della malattia).

La sinovia è il tessuto dove si sviluppa inizialmente la FLOGOSI si ha l’attivazione dei T linfociti (CD4+) che riconoscono gli antigeni a livello del tessuto sinoviale. Consegue l’attivazione linfocitaria, plasmocitaria (produzione di FR che è prodotto dalle PLASMACELLULE), macrofagica, e fibroblastica. I linfociti attivati incominciano a produrre citochine proinfiammatorie come TNFa e IL1 e chemochine che sostengono la sinovite e la distruzione tissutale. TNF alfa e IL-1 causano proliferazione sinoviale e secrezione di altre citochine infiammatorie, che contribuiscono alla persistenza della patologia; si ha quindi la cronicizzazione della patologia Quindi STADIO 1: (precoce) Presentazione dell’antigene ai linfociti T CD4+. I linfociti t si attivano e producono citochine. Dal punto di vista Clinico, di laboratorio, istologico e radiologico non ci sono alterazioni. STADIO 2/3: Il processo va sempre più avanti si ha Reclutamento e amplificazione. Sviluppo di sinovite e cronicizzazione del processo: ha inizio la produzione del panno sinoviale e la formazione dei villi., che comincia l’erosione a livello dell’articolazione. Clinicamente il paziente accusa malessere generale e astenia (IL-1 e TNF) con rigidità mattutina, tumefazione e una dolorabilità alle piccole articolazioni con progressivo coinvolgimento articolare e limitazione funzionale. Dal punto di vista del Laboratorio: aumenti degli indici di flogosi (soprattutto la VES E la PCR e AUMENTO DEL numero dei polimorfonucleati). Quadro radiologico ancora silente. La sinovite nella fase iniziale si vede solo con l’ecografia o la RM.

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STADIO 4: Si ha la Formazione del panno sinoviale a sviluppo centripeto: distruzione della cartilagine articolare dal punto in cui si continua con la membrana sinoviale. Quadro clinico conclamato con aumentata limitazione funzionale articolare. Indici di laboratorio positivi. Esame radiografico: ispessimento della capsula, diminuzione della rima articolare causata dai processi distruttivi a carico della cartilagine e inoltre abbiamo segni di osteoporosi periarticolare. [domanda di uno studente: l’osteoporosi è sempre dovuta alle citochine? risposta: vengono attivati anche gli osteoclasti e si riduce la quantità del calcio e si ha la distruzione. L’erosione altera tutti i processi del metabolismo però tu la trovi solo a livello dei capi articolari; quindi l’osteoporosi è uno dei segni radiografici tipici dell’artrite reumatoide cosa che non vedi con l’artrite con psoriasi. Nell’ AR le interfalangee distali non sono mai colpite cosa che nell’ artrite con psoriasi avviene; nell’artrite psoriasica ci sono segni di APPOSIZIONE NON DI DISTRUZIONE. Quando si ha distruzione si ha la distruzione di tutto il capo articolare la cosiddetta “pencil in cup” cioè la l’articolazione diventa sottile quella prossimale e si allarga quella distale. Nella psoriasica ci sta l’erosione, ma la sede è diversa. Nella reumatoide sono nell’area libera (area muta), invece nella psoriasica sono centrali] STADIO 5: il panno articolare invade la cartilagine, l’osso subcondrale riempie tutta l’articolazione e altera l’integrità delle strutture periarticolari, come tendini e legamenti. Si può avere anche una tenosinovite. Dopo 20-30 anni dall’inizio del processo, i capi articolari possono risultare uniti. La sintomatologia è presente in grado elevato. Gli indici di laboratorio continuano ad essere positivi. Esame Radiografico: si sviluppano deformità articolari e compaiono le erosioni. ISTOPATOLOGIA:

SINOVIA: Diffusa iperplasia dei villi sinoviali che assumono un pattern papillare. Pluristratificazione ed ipercellularità sinoviocitica. LIQUIDO SINOVIALE: Intorbidimento del liquido sinoviale per aumentata cellularità e di materiale di degradazione (sia cartilagineo che sinoviale). I GLOBULI bianchi qui non superano i 50000 perché altrimenti si avrebbe un’artrite settica. OSSA E CARTILAGINE: Osteolisi e rimodellamento dell’osso dalle bare areas, Ossia, zone di osso intrarticolare non coperte da strato cartilagineo che portano a Osteoporosi iuxta-articolare. Diffuso coinvolgimento della cartilagine articolare, dalla periferia fino alla sua completa distruzione. CRITERI DI CLASSIFICAZIONE DELL’AR: (Quelli vecchi) si basavano su:

1.Rigidità mattutina 2.Artrite di tre o più articolazioni 3.Artrite alle mani 4.Artrite simmetrica (caratteristica dell’AR) 5.Presenza di noduli reumatoidi (nelle fasi avanzate) 6.Presenza del FR 7.Alterazioni radiologiche (che si trovano nelle fasi avanzate)

In base a questa classificazione si poteva fare diagnosi se erano presenti almeno 4 criteri e se quelli da 1 a 4 erano presenti da almeno 6 settimane. Il 38% dei pazienti di Artrite Reumatoide alla prima visita NON soddisfa i criteri classificativi per l’artrite reumatoide. In uno studio di Aletaha et al* è riportato che il 49% dei reumatologi intervistati, iniziavano la terapia con DMARDs (disease modifying anti-rheumatic drugs) solo quando i pazienti soddisfacevano i criteri classificativi. Le evidenze scientifiche derivate da diversi studi controllati dimostrano che un approccio terapeutico aggressivo può contrastare l’evoluzione dell’AR, se attuato nelle fasi d’esordio della malattia. Con l’uscita dei farmaci biotecnologici che sono molto costosi hanno dovuto riportare che prima si inizia la terapia e prima la malattia si arresta; esiste una finestra che si chiama WINDOW OF OPPORTUNITY cioè il periodo iniziale di malattia che è particolarmente sensibile ai DMARDs. Con l'introduzione di farmaci biologici,

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è diventato più evidente il beneficio del trattamento precoce e aggressivo. Ci sono alcuni Studi clinici che hanno dimostrato che il trattamento della AR in una fase precoce con una combinazione di anti-TNFa e metotrexato garantisce un outcome migliore della malattia. Ci sono stati diversi trial clinici e il primo farmaco utilizzato è un anticorpo monoclonale diretto contro l’anti-TNFa cioè l’infliximab che è un farmaco che all’inizio faceva paura: ci stava il nostro vecchio professore che camminava con l’Adrenalina nella tasca e andava e veniva dalle stanze dei pazienti per vedere se ci stavano effetti collaterali. Questo farmaco invece era davvero miracoloso. Sono stati sviluppati altri anti-TNFa che davvero funzionano bene. In un altro studio è stato valutato l’ADALIMUMAB che si va sottocute e ha lo stesso meccanismo d’azione, è sempre un anti-TNFa quindi va a bloccare il TNFa e praticamente funziona bene anche questo. Poi abbiamo l’ETANERCEPT che è anche un anticorpo monoclonale solo che è diretto contro il TNFa di membrana, mentre gli altri contro i TNFa in soluzione. Ho riportato questi tre studi perché sono stati i primi tre ad essere messi in commercio e che hanno rivoluzionato la storia clinica della malattia. (studio BEST, COMET, PREMIER)(Slides 30-31-32) Se l’AR NON è adeguatamente trattata ha un decorso cronico e dopo 10 anni di malattia oltre il 25% di questi pazienti non è più in condizione di svolgere la propria attività lavorativa.

QUALI SONO GLI ELEMENTI CRITICI DA ANDARE A VALUTARE?

Bisogna istruire tutti i medici di base perché il paziente se ha un problema va prima dal medico di base. Quindi sono stati fatti diversi corsi che hanno coinvolto i medici di medicina generale per dire loro quali sono i segni per la diagnosi di AR. Quali sono questi segni? Sono le cosiddette RED FLAGS (consentono l’individuazione dei segni precoci della malattia):

- Rigidità mattutina: perché se è un dolore infiammatorio la mattina ci si sveglia rigidi, se è un dolore meccanico si presenta con il movimento e quindi è da carico

- Tumefazione a carico di 3 o più articolazioni persistente da più di sei settimane. - Interessamento dei polsi e delle piccole articolazioni di mani e piedi (soprattutto le articolazioni

metacarpo-falangee, delle interfalangee prossimali e delle metatarso-falangee). Inoltre facendo una manovra chiamata manovra della gronda o SQEEZE TEST si possono unire le metacarpo-falangee e se si provoca dolore allora vuol dire che ci sta un interessamento delle metacarpo-falangee e questo è uno dei segni da valutare ed eventualmente il paziente è da inviare al reumatologo o cominciare a fare test di laboratorio.

Quindi abbiamo che la DIAGNOSI PRECOCE garantisce LA PREVENZIONE e il TRATTAMENTO e quindi MODIFICA LA STORIA NATURALE DELLA MALATTIA. La prevenzione è possibile modificando i criteri di attività che sono questi qua:

- NUMERO DI ARTICOLAZIONI INTERESSATE: si dà un punteggio da 0 a 5. Se è solo un’articolazione non viene considerata e si dà uno SCORE DI 0. Se sono colpite altre articolazioni lo SCORE varia da 1 a 5.

- SIEROLOGIA: Fattore Reumatoide e ACPA (anticorpi anti peptidi citrullinati ciclici): se sono molto alti si dà il valore 2, se sono positive ma non molto elevate si dà 1.

- INDICI DI INFIAMMAZIONE: VES e PCR: Se sono elevati si dà 1 altrimenti 0 - DURATA DEI SINTOMI: maggiore o minore di 6 settimane

Quando abbiamo un punteggio uguale o maggiore di 6 si tratta di un paziente con AR. (VEDERE TAB Seguente)

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Per il coinvolgimento articolare va considerata non solo la tumefazione, ma anche solo il dolore; se abbiamo il sospetto di una sinovite clinicamente non ancora evidente con l’ecografia si può vedere e anche con la risonanza.

CLASSIFICAZIONE ACR/EULAR 2010

A. N° ARTICOLAZIONI INTERESSATE

Score

1 grande articolazione 0

2-10 grandi articolazioni 1

1-3 piccole articolazioni con o senza grandi art. 2

4-10 piccole articolazioni con o senza grandi art. 3

> 10 articolazioni + almeno una piccola art. 5

B. SIEROLOGIA (necessari almeno 1 test)

FR negativo e ACPA negativi 0

FR a basso titolo o ACPA a basso titolo 1

FR ad alto titolo o ACPA ad alto titolo 2

C. REATTANTI DI FASE ACUTA (necessario almeno 1 test)

PCR normale e VES normale 0

PCR elevata o VES elevata 1

D. DURATA DEI SINTOMI

<6 settimane 0

>6 settimane 1

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[domanda: il fattore reumatoide è un indice di sensibilità? Risposta: il FR è SPECIFICO, MA MENO SENSIBILE. Invece gli altri fattori sono più sensibili] LESIONI RADIOLOGICHE ELEMENTARI

SEGNI PRECOCI: -Tumefazione dei tessuti molli periarticolari

-Osteoporosi periarticolare (iuxtarticolare)

-Riduzione dello spazio articolare

SEGNI DIRETTI E SPECIFICI:

- Erosioni, che possono essere:

a) marginali (invasione del panno sinoviale nell’ “area nuda”)

b) centrali (progressiva distruzione della cartilagine ialina e della superficie articolare dalla

periferia al centro)

LESIONI ECOGRAFICHE:

- Sinovite essudativa: in cui, la sinovia è stata compita ma ha prodotto solo del siero.

- Sinovite proliferative: proliferazione del panno sinoviale e in questo caso quando si fa

l’ecografia si va a valutare anche il segnale doppler perchè se è aumentato vuol dire che ci sta

un aumento della vascolarizzazione e quindi un aumento dell’infiammazione.

- Erosione: si possono vedere anche delle pre-erosioni

- Studio tendineo: la guaina tendinea è ricoperta da sinovia e anche questa può essere colpita.

SCANSIONE DORSALE LONGITUDINALE MEDIANA A LIVELLO DEL IV CANALE DEGLI ESTENSORI. C = CAPITATO; R = RADIO; S = SEMILUNARE; TEC = TENDINI DELL’ESTENSORCOMUNE DELLE DITA.

Sinovite proliferativa “attiva” del polso. moderata distensione della capsula articolare, sia dell’articolazione radio-carpica che di quella inter-carpica, con aree di proliferazione sinoviale ed intenso segnale power doppler intra-articolare. c = capitato; s = semilunare; r = radio; te= tendini estensori comuni delle dita.

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Tenosinovite proliferativa dei tendini del IV canale degli estensori a livello della superficie dorsale del polso. distensione ipoecogena di grado medio della guaina tendinea dovuta prevalentemente ad aree di proliferazione sinoviale (sp). c = capitato; t = tendini dell’estensore comune delle dita e dell’estensore proprio dell’indice.

Qua invece ci sta una tenosinovite a carico dei tendini; tutti questi qua sono i tendini e tutto il nero intorno è tutto liquido. Quindi questo è una tenosinovite essudativa e proliferativa. LESIONI ELEMENTARI CHE SI RISCONTRANO ALLA RISONANZA MAGNETICA:

- Sinovite - Edema osseo: va valutato perché in questo caso ci può essere un’infiammazione subcondrale - Erosioni

COINVOLGIMENTO ARTICOLARE COMPRENDE: Grandi articolazioni: Spalle Gomiti Anche Ginocchia Caviglie Piccole articolazioni: (Sono escluse dalla classificazione le Interfalangee distali) Prima metacarpo-falangee Prima metatarso-falangee

SIEROLOGIA I valori, per il fattore reumatoide e per gli ACCP, vengono espressi in unità internazionali; possono avere un basso titolo o un alto titolo (valori superiore a 3 volte il valore di riferimento):

Negativo: valori di minori o uguali al limite superiore di normalità per il test di laboratorio impiegato

Basso titolo: valori superiori al limite superiore di normalità ma inferiore 3 volte al limite stesso

Alto titolo: valori superiori a 3 volte il limite superiore del test impiegato REATTANTI DELLA FASE ACUTA SONO: PCR: proteina C reattiva VES: velocità di eritrosedimentazione

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DURATA DEI SINTOMI: La durata dei sintomi può essere maggiore o minore di sei settimane. La storia naturale della malattia può cambiare: Vediamo il grafico: (Slides 54): Questo rappresenta il decorso naturale: il paziente presenta i sintomi, va da un medico e la malattia non viene trattata (questa è la storia naturale). Se invece il trattamento viene fatto in modo tardivo si ha un miglioramento del decorso naturale, ma siamo lontani dalla guarigione. Se invece facciamo un trattamento precoce si abbassa molto il decorso naturale della malattia e quindi si migliora la qualità di vita del paziente e si riduce la mortalità.

QUADRO CLINICO: Il quadro clinico è importante; il decorso e l’esordio della malattia sono eterogenei: Il 70% dei casi sono graduali e insidiosi: si può avere Artralgie e rigidità mattutina che dura per settimane o mesi prima di evolvere in un’artrite franca. Il 30% dei casi sono da subacuto ad acuto: già dall’inizio si hanno tutti i segni dell’artrite quindi tumefazione, dolore, rossore Tipicamente si ha un interessamento poliarticolare, simmetrico e bilaterale, con manifestazione sistemiche, quali febbre, perdita di peso, mialgia e rush cutaneo. Quindi possiamo avere manifestazioni articolari e manifestazioni extraarticolari.

CARATTERISTICHE CLINICHE AR:

Effetti a breve termine cioè che si verificano all’esordio sono: tumefazione delle articolazioni, dolore articolare, malessere diffuso, astenia e rigidità mattutina.

Effetti a lungo termine: riduzione della rima articolare ed erosione dell’osso subcondrale, deformazione articolare e disabilità funzionale.

MANIFESTAZIONI ARTICOLARI: Le articolazioni colpite sono le interfalangee prossimali delle mani/piedi, metacarpo/tarso-falangee, polsi, ginocchia, gomiti, caviglie, spalle, colonna vertebrale). La poliartrite ha una distribuzione simmetrica. Si ha un andamento centripeto (coinvolgimento progressivo delle articolazioni più prossimali) Si ha un carattere aggiuntivo (coinvolte sempre nuove articolazioni senza risoluzione del processo morboso in quelle precedentemente interessate). SINTOMATOLOGIA: - Dolore spontaneo, continuo che aumenta con il movimento e il carico. - Rigidità mattutina che dura 2-3 ore o dopo una lunga inattività - Tumefazione articolare: più evidente sulla superficie estensoria dove la capsula è più distensibile: è dovuta al versamento, ipertrofia/iperplasia della membrana sinoviale e edema delle tessutu molli periarticolari. - Limitazione funzionale: inizialmente dovuta alla sinovite, al versamento ed alla contrattura muscolare antalgica, successivamente alla deformazione articolare ed all’anchilosi.

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Queste sono le caratteristiche alterazioni delle fasi più avanzate:

Mani a colpo di vento

Dita collo di cigno Caput Ulnae Alluce valgo

MANIFESTAZIONI EXTRA-ARTICOLARI: (osservate come tutti gli organi possono essere interessati)

• Cute: formazioni di noduli reumatoidi • Polmoni: pleurite, pneumopatia interstiziale, fibrosi nodulare diffusa • Cuore e vasi: aterosclerosi, pericardite, endocardite, vasculite

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• Rene: amiloidosi, vasculite renale • Occhio: sclerite

INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO:

• Esami di laboratorio: VES, PCR, FR (SENSIBILITA’) ANTICORPI ANTI CCP (SPECIFICITA) ANEMIA (dovuta all’infiammazione), IPERGAMMAGLOBULINEMIA E PIASTRINOSI

• Indagini radiologiche: Le radiografie vengono ripetute ogni anno nelle fasi precoci per valutare l’evolvere della malattia, mentre nelle fasi più avanzate ciò non è più necessario (perché il danno è ormai già fatto); - Metodo Larsen: si valutano 32 articolazioni (8 mano, 4 polso, 4 piede) e dà un Punteggio 0-5 secondo la tabella che valuta l’erosione e la riduzione dello spazio articolare e il profilo osseo. - Metodo Share: Differenza tra Erosione (17 articolazioni) e Riduzione della rima (18 articolazioni) - Metodo di Van der Heijde (sarebbe un metodo di Sharp modificato): Per le erosioni vengono valutate 16 articolazioni mano/polso e 6 piede. Per la rima articolare vengono valutate 15 articolazioni mano/polso e 6 piede.

• Metodiche complementari(Eco, RM): - Eco : Viene effettuata con una sonda ad alta frequenza per i tessuti molli per valutare l’evoluzione

del processo flogistico, nonché PowerDoppler o contrasto per la vascolarizzazione del panno - RM: alta sensibilità per le strutture articolari e periarticolari, precoce individuazione del panno

sivoviale. DECORSO: Eterogeneo per polimorfismo clinico ed alternanza di fasi di acuzie, di bassa attività e di remissione (di durata variabile). possiamo avere le forme più severe quando all’inizio abbiamo una positività molto alta del FR o degli ANTI CCP, un aumento degli indici di flogosi molto alti e la presenza già di erosioni. PROGNOSI: È severa in quanto in 10 anni si può avere una perdita di capacità lavorativa e anche l’aspettativa di vita è inferiore TARGET: i farmaci che abbiamo a disposizione possono garantire la remissione della malattia; questo però entro i 5 anni dalla comparsa dalla malattia, superati i 5 anni la remissione è difficile perché ormai si è instaurato il danno. Gli indici di valutazione della malattia sono:

- DAS28 (Desease actvity score 28):

Indice di attività di malattia che unisce differenti variabili in un unico valore finale, comparabile tra pazienti; valuta:

1. la conta del numero di articolazioni dolenti 2. la conta del numero di articolazioni tumefatte 3. la misurazione della VES o della PCR 4. il giudizio del paziente sul proprio complessivo stato di salute espresso mediante scala visuo-analogica

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In base a questi criteri si sommano e attraverso un logaritmo esce un numero che è indice di Elevata attività della malattia, Moderata attività di malattia, Bassa attività della malattia o Remissione clinica della malattia (Quest’ultima si ha quando il DAS28 è MINORE di 2,6).

- SDAI (simplefied desease activity index): Ulteriore indice di attività.

È una somma , non ci sta il logaritmo. Analogamente al DAS28 comprende: 1. la conta del numero di articolazioni dolenti 2. la conta del numero di articolazioni tumefatte 3. la misurazione della sola PCR 4. il giudizio del paziente sull’attività di malattia 5. il giudizio del medico sull’attività di malattia

- HAQ (Health assessement questionnaire):

Questionario in cui il paziente esprime con un punteggio da 0 a 3 il grado di disabilità allo svolgimento di comuni attività quotidiane, raccolte in 8 tipologie esploranti la funzionalità dell'intero apparato osteo-articolare.

TERAPIA:

✓ Antinfiammatori non steroidei (FANS): attualmente utilizzati poco. Non modificano il decorso della malattia né prevengono le erosioni. Costituiscono solo un trattamento sintomatico, prevenendo dolore, infiammazione e rigidità mattutina. Una strategia terapeutica utile è quella di somministrare un preparato a lunga durata d’azione o a dosaggi più elevati alla sera, per evitare la rigidità mattutina e il dolore.

✓ Corticosteroidi (FAS): sono antinfiammatori e agiscono sul processo fisiopatologico. Utili nel controllo a breve termine dell’attività di malattia, grazie all’azione inibente la produzione e l’azione di citochine pro-infiammatorie. Usati con moderazione per gli effetti collaterali (osteoporosi, soppressione ipotalamo-ipofisi-surrene, alterazione dell’equilibrio glucidico).

✓ Disease Modifyng Antirehumatic Drugs (DMARDs): Farmaci in grado di modificare il decorso della malattia e di migliorarne i sintomi. Maggiore efficacia in associazione, con tempi di latenza di 4-16 settimane. Si somministrano con approccio scalare aumentando gradualmente la dose. Possono essere utilizzati in duplice o triplice terapia perché l’associazione di questi farmaci garantisce una migliore risposta al trattamento. Sono rappresentati da: Methotrexate, Azatioprina, Ciclosporina, Leflunamide, Antimalarici di sintesi, Sulfasalazina, etc.

✓ Farmaci Biologici: Sono fatti con tecniche di DNA RICOMBINANTE, Nuovi farmaci la cui azione principale è caratterizzata dal blocco a diversi livelli della cascata di eventi patogenetici alla base della malattia. Farmaci capaci di ridurre segni e sintomi, nonché il danno strutturale dell’Artrite Reumatoide, migliorando la prognosi. Sono degli anticorpi monoclonali e sono stati identificati diversi target di questi farmaci : anticorpi anti TNFa, contro IL1, IL6, abbiamo poi quelli che bloccano la proliferazione dei linfociti B e T e JAK (che fa parte della trasduzione del segnale).

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Questi farmaci hanno delle analogie e delle differenze sia nella struttura molecolare, sia nella farmaco -dinamica, nella farmacocinetica, nei costi, negli effetti clinici (efficacia terapeutica e sicurezza di impiego).

L’importante è sapere la differenza tra i farmaci TNFa e NON TNFa.

Abbiamo poi questo farmaco CETROLIZUMAB PEGOL: (è pegilato) questo può essere utilizzato anche in gravidanza perché non attraversa la placenta. È un anti-TNFa.

Tutti questi farmaci possono essere dati in gravidanza, ma al 5°mese devono essere sospesi. Se poi c’è la necessità nei periodi successivi può essere somministrato il CETROLIZUMAB PEGOL.

Brand

Name

Generic Name Mechanism of Action

Cimzia®

certolizumab

pegol

TNF antagonist

Enbrel®

etanercept TNF antagonist

Remicade®

infliximab TNF antagonist

Humira®

adalimumab TNF antagonist

Simponi® golimumab TNF antagonist

Kineret®

anakinra Interleukin (IL)-1

MabThera®

rituximab Depletes B cells

Orencia®

abatacept T-cell co-stimulation

modulator

RoActemra®

tocilizumab IL-6 receptor inhibitor

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Poi ci sono i farmaci non anti TNFa come: ➢ Abatacept

➢ Rituximab

➢ Anakinra

➢ Tocilizumab

Si può avere la formazione di anticorpi anti farmaco ADAb neutralizzanti e quando questo succede i

farmaci perdono l’efficacia oppure aumentano gli effetti collaterali.

EFFICACIA CLINICA: Diverse metanalisi suggeriscono che tutti questi farmaci hanno una efficacia

simile nella AR

Alcuni farmaci possono essere utilizzati anche per altro ad esempio l’ADALIMUMB può essere utilizzato

anche per altre malattie come morbo di Crohn, colite ulcerosa.

SICUREZZA DEI FARMACI:

Soprattutto gli anti-TNFa possono far riattivare dei processi tubercolari in chi ha una tubercolosi

latente: I farmaci biologici anti-TNF determinano la lisa (dissolvimento) del granuloma che tiene

murato il micobatterio tubercolare, con conseguente ripresa dell’infezione, nei soggetti con infezione latente. L’accurata ricerca, mediante radiografia del torace ed esecuzione della intradermo-reazione di Mantoux, della infezione latente prima dell’inizio della cura e l’eventuale profilassi con farmaci anti-tubercolari dove presente l’infezione nascosta, ha permesso di minimizzare il rischio di riaccensioni tubercolari. Quindi è necessario fare prima un monitoraggio per verificare la presenza di una tbc

latente; se questa è presente bisogna fare una profilassi antibiotica per 9 mesi, ma intanto il

trattamento farmacologico si può iniziare dopo un 1 mese. all’inizio questa cosa non era nota c’è stato

un aumento della tubercolosi. È importante anche andare a valutare i markers di epatite b e c perché

chi ha l’epatite b deve fare comunque la profilassi.

Nei soggetti che assumono farmaci biologici è stata osservata la comparsa nel siero di auto-anticorpi (ANA e Anti-DNA) in bassa concentrazione che non hanno determinato però l’emergenza di sintomi riferibili a malattia autoimmune sistemica.

Questi farmaci sono immunosoppressori e quindi bisogna stare attenti alle infezioni.

PROTCOLLO DI SORVEGLIANZA (per i pz in trattamento con questi farmaci):

VALUTAZIONE DELLA ALTERAZIONE DELLA LINEA EMOPOIETICA (a volte i linfociti diventano più dei neutrofili) VALUTAZIONE DELLA FUNZIONALITA’ EPATICA (si può avere un aumento delle transaminasi) VALUTAZIONE DELLA FUNZIONALITA RENALE VALUTAZIONE DELLA ALTERAZIONE DEI LIPIDI (soprattutto per l’inibitore dell’IL6) VALUTAZIONE DELLA CONCENTRAZIONE DI IONI VALUTAZIONE DELLA TBC LATENTE VALUTAZIONE EPATICA VALUTAZIONE POLMONARE VALUTAZIONE CARDIACA VALUTAZIONE DANNO RADIOLOGICO

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CASO CLINICO: (importante)

Questo è un paziente maschio di 62 anni.

All’età di 47 anni presenta questa poliartrite simmetrica quindi caviglie, polsi e metacarpo-falangee.

Nel 2000 gli viene fatta una diagnosi di Artrite reumatoide sieronegativa cioè il FR è NEGATIVO.

Comincia la terapia l’idrossiclorochina (immunomodulatore) e cortisone a bassi dosi.

Nel 2005 questo paziente sviluppa una pleurite che viene trattata con antibiotici e nel 2009 raggiunge l’ospedale dove viene ricoverato e viene sostituito l’idrossiclotochina con il methotrexate.

Dal 2009 al 2012 questo paziente presenta diversi episodi di febbre e l’andamento dell’artrite è un po’ strana perché ha sempre un’attività moderata quindi non va mai in remissione e nonostante aumenta la terapia con methotrexate la malattia non regredisce.

Fa la radiografia delle mani e presenta delle alterazioni però non ha erosione nonostante la malattia sia iniziata nel 1999.

Nel dicembre del 2013 comincia anche una riduzione dell’appetito, una dispepsia e quindi una sintomatologia gastrointestinale che prima non aveva. Fa una gastroscopia e presenta un’esofagite lieve e gastrite antrale; fa la terapia per la gastrite e l’andamento dell’artrite va un po’ meglio.

Nel gennaio 2015 il paziente si ricovera per diarrea acuta acquosa fino a 3 4 scariche e presenta un calo ponderale da 79 kg a 71kg. Poi presenta degli episodi di edema agli arti inferiori con disposizione a calza fino al terzo superiore della gamba e bilaterale. Il paziente sospende il methotrexate perché pensa che sia questo farmaco a generare la diarrea e incrementa il cortisone da 5 a 10. La sintomatologia articolare la migliora (perché ha aumentato il cortisone) e riduce la frequenza degli episodi diarroici.

Però facendo alcuni esami ha delle proteine totali un po’ basse, un Hb bassa (anemia) e la ferritina 13, la sideremia bassa, un aumento della VES e PCR e ha una riduzione della vitamina D e un AUMENTO della beta2microglobulina.

Quali sono le ipotesi?

Può avere una colite da methotrexato, un’amiloidosi, infezione intestinale, malattia infiammatoria intestinale, celiachia e sindrome da carcinoide.

Allora fa gli esami per escludere uno ad uno tutte queste ipotesi

Fa la calprotectina fecale, gli anticorpi anti tranglutaminasi che sono negativi, le IgA sono nella norma, il dosaggio dei peptidi endogeni è nella norma, le catecolamine urinarie nella norma, profilo tiroideo nella norma, i markers tumorali sono tutti negativi, l’esame delle feci per il C. Difficile è negativo e la proteinuria delle 24h è nella norma.

Allora fa una colonscopia, un eco addominale, un doppler degli arti inferiori, ecocardiogramma che è nella norma e fa un RX torace dove c’è solo una lieve accentuazione della trama vascolo bronchiale, ma questo non è indice di nessuna patologia.

La RX delle manie dei piedi non mostra niente

Fa una tac addome e presenta una serie di linfonodi.

Quali sono le ipotesi?

Sarcoidosi, amiloidosi, tubercolosi intestinale, celiachia, malattia di Whipple e linfoma intestinale.

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fa una gastroscopia, una colorazione ematossilina eosina, una PAS colorazione e si ha la diagnosi di malattia di Whipple.

Comincia la terapia: Streptomicina 1 gr fl im bis in die + Ceftriaxone 1 g fl im/die per 2 settimane

QUINDI

Cotrimossazolo 160+800 mg cpr bis in die per 12 mesi

Quindi è vero che aveva i segni di un AR però bisogna sempre fare diagnosi differenziale.

TAKE HOME MESSAGES

• In ragione della sua rarità (incidenza in Europa < 1/milione/anno) la malattia di Whipple

è un’entità nosografica scarsamente considerata nella pratica clinica • Artralgie/artrite sono frequentemente manifestazioni d’esordio (fino al 60% dei casi), ad

espressione oligo-poliarticolare intermittente-ricorrente • Le manifestazioni articolari precedono le manifestazioni gastroenteriche e la diagnosi

con una media di circa 7 anni nei ¾ dei pazienti • La terapia immunosoppressiva accelera la transizione verso la fase conclamata, in

particolare l’utilizzo di farmaci anti-TNFα

A novembre 2015 (a distanza di 10 mesi) il paziente ha avuto: • Incremento ponderale di 9 kg • Assenza di nausea • Alvo regolare • Assenza di articolazioni dolenti e/o tumefatte • Assenza di edemi declivi • Emoglobina, albumina, ferritina normalizzate • PCR nella norma

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Cuomo – Lezione 4 (17-03-17) – Coinvolgimento cardiaco in corso di sclerosi sistemica

Sbobinatore: Gianluca Macagnino

Coordinatore: Valeria Viscusi

COINVOLGIMENTO CARDIACO IN CORSO DI SCLEROSI SISTEMICA

[Slide “cuomo-bologna1” ]

Parliamo della sclerosi sistemica e del coinvolgimento cardiaco, che è molto precoce in questa

malattia.

L’artrosi sistemica è una connettivite che ha una bassa prevalenza, infatti viene classificata tra le

malattie rare, ed è molto importante in reumatologia perchè i casi che arrivano al reumatologo sono

pochi, questo dipende dal fatto che sul territorio non si riesce a fare una vera e propria scrematura

poiché il primo approccio è dato dal medico di base: il paziente infatti si rivolge al medico di base

perché nota il cambiamento di colore delle mani, che è il segno presente al 100% nella sclerosi

sistemica. Quindi il paziente si rivolge al medico perché le mani cambiano colore, il che è dovuto al

caratteristico fenomeno di Raynaud che si verifica: il cambiamento di colore è caratteristico perché si

ha la bandiera della Francia, cioè le mani diventano bianche, blu e rosse. Quando dovete definire il

fenomeno di Raynauld dovete dire che è un fenomeno parossistico che si presenta per i

cambiamenti di temperatura o per i cambiamenti di umore, cioè se ci si arrabbia o in generale si

ha un forte stress o una forte emozione le mani possono cambiare colore perché si determina un forte

vasospasmo: questo vasospasmo si verifica nei pazienti che hanno difetti dei capillari e sono

caratterizzati proprio dalla presenza di ischemia e quindi delle mani che diventano bianche, ma tenete

presente che non è interessata tutta la mano, perché in pratica sono coinvolte le dita che quindi sono

demarcate, dopodiché si ha una cianosi e poi si ha una ripercussione per cui si sviluppa di nuovo

l’eritrodermia e quindi abbiamo il rosso. Quindi il fenomeno di Raynaud è presente nel 100% dei

pazienti con sclerosi sistemica.

Però noi sappiamo che esiste anche un fenomeno di Raynaud primitivo o primario (che non dipende

da nulla), e inoltre questo fenomeno può anche esser dovuto ad altre cause, per esempio lo possono

avere pazienti che lavorano con strumenti vibranti, o che assumono determinati farmaci, e può essere

presente anche in altre connettiviti ed altre patologie.

L’esame più importante da fare per capire in che direzione andrà poi il fenomeno di Raynaud è la

capillaroscopia, un esame molto semplice da effettuare e che non è neanche invasivo: praticamente si

tratta di una strumentazione di cui fa parte una sonda che permette un ingrandimento di 200 volte,

per cui si vanno a vedere sulla plica ungueale i capillari, ed in base alla forma dei capillari, in base alla

numerosità, in base alla trasparenza del tessuto e così via, si può dire se il fenomeno di Raynaud è

primitivo o secondario e se ha un pattern sclerodermico, il quale è caratterizzato soprattutto da

numerose ectasie megacapillari da area vascolare, e queste forme è difficile trovarle in altre patologie,

nella dermatomiosite è possibile trovarle però sono rare, quindi le caratteristiche principali della

sclerosi sistemica sono:

1. fenomeno di Raynaud, che è un fenomeno parossistico dovuto ad un vasospasmo dei capillari,

caratterizzato dai 3 colori; tenete presente che ci possono essere anche forme con due soli colori, cioè

si può avere per esempio anche solo l’ischemia o solo la cianosi.

2.presenza di megacapillari di area vascolare, che sono le caratteristiche alterazioni

capillaroscopiche

3.positività degli ANA (molto importante) ma in particolar modo è fondamentale la specificità

anticorpale, cioè degli anticorpi anti-ENA, in particolar modo degli antitopoisomerasi nella forma

diffusa, che però possiamo trovare anche nella forma limitata, e degli ACA, cioè degli anticentromero,

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che generalmente però troviamo nella forma limitata; le due forme vanno distinte perchè il decorso è

diverso, la prognosi è diversa ed a volte è diverso anche l’approccio terapeutico.

[Ora vediamoci queste diapositive, le andiamo a vedere insieme visto che questa non era la lezione che

avevop preparato per oggi...ho fatto la lezione ieri sera ed ho anche fatto tardissimo a prepararla ma

non la trovo, quindi ora parliamo di questo]

Gli elementi morfologici della sclerosi sistemica sono caratterizzati:

1. Dalla vasculopatia, perché la vasculopatia determina il fenomeno di Raynaud, che non si presenta

solo a carico delle mani ma si può presentare agli arti, alla lingua, a livello cardiaco ed a livello

cerebrale, per cui a volte questi pazienti come primo sintomo possono avere un ictus o comunque un

processo trombotico, e magari non si capisce la causa quando invece la causa è proprio la presenza

della connettivite, perché il vasospasmo che si ha a livello di questi piccoli capillari può provocare un

TIA, un ictus, una trombosi e così via; quindi alla base della patogenesi c’è una vasculopatia

proliferativa delle arterie muscolari di piccolo calibro, cioè le cellule muscolari aumentano e dunque si

ha una obliterazione del vaso, e perciò si ha un vasospasmo (slide 2)

2. Il secondo elemento molto importante è l’accumulo di collagene e di altri costituenti della matrice

nell’interstizio degli organi bersaglio.

Quindi da una parte il vasospasmo dovuto alla vasculopatia, dall’altra invece l’accumulo di questi

costituenti della matrice del collagene, che determina a livello per esempio cardiaco, ma anche a livello

polmonare o a livello renale, una fibrosi, perché l’accumulo di queste fibrille determina poi una

fibrosi a livello cutaneo, che è la caratteristica più evidente, e quindi gli organi colpiti nella sclerosi

sono praticamente tutti. In particolar modo:

-Nel 90% dei casi è colpito l’esofago, infatti abbiamo sempre una disfagia che però non è alta ma bassa,

perché viene colpito lo sfintere esofageo inferiore

-Poi abbiamo l’interessamento cardiaco, che può essere precoce per il vasospasmo ma anche per la

fibrosi, ed infatti la prima alterazione che si ha è un’alterazione diastolica, quindi (non so se avete fatto

cardiologia) con l’ecocardiogramma [NB: in realtà la professoressa prima dice “con

l’elettrocardiogramma”, dopodiché si interrompe e poi dice “con l’ecocardiogramma”, però guardando la

slide n° 10 mi sembra più probabile che sia ecocardiogramma ] si valuta il rapporto E/A, cioé delle due

onde, che ci dice che vi è un’alterazione del rilasciamento diastolico.

-Poi nelle fasi tardive sono invece coinvolti il cuore ed il polmone, per cui si ha ipertensione polmonare,

che è causa di aspettativa di vita ridotta, cioè generalmente chi ha l’ipertensione polmonare ha

un’aspettativa di vita dai 3 ai 5 anni a partire dall’esordio della complicanza; generalmente

l’ipertensione arteriosa polmonare si ha soprattutto nelle fasi tardive e nelle forme limitate, quindi

dopo 20-30 anni di malattia il paziente può sviluppare un’ipertensione polmonare arteriosa, ed è per

questo che nel monitoraggio, cioè nel protocollo di sorveglianza di questi pazienti, l’ecocardiogramma

va effettuato ogni sei mesi, e quando eseguendo l’ecocardiogramma col doppler si ritrova una PAP

(Pressione Arteriosa Polmonare, perché dobbiamo appunto andare a valutare anche l’ipertensione

polmonare) superiore a 40, generalmente questo è indicativo per l’esecuzione del cateterismo

cardiaco, perché con il cateterismo andiamo a valutare se è un interessamento primitivo o secondario

alla sclerodermia o alla connettivite, in quanto l’approccio terapeutico è completamente diverso a

seconda della situazione. (slide 10)

Allora invece vediamo ora quali sono gli elementi della cardiopatia sclerodermica (slide 3), cioè che

cosa succede a carico del cuore? In particolare ora parliamo del cuore, poi vi dirò anche degli altri

organi.

Dunque, si ha:

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-una fibrosi miocardica perché si ha appunto accumulo di collageno, fibrosi che è sostitutiva di zone di

necrosi, a chiazze con interessamento di entrambi i ventricoli, quindi tutti e due i ventricoli possono

essere colpiti.

-poi un’altra cosa importante è l’assenza di depositi di emosiderina

-ci possono essere lesioni subendocardiche

-si può avere una necrosi della banda di conduzione [NB: la prof dice “banda di conduzione”, però sulla

slide c’è scritto “banda di contrazione”]

-le arterie coronariche intramiocardiche possono essere apparentemente indenni, cioè non vi è una

lesione organica, però possono essere colpite perché là si ha il vasospasmo.

E qual è l’ipotesi patogenetica? (slide 4)

Come vi dicevo prima il fenomeno di Raynaud cardiaco, perché è proprio a livello cardiaco, del

miocardio, che si verifica questa complicanza, quindi si ha un vasospasmo dei vasi intramurali con

ischemia e riperfusione focale, che è anche ricorrente, perché c’è la contrazione, si ha l’ischemia e poi

si ha una riperfusione, quindi poi di nuovo ischemia-riperfusione e così via.

Questo può determinare una necrosi delle cellule miocardiche, e quindi una fibrosi sostitutiva, perché

dove c’è stata una fibrosi si ha una neorigenerazione delle fibrille e si ha una sostituzione, però non

sono miocellule normali, perché sono una iperproduzione, e quindi da una parte si ha una ridotta

riserva coronarica (perché il sistema vascolare diventa fisso, diventa rigido), e dall’altra invece si ha

una perdita dei miocardiociti con insufficienza di pompa e difetti di conduzione. Quindi nel cuore

sclerodermico potete trovare tutte queste alterazioni.

Allora la cardiopatia può essere primaria, ma può essere anche secondaria, e a che cosa (slide 5)?

-Ad una interstiziopatia polmonare, cioè praticamente quando si verifica a livello del polmone una

fibrosi importante questo può determinare delle complicanze anche sul cuore, e quindi in questo caso

la cardiopatia è secondaria;

-Oppure può essere dovuta ad una vasculopatia polmonare, quindi il polmone può incidere sia dal

punto di vista della fibrosi, sia per quanto riguarda il vasospasmo;

-Ed infine può esser secondaria ad una nefropatia, in quel caso parliamo dell’ipertensione, perché il

rene nella sclerosi sistemica è un organo molto delicato, soprattutto nelle fasi iniziali della forma

diffusa: infatti a volte la forma diffusa si presenta in modo improvviso, proprio d'emblée, per cui (per

lo meno in passato) se il medico non sapeva di cosa soffriva il paziente si usava molto la ciclosporina, e

la ciclosporina è un farmaco che determina ipertensione poiché agisce sulle arteriole efferenti del rene,

per cui determina ipertensione, e quindi nella sclerosi sistemica la ciclosporina è proprio

controindicata, anche se ci sono degli studi che hanno sperimentato la ciclosporina nelle fasi iniziali,

visto che la sintomatologia è molto aggressiva (infatti ci possono essere artralgie, artriti, gonfiore e

così via), e per questo prima la ciclosporina veniva utilizzata, ma ora assolutamente no perché si é

visto che il suo utilizzo può complicare ancora di più la sclerosi poiché agisce a livello del rene, e

quando si verifica un coinvolgimento renale nelle fasi inziali della malattia si ha la cosiddetta crisi

renale sclerodermica, che generalmente ha una prognosi infausta o comunque porta alla dialisi,

quindi è una delle patologie peggiori delle fasi iniziali della sclerosi sistemica (questo però, lo

ripetiamo, vale per la forma diffusa).

Tra l’altro anche altri farmaci possono scatenare questa crisi, per esempio antiinfiammatori, sempre

perché sono farmaci che agiscono sulle arteriole renali, e quindi determinano ipertensione.

Per quanto riguarda i settings clinici della cardiopatia sclerodermica (slide 6), possiamo avere una

cardiopatia come prima manifestazione della sclerosi sistemica, quindi una pericardite, oppure si può

avere una sierosite come esordio della malattia, ma anche una pleurite e così via, e quindi la

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pericardite può essere una manifestazione di esordio; oppure possiamo avere una cardiopatia in corso

di sclerosi sistemica, soprattutto a causa della fibrosi.

E allora quali sono le differenti caratteristiche evolutive della forma limitata e della forma diffusa?

(slide 7, vedi figura sotto) Vi dico qualcosa sulle due forme in questione, anche se poi faremo proprio la

lezione sulla sclerosi sistemica, ma insomma vi anticipo qualcosa.

Allora la forma diffusa ha questo tipo di curva (vedi immagine): quindi qua vedete la curva per la

diffusa e la curva per la limitata, e qui la valutazione, la classificazione si ha sulla base

dell’interessamento cutaneo. Allora nella forma diffusa abbiamo interessamento cutaneo di mani,

avambracci, braccia, torace, addome, volto, e praticamente può essere colpito tutto il corpo, ma se

vengono risparmiati il torace e l’addome generalmente, anche se viene colpito il volto, non è diffusa.

Però accanto all’interessamento cutaneo ci sono anche altre caratteristiche della forma diffusa, cioè la

presenza degli anticorpi anti-topoisomerasi e il periodo di distanza tra l’insorgenza del fenomeno di

Raynaud e l’interessamento d’organo: quindi se questo periodo è breve molto probabilmente la

paziente svilupperà la forma diffusa.

La forma limitata può colpire solo le (articolazioni) metacarpo-falangee e le interfalangee prossimali, e

può essere anche senza sclerosi cutanea, per cui può esistere una sclerosi sistemica però senza sclerosi

cutanea, generalmente questo si ha appunto nelle forme limitate.

E l’andamento della malattia è diverso, perché nella forma diffusa guardate la curva com’è:

praticamente già dall’inizio si ha un interessamento delle articolazioni sotto forma di contratture in

flessione: non so se avete mai visto un paziente con sclerosi sistemica, praticamente questi pazienti

hanno le mani ad artiglio a causa della fibrosi di tutta la guaina tendinea e delle pulegge, per cui

praticamente il paziente presenta le mani ad artiglio, quindi le contratture in flessione si vedono già

dall’inizio della malattia; poi si ha un interessamento gastrointestinale, cardiaco, renale, e

interessamento polmonare, e questo già in fase early, cioè quando il paziente non presenta ancora

interessamento cutaneo diffuso, poi man mano potete vedere guardando la curva qual è l’andamento.

E chiaramente il paziente ha una durata di vita molto breve, già in questa fase ha una prognosi

infausta, perché già si ha un interessamento di tutti gli organi.

Invece nella forma limitata vedete com’è l’andamento, e vedete che la complicanza più importante è

dopo circa 10 anni di malattia, innanzitutto per ipertensione polmonare, ma anche per

malassorbimento, perché si ha un interessamento intestinale con alterazione di tutto il microbioma

intestinale, ed il paziente va incontro a diarrea cronica, può andare incontro ad ileo paralitico e ad

occlusione intestinale, e queste portano quindi a malassorbimento e al deperimento del paziente.

0 5 10 15 20

early

earlyintermediate

intermediate late

late

Diffuse cutaneous

Limited cutaneous

joint contractures, GI,

lung, heart, kidney

pulmonary hypertension,

malabsorption

Disease duration (years)

Skin

th

ickn

ess

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Allora in questa diapositiva (slide 8) vedete la prevalenza dell’interessamento della cardiopatia in uno

studio del 2002 fatto da un gruppo italiano, in cui è stato visto che i decessi per cardiopatia nella

sclerosi sistemica sono circa il 36%, quindi abbastanza elevati, mentre in un altro nostro studio si vede

che il decesso per cardiopatia è del 33%, quindi diciamo che praticamente si equivalgono.

Come sono stati valutati i sintomi, come è stato valutato l’interessamento cardiaco? In questo studio

(NB: il primo, quello del 2002), in cui veniva valutata tutta la popolazione italiana, si sono presi in

considerazione sia i sintomi sia l’ECG, invece nel nostro studio, fatto nel 2010, la valutazione è stata

fatta con l’ECG o con l’ecocardiogramma.

Quali sono le manifestazioni della cardiopatia in corso di sclerosi sistemica? Sono dei sintomi

aspecifici, perché li possiamo trovare anche nelle altre malattie, però se noi abbiamo un paziente di cui

già abbiamo una diagnosi, allora sappiamo che questi sintomi possono essere legati o

all‘interessamento cardiaco o all’interessamento polmonare; se invece non conosciamo ancora la

diagnosi bisogna fare attenzione, cioè bisogna sempre fare una diagnosi differenziale, perché se un

paziente viene per dispnea bisogna capire che cosa ha quel paziente.

Vi porto l’esempio di un paziente che è stato ricoverato in questi giorni da noi, che in pratica è venuto

da me in ambulatorio per dispnea molto forte, proprio di 3- 4 classe secondo la classificazione NYHA

(New York Heart Association), e questo paziente era stato seguito da uno pneumologo per circa 5 anni

per una interstiziopatia polmonare che secondo lui era primitiva; ad agosto scorso il paziente aveva

cominciato ad avere peggioramento di questa dispnea, peggioramento che veniva associato al fatto che

la fibrosi era andata avanti, perché purtroppo la fibrosi è comunque una malattia che avanza col

tempo, ma accanto alla dispnea era comparsa la febbre; in corso di febbre con titoli elevati di VES e

PCR quantomeno bisogna valutare se questo pz paziente ha anche un interessamento anticorpale ed

autoimmunitario: lui è stato ricoverato, ha fatto diversi ricoveri, e la febbre si pensava fosse infettiva,

per cui questo poverino ha fatto la terapia con antibiotici, ma l’unico farmaco che ha fatto scendere la

febbre è stato il cortisone, ed anche questo è un elemento extra adiuvantibus, perché una febbre che

recede col cortisone vuol dire che o è una vasculite, o che comunque c’è un interessamento

autoimmunitario.

Il paziente purtroppo non è stato inquadrato in questo modo, è venuto da me con questa dispnea circa

20 giorni fa ed io l’ho fatto ricoverare nel sospetto appunto di una connettivite. Abbiamo sospeso un

po’ il cortisone, perché chiaramente lui col cortisone non aveva più febbre o comunque aveva una

febbricola, sicuramente non aveva più dei picchi elevati. Sospendendo il cortisone chiaramente ha

avuto di nuovo questi picchi, però era necessario per fare degli esami al fine di capire effettivamente se

si trattasse di un fatto infettivo o un fatto vascolare, autoimmunitario.

Comunque il paziente ha eseguito gli esami, i quali hanno rilevato la presenza dei p-ANKA (che sono gli

anticorpi proprio per le vasculiti) in valori molto elevati, ed ha cominciato ad avere una complicanza

renale: siccome era un paziente anziano di 78 anni non è stato possibile fare la biopsia renale (perché

dopo i 65 anni generalmente già non la fanno), però il sospetto era quello di una microangiopatia, di

una poliangiolite microscopica, che è una vasculite molto rara. Quindi in sostanza purtroppo questo

paziente non solo aveva una fibrosi ma aveva sviluppato anche la vasculite.

Allora, la vasculite si tratta con immunosoppressori e con alte dosi di cortisone, e noi abbiamo

cominciato per l’appunto con alte dosi di cortisone. La funzionalità renale è rimasta ottima, però il

paziente ha peggiorato l’affanno. Si pensava che avesse avuto un’infezione, ed effettivamente aveva

avuto anche un’infezione, però praticamente questo paziente purtroppo alla fine si è capito che ha

avuto un’alveolite emorragica, e quindi attualmente è in rianimazione, è stato intubato e così via.

Perché vi ho detto questa cosa? Per farvi capire che quando un paziente ha una dispnea non bisogna

pensare solo che può avere un problema polmonare, ma può avere anche un problema cardiaco per un

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versamento pericardico, o può avere un’infezione, può avere una fibrosi interstiziale, quindi insomma

va fatta sempre una diagnosi differenziale tra le varie malattie. Dunque se già conosciamo la diagnosi

è un conto, se non la conosciamo facciamo le varie diagnosi differenziali.

In corso di cardiopatia sclerodermica che cosa possiamo ritrovare? (slide 11)

-la dispnea in vari stadi: classe 2, 3, 4...

-il dolore toracico

-palpitazioni ed aritmie

-vertigini e sincope

-scompenso cardiaco congestizio

-morte improvvisa

Quindi sono tutti sintomi che noi ritroviamo anche nelle malattie cardiache, polmonari e così via.

Qual è l’approccio diagnostico? (slide 10) Viene effettuato in questo modo:

-intanto un esame clinico importante è la storia clinica, l’anamnesi, che ci serve per sapere quando è

insorta la dispnea, come è insorta (in modo insidioso oppure subdolo);

-poi ci serve andare ad auscultare il cuore, quindi i toni cardiaci, i soffi (se presenti) e così via;

-poi va fatto un elettrocardiogramma per vedere se ci sono alterazioni, blocchi di branca piuttosto che

la mancanza della progressione delle onde e cosi via;

-una radiografia del torace

-ed uno studio ecodoppler cardiaco che ci dice sia la frazione di eiezione, sia il rapporto E/A e quindi

l’alterazione diastolica, praticamente ci dice anche se c’è un’insufficienza tricuspidale, e va a valutare

qual è la pressione polmonare.

Poi è importante la valutazione sierologica del proBNP(il peptide natriuretico B), che è un indice della

presenza di ipertensione, quindi è prognostico e diagnostico per questo tipo di patologia: prognostico

perché più è alto, più la patologia è grave; diagnostico perché ci dice effettivamente che c’è l’infezione

polmonare.

E poi si fa la valutazione nel siero di CPK, chiaramente questo però si fa anche in altre patologie

cardiache o anche muscolari .

Queste dunque sono le cose di base, poi abbiamo anche altre possibilità:

-l’ECG holter delle 24 ore: generalmente si fa quello cardiaco, perché quello pressorio si fa per altri tipi

di patologie;

-il cateterismo cardiaco destro: ho già detto prima che va fatto in sospetto di ipertensione polmonare,

quando all’elettrocardiogramma abbiamo una pressione polmonare maggiore di 40-45, e allora solo in

quel caso si fa il cateterismo cardiaco, perché dobbiamo distinguere se è di tipo vascolare o di tipo

fibrotico;

-può essere fatta la risonanza magnetica cardiaca: anche questa molto importante, in verità in questi

ultimi anni è molto utilizzata per valutare l’interessamento cardiaco

-la biopsia endomiocardica nelle fasi più tardive;

-e l’angiografia coronarica.

Quali sono i sintomi? Qual è l’assesment, cioè come viene valutato il paziente che abbia un

interessamento cardiaco? Innanzitutto i sintomi:

-la dispnea abbiamo detto che può essere di vario grado, dal 2° al 4° grado della scala NYHA, e già

quando c’è un grado 3 della scala NYHA generalmente viene effettuato il test del cammino dei 6

minuti, cioè praticamente si fa camminare il paziente per un tot di metri, valutando quanti metri ha

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percorso in sei minuti: questo ci dice quanto il paziente è riuscito a camminare e quindi qual è la

riserva cardiaca, possiamo chiaramente vedere quando sopravviene l’affanno, quando aumenta la

pressione, quando scende la saturazione, dunque questo test è molto importante in varie patologie,

soprattutto nella sclerosi. Però considerate che:

1. I pazienti nella sclerosi possono avere le ulcere ai piedi, e quindi a volte questo test è inficiato.

Le ulcere infatti sono una delle complicanze del fenomeno di Raynaud;

2. La saturazione può essere inficiata sempre dalla presenza di queste ulcere, ma anche dal

fenomeno di Raynaud, perché se è un ambiente freddo magari il paziente ha cianosi o ischemia

e la saturazione non è proprio quella perfetta

3. Può avere una miopatia sempre da sclerosi o anche corticosteroidea, per cui si stanca anche

per questo nel camminare;

Quindi questi sono dei parametri che comunque vanno valutati.

-il dolore toracico, chiaramente se è presente questo dolore toracico si fanno tutte le indagini per

capire perché il paziente ha questo dolore: si fa l’ECG, l’RX, poi l’ecocardiogramma e così via

-le palpitazioni, che vanno valutate tramite l’ECG holter: le palpitazioni sono uno dei primi sintomi

che bisogna andare a valutare nei pazienti con sclerodermia, perché a volte nelle giovani donne

possono essere presenti anche per altri motivi

-la sincope o la pre-sincope, si deve fare sempre l’ECG holter, perché per l’appunto può dipendere dal

cuore ;

L’esame clinico come viene fatto? (Il discorso della prof qui è un po’ confuso, vi consiglio di guardare la

slide 10 perché è a quella che si riferisce)

-Vanno valutate le aritmie e poi successivamente, se sono presenti aritmie all’auscultazione, va fatto

l’ECG holter; dobbiamo vedere se c’è l’edema o la congestione venosa, e quindi anche in questo caso se

sono presenti verrà fatto l’ecocardiogramma-doppler;

-il dolore toracico praticamente lo valutiamo quando viene fatto l’RX toracico. Perché viene fatto?

Perché con esso vengono valutate le dimensioni delle camere cardiache, i segni ed i sintomi

dell’ipertensione polmonare e l’effusione pleuropericardica;

-l’elettrocardiogramma invece ci dice qual è la frequenza cardiaca ed il rapporto q/T, poi nei casi più

importanti ci indica anche un coinvolgimento ventricolare destro e sinistro, ci fa vedere l’alterazione

del tratto ST-T e evidenziamo anche le aritmie; in questo caso (cioè se sono presenti aritmie) si va poi a

fare anche l’holter;

-infine abbiamo l’ecocardiogramma, che ci va a valutare le dimensioni dei ventricoli e degli atri, ci va a

valutare la PAP (e se è maggiore di 40 va fatto il cateterismo cardiaco), poi si valuta il rapporto E/A

come abbiamo detto prima, e infine ci va a valutare l’effusione pericardica.

Quindi sono cose che già avevo detto prima ma in questa slide sono schematizzati molto bene.

Allora, i segni ed i sintomi in particolare sono tardivi ed aspecifici, visto che, come abbiamo detto,

possiamo trovarli in varie malattie; abbiamo detto che all’esame clinico possiamo trovare aritmie, ed

in quel caso si va ad eseguire l’ECG holter, con il quale poi le aritmie vengono confermate in più del

50% dei pazienti; vedete poi che anche l’alterazione della camera cardiaca è tardiva; le alterazioni

elettrocardiografiche sono aspecifiche, e l’effusione pericardica la ritroviamo in piu’ del 40% dei

pazienti (qui la prof sta leggendo sempre la slide 10, in particolar modo le cose cerchiate in giallo nella

slide).

Allora quando l’interessamento cardiaco è evidente clinicamente già dobbiamo porci il problema per

questi pazienti che hanno una prognosi infausta, perché vuol dire che già è stato colpito in modo

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importante il cuore. Quindi è importante valutare l’interessamento cardiaco già dall’inizio della

malattia, e noi raccomandiamo di fare l’elettrocardiogramma e l’ecocardiogramma almeno una volta

ogni sei mesi anche in assenza di sintomi.

(NB: Mentre parla qui passa velocemente dalla slide 16 alla slide 21, non soffermandosi su nessuna di esse

in particolare)

Va bene, in questa slide praticamente ci viene detto che l’ecocardiogramma può essere fatto e

completato col pulsed tissue doppler, che praticamente valuta ancora meglio tutti i parametri

ecocardiografici, però questa è una cosa prettamente cardiologica, cioè è il cardiologo che la esegue;

oppure si può fare con la ventricolografia, che rimane il gold standard, però non sempre si fa perché è

comunque un esame invasivo; poi può essere fatta anche la CT ad emissione di fotoni oppure la

risonanza magnetica, e questa, come dicevo prima, è quella che attualmente è più utilizzata.

Poi invece la conduzione del sistema deve essere fatta con l’ECG holter delle 24 ore, anche se

attualmente si preferisce fare addirittura quello delle 48 ore perché a volte in 24 ore le alterazioni

possono anche non essere visualizzate: quello delle 48 ore però è una cosa che si usa anche in altre

patologie, non solo nella sclerosi sistemica.

Poi abbiamo il peptide natriuretico, che viene valutato soprattutto nel coinvolgimento secondario, cioè

quando c’è un’ipertensione polmonare.

Dunque, in alcuni studi, ed in particolare questo (slide 14) è un nostro studio fatto nel 2005, vengono

riportate quali sono le alterazioni più tipiche e qual è la prevalenza: in questa nostra casistica

praticamente si vedeva che:

-il versamento pericardico era ritrovato nel 43% dei pazienti (e questo si rifà un po’ al dato della

diapositiva che abbiamo visto prima -si riferisce alla slide 10- in cui appunto c’era scritto che più del

40% dei pazienti generalmente possono presentare un versamento pericardico), e rispetto ai controlli,

cioè nel 4% dei pazienti sani che venivano usati come controllo, il versamento pericardico era molto

più frequente chiaramente nei pazienti, ed aveva un’alta significatività (meno di 00.1).

-Il versamento pericardico clinicamente significativo invece era presente nel 10% dei pazienti: quindi

di quel 43% dei pazienti solo il 10% era sintomatico;

-invece l’inversione del rapporto E/A era presente già all’esordio nel 30% dei pazienti, quindi era

abbastanza alto.

-Al termine del follow up si aveva poi un peggioramento dell’E/A, quindi questo 30% aumentava

arrivando circa al 60%.

Invece in uno studio retrospettivo (slide 15), cioè dove praticamente sono state valutate tutte le

cartelle cliniche di pazienti presenti in vari centri di sclerosi, è stato visto che la prevalenza

dell’interessamento della disfunzione sistolica del ventricolo sinistro è del 5,4%, ed i fattori

predisponenti sono l’età, il sesso maschile, le ulcere digitali, la miosite ed il coinvolgimento polmonare.

Mi soffermo un attimo su questi fattori, perché alcuni di questi tra l’altro sono indici prognostici

negativi di prognosi infausta per la sclerosi, e soprattutto per quanto riguarda il sesso maschile:

infatti la malattia è più frequente nel sesso femminile, però se presente nel sesso maschile la prognosi

purtroppo è infausta, perché generalmente si tratta della forma diffusa e che coinvolge subito il

polmone ed il cuore.

Noi abbiamo avuto dei ragazzi o anche degli uomini giovani che purtroppo hanno sviluppato subito le

complicanze e che insomma hanno avuto una durata di vita molto breve.

Le altre indagini che vengono effettuate abbiamo detto che sono la ventricolografia con radionuclide

(che è il gold standard), l’ecocardiografia col tissue doppler, la risonanza magnetica e la SPECT.

E dunque questa nuova metodica, cioè il tissue doppler (slide 16), permette una più accurata

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valutazione della contrattilità miocardica in generale e soprattutto in varie regioni, come se andasse a

prendere ed a valutare il cuore “a pezzi”, arrivando quindi a valutare ogni zona del cuore. Questa

metodica è basata sulla velocità di trasduzione del segnale doppler attraverso la parete cardiaca in

sistole ed in fase diastolica precoce, e praticamente questo SR indica la massima velocità transmurale,

è un indicatore di contrazione miocardica che indica la massima velocità valvolare.

Questo tissue doppler però è fatto solo in centri di riferimento, per esempio i nostri pazienti li

mandiamo al Monaldi, dove c’è proprio un centro di riferimento cardiologico dove poi vanno a fare

anche i cateterismi cardiaci, cioè c’è bisogno comunque di un centro di riferimento per questo tipo di

interessamento.

Invece la SPECT (slide 20), cioè la CT ad emissione di fotoni, quando viene effettuata generalmente è

positiva, perchè viene effettuata nelle fasi molto precoci ed evidenzia sempre un’alterazione a livello

miocardico proprio perché l’interessamento miocardico è molto precoce nella sclerosi sistemica.

La risonanza magnetica è molto accurata, e quindi sarebbe quella preferibile da effettuare perché

non è invasiva e non bisogna somministrare il mezzo di contrasto etc. (slide 21)

il trattamento come viene effettuato?

All’inizio praticamente va solo monitorato, perché in corso di alterazione diastolica o in corso di

interessamento lieve non si dà alcun trattamento; se invece è presente il versamento pericardico,

questo viene trattato (come in tutte le patologie) con colchicina o indometacina e con i cortisonici,

perché questo chiaramente farà riassorbire il versamento riducendo la possibilità di sviluppo e di

trasudazione di ulteriore filtrato.

Quando invece siamo nelle forme più consolidate vengono dati gli ACE inibitori, che sono molto

importanti soprattutto nella prevenzione della crisi renale sclerodermica, cioè quando si sospetta di

un paziente con sclerosi cutanea diffusa che ha dei fattori prognostici che virano verso la crisi renale,

come per esempio presenza di alcuni autoanticorpi RNP (NB: mi sembra che dica così e controllando su

internet mi sembra molto probabile, ma comunque non sono sicura, minutaggio: 50min34sec), e appunto

in questo caso vengono dati gli ACE inibitori, poiché in alcuni studi è stato visto che l’utilizzo degli ACE

inibitori praticamente riduce la possibilità che si sviluppi una crisi renale sclerodermica.

Poi vengono dati i calcio-antagonisti, che praticamente nei pazienti con sclerosi sistemica vengono dati

subito, dall’inizio, in quanto sono dei vasodilatatori periferici, quindi in corso di fenomeno di Raynaud

il calcio antagonista va dato. Va somministrato a dosaggi anche scalari nelle stagioni estive, perché

chiaramente già col caldo si ha una vasodilatazione, quindi se per esempio usiamo l’adalat crono (che è

quello più utilizzato) ad esempio arriviamo a 60 e viene tollerato benino, ma in estate diamo anche

20mg perché poi la pressione si riduce molto; e poi vengono utilizzati in caso di ulcere o come

prevenzione delle ulcere in pazienti che già le hanno avute: in genere viene utilizzato il bosentan, che è

un’antiendotelina che va a bloccare proprio la formazione delle ulcere, però l’indicazione è per un

paziente che abbia già sviluppato ulcere, che sia stato trattato con i prostanoidi, con i calcio antagonisti

e le altre cose, e quindi solo nel momento in cui si chiude l’ulcera può essere dato il bosentan, poiché è

stato visto che riduce la formazione di nuove ulcere o che comunque aiuta anche la cicatrizzazione di

ulcere pre-esistenti.

[Scorrendo le ultime diapositive dice che sono degli anni precedenti e che mancano le cose nuove, di cui

comunque parleremo successivamente.]

[Vi voglio far vedere un caso clinico, purtroppo mi dispiace perché in realtà oggi non avremmo dovuto

parlare di questo, la lezione che avevo preparato ieri sera non la trovo, quindi oggi questa lezione è un

po’ improvvisata...vediamo perché ci dovrebbe essere un caso clinico che vi posso far vedere. (apre file

“caso-clinico-esposito –“)]

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Vi descrivo questo caso clinico di un paziente con artrite reumatoide in associazione con lupus e poi

terminiamo la lezione.

(Slide 2) Dunque, la paziente che è stata vista in questo caso clinico è una paziente che aveva ricevuto

una diagnosi di artrite reumatoide, perchè aveva il fattore reumatoide e aveva tutte le caratteristiche

dell’artrite che noi abbiamo già visto, quindi aveva l’interessamento articolare simmetrico bilaterale

con dolore da più di 6 settimane, fattore reumatoide positivo, anti CCP positivi, indici di infiammazione

elevati, quindi aveva tutti i criteri per una diagnosi di artrite reumatoide.

Questa paziente come primo approccio era stata trattata con corticosteroidi e DMARDs , cioè i farmaci

modificanti la malattia, ed in particolare il methotrexate, perché è primo farmaco che viene dato: il

methotrexate viene dato a dosi da aumentare gradualmente, partendo da 7,5 e aumentando poi a 10,

15, 20, si può raggiungere anche 25, ed in genere viene somministrato una sola volta a settimana,

quindi ha un dosaggio settimanale; al methotrexate si associa sempre la folina (acido folico), perché

uno degli effetti collaterali del methotrexate è l’anemia macrocitica, per cui va sempre valutato l’MCV

(Volume Corpuscolare Medio) e va aggiunta la folina poiché questa va ad inibire proprio il meccanismo

del methotrexate che comporta la riduzione del MCV.

Questa paziente però non era stata responsiva ai DMARDs, quindi c’era stato un fallimento della

terapia, ed anzi la sua situazione era addirittura peggiorata; successivamente, nel corso dell’iter

diagnostico, facendo i vari esami erano stati evidenziati nella paziente degli anticorpi che viravano

verso il lupus eritematoso sistemico, e questi anticorpi generalmente vengono effettuati (cioè

vengono ricercati) prima dell’inizio della terapia col farmaco biologico, perché quando poi si inizia il

biologico bisogna essere sicuri che il/la paziente non abbia altre patologie, perché altrimenti bisogna

seguire anche quelle.

Quindi si eseguono:

-i markers dell’epatite B e C per vedere se c’è un interessamento epatico, e se questo dovesse esser

presente, per esempio se c’è positività ai markers del virus dell’epatite B, si deve fare la profilassi per il

virus B;

-l’intradermoreazione di Mantoux ed il Quantiferon test per vedere se vi è una TBC latente, e se il test

risulta positivo bisogna fare la profilassi per la TBC (quindi isoniazide e così via);

-gli ANA (anticorpi anti nucleo), perché bisogna vedere se c’è una forma di connettivite, quindi si

vanno a richiedere gli ANA e in che caso sono positivi? Quando il valore è 1:160, quindi è superiore a 1:

80, perché quello fa 1:80, 1:60, 1:320, e quindi già quando è superiore a 1:160 si fanno sempre gli anti

ENA perché bisogna vedere se cisono gli anticorpi specifici di malattia;

-poi si devono valutare anche gli altri anticorpi per esempio gli anti ds-DNA per vedere se è un lupus;

negli anti ENA ci sono gli anti-SSA, gli SSB per vedere se è un _____ ( NB: non capisco la parola

minutaggio 57min25sec), e quindi bisogna vedere quale tipo di connettivite ha il paziente, ed in questa

paziente in particolare risultavano gli anti ds-DNA ed aveva anche altri sintomi per fare la diagnosi di

lupus.

Dunque (slide 3) questa paziente aveva 52 anni, non aveva altre patologie, non aveva familiarità per

patologie cardiovascolari e per il diabete, non aveva mai fumato. Il fumo è un elemento importante

perché il fumo praticamente può scatenare l’artite, diciamo che può essere un trigger per l’artrite

reumatoide, infatti chi ha gli anticorpi anti CCP positivi e chi ha il fattore reumatoide positivo, se è

anche fumatore può innescare il meccanismo di infiammazione, quindi diciamo può sviluppare artrite

reumatoide, sono stati fatti proprio degli studi che hanno dimostrato che il fumo è uno dei trigger, così

come lo sono anche i virus, i batteri e così via, e quindi anche il fumo è uno di questi elementi.

Questa paziente come comorbidià aveva la vitiligo.

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Nel febbraio 2006 (undici anni fa in pratica) la signora aveva sviluppato la poliartrite con

coinvolgimento sistemico dei polsi e delle articolazioni metacarpo-falangee, delle ginocchia e delle

caviglie, associata anche a febbre. La febbre qui è chiara, è facile da interpretare, perché nell’artrite

reumatoide si ha anche un coinvolgimento sistemico, quindi con astenia, facile affaticabilità, febbre e

così via, perché si ha una iperproduzione di interleuchina 6, che è uno dei fattori che scatena le febbre.

Nel settembre 2006 quindi riceve la diagnosi di artrite reumatoide siero positiva, cioè vuol dire che

o il fattore reumatoide, o gli anti CCP erano positivi (o potevano anche essere tutti e due positivi, cioè o

uno dei due o tutti e due, anche se in questa slide non è riportato).

Quindi la paziente inizia la terapia con methotrexate con un dosaggio di 10mg a settimana e continua

fino al dosaggio massimo tollerato che in questo caso è stato di 15 mg, perché a volte i pazienti non

tollerano il methotrexate perché può portare anche nausea e disturbi gastrointestinali, allora in genere

si raggiunge una dose in cui il paziente riesce a sopportarlo e che quindi poi rimane quella; viene poi

aggiunto il cortisone, in questo caso il prednisone con dose di 10 mg; poi ancora viene aggiunto il

colecalciferolo perché quando si fa una terapia con cortisonici va aggiunta sempre anche la vitamina D,

e poi è stato aggiunto anche l’acido acetilsalicilico; in realtà oltre alla vitamina D dovrebbe essere

aggiunto anche il bifosfonato, perché se la terapia viene protratta per almeno per tre mesi con un

dosaggio superiore a 7,5 va aggiunto sempre anche il bifosfonato per prevenire l’osteoporosi.

Nel marzo 2007 comunque l’attività di malattia di questa paziente non era stata fermata, ed allora che

cosa è successo? Il methotrexate è stato sostituito con la leflunomide, che è un farmaco che viene dato

per os e che rientra un po’ nella catena del methotrexate, cioè ha un meccanismo parallelo, ma viene

dato ogni giorno, quindi sia il metabolismo sia la durata, cioè l’emivita del farmaco è diversa.

Con la leflunomide la malattia va in remissione, però dopo qualche anno il farmaco viene sospeso

perché la paziente sviluppa una cachessia, che effettivamente è uno degli effetti collaterali della

leflunomide.

Nel marzo 2015 la paziente giunge da noi e presenta una moderata attività di malattia, e viene dunque

indirizzata ad intraprendere la terapia con farmaci biologici; questa paziente aveva gli anti CCP e ed il

fattore reumatoide elevati; generalmente noi il farmaco biologico lo diamo in base alle caratteristiche

del paziente e ci sono studi che hanno dimostrato che l’abatacept, che è il biologico che va a bloccare la

_____(non capisco la parola, minutaggio 1h01min53sec) dei linfociti B e e dei linfociti T, funziona meglio

nei pazienti con alti valori di anti-CCP, e quindi noi ci orientammo appunto verso questo farmaco.

Dunque prima di iniziare il farmaco questa era la situazione clinica della paziente (slide 4):

-all’esame obiettivo generale non c’era niente di importante, era tutto nella norma e non c’era niente di

rilevante;

-l’esame obiettivo articolare mostrava invece un interessamento delle articolazioni sia in termini di

dolore, sia in termini di tumefazione, e la paziente riferiva inoltre una rigidità mattutina di più di 2 ore,

quindi di circa 120 minuti.

-dal punto di vista della clinimetria, venivano effettuate le VAS, cioè la valutazione della malattia, delle

condizioni generali e così via, e diciamo che queste erano “a metà”, cioè né in remissione nè ad elevata

attività, quindi una moderata attività. Però il DAS28 indicava un’attività moderata, di 4.11, mentre lo

SDAI era anche più alto, quasi elevato perché era di 19, mentre l’HAQ, che invece stava ad indicare la

disabilità della paziente, era maggiore di uno, ciò voleva dire che la paziente non riusciva a fare le

comuni attività quotidiane;

-gli esami di laboratorio mostravano l’emocromo nella norma; c’erano una proteinuria (e già questo ci

faceva insospettire) ed una ematuria nell’esame delle urine che ci faceva insospettire per la presenza

di un’altra malattia oltre all’artrite reumatoide; i markers dell’epatite B e C erano negativi, gli ACPA

(cioè anti-citrullina) come avevo detto erano elevati, circa 615 U/mL, ed anche il fattore reumatoide

era molto elevato, quindi erano tutti e due molto alti. Poi c’era questa ANA-positività che era anche

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molto alta (era 1280 con un pattern omogeneo) e questo insomma ci faceva pensare appunto ancora di

più alla presenza di una comorbidità, che poteva essere una malattia in overlap;

-gli esami strumentali comprendevano le RX di mani e polsi, che mostravano proprio le caratteristiche

dell’artrite reumatoide: il restringimento della rima, le erosioni, l’osteoporosi osteoarticolare, quindi

tutte e tre le caratteristiche tipiche radiologiche. Fu fatta anche una ecografia muscolo-tendinea al

ginocchio, che mostrava un’ipertrofia sinoviale con un segnale doppler positivo, il che indicava un

aumento di vascolarizzazione e quindi un’infiammazione; l’RX del torace era nella norma, e per quanto

riguardava l’eco addome e pelvi a parte una microlitiasi renale non c’era nient’altro; la paziente fece

anche un doppler TSA perché a volte al basale lo facciamo fare per vedere se c’è anche aterosclerosi.

Allora quello che ci faceva insospettire erano questi ANA positivi (slide 5), e vi ho detto che già per un

valore di 1 a 160 si vanno a chiedere gli ENA, anticorpi anti-nucleo estraibili: nella signora risultarono

negativi, mentre risultarono positivi gli anti ds-DNA con tutte e due le metodiche, sia con ELISA che

con immunofluorescenza indiretta. Gli anti-cardiolipina erano assenti, il LAC era negativo, c’era

positività degli IgM-anti-beta2-glicoiproteina (a suffragio della presenza del lupus); fortunatamente il

consumo di complemento non c’era, e la funzionalità renale portava 450 mg/24 h di proteinuria,

quindi era borderline (perché per avere un impegno renale deve esser superiore a 500 mg/24h), e poi

all’anamnesi praticamente la paziente negava altre caratteristiche, altri segni o sintomi caratteristici di

connettivite, per esempio il fenomeno di Raynaud non c’era, la dispnea non c’era, era assente la

xeroftalmia, però riferiva un defluvium capillorum, ovvero una perdita di capelli, una lieve secchezza

della bocca ed una intensa astenia.

Quindi i reperti di laboratorio emersi indicavano la coesistenza di lupus eritematoso sistemico in

overlap con l’artrite reumatoide e questa condizione è nota come Ruphus syndrome, quindi è una

condizione chiamata proprio così, cioè Ruphus. E dunque, sulla base della riportata efficacia nell’artrite

reumatoide ACPA positiva e, come ho detto prima, in alcune manifestazioni di lupus eritematoso

sistemico, viene appunto scelto l’abatacept come farmaco biologico.

Quindi la paziente nel 2015 inizia questa terapia sotto cute, perché questo è un farmaco che si può

dare anche endovena: o si fa endovena ogni 28 giorni o sottocute una volta a settimana, noi

scegliemmo la forma sottocutanea perché a volte i pazienti non riescono a venire da noi mensilmente

in ospedale; poi come terapia concomitante comunque aggiungemmo il methotrexate, perché questo

è un farmaco che va necessariamente dato insieme al methotrexate (l’unico biologico che può essere

dato in monoterapia è il tocilizumab, mentre l’abatacept va fatto col metotrexate perché insieme i

farmaci aumentano d’efficacia), poi fu aggiunto anche il metilprednisolone ad una dose di 8mg/die, poi

la cardioaspirina, il colecalciferolo, e l’alendros, quindi fu dato anche il bifosfonato in questo caso.

Per quanto riguarda la cardioaspirina praticamente ci sono diverse scuole di pensiero, c’è chi la dà in

corso di terapia col corticosteroide e chi non la dà: il mio ex direttore la dava perché diceva che

comunque la terapia con il corticosteroide è un fattore prognostico negativo per l’aterosclerosi, però in

letteratura questa cosa non emerge, per cui i pazienti che stavano nel suo reparto (tra cui la paziente

che stiamo vedendo noi) avevano tutti la terapia con l’aggiunta di cardioaspirina, però non è

obbligatoria. Chiaramente è obbligatoria se ci sono altri fattori di rischio, per esempio se il paziente è

iperteso, se è obeso, ma la signora di cui stiamo parlando non aveva nemmeno familiarità per malattia

cadiovascolare, quindi la cardioaspirina poteva anche essere evitata.

In questa slide (slide 7) vedete l’andamento della malattia prima della abatacept, poi a 3 mesi ed a 6

mesi, perché la valutazione va fatta almeno a 3 mesi per vedere se la paziente ha risposto al farmaco, e

poi generalmente si fa ogni sei mesi. Vediamo la differenza:

-le articolazioni dolenti in fase pre abatacept erano 7, a 6 mesi erano diventate 3

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-le articolazioni tumefatte da 2 (pre abatacept) erano diventate 1 (a 6 mesi)

-la VES era scesa, nonostante comunque si fosse mossa di poco, da 28 mm/h in fase pre abatacept a 25

mm/h a 6 mesi

-invece guardate la PCR, da 2,68 mg/dL in fase pre abatacept a 0,4 mg/dL a 6 mesi, quindi si era

completamente negativizzata

-il DAS 28, che è l’indice di attività della malattia, era sceso a 3,21, ed anche lo SDAI da 19,18 era

diventato 8,4, quindi era andato proprio in bassa attività, non ancora in remissione ma comunque in

bassa attività.

-la rigidità mattutina da 120 minuti era passata ad essere completamente assente, ed anche la VAS

fatica ed il PGA erano migliorate, mentre lo SLEDAI, che è praticamente l’indice di attività del lupus, da

8 era arrivato a 4.

Quindi questo a dimostrare che non solo l’abatacept aveva aiutato la paziente nell’artrite reumatoide

ma anche nel lupus, quindi tutte e due le malattie erano state coperte dalla terapia. L’introduzione di

abatacept quindi aveva permesso il controllo dell’attività di malattia già a tre mesi di terapia, ed aveva

avuto un profondo impatto anche sulla componente sistemica della malattia, quindi sull’astenia e sulla

facile affaticabilità, infatti guardate il grafico nella slide 8: la linea che indica appunto la VAS fatica

praticamente vedete come scende.

Poi dopo sei mesi di trattamento è stata possibile una graduale riduzione del dosaggio del

corticosteroide: la paziente faceva 8 mg, per poi passare a 3mg/die; inoltre nei primi sei mesi di follow

up non si sono presentate manifestazioni maggiori di LES, cioé non c’erano manifestazioni maggiori

perché non c’era impegno d’organo, nè polmone, nè cuore, nè rene, ed in sei mesi effettivamente non

c’era stata nessuna alterazione.

L’abatacept aveva anche favorito la paziente nelle attività quotidiane, perché lei aveva anche un HAQ

(ovvero un indice di disabilità) alto, mentre dopo sei mesi appunto era molto migliorata: infatti a causa

della rigidità mattutina e dell’astenia non era autonoma nel lavarsi e nel vestirsi (prima dell’abatacept)

ed assumeva quotidianamente FANS ed analgesici. Dopo l’abatacept ha avuto un miglioramento della

rigidità mattutina, che anzi era completamente scomparsa a sei mesi, il che le permetteva di

recuperare alcune attività quotidiane: aveva ripreso attivamente la cura della famiglia ed aveva ridotto

fino alla sospensione l’uso dei FANS.

Quindi, concludendo, la terapia di combinazione methotrexate e DMADs (che, lo ripeto, è di prima linea

nei pazienti con artrite reumatoide) più l’abatacept (che è uno dei biologici che vengono usati e che noi

preferiamo quando si hanno alti valori di fattore reumatoide e anti CCP), si è dimostrata efficace e ha

permesso di raggiungere l’obiettivo di una bassa attività di malattia: praticamente la signora aveva una

durata di malattia piuttosto lunga, dal 2005, quindi ad oggi sono 12anni di malattia, ed effettivamente

quello che noi ci possiamo aspettare è solo una bassa attività di malattia, perché dopo 5 anni è difficile

che la paziente vada in remissione. In realtà ci sono anche dei casi, perché l’obiettivo è comunque

sempre la remissione, però dopo un tot di anni la remissione non si raggiunge mai, mentre si può

raggiungere appunto una bassa attività di malattia, ed in questo caso l’abbiamo raggiunta.

Questo risultato è anche confermato nel follow up annuale, perché questa signora poi è stata vista

anche dopo un anno, e non si sono presentati né peggioramento della sintomatologia articolare, quindi

dell’artrite, né comparsa di eventi legati al lupus.

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Cuomo – Lezione 5 (20-03-17) – Sclerosi Sistemica

Sbobinatore: Rita Mollo

Coordinatore: Lia Barra

La CLINIMETRIA della SCLEROSI SISTEMICA

L’altra volta abbiamo visto l’interessamento cardiaco della Sclerosi Sistemica, vi faccio pure la lezione

completa sulla Sclerosi Sistemica così facciamo l’argomento completo.

La sclerosi sistemica, come vi dicevo l’altra volta, è caratterizzata da:

una vasculopatia,

da una fibrosi interstiziale e

da un infiltrato mononucleare.

La vasculopatia praticamente è dovuta ad un obliterazione dei piccoli vasi e da una proliferazione delle

piccole arterie; la fibrosi interstiziale, invece, è dovuta ad accumulo dei costituenti della matrice, mentre

gli infiltrati mononucleari sono soprattutto auto-anticorpi, quindi una risposta autoimmune.

Quali sono gli aspetti importanti da valutare in questa sclerosi sistemica? Intanto bisogna considerare

che vi sono diversi subset, cioè c’è la forma diffusa e la forma limitata e per ogni pazienti, pur avendo la

forma diffusa o la forma limitata può avere delle caratteristiche diverse da paziente a paziente, quindi

la malattia è molto varia come manifestazione d’organo, e quindi va trattato l’interessamento in quel

momento.

L’Assessment del paziente con sclerosi sistemica deve valutare

intanto la diagnosi, quindi intanto bisogna fare la diagnosi di sclerosi sistemica;

poi definire il subset, quindi se è forma diffusa o limitata;

poi definire lo stato della malattia, cioè a che punto è la malattia, quindi bisogna stadiare la

malattia sia dal punto di vista dell’attività e sia dal punto di vista della severità;

poi bisogna andare a valutare i fattori di prognosi, perché ci sono alcuni fattori che ci dicono

che la malattia in un paziente può andare peggio di un altro paziente;

la prevenzione e quindi la valutazione precoce del nuovo interessamento d’organo, quindi

va monitorata la malattia ogni tre mesi, ogni sei mesi, ogni anno, diversi stadi a seconda

dell’interessamento d’organo

e infine la risposta al trattamento.

E quindi sono importanti ,come non mai in questa malattia, i PARAMETRI CLINIMETRICI, cioè la

clinimetria. Che cosa intendiamo per clinimetria? Per ogni malattia esistono dei parametri, cioè per la

valutazione del paziente, che va dall’esame obiettivo, alll’anamnesi alla valutazione dei fattori

prognostici e così via; in questo caso nella sclerosi sistemica vanno valutate:

1. la sclerosi cutanea, quindi l’interessamento cutaneo, che è il primo momens per la valutazione

della sclerosi per la definizione del subset;

2. la valutazione dell’impegno vascolare che si traduce con il fenomeno di Raynaud, infatti gli effetti

di questo fenomeno non è solo a livello periferico, a livello cutaneo, ma può aversi anche a livello

cardiaco, a livello renale, a livello cerebrale;

3. poi la valutazione dell’impegno gastroenterico, allora il 90% dei pazienti con sclerosi sistemica

hanno impegni dell’esofago, quindi praticamente la maggior parte dei pazienti;

4. poi la valutazione dell’impegno cardio-respiratorio, un po’ la parte cardiologica l’abbiamo fatta

l’altra volta, abbiamo visto tutte le varie indagini di primo livello e di secondo livello;

5. poi la valutazione dell’attività di malattia, perchè in base all’attività di malattia si utilizzano dei

farmaci piuttosto che altri;

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6. la valutazione della severità, che porta poi al danno e in effetti la somma dell’attività e del danno

portano poi al grado di severità della malattia

7. e infine alla valutazione delle capacità funzionali e della qualità di vita, questi pazienti

praticamente hanno una qualità di vita molto peggiore rispetto ai soggetti normali perché

praticamente vanno incontro alla formazione di mani ad artiglio, la formazione di ulcere, per cui

questa patologia impedisce le normali attività quotidiane del soggetto.

1) Allora andiamo prima a valutare la SCLEROSI CUTANEA, quindi l’interessamento cutaneo. E come

avviene l’interessamento cutaneo? Intanto dobbiamo valutare l’interessamento e l’estensione della

sclerosi cutanea, che è fondamentale. L’estensione del coinvolgimento cutaneo è il criterio maggiore

per la classificazione della Sclerosi Sistemica, quindi se noi vediamo qual è l’interessamento cutaneo,

quello è il criterio maggiore, quindi se sono interessati solo le dita è più una forma limitata, quindi

una sclerodattilia è una forma limitata, invece se interessa il tronco, l’addome, il volto allora è una

forma diffusa; quindi innanzitutto la valutazione cutanea è importante perché è il criterio maggiore

di classificazione dei subset della malattia. Poi l’estensione del coinvolgimento cutaneo è il criterio

primario per la classificazione in subset, poi l’estensione del coinvolgimento cutaneo è uno degli

items dell’attività, cioè praticamente quando noi andiamo a valutare la sclerosi cutanea, che la

valutazione va fatta valutando proprio se la cute è dura, quindi se è più dura e in base alla plica

cutanea se si alza o no, si da un punteggio da 0 a 3; tutte le aree che vanno valutate poi ci danno un

numero, questo numero se è maggiore di 14 allora praticamente negli items dell’attività ci da un

punteggio, quindi più è alto l’interessamento cutaneo più è alta l’attività di malattia e infine

l’estensione del coinvolgimento cutaneo è uno degli items per la valutazione della scala di severità di

Medsger, che praticamente è una scala dove vengono valutati tutti gli organi sempre da 0 a 4 ed il

criterio cutaneo fa parte di questi items, però ora li vediamo tutti.

Allora per quanto riguarda i CRITERI CLASSIFICATIVI, quindi il primo punto, l’interessamento cutaneo

è il criterio MAGGIORE e proprio la sclerosi cutanea prossimale alle articolazioni metacarpofalangee,

quindi prossimale, da questa parte qua, a partire dalla mano, il polso, l’avambraccio, il braccio e cosi via.

I CRITERI MINORI invece quali sono? La sclerodattilia, quindi l’interessamento solo della parte cutanea

distale alle interfalangee prossimali; le ulcere digitali; la fibrosi polmonare bibasale visibile all’RX del

torace. Quindi il criterio maggiore è la sclerosi cutanea, il criterio minore sono questi tre: la

sclerodattilia, le ulcere digitali e la fibrosi.

Per quanto riguarda il secondo punto che abbiamo detto [si riferisce ai punti elencati nella slide 8 che

lei ha letto e spiegato precedentemente e che sta ripassando in rassegna aggiungendo dei dettagli],

praticamente ci garantisce la CLASSIFICAZIONE DEL SUBSET e cioè la sclerosi cutanea diffusa

praticamente l’interessamento della cute deve coinvolgere il tronco e le estremità, però non è solo

questo il criterio per dire se è una forma diffusa o no, non è solo l’interessamento cutaneo! Ma c’è bisogno

dell’intervallo di un anno tra l’esordio del fenomeno di Raynaud e il coinvolgimento cutaneo, quindi più

il tempo è breve più è una forma diffusa; la presenza di sfregamenti tendinei, che sarebbero

praticamente dei rumori che si posso ascoltare dal punto di vista palpatorio o poggiando la mano sulle

articolazioni e facendo flettere ed estendere l’articolazione dal polso alle ginocchia, alle spalle e così via

ma ci sono anche degli sfregamenti che sono udibili all’orecchio; poi il precoce interessamento degli

organi interni, noi vedemmo quella curva che abbiamo visto che all’inizio, nella parte iniziale c’è proprio

l’interessamento di rene, cuore, polmoni e gastroenterioco; l’assenza degli anticorpi anticentromeri, è

difficile, è molto molto raro che voi troviate anticorpi anticentromero nella forma diffusa, perché nella

forma diffusa generalmente sono gli antitopoisomerasi, gli RNP (?? 10:26) e così via e poi la presenza di

aree avascolari alla capillaroscopia, cioè l’esame capillaroscopico che va a vedere come sono i capillari

a livello della plica ungueale, la presenza di aree avascolari, cioè la desertificazione capillare è un criterio

per classificare la malattia in forma diffusa. Per quanto riguarda, invece, quella limitata l’interessamento

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cutaneo interessa mani, volto e piedi, quindi il tronco e l’addome non viene interessato, però quali sono

gli altri items per dire che si tratta di una forma limitata? Il fenomeno di Raynaud isolato per anni, cioè

c’ha come sintomo solo il fenomeno di Raynaud, che per decenni c’ha solo quello, solo dopo 10, 20 anni

questi pazienti possono sviluppare l’interessamento degli organi interni, diversamente invece dalla

forma diffusa dove l’intervallo dell’interessamento è molto breve dall’inizio del fenomeno di Raynaud;

poi un'altra caratteristica della forma limitata è lo sviluppo dell’ipertensione polmonare dopo 15, 20

anni dalla malattia, quindi questi pazienti hanno per decenni solo il fenomeno di Raynaud, poi

improvvisamente sviluppano una dispnea e quello è già sintomo di ipertensione polmonare, quindi

perciò è importante monitorare questi pazienti e fare un follow-up sia nell’andamento della malattia e

sia per valutare poi le eventuali terapie; la nevralgia del trigemino fa parte della sintomatologia della

sclerosi limitata, la calcinosi che è l’accumulo praticamente di calcio sottocutaneo sotto forma di palline,

che a volte praticamente si rompono sulla superficie cutanea e esce del siero molto denso tipo pasta

dentifricio e le teleangectasie, che si possono presentare sul tronco, sul volto, sulla lingua, sulla mucosa

labiale e così via; poi nel 60% di questi pazienti c’è un alta incidenza della presenza di ACA, cioè di

anticorpi anticentromero, anche se in questa forma possiamo trovare gli anti-SC170, cioè gli anti-

topoisomerasi e generalmente alla capillaroscopia troviamo i megacapillari, cioè ci sono queste ectasie

abnormi dei capillari piuttosto che aree avascolari che sono tipiche invece della forma diffusa, però l’una

non esclude l’altra, cioè la presenza di aree avascolari non è che esclude completamente la forma

limitata, perché ci sono quelle forma tardive in cui le aree avascolari sono presenti.

Poi abbiamo detto l’estensione del coinvolgimento cutaneo fa parte degli items dell’attività e dell’items

della severità.

E allora come viene valutata la sclerosi cutanea? Intanto viene valutata valutando le pliche cutanee,

quindi il sollevamento della cute in pliche e questo viene fatto grazie a uno SCHEMA ESIBITO DA

RODNAN, che ci da poi una valutazione, un numero, poi vi faccio vedere come si fa; il durometro che

generalmente veniva usato prima, molti anni fa ma che non è più uno strumento che usiamo e la

valutazione dello spessore come va fatto? Valutando l’inspessimento o l’assottigliamento, cioè : nelle fasi

iniziali praticamente c’è un ispessimento perché voi trovate che la cute è dura quindi non si può

sollevare in pliche, nella fase finale della malattia la cute ormai si è avuta un atrofia, per cui voi trovate

la cute come se fosse normale, ma in realtà non è normale, c’è un atrofia perché con gli anni la malattia

è andata avanti e quindi ha determinato proprio un atrofia delle fibre collagene, questo però nelle fasi

più tardive della malattia.

Allora questo è quello che vi dicevo il RODNAN SKIN SCORE, praticamente si va a valutare

l’interessamento cutaneo nei due lati degli arti del corpo: allora le dita, la mano, l’avambraccio, il braccio,

la coscia, la gamba, il piede, poi il volto, il torace e l’addome con uno score che va da 0 a 3; poi si sommano

il punteggio di ogni area e si ha poi un risultato, sia ha un numero aritmetico ( perché si sommano). E

come si fa la valutazione? Allora vedete la differenza tra il sollevamento in pliche. Questo (si riferisce

alla foto) è un dito normale e

invece qua la cute invece non si

sposta proprio, cioè la plica non si

forma e questo è già 3 perché è

molto molto duro, così come

anche all’avambraccio, vedete

qua c’è proprio il sollevamento in

pliche e qua invece è 2 perché

appena appena si riesce a dare un pizzicotto però nelle forme proprio dove la sclerosi è un grado 3

praticamente non si riesce a dare neanche un pizzicotto, cioè le dita rimangono adese all’avambraccio.

Quindi le aree considerate sono 17, le abbiamo viste prima e vengono esaminate appunto da questa

palpazione e nel cercare di sollevare in pliche la cute e va dato un punteggio da 0 a 3 :

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0 è l’assenza di sclerosi, quindi è una forma normale,

1 sclerosi cutanea lieve,

2 moderata,

3 severa;

il massimo che si può raggiungere è un punteggio di 51.

Allora come viene effettuato l’esame obiettivo? Se noi dobbiamo valutare il volto l’interessamento

cutaneo va valutato tra lo zigomo e la mandibola e il paziente praticamente voi lo avete di fronte seduto;

sempre seduto si può valutare l’interessamento delle dita, che viene fatto sul dorso della mano, cosi

come le mani, l’avambraccio e le braccia; il torace viene fatto tra il manubrio e lo xifoide incluse le

mammelle, quindi va notato anche il grado dell’interessamento delle mammelle e in più la cute del

torace, anche in questo caso l’esame viene fatto da seduto; invece per valutare l’addome si invita il

paziente a stare disteso e si va a valutare tutta la zona dell’addome se c’è un interessamento cutaneo o

no; le cosce invece vanno valutate la regione volare, quindi il paziente deve essere disteso con una

flessione delle ginocchia a 30°; delle gambe anche va valutata la zona volare e quindi insieme va valutato

il dorso del piedi quindi la caviglia.

Questa è la curva che vi dicevo prima, che

già abbiamo visto l’altra volta, in cui

notiamo che nella fase iniziale abbiamo

l’interessamento precoce degli organi

compresa la cute, quindi l’interessamento

cutaneo, l’inspessimento cutaneo e queste

sono l’interessamento delle articolazioni,

del gastro-enterico, polmonare, renale e

cardiaco. Ed è proprio nelle fasi iniziali che

si hanno le contratture (la mano ad artiglio

di cui vi parlavo la scorsa volta che

impedisce le normali attività quotidiane), e invece qua, come abbiamo detto prima nella forma limitata

l’ipertensione polmonare si può sviluppare dopo 10, 15 anni di malattia.

2) Allora L’IMPEGNO VASCOLARE. Come si valuta l’impegno vascolare? L’impegno vascolare abbiamo

detto è il fenomeno di Raynaud. Il fenomeno di Raynaud, che si presenta per questa causa qua. Vedete

questa è un arteriola, che praticamente è rimasto un

lume strettissimo, perché questo c è tutta ipertrofia

del collagene, delle fibre vascolari a livello

dell’arteriola, quindi il lume arteriolare è

piccolissimo. Come si fa la diagnosi di fenomeno di

Raynaud? Intanto clinica, perché il paziente presenta

questa

caratteristica

bandiera

francese

(bianca-

ischemica,

blu-anossica, rosso-da riiperfusione), (vedete queste immagini qua), e il fenomeno è demarcato, cioè

praticamente voi trovate si a livello delle dita ma solo una parte delle dita, è proprio demarcato, quindi

quando vi riferiscono che cambiano di colore, però diventano rosse o diventano viola ma tutta la mano,

generalmente quello non è un fenomeno di Raynaud, il fenomeno di Raynaud è proprio questo qua,

che può mancare della fase ischemica, o può mancare della fase di riperfusione, però quando è presente

0 5 10 15 20

early

earlyintermediate

intermediate late

late

Diffuse cutaneous

Limited cutaneous

joint contractures, GI,

lung, heart, kidney

pulmonary hypertension,

malabsorption

Disease duration (years)

Skin

th

ickn

ess

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è sempre demarcato, vedete, qui invece (seconda immagine) è più la parte cianotica e in parte anche

da riperfusione, però vedete la mano è proprio bianca bianca e le dita sono proprio rosse quasi viola.

Come si fa l’esame per valutare il fenomeno di Raynaud? L’abbiamo detto già l’altra volta la

videocapillaroscopia che permette di identificare delle alterazioni microvascolari in face molto precoce

e permette di valutare nel tempo l’evoluzione della microangiopatia, quindi è uno strumento sia per la

diagnosi che per il follow-up.

Questi sono i pattern capillaroscopici che andiamo a vedere ( considerate

che qua c’è un ingrandimento di 200, quindi i capillari sono piccolissimi però grazie a questa sonda che

noi andiamo a mettere sulla plica ungueale, praticamente l’ingrandimento è di 200 volte.) E allora questo

(1° foto a sinistra) è un pattern normale, vedete ci sono questi capillari a dente di pettine, queste (2°foto)

sono le ectasie, cioè un aumento dell’ ansa sia afferente che efferente, questo invece (3°foto) è un

megacapillare, perché è una ectasia abnorme, cioè praticamente il capillare ha aumentato di molto la

propria conformazione, questo invece (4° foto) sono le aree avascolari cioè quindi la desertificazione

dei capillari, quindi questa qua la ritroviamo soprattutto nelle forme diffuse, queste sia diffuse che

limitate.

E che cosa comporta il fenomeno di Raynaud? A livello cutaneo sicuramente comporta la formazione di

ulcere, infatti l’incidenza di ulcere digitali, le casistiche sono molto diverse, comunque variano da circa

il 32% al 71% e circa il 30% di queste ulcere possono andare incontra a gangrena e ad autoamputazioni,

cioè praticamente la falange si demarca la gangrena e quindi il dito se ne cade da solo, quindi ci sta

quest’autoamputazione.

[slide 24] Vedete queste sono delle immagini di ulcere [però dopo vi faccio vedere anche altre immagini

perché ho portato anche altre diapositive proprio per l’interessamento vascolare. ] Allora questa si

chiama PITTING SCAR, praticamente c’è solo un puntino a livello del polpastrello e sono molto dolenti e

queste lasciano delle piccole cicatrici dette a morso di ratto; qua invece si ha proprio la perdita di tessuto,

vedete questo dito qua si perde proprio tutta la parte della falange direttamente e anche tutta l’unghia;

questa invece è una calcinosi, come vi dicevo prima sono deposizioni sottocutanee di calcio, di

pirofosfato di calcio e che quando si rompono fuoriescono sottoforma di questo siero, queste sono così

poi qua si rompono e queste si possono soprainfettare e quindi determinare anche un peggioramento

dell’ulcera; questa invece è una gangrena.

Allora la valutazione del fenomeno di Raynaud poi oltre dal punto di vista anamnestico valutato

clinicamente, va valutato anche con la capillaroscopia ma quello che è importante è chiedere al paziente

com’è l’andamento del fenomeno di Raynaud, per cui vanno fatte delle scale, delle scale dove il paziente

dice quante volte avviene questo fenomeno, quanto è intenso, durante la giornata quanti episodi ci sono

e vengono appunto valutati con:

la valutazione della severità su SCALA TIPO LIKERT o tipo VAS,

la valutazione invece dal punto di vista del paziente,

dal punto di vista del sanitario

e poi lo score delle condizioni del fenomeno di Raynaud, (ora vi faccio vedere queste scale come

sono. )

Allora questa la SCALA DI TIPO LIKERT ci dice: 1)è presente, 2)assente, 3)lieve o moderato, quindi il

paziente vi dice da 1 a 4 se è presente, quanto è presente, cioè se è moderata, se è lieve e così via, invece

la VAS invece è una scala analogica visiva, cioè praticamente su questa riga orizzontale

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(slide 26) , il paziente mette una linea verticale determinando secondo lui quanto è severa in quel

momento o nell’ultima settimana in genere quanto è stato severo il fenomeno di Raynaud. Queste scale

vanno usate anche per altri tipi di patologie, per l’artrite reumatoide per valutare il dolore, per valutare

lo stato di malattia e cosi vie.

E invece lo SCORE del fenomeno di Raynaud: praticamente al paziente si chiede ogni giorno per 14 giorni

consecutivi la severità del fenomeno di Raynaud su una scala da 0 a 10 sempre, considerando

la frequenza degli attacchi, quindi quanti attacchi ha avuto durante la giornata,

la durata degli attacchi, quindi considerando per quanti minuti si è presentato,

la severità, quindi se hanno sentito dolore, quindi anestesie e così via e

la conseguenza sulle attività quotidiane, sulle normali attività quotidiane.

Questo praticamente è il diario che si da al paziente e si chiede appunto di compilare (slide 28), quindi

vedete il numero di attacchi, la durata in minuti e la scala per dire quanto è inficiato sulle attività

quotidiane.

3) Ora andiamo a vedere invece come viene valutato L’IMPEGNO DEL TRATTO GASTRO-

ENTERICO.

Il tratto gastro-enterico, anche qua ci sta un items proprio dell’interessamento gastro-intestinale e che

è diviso in 6 scale e vanno valutati 52 items. Però quello che è importante sapere, intanto come vi ho

detto prima, che l’interessamento gastro-enterico, l’interessamento esofageo è presente nel 90% dei

pazienti e a volte è anche asintomatico, perché l’interessamento è a tono inferiore, allo sfintere esofageo

inferiore per cui il paziente comincia ad avere disturbi in fase tardiva perché si ha una fibrosi del tono e

quindi praticamente comincia ad avere disfagia bassa, reflusso e cosi via e questo si può analizzare in

fase precoce con la manometria, perché la gastroscopia o il basto baritato che generalmente vengono

fatti evidenziano queste alterazioni solo in fase tardiva, invece la manometria è un esame precoce, per

quanto riguarda questa alterazione.

Comunque che cosa succede? Si ha un danno del sistema neuropatico, che è un evento molto precoce e

poi dall’altra parte l’evento tardivo è dovuto all’atrofia del tessuto muscolare e alla fibrosi, tutti e due

comportano un alterazione della motilità del tratto gastro-enterico. Quindi intanto la dismotilità è

dovuta all’ampiezza delle contrazioni peristaltiche ridotte e l’ipotonia del LES, cioè dello sfintereo

esofageo superiore, che portano alla malattia da reflusso gastroesofageo. Poi dall’altra parte vi è un

alterato riempimento gastrico, quindi il paziente riferisce che si sazia facilmente quando mangia, mangia

pochissimo e subito si sazia, quindi la sazietà precoce è dovuto prioprio a questo alterato riempimento

gastrico, poi alterata coordinazione antro-duodenale, quindi nella fase precoce si ha una ipomobilità

antrale ed ipermobilità duodenale e in fase tardiva si ha una ipomobilità antro-duodenale e questo può

comportare dal punto di vista clinico e dal punto di vista sintomatologico la gastroparesi e il cosiddetto

water melon stomach, cioè lo stomaco a melone acqua, (quello si vede proprio cosi dal punto di vista

praticamente radiografico). Poi c’è la dismotilità intestinale, questa nella fase 3 è minima o del tutto

mancante con onde peristaltiche che non sono coordinate e questo che cosa comporta la dismotilità

intestinale? Praticamente si ha un alterazione della flora intestinale batterica e questo comporta

chiaramente delle pseudoocclusioni o delle vere e proprie occlusioni intestinali, per cui questi pazienti

quando cominciano ad avere un alternanza del valvo quindi stipsi, diarrea, comunque che cambiano le

proprie abitudini dell’ alvo bisogna fare una terapia antibiotica, che in questo caso consiste nell’utilizzo

di antibiotici diversi e fatti a cicli: per esempio il primo antibiotico è una cefalosporina per 10 giorni, poi

vengono fatti 10 giorni di intervallo e va aggiunto un altro tipo di antibiotico come macrolide,poi

vengono fatti altri 10 giorni di intervallo e poi va aggiunto un altro tipo di antibiotico, questo per

impedire che si formi una resistenza agli antibiotici e per colpire i diversi tipi di batteri.

Quali sono, allora dal punto di vista sintomatologico quali sono i sintomi e invece dal punto di vista

clinico quali sono i segni? Allora

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se l’interessamento è oro-faciale si ha:

- una riduzione di apertura della rima: non so se voi avete mai visto un soggetto con la Sclerosi Sistemica,

praticamente hanno una microchielia quindi si riducono le labbra e il naso diventa appuntito, cioè

c’hanno proprio una tipica facies scheletrica e praticamente a livello buccale si ha una riduzione delle

labbra e si ha anche una riduzione della lingua, cioè praticamente si riduce un po’ tutto

- la sindrome di Sjogren secondaria: perché? Perché si ha un atrofia secondaria delle ghiandole salivari

perché queste presentano una xerostomia

- carie frequenti, sono frequenti perché essendoci meno saliva chiaramente aumenta il rischio di carie.

L’interessamento esofageo che cosa comporta? Comporta una

- disfagia e una

-pirosi post-prandiale.

L’interessamento gastrico comporta una

- dispnepsia,

- la nausea,

- il vomito,

- la sazietà precoce come vi dicevo prima.

Il piccolo intestino invece determina

- la sindrome da malassarobimento,

- la diarrea da sovracrescita batterica

- e la pseudostruzione.

Il grosso intestino invece determina

- diarrea,

- costipazione o

- la presenta di diverticoli.

L’interessamento anorettale può portare

- incontinenza rettale o rettocele e

poi sulle vie biliari ci posso stare

- segni di colestasi con possibile associazione con cirrosi biliare primitiva.

L’interessamento ano-rettale purtroppo è una complicanza molto seria perché i pazienti si sentono

molto a disagio perché praticamente c’hanno proprio l’incontinenza perché lo sfintere anale non riesce

ad avere più le proprie contrazioni e quindi il paziente diventa incontinente.

Allora come viene fatto lo studio dell’apparato gastro-enterico? Allora intanto con

l’RX con pasto baritato: che generalmente va fatto di screening a tutti i pazienti che si sospetta

una sclerosi sistemica e questa che cosa ci da, informazioni su che cosa? Sulla struttura

dell’esofago e sulle informazioni qualitative della motilità, la presenza di un ernia iatale e il

tempo di svuotamento gastrico. Però quella più specifica, quindi per vedere le alterazioni precoci

viene fatta con la

manometria: ci da informazioni sull’ampiezza delle onde di contrazioni, sulla pressione del LES

e permette anche di evidenziare delle alterazioni precoci in fase del tutto asintomatica, come vi

dicevo prima: cioè praticamente il paziente non riferisce nessun tipo di disturbo, però magari si

vede gia un alterazione solo dello sfintere esofageo inferiore e in questo caso in effetti

indipendentemente dalla manometria i pazienti in cui si fa diagnosi di sclerosi sistemica si da

sempre l’inibitore di pompa per lo meno come prevenzione, non è curativa ma come

prevenzione. Invece importante è anche la

pHmetria delle 24 ore, che valuta la presenza del reflusso acido nella parte terminale dello

stomaco e poi la

scintigrafia esofagea ha anche la sua importanza anche se è difficile chiedere e invece

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l’endoscopia ci da informazioni sull’esofagite erosiva e uno screening per l’esofago di Barret

perché tra l’altro è una delle complicanze tardive di questa malattia perché spesso si possono

avere queste pseudoalterazioni dell’epitelio dell’esofago e quindi la trasformazione dell’esofago

di Barret che è una lesione precancerosa e quindi va considerata sempre in questi pazienti e poi

ci da informazioni anche sull’eventuale interessamento gastrico e anche sulla gastrite.

Il tratto inferiore invece come viene valutato? Intanto con

indici di malassorbimento, quindi va fatto il dosaggio dei folati, il dosaggio della vitamina D, l’INR

oppure

con un esame fisico-chimico delle feci per esempio la valutazione della steatorrea, perché si va

a vedere le feci, insomma la consistenza e anche la valutazione dei grassi nelle feci.

il Breath test allo xilulosio che ci dice praticamente il grado di interessamento dell’intestino

valutando il tipo di batterio, valutando l’alterazione della formazione batteriche e poi anche in

questo caso si può fare la

radiografia con pasto baritato.

Il grosso intestino invece viene valutato con la

colonscopia,

con la manometria ano-rettale quando c’è un interessamento dell’ano,

con l’elettromiografia ano-rettale,

con il test di latenza del nervo pudendo e

con la defecografia.

4) Allora adesso andiamo a vedere L’IMPEGNO CARDIO-RESPIRATORIO. Parte già le abbiamo viste

l’altra volta però alcune cose le ripetiamo ma altre sono nuove.

Allora intanto valutiamo il POLMONE: possiamo avere

1. un alveolite fibrosante e questo già forse lo abbiamo detto,

2. l’interessamento delle arterie muscolari di piccolo e medio calibro che determinano una

vasculopatia, quindi queste due cose sono le cose più gravi, questi due elementi sono quelli che

vanno seguiti nel tempo, intanto diagnosticati e poi seguiti nel tempo. Poi si può avere una

3. pleurite, anche all’ esordio, cioè la malattia si può presentare proprio con una pleurite, si può

avere una

4. polmonite ab ingestis,

5. delle emorragie polmonari e

6. aumento di incidenza del cancro del polmone, in questi pazienti c’è un aumento, così come in

altre malattie reumatiche, così come anche nell’artrite reumatoide si ha un aumento

dell’incidenza dei tumori.

E allora quali sono le manifestazioni di malattia?

Dal punto di vista morfologico abbiamo

l’alveolite

e la fibrosi interstiziale.

Dal punto di vista fisio-patologico abbiamo

un deficit restrittivo,

un deficit del passaggio dei gas e

un ipertensione polmonare secondaria.

Dal punto di vista clinico invece

dispnea,

la presenza di rantoli basali bilaterali, quindi a tutti e due i polmoni durante l’inspirazione,

quindi sentite proprio questi rantolini, questo crepitio.

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E allora come vanno valutati? Gli INDICI DI DISPNEA vanno valutati con la spalamia (non so cosa volesse

dire, forse spirometria 37:47), quindi da 1,2,3 e 4 e può essere valutata con la distanza percorsa in 6

minuti, questo lo abbiamo visto l’altra volta, c’è questo test dove si induce il paziente a camminare su

una superficie piana per 6 minuti e vedere quanti metri riesce a fare, valutando la saturazione

dell’ossigeno, la pressione e appunto il grado di dispnea che il paziente presenta. Poi va valutato

l’interessamento cardiaco con l’ecocardiogramma, quindi la frazione di eiezione e il rapporto E/A che ci

dice se ci sta un alterazione della funzione ventricolare. Poi la spirometria, che invece ci dice se c'è un

deficit restrittivo, se c’è un interessamento del volume totale dell’FVC, oppure se c’è un deficit della

DLCO (diffusione laterale del CO del monossido di carbonio) e questo viene fatto chiaramente con la

spirometria completa anche con l’utilizzo dei gas per valutare appunto questo passaggio, invece la

spirometria normale ci dice solo i volumi quindi il TLC, l’FVC e cosi via. Poi gli SCORE DI FIBROSI

vengono effettuati usando la TAC ad alta risoluzione, viene fatta l’alta risoluzione perché deve prendere

i vari slices, i vari piani del volume. Poi può essere valutato dal punto di vista sierologico il pro-BNP, il

cui dosaggio praticamente sale con l’aumento dell’ipertensione polmonare; poi la valutazione della

pressione arteriosa polmonare sistolica stimata con l’elettrocardiogramma, che quando è maggiore di

40, 45 viene associato al cateterismo cardio destro per vedere se c’è e che tipo di ipertensione

polmonare.

Allora gli INDICI DI DISPNEA DI BORG, possono essere usati al posto delle classi NYHA, che anziché 4

vengono divisi in 10, in 12 punti, cioè 0 nessun disturbo, 0.5 molto molto leggero, fino ad arrivare a 10

molto molto severo, quindi la massima severità.

Invece per quanto riguarda la distanza di 6 minuti, già abbiamo detto prima, deve essere valutata la

frequenza cardiaca, la frequenza respiratoria, il grado di dispnea, la pressione arteriosa e la saturazione.

Poi come viene fatto questo test dei 6 minuti? Il corridoio deve essere lungo almeno 30 metri, con una

superficie piana, si possono marcare l’inizio e la fine del percorso con dei birilli o comunque con delle

strutture in modo che il paziente capisce che deve andare avanti e indietro e gli strumenti sono

chiaramente il cronometro perché bisogna vedere in quanti minuti, il contagiri quindi per vedere quanti

giri ha fatto all’andata e al ritorno, l’ossimetro e il pulsometro, lo sfingmomanometro e il defibrillatore,

perché durante questo percorso si può sentire anche male il paziente e quindi bisogna avere sempre il

defibrillatore.

Per quanto riguarda invece la spirometria: allora i fattori associati con la fibrosi polmonare progressiva

sono valutati con le prove di funzionalità respiratoria che sono alterate ci indica un difetto restrittivo,

quindi una riduzione dell’FVC già alla presentazione, mentre la valutazione della FVC e della DLCO

insieme in fase precoce è anche un fattore prognostico negativo per fibrosi progressiva, quindi se già lo

troviamo nella fase precoce già questo ci indica che la malattia ha una prognosi peggiore rispetto alle

altre forme.

(slide 44) questo è quello che si vede dal punto di vista della TAC. Allora qua c’è tutta fibrosi, questa qua

più periferiche sono le cosiddette aree a vetro smerigliato ( granulas), che sono un indice di alveolite, la

fibrosi è già una parte avanzata e la fibrosi dal punto di vista spirometrico si presenta con un FVC e un

DLCO basso e quindi la capacità totale respiratoria bassa, invece la presenza del granulas, quindi del

vetro smerigliato si valuta la spirometria ci indica una DLCO bassa perché a carico degli alveoli ci sta un

infiammazione quindi non attraversa, cioè questo gas non attraversa gli alveoli e quindi la DLCO si

riduce. E poi per valutare effettivamente l’infiammazione in questo caso si fa il BAL cioè si va a valutare

il liquido del lavaggio broncoalveolare, per vedere che tipo di alveolite c’è.

(slide 45) Per quanto riguarda lo scoring della TAC si fa con delle sezioni molto sottili perciò viene fatta

con alta risoluzione e si a valutare il ground-glass con uno score da 0 a 5 dove 0 non c’è opacità fino un

ground-glass meno del 5%, tra 5 e 25% fino a maggiore di 75%. E va valutato questo ground-glass a tre

livelli, a livello dell’arco aortico, a livello della carena e a un centimetro al di sotto del diaframma, quindi

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praticamente voi guardando poi la lastra vedete quali sono le slides che voi dovete andare a vedere e là

valutate la presenza di questo interessamento di vetro smerigliato.

(slide 46) Cosi come anche la fibrosi è lo stesso, anche qua c’è uno score, che va da 0 nessuna fibrosi fino

a più del 75% di interessamento del lobo e anche qua va a 3 livelli e quindi arco aortico, carena e un

centimetro al di sotto del diaframma.

Per quanto riguarda invece l’ipertensione polmonare possiamo avere due forma, l’ipertensione

polmonare secondaria a fibrosi quindi del polmone oppure l’interessamento polmonare primitiva da

vasculopatia che può essere lieve o severa.

Allora l’ipertensione polmonare associata a sclerosi sistemica ha una sopravvivenza molto molto bassa,

quindi nel momento in cui viene scoperta si ha una sopravvivenza di 2 o 3 anni. Qua (spiega slide

48)praticamente questa è una sclerosi sistemica dove non c’è nessun coinvolgimento degli organi

interni e la sopravvivenza arriva anche a più di 12 anni eccetera, qua invece c’è una fibrosi polmonare e

la sopravvivenza più o meno è qua (a 8 anni); qua invece c’è un ipertensione polmonare e la

sopravvivenza è a 5 anni non arriva a 6 anni dalla diagnosi di ipertensione polmonare.

Qual è l’approccio diagnostico nel caso in cui si sospetta l’interessamento cardio-vascolare e in

particolar modo dell’ipertensione polmonare? Questi già li abbiamo visti l’altra volta però li ripetiamo

velocemente. Innanzitutto l’anamnesi, quindi l’esame obiettivo e l’ECG. L’ECG che cosa ci dice? Che ci

sono dei reperti suggestivi di ipertensione polmonare e si fa l’ecocardiogramma e poi si va al cateterismo

cardiaco, generalmente non si passa mai dall'ECG al cateterismo cardiaco però se ci sono dei segni

suggestivi importanti per esempio una P polmonare molto molto alta allora già si fa il cateterismo

cardiaco, anche perché comunque un ecocardiogramma non si nega a nessuno. Dall’ecocardiogramma

si passa poi al cateterismo quando c’è una sPAP maggiore di 45 oppure un altro segno indiretto ma

comunque molto importante è alle prove di funzionalità respiratoria quando la DLCO isolatamente

(quindi solo la DLCO) è molto bassa minore di 55, perché generalmente viaggiano insieme l’FVC e la

DLCO, pero nei casi in cui la capacità forzata vitale, quindi l’FCV è normale, maggiore di 80 e abbiamo

una DLCO molto bassa allora quello già ci deve far insospettire che si può presentare un ipertensione

polmonare su base naturalmente vascolare in quel caso.

Questo invece è quello che vi dicevo il pro-BRP (slide 50) che correla con l’aumento della PAP media.

Come vengono fatti invece l’interessamento delle altre parti de cuore? Intanto il coinvolgimento può

essere anche a livello del miocardio, del pericardio e del sistema di conduzione. E quindi vedete come si

possono avere delle alterazioni elettrocardiografiche.

L’interessamento del miocardio spesso è asintomatico ed è associato a vascuolopatia coronarica, quindi

si possono avere dei vasospasmi proprio per la presenza del fenomeno di Reynoud come vi dicevo

prima, associato o no a lesioni coronariche intramurali. Chiaramente che cosa succede? Che questi

episodi ripetuti di ischemia e di riperfusione portano ad una fibrosi parcellare diffusa e quindi si ha una

disfunzione sisto-diastolica fino a un insufficienza cardiaca congestizia. Cioè allora all’inizio si ha una

disfunzione sisto/diastolica (perciò si va a valutare il rapporto E/A perche ci dice la disfunzione

diastolica, ) praticamente questa disfunzione è asintomatica, però col tempo, più questi fenomeni si

ripetono più si può andare a fibrosi parcellare e poi alla fine ad insufficienza cardiaca congestizia che si

spiega, cioè che all’inizio uno non se la spiega però poi andando a capire che si tratta della sclerosi si

capisce che ci sono stati tutti questi infarti, microinfarti che però sono asintomatici. Per quanto riguarda

invece il pericardio si può avere una pericardite cronica nella forma diffusa associata ad un insufficienza

renale e per quanto riguarda invece il tessuto di conduzione la fibrosi a questo livello può determinare

delle aritmie anche fatale quindi morte improvvisa.

Quali sono le analisi di PRIMO LIVELLO? Allora l’anamnesi sicuramente quindi la dispnea, quindi la

valutazione della classe NYHA, il cardiopalmo quindi si chiede ai pazienti se hanno questa sensazione se

il cuore va più veloce o se c’ha dei vuoti quindi se c’ha dell’extrasistole, se ha mai sofferto di sincope e se

ha il dolore toracico. Poi l’esame obiettivo per vedere chiaramente se ci sono soffi, per vedere se ci sono

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rinforzi del tono e cosi via, l’ECG vanno valutati sempre dei disturbi di conduzione, per vedere se ci sono

i blocchi di branca oppure se ci sono delle aritmie e importante è l’onda P. La radiografia del torace per

vedere il rapporto cardio toracico e per vedere se c’è un versamento pericardico.

Quelli di SECONDO LIVELLO sono, intanto l’ecocardiogramma anche in questo caso ripetiamo la frazione

di eiezione, la mobilità delle camere, la disfunzione diastolica con il rapporto E/A, il gradiente

tricuspidale e il versamento pericardico. Gli esami ematici invece in questa fase di secondo livello sono

il pro-BNP e la troponina I.

Poi sempre quelli di secondo livello sono l’ECG holter dinamico per vedere se ci sono delle extrasistole

ventricolari per vedere se ci sono blocchi atrio-ventricolari, per vedere se ci sono aritmie atriali e la

tachicardia ventricolare è molto importante perché come vi dicevo può portare a morte improvvisa.

ESAMI DI TERZO LIVELLO: il cateterismo cardiaco, quindi se noi vediamo delle alterazioni

elettrocardiografiche ed ecocardiografiche il paziente può essere sottoposto a cateterismo cardiaco che

ci dice se c’è un ipertensione polmonare, generalmente è la pressione polmonare media che va valutata,

quindi generalmente maggiore di 25mmHg a riposo, la pressione atriale destra e l’indice cardiaco: tutti

questi sono indici che poi ci dicono se l’ipertensione è dovuta alla fibrosi quindi pre-capillare o post-

capillare, perché nella pre-capillare noi abbiamo la speranza di trattare il paziente con dei farmaci di

ultima generazione quindi le anti-fosfodiesterasi e le anti-endotelina, se è post-capillare quindi dovuta

a una fibrosi è un po’ più difficile trattarli N.B. comunque anche se è un esame di terzo livello

rappresenta il gold standard per la valutazione della pressione arteriosa e polmonare.

Come esame di terzo livello dobbiamo esaminare anche la scintigrafia miocardica con dipiridamolo e la

risonanza magnetica per la valutazione della riserva coronarica.

L’esame di QUARTO LIVELLO è chiaramente la coronarografia che è un esame invasivo quindi è da

riservare solo per quelle forme più importanti e va fatta in quei pazienti con un alterata perfusione

miocardica o pazienti sintomatici per angina, quindi hanno vari episodi di angina e quindi episodi di

vasospasmi, di fibrosi eccetera eccetera.

5) Ora andiamo ALLA VALUTAZIONE DELL’ATTIVITÀ DI MALATTIA.

Come viene valutata l’attività di malattia, (che è importante per l’approccio terapeutico)?

Allora intanto facciamo un confronto tra le alterazioni dell’attività e le alterazioni del danno. Le

alterazione dell’ attività chiaramente ci determinano una vasocostrizione reversibile, invece il difetto

vascolare del danno ormai è fisso, quindi noi possiamo agire sulla parte reversibile, invece quando c’è il

danno ormai è difficile agire. La deposizione di fibrina che cosa determina? La presenza di aree

avascolari di capillari, nell’attività i depositi di fibrina possono essere ancora sciolti, invece nelle aree

avascolari la non c’è più niente da fare, quindi anche con dei vasodilatatori ormai i capillari è come se

fossero stati mangiati cioè non c’è più possibilità di riperfusione, a volte i tentativi di riperfusione si

traducono in una neoangiogenesi in capillari che non sono più funzionanti come prima. Poi come attività

c’è una fibrosi attuale, cioè che si sta per formare, invece nel danno c’è l’atrofia e quindi sull’atrofia non

si può fare più niente, difficile agire anche sulla fibrosi, però recentemente si stanno facendo delle

sperimentazioni con farmaci che agiscono proprio sulla fibrosi ad esempio l’imatinib o altri farmaci

sempre anticorpi monoclonali che venivano anche utilizzati nelle neoplasie, però si è visto che hanno

una buona funzione sulla fibrosi dovuta alla sclerosi. A livello polmonare l’alveolite è reversibile e quindi

ci dice che c’è un attività in quel momento invece il danno determina la fibrosi interstiziale dove è più

difficile agire se non con questi farmaci di ultima generazione. Sulle articolazioni l’attività è dovuta

all’artrite perché ci sta in quel momento un attività, la sinovite, il doppler positivo, invece come danno

c’è una deformità di flessione per cui è difficle agire se non chirurgicamente ma neanche perché il

termine delle articolazioni sono diventate fibrotiche e quindi è difficile agire, per cui delle accortezze

che si chiede al paziente con sclerosi è di fare sempre con delle palline anti-stress per tenere sempre in

movimento i tendini in modo tale che la fibrosi, questi ponti di fibrosi che si formano vengano spezzati .

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Poi l’ effusione serosale quindi la sierosite può essere, è un attività ed è ancora reversibile, invece la

fibrosi sierosale no quindi ci sono delle forma di pericardite cronica che poi accompagnano tutto il

decorso della malattia.

Per quanto riguarda alcuni parametri da valutare come segni prognostici negativi c’è sicuramente la

anti-topoisomerasi I, cioè più alto è il titolo dell’ anticorpo anti-topoisomerasi I più la malattia è severa

e più è attivia, quindi quello è un criterio da valutare sia come prognostico di severità e sia come

prognostico di attività.

Come si valuta l’attività? Si valuta valutando tutti questi items (slide 62), anche in questo caso viene fatto

uno score aritmetico, quindi una somma, quindi praticamente viene valutato lo skin score cosi come

abbiamo visto prima, ci da un punteggio, se il punteggio è maggiore di 14 allora lo score è 1, si va a

valutare lo scleredema (lo scleredema, è quando si ha un imbibizione dei tessuti, per cui voi vedete

queste mani un po’ a pagnottella diciamo, si chiamano paf hand o paf fingers e quello è uno scleredema

perché precede la sclerosi) e se è presente lo scleredema lo score è 0.5, poi il delta skin score, cioè che

cos’è il delta? Si chiede al paziente se nell’ultimo mesa ha notato una differenza, un peggioramento

dell’interessamento cutaneo, quindi se il mese precedente è stato meglio e quando fa la visita lui sente

questa cute che si è inspessita di più allora si da un punteggio di 2, poi la presenza di necrosi digitale per

vedere se ci sono delle ulcere, poi il delta vascolare, cioè si chiede al paziente se il fenomeno di Raynound

è peggiorato dall’ultimo mese, la presenza di artrite che è obiettiva (voi andate a vedere se questo c’ha

l’artrite), la riduzione della DLCO minore di 80 ci da un valore di 0.5, poi il delta cardio vascolare si

chiede al paziente se nell’ultimo mese ha avuto un peggioramento della dispnea, delle palpitazioni ecce

cc, poi la VES maggiore di 30 e l’ipocomplementemia. Quindi tutti questi elementi vanno sempre valutati

quando si visita il paziente nel follow-up perché ci dice quanto la malattia è attiva. Se questo score è

maggiore o uguale a 3 vuole dire che la malattia è attiva, sotto di 3 invece stiamo abbastanza tranquilli.

6) Ora invece andiamo A VALUTARE LA SEVERITÀ.

La severità anche in questo caso va fatto con una scala, qua però non si sommano, perché si valutano gli

organi di volta in volta. Allora si va a valutare: lo stato generale con peso e con l’emoglobina e quindi in

base alla perdita di peso minore del 5% o superiore al 20% si ha uno stato da 0,1,2,3 e 4, quindi sono 5

stadi, normale fino all’endstage. Per quanto riguarda invece il vascolare periferico si valuta il fenomeno

di Raynound se è presente, se vengono utilizzati i vasodilatatrori, se ci sono delle cicatrici, se ci sono

delle ulcere e lo stadio finale è la presenza di gangrene. Per lo score cutaneo va valutato il punteggio

della visita che può andare da 0 fino a superiore a 40 cioè nell’endstage. Per l’interessamento dei tendini

e delle articolazioni vanno valutati la distanza dito medio- palmo e chiaramente anche in flessione il

paziente non riesce a chiudere, allora si valuta la distanza e quella distanza ci dice quanto è severo

l’interessamento articolare fino a quel momento. Poi i muscoli, in questo caso si valuta secondo la forza

muscolare del paziente e però ci deve essere un interessamento dei muscoli prossimali, quindi dei

tricipidi, dei quadricipidi, quindi va valutato la forza dei muscoli prossimali. Poi l’interessamento

gastroenterico, in questo caso si va a valutare con l’RX col pasto baritato, quindi se c’è peristalsi o meno.

Nell’endstage c’è una iperalimentazione, nel gastro intestinale (nelle slide non è però riportato) c’è

anche un malassorbimento, quindi c’è l’interessamento anche del piccolo intestino. Per quanto riguarda

il polmone vanno valutata l’FVC e la DLCO quindi superiore di 80 è normale, minore di 80 poi si hanno i

vari stadi, fino all’endstage che è rappresentato dalla richiesta di ossigeno; poi va valutata la presenza

della fibrosi o meno, dal punto di vista sempre dell’RX torace e poi la PAPs se è minore di 35 ok, ma da

35 in poi già ci dice che c’è una severità. Per quanto riguarda il cuore la severità viene valutata con l’ECG

e con la frazione di eiezione che deve essere superiore a 50 nei soggetti normali e infine l’interessamento

renale che viene valutata con la crisi renale se c’è stata o non c’è stata e dal valore della creatinina nei

pazienti in cui c’è stato l’interessamento renale e in questo caso si fa la dialisi nella fase tardiva.

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Per quanto riguarda questo caso fattori prognostici indicativi sono la presenza di proteinuria, l’elevato

valore della VES e il basso valore della DLCO, quindi se ci sono tutti e tre questi elementi la sopravvivenza

è molto molto bassa.

7) Poi LA VALUTAZIONE DELLE CAPACITÀ FUNZIONALI E DELLA QUALITÀ DELLA VITA.

Allora come viene fatto? Viene fatto con un QUESTIONARIO HSQ che già abbiamo visto con l’artrite

reumatoide che è un questionario che si autosomministra al paziente, vengono valutate queste otto scale

(slide 68), se riesce o non a fare varie attività quotidiane, dal quale esce poi un numero che si divide per

8. Poi può essere fatto lo scleroderma HAQ , lo scleroderma functional score e l’SF-36.

Allora HAQ presenta 8 domini, quindi ci dice, si chiede al paziente se è capace di vestirsi da solo

o con difficoltà, con poca difficoltà e cosi via; alzarsi da una sedia;mangiare;camminare; l’igiene

personale; raggiungere gli oggetti; afferrare le cose e le attività varie come la pulizia della casa,

il giardinaggio e cosi via. L’indice può andare da 0 a 3, chiaramente più alto è più il paziente è

disabile.

Invece lo scleroderma HAQ praticamente si vedono le stesse cose però su una scala, su una VAS.

L’SF36 invece è un questionario un po’ più lungo che ci da informazioni sia sull’attività, sia sulle

caratteristiche fisiche e funzionali, sia sullo stato mentale, quindi c’è ISF che è funzional quindi

fisico sia l’ISM per lo stato mentale e questi vengono valutati in base poi alle varie attività sempre

del paziente.

Questa è una diapositiva (slide 71) dove c’è una tabella dove ci sono le varie considerazioni da fare di

fronte un paziente con sclerosi sistemica. Allora vanno valutate:

le misure sistemiche, quindi secondo le scale che abbiamo visto prima,

la cute va valutata con lo skin score secondo Rodnan,

il cardiopolmonare la capacità vitale forzata, il cateterismo quando ne abbiamo bisogno, l’esame

clinico nella malattia congestizia cardiaca;

quello vascolare va fatto con lo score delle condizioni del fenomeno di Raynaud che abbiamo

visto, con l’attività del fenomeno di Raynaud secondo il paziente e secondo il medico, con la

frequenza del fenomeno di Raynaud, con la durata del fenomeno di Raynaud, con l’attività delle

ulcere digitali e con la conta delle ulcere digitali da parte del medico, quindi voi dovete contare

anche quante ulcere ha durante la visita;

quelli renale va valutato con la pressione arteriosa e con il dosaggio di creatinina e

quello funzionale va valutato con HAQ che ci dice la disabilità del paziente.

DA SLIDE 72 A 74: RIASSUNTO DA SAPERE ALL’ESAME

DICE:[Per quanto riguarda, vabbe questo è il core set degli items che dobbiamo fare ma questo già

l’abbiamo visti tutti quanti, li ho raccolti qua in modo che, voi queste cose qua vi dovete studiare anche

se non usate il libro, cioè qua è racchiuso proprio tutto della malattia, quindi quello polmonare, quello

renale, quello gastrointestinale e l’attività.

N.B: Quello gastrointestinale è importante anche il BMI che prima non vi ho detto perché praticamente

questi pazienti quando c’hanno il malassorbimento dimagriscono.

Poi quello della salute globale, il fenomeno di Raynound, le ulcere digitali e i biomarkers, soprattutto la

VES e la PCR, la VES che abbiamo detto rientra nei criteri di attività.]

Per quanto riguarda invece i PRESIDI TERAPEUTICI. Allora per quanto riguarda l’interessamento

vascolare, quindi in presenza di fenomeno di Raynound bisogna dare al paziente basse dosi di

cardioaspirina che è un antiaggregante piastrinico e quindi riduce la formazione di trombi; i

calciantagonisti che sono dei vasodilatatori periferici e quindi ci favoriscono una riperfusione cutanea,

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poi in quelli che non rispondono ai calcioantagonisti quindi nonostante i calcioantagonisti il fenomeno

di Raynound è sempre presente oppure si ha la formazione di ulcere, si danno i prostanoidi, gli

antiendotelina e la terapia chirurgica. Per quanto riguarda la cute, questo approccio è un po’ vecchio con

il metatrexate, non sempre rispondono al metatrexate, nelle fasi di attività della malattia si usa la

ciclofosfamide che va bene non solo sull’attività del polmone quindi sulla alveolite ma anche sulla cute,

quindi sulla fibrosi cutanea. Per quanto riguarda le articolazioni si danno basse dosi di glucocorticoidi e

la terapia fisiche che vi ho detto prima, però anche in questi casi di fronte ad artriti non responsive con

i glucocorticoidi solamente si aggiungono immunosoppressori che può essere il metatrexate,

l’idrossiglutinina e cosi via. Per quanto riguarda il tratto gastro-enterico già vi ho detto che la prima cosa

è dare inibitori di pompa, come prevenzione poi dare il domperidone per favorire il transito esofageo,

poi dare antibiotici per l’overgrowth batterico, quindi per il malassorbimento, la nutrizione parenterale

per le fasi tardive e la chirurgia quindi l’esofagoplastica, quando l’esofago diventa rigido.

Per quanto riguarda il polmone allora in corso di alveolite la ciclofosfamide, in corso di ipertensione

polmonare pre-capillare gli antagonisti del recettore per l’endotelina I, inibitore delle fosfodiesterasi e

le prostacicline; in entrambi se c’è sia l’alveolite che l’ipertensione polmonare nelle fasi tardive

l’ossigeno-terapia e il trapianto. Per quanto riguarda il cuore nel corso di blocchi atrio ventricolare si

installa il pacemaker e poi anti-aritmici, ACE-inibitori, angiotensina II ecc. Gli anti-aritmici e i beta-

bloccanti in particolare potrebbero essere anche evitati, perché i betabloccanti determinano

vasocostrizione a livello periferico per cui vanno a peggiorare il fenomeno di Raynaud. Poi abbiamo il

rene per il quale vengono utilizzati gli ACE-inibitori per la prevenzione per la crisi renale sclerodermica

ma comunque in corso di crisi renale sclerodermica vengono dati gli ACE inibitori ad alti dosaggi e poi

nella fase più tardiva la dialisi.

Per quanto riguarda gli immunosoppressori che vengono utilizzati per la sclerosi sistemica sono la

ciclofosfamide in primis e il micofenolato mofetile che sono opzioni soprattutto per la sclerosi cutanea

diffusa in fase precoce, quindi più che il metotrexate vengono utilizzati questi qua.

E infine il trapianto del midollo autologo, viene usato raramente però effettivamente viene utilizzato.

Ora vi voglio far vedere invece delle immagini un po più approfondite per la parte vascolare che è quella

che poi voi incontrerete di più. Apre l’altro pacchetto di slide

IL TRATTAMENTO DELLE ULCERE CUTANEE SCLERODERMICHE

Le ulcere possono essere di vario tipo, cioè voi potete incontrare pazienti con le ulcere non solo per la

sclerosi e per il fenomeno di Raynound ma anche per altre malattie, per esempio le ulcere diabetiche

ed altri tipi di ulcere. Comunque per quanto riguarda più specificamente la forma della sclerosi

possono essere più o meno estese quindi che vanno da un piccolo punto ad un vero e proprio

interessamento di tutto il corpo o anche le ulcere vasculitiche; sono spesso multiple, hanno una

localizzazione periferica, hanno un andamento cronico e sono molto dolorose. Allora qual è la

caratteristica di queste ulcere? Che sono di difficile guarigione, infatti possono portare alla gangrena,

all’osteomelite e persino all’amputazione e incidono molto sulla qualità della vita.

Allora perché si hanno queste ulcere? Perché si ha una iperplasia dell’intima, una fibrosi

dell’avventizia ed un restringimento del lume. Quello che vi ho fatto vedere prima eccola qua (slide 3),

c’è un lume piccolo piccolo piccolo. E questo può determinare a carico del rene una crisi renale, che vi

ripeto è la peggiore complicanza della sclerosi sistemica diffusa in fase precoce, perché la troviamo

soprattutto in pazienti nella fase precoce della forma diffusa che fanno uso per esempio di anti-

infiammatori, che determinano costrizione dell’arteriola afferente renale; poi possono determinare

l’ipertensione arteriosa polmonare pre-capillare, perché si ha un restringimento del lume capillare e

poi l’arteriopatia digitale. Quindi questa vasculopatia si traduce in vari organi in modi diversi.

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Per quanto riguarda l’ETIOPATOGENESI di queste ulcere, (sono tutte ulcere che si trovano nei pazienti

con sclerosi: si riferisce alle immagini della slide 4): alterazioni del microcircolo, alterazioni della

risposta immune, un danno ischemico, danno neurologico periferico, assunzione di farmaci, fibrosi

della cute che portano a microtraumi ripetuti. Comunque il momento etiopatogenico cruciale della

lesione cutanea è dovuto proprio all’anossia, cioè praticamente alla mancanza di ossigeno che fa

esplodere la lesione. (slide 4) questo è un dito, perché questa è l’unghia, questa è un ulcera di un

polpastrello e la maggior parte dei pazienti presentano queste ulcere così che purtroppo sono

veramente difficili da trattare, sono molto molto dolenti.

Allora i FATTORI SCATENANTI possono essere genetici, tossici e infettivi, sicuramente il fenomeno di

Raynound ed una microangiopatia diffusa che determina l’ischemia, la necrosi, questa a sua volta può

determinare l’invasione batterica, quindi si ha un infezione locale e poi di fronte a traumi ripetuti può

ancora peggiorare questa ulcera e poi si ha l’infiammazione e quindi è un circolo vizioso, che gira, cioè

ognuna di questi fattori fa peggiorare l’ulcera.

Allora che cosa è importante per le ulcere? È importante classificarle, perché ci permette di pianificare

l’intervento farmacologico.Lle ulcere ischemiche sono diverse dalle ulcere vasculitiche e quindi intanto

un approccio di terapia locale importantissimo è una pulizia ed una terapia locale soprattutto

basandosi sui principi fisiologici della rigenerazione cutanea, quindi questi vanno fatti sempre.

Poi bisogna valutare la localizzazione dell’ulcera, la profondità dell’ulcera e la severità dell’ulcera.

Quindi possiamo avere ulcere digitali, quindi queste qua sulle estremità dei polpastrelli oppure ulcere

agli arti inferiori e poi ulcere correlate a zone a maggior trazione e poi ulcere associate a calcinosi, che

sono diverse dalle ulcere dei polpastrelli.

(slide 10) queste qua sono ulcere digitali ai polpastrelli, vedete che vanno da questa qua che è proprio

alla punta fino a questo qua dove tutta la falange non c’è più.

(slide 11) poi ulcere subungueali o periungueali.

(slide 12) il pitting scars : perdita di sostanza ma non è un ulcera, però è come se fosse una pre-ulcera,

è questa piccola lesione che si ha a livello del polpastrello.

(slide 13) queste invece sono le ulcere cutanee agli arti inferiori. Questa sul tallone, questa a livello del

malleolo.

(slide 14) le ulcere cutanee qua associate alla maggior zone di trazione, ad esempio quelle

metacarpofalangee, sull’olecrano, padiglione auriculare.

(slide 15) le ulcere associate alla calcinosi, vedete queste sono tutte calcinosi, che poi si rompono ed

esce questo materiale.

(slide 15) la profondità è importante, vedete allora questa qua è la superficiale perché prende solo

l’epidermide, quindi il derma e il sottocutaneo non vengono interessati invece quelle in profondità può

essere interessato l’osso addirittura, per questo potrebbe dare un osteomelite, quindi è davvero molto

difficile da trattare.

(slide 17) poi questa è superficiale, questa è intermedia, questa è profonda.

Allora come vengono trattate? Le ulcere essendo di difficile trattamento necessitano di un trattamento

multidisciplinare, quindi deve intervenire il chirurgo vascolare, il microbiologo per vedere se è infetta,

il nutrizionista, l’infermiere, la terapia occupazionale, il fisioterapista anche lo psicologo chiaramente e

il reumatologo che sta nella parte centrale, ma quello che è importante da valutare anche i parenti del

paziente che ha queste ulcere.

Come viene fatto il trattamento delle ulcere? Praticamente intanto una diagnosi precoce della sclerosi

sistemica ci consente di determinare anche una fase precoce di formazione delle ulcere e la

prevenzione quindi è la prima cosa. Come si fa la prevenzione? Si deve dire al paziente di proteggersi

dal freddo e ci sono dei panetti di calli che si mettono nelle mani oppure si indossano questi guanti che

emanano calore e quindi il paziente non va incontro a questi sbalzi di temperatura che sono alla base,

cioè l’alterazione microvascolare è proprio alla base della formazione di queste ulcere, poi quindi

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l’utilizzo degli scaldini pensati per emanare calore, poi misure generali non farmacologiche, la

sospensione del fumo di sigaretta chiaramente perché il fumo di sigaretta determina una

vasocostrizione perché ci sono gli antiossidanti che peggiorano l’ulcera; evitare l’assunzione di farmaci

vasocostrittori; utilizzare sempre creme idratanti sulle mani, quindi con vitamina E, germe di grano e

cosi via. Per quanto riguarda invece la terapia, i calcio-anatgonisti sono la prima cosa, la nifedipina

soprattutto a lento rilascio quindi generalmente si da durante la notte. Ci sono poi altri tipi di calcio-

antagonisti però per esempio in caso di edema alle caviglie che è uno degli effetti collaterali della

nifedipina si può sostituire per esempio con la amlodipina, insomma poi si valuta sia il dosaggio che il

cambiamento con altri farmaci. Poi con il diltiazem oppure con il verapamile, sempre preferibile quello

a lento rilascio però. Allora i calcio-anatgonisti sono la nifedipina per os data ad un dosaggio, qua sta

scritto da 30 a 60 però nei pazienti che non tollerano, perché hanno una riduzione della pressione

anche 20 mg può andare bene, soprattutto nei periodi estivi, ed è il farmaco di prima linea per la

riduzione della frequenza e della severità degli attacchi ischemici digitali.

Come agiscono questi calcio-antagonisti? Agiscono proprio sulle cellule muscolari lisce dei vasi

inducendo vasodilatazione, attivano l’inibizione piastrinica e possono ridurre lo stress ossidativo,

quindi perciò insomma hanno dei valori veramente notevoli in queste forme di ulcere, diciamo come

prevenzione delle ulcere.

Poi un'altra categoria di farmaci molto importanti sono gli anti endotelina 1, che sono degli

antagonisti dei recettori dell’endotelina 1 che si lega ai recettori ETa ed ETb che sono espressi sulle

cellule endoteliali: l’ET1 è un potente vasocostrittore profibrotico con effetto sul rimodellamento

vascolare, quindi essendo un vasocostrittore questo antagonista del recettore lo blocca e quindi non si

ha più questa vasocostrizione. L’antiendotelina 1 per eccellenza è il BOSENTAN, che è un farmaco che

viene utilizzato già da molti anni in questi pazienti soprattutto nella prevenzione delle ulcere. (slide

28) questo è tutto il meccanismo però ve l ‘ho riassunto inbreve (non specifica se occorre saperlo o

mneo!). Per quanto riguarda il dosaggio il bosentan viene dato per os inizialmente nelle prime quattro

settimane, quindi per un mese, a un dosaggio di 62,5 per due volte al giorno, quindi 125 in totale per 4

settimane per vedere la tollerabilità da parte del paziente di questo farmaco; dopo un mese se è ben

tollerato si passa al doppio del dosaggio, quindi 125 per 2. Quali sono le controindicazioni a questo

farmaco? Allora ipersensibilità al bosentan chiaramente come tutti i farmaci che vengono utilizzati,

bisogna stare attenti ai pazienti che hanno un alterata funzionalità epatica da moderata a grave,

bisogna stare attenti all’aumento delle transaminasi perché questo farmaco è epato-tossico, quindi se

le transaminasi sono 3 volte superiori ai valori normali va completamente sospeso, se superano 2 volte

invece può essere ridotto e poi monitorato, va evitato in gravidanza, quindi non può essere utilizzato

in gravidanza e con la ciclosporina devono stare attenti perché entrambi vanno a bloccare il citocromo

P450 e quindi l’uno aumenta il dosaggio dell’altro.

Abbiamo detto la prevenzione, invece qual è il TRATTAMENTO? Il trattamento di fronte a delle ulcere

particolari, (slide 32) bisogna, intanto per l’elevato rischio di perdere il dito, valutare un eventuale

ospedalizzazione, poi il trattamento con iloprost endovena, che viene fatto con delle pompe perché

viene fatto ad un dosaggio molto basso perché è un potente vasodilatatore, può portare effetti

collaterali gravi come ipotensione e cosi via, poi chiaramente bisogna effettuare delle medicazioni

locali, eventuale terapia antibiotica, terapia del dolore e la valutazione di altre possibili concomitanti

cause di ischemia, quindi malattie dei grossi vasi, vasculite e trombosi. Quindi vanno escluse altri tipi

di patologie che posso determinare la formazione di questo tipo di ulcere.

Il trattamento in fase attiva viene fatto o con terapia sistemica e con il trattamento topico.

La terapia sistemica viene fatto innanzitutto per promuovere la vasodilatazione, inibire la

vasocostrizione, inibire l’aggregazione piastrinica e i fenomeni di coagulazione del sangue e ridurre il

danno endoteliale.

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I prostanoidi l’abbiamo detto prima sono dei potenti vasodilatatori, inibiscono l’aggregazione

piastrinica, quindi agiscono sulle piastrine, poi possono avere effetto anche sul rimodellamento

vascolare, sopprimono le citochine profibrotiche e inibiscono i livelli circolanti di molecole di adesione,

quindi hanno veramente un grande valore, quindi nelle forme attive si preferisce sempre fare i

prostanoidi. I prostanoidi per eccellenza è l’ILOPROST che viene fatto 0.5-2 ng/kg al minuto, un

infusione che dura 6 ore e ogni ora va aumentato il dosaggio, quindi si parte da un dosaggio minimo

per raggiungere poi il massimo che è 2 ng/kg al minuto. E questo viene fatto per 6 giorni ogni 6

settimane, quindi 6 giorni consecutivi ogni 6 settimane. Poi bisogna fare attenzione quando si

associano i calcio-antagonisti perché già è un potente vasodilatatore, poi associando anche il calcio

antagonista aumenta ancora di più il rischio ipotensivo quindi nei giorni in cui viene fatto il

prostanoide, il calcio antagonista va sospeso appunto per evitare effetti collaterali. Poi l’iloprost

diminuisce il numero di ulcere e ne facilita la guarigione.

Quali sono le controindicazioni? La gravidanza e l’allattamento, l’ipersensibilità all’iloprost, le

condizioni nella quali gli effetti dell’iloprost sulle piastrine possono aumentare il rischio emorragico,

per esempio in corso di ulcera peptica in fase attiva, la presenza di traumi, l’emorragia intracranica;

poi le coronopatie gravi e le angina instabile, va evitato in questi pazienti perché la vasodilatazione

improvvisa anche a livello cardiaco può portare a degli infarti; l’infarto miocardico nei mesi

precedenti, se il paziente ha avuto infarto o scompenso cardiaco, nelle aritmie e nel sospetto di

congestione polmonare, quindi va evitata assolutamente nei pazienti cardiopatici.

Questo è il SILDENAFIL che è un anti-fosfodiesterasi e questo anche agisce praticamente riducendo il

calcio intracellulare, e quindi rilassamento e dilatazione delle cellule muscolari lisce dei vasi. Questo

anche è un potente vasodilatatore che viene utilizzato nelle ulcere quando l’iloprost non è efficace.

Per quanto riguarda gli anti-trombotici, va fatta l’aspirina ma questo va fatto in tutti i pazienti con

malattie autoimmunitarie, quindi lupus, sclerosi, connettiviti, la cardioaspirina va fatta sempre, negli

altri va data sempre in associazione ad altri fattori di rischio, per esempio il fumo, familiarità per

malattie cardiovascolari, ipertensione ecc eccetera. Poi l’eparina anche è importante, a volte viene

suggerito proprio di fare eparina a basso peso molecolare soprattutto quando appunto ci sono le

ulcere.

Poi il trattamento topico come viene fatto? Viene fatto intanto con la preparazione del letto della ferita

con questo pseudonimo TIME, cioè trattamento del tessuto necrotico, infezione e infiammazione,

macerazione del bilancio del fluidi, epidermide quindi progressione del bordo. Allora la presenza di

tessuto necrotico ostacola la guarigione e quindi impedisce anche la valutazione delle dimensioni

dell’ulcera, della profondità, del focolaio di infezione, quindi la prima cosa è il Debridement, quindi la

pulizia, di togliere tutti gli accumuli di fibrina e di necrosi intorno all’ulcera quindi la pulizia

dell’ulcera. E questo può essere fatto con delle sostanze autolitiche dal punto di vista chimico,

meccanico o anche chirurgico. Naturalmente questa pulizia va a eliminare tutto il tessuto necrotico o

infetto con l’essudato, stimola la proliferazione dei margini dell’ulcera, è l’unico metodo per eliminare i

biofilm e la carica cellulare. Poi l’infezione. L’infezione ostacola la guarigione della ferita e porta a una

risposta infiammatoria massiccia con l’aumento di citochine e di attività proteasica unita alla ridotta

attività dei fattori di crescita che contribuisce al danneggiamento dell’organismo ospite. Quindi

bisogna andare a valutare l’eritema, l’essudato, la cellulite, l’osteomielite; dopo dato l’antibiotico poi va

fatta la terapia mirata con l’antibiogramma naturalmente. La macerazione, praticamente la

disidratazione rallenta la migrazione delle cellule epiteliali; l’eccesso di essudato causa la macerazione

dei margini della ferita e promuove un ambiente chimico ostile quindi per la produzione dei fattori di

crescita e quindi facilita le infezioni. Come va fatta, contrastata la macerazione? Bisogna mantenere

l’ambiente umido che rallenta e non aumenta le infezioni, perché l’ulcera deve essere asciutta, invece

no perché comunque bisogna promuovere i processi di umidificazione dell’ulcera e poi invece il

contatto con l’essudato favorisce poi la riepitelizzazione. L’epitelizzazione, la marcata risposta agli

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stimoli dei fattori di crescita condiziona un arresto della proliferazione e della migrazione dei

cheratinociti perilesionali con conseguente mancata chiusura della lesione. Quindi medicazioni e

presidi che facilitano la progressione dei margini, quindi bisogna andare a valutare sempre non solo

l’ulcera all’interno ma proprio tutti i margini della ferita, dell’ulcera. Insomma segue la cecklist del

time, se si è proceduto al debridement, se la ferita è infetta o no ecc. E poi quali sono le medicazioni da

utilizzare? Soprattutto le medicazioni avanzate come la bioingegneria staminali e fattori di crescita,

perché soprattutto per le ulcere profonde c’è bisogno per forza dei fattori di crescita . Allora le

medicazioni come devono essere? Mantenere un ambiente umido costante, consentire uno scambio

selettivo di gas, fornire un isolamento termico, impermeabilità ai microrganismi quindi bisogna

impedire che gli organismi possano infettarla, assenza di particelle contaminanti, adesività selettiva e

la semplicità d’uso. Alcune di queste ( ve le accenno solamente non è che le dovete sapere) però ci sta

la cellulosa biosintetizzata, il foglio di cute, l’acido ialuronico, il bilanciatore di matrice sono tutti dei

cerotti insomma che si possono applicare a queste ulcere, soprattutto i fattori di crescita sono molto

importanti perché appunto sono delle glicoproteine capaci di stimolare e inibire la proliferazione e la

differenziazione e la sopravvivenza cellulare. Tra i fattori di crescita c’è il gel piastrinico che viene

utilizzato, l’EPO per esempio, il GSF sono tutti utilizzati in molti tipi di ulcere non solo in questa qua

della sclerosi chiaramente.

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Cuomo – Lezione 6 (21-03-17) – Spondiloentesoartriti

Sbobinatore: Irene Ruotolo

Coordinatore: Piera Senneca

SPONDILOENTESOARTRITI

L’argomento di oggi sono le spondiliti o spondiloentesoartriti, perché oltre a prendere le articolazioni

prendono anche le entèsi, i tendini e tutte le strutture extra-articolari. Che cosa sono le spondiloartriti?

Sono una famiglia di malattie che sono associate da vari elementi. Intanto, sono suddivise in quattro

gruppi:

- Spondilite Anchilosante

- Artriti Enteropatiche

- Artrite Psoriasica

- Artriti Reattive

Queste quattro forme di artriti:

• possono avere un interessamento assiale

• devono avere [05:15] assenza del fattore reumatoide

• hanno un’aggregazione familiare

• possono interessare il rachide, le articolazioni sacroiliache e le entesi.

DEFINIZIONE Le spondiloartriti o entesoartriti sono un gruppo di patologie infiammatorie articolari, correlate per la condivisione di quadri anatomo-patologici, clinici, sierologici e radiologici e per una peculiare familiarità (legata al sistema maggiore di istocompatibilità, l’HLA) e il cui aspetto caratterizzante è l’entesite, ossia l’infiammazione delle entèsi, che rappresentano le inserzioni tra il tendine e l’osso e poi l’interessamento anche delle inserzioni fibrose e fibrocartilaginee. Che cos’è l’entesi? L’entesi è questa struttura che vedete qua [Slide n°4], che praticamente lega la parte finale del tendine con l’osso. Quindi per entesi si intende il punto di inserzione ossea di legamenti, tendini e altre componenti fibrocartilaginee dell’apparato locomotore. Quindi è la parte finale di queste strutture che si lega all’osso. In effetti, l’entesi rappresenta un complesso di transizione altamente specializzato. Infatti, vi sono diverse fibre collagene che vengono rivestite da tessuto fibrocartilagineo e poi, avvicinandosi all’osso, vanno incontro ad una calcificazione che poi sfuma nel tessuto osseo. Quindi è proprio una transizione e questo punto, quando si infiamma, diventa molto dolente ed è caratteristico proprio di queste forme di artriti. Il processo infiammatorio dove inizia? Intanto, generalmente è un processo cronico che avviene a livello delle entesi e avviene anche a livello delle strutture legamentose iuxta-articolari, della membrana sinoviale, della cartilagine articolare e dell’osso subcondrale. Nella sede dell’infezione iniziano ad evidenziarsi degli infiltrati di linfociti. Quindi, il primo movens è proprio quest’infiltrato di linfociti, di plasmacellule e di polimorfonucleati (tutte cellule che poi producono le citochine per l’infiammazione) e lo spazio circostante l’entesi è caratterizzato da fenomeni edematosi [Slide n°5]. Per esempio, nell’entesite Achillea trovate questa sorta di rigonfiamento proprio alla fine del calcagno, che sta ad indicare appunto la presenza di tessuto edematoso, ma soprattutto l’infiammazione dell’entesi. Qua si vede ancora meglio [Slide n°6]: vedete questo è tutto l’infiltrato plasmacellulare e linfocitario che inizia il processo infiammatorio. Oltre a questo processo infiammatorio e alla parte edematosa, vi è poi una neoapposizione ossea periostale. Quindi, l’osso comincia a muoversi e vi è una neoapposizione ossea. Quindi, si forma tessuto osseo in più che va a inglobare l’entesi e poi, oltre all’infiammazione, anche il riassorbimento osseo subcondrale, per cui a quel livello si possono formare anche delle erosioni.

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Radiograficamente troviamo questo [Slide n°7].

Questo è uno sperone calcaneare, però questa è l’entesite, una forma di entesite, perché che cosa è

successo là? La fascia plantare, che si lega alla parte sottostante del calcagno, si infiamma o meglio,

l’entesi che lega questa fascia plantare si infiamma: inizia il processo infiammatorio, inizia la

neoapposizione ossea e questo è il risultato. Chiaramente non è che tutti quelli che hanno lo sperone

calcaneare hanno la spondiloartrite, perché a volte lo sperone si può presentare anche nell’artrosi, per

esempio, o comunque senza una genesi particolare. Quando, però, è a pianta larga generalmente è

dovuto ad una spondiloartrite; quando, invece, è più a cuneo, è più un fatto di artrosi. Quindi

quando è a pianta larga, è una spondiloartrite.

Poi si possono formare anche qua i cambiamenti dell’entesi: si formano delle apposizioni ossee, anche

a livello vertebrale, per esempio, che poi vedremo.

Ecco questa è l’entesite achillea che vi dicevo prima: si forma proprio questo rigonfiamento.

Allora ricapitolando, l’entesite porta fibrosi, ossificazione, distruzione ossea e instabilità:

• l’infiltrato di mononucleati nel connettivo lasso con alterazioni necrotiche fibrillari e difetti

erosivi della corticale

• fibrosi da metaplasia cartilaginea e proliferazione di tessuto osseo

• erosione e neoformazione sul versante osseo.

Quindi, si formano questi entesofiti, che sono proprio la formazione dell’osso che ha inglobato l’entesi.

PATOGENESI [Slide n°9]

La patogenesi è multifattoriale chiaramente, un po’ come tutte le patologie autoimmunitarie. Vi è

sempre una predisposizione genetica, quindi alla base vi è sempre un campo genetico e, accanto al

campo genetico, ci sono l’ambiente, gli alimenti e i microorganismi. Succede che questi elementi vanno

a stimolare un sistema immune che può colpire l’apparato uro-genitale, che può colpire la cute,

l’apparato respiratorio, l’intestino, l’occhio e le articolazioni.

Praticamente viene attivato il sistema autoimmunitario e poi l’alterazione va da un lato piuttosto che

un altro e quindi può colpire solo il gastrointestinale con le malattie infiammatorie croniche oppure

può prendere l’occhio con l’ureite o le articolazioni con le spondiloartriti, però possono coesistere

anche nell’interessamento di più organi.

Quindi che cosa succede? La predisposizione genetica, che generalmente riguarda l’HLA-B27

soprattutto per la presenza di sacroileite e di spondilite anchilosante perché lo troviamo come

prevalenza maggiore, nelle altre un po’ di meno …. succede che in soggetti predisposti geneticamente

agiscono agenti infettivi o altre noxae che possono essere gli alimenti, i fattori ambientali e così via.

Questo determina un’infiammazione che comporta un aumento della permeabilità e quindi un

passaggio delle IgA, quindi un aumento dei macrofagi e dei linfociti B e T, che determinano un

richiamo di cellule che a livello intestinale vanno a formare le malattie infiammatorie croniche. Inoltre,

tutto questo può comportare anche un aumento degli immunocomplessi circolanti e anche un

aumento del materiale necrotico. E allora quali sono le vie che possono prendere? Da una parte

sinovite con l’entesite, dall’altra l’ureite anteriore acuta oppure la forma cutanea, ossia eritema

nodoso, psoriasi, eczema erpetiforme e pioderma gangrenoso e poi la parte intestinale che abbiamo

già detto.

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Quindi, detta la patogenesi, ora andiamo a vedere in ordine le varie spondiloartriti. [Slide n°11]

La Spondilite Anchilosante generalmente ha un interessamento del rachide, cioè praticamente la

diagnosi si fa se vi è una sacroileite bilaterale evidenziata radiograficamente. Quindi, l’interessamento

non è esclusivamente rachidèo, però deve esserci nel 100% dei casi l’interessamento del rachide, ma ci

possono essere anche delle forme in cui vi è un interessamento periferico.

L’Artrite Psoriasica ha varie forme e può prendere sia solo i segmenti assiali sia essere solo periferica

e poi vi è la forma mutilante, che poi vediamo, ma la cosa caratteristica è la psoriasi cutanea e/o

ungueale, anche se esiste un’artrite psoriasica sine psoriasi, cioè pazienti che non hanno la psoriasi, ma

hanno comunque una familiarità per psoriasi.

L’Artrite Infetta Reattiva che noi abbiamo già visto nella lezione precedente e che generalmente

segue un’infezione intestinale e/o uro-genitale.

Infine, l’Artrite Enteropatica, rappresentata dalla coesistenza di una malattia infiammatoria cronica.

I criteri per fare diagnosi di spondiloartrite sono datati 1992 e sono dell’European

Spondyloarthropathy Study Group [Slide n°12].

Ci sono criteri maggiori e criteri minori.

I criteri maggiori sono:

- il dolore infiammatorio vertebrale cronico da almeno 6 settimane [successivamente però si corregge

dicendo che sono 12 settimane, ovvero 3 mesi]

- l’artrite asimmetrica, cioè con prevalenza agli arti inferiori.

I criteri minori sono:

- il dolore lombosacrale alternato, quindi prima da un lato e poi dall’altro

- la familiarità per una delle spondiloartriti, quindi se il paziente ha un parente con un’artrite

psoriasica piuttosto che artrite reattiva e così via

- la presenza di entesite

- la presenza di sacroileite

- la presenza di enterite

- la presenza, anche in anamnesi, di uretrite non gonococcica

- la psoriasi.

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CLINICA

[Slide n°13] Per quanto riguarda la lombalgia infiammatoria (ho detto 6 settimane, ma sono 12

settimane, perché sono 3 mesi), l’esordio generalmente è insidioso ed è presente a riposo (perché tutti

i dolori infiammatori sono presenti a riposo, solo quelli meccanici sono presenti dopo movimento),

persistenza da almeno 3 mesi quindi 12 settimane, associazione con la rigidità mattutina

(generalmente superiore a mezz’ora/1 ora), miglioramento con l’esercizio. Il dolore viene descritto

come un dolore profondo che, però, non è ben definito, cioè il paziente non riesce a dire precisamente

qual è il punto che gli fa male, però generalmente è localizzato in regione pre-sacrale e alle natiche e si

può anche estendere fino al cavo popliteo (tant’è vero che si chiama “sciatica mozza”) e ha un

andamento alternante, quindi prima da un lato, poi dall’altro (si dice basculante). Quindi, un dolore

lombare che si irradia fino al poplite di tipo basculante e sciatica mozza. Quindi, questo è il tipico

quadro infiammatorio della sacroileite e anche del tratto lombare, perché chiaramente vi è una rigidità

anche del rachide.

Si può avere anche una toracoalgia [Slide n°14], cioè un dolore a livello del torace, a livello dorsale e a

livello del torace anteriore, che si accentua con la tosse e con gli starnuti. Questo è dovuto

all’interessamento dell’entesi costo-vertebrali, costo-trasversarie, manubrio-sternale, costo-sternali,

sterno-claveari e del tratto dorsale. È chiaro, perché la fibrocartilagine che c’è può andare incontro a

processi infiammatori e quindi a dolore toracico.

Poi può presentarsi la dattilite. [Slide n°15]

Questo è più frequente nella psoriasi, perchè la dattilite è proprio tipica della psoriasi (il cosiddetto

“dito a salsicciotto”), anche se nelle forme periferiche di spondilite anchilosante lo possiamo

ritrovare. Quindi vi sono delle caratteristiche che troviamo in tutte le malattie, però alcune sono

prevalenti in una, altre sono prevalenti in altre patologie. Quindi, la tumefazione a salsicciotto di una o

più dita sia delle mani che dei piedi: questo perché vengono coinvolti i tendini flessori e la sinovia e

quindi il dito si gonfia. Quindi, si ha una tenosinovite vera e propria, oltre all’interessamento anche

dell’articolazione (sia tendineo che articolare).

Questo infatti [Slide n°16] è il quadro tipico dell’artrite psoriasica: a parte il dito a salsicciotto che

abbiamo visto prima, ma l’interessamento delle interfalangee distali. Questo è importante nella

diagnosi differenziale con l’artrite reumatoide, dove le distali non vengono mai colpite, ma

vengono colpite quelle prossimali e le metacarpo-falangee. Chiaramente, però, la psoriasica può

colpire anche le interfalangee prossimali. La distinzione la vedete radiograficamente, perché nella

psoriasica vedete gli entesociti, le neoapposizioni ossee, la differente localizzazione delle erosioni che

sono centrali e non periferiche come nell’artrite reumatoide.

E allora quali sono le caratteristiche cliniche e del sistema maggiore di istocompatibilità di queste

malattie?

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Per la spondilite anchilosante abbiamo sempre nel 100% la sacroileite, un’infiammazione delle sacro-

iliache, ed è sempre simmetrica. Quindi, per fare diagnosi di spondilite anchilosante è necessario

avere radiograficamente la presenza di sacroileite bilaterale.

Invece, nell’artrite reattiva può essere presente nel 75% dei pazienti ed è generalmente asimmetrica.

Nell’enteropatica è poco frequente, circa il 20%, ma comunque è simmetrica.

Nella psoriasica è poco più del 30% e può essere anche asimmetrica, quindi la potete trovare anche in

un solo lato.

L’artrite periferica la trovate sia nella psoriasica che nella reattiva. Invece, nella spondilite anchilosante

è rara, 25%, però quando è presente ha le stesse caratteristiche dell’artrite psoriasica.

Per quanto riguarda l’esordio: nella spondilite anchilosante è graduale, quindi c’è questa pesantezza

alla schiena, questo dolore che poi aumenta sempre di più, invece in quella reattiva è acuto: dopo

l’infezione c’è un periodo di quiescenza e poi si presenta quest’artrite improvvisa. L’esordio è variabile

invece in quella enteropatica e in quella psoriasica.

Il decorso generalmente è cronico, tranne che nella reattiva e nell’enteropatica che può essere acuto o

cronico.

L’HLA B27: nel 95% dei pazienti che hanno spondilite anchilosante questo è positivo, diversamente

invece dalle altre forme. Per esempio, nell’artrite psoriasica è presente in circa il 50% dei pazienti e,

generalmente, quando è presente, c’è sempre la forma dell’interessamento delle sacroiliache. Quindi,

quando trovate l’HLA B27, c’è sempre un interessamento delle sacroiliache.

L’entesite è presente in tutte, ma in maggior modo in quella reattiva.

Le manifestazioni extra-articolari possono colpire: l’occhio e il cuore nella spondilite anchilosante, la

cute e l’occhio nell’artrite psoriasica, il gastro-enterico chiaramente nell’enteropatica oltre all’occhio e

nell’artrite reattiva può essere colpito l’occhio, il gastro-enterico e il genito-urinario.

ANAMNESI ED ESAME OBIETTIVO [Slide n°18]

Qual è l’immagine, il quadro del paziente con dolore lombare cronico, dolore lombare infiammatorio?

- Generalmente sono dei maschi, perché è più frequente nei maschi, con un’età inferiore ai 45 anni,

quindi si può trovare anche nei giovani di 20-25 anni (generalmente prima dei 45 anni).

- Il dolore è soprattutto notturno, si accentua anzi durante la notte, ed anche mattutino.

- Ha un inizio subdolo, e questo già lo abbiamo detto prima.

- La rigidità mattutina: il paziente si alza e ha difficoltà nei movimenti, proprio ad alzarsi. Loro vi

diranno: “Sembro un robot, devo alzarmi piano piano”.

- Sciatica mozza o alternante, la sciatica basculante.

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- Sensibilità ai FANS, cioè queste forme sono sensibili agli antinfiammatori: se date gli antinfiammatori,

il dolore regredisce, per cui il paziente può assumere antinfiammatori anche per 3/4/5 mesi e sono

quelli la terapia. Se poi non risponde all’antinfiammatorio, generalmente si passa direttamente al

biologico, perché in queste forme i farmaci di fondo, per esempio il metotrexate, la salazopirina

generalmente non hanno un grande effetto. Quindi le nuove linee guida, le nuove raccomandazioni

sull’utilizzo dei farmaci biologici prevedono che un paziente con spondilite anchilosante che non ha

risposto agli antinfiammatori per almeno 3 mesi, cambiando almeno due antinfiammatori, può fare

terapia direttamente con i biologici e non deve fare necessariamente il farmaco di fondo.

- Il miglioramento con il movimento, ma questo avviene in tutti i dolori infiammatori.

- La durata deve essere uguale o superiore a 3 mesi.

- Generalmente i pazienti presentano anche una storia di entesiti o di mono-oligoartriti, per esempio un

ginocchio gonfio, una spalla gonfia e così via.

- Possono essere associate alla psoriasi, alle malattie infiammatorie croniche intestinali e all’uveite.

- Familiarità per spondiloartriti, colite ulcerosa, morbo di Crohn, uveite anteriore acuta e psoriasi.

DIAGNOSI

Come si fa la diagnosi?

- Innanzitutto con la radiografia del bacino e con il rachide dorso lombare

- la presenza degli indici di flogosi

- chiaramente, la valutazione reumatologica.

Quindi se voi, indipendentemente da quello che fate nella vostra vita come specializzazione, vi trovate

di fronte ad un paziente con queste caratteristiche, è un paziente reumatologico, quindi un paziente

che deve essere trattato da un reumatologo.

SPONDILITE ANCHILOSANTE

Questa è un’immagine molto caratteristica [Slide n°19], perché chi è affetto da spondilite anchilosante,

subisce proprio un’alterazione della conformazione del rachide. Il rachide diventa come una corda, una

corda che non si muove e il paziente è costretto alla flessione del capo, per cui non riesce ad alzare il

capo: si chiama proprio “l’uomo che non può guardare il cielo”, perché lui non può più alzare la testa,

perché l’ossificazione delle vertebre fa in modo che il rachide diventi rigido completamente.

La spondilite anchilosante abbiamo detto è più frequente nei maschi, con un rapporto 9:1. Colpisce

elettivamente lo scheletro assiale, ma nel 25-30% dei casi ci può essere anche un

interessamento periferico. È caratterizzata da entesiti, artriti periferiche che generalmente sono

delle mono-artriti, è difficile trovare una bilateralità dell’interessamento delle mani, è sempre

asimmetrica e colpisce, generalmente, gli arti inferiori. Colpisce soprattutto i giovani, quindi i

minori di 40-45 anni, questo lo abbiamo detto. Per quanto riguarda la prevalenza nella popolazione è

dello 0,05-0,1 % dei casi.

Dal punto di vista clinico, abbiamo detto, si presenta un dolore lombare, un dolore gluteo irradiato

posteriormente come sciatica mozza e invece a livello del rachide c’è la spondilite, un dolore

infiammatorio che è presente a riposo e migliora con il movimento.

CRITERI DIAGNOSTICI

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Quali sono i criteri per fare diagnosi di spondiloartrite?

Ci sono criteri clinico-anamnestici che vengono evidenziati con un punteggio, 1 o 2:

• se c’è una lombalgia infiammatoria

• se c’è un’oligoartrite asimmetrica

• dolore gluteo

• dattilite

• talalgia (il dolore a livello del tallone) o altra entesopatia

• iridociclite

• uretrite o cervicite non gonococcica

• diarrea acuta

• psoriasi, balanite o malattia infiammatoria intestinale.

Questi sono i criteri clinico-anamnestici.

Per quanto riguarda quelli radiologici, si fa con la classificazione della sacroileite: deve essere almeno

un grado 2 bilaterale oppure se è un grado 3-4 può essere anche monolaterale, però generalmente è

bilaterale.

Il background genetico, come abbiamo detto: l’HLA B27 positivo e la familiarità per un altro tipo di

spondiloartrite, quindi sia spondilite anchilosante sia artrite reattiva ecc.

Risposta al trattamento con i FANS, gli antinfiammatori non steroidei.

Questi sono i Criteri di Amor.

Invece, nei Criteri di New York, modificati nel 1984, si può fare diagnosi se è presente il criterio 4

solamente, quindi se è solo presente la sacroileite di stadio 2-4 o monolaterale di stadio 3-4 già si può

fare diagnosi più o il dolore lombare da almeno 3 mesi o la riduzione della mobilità a livello lombare o

la riduzione dell’espansibiltà a livello della gabbia toracica, perché chiaramente questi hanno anche

una contrazione polmonare, perché non riescono ad espandere la gabbia toracica.

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EZIOLOGIA [Slide n°23]

Dal punto di vista eziologico, come abbiamo detto prima, c’è una predisposizione genetica e poi ci

sono varie noxae ambientali. L’HLA B27, che rappresenta la componente genetica più importante, è

un allele che si trova sul sistema di istocompatibilità di classe I. Questo presenta i peptidi antigenici

alle cellule T citotossiche e quindi inizia lo stadio infiammatorio.

PATOGENESI [Slide n°24]

Per quanto riguarda la patogenesi dell’entesopatia e dell’entesite, questo rappresenta il meccanismo

iniziale primario della spondiloartrite, a differenza invece dell’artrite reumatoide, dove è colpita la

sinovia, l’articolazione. Quindi, si ha un’infiammazione a carico dell’area di inserzione dei legamenti,

dei tendini, delle fasce, delle capsule e così via ed è presente anche a livello della colonna vertebrale e

anche nelle articolazioni periferiche.

ASSOCIAZIONE CON SACROILEITE

La sacroileite è il criterio maggiore della spondilite anchilosante ed è presente sempre in questi

pazienti. È caratterizzata da distruzione cartilaginea con la presenza di lesioni ossee. Vi è una

neoformazione di tessuto osseo che, chiaramente, non essendo normale, si forma “tipo ponti” e poi può

portare ad anchilosi ossea, quindi proprio a rigidità dell’articolazione.

[Slide n°26] Questa è come si presenta una sacroileite. Questa è una sacroileite con un’articolazione

normale: si vede tutta la linea articolare sia qua che qua, non c’è fibrosi, non c’è una sclerosi delle

limitanti. Qua è lo stesso: non ci sono alterazioni. Qua non si vede già più la linea articolare. Qua si vede

solo in parte, quindi questa è già una sacroileite bilaterale. E qua vi è proprio l’anchilosi, cioè le linee

non si vedono proprio più. Chiaramente un soggetto a questo livello già non si muove più a livello

lombare, a livello delle sacroiliache.

IMAGING

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[Slide n°27] Questo, invece, è quello che si vede dal punto di vista della risonanza magnetica, che ci fa

vedere soprattutto l’edema praticamente con la tecnica STIR. In effetti c’è una soppressione di tessuto

adiposo e l’infiammazione si presenta sottoforma di edema osseo.

[Slide n°28] Questo invece è quello che accade a livello delle vertebre. Qua sono normali. Qua comincia

ad aversi l’interessamento delle entesi, perché qua passa il legamento longitudinale, che diventa

sempre più interessato fino ad aversi una completa ossificazione del legamento e quindi il paziente ha

difficoltà a piegarsi, a muovere le vertebre.

[Slide n°29] Poi l’interessamento delle costovertebrali. Qui vi è il tessuto fibrocartilagineo, che

facilmente può essere colpito da questo tipo di infiammazione e vi è una limitazione dell’escursione

respiratoria della gabbia toracica in questi pazienti.

[Slide n°30] Questo è quello che si vede radiograficamente. Quello che abbiamo visto con il [31:52], qui

lo vediamo radiograficamente. Vedete come le vertebre sono unite, perché si ha proprio

un’ossificazione del legamento longitudinale. Qua ancora di più si vede.

[Slide n°31] Qua vedete si sono formati proprio questi ponti che sono i sindesmofiti. Qua si vedono

lateralmente e qua si vedono antero-lateralmente. Praticamente vanno a formare la cosiddetta

“colonna a canna di bambù”, che è proprio caratteristica di questi pazienti. Si vede proprio la fusione,

cioè è come se fosse un unico pezzo e con questa caratteristica dei sindesmofiti.

[Slide n°32] Questa è la risonanza magnetica. Qua vi è l’edema osseo. Vedete questa parte bianca è

l’edema.

[Slide n°33] Praticamente succede che sullo scheletro assiale si possono avere questi. Qua già sono

segni tardivi, perché praticamente viene interessata la parte angolare delle vertebre. Si chiamano

infatti “shiny corner”. Praticamente si ha un’accentuazione della radiopacità degli angoli vertebrali,

perché si ha una sclerosi marginale secondaria all’osteite.

I segni iniziali, invece, sono questi qua [Side n°34]. Vedete qui si formano questi piccoli entesofiti, che

poi, quando, invece, vanno a raggiungere la vertebra sovrastante o sottostante si chiamano

sindesmofiti, perché formano proprio dei ponti ossei.

I segni iniziali sono lo squaring, cioè praticamente la vertebra diventa quadrata, perché ci sta

un’erosione delle limitanti e la perdita della normale concavità della vertebra…. [la Prof.ssa non

conclude la frase, ma credo che assieme allo squaring, l’altro segno che voleva citare fosse il segno di

Romanus].

[Slide n°35] Poi abbiamo quest’altro segno che invece è più tardivo: è un avanzamento dello shiny

corner perché viene colpita, oltre alla parte angolare, anche tutta la parte del corpo vertebrale e qua

praticamente si formano quei sindesmofiti, perché qua ormai sono unite, qua e qua. Questi

sindesmofiti sono proprio dei prolungamenti verticali del margine anterolaterale dei corpi

vertebrali e connettono le giunzioni disco-vertebrali.

Studente: Questo succede solo anteriormente? E posteriormente?

Professoressa: Posteriormente succede pure, però più difficilmente si può evidenziare. Qua lo trovi

solo anteriormente, perché vedi qua non c’è, però può succedere anche posteriormente, cioè i due

legamenti longitudinali sia quello anteriore che quello posteriore si possono ossificare. Infatti, ci sta

un’altra immagine. Questo è proprio il sindesmofita tipico. Vedi, per esempio, qua [Slide n°36] già si

forma un piccolo entesofita che non unisce le due vertebre però è ossificato qua e anche qua, vedi.

Quindi, c’è una sclerosi della limitante.

[Slide n°37] E qua, invece, la canna di bambù che abbiamo detto prima. Questo è uno stadio molto

avanzato chiaramente e i sindesmofiti sono bilaterali e simmetrici.

[Slide n°38] E qua, invece, è il segno del binario. Vedete è tutta sclerosi questa.

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Dal punto di vista dell’imaging a livello delle sacroiliache, già abbiamo visto i vari stadi dallo 0 al 4.

Un’altra metodica che può far evidenziare questa infiammazione è la scintigrafia, perché praticamente

si ha accumulo del tracciante proprio nella zona dove maggiormente c’è l’infiammazione. Quindi

in questo caso [Slide n°39], in questa scintigrafia tutta la colonna e le sacroiliache presentano il

segnale.

Ve l’ho fatto già vedere prima radiograficamente, però queste sono le varie forme:

- normale

- sospetta, cioè la perdita di definizione della rima

- quella di grado 2, dove già c’è una sacroileite minima, perché c’è la sclerosi e già è possibile vedere

delle erosioni (vedete, queste sono delle erosioni)

- nel grado 3, invece, c’è una sclerosi bilaterale con riduzione anche della rima

- nel grado 4 c’è proprio una fusione, un’anchilosi.

Questo, invece, è quello che avviene a livello periferico che, come abbiamo detto, nella spondilite

anchilosante si può presentare nel 25% dei casi, soprattutto agli arti inferiori. [Slide n°41] Questo è un

dito della mano, quindi è l’arto superiore. Questo è l’aspetto che troviamo soprattutto nell’artrite

psoriasica. Questa è detta “erosione a orecchie di topo”: infatti, se vedete vi è questa coesistenza di

erosioni e, nello stesso tempo, di reazioni osteoproduttive per cui si formano, poi, gli entesofiti. Vedete

qui le erosioni marginali. In questo caso sono marginali, però prima sono marginali, poi vanno a

interessare anche il centro della rima, a differenza di quelle dell’artrite reumatoide, che sono

marginali, ma rimangono là, cioè praticamente sono presenti sull’area nuda, non su quella centrale.

Questa [Slide n°42] è un’altra forma di erosione: la parte prossimale si assottiglia e la parte distale

aumenta, per cui si forma il cosiddetto “pencil in cup”, cioè il cappuccio sulla penna. Questo è proprio

tipico dell’artrite psoriasica, inoltre questa che si espande sopra è detta anche “ala di gabbiano”.

Queste immagini sono molto scolastiche, cioè quando bisogna descrivere l’artrite psoriasica è questa,

anche se con la diagnosi precoce questi quadri li vediamo molto raramente.

[Slide n°43] Poi c’è un’altra forma di artrite psoriasica, che è quella mutilante. Vedete, si ha un’erosione

della parte prossimale: la parte distale rimane e la parte prossimale si riassorbe. Questo è il cosiddetto

“dito a cannocchiale”: è come se l’articolazione implodesse nell’articolazione sottostante. Questa è

presente nel 5% dei pazienti con artrite psoriasica, che possono presentare questa forma mutilante.

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[Slide n°44] Un altro aspetto sono le entesiti. Come abbiamo già detto, possono ossificarsi e quindi

produrre delle proliferazioni ossee e delle erosioni. Questo è un tipico aspetto di un’entesite: un

aspetto cotonoso, il profilo irregolare, presenta tutta una serie di alterazioni che sono visibili a chi è

abituato a vedere le radiografie, però se chiedete una radiografia in un paziente con sospetta entesite,

il radiologo non vi scriverà mai tutte queste cose, cioè siete voi, che siete specialisti del campo, che

andate a vedere. Il radiologo non vi scriverà mai di un margine irregolare, non vi scriverà mai che è un

margine cotonoso, ma lo andate a vedere voi con la lastra. Per questo il referto è solo per vedere cose

traumatiche generalmente, ma l’entesite non ve la descriveranno mai.

Per quanto riguarda, invece, gli aspetti radiografici, per ogni tipo di spondiloartrite, abbiamo:

- tumefazione dei tessuti molli periarticolari, quindi la dattilite, la possiamo trovare in tutte tranne che

nella spondilite anchilosante; è molto molto rara e la troviamo soprattutto nell’artrite psoriasica

- interessamento delle interfalangee distali: la spondilite anchilosante non la porta proprio, la

percentuale è molto bassa

- così come la acroosteolisi delle falangi distali

- l’entesopatia vertebrale la troviamo soprattutto in quella anchilosante e nell’enteropatica, mentre in

quella periferica un po’ di meno

- l’interessamento delle articolazioni interapofisarie lo troviamo sempre nella spondilite anchilosante

- la sacroileite, come abbiamo già detto, bilaterale nell’anchilosante.

- l’erosione con reazione proliferativa la troviamo un po’ in tutte, soprattutto nella psoriasica un po’

meno nell’anchilosante. Quindi sono tutte caratteristiche che troviamo in tutte le forme di

spondiloartrite, però con una prevalenza maggiore in una piuttosto che in un’altra.

[Slide n°46] Questo è un grading della risonanza magnetica, ma andiamo avanti. Praticamente descrive

tutta una serie di alterazioni a cui viene dato un grado, però insomma questo è molto specifico.

[Slide n°47] Quello che è importante sapere è, però, che la risonanza magnetica può far vedere:

- la sinovite

- l’edema osseo, che può essere subcondrale, diafisario o a livello delle entesi

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- le erosioni ossee a livello delle metacarpofalangee, delle interfalangee prossimali dal secondo al

quinto dito e delle interfalangee distali dal secondo al quinto dito

- la flogosi extracapillare (0=assente; 1=presente).

Quindi, queste sono le cose che si vanno a vedere con lo score PsAMRI con la risonanza magnetica.

INTERESSAMENTO DEL RACHIDE, PRESENTAZIONE E DECORSO

Qual è, invece, il decorso di questa malattia?

[Slide n°48] Questo è il soggetto normale che è all’inizio della malattia e questo è dopo 25 anni di

malattia. Vi è una rigidità proprio della colonna. Non solo, ma si ha anche una perdita della lordosi

lombare e l’atrofia dei glutei, l’accentuazione della cifosi toracica, l’incurvamento in avanti se è

coinvolta la colonna cervicale, quindi il paziente rimane così fermo, il coinvolgimento dell’anca, che

porta poi le contratture in flessione (in questo caso qua o così) e, quindi, flessione compensatoria del

ginocchio.

[Slide n°49] Questa è la [43:24] e questa, invece, è la flessione del ginocchio. Quindi per guardare in

avanti il paziente deve fare questo movimento qua.

[slide 50] Questa, invece, è la dattilite. Ogni tanto mando queste immagini giusto per farvi vedere come

sono le immagini. Questa è un’artrite del piede, il dito a salsicciotto del piede. Prima lo abbiamo visto a

livello della mano, mentre adesso lo vediamo a livello del piede. Questa chiaramente è una franca

onicopsoriasi, che spesso viene confusa con le micosi e quindi è importante chiedere sempre al

paziente se c’è un interessamento delle unghie. Per esempio, ieri pomeriggio allo studio ho visto un

paziente che aveva proprio un dito a salsicciotto e ho chiesto: “Lei ha la psoriasi?” “No”

“Qualche parente?” “No”

“Si spogli, tolga i calzini”.

Aveva tutte le unghie con onicopsoriasi ma non solo, aveva anche una psoriasi inversa, perché ce

l’aveva ai talloni. Ai gomiti era risparmiato, però ce l’aveva ai talloni e alle unghie dei piedi. Quindi

aveva un’artrite psoriasica franca: era facile fare la diagnosi in quel caso.

Quindi, con la diagnosi di spondilite anchilosante è importante anche fare delle diagnosi

differenziali, perché sicuramente la dobbiamo differenziare dalle protrusioni discali, che sono molto

più frequenti della spondilite anchilosante, perché il dolore lombare meccanico da protrusione discale

è molto più frequente.

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1)Quindi, prima cosa va differenziato il dolore infiammatorio dal dolore meccanico e anche

neuropatico, perché a volte la protrusione discale porta tutta questo dolore neuropatico, periferico e

così via.

2)Poi bisogna differenziarlo da altre forme, per esempio la DISH, che presenta l’iperostosi idiopatica di

tutta la colonna ed è idiopatica.

3) Poi c’è la spondiloartropatia indifferenziata, cioè praticamente il paziente presenta, per esempio, i

ponti ossei, presenta un’artrite periferica, presenta una sacroileite solo monolaterale e là non si può

fare diagnosi di spondilite anchilosante. Inoltre, per esempio, il paziente non ha psoriasi o familiarità

per la psoriasi: insomma non può essere inquadrato in una delle quattro forme che abbiamo detto.

Allora, in quel caso, si definisce spondiloartrite indifferenziata, che, però, viene trattata allo stesso

modo della spondilite anchilosante.

Qua c’è la differenziazione tra dolore infiammatorio e dolore meccanico. Lo ripeto altre volte e

quindi è chiaro che all’esame è una delle domande più facili, perché lo ripeto talmente tante volte che

vi entra nella mente.

La rigidità è maggiore di 60; l’attività fisica migliora i sintomi, la durata è cronica, l’età di insorgenza è

<40 anni, evidenze radiografiche: la sacroileite, l’anchilosi spinale e i sindesmofiti.

Cose che invece non si hanno in quello meccanico, perché generalmente si presenta dopo i 45 anni,

non migliora con il movimento, anzi peggiora, a livello radiografico: restringimento dello spazio

discale, che rappresenta la protrusione discale, disallineamento dei corpi vertebrali e la presenza di

osteofiti, che sono diversi dai sindesmofiti.

[Slide n°53] Questo è quello che abbiamo riassunto prima, ve la rimetto qua perché con questa

immagine voi fate la diagnosi di spondilite anchilosante.

TERAPIA

• I FANS: l’Indometacina viene utilizzata, così come il diclofenac, il naprossene (insomma, ogni

tipo di FANS) e anche il coxib. Si associa sempre una chinesiterapia [riferendosi alla slide la

Prof.ssa dice che è scritto male]: praticamente esercizi di mobilizzazione dolce, cioè il paziente

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deve fare una ginnastica dolce, non deve mai insistere sul dolore, cioè se inizia a fare un

esercizio e sente dolore o sente trazione, si deve fermare, perché altrimenti crea un circolo

vizioso, poi la ginnastica respiratoria è molto importante in questi pazienti e poi il nuoto è lo

sport che viene consigliato a tutti i pazienti con questo tipo di manifestazioni.

• Può essere associato un DMARDs, soprattutto la salazopirina e soprattutto nelle forme

periferiche, perché in quelle assiali generalmente non funziona.

• Quando, invece, c’è l’interessamento assiale oppure non risponde alla salazopirina oppure non

risponde ai FANS si usa l’anti-TNF-alfa. Questo fino a qualche anno fa, perché ora ci sono

anche altri farmaci che vengono utilizzato come anti-IL23 e l’anti-IL17.

Poi, nei pazienti con Spondilite Anchilosante è importante evitare le trazioni vertebrali e gli

esercizi a strappo, perché possono determinare delle fratture, perché questi legamenti ossificati

fanno proprio da trazione alle vertebre e quindi si possono avere anche delle microfratture. Bisogna

evitare il sovraccarico del rachide e bisogna evitare atteggiamenti in flessione del rachide,

anche perché quello già è flesso e quindi favorisci ancora di più quest’atteggiamento. Chiaramente, la

colonna spondilitica è anche più osteoporotica ed ha quindi aumentato rischio di fratture sia

per osteoporosi e sia per traumi per la trazione.

ARTRITE PSORIASICA

Ora andiamo sull’artrite psoriasica. Anche questa è un’entesoartrite, anzi un’enteso-artro-

osteopatia, perché prende l’entesi, l’articolazione e tutti i legamenti. Ha un andamento cronico-

evolutivo. Si presenta in soggetti con psoriasi o familiarità per la psoriasi e può interessare il

compartimento articolare sia periferico sia assiale. La prevalenza nella popolazione generale è dell’1-

3% per la psoriasi, per l’artrite psoriasica è dello 0.5-1%. Nel 60% dei casi le manifestazioni articolari

seguono quelle cutanee. Quindi c’è sempre prima la forma cutanea e poi quella articolare. Un numero

minore di casi, invece, possono precedere le manifestazioni cutanee: si ha prima l’artrite e poi la

psoriasi.

Non c’è differenza tra maschi e femmine e l’età di esordio è tra i 35 e i 45 anni, però la possiamo

trovare anche in altre fasce di età.

EZIOPATOGENESI [Slide n°58]

Anche l’artrite psoriasica presenta una predisposizione genetica: l’HLA B27 è meno comune, come

abbiamo detto, in meno del 50% dei casi (lo possiamo avere quando c’è la sacroileite). Possono essere

presenti, invece, il B38, B39 e Cw6. I fattori ambientali sono fattori psicologici, i fattori fisici e le

infezioni. I fattori psicologici sono molto importanti, perché uno stress emotivo forte, un lutto o

qualunque altro stress può far precipitare una condizione già presente, quindi slatentizzare una

condizione già presente in soggetti predisposti.

Questo è quello che succede: praticamente il TNFα [Slide n°59] determina tutta questa infiammazione

sia a livello cutaneo…. e va ad attivare tutte queste interleuchine: l’IL-6, l’IL-8, il CSF, i fattori di

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crescita. Succede che gli antigeni batterici o gli antigeni virali o lo stress comportano, laddove vi è una

predisposizione genetica, un aumento degli elementi dendritici della membrana sinoviale e

l’attivazione dei sinoviociti e porta, quindi, l’artrite psoriasica. Dall’altro lato, invece, le cellule di

Langherans che sono a livello cutaneo più i cheratinociti, quindi questo ispessimento cutaneo o

l’ispessimento a livello ungueale, si accumulano e possono portare anche questi all’artrite psoriasica.

Quali sono i criteri classificativi? [Slide n°61]

Questi sono i criteri di Moll e Wright, che dividono l’artrite psoriasica in 5 tipi.

- Forma classica, con coinvolgimento delle piccole articolazioni interfalangee distali, con le classiche

alterazioni come “pencil in cup”, “ali di gabbiano” e così via. Questo è presente nel 9% dei casi.

- Artrite mutilante nell’1-5% dei casi.

- Artrite simil-reumatoide, che è presente nel 17% dei casi. Si presenta con le caratteristiche tipiche

dell’artrite reumatoide: bilaterale e simmetrica. In questo caso la diagnosi differenziale si fa con altri

criteri: per esempio, l’assenza del fattore reumatoide, la familiarità per psoriasi oppure

radiograficamente con la presenza di entesofiti, di neoapposizione ossea piuttosto che di erosioni.

- La più frequente è l’oligoartrite asimmetrica, che coinvolge le grandi articolazioni, generalmente il

ginocchio (quindi si può presentare anche come monoartrite) oppure le caviglie e così via

- E poi c’è quella che colpisce solo il rachide ed è presente solo nell’8% dei casi.

Quindi, generalmente, quando si fa diagnosi di artrite psoriasica, è preferibile scrivere anche la

variante. Per esempio, artrite psoriasica varietà simil-reumatoide piuttosto che oligoartrite ecc.

Queste sono un po’ le immagini.

Alcune le abbiamo già viste, come il pencil in cup, l’assottigliamento prossimale e l’allargamento della

distale [Slide n°62].

[Slide n°63] Questo è quello che si presenta a livello delle mani. Vedete questo dito in cui si è avuta

proprio una neoapposizione ossea e queste sono le dita con la psoriasi, che presentano già anche

l’alterazione articolare. Siccome l’interessamento distale è anche tipico dell’osteoartrite, bisogna

sempre fare attenzione se è un’osteoartrite piuttosto che un’artrite psoriasica. Generalmente

l’osteoartrite presenta anche dei noduli, i noduli di Bouchard, i noduli di Hederben situati in varie parti

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delle dita. Generalmente l’artrosi non è accompagnata da psoriasi, cosa che invece noi troviamo in un

soggetto con artrite psoriasica e così via.

[Slide n°64] Questo, invece, è un ginocchio tumefatto da artrite psoriasica. Questo è un interessamento

della testa del femore sempre nell’artrite psoriasica.

[Slide n°65] Questa è quando è bilaterale e simmetrica, vedete qua… però vedete questa mano qua,

anche se è simmetrica non è bilaterale perché, per esempio, le erosioni sono presenti qua, ma non al

secondo dito, mentre al terzo sì. Vedete come sono diverse le lesioni qua, non so se vi ricordate alcune

immagini dell’artrite reumatoide: nell’artrite reumatoide quest’immagine non la troverete mai, trovate

così le erosioni come questa qua, ma mai così, cioè qua c’è proprio una distruzione ossea, perché si è

avuta l’erosione e poi si è avuta la neoapposizione e, quindi, l’articolazione non è più quella di prima.

Poi, per esempio, nell’artrite reumatoide c’è un’osteoporosi iuxta-articolare che qua non c’è. C’è il

restringimento della rima, ma non c’è l’osteoporosi. Qua anche ci sono delle alterazioni, c’è la fusione

qua e anche qua, quindi ci sono tutte le alterazioni da neoapposizione. Queste sono le mani di questo

tipo di pazienti che hanno questo tipo di quadro articolare. Vedete c’è tutta una deviazione delle dita e

così via. Fortunatamente questi quadri sono proprio difficili da vedere.

[Slide n°66] Questa è quella mutilante con dito a cannocchiale. Praticamente viene riassorbito il tratto

prossimale, mentre rimane quello distale e la metacarpofalangea, vedete qua.

[Slide n°67] Interessamento assiale anche in questo caso si può avere, però vedete, per esempio, qua è

monolaterale. Viene risparmiata questa zona qua. Anche se ci sono dei piccoli segni, però i sindesmofiti

li trovate solo qua, questi qua a ponte.

L’interessamento assiale, chiaramente, è uguale a quello della spondilite anchilosante con la

stessa sintomatologia: la sciatica mozza, alternante, dolori persistenti in sede sacrale e così via.

L’entesite ... Questa è l’immagine che abbiamo già visto prima, però è frequente a livello dell’artrite

psoriasica. Vedete a livello della scintigrafia come il radiotracciante si accumula a livello dell’entesite.

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Questo, invece, è un dito. Questa è la dattilite. Questo è un dito con la psoriasi. Questa è la dattilite con

il dito a salsicciotto. Qua è interessato questo.

Ancora un’altra immagine così [Slide n°71]. È importante, in questo caso, quando vi trovate di fronte

ad un’alterazione così, fare sempre la diagnosi differenziale con un’artrite settica, perché è quella

che ha una maggiore incidenza di negatività, di prognosi negativa.

Studente: Quando vediamo questo rigonfiamento della dattilite, alla radiografia vediamo sempre delle

alterazioni?

Professoressa: Alla radiografia qua, essendo una fase iniziale, tranne l’edema dei tessuti circostanti,

non vedi niente. Dovresti fare un’ecografia, perché l’ecografia ti dice che c’è una tenosinovite del

tendine, perché qua sicuramente è coinvolto il tendine flessore, quindi la guaina tendinea si è allargata

e c’è tutto un versamento, quindi una tenosinovite sicuramente essudativa. Può esserci anche

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proliferativa, ma questa è sicuramente essudativa, il dito a salsicciotto è dattilite essudativa e

radiograficamente vedi pochissimo.

Studente: Questa è l’immagine precoce, il disegno del rigonfiamento, poi possono…

Professoressa: Allora, nelle recenti raccomandazioni di diagnosi precoce (perché ora sono stati fatti

dei nuovi criteri per garantire una diagnosi precoce) l’alterazione ecografica e non radiografica è uno

dei criteri. Anzi, l’ecografia, molto probabilmente, verrà messa anche in quegli esami che il paziente

non deve pagare perché praticamente i pazienti pagano tutto. Per fare una diagnosi precoce la cosa

importante sarebbe la risonanza magnetica, perché quella, effettivamente, ti dice dov’è

l’infiammazione; invece, facciamo un’ecografia, che è meno costosa, però il paziente comunque la deve

pagare. Quindi ci sta sempre questa contraddizione, però tu qua vai a fare l’ecografia, perché così vedi

se c’è una tenosinovite. Radiograficamente vedi poco, vedi solo l’edema dei tessuti periarticolari,

questa parte un po’ più radiopaca. Anche qua la stessa cosa. Qua, per esempio, radiograficamente puoi

vedere la presenza dell’entesofita, perché questo è più di lunga durata, è difficile che lo trovi in forma

acuta questo qua. Invece, il dito a salsicciotto lo trovi anche in forma acuta, anche come manifestazione

iniziale di malattia. Onestamente però di fronte ad un dito così, di fronte alla psoriasi e ad altre

caratteristiche, già si può fare diagnosi ed iniziare la terapia, non si ha necessità di fare l’ecografia o la

radiografia per fare diagnosi. Quindi, in questo caso, la diagnosi è clinica, però se si sospetta un’artrite

settica, perché il paziente ha avuto febbre, ha avuto un’infezione recente, vanno guardati tutti gli altri

esami. Il sospetto c’è sempre di artrite settica, però in questo caso il paziente ha psoriasi, non ha avuto

altre manifestazioni, gli esami non sono alterati, l’emocromo è normale, gli indici di infiammazione

sono solo lievemente aumentati e quindi si può già fare diagnosi.

Questo, invece, è l’interessamento extra-articolare [Slide n°72]. Oltre all’interessamento cutaneo ed

ungueale che troviamo, possiamo avere un interessamento dell’occhio, che si può presentare con

un’irite nel 7% dei casi, che è più frequente nei pazienti HLA B27+, ulcere orali, uretriti, interessamento

valvolare aortico, che però non è comune.

Per l’artrite psoriasica sono stati creati recentemente, nel 2005, dei criteri CASPAR [Slide n°73]. Ho

detto recentemente perché sono gli ultimi che sono stati fatti, nel 2005, anche se sono passati 12 anni.

Dunque, la classificazione nella diagnosi viene fatta con 3 o più dei seguenti criteri:

• psoriasi attuale, quindi il paziente deve presentare psoriasi oppure

• anamnesi di psoriasi, cioè il paziente dice di aver avuto la psoriasi e non averla più al momento

• anamnesi familiare di psoriasi

• onicopatia psoriasica

• negatività del fattore reumatoide

• dattilite attiva con dito a salsicciotto

• anamnesi di dattilite

• neoapposizione ossea iuxta-articolare alla radiografia dell’articolazione.

Valgono tutti 1 come grading, tranne il primo che vale 2 come punteggio, cioè se è presente questo più

un altro si può già fare diagnosi: cioè psoriasi attuale più dattilite attiva è artrite psoriasica.

APPROCCIO CLINIMETRICO

Intanto, bisogna valutare: l’impegno articolare; l’impegno cutaneo e ungueale; la mobilità del

rachide, in caso di interessamento del rachide; la valutazione delle entesiti e la valutazione della

funzione del paziente con BASFI, che va a valutare varie attività del paziente. Inoltre, va valutata: la

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qualità della vita, come già abbiamo visto con il questionario di disabilità; lo stato globale della

malattia; il dolore; la faticabilità; gli indici di flogosi e la radiologia. [Slides n°74-75]

La valutazione dell’attività di malattia viene fatta con vari items, il più importante dei quali è il DAPSA,

cioè il Disease Activity Index per l’artrite psoriasica. Poi, le VAS, come abbiamo detto l’altro giorno, che

sono scale visuo-analogiche. Si può fare l’attività globale e del dolore con il BASDAI. La componente

articolare va fatta su 68 articolazioni dolenti e 66 tumefatte, perché le anche non vengono conteggiate

come tumefatte, ma solo come dolenti. Infine gli indici di flogosi.

[Slide n°77] Queste sono tutte le articolazioni che andiamo a valutare, sono 68. Qui c’è la frequenza di

interessamento delle articolazioni.

[Slide n°78] L’impegno cutaneo viene valutato tramite il PASI, che è uno schema dove si va a valutare

l’estensione delle lesioni, se c’è la cheratosi e così via. Questa però è più una cosa dermatologica, anche

se è importante per il reumatologo. Le quattro aree cutanee che vengono valutate sono la testa, il

tronco, gli arti superiori e gli arti inferiori.

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La psoriasi va sempre cercata. [Slide n°79] Qua, chiaramente, è evidente, non c’è bisogno di chiederlo

al paziente. [Slide n°80] Qua anche è evidente, però, come nell’esempio di ieri, il paziente potrebbe dire

di non avere la psoriasi e poi averla a livello delle unghie. Quindi va cercata sempre, va cercata anche a

tra i parenti. Questa anche è molto evidente. Questa è solo al ginocchio, ma va cercata sempre, anche a

livello ungueale perché può essere anche solo così: questo è un paziente che ha l’onicopatia [Slide

n°81]. Qua, a livello delle pieghe interdigitali, delle pieghe interglutee. Inoltre, va cercata anche a livello

dei familiari.

[Slide n°83] Per quanto riguarda la qualità della vita, questo lo abbiamo già visto anche ieri, per la

sclerosi sistemica, ma anche per l’artrite reumatoide si fa con l’SF-36. Si va a valutare sia l’attività

fisica che l’attività mentale.

Per quanto riguarda, invece, l’attività di malattia con il BASDAI [Slides n°84-85], viene chiesto al

paziente di dare un punteggio da 0 a 100: sul grado di stanchezza e dell’affaticamento, sul grado di

dolore che prova a livello del collo e della schiena o delle anche, quindi sul rachide, sul grado di dolore

che prova su articolazioni diverse dal rachide, sul fastidio che prova quando vengono toccati i punti del

rachide, cioè i punti più dolorosi, sulla presenza della rigidità al risveglio e sulla durata della rigidità al

risveglio. Questi 6 items vengono sommati: il 5 e 6 vengono sommati e si dividono, gli altri poi si

sommano con gli altri e vengono divisi per 5. Il punteggio ottenuto ci porta un numero che se

superiore a 4 significa che è attivo.

[Slide n°86] Queste sono le VAS, che già abbiamo nominato prima, quella del paziente e quella del

medico perché chiaramente il medico, dopo aver fatto la visita, dopo aver fatto l’anamnesi, dopo aver

visto gli esami, può dare un giudizio sullo stato globale della malattia, quindi anche il medico compila

la VAS. Può essere attiva, poco attiva o molto attiva. Quindi, in base a questi valori, si ha anche un

punteggio sull’attività della malattia da parte del medico.

[Slide n°87] Questo, invece, è lo stato globale di salute. Va, invece, chiesto al paziente come si sente in

quel momento, considerando tutte le patologie che il paziente ha, quindi anche se ha altri tipi di dolore

e lui su questa scala ci dice qual è lo stato di salute attuale.

[Slide n°88] Per quanto riguarda, invece, la severità, essa va valutata con i criteri GRAPPA, che vanno a

considerare: l’artrite periferica, quindi in base al numero di articolazioni colpite va da lieve, a

moderata, a severa, il danno radiografico, l’impatto sulla qualità della vita e così via.

Inoltre, la malattia cutanea, la malattia spinale, l’interessamento spinale, l’entesite e la dattilite.

IMAGING

Dal punto di vista dell’imaging, praticamente, troviamo quello che abbiamo visto anche nella spondilite

anchilosante, dove, dal punto di vista radiografico, andiamo a confermare la diagnosi, anche se noi già

clinicamente possiamo orientarci. Questo lo vediamo è uno stadio già avanzato, vedete qui si vede

proprio l’ossificazione dell’entesi della fascia plantare.

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Nell’imaging, la fase preradiologica ci fa fare uno studio “early”, ci identifica i segni precoci, che sono

raramente identificabili. Nella fase radiologica già ci sono dei segni patognomonici, perché c’è proprio

il sindesmofita o l’entesofita. Nella fase tardiva, invece, si vedono proprio le anchilosi.

Dal punto di vista radiografico con la psoriasi si possono vedere: [Slide n°91]

- erosioni ossee, osteolisi, fenomeni di neoapposizione ossea e questo ce la fa distinguere dall’artrite

reumatoide

- si può vedere sacroileite, che spesso è asimmetrica

- possiamo avere una spondilite, con possibile sublussazione del dente dell’epistrofeo: questo si ha

anche nell’artrite reumatoide ed è una cosa molto grave, ma rara.

Anche qua può essere utilizzato il metodo Sharp [Slide n°92] per vedere le alterazioni radiografiche

delle mani e dei piedi. In questo caso si vanno a valutare: le erosioni, la riduzione della rima articolare,

la sublussazione, l’anchilosi, l’osteolisi grossolana e l’aspetto a pencil in cup.

[Slide n°93] Dal punto di vista ecografico, questo è quello che si vede: di fronte ad una tenosinovite, di

fronte a un dito a salsicciotto… questo è un tendine flessore… questo è il tendine e questo è tutto il

versamento che si vede al di sotto del tendine ed è molto infiammato, perché nel doppler c’è un

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aumento della vascolarizzazione e quindi vuol dire che oltre ad esserci un versamento, c’è una

proliferazione sinoviale, perché nel doppler l’aumento della vascolarizzazione è visibile solo se c’è una

proliferazione sinoviale, se c’è solo il versamento non lo vedete. [Slide n°94] Anche le alterazioni

psoriasiche cutanee possono essere viste ecograficamente. Vedete, c’è un’infiammazione, questa è una

fase attiva di psoriasi. [Slide n°95] L’ecografia è molto importante perché ci garantisce di trovare

alcune alterazioni per fare la diagnosi, ma anche di vedere lo stato di attività della malattia. Possiamo

andare a vedere se c’è una borsite, se ci sono erosioni ossee, se c’è un ispessimento dei tendini e dei

legamenti e se c’è un entesofita a livello degli arti inferiori.

PROGNOSI

Per quanto riguarda la prognosi, l’artrite psoriasica è una malattia a prognosi benigna, anche se in

alcune forme, come in quella mutilante, comporta dei disagi notevoli. Il 16% dei pazienti, dopo 14

anni, presenta deformazioni in almeno 5 articolazioni se non viene trattata.

TERAPIA

La terapia dell’artrite psoriasica va fatta sia per la psoriasi sia per l’artrite. I due trattamenti

coincidono, perché spesso i DMARDs che vengono utilizzati per l’artrite, migliorano anche il quadro

della psoriasi, per esempio: il metotrexate, la ciclosporina, la leflunomide, sono tutti farmaci che

agiscono anche sulla psoriasi.

ARTRITI REATTIVE

Le artriti reattive sono un gruppo di malattie che si sviluppano dopo 1-6 settimane da un’infezione

sostenuta da germi che colpiscono le vie genito-urinarie o enteriche. Sono comunque dei quadri

infiammatori articolari, apparentemente sterili, innescati da un’infezione batterica extra-articolare.

L’infezione scatenante è più spesso localizzata nel tratto gastro-enterico (artriti post-enteriche)

oppure genito-urinarie (artriti post-veneree o da Chlamydiae).

La predisposizione genetica ha un ruolo rilevante: questi pazienti hanno una positività dell’HLA B27.

Queste artriti vengono incluse nelle spondiloartriti, perché il quadro clinico è quello delle

spondiloartriti. Tra i nomi più frequenti con cui vengono chiamate vi è Sindrome di Reiter. Questo,

però, è un nome che difficilmente ritrovate, perché Reiter era un nazista e faceva esperimenti sui

pazienti che stavano nei campi di concentramento, ha ucciso molte persone ed è stato proprio radiato

dai libri. Quindi, non lo troverete più, però è conosciuta proprio con questo nome quest’artrite reattiva.

Le artriti reattive sono artriti microbiologicamente sterili che sono generate da una risposta

immunitaria cross-reattiva rivolta verso le entèsi, le articolazioni, le strutture extra-articolari

in seguito alla stimolazione di un microrganismo che interessa prima la mucosa intestinale e

poi la mucosa genito-urinaria. Quindi, questo batterio interessa questa mucosa, l’una o l’altra e poi

attiva una risposta immunitaria verso queste strutture.

EPIDEMIOLOGIA

Ha una diffusione ubiquitaria con un’incidenza annuale che raggiunge anche i 27 casi su 100.000

individui. Colpisce i giovani di entrambi i sessi. Le forme di tipo spondilitico si associano alla

presenza dell’HLA B27, come abbiamo detto.

CLINICA

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C’è interessamento articolare e/o entesitico. Generalmente si presenta dopo circa 1-6 settimane

dall’infezione e, comunque, entro i primi 6 mesi. Ha un andamento ricorrente o cronico, che può far

seguito al quadro acuto nel 30-60% dei casi, cioè praticamente il paziente prende questa malattia,

questa spondiloartrite, che può andare anche in remissione, però in questo soggetto quest’artrite può

riattivarsi. Quindi in una percentuale dei casi si presenta con andamento ricorrente o cronico. Si

possono presentare anche manifestazioni extra-articolari, come febbre e astenia.

Per quanto riguarda, invece, le manifestazioni articolari, si può avere un’oligoartrite acuta, che:

-generalmente è asimmetrica, quindi un solo ginocchio, una sola caviglia, una spalla e così via,

generalmente, però, sono preferiti gli arti inferiori, quindi caviglia, anca, ginocchio

- si estende in modo centripeto

- è a carattere sostitutivo, quindi viene ad un’articolazione, poi passa a quell’articolazione e viene ad

un’altra articolazione; ha carattere aggiuntivo, invece, nelle forme croniche. Quindi nelle forme

iniziali viene prima ad un’articolazione, poi passa e viene ad un’altra; nelle forme croniche, quelle che

poi si ripresentano nel tempo, ha carattere aggiuntivo, quindi ginocchio e insieme al ginocchio caviglia,

insieme alla caviglia la spalla e così via.

Le articolazioni più colpite sono l’anca, il ginocchio, la tibio-tarsica. Quando vengono colpite,

queste articolazioni sono molto infiammate e anche la cute sovrastante è molto infiammata, è

proprio la tipica infiammazione: rossa, dolente con impotenza funzionale.

Sono frequenti anche l’interessamento dei tendini e quello delle entesi: quindi la fascite plantare,

la tendinite Achillea o anche la borsite dell’anca.

L’artrite acuta ha generalmente una risoluzione benigna a volte anche spontanea, però si

possono verificare con il tempo dei nuovi episodi di sinovite.

Nella forma acuta è principalmente oligoarticolare, nella forma cronica è poliarticolare e infatti

è di tipo aggiuntivo. Sono colpite le articolazioni tibio-tarsiche, metatarso-falangee, il tarso e le

ginocchia, invece nelle forme cronicizzate ci può essere anche l’interessamento del rachide, che

ripete le lesioni che si vedono nella spondilite anchilosante: generalmente sono monolaterali e quindi

asimmetriche anche a livello della sacroiliaca oppure si può avere la formazione di sindesmofiti anche

a livello della colonna [Slide n°107].

CLASSIFICAZIONE

Dal punto di vista classificativo, abbiamo dei criteri maggiori e dei criteri minori.

Il primo criterio maggiore è l’artrite, che deve essere: asimmetrica, mono/oligoarticolare e che deve

interessare gli arti inferiori (almeno 2 di questi devono essere presenti nella forma di artrite).

Il secondo criterio è l’infezione sintomatica antecedente: o l’enterite con diarrea o l’uretrite con

disuria.

I criteri minori, invece, sono evidenza di infezione scatenante, quindi la positività della ricerca

urinaria su tampone cervicale/ uretrale della Chlamydia o la coprocoltura positiva e l’evidenza

di infezione sinoviale persistente con positività della ricerca di Chlamydia Trachomatis.

La diagnosi viene fatta se sono presenti 2 criteri maggiori più un criterio minore ed è definita.

Se, invece, è probabile sono presenti 2 criteri maggiori o un criterio maggiore e un criterio

minore.

La forma acuta è per meno di 6 mesi e la forma cronica maggiore di 6 mesi.

Va fatta diagnosi differenziale con le artriti microcritalline, perché un ginocchio gonfio lo

possiamo trovare nella gotta, nell’artrite infettiva, nelle monoartriti da psoriasi e anche nell’artrite

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reattiva. Quindi va fatta sempre la ricerca nel liquido sinoviale, quando è possibile, e anche la coltura

del liquido sinoviale, la presenza del fattore reumatoide, la ricerca degli ANA e la ricerca degli

anticorpi anti-Borrelia, perché abbiamo la malattia di Lyme e può essere anche confusa con quella.

Le manifestazioni extra-articolari [Slides n°112-113-114] sono:

- le congiuntiviti

- l’uveite anteriore acuta

- il cheratoderma pseudo-blenorragico

- la balanite circinata

- l’eritema nodoso

- l’onicopatia

- lesioni della mucosa orale, che sono soprattutto le afte dolenti spontanee

- l’interessamento viscerale.

La congiuntivite generalmente è simmetrica, ma è sterile e si ha una remissione completa entro un

mese dalla sua comparsa.

L’uveite anteriore si sviluppa nel 20 % dei pazienti, soprattutto quelli che hanno un HLA B27 positivo.

Il cheratoderma è caratterizzato dalla comparsa di lesioni eritema-papulose alla pianta dei piedi o al

palmo della mano: vedete queste lesioni tipiche in questi pazienti.

Invece, la balanite si presenta con eruzioni eritematose a livello del glande.

L’onicopatia è, in pratica, l’onicopatia che troviamo nella psoriasi.

Possono essere presenti anche pericardite, disturbi della conduzione atrioventricolare e l’aortite.

ESAMI DI LABORATORIO [Slide n°115]

- Aumento degli indici di flogosi, sia della VES che della PCR.

- Esame del liquido sinoviale ci mostra un liquido infiammatorio non settico, quindi un aumento dei

leucociti>30.000, ma che non superano mai i 50.000, perché dopo i 50.000 è settico.

- È importante l’esame colturale delle feci per vedere se c’è stata un’infezione gastro-enterica.

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- Emocolture

- Tampone uretrale della cervice uterina, se c’è stata un’infezione di queste zone.

Quando si sviluppa l’artrite, generalmente la ricerca di questi test può risultare negativa, perché ormai

l’evento infettivo è passato. Quindi si fa la diagnosi clinicamente, con l’anamnesi e con la clinica.

Si possono dosare gli anticorpi per questi batteri, che possono essere considerati.

La Sindrome di Reiter è caratterizzata da artrite, uretrite non gonococcica e congiuntivite.

Questo tipo di artrite reattiva è caratterizzata da questa triade.

L’insorgenza, generalmente, avviene dopo 1-3 settimane dall’infezione, che può essere:

- se la trasmissione è oro-fecale: la Yersinia enterocolitica, la Shigella flexneri o dysenteriae, il

Campilobacter jejuni, la Salmonella typhimurium o enteritidis

- se la trasmissione è sessuale: la Chlamydia trachomatis e l’Ureaplasma urealyticum.

Questi sono gli agenti eziologici che vanno ricercati o comunque vanno ricercati gli anticorpi verso

questi agenti infettivi.

ESAMI STRUMENTALI [Slide n°118]

Dal punto di vista strumentale, invece, le alterazioni radiologiche nelle forme cronicizzate ci danno:

- erosioni marginali della corticale dell’osso

- proliferazione ossea, quindi la neoapposizione

- presenza di entesiti con erosione e speroni ossei

- interessamento assiale, quindi la presenza di sindesmofiti

- la presenza di sacroileite.

ANATOMIA PATOLOGICA [Slide n°119]

- Sinovite/ entesite acuta presenta soprattutto neutrofili e linfociti, invece, in quella cronica,

prevalgono le cellule mononucleate e determinano generalmente erosione cartilaginea o erosione

ossea.

- Aspetto di periostite e iperosteosi reattive, che si presentano soprattutto quando ci sono speroni

ossei o i sindesmofiti.

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- A livello cutaneo, agli annessi, si riconoscono aspetti di ipercheratosi che sono simili a quelli

psoriasici.

PATOGENESI

Anche in questo caso abbiamo infezioni delle mucose o gastro-intestinali o uro-genitali. La

batteriemia raggiunge le articolazioni e poi può essere eliminata e quindi si ha una restitutio ad

integrum. Se però c’è una replicazione genetica [la Prof.ssa dice replicazione genetica, ma penso

volesse dire replicazione del germe] laddove c’è una predisposizione genetica e se c’è un’alterata

risposta immunologica con la resistenza del germe o con un’infezione subclinica, si può andare alla

tolleranza e la immunostimolazione.

La replicazione del germe forma direttamente l’artrite settica, come abbiamo visto prima.

Quando, invece, è a distanza di tempo si forma l’artrite reattiva.

[Slides n°121-122] Qua vi dice, in sostanza, come l’HLA B27 determina la malattia. Proprio la molecola

dell’HLA B27 può presentare i peptidi artritogeni, è implicata nella deplezione timica dei linfociti e

quindi ha un ruolo scatenante in questo tipo di malattia. Per questo, si ricerca sempre questo tipo di

antigene quando si vuole confermare la diagnosi, perché è proprio la base dello sviluppo della

malattia.

[la Prof.ssa parte con una serie di slides di ricapitolazione]

Quindi, le artriti reattive post uretritico/dissenteriche sono incluse tra le artriti reattive e comprese

tra le artriti da agenti infettivi e possono portare anche le spondiloartriti sieronegative, dette

entesoartriti. L’associazione di artrite, uretrite e congiuntivite prende il nome di Sindrome di Reiter,

attualmente identificata come Reactive Arthritis. [Slide n°123]

L’infezione intestinale può essere dovuta a questi di germi: Salmonella, Yersinia, Shigella, Clostridium

ecc, quelle uro-genitali da Chlamydia e Ureaplasma. [Slide n°124]

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La presenza dell’allele HLA B27 sembra conferire la suscettibilità a sviluppare quest’artrite reattiva di

tipo spondilitico con coinvolgimento soprattutto delle sacroiliache e con un maggior rischio di

cronicizzazione.

C’è l’interessamento articolare entesitico e le manifestazioni extra-articolari che sono: la congiuntivite,

l’uveite, l’onicopatia e tutte le cose che vi ho detto prima, ma ve le ho riassunte qua. [Slide n°126]

Questi sono i meccanismi patogenetici che già abbiamo visto. [Slide n°127]

La Chlamydia thracomatis si presenta in circa il 50 % dei casi delle artriti post-uretritiche. L’ipotesi

patogenetica più accreditata è che il microorganismo viene trasportato nella membrana sinoviale nello

stato di persistenza da monociti infettati circolanti, viene inattivato metabolicamente, però poi è

disponibile per l’interazione contro le cellule dell’organismo. Quindi è come se fosse un’infezione

latente e poi, nel momento in cui c’è uno stress o uno starter, si può attivare e quindi

determinare poi l’artrite [Slide n°128].

TERAPIA

Dal punto di vista della terapia, possono essere usati

- i FANS o i COXIB

- i cortisonici sono molto limitati, ma comunque possono essere fatti per via sistemica per un tempo

abbastanza limitato

- possono essere usati gli antibiotici nelle forme acute e anche in quelle cronicizzate

- inoltre, nelle forme in cui è passata la fase acuta e poi si ripresenta la malattia, è importante fare la

terapia con farmaci di fondo: con la sulfasalazina o con il metotrexate

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- nei casi non controllati dal trattamento convenzionale, anche gli anti-TNFα (in questo caso bisogna

fare attenzione che non ci sia un’infezione latente da Chlamydia perché, altrimenti, poi si riattiva la

malattia).

ARTRITI ENTEROPATICHE

Le artriti enteropatiche [Slide n°132] sono delle artropatie associate alle malattie infiammatorie

croniche intestinali, in particolare la malattia di Crohn e la rettocolite ulcerosa ed anche altre forme,

come la sindrome da bypass intestinale e l’artropatia associata a celiachia, che però non vi riporto.

La classificazione è in 3 forme: [Slide n°133]

- quella pauciarticolare, in cui sono coinvolte meno di 5 articolazioni

- quella simmetrica poliarticolare, in cui sono coinvolte più di 5 articolazioni

- quella spondiloartritica, che generalmente è la più frequente.

La prima forma si autolimita e può precedere la diagnosi di malattia intestinale. La seconda forma è

più a lunga durata. In entrambi i casi l’artrite tende ad essere non erosiva e non deformante.

Il tipo I si associa all’HLA B35 o B27; il tipo II, invece, all’HLA B44. L’associazione si riscontra sia nei

pazienti con rettocolite ulcerosa che con malattia di Crohn. Questo suggerisce che i geni HLA abbiano

un ruolo importante nell’influenzare il decorso dell’artropatia. Praticamente, i pazienti con la

rettocolite ulcerosa o il morbo di Crohn non hanno un’alterazione dell’HLA, però quando ce

l’hanno generalmente sviluppano l’artrite: quindi un segno prognostico negativo per la

formazione di artrite.

EPIDEMIOLOGIA

Dal punto di vista epidemiologico, l’impegno articolare va dal 17% al 39%. Il coinvolgimento assiale è

fino al 25% e può presentarsi come una sacroileite, generalmente asintomatica; infatti, ci sono dei

pazienti che hanno malattie infiammatorie e che hanno una forma silente di artrite. Ù

L’anno scorso una vostra collega ha fatto la tesi proprio su questo tipo di manifestazioni: abbiamo

valutato i pazienti dell’ambulatorio gastro-intestinale che avevano malattie infiammatorie e all’esame

reumatologico non avevano dolore da nessuna parte; abbiamo fatto fare l’ecografia dove stanno le

entesi, cioè spalle, gomiti, ginocchio, anca e piede e abbiamo visto che c’è un’alta prevalenza di pazienti

che hanno un interessamento entesitico, nonostante siano asintomatici. È stata una bella tesi ed è stata

anche pubblicata e presentata in vari congressi.

Quindi, c’è questa sacroileite asintomatica, ma c’è anche un’entesite asintomatica.

Queste sono le varie percentuali dell’interessamento. Vedete, le entesiti sono interessate fino al 50%

dei casi.

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EZIOPATOGENESI

Dal punto di vista eziopatogenetico, la prima teoria è che i linfociti attivati a livello intestinale vadano

incontro ad un ricircolo e ad una successiva aberrante localizzazione in altre sedi che sono il fegato,

l’occhio, il tessuto sinoviale. I linfociti intestinali, poi, sono in grado di legarsi alla sinovia grazie alle

proteine di adesione vascolare. Questa ipotesi è stata confermata dal fatto che i linfociti intestinali

vengono ritrovati anche a livello plasmatico e a livello sinoviale (quindi le stesse cellule).

La seconda ipotesi, invece, è che ci siano dei microorganismi intestinali, il microbiota, cioè tutto

l’insieme della flora intestinale, che vadano ad attivare la risposta immunologica, determinando una

disregolazione dell’IL-23, che può generare una condizione sistemica extra-intestinale, cioè

soprattutto a livello articolare. Uno dei farmaci infatti più all’avanguardia in questo momento è

proprio l’Ustekinumab, che è un anti-IL23, che agisce sia a livello articolare sia a livello intestinale.

La predisposizione genetica, come vi ho detto, è importante [Slide n°138].

Questo [Slide n°140] è quello che vi dicevo prima sull’IL-23: questa regola il Th17 e questo è alla base

dell’attivazione della cascata di tutte le cellule infiammatorie, le molecole infiammatorie. Quindi, agisce

proprio a monte e blocca tutta la cascata infiammatoria, perciò questo farmaco ha degli ottimi risultati

in questa tipologia di pazienti.

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DIAGNOSI

La diagnosi è prettamente clinica e si basa sul riscontro di un’artrite periferica o di un impegno

assiale in pazienti che hanno malattia infiammatoria cronica. Si può avere un aumento degli indici di

flogosi, VES e PCR, che a volte può dipendere dalla malattia intestinale cronica stessa, non

necessariamente dall’artrite. Infine, la ricerca dell’HLA-B27 ci può aiutare nella diagnosi [Slide n°141]

IMAGING

Per quanto riguarda le indagini

radiologiche, anche qui ci sono,

come per le altre artriti, fenomeni

proliferativi, come sindesmofitosi e

così via.

TERAPIA [Slides n°143-144]

Questa è una malattia che va seguita da entrambi gli specialisti.

Per quella di I tipo possono essere usati gli steroidi e i DMARDs, cioè salazopirina o metotrexate e, in

caso di mancata risposta, gli anti-TNFα. Tra i DMARDs la sulfasalazina è quella più utilizzata, perché

ha anche un effetto sull’intestino. Anche il metotrexate agisce sulle articolazioni, ma anche

sull’intestino.

Quelle di II e III tipo possono essere trattate con una terapia apposita, soprattutto con analgesici e

steroidi.

I COXIB e gli antinfiammatori non vanno mai utilizzati in questi pazienti, perché peggiorano la

sintomatologia gastro-enterica. Quindi, i FANS sono proibiti in questi pazienti.

In conclusione:

✓ L’interessamento scheletrico può essere o spondilite con sacroileite o possibile oligo-monoartrite periferica o entesite e tendiniti.

✓ Altre manifestazioni extra gastro-intestinali sono: uveiti, congiuntiviti, eritema nodoso, pioderma gangrenoso.

✓ Il trattamento utile è la salazopirina nelle forme periferiche; mai FANS e COXIB; in caso di mancata risposta ai DMARDs si passa agli anti-TNFα.

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Cuomo – Lezione 7 (22-03-17) – Lupus Eritematoso Sistemico

Sbobinatore: Andrea Tozzi

Coordinatore: Riccardo Riccardi

LUPUS ERITEMATOSO SISTEMICO (LES)

Il LES è una malattia del connettivo ma ha una prognosi infausta quando viene diagnosticata con

ritardo perché è una malattia che può prendere vari organi e può essere mortale. Si tratta di una

malattia autoimmune sistemica; è infiammatoria cronica ed ha un’eziologia multifattoriale. La

patogenesi è autoimmune perché ci sono sia una serie di autoanticorpi che formano immunocomplessi

sia anticorpi che agiscono contro i vari organi. Si scatena quindi tutta la cascata infiammatoria che poi

è proprio alla base dell’infiammazione presente negli organi di questi individui. Gli anticorpi che

vengono prodotti sono rivolti verso numerose specificità antigeniche soprattutto contro gli antigeni

nucleari. Nel lupus abbiamo la positività degli ANA(anticorpi anti-nucleo), tra il 90 e il 100% quindi

uno dei criteri con il quale si fa diagnosi è il dosaggio di essi. Assodato che è una malattia autoimmune

sistemica cronica, è importante sapere che questi autoanticorpi vanno a legarsi a degli antigeni self

che sono delle proteine plasmatiche che possono essere componenti del complemento, (nel lupus

troviamo spesso un consumo di complemento), fattori della coagulazione ( questi soggetti vanno

spesso incontro a trombosi), antigeni della matrice cellulare , componenti citoplasmatici (quindi

microfilamenti, microtubuli, ribosomi), RNA e infine contro il DNA nucleolare, riboproteine e istoni.

Questa malattia è considerata un prototipo delle reazioni ipersensibilità di III tipo, infatti i

complessi antigene-anticorpo vanno a depositarsi nei tessuti determinando vasculite. A livello renale

determinano glomerulonefrite che poi si divide in vari tipi mentre a livello articolare si sviluppa

sinovite. Possono andare a depositarsi in tutti gli organi perché la vasculite la posso trovare a livello

cerebrale, a livello cardiaco a livello polmonare e cosi via.

Eziologia

L’eziologia è sconosciuta ma come per tutte le atre malattie autoimmunitarie c’è sempre la

predisposizione genetica. Tutti gli anticorpi che si formano, tutti gli immunocomplessi, tutto il

meccanismo patogenetico lavora su un tappeto di predisposizione genetica. Quali sono i potenziali

fattori eziologici della malattia? Possono essere chiamati in causa i virus soprattutto l’Epstein-Barr,

gli ormoni soprattutto gli estrogeni, (infatti questa è una malattia frequente nelle donne giovani in cui

la produzione di estrogeni è molto alta), la predisposizione genetica e in particolare l’HLA-B8 e i

farmaci soprattutto la procainamide.

Il lupus da farmaci ha un’evoluzione diversa dal lupus sistemico e nel lupus da farmaci gli ANA sono

presenti al 100%, quindi non potete fare la diagnosi di lupus da farmaci se non c’è la positività di ANA.

Quando poi viene corretta la patologia eliminando i farmaci ed eseguendo una terapia adeguata, gli

ANA subito scompaiono.

Qual è l’andamento eziologico? L’età colpita è tra i 15 e i 40 anni con il 90% di prevalenza delle donne

rispetto agli uomini. Se il lupus si presenta invece durante l’infanzia o dopo i 65 anni il rapporto

maschi/femmine si riduce a 2:1. L’incidenza è di 2-10 per 100mila casi, la prevalenza è di 15-50 per

100mila casi ed è presente una correlazione famigliare tra i parenti di primo grado, una concordanza

per gemelli omozigoti evolutivo del 25/50%

Patogenesi

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Questi potenziali fattori eziologici determinano una perdita della tolleranza e agiscono su quei

soggetti che hanno una suscettibilità acquisita ad auto-antigeni. Questo determina un’attivazione delle

cellule T CD4+ che agiscono attivando le cellule B anzi iperattivando le cellule B originali perché c’è la

produzione di anticorpi tra cui gli anti-dsDNA (double stranded DNA). In più c’è la formazione di

immunocomplessi, quindi antigene-anticorpo che possono essere rilasciati in circolo oppure possono

legarsi ai tessuti determinando il danno tissutale che si traduce nella vasculite generalizzata, a livello

dei reni in glomerulonefrite, a livello dell’articolazione la sinovite, a livello di pleura e pericardio la

sierosite.

Clinica

È una malattia molto complessa: ci sono delle manifestazioni molto eterogenee e la severità è

estremamente variabile perché può colpire uno solo oppure più organi. Può presentarsi all’esordio con una polisierosite (pericardite, pleurite e anche una peritonite), può presentarsi solo con l’artrite

oppure può manifestarsi direttamente con una trombosi.

Il decorso è caratterizzato dall’alternanza di fasi di attività a fasi di remissione che in genere sono

dovute all’utilizzo dei farmaci soprattutto corticosteroidi e immunosoppressori nelle fasi attive con il

miglioramento della sopravvivenza a lungo termine oltre che del quadro clinico. Essendo una malattia

cronica, c’è bisogno dell’utilizzo di farmaci in modo cronico in particolare i corticosteroidi che però

presentano degli effetti collaterali come osteoporosi precoce e ipertensione. L’uso prolungato di

questi farmaci comporta anche l’accelerazione di processi infiammatori cronici primo tra tutti

l’aterosclerosi.

Diagnosi

La diagnosi si basa sulla presenza di almeno 4 tra gli 11 criteri proposti dalla ricerca.

Quali sono questi criteri?

• Rash malare

• Rash discoide

• Fotosensibilità: l’esposizione ai raggi ultravioletti aumenta questa formazione di rash,

• Ulcere orali

• Artrite (generalmente non erosiva) di almeno 2 o più articolazioni. Nel 95% dei casi non è

erosiva, però ci sono dei casi in cui può esserlo. Ci sono anche le classiche forme dell’artrite di

Jaccoud (Jaccò), un’artrite deformante che però coinvolge solo una piccola percentuale di

soggetti.

• Sierosite pleurica, pericardica e del peritoneo.

• Malattia renale che si può presentare con una proteinuria superiore ai 500mg/die oppure con

la presenza di cilindri nelle urine. Quindi nei soggetti in cui si sospetta il lupus, l’esame più

facile da effettuare è l’esame delle urine perché ci permette di valutare la presenza e l’attività

della malattia. La presenza di cilindri sta ad indicare attività di malattia; la proteinuria può

indicare anche un danno. Se c’è già stato un danno a livello renale, le proteine vengono sempre

perse. Se aumenta la proteinuria vuol dire che la malattia è attiva.

• Malattia neurologica. La presenza di convulsioni o di psicosi è uno dei criteri del lupus.

• Malattia ematologica. Questi pazienti possono presentare anemia emolitica, una leucopenia

con i bianchi inferiori ai 4000/mm3, linfociti minori di 1500/mm3 e piastrine inferiori di

100.000/mm3. Ciò ci mostra quanto è importante l’emocromo in questi pazienti. Quindi

l’esame delle urine serve per valutare il danno renale, l’emocromo per la malattia ematologica.

• Disordini immunologici; in questo caso parliamo di anticorpi che sono il LAC (lupus

anticoagulant), ACA(anticorpi anti-centromero) e gli anti-DNA. Questi ultimi ci indicano

l’attività della malattia e generalmente vengono monitorati durante la terapia perché

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l’abbassamento e la negativizzazione di questi anticorpi implica che la malattia è in remissione.

Altri marker diagnostici al 100% per questi soggetti sono la VDRL (sarebbe la reazione per la

sifilide),

• l’ANA positività .

Il primo criterio è il rash malare che è una lesione tipica del lupus cutaneo acuto perché si può

presentare anche solo come interessamento della cute. È una lesione eritematosa e edematosa

localizzata nelle regioni malari e sul dorso del naso. Si tratta di un rush a farfalla con esclusione delle

zone periorbitali. Viene scatenato spesso dalla luce del sole quindi dai raggi ultravioletti. Il lupus

cutaneo acuto oltre al volto, si può presentare anche sulle mani ed è caratteristicamente

interarticolare e non sulle nocche come avviene nella dermatomiosite. Nella dermatomiosite avremo

queste caratteristiche lesioni eritematose però sulle nocche. L’aspetto è diverso anche perché ci sono

altre lesioni come le papule di Grotton, oppure le caratteristiche lesioni che fanno diventare le mani

come quelle di un meccanico perché vengono a formarsi delle strie nere.

Il secondo criterio è il lupus discoide. Può presentarsi a livello del dorso, a livello del volto, sotto il

padiglione auricolare e rappresenta la forma più comune di lupus cutaneo cronico. Abbiamo visto le

manifestazioni della forma acuta con l’eritema a farfalla e l’eritema sulle mani. Le manifestazioni di

lupus cutaneo cronico sono placche che si presentano in forma eritematosa, rotondeggianti e ben

definite. Sono rilevate rispetto al piano cutaneo e hanno la forma di una monetina. La localizzazione è

al cuoio capelluto, al volto, dietro le orecchie , al collo e anche nelle aree non foto esposte. Questo sta a

significare che non sono scatenate dalla luce ultravioletta come quelle precedenti. Le lesioni possono

evolvere con un’area eritematosa indurativa attiva all’esterno e con un’area atrofica all’interno,

irreversibile e cicatriziale (sono proprio delle escavazioni sulla cute). Questo è un lupus discoide[slide

10-11], cioè forma proprio delle cicatrici dove si forma la lesione, come se proprio mangiasse la parte

interessata. Il lupus discoide è una forma che però colpisce solo la cute. E’ drammaticamente brutto

perché forma queste cicatrici, però sono risparmiati gli organi interni. La malattia si localizza

soprattutto al collo e si rende evidente anche all’addome, al cuoio capelluto alle orecchie e al volto. A volte si ha anche alopecia areata, chiazze di alopecia piuttosto cicatriziali. Questa è un’altra forma

(slides 12) con questa alopecia cicatriziale che poi è permanente, perché chiaramente formandosi le

aree cicatriziali i bulbi piliferi non ci sono più.

Il terzo criterio è la fotosensibilità. Si presentano le lesioni cutanee del lupus sub-acuto. Si localizza

soprattutto nelle aree esposte che sono rappresentate dalle spalle, dalle braccia, dal tronco e dal collo.

Si associa alla presenza di anticorpi anti-Ro/SSA(Gli anticorpi anti-SS-A, anche chiamati anti-Ro o, in

combinazione, anti-SS-A/Ro, sono autoanticorpi diretti verso antigeni nucleari estraibili associati a

numerose malattie autoimmuni. Fonte: Wikipedia), che ritroviamo anche nella forma di Sjorgen (leggi

Shirgen). Sono molto importanti da monitorare soprattutto nelle donne in gravidanza perché la

presenza di questi anticorpi determina un blocco atrio-ventricolare del feto. Se sono presenti questi

anticorpi all’inizio della malattia, va sempre ricercato il titolo. Le pazienti in stato di gravidanza

devono essere sottoposte ad ecocardiogramma fetale dal 5° mese e si deve effettuare una profilassi

con cortisone, in particolare con desametasone.

Come sono le lesioni dovute alla fotosensibilità? Possono essere anulari o papulosquamose e

guariscono senza esiti cicatriziali, però si può avere un’alterazione della pigmentazione.

Il quarto criterio sono le ulcere orali. Sono afte che si possono presentare sia al palato sia all’interno

delle labbra e sono spontaneamente dolenti. Le afte dovute alla mononucleosi o altre eziologie sono

dolenti solo se si ingerisce qualcosa di piccante mentre queste sono dolenti spontaneamente, anche se

uno non beve o non mangia.

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Il quinto criterio è l’artrite la quale si presenta simmetrica e non erosiva. Può colpire un po’ tutte le

articolazioni soprattutto quelle di mani, polsi e ginocchia. Ci sono due tipi di artriti deformanti. La

prima è quella di Jaccoud. E’ quella più frequente, si trova in una piccola percentuale dei casi, però

rappresenta il 10-35% delle artropatie deformanti. E’ dovuta a lassità della capsula articolare, dei

tendini e dei legamenti con instabilità dell’articolazione. L’articolazione presenta una deviazione

ulnare e una deformazione delle dita “a collo di cigno” oppure a zeta [slide 16]. La seconda forma è la

poliartrite da Rufus, cioè l’associazione tra artrite reumatoide e lupus che rende la lesione

chiaramente erosiva e simmetrica. Ci sono dei casi in cui l’artrite può evolvere in osteonecrosi e

questa è una complicanza grave perché si ha una necrosi della testa del femore o dell’omero e in

questo casi si deve andare incontro ad un trattamento chirurgico. L’osteonecrosi è collegata all’uso di

corticosteroide, a vasculite dei piccoli vasi o agli anticorpi anti-fosfolipidi.

Sesto criterio: Pleurite e pericardite. La pericardite si presenta nel 30% dei pazienti. Può essere

modesta, raramente dovuta a tamponamento cardiaco. Il coinvolgimento valvolare invece si può avere

in pazienti con lupus e si presenta come un’endocardite verrucosa di Liebman-Sacks. Possiamo avere

interessamento del miocardio, dell’endocardio e del pericardio tuttavia la componente maggiormente

colpita è prorpio quest’ultimo. Un'altra patologia importante è l’aterosclerosi accelerata che colpisce

le giovani donne. Esse hanno un rischio di sviluppare malattie cardiovascolari 50 volte superiore

rispetto alla popolazione generale, quindi una percentuale molto alta. I fattori di rischio

dell’aterosclerosi accelerata sono: l’età giovanile, la flogosi sistemica, la presenza di anticorpi anti-

fosfolipidi e la presenza di anti-Ro/SSA e anti-LDL ossidate.

Per quanto riguarda l’impegno polmonare? L’interessamento di quest’organo è presente nel 50% dei

casi, è bilaterale e può essere modesto. Può presentarsi una polmonite, però non è infettiva. Può

manifestarsi un’embolia polmonare che chiaramente peggiora la prognosi perché questi pazienti

hanno una sintomatologia molto accentuata (dispnea, tachicardia, febbre).

Settimo criterio: le alterazioni renali. L’impegno renale in corso di LES si presenta nel 50% dei

pazienti, però alcune casistiche riportano percentuali più basse, altre percentuali più alte. Le lesioni

renali del LES determinano lo sviluppo di glomerulonefriti. Questo è un fattore prognostico negativo.

L’organizzazione mondiale della sanità(OMS) ha suddiviso le glomerulonefriti in 6 tipi.

Sono divise in classi, dalla classe 1 alla classe 6:[slide 21]

• La prima è una malattia glomerulare minima. C’è assenza di alterazioni cliniche e anche le

indagini di laboratorio sono normali.

• La classe seconda è una glomerulonefrite mesangiale in cui possiamo trovare una lieve

proteinuria e delle modeste alterazioni del sedimento paccompagnate da ipercellularità e

ispessimento mesangiale. C’è anche un incremento della deposizione di immunocomplessi.

• La terza classe è invece la glomerulonefrite proliferativa focale. Le caratteristiche sono

ipercellularità segmentale e necrosi che colpisce meno del 50% dei glomeruli. Ci sono

depositi di immunocomplessi sia mesangiali che sub-endoteliali. Dal punto di vista clinico

si ha proteinuria, però si hanno alterazioni del sedimento urinario. L’alterazione funzionale

renale in questa fase non è molto attiva. Raramente può svilupparsi una sindrome

nefrosica

• La quarta classe è la glomerulonefrite proliferativa diffusa, che colpisce più del 50% dei

glomeruli. La proteinuria è di tipo nefrosico, ma c’è anche ematuria oltre a proteinuria. E’

presente ipertensione arteriosa e il paziente va incontro ad insufficienza renale quindi è

alterata anche la creatinina e l’azotemia.

• La classe quinta è la glomerulonefrite membranosa in cui si ha un ispessimento

generalizzato di tutti i capillari glomerulari, la presenza di depositi di immunocomplessi e

si presenta clinicamente come una sindrome nefrosica con possibile conclusione con

insufficienza renale cronica.

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• La sesta classe che sarebbe la sclerosi glomerulare che chiaramente è la parte finale

dell’insufficienza renale.

Quindi l’interessamento renale nel lupus si manifesta con glomerulonefrite che può variare a seconda

del danno e del deposito di immunocomplessi.

Come si fa ad individuare la proteinuria? Con l’esame delle urine, il test della funzionalità renale e la

proteinuria nelle 24 ore. Quindi quando noi ci troviamo davanti ad un esame delle urine dove è

presente proteinuria si chiede al paziente la raccolta delle urine nelle 24 ore che si fa in questo modo:

le urine del mattino vengono buttate, poi si raccolgono quelle durante tutta la giornata, la notte e il

mattino successivo. Successivamente si vede la quantità di urina prodotta e si raccoglie un campione

che viene portato in laboratorio. Le alterazioni renali più importanti oltre all’esame delle urine,

proteinuria e presenza dei cilindri chiaramente è la biopsia renale che ci dice quale tipo di

glomerulonefrite è presente in quel momento e qual è l’attività di malattia; ci garantisce poi l’utilizzo di

farmaci appropriati. Questa chiaramente è una glomerulonefrite diffusa proliferativa che rappresenta

la prognosi peggiore perché è interessato più del 50% dei glomeruli (slide 23). Il lupus è raro nei

maschi ma quando è presente è grave. Fattori di rischio che predispongono all’interessamento renale

sono la razza nera, il basso livello socioeconomico, la presenza di ipertensione arteriosa e l’elevata

attività di malattie extrarenali.(ES: una sierosite o impegno vasculitico). La gravidanza e l’incremento

della creatinina sono un fattore prognostico negativo. Quindi quando troviamo creatinina alta già

dall’inizio della malattia, sindrome nefrosica persistente, un basso livello di complemento e alti titoli di

anti-ds DNA la diagnosi di LES è presto fatta.

Ottavo criterio: L’impegno neurologico. Si manifesta con delle sindromi neurologiche e

psichiatriche:. Le prime sono: meningite asettica, malattia cerebro-vascolare, sindrome

demielinizzante, cefalea, disordine nel movimento, mielopatia e convulsioni. Per quanto riguarda le

manifestazioni psichiatriche ricordiamo: stato confusionale acuto, disturbi dell’ansia, disfunzione

cognitiva, disturbi dell’umore, psicosi. Questi disturbi si possono avere anche indipendentemente dal

lupus però va sempre ricercata la genesi autoimmunitaria in pazienti che già hanno una malattia di

base e che possono sviluppare uno di questi disturbi. Sempre per quanto riguarda l’impegno

neurologico c’è anche un impegno del sistema nervoso periferico. Si può avere una poliradicolonevrite

demielinizzante acuta, paralisi periferiche, disturbi del movimento, disordini autosomici,

motoneuropatia e una neuropatia dei nervi cranici.

Nono criterio: le alterazioni ematologiche. Si può avere un’anemia emolitica, leucopenia,

trombocitopenia e linfocitopenia. Quindi sono bassi i globuli bianchi, i linfociti, le piastrine e

siamo…(30.18).

Decimo criterio: le alterazioni immunologiche. Le più importanti sono gli anticorpi anti-ds DNA e

gli anti-sm che sono proprio diagnostici del lupus.

Gli anticorpi anti-ds DNA quali sono? Sono specifici del LES, hanno una prevalenza che varia dal 50 al 90% a seconda dei metodi che vengono utilizzati per l’esame. Rappresentano un marker di attività e

complicanze neurologiche. Sono l’autoanticorpo più significativo. Lo starter che lo sviluppa non è

ancora stabilito, però si ritiene sia coinvolta una genesi multifattoriale: target antigenico materiale

genomico oppure anticorpi che cross-reagiscono con antigeni tissutali, renali. L’associazione con altri

anticorpi sottende un interessamento sistemico. La coesistenza anti-ds DNA, lupus coagulant e

anticardiolipina è la forma con la più alta ioncidenza di trombosi e di livedo reticularis. Le

anticardiolipine lupus coagulant le possiamo trovare anche nella sindrome da anticorpi anti-

fosfolipidi che è caratterizzata da trombosi oppure da infarti placentari, determinando poliabortività.

Quando coesiste nel lupus questa associazione tra anti-ds DNA, Lupus coagulant e anticardiolipina si

parla di una forma severa. La coesistenza di anti-ds DNA e anti-Ro può sviluppare sindrome di

Sjorgen.

Quali sono i metodi di indagine per valutare la presenza di anticorpo anti-ds DNA?

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• Il test di Farr è un test quantitativo molto sensibile e molto specifico e evidenzia gli

anticorpi ad alta avidità.

• Il test di immunofluorescenza indiretta su Crithidia Lucilae è altamente specifico ma

poco sensibile e evidenzia anticorpi ad alta e media avidità, non permette però valutazioni

quantitative molto accurate.

• Il test ELISA è invece un test quantitativo poco specifico ma molto sensibile ed evidenzia

anticorpi ad alta e bassa avidità.

Nel lupus poi si possono trovare anche gli anticorpi anti-ENA ( antigeni nucleari estraibili) che sono

degli autoantigeni solubili, estraibili in soluzione salina dal nucleo e dal citoplasma cellulare. Ce ne

sono diversi, però alcuni sono specifici per il lupus, altri sono specifici per la sclerosi e così via. Sono

autoantigeni intracellulari, solubili ed insolubili, bersagli di autoanticorpi e sono clinicamente

importanti nelle malattie autoimmuni.

Vi riporto qui quelli più importanti che poi li ritroviamo nelle connettiviti più frequentemente:

• L’antigene-sm ha un’alta specificità nel LES e infatti si presenta nel 100% come

specificità(quando è presente questo anticorpo sicuro c’è il LES, però non tutti quelli che hanno

il LES hanno questo anticorpo).

• Gli RNP-ag sono delle proteine nucleari m.a. associate (associate a malattie autoimmuni: m.a.

associate) con funzione di rimuovere le sequenze non contenenti RNA per una corretta

funzione del RNA. Le principali classi di RNP sono: U1, U2, U4/U6, U5 e sono associate a

numerose malattia autoimmuni (il LES, l’artrite reumatoide, la sclerosi sistemica e soprattutto

la malattia mista del tessuto connettivo(MCTD)). Per poter fare diagnosi di questa malattia( si

riferisce alla MCDT) questi anticorpi devono essere ad un titolo molto alto.

• Gli antigeni RNAP I-III sono altamente specifici nella sclerosi sistemica, nella forma diffusa e

nelle forma in cui si sviluppa la CRS e sono associati ad alta mortalità.

• Gli antigeni RNAP II sono riscontrati in pazienti con sindrome da overlap, nella sclerosi

sistemica e lupus.

• Gli antigeni scl 70 o anti-topoisomerasi I sono specifici della variante diffusa della sclerosi

sistemica (in quella limitata sono aumentati soprattutto gli ACA cioè gli anticorpi anti-

centromero). Questi anticorpi si correlano con l’estensione e l’attività di malattia.

• Antigeni SSA-Ro che sono caratteristici della sindrome di Sjorgen e possono essere presenti in

connettiviti indifferenziate e nel LES neonatale, subacuto e cutaneo.

• Gli SSB-La sono specifici per la sindrome di Sjorgen.

• Gli antigeni Jo-1 sono riscontrati nella dermato-poli-miosite.

• Porine(sulle slide chiamate comunemente proteine) associate al centromero cioè i

cosiddetti ACA che sono i CEMP-A e i CEMP-B. Caratteristici della sclerosi sistemica variante

limitata, però possono trovarsi anche nel LES, la sindrome di Sjorgen, nell’artrite reumatoide e

possono essere presenti anche nella cirrosi biliare primitiva. Rappresentano un fattore

prognostico per l’ipertensione portale. Vengono evidenziati in immunofluorescenza indiretta

su cellule epatica di ratto.

• Gli antigeni ribosomiali sono ricercati con tecniche di precipitazione su agar. Sono presenti

con attività di malattia nel LES,nell’artrite reumatoide e nell’epatite cronica attiva.

• Gli antigeni proteici p-ribosomiali che invece sono diretti contro le fosfoproteine ribosomiali

p0, p1, p2 e sono specifici invece del neuroLES, cioè l’interessamento neurologico del LES.

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• Istoni : Ab anti istoni sono caratteristici del lupus da farmaci oltre agli ANA che devono essere

sempre al 100%.

Qual è il ruolo degli anticorpi di cui abbiamo parlato prima? Si legano agli antigeni di superficie.

Quando si legano ai globuli rossi determinano l’anemia emolitica, quando si legano alle piastrine

determinano piastropenia autoimmune, quando si legano a neutrofili e linfociti determinano

ovviamente leucopenia. Inoltre formano degli immunocomplessi, quindi si legano al DNA e in questo

caso sono specificamente presenti nella nefrite lupica, vasculiti ed artrite. Il LAC (Lupus anticoagulant)

e gli anticorpi anti-fosfolipidi sono alla base delle trombosi mentre gli anti-ds DNA, gli anti-SSA/Ro

sono tipici della fotosensibilità e del rash del LES neonatale. Gli anticorpi anti-fosfolipidi quali sono?

Sono il LAC, anticorpi anti-cardiolipina e anticorpi anti-glicoproteina 1.

L’undicesimo criterio diagnostico che abbiamo presentato prima sono gli ANA, presenti al 90-100%

dei casi. Nel lupus da farmaci, vi ripeto sono il 100% dei casi. Che cosa sono? Sono degli anticorpi IgG diretti contro gli acidi nucleici e contro le varie proteine nucleari. La tecnica di valutazione di questi

anticorpi si fa con immunofluorescenza indiretta e viene fatta su cellule di coltura o sul substrato L2

che è una linea cellulare. Si distinguono nell’ambito della fluorescenza nucleare i pattern: omogeneo,

periferico, nucleolare e centromerico. Nell’omogeneo la fluorescenza ricopre in modo omogeneo

tutto il nucleo ed è tipico del LES. Nel pattern periferico, la fluorescenza è concentrata solo a ridosso

della membrana nucleare. Questa manifestazione è frequente ma non specifica del LES e riflette la

presenza di anticorpi anti-ds-DNA. L’aspetto nucleolare è più specifico della sclerosi sistemica. La

positività (quindi la fluorescenza) è presente solo nell’area del nucleolo perciò è detto nucleolare.

Nella forma centromerica, la positività si dispone nelle regioni centromeriche cromosomiali e questo è

tipico della forma limitata della sclerosi sistemica. Quindi: omogeneo è tipico nel Lupus, periferico è

frequente nel lupus, nucleolare e centromerico specifico della sclerosi sistemica.

Questi sono i pattern con fluorescenza nucleare. Esistono anche quelli a fluorescenza citoplasmatica.

Possono essere di tipo granulare,mitocndriale e ribosomiale. Nel pattern granulare, ritroviamo

delle fini granulazioni disposte vicino al nucleo e sono anticorpi diretti contro la tRNA sintetasi e ab

anti Jo-1. Questo quadro è specifico della dermatomiosite. Nel pattern mitocondriale la fluorescenza è

a tratti regolare con aspetto simil-filamentoso. Evidenzia le proteine mitocondriali M1,M2,M3,M4,M5

ed è associata a cirrosi biliare primitiva e colangite sclerosante primitiva. Poi abbiamo le ribosomiali

dove la fluorescenza è densa e ricopre tutto il citoplasma. Mette in mostra gli anticorpi anti-proteina p

ribosomiali tipici del neuro LES.

Oltre al pattern abbiamo bisogno anche del titolo anticorpale che rappresenta l’ultima diluizione con

la quale è possibile per reperire gli ANA. Possiamo avere diversi risultati ma per avere un significato di

marker ematologico deve essere almeno 1:160. Un valore positivo per gli ANA a 1:80 non ci induce a

pensare che possa essere una malattia reumatica anche perché gli anticorpi anti-1:80 sono presenti

anche nel 32% circa della popolazione. Analizziamo la prevalenza degli ANA nelle malattie

reumatiche: nel Lupus come nella sclerosi sistemica sono positivi nel 90-95-100% dei casi, nella

connettivite mista il 100%, nella polimiosite 95-100%,nel lupus da farmaci 100%, nella sindrome di Sjogren varia fino all’80%. Nell’artrite reumatoidenon facciamo diagnosi sulla prevalenza mediana

però possono essere presenti tuttavia nella forma giovanile a differenza di quella negli adulti è

possibile ritrovare nell’80% dei pazienti.

Il complemento è uno dei parametri che dobbiamo valutare per la diagnosi di lupus perché il consumo

di esso significa iperattività di malattia. Viene consumato attraverso la via classica e vengono valutati

soprattutto C3 e C4. Nel deficit ereditario di Complemento C3 è normale, mentre è inesistente l’attività

emolitica del complemento (CH50 ).

Le lesioni cutanee nel Lupus acuto sono eritemato-papulari. Quelle croniche sono il lupus discoide al

quale si aggiungono anche la vasculite, le ulcere cutanee e la livedo. Adesso vediamo qualche

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immagine. Questa era la vasculite lupoide[slide 47-48] . Vedete come le mani hanno questo aspetto

cianotico. Questa invece è la vasculite e quindi le ulcere cutanee della vasculite. Questa invece è la

panniculite[slide 49]. Si possono formare dei noduli di panniculite che possono esitare in cicatrici

per cui si ha il riassorbimento della cute dove si presentano questi noduli. Il livedo può essere presente

nel lupus, ma questa è una vasculite(slide 51-52). Questa è la livedo che è questa marezzatura che si

può riscontrare soprattutto sulla superficie superiore ma anche inferiore degli arti e generalmente si

nota soprattutto con il cambio di temperatura.

Mortalità e morbidità

Grazie ai nuovi farmaci da immusoppressione, la sopravvivenza a 10 anni è maggiore dell’85% ed è

migliorata rispetto agli anni precedenti. La causa più frequente di morte in questi pazienti è

un’infezione. La causa sono sicuramente i corticosteroidi che sono immunosoppressori. La mortalità tardiva è invece legata alla coronaropatia e i fattori di rischio sono ipertermia, ipertensione, obesità,

la presenza del lupus-anticoagulant e la presenza degli anticorpi anti-fosfolipidi. Frequente è il danno

d’organo quindi in questi pazienti deve essere valutata l’osteoporosi, la coronaropatia, ischemia

cerebrale e insufficienza renale.

Terapia

La terapia va ovviamente individualizzata e dipende anche dall’organo interessato. Lo scopo è di

reprimere le manifestazioni della malattia e di garantire una remissione. In realtà già si hanno questi

flair, cioè questi momenti in cui la malattia si attiva e poi va in remissione,quindi l’obiettivo è quello di

prolungare il periodo di remissione. E’ chiaro che se noi diamo una terapia cronica, dobbiamo

considerare gli effetti cumulativi di danno da farmaci. Quali sono? La terapia di induzione fa ottenere

in maniera rapida il controllo della malattia. La terapia preventiva ci permette controllare le

acutizzazioni mentre la terapia di supporto ci permette di ridurre gli effetti collaterali, controllare gli

eventuali rischi co-esistenti e controllare le sequele corniche. La terapia preventiva come viene fatta? Si consiglia a questi pazienti di evitare l’esposizione solare o di

mettere delle creme a schermo totale poiché ovviamente i raggi UV determinano delle lesioni cutanee

soprattutto a livello delle aree foto esposte. Evitare terapie ormonali, quindi questi pazienti non

possono prendere anticoncezionali o li possono prendere a basso contenuto di estrogeni. Evitare la

somministrazione di vaccini vivi attenuati perché il sistema immunitario è debole e si ha un deficit del

sistema immunitario.

Per quanto riguarda la terapia di induzione come dobbiamo procedere? Se è una malattia moderata, si

somministrano corticosteroidi 0.1-0.2 mg/kg die e si aggiungono gli antimalarici come ad esempio

la protochina che sarebbe la forma non ossidata dell’idrossiclorochina e viene data di solito con un

dosaggio di 400 mg/die oppure in base al peso corporeo. Se invece c’è moderata attività ma anche

artrite, si usa un immunosoppressore che è il methotrexate o ciclosporina. la ciclosporina quando è

associata al lupus è preferibile perché quando (non si capisce1.08.31) ma nel lupus serve anche nella

malattia di base. Se c’è un’alta attività, si danno corticosteroidi a più alto dosaggio anche 1 mg/kg di

peso corporeo, oppure si possono fare dei boli, 500-1000 mg e si fanno 3 giorni consecutivi una volta

al mese per 6 mesi. Questo riduce gli effetti collaterali di una terapia cronica, perché nell’intervallo

puoi dare una terapia più bassa. [ da questa parte in poi gli studenti iniziano ad alzare la voce quindi

quanto sarà riportato non è molto affidabile]. Poi si associa la ciclofosfamide il cui dosaggio in tutta la

terapia non deve superare i 10g ….(1:09:40). Quindi prima si fa l’attacco con la ciclofosfamide, se la

malattia finalmente è andata in remissione si fa la terapia con l’aziatropina che è più blando rispetto al

micofenolato che si da invece nelle cure più aggressive. Recentemente è stata introdotta questa terapia

con gli anti-CD20 (Rituximab). Il Belimumab è un altro anticorpo monoclonale che è stato introdotto

recentemente nella terapia del LES. E’ usato per le forme ad interessamento renale. Questa è l’ultima

diapositiva, per dirvi come il lupus eritematoso sistemico è una malattia che prende tutti gli organi, la

cute in particolar modo rossa è quella che generalmente ci fa fare la diagnosi perché la paziente giunge

alla nostra osservazione quando ha queste manifestazioni.dato che il lupus può avere un

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coinvolgimento multi-organo, questi pazienti quando vengono a controllo devono essere sempre

valutati con efficienza.

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Cuomo – Lezione 8 (03-04-17) – Connettiviti

Sbobinatore: Giusi Piscitelli

Coordinatore: Chiara Consoli

POLIMIOSITE – DERMATOMIOSITE

Allora oggi cerchiamo di finire le connettiviti. Cominciamo con le polimiositi e le dermatomiositi che

sono un gruppo di connettiviti molto importanti da seguire, anche se sono rare dovete soltanto

conoscerne l'esistenza. Sono patologie incluse nelle malattie del connettivo e appartengono al gruppo

delle malattie infiammatorie idiopatiche (IIM). Sono caratterizzate da:

• Infiammazione cronica a carico della muscolatura scheletrica;

• Astenia;

• Dolore muscolare;

• Coinvolgimento dermatologico, nella dermatomiosite. La classificazione prevede la presenza di quattro classi, però la dermatomiosite è divisa in due

gruppi: quella dell’età giovanile con un picco d’incidenza tra i 5-12 anni e quella dell’età adulta tra 45-

65 anni [SLIDE 3].

Inoltre, qua non è riportata quella legata a malattie

neoplastiche che invece è presente in quest’altra

classificazione [SLIDE 4]: infatti c’è la dermatomiosite

dell’infanzia che è quella classica, la miosite delle

neoplasie, la miosite associata ad altre connettiviti

come sindrome da overlap e poi la miosite da corpi

inclusi.

Classificazione:

• Gruppo I (PM): la polimiosite colpisce le donne

della mezza età, quindi dai 50 anni in su, che

presentano astenia di tutti i gruppi muscolari soprattutto di quelli prossimali. Possono essere colpiti anche i muscoli flessori del collo che si presentano deboli e c’è l’interessamento muscolare del faringe. Infatti, quando è colpita la

muscolatura del faringe i pazienti presentano una voce nasale, un rigurgito acido e anche un rigurgito del cibo per cui non riescono a ingoiare bene.

• Gruppo II (DM): è il gruppo della dermatomiosite, in cui muscoli interessati sono quelli del gruppo I, quindi quelli essenzialmente prossimali. In questo caso però in più ci sono le lesioni eritematose sulle palpebre, sulle guance, sulle superfici estensorie delle nocche e possono essere fotosensibili. Queste lesioni sono diverse da quelle che riscontriamo nel Lupus perché le palpebre non sono presenti, perché non c’è il rash eliotropico e c’è il tipico aspetto a farfalla sul dorso del naso e sulle guance. La biopsia cutanea di queste lesioni può mostrare una

poichilodermia ed un carico di mucina nelle cellule.

• Gruppo III (associate a neoplasie): il 3% dei pazienti con polimiosite e il 15% di quelle con dermatomiosite presentano neoplasie latenti, per cui in chi si sospetta la dermatomiosite va sempre esclusa una neoplasia: va fatto uno screening neoplastico al basale. Le neoplasie latenti più rappresentate sono quelle della mammella, degli apparati genito-urinari, dell’apparato gastrointestinale e poi le gammapatie monoclonali.

• Gruppo IV (associate a connettiviti): in particolar modo alla sclerosi sistemica, infatti esiste una forma di sclerosi sistemica in cui c’è l’overlap con la polimiosite e in questo caso sono espressi anche anticorpi anti- PM e SCL70.

• Gruppo V (da corpi inclusi): bisogna distinguere due gruppi in questo caso.

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1. Tipo Banker, in cui è associato una vasculite.

2. Tipo Brunstring: lenta miopatia che presenta similitudini con quella dell’adulto perché è più presente nei bambini. L’eruzione squamosa presente sui gomiti è simile alla psoriasi. Il decorso è mite anche se possono insorgere delle contratture in flessione e sono anche frequenti delle calcificazioni sia a livello sottocutaneo, sia nei piani

intramuscolari. [SLIDE 9] Le polimiositi di per sé sono delle malattie nosografiche, cioè sono delle vere e proprio

malattie, però spesso sono associate o a neoplasia o a connettiviti, questo è importante riconoscerlo.

Per le connettiviti, abbiamo detto soprattutto la sclerosi sistemica, ma anche il LES, la sindrome da

tessuto connettivo (MCDT: Mixed Connective Tissue Disease), la sindrome di Sjogren (SS) e l’artrite

reumatoide (AR).

Poi, possono essere associate anche ad altre malattie autoimmuni, per esempio il Morbo di Crohn, la

sarcoidosi, la celiachia, la miastenia gravis, la trombocitopenia autoimmune, la tiroidite di Hashimoto

ma anche altre.

Infine, possono essere associate a neoplasie: nella polimiosite possono essere interessati il polmone, la

mammella, la prostata oppure possiamo avere un linfoma; nella dermatomiosite l’ovaio, lo stomaco e

la mammella. La neoplasia può precedere, seguire o essere contemporanea alla miosite: si può avere

prima la neoplasia e poi come sindrome paraneoplastica si presenta la miosite, oppure può essere

contemporanea o anche successiva, quindi questi pazienti vanno sempre monitorati nel tempo.

La situazione è marcata soprattutto nella dermatomiosite perché abbiamo visto che nel 15% dei

pazienti con dermatomiosite l’associazione è con una neoplasia e quindi lo screening va sempre fatto.

Quali sono le caratteristiche? [SLIDE 10]

• Il 10-40% possono avere una malattia del connettivo, quindi sindrome da overlap;

• Nel 4-42% c’è l’associazione con la neoplasia;

• L’incidenza è di 10 milioni/anno quindi è rara però è presente;

• Il rapporto femmine/maschi (F/M) è di 2:1 quindi le donne sono maggiormente colpite rispetto

agli uomini; per quanto riguarda invece la forma da corpi inclusi è al contrario, gli uomini sono maggiormente colpiti rispetto alle donne.

Dal punto di vista eziopatologico [SLIDE 11] praticamente c’è l’associazione tra geni coinvolti nella

risposta autoimmune e familiarità per le patologie autoimmuni nei parenti dei pazienti affetti da

miopatia infiammatoria idiopatica (MII). È chiaro che anche in questo caso c’è un campo genetico su

cui agiscono gli antigeni e gli anticorpi. Nella fattispecie, sono soprattutto quelli del sistema maggiore

di Istocompatibilità: HLA-DRB1 con epitopo 0301 e l’ HLA-DQA1 con epitopo 0501.

Anche qui ovviamente fanno la loro parte i fattori ambientali: i batteri, i virus (Enterovirus,

Picornavirus, Retrovirus), i parassiti (toxoplasma gondii, borrelia Burdgorferi) e i farmaci (D-

penicillamina, clorochina, statine). Poi ci sono anche altre sostanze per esempio il silicone, il collagene

e così via.

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Nella dermatomiosite lo starter possono essere anche i raggi ultravioletti sia quelli del sole sia quelli

artificiali.

In questa tabella [SLIDE 13] viene riassunta

l’eziopatogenesi che è multifattoriale: fattori

genetici, fattori ambientali, reazione autoimmune.

Per quanto riguarda l’immunità cellulo-mediata,

nella polimiosite ci sono linfociti T citotossici,

cioè il CD8+ e i macrofagi, e ci sono degli infiltrati

endomisiali; nella dermatomiosite invece

intervengono i linfociti B e i linfociti CD4+ e ci

sono infiltrati perimisiali e perivascolari. Quindi

praticamente quando si va a fare la biopsia per

fare diagnosi di miosite, il quadro della

dermatomiosite è diverso da quello della

polimiosite perché uno ha gli infiltrati

endomisiali e l’altro invece ha gli infiltrati

perimisiali e perivascolari, inoltre è diversa

perché in una si può avere anche la vasculite.

Poi gli autoanticorpi circolanti: quelli miosite-specifici sono gli anticorpi anti-Jo1, l’SRP e Mi2, quelli

invece proprio associati alla miosite sono PM SCL quando è associato alla sclerosi sistemica, l’RNP

generalmente associato al lupus, gli SSA quando è in overlap con la Sjogren.

In questa tabella [SLIDE 14] noi abbiamo un

agente sconosciuto (che può essere un fattore

ambientale, un’infezione ecc.) più la

predisposizione genetica che provocano o una

reazione citotossica cellulo-mediata o vasculite da

immunocomplessi. La vasculite da

immunocomplessi porta un’ischemia tissutale:

flogosi e lesioni muscolari da una parte, flogosi e

lesioni cutanee dall’altra. Quindi lo starter è lo

stesso però a seconda del campo genetico su cui

agiscono gli agenti si può avere la dermatomiosite

o la polimiosite.

Nella dermatomiosite, il danno vascolare è il

primum movens, quindi è più un fatto vascolare rispetto a quello della polimiosite che invece è più un

fatto muscolare. A livello microscopico troviamo un infiltrato infiammatorio perivascolare nell’area

perimisiale in cui ci sono CD4+, macrofagi, cellule dendritiche e mentre i linfociti B sono rari nelle zone

perivascolari; c’è una microangiopatia da danno ischemico, necrosi dei microvasi e delle fibre

muscolari. Questo quadro si può presentare sia a livello cutaneo che muscolare.

Nella polimiosite, invece, il bersaglio iniziale sono le cellule muscolari quindi non sono i vasi e

l’infiltrato infiammatorio è diverso, infatti qua c’è una distribuzione endomisiale con un infiltrato

infiammatorio di cellule mononucleate che circondano le fibre muscolari. Quindi è diverso proprio il

quadro. In questo caso, i linfociti T sono soprattutto i CD8+ e i macrofagi, i linfociti CD4+ pure sono

presenti ma sono di meno rispetto alla dermatomiosite; a carico della fibra muscolare si può avere una

vera e propria reazione citotossica cellulo-mediata.

Infine nella miosite da corpi inclusi si ha la presenza di vacuoli contenenti granuli basofili nei nuclei

ed inclusioni eosinofile nel citoplasma. Gli autoanticorpi specifici sono: nel 50% dei pazienti gli anti-

Jo1 (anti-sintetasi), presenti sia nella polimiosite che nella sindrome anti-sintetasi; gli anti-SRP

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presenti nella polimiosite severa con coinvolgimento cardiaco, quindi ha una prognosi peggiore; gli

anti-Mi2 che sono più specifici della dermatomiosite.

Manifestazioni cliniche della dermatomiosite. [SLIDES 19-20]

Astenia grave, severa e dolorosa a carico soprattutto dei muscoli del cingolo scapolare e del cingolo

pelvico. Per cui i pazienti hanno difficoltà a vestirsi, a lavarsi, ad alzarsi dalla sedia.

È sempre simmetrico.

È ingravescente.

Il paziente ha difficoltà ad alzarsi dalla sedia ma anche a scendere e a salire le scale.

Ha difficoltà ad alzare le braccia, ad allacciarsi il reggiseno per esempio, a pettinarsi e a sollevare la testa dal cuscino quando sono coinvolti i muscoli del collo.

Possono essere colpiti anche i muscoli della respirazione, della masticazione, della deglutizione e della fonazione.

Nella genesi neoplastica, invece, oltre a questi sintomi abbiamo una sintomatologia generale

(malessere generale, febbre, calo ponderale) associata a un quadro tipico delle neoplasie.

Nei giovani si può avere un episodio acuto febbrile e successivamente tutta la manifestazione

muscolare.

Nella dermatomiosite, l’interessamento cutaneo può precedere, accompagnare o seguire la miopatia

e può essere polimorfo:

con un eritema diffuso che generalmente si presenta nel 40% dei pazienti;

con un edema duro a livello delle regioni periorbitarie e periorali (rash eliotropico) nel 25%;

papule che si presentano sulla superficie estensoria delle articolazioni metacarpo-falangei e

interfalangei prossimali, le cosiddette papule di Grotton;

oppure possiamo avere rash maculare senza papule localizzato sulla superficie estensoria dei gomiti, delle ginocchia e delle caviglie: segno di Grotton. Quindi le papule si presentano a livello delle mani, invece il segno di Grotton sulle articolazioni più grandi (gomiti, ginocchia e caviglie);

poi c’è il caratteristico aspetto delle “mani da meccanico”: praticamente è un rash ipercheratosico, si forma tutta una zona di ipercheratosi a livello delle dita, soprattutto sul versante laterale del primo dito, e poi si formano delle fessurazioni nere per cui è come se la mano fosse sporca perciò si chiama mano da meccanico ed è presente anche la sindrome anti-sintetasi.

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[La professoressa descrive le immagini riportate nelle slides 21

e 22].

Questo è un tipico aspetto di rash ipertrofico: sono coinvolte

anche le palpebre, queste sono le papule di Grotton sulle nocche

e sulle superfici delle articolazioni. Questo è il caratteristico

aspetto a V dell’eritema che si presenta in queste

dermatomiositi; queste sono delle fessurazioni a livello dei

polpastrelli, delle microemorragie. Queste invece sono quelle

che si ritrovano a volte anche nella sindrome da corpi inclusi e

sono delle calcificazioni sottocutanee o a volte anche nei

muscoli. Questo è il segno di Grotton sulle ginocchia.

Nella dermatomiosite, abbiamo detto oltre a questi segni

caratteristici di cui abbiamo visto anche qualche immagine, nel

35% si può avere anche fenomeno di Raynaud o più

semplicemente acrocianosi: in quest’ultima, le mani cambiano di colore e diventano solo blu mentre il

fenomeno di Raynaud è caratterizzato da tre fasi (bianco, blu e rosso). Si possono avere delle

manifestazioni vasculitiche e la calcinosi (deposizione di calcio a livello del sottocute), soprattutto

nelle forme giovanili.

Domanda: Nel fenomeno di Raynaud una fase poteva anche mancare?

Prof: Sì, tu puoi avere anche un Raynaud incompleto: si può avere anche solo la fase cianotica o la fase

ischemica. L’acrocianosi è diversa dalla cianosi di Raynaud e lo vedi poi anche con la cavernoscopia

(min 20:40) che sono completamente diverse. Sì però si può avere il fenomeno di Raynaud incompleto:

ci sono dei pazienti con sclerosi sistemica che presentano solo la fase ischemica, le mani diventano

solo bianche oppure diventano solo blu, perché viene superata quella fase, soprattutto nelle fasi

tardive.

Domanda: questo passaggio di colori ha una durata? Cioè uno lo può vedere in ambulatorio?

Prof.: Sì, praticamente nel momento in cui hai la fase ischemica che è scatenata dal freddo, se tu la

mano la metti sotto l’acqua fredda e poi la riscaldi, vedi il cambiamento. Perciò i pazienti devono

essere educati a portare dei dispositivi perché il cambiamento di temperatura determina il passaggio.

Tu puoi vedere proprio tutte e 3 le fasi, perché nel momento in cui tu vai a riscaldare si ha la

ricircolazione, la rivascolarizzazione e quindi si prende il suo colorito.

Si può avere anche un interessamento polmonare.

Si ha nel 50% dei pazienti e questo chiaramente condiziona la prognosi perché è un fattore negativo per la mortalità.

Può essere secondario alla debolezza muscolare: se vengono colpiti i muscoli della respirazione il paziente ha più difficoltà a respirare e va incontro più facilmente ad infezioni polmonari.

Ci può essere tuttavia anche un interessamento primitivo del polmone con una fibrosi interstiziale polmonare. In questo caso è legato ad anticorpi anti-sintetasi nel 70% dei casi: la sindrome anticorpi anti-sintetasi è una sindrome molto rara che però quando è presente ha tutte le caratteristiche della polimiosite ma in più ha l’interessamento polmonare e l’interessamento cutaneo, come se fosse una sclerosi sistemica, infatti a volte si confondono ha la facies proprio… (la prof non termina la frase). La sindrome da anticorpi anti-sintetasi è una realtà ed è come se fosse una sindrome da overlap, anche se è tipica perché ci sono gli anticorpi specifici, quindi va diagnosticata con la TAC del torace ad alta risoluzione e con le prove di funzionalità respiratoria perché chiaramente se c’è un interessamento polmonare si può avere fibrosi interstiziale ma si può

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anche avere alveolite come abbiamo visto nella sclerosi l’altro giorno e chiaramente anche le prove

di funzionalità respiratoria sono alterate.

Si può associare polmonite ab ingestis per disfagia da miosite del terzo inferiore dell’esofago. [SLIDE 26] Per quanto riguarda invece la malattia cardiovascolare,

condiziona la prognosi e anche in questo caso, così come in quella polmonare, è un fattore prognostico negativo per la mortalità.

Può essere alterata la conduzione atrio-ventricolare, quindi possono essere presenti delle aritmie.

Si possono avere anche miocardite e coronaropatie soprattutto per interessamento dei piccoli vasi del miocardio.

Inoltre, per quanto riguarda l’interessamento articolare,

si possono avere sia artralgie sia una vera e propria artrite, colpisce le piccole articolazioni di mani e piedi.

L’artrite generalmente non è erosiva quindi la si può distinguere dalla forma dell’artrite reumatoide.

Più frequente nei pazienti con anticorpi anti-sintetasi (tipici della sindrome omonima) ed anticorpi

anti-Jo1. L’apparato muscolo-scheletrico viene colpito in questo modo [SLIDE 28]:

ci può essere un’ipostenia o astenia muscolare simmetrica a carico dei muscoli dei cingoli scapolare

e pelvico, tronco e collo.

Il deficit muscolare determina: deficit a salire le scale, alzarsi dalla sedia o dal letto, accovacciarsi, incrociare le gambe, deambulare, sollevare il capo dal cuscino, deglutire e poi la voce nasale nel caso in cui vengono colpiti i muscoli del faringe (incapacità di sollevare il palato quando viene

colpito il muscolo cricofaringeo, disfagia quando vengono colpiti tutti i muscoli del faringe).

Dolore spontaneo o provocato a carico delle masse muscolari, quindi oltre all’astenia e al deficit muscolare si può associare anche dolore muscolare.

A livello dell’apparato gastroenterico si può avere:

Reflusso gastro-esofageo

Diarrea

Tra l’altro si può avere una vera e propria vasculite del tratto gastroenterico che può causare sanguinamento, fenomeni ischemici e infarto intestinale.

[SLIDE 30] Manifestazioni cliniche della sindrome da anticorpi anti-sintetasi: chiaramente viene

identificata per la presenza di anticorpi specifici ed è caratterizzata da miosite, quindi colpisce tuti i

muscoli del corpo, da interstiziopatia polmonare e da poliartrite delle piccole articolazioni con le mani

da meccanico.

Esiste anche un’altra forma di dermatomiosite detta amiopatica perché ci sono solo manifestazioni

cutanee, cioè c’è tutto il quadro della manifestazione cutanea, c’è il rash, la mano da meccanico, le

papule di Grotton, però l’interessamento muscolare non è presente, quindi non c’è astenia e non c’è

debolezza muscolare. Questa forma generalmente è quella maggiormente associata alle neoplasie e

quindi bisogna fare uno screening più attento delle neoplasie.

La miosite da corpi inclusi [SLIDE 32]:

È molto più rara della classica.

Ha un esordio insidioso.

Interessa i muscoli sia prossimali che distali a differenza della polimiosite che colpisce soprattutto quelli distali.

È più presente nei maschi, nell’età avanzata e raramente è associata ad altre connettiviti o a neoplasie.

Il CPK può essere o normale o aumentato.

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Le alterazioni elettromiografiche possono essere sia miopatiche che neuropatiche.

È resistente ai corticosteroidi e agli immunosoppressori.

La tipica istologia ci mostra i tipici granuli basofili, i cosiddetti corpi inclusi sia citoplasmatici che nucleari.

La sindrome da anticorpi anti-Jo1 [SLIDE 33] è più presente nelle femmine rispetto ai maschi, c’è

una miopatia prossimale, il fenomeno di Raynaud è presente nel 60% dei casi, anche qui si può avere

la mano da meccanico, si può avere una vasculite leucocitoclastica, un’artrite non erosiva alle mani, la

fibrosi interstiziale e la positività agli anti-Jo1.

Diagnosi differenziale. [SLIDE 34]

Chiaramente di fronte a un quadro di polimiosite dobbiamo differenziarla da altre forme di malattia

muscolare come ad esempio le distrofie muscolari, la miopatia da danno neurogeno, la miopatia

iatrogena da corticosteroidi, per esempio l’uso frequente e abbondante di corticosteroidi può portare

una miopatia, una miopatia endocrina, la polimialgia reumatica e le miositi infettive.

Parametri di laboratorio.

Intanto bisogna fare il dosaggio degli enzimi muscolari: CPK, l’AST, l’ALT, l’LDH e la mioglobina che

sono importanti perché se c’è il danno muscolare chiaramente aumentano gli enzimi. Il dosaggio del

CPK tra l’altro è importante sia per la diagnosi che per monitorare l’attività di malattia e quindi la

risposta alla terapia: più alto è il CPK più si aumenta il dosaggio di corticosteroidi o di

immunosoppressori, se scende vuol dire che il paziente sta rispondendo. Vanno ricercati gli

autoanticorpi anti-Jo1 e gli anti-SRP che sono legati alla polimiosite, gli anti-Mi2 che sono legati invece

alla dermatomiosite.

Il fattore reumatoide può essere presente anche nelle polimiositi e nelle dermatomiositi nel 40% dei

casi; gli ANA possono essere presenti nel 20% dei casi.

Si valutano gli indici di flogosi chiaramente VES e PCR sempre aumentati. [Dalla slide:] Esami

bioumorali di routine per valutare il coinvolgimento di altri organi e apparati

Istologia.

La biopsia rappresenta il gold standard della diagnosi. Si può avere:

danno e necrosi dei miociti;

presenza di fenomeni infiammatori;

fenomeni di tipo rigenerativo delle cellule muscolari: prima c’è la necrosi, poi le cellule tendono a rigenerare in maniera anomala, non è più specifica come prima; infatti si ha un’ipertrofia delle

cellule residue, per cui si ha da una parte l’atrofia, dall’altra un’ipertrofia. Il muscolo non funziona più bene come prima perché le fibrille vengono proprio distrutte, infatti il tessuto muscolare necrotico viene sostituito da tessuto fibroso e adiposo.

Esami strumentali. [SLIDE 37]

Se noi dobbiamo fare la diagnosi, intanto valutiamo la clinica, poi gli esami di laboratorio, la biopsia ma

anche gli esami strumentali ci possono aiutare.

L’elettromiografia (EMG) indica la presenza di un danno miopatico. Infatti, se c’è un’irritabilità, quindi

un danno muscolare, i potenziali di fibrillazione inserzionali a riposo sono alterati; si presentano

polifasici, di breve durata e di bassa ampiezza, quindi sono più frequenti, di breve durata però hanno

un’ampiezza anche bassa.

Se c’è un interessamento della muscolatura respiratoria, importanti sono le prove di funzionalità

respiratoria (PFR).

L’emogasanalisi anche è importante, la TAC ad alta risoluzione. l’ECG e l’ecocardiogramma quando c’è

un coinvolgimento cardiaco.

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[Dalla slide:] Ecografia e rx articolari per il coinvolgimento delle articolazioni; radiologia ed

endoscopia per l’interessamento GI

Diagnosi.

Per fare diagnosi bisogna basarsi sui criteri di Bohan e Peter:

1. Astenia (sono quelli che noi già abbiamo elencati però qua vengono detti nella tabella SLIDE 38) che coinvolge i muscoli prossimali

2. Aumento degli indici muscolari 3. Reperti anomali all’elettromiografia 4. Riscontro tipico di miosite alla biopsia muscolare 5. Alterazioni cutanee, nella dermatomiosite

Allora nella polimiosite sono presenti tutti e 4 i primi criteri: astenia, enzimi, elettromiografia e biopsia.

Nella dermatomiosite può essere presente sicuramente il quinto criterio più 3 dei 4 elencati.

Prognosi.

È grave e severa, in una minoranza dei casi è addirittura fatale. Ha un andamento cronico nel 30-40%

dei casi, è possibile la presenza di recidive, per cui questi pazienti vanno in remissione con la terapia

però poi presentano delle recidive. Quando compare nell’infanzia è più benigna, ha una prognosi più

grave quando invece l’esordio è dopo i 60 anni.

Terapia.

Steroidi ad alto dosaggio vengono dati fino a 2 mg/kg/die;

Nei casi gravi si aggiungono gli immunosoppressori che possono essere azatioprina e methotrexate oppure il micofenolato e il ciclofosfamide nei casi di acuzia.

I boli di immunoglobuline anche sono stati valutati.

L’uso di biologici e il trapianto di cellule staminali invece sono più recenti. Generalmente vengono usati i boli di immunoglobuline e la ciclofosfamide nei casi più gravi e i

corticosteroidi nei casi di mantenimento.

SINDROME DI SJOGREN (SS).

E’ una connettivite sistemica [dalla slide 41: malattia autoimmune sistemica]. Ha delle caratteristiche

peculiari che sono: la flogosi cronica delle ghiandole a secrezione esocrina, quindi colpisce o può

colpire tutte le ghiandole che hanno una secrezione esocrina; questo comporta un deficit ghiandolare.

La sindrome di Sjogren [pronuncia: “sciugren”] è una malattia che può essere primaria quando il

processo autoimmune ghiandolare si associa ad una manifestazione extra-ghiandolare ed elementi

tipici di una connettivite; può essere secondaria ad altre connettiviti, quindi come sindrome da

overlap, associata all’artrite reumatoide, al LES oalla sclerosi sistemica.

Da un punto di vista epidemiologico:

questa è una malattia che si può presentare a tutte le età, ha un picco di incidenza tra la quarta e la quinta decade, quindi 40-50 anni;

il rapporto femmine/maschi è sproporzionatissimo poiché le femmine sono colpite 20 volte in più

rispetto ai maschi, quindi un rapporto 20:1;

ha una prevalenza dello 0,1-4,6 %. Dal punto di vista istopatologico, si va a prelevare un fustolo delle ghiandole salivari, perché il

sintomo principale è proprio questa secchezza alla bocca perché essendo colpite le ghiandole esocrine

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la saliva non viene proprio prodotta. Si fa la biopsia di queste ghiandole e compare un infiltrato focale

mononucleato che è caratterizzato ma linfociti, plasmacellule e macrofagi; questi infiltrati hanno una

disposizione periepiteliale intorno ai dotti e intorno agli acini che formano dei foci sempre più grandi di

dimensioni che possono assumere proprio l’aspetto di un centro germinativo e confluire sino a

sostituirsi al tessuto epiteliale.

Quadro clinico.

Nella maggior parte dei casi il decorso generalmente è benigno ed ha una lenta evoluzione. [Però è

fastidioso perchè chi ha questa malattia la cosa più triste che vi raccontano è che loro non possono

piangere, ricordo una signora che mi diceva: ‘ dottoressa io sono andata ad un funerale e non riuscivo a

piangere, stavo male ma in realtà la gente poteva pensare che io non stavo male ’.] Loro effettivamente

non hanno proprio lacrime né saliva.

Le manifestazioni possono essere sia locali che sistemiche, quindi sia ghiandolari che extra-

ghiandolari.

L’interessamento extra-ghiandolare è presente nel 75% dei pazienti che hanno anticorpi anti-RO e

anti-La perché si può avere un coinvolgimento periepiteliale del fegato o del rene con un infiltrato

linfocitario, oppure extra-epiteliale che è causato dalla precipitazione degli immunocomplessi; quindi

si ha un’iperreattività delle cellule B che causa porpora, neuropatia periferica e anche

glomerulonefrite. Sembra una malattia semplice perché , avendo l’interessamento delle ghiandole

esocrine, abbiamo facilmente secchezza oculare, secchezza genitale, secchezza orale però ci sono

anche le manifestazioni extra-ghiandolari che vanno considerate, che sono molto più gravi rispetto alle

altre.

Coinvolgimento oculare: questi pazienti presentano una cheratocongiuntivite secca e possono avere

svariati sintomi che vanno dalla secchezza oculare, quindi loro non hanno proprio lacrime oppure la

sensazione di un corpo estraneo (si sentono l’occhio come se ci fosse sempre un corpo estraneo

all’interno), si svegliano la mattina con l’occhio appiccicoso, possono presentare bruciore, fotofobia

oppure occhio rosso. Questi sintomi sono legati alle complicanze cheratitiche e/o congiuntivali. Il

test che viene utilizzato per valutale la secchezza oculare si chiama test di Shirmer [SLIDE 46]: si

prende una striscia di carta bibula si mette nel canto esterno del fornice congiuntivale e si lascia lì per

5 minuti. Il test è positivo se l’imbibizione lacrimale è inferiore a 5 mm, quindi se non si bagna o si

bagna meno di 5 mm vuol dire che la secchezza è presente e quindi è positivo. Poi è importante

valutare l’integrità corneale perché chiaramente più l’occhio è secco più la cornea è soggetta a dei

disturbi e questo può essere fatto mediante l’uso di coloranti che si legano alle cellule devitalizzate,

quindi il Rosa Bengala oppure il Verde Lisamina.

Questo è il test che vi dicevo prima [SLIDE 47]: vedete

questo pezzettino di carta bibula che si mette nel fornice, si

lascia per 5 minuti e poi si vede quanto è bagnato. Questa è

la ghiandola lacrimale.

Coinvolgimento orale.

Il paziente ha secchezza alla bocca e c’è una continua necessità a bere;

C’è un’alterazione dei sapori, bruciore del cavo orale;

La lingua diventa iperemica e liscia per la perdita delle papille filiformi;

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La perdita di saliva, la carenza di saliva rende più difficile l’eloquio quindi la deglutizione senza

l’ausilio di liquidi non può essere fatta e c’è anche disfagia.

Mancando la saliva, mancano anche le proprietà antibatteriche della saliva, per cui si può avere edentulia, infezioni del cavo orale soprattutto micosi dovuta alla Candida.

Si può avere un reflusso gastroenterico con pirosi, dolore retrosternale e reflusso tracheale.

Coinvolgimento ghiandolare.

Per quanto riguarda il coinvolgimento ghiandolare in generale, si possono avere: tumefazione delle

parotidi, tumefazione delle ghiandole salivari, sublinguali e sottomascellari.

Le tumefazioni possono essere mono o bilaterali, possono essere episodiche, ricorrenti e sono sempre

associate a dolore locale perché chiaramente c’è un’infiammazione.

Sono causate da un infiltrato flogistico cronico oppure dalla formazione di calcoli perché c’è una

maggiore densità della saliva o di infezioni locali, per cui voi troverete che alcune ghiandole

presentano anche dei calcoli per cui la saliva non viene prodotta anche per la presenza di questi calcoli

perché impediscono la fuoriuscita della saliva e di conseguenza aumenta il dolore.

La tumefazione può diventare anche cronica, persistente, non è più dolente (perché l’infiammazione

passa) e può essere anche dura di consistenza. Questi sono aspetti che ci impongono di escludere

l’insorgenza di un linfoma.

Questa per esempio è la classica tumefazione parotidea [SLIDE 50],

sembra proprio la parotite tipica dei bambini, però si può

presentare cosi. Si deve sempre chiedere al paziente che ha

secchezza alla bocca o secchezza agli occhi se ha mai avuto una

tumefazione parotidea.

Diagnosi.

In questo caso, il flusso salivare globale come va misurato? La saliva

viene raccolta in una provetta dal paziente invitato a mantenere la

bocca aperta per 15 minuti e questa è la cosiddetta scialometria.

Però si può fare anche una scialografia parotidea: un esame radiografico con mezzo di contrasto

idrosolubile che viene iniettato attraverso il dotto di Stenone. Mostra scialectasie puntiformi o

cavitarie, può mostrare una vera e propria distruzione dei dotti salivari principali.

La scintigrafia è importante perché ci fa notare un ritardo nella captazione e una ridotta

concentrazione dell’eliminazione del tracciante radioattivo.

L’ecografia che, in verità, è una delle indagini maggiormente utilizzate per fare diagnosi di

tumefazione parotidea oppure la RMN ma chiaramente il gold standard è la biopsia.

La biopsia delle ghiandole salivari minori: il prelievo va eseguito all’interno della mucosa, va fatto

un piccolo prelievo che mostrerà nella sindrome di Sjogren un infiltrato infiammatorio che è definito

focus quando l’aggregato è costituito da almeno 50 cellule (quindi se ci sono almeno 50 cellule è un

focus); per fare la diagnosi ci deve essere almeno un focus ogni 4 mm2 di tessuto ghiandolare. Questo è

il criterio più importante per fare la diagnosi di sindrome di Sjogren. Quindi se voi alla biopsia trovate

un focus ogni 4 mm2 di tessuto ghiandolare potete fare la diagnosi definitiva di sindrome di Sjogren.

A volte si può trovare anche una sindrome detta Sindrome sicca caratterizzata da secchezza agli

occhi, secchezza alla bocca, secchezza vaginale senza la presenza degli anticorpi. La sindrome sicca si

differenzia dalla sindrome di Sjogren perché quest’ultima presenta anche un interessamento

sistemico.

La sindrome sicca si può presentare:

al naso con forte infiammazione della mucosa ed epistassi;

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alla trachea porta tosse secca;

alla cute può portare prurito;

alla vagina può portare prurito e infezione locale;

al pancreas può portare una disfunzione pancreatica;

allo stomaco può portare gastrite superficiale e gastrite atrofica antrale.

Quindi praticamente tutti gli organi in cui sono presenti le ghiandole a produzione esocrina

chiaramente possono essere colpiti.

Manifestazioni sistemiche.

I pazienti possono presentare:

malessere;

astenia generalizzata, facile affaticamento;

febbricola;

patologie da deposizione di immunocomplessi negli organi;

artromialgie ma può portare anche artrite, tanto è vero che spesso il primo sintomo della sindrome di Sjogren è proprio un’artrite associata al fattore reumatoide. Si sbaglia spesso la diagnosi perché

si pensa ad un'artrite reumatoide, quando invece il fattore reumatoide è maggiormente presente nella sindrome di Sjogren: nel 90% dei casi lo possiamo trovare invece nell’artrite reumatoide nel 65-70% dei casi. Quindi artrite più fattore reumatoide non vuol dire necessariamente artrite reumatoide e spesso ci si può confondere.

Manifestazioni muscolo-scheletriche [SLIDE 54]: artromialgie, artrite transitoria intermittente, artrite

cronica poli-articolare simil-reumatoide, che non è mai erosiva a differenza dell’altra, e una miosite

che anche in questo caso può prendere i muscoli prossimali.

Le manifestazioni cutanee, invece, possono essere caratterizzate da:

una porpora palpabile su base vasculitica leucocitoclastica che può essere associata alla crioglobulinemia per cui si ha questa precipitazione degli immunocomplessi a livello soprattutto

delle estremità che non solo è visibile ad occhio nudo ma toccando sono rilevate per cui si sentono anche al tatto; questo si può presentare soprattutto in presenza di anticorpi anti-Ro o

ipergammaglobulinemia.

Si può avere una vasculite orticarioide.

Si possono avere delle lesioni fotosensibili simili a quelle del lupus sempre in soggetti anti-Ro.

Si può avere una porpora trombocitopenia.

La livedo reticularis che abbiamo visto che è questa marezzatura della cute. [Da Wkipedia: affezione della pelle caratterizzata da chiazze cianotiche conformate a rete che si formano intorno a zone di cute normale a causa dell’abbassamento della temperatura locale soprattutto a livello degli arti.]

Alopecia.

Fenomeno di Raynaud; quindi sono tutte caratteristiche simili alle altre vasculiti, però qua si fa la diagnosi grazie ad alcuni sintomi che sono specifici di una patologia piuttosto che di un’altra.

Questa è la porpora che vi dicevo [SLIDE 56], questa qua è meno evidente, però vedete tutti questi

puntini che alla palpazione si sentono sotto il tatto; in questo invece praticamente le papule

confluiscono e quindi diventano più grandi.

Manifestazioni polmonari: si può avere l’interessamento dell’albero bronchiale, bronchiolare e

dell’interstizio. Si usano anche qui le prove di funzionalità respiratoria e anche il lavaggio bronchio-

alveolare che ci fa vedere un’infiammazione in cui sono coinvolti soprattutto gli alveoli, quindi

un’alveolite linfocitaria che in questo caso va trattata con immunosoppressori. La secchezza alla

trachea, invece, può portare tosse secca da difetto della clearance muco ciliare (=xerotrachea).

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Da un punto di vista sistemico, invece, si può avere interessamento cardiaco con pericarditi,

ipertensione polmonare e blocco cardiaco congenito nei feti di madre con anti-SSA-Ro.

Questo è un argomento

importantissimo perché queste sono

malattie che colpiscono soprattutto

le giovani donne. Sia nel caso della

Sjogren sia per il lupus, quando nella

paziente è presente l’anticorpo anti-

SSA-Ro bisogna sempre screennarle

per questo anticorpo e bisogna

sempre seguirle nel tempo perché se

è positivo bisogna poi cominciare a

fare una terapia per evitare che il

feto possa avere delle complicanze.

In particolare, se c’è la presenza di

questi anticorpi si fa un’ecocardio fetale [SLIDE 59] all’inizio del quinto mese, dalla 17esima

settimana alla 32esima settimana, e si ripete ogni due settimane per vedere se il bambino può

sviluppare questo blocco. Come si va a notare? Si calcola il PR all’ECG: se è superiore a 0,15 secondi si

può sviluppare il quadro di primo grado. Per evitare questo, nei pazienti con anti-Ro, si dà alla paziente

il corticosteroide. Trattato col corticosteroide, generalmente il 2-5% dei feti che hanno il blocco atrio-

ventricolare chiaramente scende molto, per cui è importantissimo il monitoraggio in queste pazienti

che hanno questa tipologia di anticorpi.

Manifestazioni renali: si può avere anche un interessamento renale, si forma un’acidosi tubulare distale

che è espressione di epitelite tubulo-interstiziale con infiltrato linfocitari in cui i linfociti sono sempre

quelli più presenti. Si può avere anche una glomerulonefrite, in questo caso da deposizione di

immunocomplessi.

Manifestazioni epatiche.

Si può avere un’epatite autoimmune di modesta entità (epitelite); si può avere un’associazione con la

cirrosi biliare primitiva con la presenza di anticorpi anti-mitocondrio, quindi i cosiddetti AMA. Va

ricercato sempre l’HCV perché a volte c’è proprio un’associazione tra sindrome di Sjogren e HCV tanto è

vero che il ruolo eziopatologico dell’HCV è associato con gli anticorpi, cioè i pazienti sviluppano questi

anticorpi che poi possono complicare l’andamento della malattia e in questi pazienti va fatto il

monitoraggio per lo sviluppo di malattia linfoproliferativa perché la cosa peggiore di questa malattia è

che può sfociare in un linfoma.

Manifestazioni neurologiche: neuropatia periferica legata alla vasculite in verità; neuropatia del

trigemino; deficit uditivo sensoriale; alterazioni del sistema nervoso autonomo mentre il SNC

generalmente non viene colpito mai.

Manifestazioni ematologiche. Cosa troviamo a livello di laboratorio? Tramite un esame

emocromocitometrico, troviamo:

una leucopenia;

un’anemia normocromica;

il test di Coombs positivo;

la piastrinopenia.

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Malattie associate.

La SLIDE 65 è un riassunto di quello che avviene quando la sindrome è associata ad altre malattie.

Se è presente il fattore reumatoide, possono essere presenti sia l’artrite reumatoide che la sindrome di

Sjogren; gli ACPA, cioè gli anticorpi anti-citrullina possono essere presenti anche nel 15% dei pazienti

con Sjogren.

Complicanze linfoproliferative.

Tra l’artrite reumatoide e la sindrome di Sjogren, la differenza va fatta soprattutto perché la sindrome

di Sjogren ha un incremento del passaggio al linfoma di quattro volte superiore all’artrite reumatoide,

perché anche l’artrite reumatoide può sfociare nel linfoma, ma la sindrome di Sjogren di più. Infatti, i

soggetti con sindrome di Sjogren hanno il rischio di sviluppare il linfoma di 30-40 volte superiore

rispetto alla popolazione generale e può essere presente un linfoma non-Hodgkin a cellule B.

Si può avere anche uno sviluppo extra-nodale che può presentarsi a livello delle ghiandole salivari, a

livello del tratto gastroenterico, della cute, del polmone e della tiroide.

La sopravvivenza è limitata al grado di malignità del linfoma ed è peggiore quando il linfoma ha un

grado alto/intermedio.

Bisogna valutare poi quali sono i sintomi e i segni obiettivi [SLIDE 66] dello sviluppo e della presenza

del linfoma: se in questi soggetti comincia una febbricola cronica vuol dire che si può sviluppare un

linfoma e in questo caso va valutata l’ipergammaglobulinemia. Quindi come vanno monitorati questi

pazienti? Almeno ogni sei mesi va richiesto un quadro proteico perché già l’aumento delle gamma ci

può far sospettare.

Poi si può avere una linfoadenopatia diffusa persistente: quando si vanno a visitare questi pazienti

vanno sempre valutate tutte le stazioni linfoghiandolari (inguinali, sottomandibolari, ascellari). In

questo caso se c’è una linfoadenopatia persistente, le gamma invece di alzarsi si abbassano, per cui o

sono troppo alte o sono troppo basse possono essere una spia per l’interessamento linfoproliferativo.

Va valutata la milza: se c’è splenomegalia ci sarà una leucopenia di nuova insorgenza e l’anemia

diventa sempre peggiore.

La tumefazione parotidea persistente è associata, invece, ad un ipo-C4; gli infiltrati polmonari

possono essere associati ad una crioglobulinemia; la vasculite che è associata invece all’HCV.

Reperti di laboratorio: L’ipergammaglobulinemia policlonale è caratterizzata da un’iperreattività delle

cellule B; la VES e la PCR possono essere aumentate; il fattore reumatoide è presente nel 60-70% dei

casi ma anche di più, nel 90% dei casi perché è più associato rispetto all’artrite reumatoide. Gli ANA

hanno un aspetto granulare e sono presenti gli anti-ENA, soprattutto gli SSA-Ro e gli SSB-La.

Eziopatogenesi.

Il processo eziopatogenetico è un processo sequenziale a diverse fasi che conduce ad un danno selettivo

delle ghiandole esocrine. L’ipotesi autoimmune chiaramente è quella più accreditata ma soprattutto

multifattoriale anche in questo caso: un campo genetico su cui poi agiscono tutti gli altri fattori. Gli

antigeni self alterati che sono espressi dall’epitelio delle ghiandole esocrine indurrebbero un’abnorme

risposta autoimmunitaria. I fattori intrinseci sono di predisposizione genetica e sono gli HLA-B8 e

DR3; i fattori estrinseci invece sono agenti di natura virale soprattutto gli HCV. C’è anche un ruolo

ormonale perché questa alta prevalenza nel sesso femminile può essere spiegata proprio dalla

presenza degli ormoni.

[Questa è un po' la patogenesi [SLIDE 69] che io la salto, però vabbè ve l’ho detta insomma.]

Diagnosi.

Per quanto riguarda la diagnosi sono 4 criteri: uno dei quali deve essere la positività della biopsia o

degli antigeni Ro e 3 criteri dei 4 obiettivi. Allora andiamo a vedere quali sono i criteri [SLIDE 71]:

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• Sintomi oculari: sensazione fastidiosa giornaliera di secchezza oculare da almeno tre mesi,

sensazione ricorrente di sabbia negli occhi, uso di lacrime artificiali più di tre volte al giorno

• Sintomi orali: sensazione giornaliera di secchezza orale da più di tre mesi, tumefazione ricorrente o persistente di ghiandole salivari, bere frequentemente per aiutare a deglutire

• Segni oculari: test di Shirmer minore di 5 mm in 5 minuti, test al Rosa Bengala positivo

• Istopatologia: scialoadenite focale con focus score maggiore di 1/mm2 nelle ghiandole salivari

• Ghiandole salivari: flusso salivare globale non stimolato minore di 1,5 mm in 15 minuti, la scialografia parotidea e la scintigrafia salivare

• Presenza di autoanticorpi: anti-Ro-SSA e/o anti-La I criteri di esclusione sono rappresentati dalle principali condizioni che possono mimare la sindrome

di Sjogren:

• dobbiamo escludere i pazienti che hanno avuto una pregressa radioterapia alla testa e al collo perché questo chiaramente fa diventare atrofiche le ghiandole;

• un pregresso linfoma;

• la sarcoidosi;

• la malattia da rigetto di trapianti, infezioni da HCV, HTVL, HIV;

• farmaci ad azione anticolinergica perché gli anticolinergici riducono la secrezione salivare, ghiandolare.

Prognosi. Decorso in genere benigno. La presenza di patologie vasculitiche da immunocomplessi è un

fattore prognostico negativo.

Terapia.

La terapia è sintomatica, in parte.

Per la secchezza oculare vengono utilizzati dei preparati di lacrime artificiali, se non si riesce a

sopperire può essere utilizzata anche la ciclosporina topica. La xerostomia può essere usata con la

pilocarpina o con gli agonisti colinergici.

L’artrite con gli antinfiammatori vengono alleviate con l’idrossiclorochina, il platinil e con i

corticosteroidi.

Le manifestazioni extra-articolari, quindi quando c’è un interessamento sistemico, vanno usati gli

immunosoppressori, quali azatriopina, methotrexate e la ciclofosfamide.

In casi più refrattari, quindi che non rispondono alla terapia di base, si usano i farmaci biologici,

soprattutto il rituximab che è un anti-CD20 e il belimumab che è un anti-BlyS perché è di recente

produzione in effetti. Anche se vengono valutati anche altri farmaci come (min 01:01:45) e tanti altri

biologici.

MALATTIA MISTA DEL TESSUTO CONNETTIVO (MCTD)

Questa malattia è stata descritta per la prima volta nel 1972 ed è caratterizzata dalla presenza

contemporanea di Lupus eritematoso sistemico, di sclerosi sistemica e di polidermatomiosite (quindi

polimiosite e dermatomiosite) ed è associata ad anticorpi diretti contro la liponucleoproteina RNP.

Quindi questo paziente ha tutti i sintomi, di tutte e quattro le patologie. La prevalenza è di 10 su

100000 abitanti anche in questo caso le donne sono quelle maggiormente colpite con un rapporto di

9:1.

L’esordio è variabile. Il fenomeno di Raynaud è quasi sempre presente e nel 50% dei pazienti le

alterazioni capillaroscopiche sono tipiche della sclerosi sistemica, cioè le aree vascolari, i

megacapillari. Anche l’artrite è presente nel 90% dei casi, è simmetrica e nel 20% dei casi può anche

essere erosiva.

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Manifestazioni cliniche.

Per quanto riguarda le manifestazioni cliniche il decorso è caratterizzato, nel 70% dei casi, da

interessamento polimiositico, quindi da miosite che è meno impegnativo rispetto alla polimiosite.

Istologicamente, appare come quella della dermatomiosite, quindi più come vasculite in quanto

inizialmente non colpisce le fibre muscolari ma i vasi.

L’interessamento polmonare può essere caratterizzato da ipertensione arteriosa polmonare che è la

prima causa di morte: questi pazienti vanno incontro a una ipertensione polmonare che può essere

valutata con l’ecocardiogramma ma successivamente deve essere confermata con il cateterino

cardiaco. È correlata alla vasculopatia delle arterie polmonari. Allora si può avere sia un interstiziopatia

che provoca fibrosi e sia un interessamento delle arterie polmonari pre o post capillari che

determinano invece un’ipertensione polmonare.

Le alterazioni cutanee invece sono:

• dita a salsicciotto che è tipico dell’artrite psioriasica però in questi pazienti si può presentare la tumefazione di tutta la mano quindi tutte le dita sono colpite;

• si può avere la sclerodattilia tipica della sclerosi sistemica;

• rash cutanei tipici del lupus;

• le papule di Gottron che abbiamo visto della dermatomiosite, il rush eliotropico, le calcinosi;

• le teleangectasie;

• la fotosensibilità. Quindi praticamente questo paziente ha proprio una facies tipica piena di teleangectasie

generalmente, accompagnata poi da altre lesioni simil-lupiche e le calcinosi sono anche molto

frequenti in questi pazienti.

Inoltre, possiamo avere alterazioni gastroenterologi che: immunità esofagea nel 75% dei pazienti che

può essere vista con la radiografia; sindrome da malassorbimento; perforazione intestinale.

Per quanto riguarda l’interessamento cardiaco è rappresentato da pericardite.

L’interessamento renale è caratterizzato dalla glomerulonefrite, dalla sindrome nefrosica e dalla crisi

renale sclerodermica dovuta soprattutto a lesione mesangiale e membrano-proliferative.

Il coinvolgimento neurologico coinvolge il trigemino e si può presentare cefalea sempre a genesi

vascolare.

Le manifestazioni ematologiche sono soprattutto leucopenia e piastrinopenia e dal punto di vista

istologico abbiamo vasculopatia diffusa dei vasi di piccolo e medio calibro.

La sclerosi della MCTD è diversa da quella della sclerosi sistemica perché è meno associata a fibrosi e

anche i depositi di immunoglobuline e del complemento sono ridotti rispetto a quelle della sclerosi.

Quali sono le manifestazioni? Sono divise in quelle all’esordio e quelle che invece poi si presentano

sempre.

All’esordio, abbiamo:

• il fenomeno di Raynaud;

• le artralgie/artriti che sono quelle più importanti.

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Il fenomeno di Raynaud si può presentare anche al 96% dei pazienti e anche l’artrite con un 20%

erosivo.

• Le mani tumefatte si possono presentare cumulativamente fino al 75%.

• La disfunzione esofagea, che all’esordio è meno frequente, può raggiungere anche l’80%.

• Anche la miosite all’esordio è circa il 2% può raggiungere il 50%.

• La leucopenia può raggiungere il 53%,

• L’interessamento di pleura, pericardio e così via. Quindi all’esordio si manifesta con alcune caratteristiche, però poi con l’andare del tempo raggiunge la

caratteristica clinica per tutte e quattro le patologie messe assieme.

Alterazioni di laboratorio.

Dal punto di vista del laboratorio, la diagnosi si fa per la presenza di anti-U1RNT e solo per la presenza

di questi anticorpi, altrimenti la diagnosi non può essere fatta, perché può essere solo una malattia da

overlap per esempio un lupus sclerosi o un lupus miosite, però se sono presenti questi anticorpi a titoli

molto molto elevati allora si può fare la diagnosi. Possono essere presenti anche anticorpi anti-Ro,

anti-La e anti-fosfolipidi. L’aumento della VES è sempre presente così come l’aumento delle gamma.

Eziopatogenesi. Qui vengono chiamati in causa i geni dell’HLA-DR4, l’importanza degli ormoni

femminili e i fattori ambientali ma non si sa quali siano: possono essere virali, ambientali e così via.

Prognosi. 1/3 dei pazienti ha un decorso favorevole, 1/3 dei pazienti ha una malattia aggressiva, il

resto degli altri pazienti presenta una malattia ad andamento remissione/attività quindi vanno sempre

trattati con corticosteroidi o un’associazione con immunosoppressori.

Le cause più frequenti di morte, abbiamo detto che sono:

• Ipertensione arteriosa polmonare

• L’insufficienza respiratoria

• Scompenso cardiaco

• Infezioni

Sono state fatte in verità varie classificazioni per fare diagnosi che tengono conto di numerosi criteri,

quelli che vi suggerisco sono questi qua centrali [SLIDE 83], quelli di Alarcon-Segovia che

comprendono criteri sierologici, come la positività anti-1RNT>1006 quindi vedete sono valori molto

alti: solo con questo aumento si può fare diagnosi. Quindi se sono positivi ma non sono ad alto titolo

non si può fare la diagnosi.

Poi, invece, i criteri clinici:

• Edema delle mani

• Sinovite

• Miosite

• Fenomeno di Raynaud

• Acrocianosi

Con i criteri sierologici positivi e presenza di 3 dei criteri clinici, tra cui miosite e sinovite, si può fare la

diagnosi. Quindi abbiamo sierologico, miosite, sinovite e fenomeno di Raynaud possono fare la

diagnosi.

SINDROME DA ANTICORPI ANTI-FOSFOLIPIDI (APS)

È una patologia autoimmune sistemica autoanticorpo-mediata ed è caratterizzata da eventi

tromboembolici ricorrenti sia venosi che arteriosi. È caratterizzata da poliabortività e dalla presenza

in circolo di anticorpi anti-fosfolipidi.

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Questa patologia veramente è molto complessa, perché può presentare caratteristiche eterogenee a

carico di vari organi e apparati.

Può essere primitiva, quando chiaramente non è associata ad altre forme di connettivite, ma può

essere anche secondaria a LES, soprattutto.

Esiste inoltre una variante rara, nell’1% dei casi, che è detta sindrome da fosfolipidi catastrofica,

solitamente la paziente muore sempre, cioè nel momento in cui si instaura questa sindrome

praticamente è difficile che possa superare la crisi. È caratterizzata da una microangiopatia trombotica

disseminata, cioè presenta trombosi in vari organi ed apparati quindi è difficile riuscire a salvare

queste pazienti che presentano queste crisi.

Che cosa sono gli anticorpi anti-fosfolipidi? Sono una famiglia eterogenea di immunoglobuline

dirette verso le proteine plasmatiche, soprattutto la beta2-glicoproteina che si lega ai fosfolipidi a

carica negativa e costruisce un complesso che rappresenta il maggior target antigenico di questa

glicoproteina. Sono identificati mediante 3 principali tipi di test: o con la ricerca del lupus

anticoagulant (LA) o con la ricerca degli anticorpi anti-cardiolipina o anticorpi anti-beta2-

glicoproteina 1.

Epidemiologia.

La reale incidenza di questa malattia non è nota, comunque stimati attorno all’1%. La malattia colpisce

le pazienti giovani, tra i 20 e i 40 anni, colpisce principalmente il sesso femminile. Circa 1/3 dei

pazienti con il LES hanno positività agli anticorpi anti-fosfolipidi ma solo il 30% di questi può

sviluppare fenomeni trombotici. Quindi nel lupus, infatti, tra i criteri abbiamo gli autoanticorpi e tra

questi c’è anche la presenza di anticorpi anti-cardiolipina. Solo il 30% di questi può sviluppare eventi

trombotici, quindi la presenza di questi anticorpi non significa necessariamente sviluppare gli eventi

tromboembolici. La sindrome anticorpi anti-fosfolipidi associata al LES assume generalmente un

carattere più aggressivo e il rischio di recidive è più alto rispetto alla forma primitiva perché

chiaramente nel LES ci sono anche altre complicanze, per cui l’associazione delle due sindromi è più

severa rispetto al solo LES o alla sola sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi.

La presenza di questi anticorpi è un’importante causa di patologia ostetrica, quindi è molto importante

dal punto di vista ostetrico seguire le pazienti che hanno la presenza di questi anticorpi. Infatti una

percentuale compresa tra il 7 e il 25% degli aborti ricorrenti, escluse le cause di anomalie anatomiche,

ormonali o cromosomiche è dovuta proprio alla presenza di questi anticorpi. Il 25% è molto alto,

quindi il ginecologo, in caso di aborto ma anche senza, cioè quando c’èuna giovane donna che deve

partorire deve fare sempre lo screening per la presenza anche di questi anticorpi. Infatti, le donne in

gravidanza con una precedente diagnosi hanno un maggior rischio di sviluppare preeclampsie o

insufficienza placentare.

La mortalità è stimata intorno al 5%; le principali cause di morte sono eventi trombotici severi, ictus o

infarti del miocardio e infezione o rischio emorragico secondario alla terapia anticoagulante. Il tasso di

mortalità nei pazienti con sindrome anticorpi anti-fosfolipidi catastrofica è chiaramente più elevato.

[Io sono reumatologa e ne ho vista solo una che purtroppo è andata male, è difficile che la incontrate

una sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi catastrofica però purtroppo esiste.]

Gli anticorpi anti-fosfolipidi possono essere anche presenti nella popolazione generale, nell’1-5% dei

casi e senza essere associata a nessuna patologia. Questi tra l’altro aumentano con l’età.

Quali sono i fattori che favoriscono lo sviluppo di questi anticorpi? Sono le infezioni, soprattutto

quelle di origine virale, ma anche quelle batteriche e parassitarie, le vaccinazioni, i farmaci, e alcune

neoplasie solide ed ematologiche.

Quali sono i criteri classificativi?

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I criteri clinici sono:

• Manifestazioni trombotiche: uno o più episodi di trombosi arteriosa, venosa o dei piccoli vasi in qualsiasi organo o tessuto confermata mediante imaging, ecodoppler o esami istopatologici, in assenza di evidenti segni di flogosi della parete vasale.

• Complicanze ostetriche, uno o più morto non spiegabili di feti, morfologicamente normali, durante o dopo la 10 settimana di gestazione; oppure uno o più nascite premature di neonati

morfologicamente normali prima della 34esima settimana di gestazione per eclampsia, severa

pre-eclampsia o insufficienza placentare; 3 o più aborti spontanei consecutivi non spiegabili prima della 10 settimana escludendo anormalità anatomiche, polmonari, ecc. o anche cromosimiche sia della madre che del padre.

Criteri di laboratorio

• Il lupus anticoagulant è presente nel plasma in due o più determinazioni eseguite ad almeno 12

settimane di distanza l’una dall’altra: voi fate fare l’esame, se positivo per avere la certezza dovete farlo ripetere dopo 12 settimane per vedere se è ancora positivo, perchè ci sono molti falsi positivi.

• Anticorpi anti-cardiolipina IgG e/o IgM ad alto/medio titolo in due o più occasioni, quindi anche queste a 12 settimane di distanza

• Anticorpi anti-beta2-microproteina-1 IgG o IgM, anche questo, misurate generalmente con il metodo ELISA, perché è quello più specifico.

Per fare la diagnosi è necessaria la contemporanea presenza di almeno un criterio clinico ed un

criterio di laboratorio il quale deve essere sempre confermato, quindi con una sola volta non si fa

diagnosi. Questo perché la positività deve persistere nel tempo al fine appunto di escludere positività

non specifiche e transitorie, come ad esempio nei processi infettivi si può avere un aumento di questi

anticorpi che passato il periodo infettivo non si presentano più, perciò vanno poi ripetute a 12

settimane.

Le manifestazioni cliniche più tipiche sono le complicanze ostetriche. La trombosi venosa profonda

rappresenta in assoluto la manifestazione clinica più frequente, nella maggior parte dei casi coinvolge

il circolo venoso profondo e superficiale degli arti inferiori ed ha un’elevata incidenza di recidiva in

assenza di terapia anticoagulante, in 1/3 dei casi può sfociare anche in embolia polmonare. La sede che

viene più frequentemente colpita dalla trombosi arteriosa è quella cerebrale e chiaramente è più grave

quella arteriosa. Le complicanze ostetriche rappresentano l’altro gruppo di manifestazioni incluse nella

sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi e in questo caso è associato una poliabortività precoce e

complicanze tardive e si verificano nel secondo e nel terzo trimestre di gravidanza. Altre

manifestazioni cliniche sono le valvulopatie, le complicanze dermatologiche, le complicanze

ematologiche e le manifestazioni neurologiche.

Poi abbiamo la piastrinopenia che è molto importante e che è presente in quasi il 20% dei pazienti;

l’interessamento renale, caratterizzato da ipertensione, proteinuria, ematuria o insufficienza renale

cronica.

Il coinvolgimento valvolare rappresenta la manifestazione cardiaca più frequente, le lesioni più

comuni sono rappresentate dalle vegetazioni o dall’inspessimento valvolare.

Manifestazioni cutanee: la livedo reticularis è presente soprattutto sulle cosce. Questo reticolo

purpureo che può localizzarsi appunto alle estremità, a volte anche al tronco ed è dovuto proprio al

ristagno di sangue nei capillari soprattutto superficiali. La presenza di ulcere cutanee si può avere

soprattutto a livello dei polpastrelli come avviene nella sclerosi sistemica perché anche qui si può

avere il fenomeno di Raynaud.

Le manifestazioni neurologiche sono emicrania, ictus cerebri, attacco ischemico transitorio, epilessia,

demenza multinfartuale e poi in una percentuale minore si può avere corea e encefalopatia acuta,

amnesie, atassia e così via.

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Poi si può avere anche un interessamento oculare sempre dovuto a disturbi vascolari quindi sono

dovuti ad una patologia vaso-occlusiva.

La sindrome catastrofica [SLIDE 102] è la forma più grave, è una variante rara ed è dovuta ad un

massiccio e diffuso coinvolgimento del microcircolo: si ha una micro-angiopatia trombotica eruttiva

associata anche ad una CID perciò la paziente muore, con l’interessamento di almeno tre organi.

L’interessamento renale è quello più rappresentato, possono essere coinvolti anche polmone, cuore,

cute e sistema nervoso centrale. Si può avere una miocardiopatia, un interessamento splenico, una

piastrinopenia.

Per quanto riguarda la diagnosi di laboratorio, abbiamo visto gli anticorpi anti-fosfolipidi (min

01:23:53)

[Voglio dire solo due cenni della terapia. Questo qua già lo abbiamo detto prima [SLIDE 105-106]

quindi vado più veloce.]

La patogenesi delle manifestazioni sono i fenomeni trombotici placentari, perciò praticamente l’aborto

si ha anche a fine gravidanza perché è la placenta che viene colpita dai trombi, invece le perdite fetali

sono dovute al legame al trofoblasto con alterazione di secrezione delle gonadotropine e riduzione

della capacità del trofoblasto a nutrire il feto.

La terapia. In base alle caratteristiche cliniche abbiamo 4 categorie:

1. La prevenzione secondaria in pazienti con pregressa storia di trombosi venosa o arteriosa, e

questo è normale 2. In gravidanza va sempre data la cardioaspirina fino alla 32esima settimana e poi va sostituita

con l’eparina; i protocolli sono diversi a seconda del ginecologo, però solitamente si alternano

cardioaspirina e eparina 3. Il trattamento della micro-angiopatia trombotica in corso di sindrome catastrofica chiaramente

4. E la profilassi primaria nei soggetti anti-cardiolipina positivi e nelle donne con una sola storia

ostetrica con la cardioaspirina

Quindi la terapia è molto semplice, quello che è importante è sapere che la paziente ha una sindrome,

questo è importante, cioè bisogna seguirla per evitare altri problemi.

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Cuomo – Lezione 9 (05-04-17) – Malattie dell’immunità innata e osteoporosi

Sbobinatore: Martina La Manna

Coordinatore: Gilda Gammuto

MALATTIE IMMUNITA’ INNATA

Le malattie dell’immunità innata, che si presentano soprattutto nel bambino, è giusto sapere che

esistono perché a volte si possono presentare anche negli adulti e la diagnosi non si riesce a fare

perché sono poco conosciute.

Sono malattie chiamate Sindromi autoinfiammatorie monogeniche e, infatti, hanno una base

monogenica e sono caratterizzate dalla mutazione di geni codificanti per proteine che hanno un ruolo

fondamentale nella risposta infiammatoria.

Queste proteine vengono modificate e quindi si altera tutta la risposta infiammatoria.

Si dividono in 4 gruppi.

1. Febbri ricorrenti o periodiche: comprendono la febbre mediterranea familiare, il deficit di mevalonato chinasi (detta anche sindrome da iper-Ig D) e la TRAPS (sindrome periodica associata a recettore TNF).

[Chiaramente non voglio sapere quali siano i geni coinvolti e i cromosomi, però bisogna sapere che

queste febbri periodiche esistono ed è giusto anche fare la diagnosi perché esse rispondono solo alla

Colchicina o, nei casi resistenti alla colchicina, rispondono all’anti TNF]

2. Criopirinopatie: famiglia di malattie che comprende la CINCA, che è quella più frequente. 3. Malattie granulomatose: la sindrome di Blau. 4. Disordini piogenici: la sindrome PAPA, quella Dira e la sindrome di Majeed.

Sono tutte autosomiche dominanti, tranne la febbre mediterranea familiare, la sindrome da iper Ig D,

la sidrome Dira e quella di Majeed.

Le febbri periodiche

Per febbre periodica o ricorrente si intende una condizione caratterizzata da due, tre o più episodi

febbrili che non hanno alcun tipo di correlazione con nessun tipo di manifestazione, quindi sono di

origine sconosciuta. Questi episodi febbrili si presentano per un periodo di almeno 6 mesi e almeno

una settimana l’uno dall’altro, cioè viene il primo episodio, poi passa, poi ne viene un altro almeno ad

una settimana di distanza e nell’arco di 6 mesi.

La febbre mediterranea familiare ha una trasmissione autosomica recessiva ed il gene è espresso

principalmente nelle cellule mieloidi. Si manifesta con febbre elevata della durata di 24/96 h, associata

ad una sierosite (quindi può essere associata ad una peritonite, ad una pericardite o anche ad una

pleurite). Può essere accompagnata o no da manifestazioni cutanee.

L’esordio è prima dei 10 anni, quindi generalmente sono dei bambini che presentano non più di un

episodio al mese, con queste caratteristiche. Si può trovare anche negli adulti, nonostante sia più

frequente nei bambini.

Altri segni e sintomi che possono accompagnare la malattia sono soprattutto gastrointestinali (nel

95% dei casi), caratterizzati da dolore addominale, peritonite e a volte può addirittura simulare un

addome acuto, poiché il dolore è molto intenso, vomito e diarrea. Poi si può avere dolore toracico,

artralgie (raramente artriti), lesioni cutanee e splenomegalia.

I criteri maggiori per fare diagnosi sono: l’accesso febbrile ricorrente, una sinovite, una peritonite,

una pleurite e poi la presenza di amiloidosi di tipo A, in assenza di malattie o fattori predisponenti. E

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infine la riposta al trattamento, quindi il trattamento è un criterio ex iuvantibus, cioè tu dai la

colchicina, se rispondono è uno dei criteri per fare diagnosi.

I criteri minori sono: episodi febbrili ricorrenti, lesioni simil erisipelioidi(per esempio a livello della

regione tarsica, quindi la tibia, a livello del dorso del piede) e la documentata familiarità per febbre

mediterranea familiare.

La diagnosi certa si fa con due criteri maggiori, oppure con un criterio maggiore più due minori. È

probabile la diagnosi quando c’è un solo criterio maggiore e un solo criterio minore. La diagnosi è

essenzialmente clinica, perché non ci sono dei test di laboratorio diagnostici per questa malattia.

Durante l’attacco, si trova una leucocitosi neutrofila, si può avere un incremento degli indici di flogosi

(Ves, pcr e il fibrinogeno). Un indice diagnostico e prognostico può essere la presenza della

sieroamiloide A, per cui, più è alta e più la prognosi è negativa. E poi abbiamo la diagnosi molecolare,

in cui si vanno a ricercare le mutazioni di questi geni.

La complicanza più temibile di questa malattia è l’amiloidosi renale, poiché, chiaramente, essendo

aumentata l’amiloidosi, si può accumulare nel rene e determinare un’insufficienza renale che, nel 60%

dei casi, può essere anche mortale. Soprattutto i pazienti con alti livelli di sieroamiloide A, possono

presentare quest’insufficienza renale che va monitorata con la proteinuria, quindi l’esame delle urine

va’ fatto almeno una volta al mese.

Il trattamento è la colchicina, un alcaloide naturale che inibisce la mitosi cellulare, bloccando la

formazione dei microtubuli e inibendo la degranulazione dei polimorfonucleati. Le dosi iniziali sono:

quando il bambino pesa meno di 20 kg, 0,5 mg/die; superiore ai 20kg, 1 mg/die. Se c’è anche

l’amiloidosi renale, 1,5-2 mg al giorno (considerate che una compressa è da 1 mg, quindi o va data

metà, o una, o due se deve essere aumentata). Nel caso di intolleranza alla colchicina, soprattutto a

livello gastrointestinale (perché generalmente porta diarrea, quindi non è molto tollerato dai pazienti),

o mancata risposta, si può passare al farmaco biologico. Sono state fatte diverse casistiche, anche se

limitate, dove si è visto che l’utilizzo di infliximab, etanercept (che sono anti TNF) o anakinra(anti IL

1), danno buoni risultati, però le casistiche sono limitate.

Sindrome da iper Ig D è a trasmissione autosomica recessiva, con alterazione dell’enzima che ha il

compito di fosforilare l’acido mevalonico il quale fa parte della catena enzimatica dell’infiammazione,

per cui, l’alterazione di questo enzima, determina un aumento dell’infiammazione. L’esordio è ancora

più precoce, al di sotto dei 2 anni.

Determina accessi febbrili ricorrenti anche qui, della durata di 2/7 giorni e a volte il primo attacco si

può presentare subito dopo una vaccinazione, perché va a stimolare la cascata infiammatoria a livello

sistemico, cosa che generalmente si ha dopo una vaccinazione. Infatti, i bambini dopo la vaccinazione

hanno sempre febbre. Se c’è alterazione enzimatica, la febbre si presenta per questa sindrome.

La ricorrenza è ogni mese, ogni 4/6 settimane.

Si accompagna a segni come linfoadenomegalia (che la si trova nel 94% dei pazienti), diarrea, rush

cutaneo, che può essere maculopapulare, orticarioide, nodulare, morbilliforme, vasculitico, artralgie o

artrite, brividi che accompagnano la febbre, dolori addominali, vomito, cefalea, aftosi orale. Quindi uno

stato infiammatorio sistemico.

Esami di laboratorio: durante l’accesso acuto, troviamo sempre neutrofilia, aumento degli indici di

flogosi, aumento di Ig D che sono normali nei pazienti molto piccoli e quindi è aspecifico come reperto.

Quindi se sono di pochi mesi di vita, le Ig D sono normali. Si può avere anche un’aumentata escrezione

urinaria di acidi organici (acido mevalonico aumentato).

Diagnosi biochimica: si valuta l’attività enzimatica della mevalonato chinasi che naturalmente è

bassa.

Diagnosi molecolare invece va a valutare se effettivamente c’è un deficit del gene che produce questo

enzima.

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Le complicanze sono l’artrite cronica (a differenza della febbre periodica, l’artrite è più sentita),

l’amiloidosi è invece rara (a differenza della febbre mediterranea).

Terapia: è possibile utilizzare FANS e steroidi durante l’attacco, quindi la fase acuta. Va dato

prednisone 1 mg per kg di peso oppure betametasone 0,1 mg/kg, perché si dà mille equivalenti. Se il

paziente ha un fenotipo più grave, quindi steroido-dipendente, per ridurre gli steroidi si aggiunge la

colchicina o il biologico. Generalmente anche le statine perché ci vengono a bloccare il processo di

trasformazione enzimatica.

Poi c’è la terza sindrome (TRAPS) che è a trasmissione genetica autosomica dominante a penetranza

incompleta. Il gene codificante è quello 1A del TNF sul braccio corto del cromosoma 12. La maggiore

espressione del TNF sulla membrana recettoriale comporta un aumento dello stimolo infiammatorio,

quindi viene prodotto più TNF.

Causa episodi febbrili di lunga durata (a differenza degli altri) e possono manifestarsi anche per più di

20 giorni consecutivi. È una febbre ondulante, possono essere presenti dai due ai sei episodi l’anno e

l’esordio anche in questo caso è nei primi anni di vita (la media è intorno ai tre anni). Si può presentare

anche nell’adulto, però in questo caso la febbre è assente. [Noi abbiamo un paziente che con la

sindrome TRAPS viene trattato con l’anti IL-1 (anakinra)]. Si manifesta nel bambino con la febbre,

nell’adulto è un po’ meno caratteristica.

Ma ci sono anche altre caratteristiche che ci aiutano a identificare questa sindrome: mialgie diffuse,

dolore addominale, dolore toracico, artrite, dolore scrotale. Poi si può avere una fascite monocitica, un

rash eritematoso, edema periorbitale, congiuntivi, uveiti e linfadenopatia. Quindi tutti sintomi

aspecifici che possiamo trovare anche in altre patologie, perciò è difficile fare la diagnosi. Però, se si

escludono altre cause è più facile fare diagnosi di questa sindrome.

Studente: quindi è una diagnosi di esclusione?

Prof: si. Perché quando viene un paziente con febbre, si pensa innanzitutto ad un’infezione, se la febbre

è bassa anche ad un tumore, connettiviti, una cosa qualunque. Ma se non c’è un substrato che fa capire

che è l’una o l’altra, bisogna per forza pensare a questo. Non sono il primo pensiero essendo sindromi

molto rare e alcuni non le conoscono nemmeno, quindi è difficile fare diagnosi. Si fa soprattutto

molecolare, ricercando il gene. Se le si conosce si può fare anche diagnosi clinica, però se non si

conoscono le sindromi, la diagnosi non la si farà mai. Per cui molti pazienti vengono trattati per artrite

reumatoide pur non avendola, anche se il quadro è simile. Bisogna quindi sapere che esistono anche

altre opportunità terapeutiche.

[Per esempio, avevamo in reparto un paziente con spondiloartrite, in trattamento con anakinra; ha

sviluppato febbre, e ha continuato a fare l’anti TNF α e questa febbre chiaramente è peggiorata. È stato

ricoverato da noi, perché è venuto da un altro ospedale, ha continuato con la febbre, quindi pensavamo

ad un fatto infettivo e abbiamo fatto emocultura, espettorato, insomma tutti gli esami, e molto

probabilmente ha una tubercolosi, cioè una riattivazione della tubercolosi, perché alla radiografia c’è

un aspetto miliare, quindi una tubercolosi miliare che è rarissima, però c’è. Nonostante ciò, non ci si

spiegava la febbre, visto che la tubercolosi non porta a febbre così alta, arrivava anche a 40 e non

scendeva né con paracetamolo e nemmeno con l’antibiotico è cambiato qualcosa, risponde però al

cortisone, grazie al quale è sfebbrato. La diagnosi molto probabilmente è quella di una tubercolosi

perché c’è anche il Quantiferon positivo, però questo ha qualcos’altro secondo me, perché la risposta al

cortisone fa pensare ad una vasculite, che risponde al cortisone mentre la tubercolosi no, anzi peggiora

con esso perché diventa più immunodepresso. E poi un’altra ipotesi era quella di un Lupus da farmaci,

perché l’anti TNF α può sviluppare un lupus da farmaci, anche perché aveva pleurite, peritonite, cioè

una polisierosite e quindi poteva avere le caratteristiche del Lupus.]

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Quindi una sindrome TRAPS è rara, non si conosce la malattia, è ultraspecialistica, ma se uno ci

pensasse alla TRAPS ogni qualvolta viene una febbre periodica, sarebbe più facile diagnosticarla, non è

tanto rara come si pensa.

Anche in questo caso i risultati di laboratorio sono sempre gli stessi, leucocitosi neutrofila, aumento

degli indici di flogosi, in questo caso aumenta anche la ferritina come indice di flogosi. Si può avere

un’anemia secondaria, per la flogosi, e un incremento della sieroamiloide A, una gammopatia

monoclonale e una proteinuria dovuta alla deposizione di amiloide. La diagnosi in questo caso è

molecolare.

Complicanza più temibile è l’amiloidosi generalizzata, per la precipitazione dell’amiloide nei vari

organi, che può portare proteinuria con insufficienza renale sia acuta che cronica. Se uno fa le analisi e

vede l’amiloide aumentata, fa diagnosi di amiloidosi, non di TRAPS, quindi l’amiloide aumentata può

anche essere espressione non di amiloidosi, ma di altre malattie auto infiammatorie, poiché l’amiloide

è comunque una proteina infiammatoria. Quindi è una diagnosi per esclusione.

Terapia: nell’attacco acuto si danno steroidi, etanercept (un anti TNF α) e anakinra(un anti IL-1) nella

terapia di fondo; in questo caso la colchicina non è efficace.

La sindrome PFAPA è una febbre periodica caratterizzata da aftosi, stomatite, faringite, adenite.

L’eziologia non si conosce, è multifattoriale, quindi infettiva, genetica, autoinfiammatoria. Il trigger

microbico scatena una risposta autoinfiammatoria in alcuni soggetti.

Criteri diagnostici sono: episodi febbrili ricorrenti con esordio prima dei 5 anni d’età, sintomi

costituzionali in assenza di infezioni respiratorie (stomatite aftosa, linfoadenopatia, faringite).

Esclusione della neutropenia ciclica mediante controlli seriati dei globuli bianchi prima, durante e

dopo i periodi sintomatici, e nei periodi asintomatici tra gli accessi febbrili. Normale crescita staturo-

ponderale e normale sviluppo psico-fisico.

Quindi di fronte a questi sintomi non riusciamo a fare diagnosi, essendo poco specifici (ad esempio

l’aftosi orale nel bambino la trovate frequentemente, quindi non vai a pensare ad un deficit genetico e

a questa patologia) e quindi la diagnosi sarà molecolare.

È una febbre superiore ai 38 gradi con una remissione spontanea, con una durata di circa 3-5giorni e

tipicamente un episodio al mese. Il sospetto può nascere proprio da questa periodicità, per questo si

dice febbre ricorrente, perché viene un episodio, poi si presenta dopo 1 mese. È sempre accompagnata

da linfadenopatia, nella maggior parte dei casi, da faringite, stomatite, può essere anche accompagnata

da cefalea, quindi una classica sindrome febbrile, dolori addominali, artromialgie, nausea, diarrea e

rash.

Il laboratorio presenta una lieve leucocitosi neutrofila, le piastrine sono normali o generalmente poco

aumentate. Un aumento di VES e PCR, un aumento di tutte le gammaglobuline (Ig A, G, M, D), e anche

qui un aumento dell’amiloide A.

Nei periodi intercritici è tutto normale, queste alterazioni le ritrovi solo durante il periodo acuto,

quindi la febbre.

Terapia: steroidi (betametasone o prednisone); per quanta riguarda la terapia chirurgica, si fa la

tonsillectomia, però quando i pazienti hanno particolare impegno delle faringotonsille, oppure episodi

che si protraggono nel tempo, non responsivi alla terapia tradizionale, compromissione della qualità di

vita (i bambini vanno anche incontro ad uno stress fisico e psicofisico). Nel 50-60 % dei casi la

tonsillectomia può essere risolutiva. Però c’è sempre un 40 % dei casi in cui magari il problema non

viene risolto. Questa sindrome risponde prontamente agli steroidi, ha una risoluzione spontanea nel

tempo, assenza di complicanze e una prognosi buona.

Domanda: ma quindi la differenza con l’altra malattia è solo la durata della febbre?

Prof: si, in questo caso si.

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Qua vengono confrontate le varie sindromi (slide 32): la differenza è legata anche all’età di esordio, poi

la durata della febbre, la periodicità, sintomi associati, complicanze, terapia.

Poi abbiamo le criopirinopatie. La più conosciuta è la CINCA che è una sindrome neurologica infantile

cronica, cutanea e articolare. E’ autosomica dominante e l’esordio è nei primi giorni di vita (2/3 alla

nascita, 1/3 entro i primi 6 mesi). C’è una febbre intermittente e ci sono sintomi a carico del sistema

nervoso centrale, la cute, organi di senso e il sistema osteoarticolare. La cute è caratterizzata da un

rash orticarioide non pruriginoso, il SNC da meningite asettica cronica con ritardo mentale, gli organi

di senso possono portare sordità, cecità, ritardo mentale. A livello osteoarticolare c’è una facies tipica:

ci sono delle bozze frontali prominenti, un’ipoplasia mandibolare e il naso a sella. Il dolore articolare si

ha perché le ossa crescono più velocemente e le cartilagini crescono prima delle ossa e quindi c’è

questa sproporzione delle ossa. Hanno una bassa statura.

Diagnosi: episodi ricorrenti intervallati da periodi intercritici di benessere; c’è sempre una leucocitosi

neutrofila e aumento degli indici di flogosi. La genetica è positiva solo nel 50% dei pazienti, quindi

anche qui la diagnosi è difficile. La

terapia si fa sempre con steroidi e FANS o con l’anakinra. Studi recenti hanno utilizzato anche il

Canakinumab che è un altro anticorpo contro l’ IL-1 beta, è più specifico ma costa molto di più.

Delle malattie granulomatose, la sindrome di Blau è una granulomatosi sistemica giovanile, che è

rara. La clinica è caratterizzata da esordio nei primi anni di vita, l’infiammazione granulomatosa si può

avere a carico delle articolazioni, cute e occhi. Il quadro clinico è caratterizzato da artrite, rash cutanei

e uveite.

In questo caso la diagnosi è genetica e se dovesse essere negativa la genetica, si fa la biopsia sinoviale

o cutanea per la presenza di questi granulomi.

La terapia è un po’ controversa. Non vengono utilizzati i biologici, ma immunosoppressori quali il

metatrexato e la ciclosporina.

Per quanto riguarda i disordini piogenici, c’è la sindrome PAPA, un’artrite sterile piogenica, pioderma

gangrenoso e la sindrome da acne. La prima è in genere quelle più presente.

E’ una malattia autosomica dominante, si può avere un’artrite piogenica sterile pauciarticolare, anche

se il quadro può essere simile a quello dell’artrite settica. Poi si può avere acne cistica (destruente),

lesioni ulcerative alle estremità degli arti inferiori, ascessi piogenici nei siti di iniezione.

Gli esami colturali sono negativi perché non sono caratterizzati da infezioni.

La terapia si fa con steroidi per os (anti TNF, anti IL 1) o con biologici.

L’esordio è sempre nella prima decade di vita ed è accompagnata da artrite e poi dermatite.

La sindrome DIRA è caratterizzata da osteomielite multifocale, quindi molto più grave rispetto alla

precedente, periostite, pustolosi e persistente aumento degli indici di flogosi.

La sindrome di Majeed rientra nei disordini piogenici ed è caratterizzata da osteomielite multifocale,

anemia diseritropoietica, dermatite infiammatoria.

[Di queste fate una lettura, ora facciamo l’osteoporosi che invece dovete sapere bene].

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OSTEOPOROSI

È una malattia scheletrica, caratterizzata da una riduzione della massa ossea e da un’alterazione della

microarchitettura del tessuto osseo che porta ad una fragilità dell’osso e quindi a rischio di fratture.

Quindi va’ ad alterarsi la resistenza ossea e ciò espone il paziente ad un aumentato rischio di frattura.

Da una parte è dovuto ad un deficit quantitativo di massa ossea, dall’altra ad alterazioni

dell’architettura ossea. Tutto questo porta a fragilità scheletrica e frattura. Viene proprio alterata la

trabecolatura dell’osso. ( slide OSTEOPOROSI N°3)

E’ una malattia degenerativa, ad elevata prevalenza, caratterizzata da compromissione della

resistenza.

Il suo esordio è asintomatico, cioè inizia il processo senza che il paziente sappia di averla e quindi va’

avanti e diventa cronica e a volte si fa diagnosi solo dopo che il paziente ha avuto una frattura, però è

chiaro che il medico sa che esiste l’osteoporosi senile, l’ osteoporosi postmenopausale, quindi la cosa

più importante è la prevenzione che si fa con la M.O.C DEXA (Mineralometria Ossea Computerizzata

Dual-energy X-ray Absorptiometry) proprio per vedere se questi pazienti vanno poi incontro a

fratture. Il medico si può basare anche sul fenotipo del paziente, cioè un BMI basso può sviluppare più

facilmente osteoporosi.

Quindi le signore più anziane, più in carne, hanno meno possibilità di sviluppare l’osteoporosi rispetto

a quelle magre.

Come va’ gestita la malattia clinicamente? In chiave metabolica, si deve avere l’obiettivo di ridurre le

fratture e quindi non solo di incrementare la densità minerale ossea. In Italia circa 3.5 milioni di donne

e 1 milione di uomini sono affetti da osteoporosi, quindi il dato è molto elevato. L’incidenza attuale di

fratture di femore prossimale è di circa 100.000 casi per anno, e il 20% è di sesso maschile. Per quanto

riguarda la prevalenza nelle donne il picco si ha tra i 70-79 anni perché l’età è più alta (slide N°6-7),

aumenta gradualmente con l’età. Nel sesso maschile invece dopo i 70 anni la prevalenza è solo del

18%, invece nelle donne è 46%. Quindi c’è una differenza tra maschi e donne e ci fa capire che c’è un

ruolo degli estrogeni. Cioè nel momento in cui gli estrogeni non agiscono più perché la donna va in

menopausa, ci sarà un aumentato rischio di osteoporosi.

Questo è un altro confronto tra femmine e maschi (slide N°8).

Quello che c’è da sapere sull’osteoporosi è che c’è una unità multicellulare di base che determina

riassorbimento o neoformazione. Gli osteoblasti inattivi che sono in quiescenza, vengono attivati e

determinano un riassorbimento osteoclastico, c’è un’inversione della corrente, quindi neoformazione e

quiescenza. Quindi osteoblasti, osteoclasti, osteoblasti attivati.

Quali sono i fattori che agiscono sull’osso?

Sono soprattutto metabolici, e sono:

• Fattori sistemici cioè ormoni calciotropi (PTH, calcitonina), vitamina D e altri ormoni (sessuali, tiroidei, GH e glucocorticoridi).

• Fattori locali sono le correnti piezoelettriche e le citochine (TNF, interleuchine, TGF ecc.).

È importante il sistema OPG/RANKL (osteoprotegestinica rankl) (slide N°11), c’è l’osteoclasta e

agiscono qua tutti i fattori metabolici, e questo va’ ad attivare il precursore dell’osteoclasta, quindi la

differenziazione, l’attivazione, inibizione dell’apoptosi, l’attivazione dell’osteoclasta.

Il recettore rankl e l’osteoprotegerina da qui tutte le citochine, gli estrogeni e il tg beta. RANKL è una

citochina appartenente alla famiglia dei TNF-ligands, espressa sia in una forma di membrana sulla

superficie di cellule osteoblastiche, sia in una forma solubile, che, legandosi al suo recettore RANK,

espresso su cellule della linea osteoclastica, stimola la differenziazione e attivazione degli osteoclasti e

ne inibisce l’apoptosi.

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Invece, l’Osteoprotegerina (OPG), è una glicoproteina appartenente alla famiglia dei recettori per il

TNF, espressa da cellule osteoblastiche, che funziona da recettore ”trappola” solubile, con elevata

affinità per il RANKL, a cui si lega, impedendo pertanto il legame RANKL/RANK.

Questo è il decorso dello sviluppo della massa ossea (slide N°13): quindi c’è un programma genetico

per la struttura della massa ossea, come per tutte le cose.

L’alimentazione ricca di calcio fin da bambino è importante, come anche nell’adolescente e nell’adulto.

Fattori di rischio modificabili comprendono: l’incontrollato sviluppo del peso (bisognerebbe essere

normopeso, un BMI non superiore a 25-26), funzione regolare delle gonadi che producono gli ormoni,

l’attività fisica è importante (sufficiente movimento ed esercizio sportivo).

Nella fase post-menopausale, si assiste alla perdita di massa ossea, accelerata in seguito a deficit di

estrogeni; quindi, c’è una perdita annua del 2-5 %; e poi la perdita annuale di massa ossea che è dello

0.5- 1 %.

Fattori di rischio associati all’osteoporosi e all’artrite reumatoide

Si parla di artrite reumatoide, perché, indipendentemente se è femmina, se è post-menopausa, già c’è

una tendenza all’osteoporosi. Ai fattori di rischio dell’osteoporosi primaria, si associano anche i fattori

di rischio legati alla patologia e anche al trattamento. Quindi, se nell’osteoporosi primaria abbiamo

massa ossea d’esordio, fattori ormonali, menopausa, sesso, età, picco di massa ossea, nell’artrite

reumatoide abbiamo flogosi, glucocorticoidi, che qui usiamo sempre, la perdita di mobilità perché

chiaramente questi pazienti si muovono di meno rispetto agli altri pazienti, e quindi tutto si associa ad

osteopenia e osteoporosi.

Un discorso simile si può fare anche con altre malattie infiammatorie, dove si usano i cortisonici, infatti

esiste proprio l’osteoporosi post-steroidea.

Fattori di rischio dell’osteoporosi sono:

• Non modificabili: costituzionali dovuti alla genetica, il sesso femminile, l’età, la menopausa precoce.

• Modificabili: attività fisica ridotta, l’alimentazione insufficiente, lo stile di vita (alcool e fumo ) e i farmaci. Abbiamo un’osteoporosi primaria(involutiva): post-menopausale, senile, idiopatica nel giovane

adulto.

Quella secondaria: a malattie (artrite reumatoide, malattie endocrine ecc.), a farmaci (cortisone,

eparina ecc.), ad immobilità;

Le cause di osteoporosi secondaria sono:

- Endocrine (Iperparatiroidismo, ipertiroidismo, sindrome di Cushing, ipopituitarismo); - Neoplastiche (mieloma multiplo in particolare perché si sviluppa proprio all’interno dell’osso

quindi della linea eritrocitopoietica [venne un paziente da me per un dolore alla schiena, molto intenso, per il quale non riusciva a muoversi; aveva valori elevatissimi di VES (era superiore a 100) e PCR. La VES l’aveva aumentata già da un anno, il dolore invece era comparso da 4/5 mesi; aveva fatto RNM e TAC e c’erano delle alterazioni. Aveva un mieloma e aveva già avuto fratture vertebrali ed era quindi ad uno stadio avanzato, però questa paziente se avesse fatto esami di screening quando la VES era 100, magari non arrivava a quello stadio. La TAC l’aveva fatta sei mesi prima, poi, rifacendola noi, abbiamo notato la presenza di fratture vertebrali], mastocitosi);

- Congenite (osteogenesi imperfetta, omocistinuria, Malattia di Gaucher); - Da farmaci (corticosteroidi specialmente glucocorticoidi, eparina, anticonvulsivanti, ormoni

tiroidei); - Da immobilità (allettamento prolungato, fratture, paralisi);

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- Miscellanea (artrite reumatoide, cirrosi epatica, insufficienza renale, malassorbimento, anoressia nervosa);

I determinanti del picco di massa ossea (slide N°18) sono: genetico, nutrizionale (quindi giusto

apporto di calcio, vitamina D e proteine), attività fisica adeguata, aspetto ormonale.

(Slide N°19) Se c’è una deficienza di estrogeni: aumenta la perdita di massa ossea, si riduce la

secrezione di paratormone, la produzione di 1,25 diidrossicolecalciferolo e l’assorbimento di calcio

(questa è l’osteoporosi post-menopausale).

Riguardo la vitamina D: l’età innanzitutto determina una riduzione della formazione di vitamina D. Si

può avere una riduzione dell’idrossilazione della 25 OH colecalciferolo, e quindi una riduzione della

produzione, una riduzione dell’assorbimento di Ca e quindi un’iperparatiroidismo secondario ad un

aumento della perdita ossea (osteoporosi senile).

Fabbisogno di calcio

L’adeguato apporto di calcio è essenziale per il raggiungimento di un adeguato picco di massa ossea; è

importante il supplemento calcico dopo la menopausa, quindi calcio e vitamina D devono sempre

essere date in soggetti in menopausa. Questo garantisce la riduzione di perdita ossea, l’aumento di

BMD, e la riduzione dell’incidenza di fratture nell’anziano. Cambia il fabbisogno in base all’età (slide

N°20): tra 11 e 24 anni deve essere più intenso, anche nelle donne in gravidanza è importante e anche

negli uomini dopo i 65 anni, così come nel post menopausa. O si dà il calcio, o la vitamina D, o

entrambe, dipende dal soggetto che terapia preferisce. La vitamina D la si può dare anche mensilmente

o ogni sei mesi intramuscolo, invece il calcio solitamente si dà giornalmente. La cosa importante dei

farmaci è l’aderenza al trattamento, quando cioè il paziente ti segue i risultati sono quelli che ti aspetti.

Bisogna anche capire da medico che tipo di paziente è e se segue le indicazioni, così o gli dai il farmaco

tutti giorni, o una volta a settimana o ogni mese.

Fattori che determinano rischio di osteoporosi: la forte familiarità positiva, quindi la storia

materna di fratture (se è così c’è maggiore possibilità di sviluppare osteoporosi); la menopausa

precoce, al di sotto dei 45 anni; amenorrea secondaria per 6 mesi; basso BMI (le magre vanno incontro

ad osteoporosi), terapia prolungata con glucocorticoidi (la dose di 7.5 mg di prednisone per almeno 3

mesi, già predispone all’osteoporosi. Infatti, le raccomandazioni per la prevenzione dell’osteoporosi

sono che, i pazienti che fanno terapia per 3 mesi con glucocorticoidi, associno il bisfosfonato, farmaco

proprio per l’osteoporosi che si dà per profilassi. Il bisfosfonato va’ sempre dato con calcio e vitamina

D, che garantisce una migliore attività del bisfosfonato); gli ormoni tiroidei, se sono a dosaggi

soppressivi; immobilità prolungata; malattie endocrine; malattie gastrointestinali (per esempio il

malassorbimento può portare osteoporosi); l’anoressia nervosa; i trapianti d’organo.

Tipi di fratture

Si dividono per età. Quelle del femore, sono dell’età più avanzata e il rapporto M/F è di 2:1. Quelle

vertebrali invece, già dall’età di 65 anni si possono presentare in rapporto di 3:1. Quelle di Colles, che

sono della parte distale del radio, già dai 55 anni si possono presentare. Il tipo di tessuto osseo

interessato è il trabecolare in quella radiale e vertebrale, corticale in quella femorale. ( slide N°22).

Le sequele cliniche sono: il dolore, la modificazione dell’aspetto fisico, la disabilità, la perdita

dell’indipendenza, l’aumento della morbilità e della mortalità.

Fratture osteoporotiche

Le più comuni sono quelle vertebrali. Nel 30-50% dei casi, sono presenti nelle donne, nel 20-30%

negli uomini. Nell’arco della vita vanno incontro a queste fratture, quindi se hanno osteoporosi, vanno

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incontro a fratture. Si forma una cifosi e un accorciamento per cui la donna dopo i 60 anni sarà più

bassa rispetto a quando aveva 20 anni. Solo 1/3 delle fratture vertebrali sono clinicamente

sintomatiche. Si ha la frattura però non c’è dolore, 1/4 di queste richiede l’ospedalizzazione. Sono

generalmente localizzate a livello medio-toracico e lombare alto (le due regioni della colonna

vertebrale più compromesse dal punto di vista biomeccanico), meno spesso si rilevano a livello

toracico e lombare basso. Le vertebre cervicali e dorsali alte sono invece raramente o mai coinvolte.

Dal punto di vista morfologico si distinguono:

• Fratture biconcave, cioè le altezze vertebrali anteriore e posteriore sono integre, però a livello centrale si ha compressione, tipiche in sede lombare.

• Fratture a cuneo, l’altezza posteriore è relativamente conservata, però nell’altezza anteriore si è fatto un cuneo, si è ridotta (collasso anteriore). Queste sono più frequenti nelle regioni medio-toracica.

• Fratture dell’intero corpo vertebrale, con uno schiacciamento dell’intero corpo.

La frattura a cuneo è quella più frequente (51%), seguita da quella biconcava(17%) e poi da quella

dell’intero corpo vertebrale (13%).

Fa vedere immagini delle varie fratture [slide N° 25-26-27-28]

Principali cause di fratture

Traumi diretti alla schiena, traumi indiretti sulla testa, natiche e talloni. I traumi spinali possono

provocare fratture o lussazioni della colonna vertebrale.

Si presentano con dolore acuto, che è intenso e invalidante per almeno 2-6 settimane, talvolta

preceduto da un episodio traumatico di modesta entità, quindi anche uno spostamento, se uno si gira

velocemente può provocare una frattura. È irradiato anteriormente, esacerbato dai movimenti del

tronco o da uno starnuto, recede con il riposo. Peggiora con la stazione eretta, raramente si irradia agli

arti inferiori e possono essere presenti come sintomi di accompagnamento, nausea, dolore addominale

e dolore toracico.

Conseguenze della frattura vertebrale

Sono tutte a lungo termine e sono: rachialgia cronica (dolore alla colonna cronico), associato a fratture

multiple, cifosi dorsale e riduzione della statura. Riduzione dei volumi polmonari, perché chiaramente

non si riesce a respirare bene, anche per il dolore. Protrusione addominale, quindi sensazione precoce

di sazietà, eruttazione, stipsi. Modificazioni posturali che, interferendo con il mantenimento della

stazione eretta e dell’equilibrio, aumentano il rischio di caduta. Aumento del rischio di nuove fratture

(le fratture vertebrali prevalenti sono associate a un rischio aumentato di circa cinque volte di

sviluppare nuove fratture vertebrali e, dopo la prima frattura, un paziente su cinque si rifrattura entro

un anno). Ulteriore riduzione della densità minerale ossea in rapporto all’inattività fisica. Aumento,

per le fratture vertebrali clinicamente sintomatiche, della mortalità a 5 anni rispetto a quella attesa, in

entrambi i sessi. Si ha inoltre una significativa compromissione della qualità di vita e perdita della

autonomia.

Conseguenze della frattura del femore

Le conseguenze sono diverse: entro 12 mesi, il 24% recupera la piena autonomia, il 20% muore,

poiché si ha normalmente nei pazienti più anziani e poi dipende dal tipo di frattura che può

compromettere anche gli organi interni, e il 22% viene ammesso in una struttura assistenziale. La

frattura del femore è quasi sempre sintomatica e richiede l’ospedalizzazione, e quando è scomposta,

all’evento traumatico fa seguito la comparsa del dolore e dell’impotenza funzionale, con incapacità di

mantenere la stazione eretta e di deambulare. La mortalità è anche legata al fatto che il paziente,

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siccome anziano, generalmente non viene operato perché ha diverse comorbidità, quindi o i familiari o

i medici si rifiutano di operare (anche perché generalmente il paziente allettato con frattura di femore

non ha possibilità di decidere o meno).

In seguito a trauma lieve, la frattura può risultare composta o ingranata ed il paziente riesce a

camminare, lamentando solo un modesto dolore alla coscia e all’inguine. L’esame clinico del paziente

può essere completamente negativo soprattutto se la frattura risulta composta.

Nei casi più eclatanti, quando la frattura è scomposta, l’arto si presenta accorciato ed extraruotato

verso l’esterno, può rilevarsi ecchimosi dei tessuti molli e la mobilizzazione passiva dell’anca risulta

dolorosa.

La radiografia tradizionale consente nella maggior parte dei casi già di accertare la presenza della

frattura, nei casi dubbi la scintigrafia scheletrica e la risonanza magnetica rappresentano le metodiche

di valutazione più opportune.

La frattura del femore è la più grave complicanza dell’osteoporosi per l’elevata morbidità e mortalità.

L’incidenza aumenta esponenzialmente con l’età in entrambi i sessi. L’eccesso di mortalità è

particolarmente marcato fra i pazienti di sesso maschile di età superiore ai 75 anni, in rapporto alla

più frequente coesistenza di altre malattie, alla demenza e alla maggiore incidenza di osteoporosi

secondarie.

Tipologie di fratture del femore

La frattura della diafisi, cioè la parte centrale del femore si rompe in due o più pezzi, si spacca

proprio tutto l’osso o subisce una lesione; la frattura sottocapitata, si localizza subito al di sotto della

testa del femore; la frattura del collo, si localizza in un punto del collo del femore; la frattura

trocanterica, interessa il grande o piccolo trocantere, il dolore è eccessivo, non va trattato con protesi,

ma attraverso dei perni e quindi è diverso l’approccio chirurgico. (slide N°35)

Fratture di Colles

Sono le fratture del radio, si osservano soprattutto nel sesso femminile (rapporto femmine/maschi

4:1) e la loro incidenza aumenta linearmente a partire dalla menopausa e raggiungono il picco nella

settima decade di vita, però già dal 55 anni in su comincia a presentarsi. Pressoché sempre

conseguente ad una caduta a terra a braccia tese, cioè, stai per cadere e ti proteggi con le mani e quindi

si ha la frattura del radio. Una percentuale inferiore al 20% richiede l’ospedalizzazione. La

sintomatologia clinica è quasi sempre presente con dolore, tumefazione locale e impotenza funzionale.

In una notevole percentuale di pazienti residua una sindrome algodistrofica complessa perché il

paziente anche se viene operato o la frattura viene consolidata, c’è sempre questa sindrome

algodistrofica, caratterizzata da dolore persistente, impotenza funzionale, neuropatie periferiche ed

artrosi post-traumatica. È stata riportata una significativa compromissione delle attività della vita

quotidiana (cucinare, fare la spesa, salire e scendere dall’automobile, fare le scale ecc.). La frattura di

Colles riguarda l’epifisi distale del radio ed è caratterizzata da alcuni spostamenti che fanno acquistare

al polso la forma del “dorso a forchetta” caratterizzato da:

-incuneamento dell’apice del frammento prossimale nella spongiosa di quello distale;

- dislocazione del frammento distale verso il margine esterno del radio;

- dislocazione del frammento distale e angolazione in senso dorsale;

(slide N°38) (commenta dicendo che si ha una gobba tra i due lati dell’osso)

Diagnosi:

• clinica: bisogna considerare i fattori di rischio, quindi fratture famigliari e pregresse,

l’amenorrea, la menopausa precoce, le abitudini di vita e farmaci.

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• Strumentale: generalmente si richiede la densiometria ossea, che può essere fatta a livello

lombare, femorale, total body, TAC o ultrasonografia (US) al calcagno, alle falangi e alla tibia e

questa è meno specifica; oppure radiografia della colonna dorsale e lombare, noi vediamo se ci

sono fratture che sono asintomatiche, che però già ci dicono che c’è l’osteoporosi. Con la MOC,

mineralometria ossea computerizzata, va’ calcolato il t-score e lo z-score e, in particolare, le

linee guida ci dicono che per fare diagnosi c’è bisogno di un t-score minore di -2,5. Se è tra -1 e

– 2,5, allora è osteopenia, però anche l’osteopenia può portare fratture. Quando è maggiore di

-1, è normale. ( slide N°43).

• Laboratoristica: si valutano le proteine totali e il profilo proteico; Calcemia, fosforemia;

Calciuria e fosfaturia delle 24 ore; Creatininemia; Fosfatasi alcalina; 25OH-vitamina D; PTH,

Funzione tiroidea; Cortisolo; Testosterone. Si osservano poi i markers di rimodellamento osseo

e nello specifico si distinguono markers di riassorbimento (Idrossiprolinuria,

idrossilisinuria, TRAP (fosfatasi acida tartrato-resistente), Piridinoline) e markers di

neoformazione (Fosfatasi alcalina, Osteocalcina, Peptidi N- e C-terminali del procollagene tipo

I).

Come viene effettuata la MOC

Per le ossa appendicolari, viene utilizzata la DEXA, cioè la densiometria a raggi X a doppio raggio che è

preferibile rispetto a quella a singolo raggio. Gli ultrasuoni vengono utilizzati, però onestamente è

preferibile fare direttamente la DEXA. (slide N°46)

Alla colonna e allo scheletro in toto è preferibile l’utilizzo della DEXA, quindi, quando si chiede ad un

pazienta la manometria ossea computerizzata, si chiede la DEXA della colonna lombare, generalmente,

e del collo del femore.

Questo è il referto di una MOC [slide N°47], fatta a livello del collo del femore, e ci dice che cos’è il v-

score che è – 3,28 e quindi è un’osteoporosi, potete vedere in base alla variazione del colore, se il

paziente è osteoporotico o meno, quando è sul rosso, vuol dire che c’è osteoporosi, ma lo potete vedere

anche dal v-score che è -3,28.

Quindi questo è a rischio di frattura.

La modalità di espressione della densità ossea è (slide N°48):

- in valore assoluto;

- percentuale;

- Z-SCORE (misura in deviazione standard delle differenze tra il paziente e i controlli normali di stessa

età e stesso sesso) o T-score (cioè la misura in DS della differenza tra il paziente e i controlli normali

dello stesso sesso);

- percentili;

Prevenzione

Si distinguono due tipi differenti di prevenzione:

-Prevenzione primaria, prima delle fratture; inizia già in età infantile. Pur essendo la crescita ossea

regolata geneticamente, il 20% dello sviluppo scheletrico è modificabile da: alimentazione (apporto di

calcio ecc.), attività fisica e stile di vita. Quindi bisogna educare già bambini e giovani ad avere un buon

apporto di calcio e un’attività fisica adeguata. Per quanto riguarda l’alimentazione, più importante nei

bambini che negli adulti, prevede l’assunzione di calcio fino anche a 1500mg/die, di vitamina D fino a

1800 U/die e di proteine. Chiaramente l’apporto di calcio non è solo alimentare, ma molto dipende dal

sole, quindi dai raggi UV, pertanto nei bambini e negli adulti è normale, mentre nell’anziano, poiché c’è

una minore esposizione al sole, va’ dato sempre un supplemento di calcio e vitamina D. Infatti,

nell’anziano c’è una ridotta esposizione solare, un ridotto apporto alimentare, un ridotto assorbimento

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intestinale e una ridotta sintesi di 1,25(OH)2D. Perciò, va dato sempre un apporto al paziente più

anziano.

Infatti, il deficit di vitamina D può portare a iperparatiroidismo secondario, aumento del turnover

osseo e osteoporosi.

-Prevenzione secondaria, dopo almeno una frattura.

Terapia

-Farmaci che limitano il riassorbimento, quindi estrogeni, terapia ormonale sostitutiva; bisfosfonati

(alendronato, risendronato, ibandronato, zoledronato), vanno tutti somministrati per os, ma, in base al

dosaggio, possono essere dati settimanalmente, mensilmente oppure 2 compresse mensilmente.

L’alendronato, per esempio, va’ dato una volta a settimana, l’ibandronato invece una volta al mese;

infine SERMS (raloxifene).

-Farmaci che stimolano la neoformazione, quindi il paratormone (teriparatide, un farmaco che si fa

sotto cute una volta al giorno); il ranelato di stronzio; fluoruri; denosumab (anticorpo monoclonale che

interferisce con l’azione di un’altra proteina, per il trattamento della perdita ossea e dell’osteoporosi. Il

trattamento con Prolia (è il nome commerciale), rende le ossa più resistenti e diminuisce la probabilità

che si fratturino. Va’ fatto sotto cute ogni 6 mesi e in ogni caso c’è sempre bisogno dell’apporto di

calcio e vitamina D).

Pertanto i principali farmaci utilizzati nel trattamento dell’osteoporosi, sono: supplementazione

calcica, soprattutto nell’età più avanzata; derivati della vitamina D; calcitonina; terapia ormonale

sostitutiva (sarebbe il tamoxifene); SERMs; bisfosfonati; nuove terapie (PTH intermittente) (cioè il

teriparatide e il denosumab).

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Cuomo – Lezione 10 (07-04-17) – Gotta e Artriti microcristalline

Sbobinatore: Renzo Tesser

Coordinatore: Giuseppe Cinquegrana

GOTTA E ARTRITI MICROCRISTALLINE

Allora, parliamo delle artriti microcristalline. Dunque, qui c'è un algoritmo delle artriti dove

praticamente, in base al tipo di impegno articolare e in base alle articolazioni coinvolte si può fare già

una sorta di algoritmo [SLIDE 2 del file Gotta e artriti microcristalline[1].ppt]. Infatti abbiamo da una

parte l'impegno articolare che praticamente che ci porta a distinguere una forma che è l'artrite

reumatoide (e in quel caso andiamo alla ricerca di fattore reumatoide e anti-ccp, e grazie anche agli

esami strumentali), oppure possiamo ritrovarci di fronte a un quadro associato alla connettivite

(allora in quel caso andiamo a ricercare gli ANA, il complemento, e poi altre indagini che ci fanno

sapere se è una connettivite o no). Dall'altro lato abbiamo invece il quadro oligoarticolare, o anche

monoarticolare, perché quello oligoarticolare noi lo possiamo trovare nelle spondilo... [min. 10:55

forse spondiloartriti] anchilosanti, in tutti i tipi di spondiloartriti, ma anche il monoarticolare

(possiamo trovare l'interessamento anche solo di un ginocchio, di un gomito o della spalla). E a parte

le artriti sieronegative dobbiamo considerare due quadri importanti: il quadro delle artriti

microcristalline e quello dell'artrite settica. Allora il quadro dell'artrite settica già lo abbiamo fatto,

tutte le altre artriti già le abbiamo valutate, ora andiamo a vedere le artriti microcristalline.

Allora, che cosa sono? Sono legate alla formazione di cristalli. Questi cristalli precipitano

nell'articolazione per un eccesso di soluti, ma possono precipitare anche per incapacità di alcuni

inibitori naturali presenti abitualmente nei tessuti in grado di frenare il processo patologico. Quindi o

per un aumento di produzione o per un deficit di meccanismi che bloccano l'infiammazione.

Le principali forme sono:

-la gotta: dovuta alla precipitazione di cristalli di urato monosodico

-la condrocalcinosi: per la presenza di sali di pirofosfato di calcio

-la artropatia da idrossiapatite: caratterizzata da questi cristalli di fosfato basico di calcio, cioè appunto

l'idrossiapatite.

Questa è una tabella [SLIDE 4] dove ci riassume un po’ quelle che sono le caratteristiche di queste tre

forme. Allora, l'aumento della concentrazione di soluti nel sangue per la gotta è l'acido urico; per la

condrocalcinosi in realtà i soluti non sono ben identificati, invece il fosfato basico di calcio è presente

sia nella condrocalcinosi sia nell'artropatia da idrossiapatite. Anche nei tessuti questi cristalli si

possono presentare, tant'è vero che nella gotta vi sono i cosiddetti tofi.

E poi l'età, la predisposizione familiare, le alterazioni metaboliche, le alterazioni dei

glicosamminoglicani, del collagene e dei proteoglicani, i traumi, i microtraumi, l'ischemia, la variazione

del pH e della temperatura sono tutti fattori che possono influire nella precipitazione di questi cristalli.

Allora, iniziamo con la gotta. La gotta è una malattia molto antica perché era conosciuta dai tempi

anche prima della nascita di Cristo, perché appunto vengono riportate dai greci e dai latini delle

diagnosi di gotta. Infatti ci sono diversi casi clinici, per esempio Luigi XIII di Borbone, Enrico VII, ma

anche personaggi come Leonardo, Kant, Darwin, Newton erano tutti affetti da gotta. E' importante

però distinguere la gotta da uno stato di iperuricemia, perché sono due cose differenti (si può avere

l'acido urico aumentato senza avere la formazione della gotta). E quindi se la gotta è una malattia

causata da un disordine nel metabolismo purinico anche l'iperuricemia lo è, però la gotta è

caratterizzata da attacchi ricorrenti di artrite con deposito di cristalli di acido urico a livello articolare,

periarticolare e viscerale.

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Invece l'iperuricemia che cos'è? E' il marker biochimico della gotta ma non significa gotta poiché può

rimanere come condizione asintomatica; oppure nel periodo “intercritico” (tra un attacco e l'altro) si

può avere sempre la presenza di iperuricemia.

Per quanto riguarda la prevalenza dell’iperuricemia [SLIDE 6], negli USA e in Europa è del 2-18%, ed è

soprattutto presente nell'adulto; solo nel 5% dei casi colpisce le femmine però solo in età

postmenopausale. Quindi è chiaro che nel momento in cui vengono meno gli estrogeni aumenta il

metabolismo delle purine.

Allora, abbiamo detto che non necessariamente un iperuricemico è anche un gottoso e viceversa,

quindi potete trovare anche un attacco acuto di gotta senza iperuricemia. La frequenza delle

iperuricemie infatti è del 20-25% mentre la frequenza della gotta è 1-3%, come un rapporto

iperuricemia/ gotta di 10 a 1.

Importante è il ruolo della dieta perché ci sono molti alimenti che possono far aumentare il

metabolismo delle purine: la carne rossa, pesce, frutti di mare, il cibo ad alto contenuto di fruttosio e in

particolare gli alcolici, soprattutto la birra. Quindi bisogna stare attenti soprattutto quando ci sono

altri fattori predisponenti come anche l’assunzione di birra, è chiaro che se uno beve una birra non fa

niente, ma l'assunzione elevata associata ad altri parametri favorisce l'accumulo di acido urico. Sul

metabolismo allora andiamo a vedere qual è il normale pool dell'acido urico, che è di circa 1200mg,

con livelli sierici bassi nell'infanzia che aumentano con la pubertà; raggiungono nei maschi adulti

7,5mg/dl, nelle donne invece è un po' più basso (6,6mg/dl). In realtà attualmente il range è stato un

po’ abbassato (7mg/dl nel maschio e 6mg/dl nella donna).

Che cosa sono le purine? Le purine praticamente sono basi (adenina e guanina) che sono legate agli

zuccheri e possono svolgere importanti funzioni soprattutto a livello della replicazione del materiale

genetico, della trascrizione genica e del metabolismo cellulare. Quindi l'acido urico è il prodotto finale

del catabolismo di queste purine, è un acido debole, si trova in forma ionizzata (quindi come urato

monosodico) e praticamente, quando i liquidi che contengono quest'acido urico si soprassaturano (il

soluto è molto più alto rispetto al solvente), precipitano. La saturazione può dipendere dalla

temperatura, dal pH, dalla concentrazione di sodio e dalle caratteristiche dei liquidi biologici: per

esempio il plasma satura a concentrazioni superiori a 7mg/dl, con pH di 7,4 e a 37c°; i tessuti

avascolari (come le cartilagini) o poco vascolarizzati (tendini e legamenti) o più distali (padiglione

auricolare) sono più freddi e saturano a concentrazioni inferiori, quindi già a 4mg/dl a 30c°, nelle

urine la solubilità e molto più alta (urea, proteine, mucopolisaccaridi aumentano la solubilità, l'acidità

invece la diminuisce). Quindi la saturazione dipende dal liquido in cui è presente l’acido urico e anche

dai vari tessuti.

Questo [SLIDE 11] è il metabolismo dell'acido urico: praticamente la degradazione delle purine porta

alla formazione di urati i quali possono essere escreti con le urine o a livello intestinale ma possono

formare, se precipitano nei tessuti, i tofi. L'escrezione renale dell'acido urico [SLIDE 15] è molto

complessa: c'è il primo riassorbimento, poi c'è una selezione e poi c'è un nuovo riassorbimento. Qua è

sempre schematizzato quello che vi ho detto prima [SLIDE 16]. Quindi le purine sono sintetizzate in

tutti i tessuti, possono essere anche introdotte dalla dieta; le basi possono essere riciclate grazie

all'enzima fosforibosiltrasferasi, e solo i tessuti con xantino-ossidasi come fegato e intestino possono

produrre acido urico. Il 70% è escreto dal rene, il resto dall'intestino.

Questo invece è tutto il metabolismo delle purine [SLIDE 12], qua c'è l'acido guanilinico, qua l'adenilico

(quindi adenosina e guanina), e alla fine la produzione è sempre quella (acido urico). Quindi l'acido

urico è il prodotto finale di degradazione delle purine.

Dunque, come viene escreto l'acido urico? I due terzi sono escreti con le urine (quindi escrezione

renale): l'acido urico viene quindi filtrato tutto a livello del glomerulo, poi viene riassorbito nel tubulo

prossimale, viene secreto e riassorbito nuovamente e parzialmente nella porzione distale, nella

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porzione ascendente dell'ansa di Henle e nei dotti collettori. Quindi è proprio come se fosse un'onda

[interpretazione fantasiosa]. Un terzo è degradato nell'intestino da batteri forniti di uricasi.

Ricapitolando, l'acido urico è una molecola idrosolubile, con “basso legame con le proteine

plasmatiche”, viene eliminato dal rene per il 70-80% e dall'intestino per il 30%. L'escrezione può

essere influenzata dal riassorbimento tubulare di glucosio, fosfati, calcio, sodio e bicarbonati, dalla

secrezione di acidi organici, da estrogeni (che riducono l'escrezione di acido urico) e dal flusso

plasmatico renale. Quindi questi sono tutti fattori che possono alterare il riassorbimento e l'escrezione

renale di acido urico. La concentrazione in oggetto varia con sesso ed età: bassa nell'infanzia,

raggiunge 7mg/dl nel maschio e 6mg/dl nella donna. L'età, l'altezza, il peso corporeo, la pressione

sanguigna, la funzione renale e l'intake alcolico si associano positivamente alla concentrazione di acido

urico; quindi quando si ha un aumento dell'acido urico si parla di uricemia per livelli che eccedono i

7mg/dl. Questa definizione si basa su diversi criteri:

-criterio fisico-chimico: il limite di saturazione del plasma è di 6,8mg/dl, quindi quando raggiunge i

7mg/dl precipita

-epidemiologico: il cut off per il 95% dei valori nella popolazione generale (media più due deviazioni

standard) è di 7mg/dl

-rischio di malattia: probabilità di sviluppare complicanze (artrite gottosa e nefrolitiasi) è

proporzionale dai valori di acido urico a partire da 7mg/dl [integrato da SLIDE 18].

Poi, qui c'è una tabella [SLIDE 19] dove viene fatta una classificazione dell'iperuricemia e della gotta.

Allora, possono essere primitive e secondarie:

-primitive: condizioni morbose associate all'iperuricemia che possono essere l'obesità,

l'ipertrigliceridemia, il diabete mellito e l'ipertensione arteriosa (per cui per esempio anche se

l'iperuricemia non rientra nella sindrome metabolica, che è caratterizzata da ipertensione, aumento

delle HDL, della circonferenza della vita e da diabete mellito, è sempre associata e va sempre ricercata

visto che aumenta il rischio cardiaco)

-secondarie: rappresentano il 60-70% dei casi e sono dovute o ad un aumento di sintesi ex novo di

purine (e in questo caso si ha la sindrome di Lesch-Nyan oppure la glicogenosi di tipo 1) o ad un

aumentato turnover di acidi nucleici (malattie mieloproliferative, anemie emolitiche croniche e nella

radio-chemioterapia) o ad una ridotta clearance renale (per nefropatie) o per ridotta

secrezione/aumentato riassorbimento (disidratazione, acidi organici, alcuni farmaci che possono far

aumentare l'acido urico e le tossine).

Anche qua [SLIDE 20] vengono suddivise in iperproduzione di urato, ridotta escrezione di acido urico

o meccanismi combinati.

Allora, come aumenta la produzione di acido urico? Con la dieta (ci sono alcuni alimenti molto ricchi di

purine) o per un aumentata sintesi di purine (che porta ad un'aumentata escrezione di acido urico e

quindi per aumentata attività dell'Amido-PRT, l'enzima chiave nella sintesi delle purine, oppure per

una ridotta attività dell'HPRT, l'enzima che invece serve per il salvataggio delle purine) o con

un'aumentata degradazione dei nucleotidi (perché ad esempio si può avere un rapido turnover

proliferativo con morte cellulare, crisi blastiche leucemiche, terapie citotossiche ed emolisi oppure

eccessiva degradazione dell'ATP muscolare in un esercizio strenuo, uno stato epilettico, nelle

glicogenosi (di tipo 2, 5 e 7), nell'infarto del miocardio, fumo e scompenso respiratorio acuto).

Vedete, sono molte le cause e le comorbilità associate all'acido urico che determinano un aumento

dello stesso. La ridotta escrezione praticamente è dovuta a una escrezione renale ridotta o alla

presenza di acidosi (digiuno prolungato, intossicazione da etanolo) oppure per aumentato

riassorbimento tubulare (nel diabete insipido e per l'uso di diuretici). Poi i meccanismi combinati sono

un po' più complessi ma quello più frequente è quello legato all'aumentato consumo di alcool. Infatti

l'alcool ha un alto contenuto di purine e di conseguenza aumenta la loro degradazione.

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Allora, che cosa fare quando ci troviamo di fronte a un'iperuricemia: non sempre di deve trattare. Però

bisogna intanto capirne la causa, poi stabilire quali sono le conseguenze e decidere infine in base a

questi due parametri se c'è bisogno di una terapia. Quindi bisogna capire se c'è un'aumentata

produzione o una ridotta escrezione, misuriamo quindi l'escrezione dell'acido urico dopo una dieta

priva di purine (nell'uomo deve essere meno di 600mg mentre nella donna [la prof non lo sa perché

non c'è scritto]). Poi dobbiamo capire quali sono le conseguenze: se ci troviamo di fronte all'artrite

chiaramente questa va trattata subito, e come si presenta l'artrite? È molto frequente, la probabilità di

svilupparla dipende dai livelli e dalla durata dell'iperuricemia. Oltre alla gotta si può presentare:

-la nefrolitiasi: si sviluppa quando l'escrezione è maggiore di 1100mg/die;

-la nefropatia da urati: una reazione infiammatoria contro i cristalli di urato nell'interstizio midollare e

nelle piramidi;

-la nefropatia da acido urico: causata da precipitazione di cristalli nei tubuli e nei dotti collettori che

causano poi l'ostruzione.

Poi a livello renale ci sono diverse patologie che si possono verificare. Poi vi sono le manifestazioni:

-iperuricemia asintomatica: bisogna capire a quale patologia può portare

-artrite gottosa acuta

-gotta intercritica

-gotta cronica tofacea: si caratterizza per l'artropatia uratica cronica, per la nefropatia gottosa e per la

nefrolitiasi.

Meno del 10% dei soggetti affetti da iperuricemia possono sviluppare gotta e l'artrite acuta è l'evento

patogenetico centrale: praticamente la gotta si presenta proprio come un dolore improvviso proprio

per la precipitazione d questi cristalli. Nei maschi l'attacco si presenta nella 4a/5a decade, dopo anche

trent'anni di iperuricemia; il primo attacco generalmente è quasi sempre monoarticolare ed è

interessata la prima articolazione metatarso-falangea. Altre alterazioni colpite possono essere:

-caviglie

-ginocchia

-polsi.

Questo [SLIDE 29] è un piede in cui c'è un attacco acuto tipico. Quindi il paziente riferisce di aver avuto

un dolore molto acuto anche di notte, un dolore ingravescente, un'iperestesia (impossibilità di

mantenere anche un lieve contatto, di poggiare un lenzuolo sul piede senza causare dolore).

L'articolazione come si presenta? Infiammata, arrossata, dolente, tumefatta e, dopo l'attacco acuto, può

presentarsi prurito, desquamazione fine. Invece nelle altre sedi la sintomatologia è simile ma un po'

attenuata rispetto a quella del piede. Si possono avere anche dei sintomi sistemici come febbre, cefalea,

leucocitosi e aumento della VES. La risoluzione si può avere anche spontaneamente dopo 5-10 giorno

senza però portare a esiti funzionali; chiaramente si riprende nuovamente tutta la mobilità

dell'articolazione. Questa [SLIDE 30] è un'altra forma, guardate com'è ingrossato l'alluce.

Quali sono i fattori scatenanti:

-gli sforzi fisici prolungati

-i traumi articolari

.gli eccessi alimentari

-abuso di alcool (la birra è associata ad un maggiore rischio perchè è ricca di purine)

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-il digiuno prolungato

-i farmaci (come i diuretici)

-gli interventi chirurgici.

Questi sono i fattori che scatenano la precipitazione dei cristalli di urato. Poi abbiamo i fattori che

condizionano la solubilità dell'urato monosodico:

-concentrazioni maggiori di 7mg/dl

-temperatura (la solubilità diminuisce con le basse temperature e quindi maggior facilità dell'accesso

gottoso nelle articolazioni periferiche, perciò si ha il piede come accesso principale)

-pH (aumenta esponenzialmente quando il pH è circa 4)

-presenza o assenza di sostanze capaci di mantenerlo in forma solubile (per esempio i proteoglicani).

Come vi dicevo prima, dipende dalla durata e dai livelli dell'iperuricemia; nei tessuti avascolari come le

cartilagini, i tendini e i legamenti i cristalli sono più freddi e quindi, anche se la concentrazione è più

bassa, possono precipitare. I sali di urato monosodico si depositano a forma di ago nelle cartilagini, nei

tendini e nei legamenti, ma si possono presentare anche a livello del padiglione auricolare (infatti vi

sono i tofi).

Nella malattia cronica grave i cristalli si possono depositare anche nelle articolazioni centrali (quindi

non solo nelle periferiche); si possono poi formare aggregati di cristalli che costituiscono i tofi gottosi,

che possono essere documentati radiologicamente e essere poi palpati come dei noduli sottocutanei.

Questo è quello che si vede al microscopio [SLIDE 33].

Quali sono i sintomi e i segni? Abbiamo detto soprattutto questo dolore ingravescente, che può essere

dovuto a microtraumi, alimenti ricchi di purine e alcool; il dolore può essere mono o poliarticolare: il

primo episodio è monoarticolare, gli altri episodi invece possono manifestarsi anche ad altre

articolazioni. L'insorgenza spesso è notturna, ha i caratteristici segni dell'infiammazione acuta e le

manifestazioni più frequenti sono le mono o poliarticolari; possono presentarsi borsiti, tendiniti,

entesiti, depositi tofacei, alterazioni osteoartritiche tipiche dell'infiammazione acuta,

osteocondromatosi sinoviale, artropatie distruttive (quando i tofi aumentano distruggono

l'articolazione); può presentarsi sotto forma di pseudoartrite reumatoide ma anche come

pseudoartrite psoriasica o pseudospondiloartrite. Può portare ad una stenosi spinale, può portare a

una sindrome del tunnel carpale, può portare a rottura tendinea. Le sedi più colpite sono l'alluce, l'arco

plantare, la caviglia, il ginocchio, il polso e il gomito. E' accompagnata anche da sintomi sistemici.

Qual è l'evoluzione? Entro 7 giorni praticamente va in remissione, possono diventare pauciarticolari e

sequenziali per settimane (passa e poi riviene, passa e poi riviene). Ai primi attacchi chiaramente

l'articolazione torna normale, ma con gli attacchi ripetuti si formano delle erosioni.

Domanda di una studentessa: professoressa, ma è vero che se si capisce cosa ha generato questo

attacco gottoso, la base di malattia acuta, evitandola poi non si presenta più?

Risposta della prof: si, quello è proprio caratteristico.

Nuova domanda della studentessa: ma poi come fa a cronicizzare?

Risposta della prof: ci sono comunque persone che la terapia non la fanno. Cioè tu devi fare per

l'attacco acuto una tipologia di farmaci, ma poi per il mantenimento lo devi fare nel senso che dopo il

miglioramento il farmaco non lo prendono più e poi la malattia si ripresenta. E' per questo che diventa

cronico.

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Dopo la gotta acuta dobbiamo andare a valutare la gotta intercritica, che è quel periodo in cui il

paziente ritorna normale (cioè l'infiammazione si è tolta completamente) però persiste l'iperuricemia,

e allora quella comunque la devi trattare perché già hai avuto un attacco di gotta. Infatti alcuni pazienti

dopo in primo attacco non ne presenteranno più, ma questa è la minoranza (il 7%); la maggior parte

invece ripresenterà degli attacchi nel primo anno (più della metà), e altri invece avranno attacchi

anche nell'anno successivo (fino al 31%). Per l'artrite cronica gottosa invece va fatta un'adeguata

profilassi perché non è la presentazione della malattia ma è col tempo che questa si presenta: la

ciclosporina ad esempio è un farmaco che può causare gotta a livello delle grandi articolazioni centrali,

non in quelle periferiche (quindi si distingue dalla gotta tipica), e quindi può manifestarsi a livello delle

anche e a livello delle articolazioni sacroiliache. La gotta cronica tofacea infatti si presenta nei pazienti

non trattati con la formazione di questi tofi; però è chiaro che ora sono pochi quelli che arrivano a

questo punto, ma ci sono anche dei pazienti con queste mani così [dice che farà avere più immagini

durante le esercitazioni], grandissime e con tofi enormi, e loro praticamente non arrivano nemmeno a

rivolgersi al medico. E che cosa sono questi tofi? Sono dati da ammassi di cristalli di urato che sono

immersi in una matrice amorfa; si presentano come nodulazioni asimmetriche indolenti; la cute

soprastante si presenta tesa, lucida, sottile, e si può anche ulcerare lasciando uscire questo materiale

biancastro gessoso. Questo [SLIDE 38] è un tofo, e chiaramente si presentano soprattutto nelle

articolazioni e nelle strutture periarticolari (tendini, guaine e borse); possono portare a rotture

tendinee e altri tipi di infiammazione. Questo invece [SLIDE 39] è un tofo che ha praticamente

distrutto l'articolazione.

Poi, l'artropatia uratica cronica colpisce ogni tipo di articolazione ma soprattutto gli arti inferiori e le

mani. Gli attacchi acuti diminuiscono di frequenza e intensità, però il lento deposito di questi tofi può

portate a una distruzione delle articolazioni che porta poi a delle deformità che poi diventano

permanenti e la non c'è più niente da fare. Questi invece [SLIDE 41] son i tofi a livello del padiglione

auricolare, qua chiaramente sono sulla cartilagine. Si può presentare anche a livello della sclera, della

cornea, del pericardio, delle valvole cardiache, dei corpi cavernosi e della laringe.

Per quanto riguarda invece la nefropatia gottosa, è la conseguenza del deposito di urato monosodico

nell'interstizio del parenchima renale con conseguente flogosi e, quindi, con sclerosi interstiziale; si

manifesta clinicamente con proteinuria (generalmente modesta e intermittente, quindi non la

ritroviamo spesso), può associarsi ad ematuria, ad un lieve incremento di azotemia e/o creatinina e a

perdita della capacità di concentrazione delle urine; può evolvere in un'insufficienza renale cronica se

non viene trattata.

Nella nefrolitiasi invece si ha una vera e propria calcolosi renale che può essere presente sia nella gotta

primitiva sia in quella secondaria: infatti in un terzo dei pazienti con le coliche possono precedere

anche di anni il primo attacco gottoso. Anche qua i fattori predisponenti sono:

-pH urinario ridotto

-elevati livelli di uricuria.

Poi abbiamo l'uropatia ostruttiva che chiaramente è caratterizzata dalla presenza di questi calcoli che

si vengono a creare; si presenta clinicamente con oliguria, aumento della creatinina e dell'azotemia. Si

può verificare soprattutto durante un digiuno prolungato, senza adeguata idratazione e in caso di

malattie mieloproliferative, di trattamenti chemioterapici (che comportano una massiccia morte

cellulare associata a un aumento di sintesi di purine e quindi acido urico).

Questa diapositiva [SLIDE 45] l'ho messa solo per farvi vedere come c'è il rischio cardiovascolare ,

perchè si associa spesso alla sindrome metabolica, quindi all'obesità, all'insufficienza renale,

all'ipertrigliceridemia, all'insulinoresistenza, all'ipertensione e ad altro. Quindi da una parte vanno

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tutti ad aumentare l'acido urico, dall'altra parte forma la gotta e peggiora la malattia cardiovascolare

(quindi anche se sta fuori dalla sindrome metabolica va di pari passo con la stessa). Infatti, numerose

evidenze scientifiche riferiscono che l'iperuricemia cronica, con o senza deposito di cristalli di urato,

sia un fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di ictus, infarto del miocardio e malattia arteriosa

periferica: quindi è importante dunque valutarla (l'iperuricemia) visto che è un fattore di rischio

cardiovascolare.

Come si fa la diagnosi? E' clinica ed è caratteristica: voi vedete il paziente che si presenta o con

l'attacco acuto oppure si presenta un paziente con questi tofi evidenti. La clinica però da cosa viene

supportata? Dagli esami di laboratorio perchè comunque presenta degli indici di flogosi aumentati, un

acido urico aumentato, la glicosuria delle 24h aumentata e l'esame del liquido sinoviale che ci indica la

presenza dei cristalli. Le indagini radiologiche ci danno la presenza di erosioni tipiche per la presenza

di tofi, poi con l'indagine ecografica possiamo ritrovare l'infiammazione (quando si ha la sinovite); c'è

però una caratteristica dell'ecografia perchè, quando c'è il deposito di cristalli nell'articolazione, la

cartilagine ha un doppio contorno, perchè è come se si formasse un contorno sopra e sotto la

cartilagine (ed è la deposizione di questi cristalli). Quindi l'immagine ecografica a doppio contorno è

proprio tipica della gotta. Per quanto riguarda la diagnosi dell'artrite gottosa, a parte la clinica e

l'iperuricemia (che può essere anche meno di 7mg/dl e che quindi può essere anche poco sensibile

perché nell'attacco acuto possiamo ritrovare anche livelli normali di acido urico), si considera il

liquido sinoviale: ci mostra la presenza di cristalli caratteristici, che sono a birifrangenza positiva ed

aghiformi. Importante è la risposta terapeutica alla colchicina e l'immagine radiografica dei tofi.

Questo [SLIDE 51] è quello che si vede al microscopio, tutti questi aghetti che si ritrovano all'interno

delle cellule fagocitiche; quindi in pratica si estrae il liquido e si osserva al microscopio, e questi hanno

una forma diversa rispetto a quelli di altre forme di artropatie da cristalli.

Allora l'approccio diagnostico all'iperuricemia, intanto si va a calcolare la uricosuria, quindi dopo tre

giorni con una dieta priva in purine:

-se è maggiore di 600mg/die: si ha iperproduzione primitiva o secondaria (con ipersecrezione)

-se è tra 300 e 600mg/die: si ha iperproduzione e/o ridotta clearance renale (con normosecrezione)

-se è minore di 300mg/die: si ha ridotta clearance renale primitiva o secondaria (con iposecrezione).

La radiologia tradizionale contribuisce scarsamente nei primi attacchi acuti (non vedi niente perchè ha

solo infiammazione), mentre l'artropatia gottosa cronica è caratterizzata da lesioni che, singolarmente,

sono aspecifiche che però fanno parte dell'artrite gottosa cronica, quindi:

-riduzione dell'interlinea articolare (che troviamo anche nell'artrite reumatoide)

-osteofitosi esuberante che possiamo trovare o nell'artrosi o nelle entesopatie o nelle (min. 50:00

sembra dica artriti psoriasiche) dove si presentano questi osteofiti a livello delle dita

-erosione ad ampio raggio (tipiche della gotta perche il tofo “mangia” l'osso)

-formazioni geodiche estese e polimorfe, centrali o periferiche, marginali o subcondrali (che troviamo

ad esempio nell'artrosi ma più piccole e concentrate)

Il contenuto di purine nei diversi alimenti:

-altissimo contenuto di purine: molluschi, acciughe, fegato, rene, estratti di carne, lievito

-alto contenuto di purine: vitello, tacchino, merluzzo, sgombro, salmone, carne bianca,oca

-basso contenuto di purine: pollo, coniglio, maiale, crostacei, piselli, lenticchie, spinaci

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-bassissimo contenuto di purine: bevande, latte, burro, formaggio, verdure.

Il trattamento: l'iperuricemia asintomatica (prevalenza del 5% nella popolazione generale e del 25%

nella popolazione ospedalizzata) non rappresenta un rischio clinico significativo, però fa parte della

sindrome polimetabolica; si tende a non trattarla di routine come misura preventiva se non in

condizioni particolari; le cause vanno valutate e trattate (io in verità quando la trovo la tratto prima

che arrivi il primo attacco acuto di gotta e prima che aumenti il rischio cardiovascolare). L'attacco

acuto invece come viene trattato? Sicuramente con la colchicina o con i FANS ad alte dosi, perchè

bisogna bloccare l'infiammazione: la colchicina può essere data inizialmente a 1 mg, poi 0,5 mg ogni 2-

3 ore fino a un massimo di 6 mg, questo fino alla risoluzione del dolore o alla comparsa dei sintomi

gastrointestinali (perchè ha un effetto collaterale contro il sistema gastroenterico molto potente). Non

bisogna superare mai i 7 mg in 48 ore. I fans utilizzati possono essere:

-DICLOFENAC

-KETOPROFENE

-INDOMETACINA

-NAPROSSENE

-PIROXICAM;

vanno sempre dati ai pasti, anche per 4-5gg, e sono ugualmente efficaci (ma un po' più lentamente

rispetto alla colchicina); le misure di supporto sono importanti, quindi il riposo e l'idratazione.

Quali sono gli obiettivi terapeutici? Il controllo a lungo termine, cioè appena passato l'attacco acuto poi

bisogna capire come trattalo; si usa:

-allopurinolo: inibitore delle xantinossidasi

-probenecid e sulfinpirazone: uricosurici (cioè fanno aumentare l'escrezione di acido urico).

Poi sono importanti le misure generali: quindi il calo ponderale, la dieta povera di purine, ingestione di

liquidi, riduzione degli alcolici ed eliminazione dei diuretici. Quello più utilizzato è l'allopurinolo e va

iniziato con 100mg/die, oppure in media 300mg/die una volta al giorno; ha una lunga emivita ed e

efficace in pochi giorni nel ridurre la produzione ed escrezione dell'acido urico, e quindi è questo che

va dato nel corso della gotta intercritica, cioè bisogna mantenere il livello basso di acido urico dando

l'allopurinolo.

Invece, per quanto riguarda la nefrolitiasi, la terapia anti-iperuricemica per chi ha artrite gottosa più

calcoli; bisogna bere almeno due litri di acqua al giorno perchè il volume delle urine deve essere

superiore a due litri (più si beve più si urina); è importante l'alcalinizzazione delle urine con

bicarbonato di sodio; anche qui l'allopurinolo va dato 300mg/die.

Poi, la nefropatia da acido urico può essere potenzialmente mortale, ma è trattabile e prevenibile; si fa

una idratazione vigorosa endovena con in aggiunta aumento della diuresi con FUROSEMIDE;

alcalinizzazione delle urine con bicarbonato di sodio; bisogna monitorare il pH delle urine ( e quindi

sovraccaricarlo di liquido); l'allopurinolo va dato in una dose singola di 8 mg per kg di peso corporeo

seguito da dosi giornaliere di 100-200mg; in ultima analisi si usa l'emodialisi.

Allora, se l'allopurinolo è controindicato si aggiunge il PROBENECID che in Italia è approvato solo per

la prevenzione della nefrotossicità del farmaco antivirale CIDOFOVIR, però ci sono anche altri farmaci

di recente uso: il FEBUXOSTAT, che inibisce la xantino ossidasi, potrebbe essere l'alternativa

all'allopurinolo.

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Ora parliamo della condrocalcinosi: è una malattia da depositi di pirofosfato di calcio diidrato ed è

caratterizzata da una serie di entità cliniche tutte caratterizzate dalla deposizione di questi cristalli nei

vari compartimenti dell'articolazione (cartilagine, membrana sinoviale, capsula articolare, tendini,

legamenti, entesi e borse). Quanti quadri ci possono essere?

-asintomatici

-artrite acuta (detta pseudogotta): simula la gotta;

-artropatia cronica.

Quali sono le condizioni associate alla malattia da deposito di cristallo?

-invecchiamento: quindi condizione caratteristica degli anziani

-artrosi

-iperparatiroidismo

-emocromatosi

-ipomagnesemia

-ipofosfatemia

-gotta.

Come si presenta l'artrite? Come un attacco di pseudogotta (una delle cause più comuni), mono o

poliarticolare, nelle persone anziane; possono manifestarsi nelle grandi articolazioni o in quelle

piccole; clinicamente anche qui c'è un dolore improvviso con tumefazione, arrossamento, calore; se

non trattata può durare fino a 10gg e con tendenze a recidivare.

Invece l'artropatia cronica si manifesta con caratteristiche simili all'artrosi, però colpisce delle sedi un

po' diverse (polsi, articolazioni metacarpofalangee, gomiti e spalle); il 10% dei pazienti può presentare

un'artropatia poliarticolare simmetrica simile all'artrite reumatoide; i depositi di pirofosfato di calcio

possono interessare il rachide, i dischi intervertebrali, il legamento giallo, le articolazioni sacroiliache

(dove possono determinare una sintomatologia da lombalgia acuta). Raramente può essere presente

una sintomatologia caratterizzata da cervicalgia acuta e da calcificazioni depositate intorno al dente

dell'epistrofeo (sindrome del dente incoronato). Questo invece [SLIDE 65] è quello che si vede al

microscopio: a differenza dei cristalli aghiformi della gotta questo è un cristallo a parallelepipedo. Si

può ritrovare praticamente in tutte le articolazioni colpite dall'attacco acuto in quel momento. Il danno

articolare può essere progressivo ma, nella maggior parte dei casi, la malattia non è grave ma

fastidiosa perchè si presenta con cadenza giornaliera nel paziente anziano.

Come si fa la diagnosi? Nell'attacco acuto si vanno ad evidenziare gli aumenti degli indici di flogosi, a

volte si può avere una modesta anemia; la cosa più importante viene fatta con l'analisi del liquido

sinoviale la quale ci fa vedere la tipologia di cristalli. Per quanto riguarda le indagini radiologiche,

vengono mostrate dei depositi lineari nelle cartilagini (per esempio nelle ginocchia, nel legamento

triangolare del carpo, nelle anche, nelle caviglie e nella sinfisi pubica), e questo è patognomonico della

condrocalcinosi, quindi a volte la diagnosi si può fare solo con la radiografia (magari si ha il sospetto di

artrosi, si fa una radiografia e si scopre questo deposito. Vedete qua [SLIDE 67] questi sono i due capi

articolari, qui vi è questo deposito di cristalli a nuvoletta, e questo è patognomonico della

condrocalcinosi. Anche qua vedete [SLIDE 68]. Anche in questo caso la terapia si fa con la colchicina.

Per concludere abbiamo le malattie da deposito di idrossiapatite: sono dovute alla deposizione di sali

di fosfato basico di calcio (l'idrossiapatite) a livello delle strutture articolari e periarticolari. Può

associarsi a manifestazioni articolari o periarticolari, a esempio:

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-periartrite calcifica

-sinovite acuta da depositi intraarticolari che derivano dalla presenza di altri depositi a livello di borse

comunicanti

-osteoartrosi (i cristalli di idrossiapatite correlano con maggior degradazione cartilaginea, evoluzione

più aggressiva della malattia osteoartrosica e versamenti più abbondanti).

-artropatie destruenti.

La periartrite calcifica è la più frequente; la localizzazione tipica è alla spalla (quindi soprattutto le

grandi articolazioni come anca, gomito, ginocchio, polso e caviglia). Come si manifesta? E'

asintomatica, quindi con un reperto radiologico occasionale; la forma acuta è caratterizzata da dolore

improvviso severo con limitazione dei movimenti; generalmente tende a risolversi lentamente in 2-3

settimane anche se può evolvere verso la cosiddetta spalla congelata (non si riesce proprio più a

muovere); nella forma cronica invece il dolore è più o meno intenso, può interferire col riposo

notturno e limitare un po' i movimenti giornalieri. La forma più nota della spalla congelata è la

Milwaukee Shoulder che può presentarsi però anche nelle altre articolazioni ed è una vera e propria

artropatia destruente; ha un esordio lento, progressivo e ingravescente e nel 60% dei casi può essere

bilaterale. Il dolore è presente a riposo e col movimento, accompagnato da rigidità e limitazione della

mobilità attiva e passiva; da tumefazione, a volte anche un'emorragia sottocutanea; si può avere

ipotrofia muscolare della fossa sovra e sottospinosa e instabilità articolare fino alla sublussazione

della spalla. All'artrocentesi il liquidi sinoviale è ematico, emorragico. Nelle fasi avanzate si associa a

rottura dei tendini della cuffia dei rotatori e a lesioni corticali a livello dei capi articolari sia sulla testa

dell'omero sia su tutta l'articolazione.

La diagnosi differenziale è con l'artrite reumatoide, con l'artropatia di Jaccoud e con l'osteonecrosi.

Quali sono le indagini? L'analisi del liquido sinoviale l'abbiamo detta, che oltre ad essere emorragico

generalmente ha anche i caratteri infiammatori (un po’ meno delle altre artropatie distali); i

parametri infiammatori sono praticamente la presenza di globuli bianchi (sopra i 50000 sono

infettive). L'identificazione dei cristalli qui è difficile viste le piccole dimensioni (al di sotto del potere

risolutivo del microscopio ottico) e non sono birifrangenti come gli altri. Alla radiografia

convenzionale ci può essere presenza di materiale calcifico periarticolare. Le altre metodiche possono

rilevare calcificazioni prima che possano apprezzarsi radiologicamente. Invece nell'artropatia

destruente (nella spalla di Milwaukee) alla radiografia trovi la risalita della testa omerale (è proprio

dislocata), una stenosi subcondrale, un restringimento della rima articolare, un danno strutturale

osseo a carico dell'acromion, del processo coracoideo e del pezzo distale della clavicola (quindi c'è

proprio una distruzione totale dell'articolazione della spalla). Per quanto riguarda la terapia il

controllo del dolore è con antiinfiammatori/analgesici/colchicina; chiaramente essendo persone

anziane gli antiinfiammatori vanno limitati perchè possono dare altre complicanze; l'identificazione di

eventuali malattie associate, come appunto l'artrosi; rapida mobilizzazione delle articolazioni. Poi si

può eseguire un'artrocentesi sia per la diagnosi ma anche per motivi terapeutici perchè svuotando

l'articolazione si da più possibilità di muovere la spalla; allo stesso tempo si può effettuare

un'infiltrazione intraarticolare di corticosteroidi che tolgono l'infiammazione.

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Cuomo – Lezione 11 (10-04-17) – Osteoartrosi e reumatismi extrarticolari

Sbobinatore: Vincenzo della Puca

Coordinatore: Margherita Ceparano

OSTEOARTROSI

Oggi faremo tre patologie diverse, due sono reumatismi extrarticolari, l’altra è l artrosi.

L’artrosi è una malattia delle articolazioni diartrodiali e dei dischi intervertebrali ad eziologia

multifattoriale e con aspetti simili dal punto di vista biologico, morfologico e clinico. E’ una patologia

caratterizzata da lesioni degenerative sulla cartilagine articolare, e da essa si ripercuotono sull’ osso

subcondrale, sulla membrana sinoviale, sui legamenti, sulla capsula e sui muscoli periarticolari. Quindi

coinvolge tutti gli elementi dell’articolazione. La cartilagine articolare, che viene colpita all’inizio, va

incontro a degenerazione con fibrillazione, con vere e proprie fissurazioni, con ulcerazione e perdita a

tutto spessore della superficie articolare, quindi si hanno proprio delle erosioni, una distruzione della

cartilagine.

L’osteoartrosi può essere classificata in due tipi: primaria o secondaria.

Quella primaria può essere a sua volta definita:

• Artrosi localizzata, cioè colpisce una sola sede, quindi le articolazioni interfalangee distali (in

questo caso si formano i noduli di Heberden, nella parte finale), poi articolazioni interfalangee

prossimali (in questo caso i noduli si chiamano di Bouchard), solo l’articolazione del pollice,

quindi si ha una rizartrosi (questa in realtà è la prima sede ad essere colpita dal processo

artrosico);

• osteoartrosi generalizzata, quindi pluridistrettuale;

• artrosi erosiva.

Quella secondaria invece è secondaria a diverse patologie, quindi malattie del connettivo, traumi,

dimorfismi, alterazioni della struttura ossea, malattie metaboliche, malattie endocrine, malattie

ematologiche, malattie neurologiche, artriti e sovraccarico meccanico. Quindi se andiamo a

considerare i traumi articolari, anche i piccoli traumi possono predisporre all’artrosi (ad esempio gli

sportivi che sollecitano molto le articolazioni, è chiaro che quando sospendono l’attività sportiva

vanno più facilmente incontro ad un processo artrosico), oppure sovraccarico meccanico (i pz obesi

sono più predisposti, rispetto a quelli con un BMI basso, all’artrosi). Altre forme di osteoartrosi

secondarie, ma più specifiche:

• malattie ereditarie del connettivo: sindrome di Marfan e sindrome di Ehlers-Danlos;

• dimorfismi: scoliosi, ginocchia vare e valghe, alluce valgo;

• malattie metaboliche: diabete, emocromatosi;

• malattie endocrine: acromegalia, distiroidismi;

• malattie ematologiche: emofilia, anemia falciforme;

• malattie neurologiche: tabe e siringomielia;

• artropatie neurogene;

• traumi articolari (li abbiamo visti);

• artriti. Infatti noi possiamo avere un artrosi post-artritica, cioè i soggetti che hanno artrite,

dopo un po’ si sa va in remissione, però sono più facilmente predisposti ad artrosi;

• alterazioni della struttura ossea: Paget o l’osteonecrosi;

• sovraccarico meccanico: obesità, difetti di postura, attività lavorative, l’attività sportiva, le

alterazioni di distribuzione del carico, lesioni articolari vicino o controlaterali.

Qual è l’epidemiologia? L’artrosi è la più comune patologia reumatica. Circa il 70% delle malattie,

negli USA colpisce il 12% della popolazione, in Italia ci sono oltre 6 milioni di pazienti con artrosi.

L’osteoartrosi è inoltre la principale causa di invalidità e di dolore nei pz con età superiore a 60 anni.

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C’è stato un progetto veneto nel 2002 che ha valutato i vari tipi di artrosi, sono stati chiamati pz a casa

o pz ambulatoriali ed è stata raccolta quest‘intervista. 3.100 soggetti di età superiore ai 65 anni con

una diagnosi di osteoartrosi sintomatica. A livello della mano, il 21% delle donne e il 16% degli

uomini; a livello del ginocchio 26%, donne, 12% uomini; a livello dell’anca 14% donne, 8% uomini.

Proiettando i dati di prevalenza di questo progetto-prova all’intera popolazione italiana si dovrebbe

avere che: l’osteoartrosi della mano è presente in circa 1.200.000 donne vs 700.00 uomini,

OA(=osteoartrosi) del ginocchio 1.700.00 donne vs 510.000 uomini, OA dell’anca 890.000 donne e

350.000 uomini, quindi è più frequente nelle donne. Questa è l’osteoartrosi sintomatica su di un

diagramma… la gonartrosi è la più frequente, come seconda l’osteoartrosi della mano ed infine la

coxartrosi. Sono stati vari altri studi epidemiologici però alla fine… Anche a livello della colonna risulta

essere molto frequente e coinvolge soprattutto il tratto spinale cervicale.

Quali sono i fattori di rischio? I fattori di rischio sono sicuramente l’età, razza, sesso, fattori geografici,

aspetto genetico, fattori ormonali, obesità, fattori metabolici, fattori meccanici e pregresse malattie

articolari infiammatorie. La maggior parte sono quelle là per cui l’OA è secondaria, cioè quelle che

abbiamo visto prima.

(Slide 9) Abbiamo un articolazione normale e una artrosica. Osservate. A livello della cartilagine (che

abbiamo visto è il primo, l’attacco principale del processo artrosico), si ha una riduzione e una

fissurazione della cartilagine, poi vengono coinvolte le strutture circostanti per cui abbiamo un

ispessimento della capsula (vedete come aumentano le dimensioni della capsula e quindi questo si

traduce in una tumefazione), poi a livello dell’ osso si hanno delle formazioni cistiche dette “gèoidi”,

che sono tipiche dell’artrosi e si ha sclerosi dell’osso subcondrale (vedete tutte queste fissurazioni che

fanno si che l’osso diventi irregolare, quindi non si ha più quella linea regolare che si vede

radiograficamente), poi si ha la formazione di osteofiti marginali (vedete c’è una neoapposizione ossea,

per cui vedete come qua l’osso è normale, qua invece presenta una protuberanza, e questo si chiama

osteofita), poi si può avere anche ipertrofia sinoviale, quella che possiamo avere nei processi

infiammatori, nell’artrite (vedete come la membrana sinoviale aumenta di spessore), ed infine come

dicevo alterazione della struttura ossea che perde la sua caratteristica linearità.

Cosa succede a livello della matrice cartilaginea? Si ha un turnover, ovvero un processo di sintesi e di

degradazione che generalmente sono in equilibrio tra loro, ma quando uno dei due sistemi viene

alterato si forma il processo artrosico. Il catabolismo è costituito da degradazione dei costituenti della

matrice cartilaginea, mentre l’anabolismo è la sintesi dei costituenti della matrice cartilaginea, quindi

sono in perfetto equilibrio. Alla base dello sviluppo della malattia vi è un alterazione dell’equilibrio

omeostatico. Quindi avremo in catabolismo aumento della degradazione, in anabolismo riduzione

della sintesi. Le cellule delle cartilagine sono immerse nella matrice di collageno (circa 70%) e

proteoglicani(circa 20%). Il collageno è prevalentemente di tipo 2. I principali proteoglicani sono gli

aggrecani, la decorina, la fibromodulina. Il condrocita è il fulcro del metabolismo della cartilagine, gli

da vita. Il condrocita prolifera, si differenzia e produce macromolecole della matrice (proteoglicani,

collagene, proteine) dando origine alla matrice cartilaginea. Inoltre regola le metalloproteasi ovvero

stromelisina, collagenasi, aggrecanasi, che invece degradano la cartilagine. I proteoglicani prodotti

consistono in un asse proteico centrale, cui sono legate catene di condrotin-solfato e cheratin-solfato;

quindi è proprio una struttura, grazie alla quale sono in grado di mantenere la solida della cartilagine.

In particolare tra essi si segnala una grande macromolecola detta aggrecano, perché… si legano i vari

proteoglicani. I proteoglicani sono connessi a molecole di acido jaluronico per mezzo di proteine di

legame, sono altamente idrofili, hanno una bassa viscosità: in questo modo presentano una struttura

ideale per la funzione di dispersione da carico; questa caratteristica di elasticità garantisce il

movimento della stessa articolazione. Funzione: il movimento delle molecole d’acqua legate ai

proteoglicani consente la distribuzione degli stress meccanici, quindi questa è la forza. Quando la forza

viene rimossa, l’acqua ritorna nella posizione originaria, pronta per il successivo impatto. Inoltre

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l’acqua funge da cuscinetto idrostatico, a protezione della cartilagine. Quindi siccome nell’anziano

questo filo d’acqua si riduce sempre più, questa protezione si riduce e la cartilagine è più sottoposta a

stress. Questa è una rappresentazione grafica della cartilagine normale, quindi ci sono i proteglicani e

le fibre collagene(slide 17), questo è l’osso subcondrale, questo è tutto il cavo articolare, i proteoglicani

che sono tutte queste piccole cellule e le fibre. Questa è una cartilagine normale, questi sono tutti

condrociti immersi nella matrice (slide 18), questa invece è la cartilagine artrosica (slide 19) perché

già tutte le fibre non hanno più la struttura come prima e questo è tutto uno scompaginamento. Questa

invece è la fissurazione della membrana (slide 20), della cartilagine e questo è il distacco di frammenti

cartilaginei, quindi si ha distacco della superficie.

Quindi, volendo dire qual è la patogenesi: eccessive sollecitazioni meccaniche su cartilagine normale

determinano ad es. microtraumi ripetuti (quindi sport, macrotraumi, eccesso ponderale,

malallineamento articolare, tutto ciò sul condrocita), oppure possiamo avere sollecitazioni

biomeccaniche normali su cartilagine anormale, perché c’è un alterazione intrinseca del

condrocita.Questo determina amplificazione del processo che deriva da produzione di metalloproteasi

da parte del condrocita,degradazione cartilaginea, rilascio di dendriti cartilaginei, reazione sinoviale,

rilascio di citochine e amplificazione; si forma quindi un circolo vizioso. Quindi frammenti cartilaginei,

sinovite, liberazione di sostanze flogogene, aggravamento della lesione, anche questo viene visto come

circolo vizioso (vedete le fissurazioni della membrana, l’ipertrofia sinoviale). Poi abbiamo i

meccanismi che sostengono la sinovite in corso di artrosi, quindi prima si ha uno start, poi dei

meccanismi che fanno si che l’infiammazione continui, questi possono essere microcristalli di

idrossiapatite (che precipitano e aumentano l’infiammazione), poi fagocitosi di frammenti di

degradazione. Chiaramente la sinovite in corso di artrosi è quella che da luogo a dolore, alla

tumefazione e all’impotenza funzionale, risponde agli antiflogistici ovvero all’antiinfiammatorio.

Quindi volendo riassumere, la patogenesi delle lesioni ossee si traduce in: alterazioni dell’osso

subcondrale (prima abbiamo visto quella cartilaginea, ora ossea) microfratture della struttura

trabecolare, processi di rimodellamento osseo e zone di sclerosi, quindi cisti dell’osso subcondrale

(geodi) ed osteofiti, che sono lesioni tipiche dell’artrosi.(slide 26) Questa è per farvi capire che tutte le

strutture dell’articolazione vengono coinvolte nel processo artrosico; quindi l’osso, la capsula, la

cartilagine, la membrana sinoviale. Quali sono gli aspetti clinici? La cartilagine articolare è priva di

terminazioni nervose, quindi non porta dolore; il dolore articolare tipico dell’artrosi deriva dalle altre

strutture anatomiche coinvolte. L’osso subcondrale può determinare ipertensione della midollare,

microfratture; se c’è presenza di osteofiti avremo stiramento delle terminazioni nervose nel periostio;

se si formano a livello dei legamenti, infiammazione dei legamenti, avremo stiramento; se sono colpite

le capsule avremo infiammazione e distruzione della capsula; l’interessamento del muscolo può

portare a spasmi muscolari, con l’interessamento della sinovia avremo infiammazione quindi il

successivo dolore.

Quali sono i sintomi?

• Dolore articolare che aumenta con l’attività e diminuisce con il riposo, a differenza dell’artrite

che è presente anche a riposo. Con l’attività si riduce all’inizio, perché migliora la rigidità e

tutto, però chiaramente anche quello peggiora durante la giornata. Essenzialmente però la

differenza è questa, parliamo di un dolore diverso tra artrosi ed artrite;

• rigidità mattutina, che dura meno di 30 minuti a differenza dell’artrite che dura di più,

• limitazione funzionale, che la troviamo in tutti e due.

Quali sono i segni? Dolorabilità alla palpazione dei capi articolari, limitazione alla mobilizzazione,

rumore di scroscio/crepitio alla mobilizzazione (muovendo l’articolazione e tenendovi la mano sopra

si percepisce questo crepitio, e nei casi di processo molto avanzato il crepitio può essere percepito

anche con l’udito), versamento articolare ovvero la tumefazione, disallineamento e/o deformità

articolare.

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Il dolore articolare è il sintomo che induce il pz a rivolgersi al medico, nella maggioranza dei casi “ed è

una base più tardiva rispetto all’esordio della sintomatologia”, perché viene colpita prima la cartilagine

poi successivamente le altre strutture. Infatti spesso è presente da tempo (mesi/anni) ma non gli si da

importanza, prima è saltuario poi con caratteristiche di lenta progressione. Viene descritto come un

dolore di tipo gravativo, acutizzato dal carico e dal movimento. E’ più intenso durante la giornata, trae

beneficio dal riposo e di solito è più intenso nei periodi freddi. La limitazione funzionale è dovuta al

dolore e alle contratture muscolari antalgiche, solo nelle fasi più tardive invece è dovuto alle deformità

articolari.

Abbiamo già detto che l’osteoartrosi rappresenta la maggior parte delle malattie, reumatiche seguita

dai reumatismi extrarticolari (che dopo vediamo quali sono), da neuropatie da compressione, postumi

da microtraumi, reumatismi infiammatori ed artropatie da cristalli.

A carico della colonna, che è la sede più colpita, si forma una spondiloartrosi, che è differente dalla

spondiloartrite per come si presenta, per la sintomatologia, e soprattutto per l’età (perché ricordate la

spondiloartrite, ad es. la spondilite anchilosante, “sono generalmente inferiori ai 40-45 anni”). Nella

artrosi vengono colpite le articolazioni interapofisarie, le articolazioni uncovertebrali cervicali e la

degenerazione dei dischi intervertebrali(si ha proprio una discoartrosi). La spondiloartrosi è la

localizzazione più frequente della malattia artrosica. I segmenti cervicale e lombo-sacrale sono i più

colpiti, soprattutto il cervicale (si sente dire spesso “c’ho la cervicale”; quello è già un segno, un

sintomo di malattia artrosica). Il dolore è di tipo meccanico, accentuato dalle contratture muscolari

paravertebrali, può anche essere irradiato a distanza (cervico-brachialgie, lombo-sciatalgie, cruralgie).

Questo è quello che succede, questa è quella cervicale e questa è quella lobare (slide 33). Questo è un

disco normale, vedete com’è ben rappresentato, lineare, qua invece c’è una degenerazione del disco,

qua c’è un escursione, questa è un ernia, una protrusione discale che sta per uscire e poi diventa

proprio ernia (perché si rompe la struttura), questo è un assottigliamento del disco, questa è una

degenerazione con la formazione di osteofiti, questo qua è all’inizio, questo invece è un osteofita

grande grande. Com’è fatto un disco? Da anello fibroso, nucleo bulboso, cartilagine ialina.. ma questo lo

fate anche in ortopedia quindi non mi fermo molto. Qua invece dice come viene valutata la lombalgia,

scatenata o aggravata nei sintomi durante certi movimenti o posizioni della colonna, risposte alle

manovre di Lasègue e di Valsalva, la spettacolare risposta in alcuni soggetti dopo l’intervento

chirurgico. Possono esserci dei dubbi, bisogna sempre fare la diagnosi differenziale in questi pz.

Soggetti con voluminose ernie discali possono essere asintomatici, mentre altri con piccole ernie

possono accusare lombalgie o lombosciatalgie intense, questo dipende da se improntano il midollo. In

alcuni casi i sintomi dell’ernia discale scompaiono dopo l’intervento chirurgico, mentre in altri posso

regredire anche spontaneamente. A volte si somministrano localmente o per via sistemica dei

cortisonici, che generalmente determinano una risoluzione del processo infiammatorio. I mediatori

dell’infiammazione a questo livello sono in primis le citochine, poi nitrossidi e anche le prostaglandine

di tipo 2, che determinano:

• diminuzione della sintesi dei proteoglicani, aumento della degradazione della matrice, perdita

netta di proteoglicani, degenerazione discale, provocando a lombalgia;

• stimolazione diretta e sensibilizzazione delle terminazione nervose;

• stimolazione diretta e sensibilizzazione delle terminazioni nervose portando a lombalgia o

sciatalgia o lombosciatalgia.

Qua vediamo una spondilouncoartrosi, proprio per questa formazione ad uncini a livello della

vertebra(slide 40), qua invece c’è un restringimento dello spazio articolare(slide 41)[mostra altre

immagini]. Tra le alterazioni radiografiche abbiamo:

• riduzione della rima articolare, da condrolisi;

• sclerosi dell’osso subcondrale, da eccessivo carico;

• osteofitosi, per aumentare la superficie da carico;

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• cisti subcondrali(geoidi) da sofferenza dell’osso subcondrale;

Importante la genesi dell’osteofita perché l’osso normale si riduce ed è una iperproduzione per

garantire comunque una superficie da carico, però è un osso anomalo, non ha la stessa funzione. Tutto

questo si vede poi alla radiografia, quindi la diagnosi radiografica dell’artrosi si può fare quando sono

presenti queste alterazioni, non tutte insieme, però possono essere presenti o insieme o con varia

disposizione.

Questa è una mano artrosica, vedete c’è una tumefazione, questi qua sono nelle interfalangee

prossimali e si chiamano noduli di Bouchard, quando sono distali, noduli di Eberder. L’ interessamento

della trapezio-metacarpale determina una mano quadrata, perché si ha la dislocazione proprio

dell’osso; questo è un nodulo di Eberder, sull’interfalangea distale; queste sono cisti gelatinose. Invece

radiograficamente vediamo riduzione della rima abbiamo detto, infatti qui è ridotta sia sulle

interfalangee prossimali che su quelle distali, ma anche sulle metacarpo-falangee che non presentano

uno spazio normale, poi erosione centrale con aspetto ad ali di gabbiano, osteofitosi, lussazione della

trapezio-metacarpale (qua c’è proprio una sclerosi dell’osso, quasi una fusione dei due capi ossei).

Quando si hanno i primi sintomi dell’artrosi del trapezio bisogna già suggerire di mettere un tutore a

livello del pollice in modo da mantenere in iperflessione il pollice annullando l’articolazione. Questo

invece è un ginocchio, allora quali sono le caratteristiche? Innanzitutto le spine (la prima cosa che si

nota), riduzione delle rime (che nell’artrosi è asimmetrica, monolaterale, mentre nell’artrite è

bilaterale, simmetrica).

Andiamo a vedere invece l’anca, questo è un quadro di coxartrosi, con riduzione della rima articolare

mediale e osteofitosi che prolunga il tetto acetabolare. Questi invece sono sindesmofiti marginali,

sindesmofiti non marginali, pseudosindesmofiti e osteofiti. Questi sono degli osteofiti [minutaggio

35’17’’], quelli tipici della spondilite anchilosante, che vanno proprio a formare un ponte osseo ed un

ossificazione del legamento longitudinale. Questi sono non marginali in quanto non si uniscono

completamente. Questo è l’osteofita che è diverso dal sindesmofita, perché questo è proprio un

allargamento, una neoapposizione verso l’esterno, quindi aumenta la superficie, questa è invece una

ossificazione proprio del legamento. Questo è uno pseudosindesmofita, questi sono tutti i sindesmofiti,

questi sono degli osteofiti. Quindi qua è una fusione del legamento, qua invece ci sono proprio delle

protuberanze. La diagnosi è basata sugli aspetti clinici e radiografici che abbiamo già visto. Gli indici

di flogosi sono tutti negativi. Il liquido sinoviale è poco o non infiammatorio, sono pochissime le cellule

infiammatorie. La gravità può essere valutata tramite una scala che va da 0 a 4 gradi, quindi da

nessuna a grave, però questo dipende da tutte le cose che abbiamo visto, dalla presenza di osteofiti,

dalla riduzione dello spazio articolare e così via. Quindi 0 con nessun reperto, 4 grave con spazio

articolare molto alterato con sclerosi e cavità cistiche(geoidi) nell’osso subcondrale. Qual è la

profilassi? Controllo del peso corporeo, risparmio articolare (allora, il movimento è importante, però

chiaramente chi fa sport è destinato a sviluppare artrosi prima degli altri), adeguamento delle attività

lavorative e sportive, chinesiterapia precoce; quindi nelle fasi molto precoci già bisogna fare una

terapia, ma regolare, senza sforzarsi sennò si ha una perdita della riserva articolare, bisogna fermarsi e

non insistere.

La terapia può essere farmacologica, non farmacologica e chirurgica. Quali sono le misure

terapeutiche nell’artrosi?

Terapia sintomatica, con analgesici, esempio tachipirina, paracetamolo. Terapia di fondo. Su questo c’è

un certo dibattito. Vengono molto usati degli integratori, contenenti diversi tipi di sostanze (es. GAG),

però non è la terapia principale da dare nell’artrosi (venne fatto uno studio tanti anni fa che si scoprì

fasullo, i dati furono inventati). È importante invece l’insieme di più terapie, quindi la terapia fisica è

importante, misure ortopediche ad esempio il tutore, terapia non tradizionale, terapia chirurgica (es.

sulla coxofemorale si interviene sempre con una protesi), kinesiterapia, economia articolare, terapia

termale (utile principalmente nelle fasi non molto infiammate, bisogna stare attenti perché se sono

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molto infiammate, l’infiammazione può essere acuita), terapia intrarticolare con cortisonici, acido

ialuronico (anche qui bisogna stare attenti perché ne esistono di differenti tipologie a seconda del

p.m.), poi norme di vita, correzione dei fattori di rischio che secondo me è la più importante,

informazione del malato e terapia occupazionale (quindi intorno all’artrosi girano diverse figure

professionali).

Terapia farmacologica, abbiamo detto:

• i sintomatici, che hanno un azione abbastanza rapida, paracetamolo in primis,perché ha meno

effetti collaterali rispetto ai Fans. Siccome trattiamo pz anziani dobbiamo stare attenti allo

stomaco e al rene, tra i Fans vengono generalmente utilizzati i COX2, e gli steroidi intrarticolari,

come abbiamo visto prima;

• topici, soprattutto i Fans;

• terapia di fondo. Orale: glucosamina solfato(DONA), condroitin solfato, diacerina(fisiodar);

generalmente per un fatto di scuola do la diacereina perché è un farmaco che modifica la

malattia (DMARDs), questi qua invece non sono DMARDs ma sono integratori. Intrarticolari:

acido ialuronico (sono tutti dei condroprotettori);

• le terapie fisiche: elettroterapia, termoterapia, ultrasuonoterapia, laserterapia, terapia termale

e reflessoterapia; tra le terapie fisiche, quella validata è l’ultrasuonoterapia (poiché vi sono

delle evidenze scientifiche);

• terapie chirurgiche: osteotomie correttive, artrodesi, emilaminectomia, protesi, pulizia

artroscopica, lisi o aspirazione di ernie discali.

L’artrosi quindi è una patologia che troverete sempre, indipendentemente che siate reumatologi o no.

*domanda*: Nell’osteoartrosi rispetto all’artrite, la componente infiammatoria non c’è oppure c’è ma

nelle fasi più avanzate? [43’18’’]

*risposta*: Non c’è. Chiaramente se il pz insiste sul dolore allora è possibile si sviluppi un

infiammazione, ma essa non è mai alla pari di quella dell’artrite.

*domanda*: L’infiammazione può contribuire alla patogenesi, successivamente?

*risposta*: Si, abbiamo detto che hanno un artrosi post-artritica, quindi può essere un fattore di

rischio. Però nell’artrosi voi non trovate l’infiammazione. Se la trovate, o dipende da qualche altra cosa,

o dipende dall’insistere sul dolore. Se fate l’esame del liquido sinoviale non trovate mai cellule

infiammatorie eccessivamente alte, es. 30.000, potete trovare un 5.000-6.000, ma generalmente il

liquido artrosico è normale.

REUMATISMI EXTRARTICOLARI

Di questi i più importanti sono la polimialgia reumatica e la fibromialgia.

Polimialgia reumatica è una sindrome che si autolimita, tipica degli anziani, caratterizzata da dolori

ai muscoli e alle articolazioni del cingolo scapolare e pelvico, con notevole rigidità mattutina e marcata

impotenza funzionale, elevata VES anche (superiore a 100) e pronta risposta agli steroidi. La causa non

si conosce, in alcuni casi si associa all’ arterite a cellule giganti di Horton, che riguarda l’arteria

temporale. Mancano segni comuni ad altre malattie autoimmuni, quali ipocomplementemia o

l’aumento delle immunoglobuline. La preferenza per la razza bianca ha fatto ipotizzare l’esistenza di

una predisposizione genetica legata all’ HLA, soprattutto un DR4 e CW3. Questo tipo di alterazione

però non è specifico, lo ritroviamo anche nell’artrite reumatoide.

Clinica. La malattia colpisce il sesso femminile nella maggior parte dei casi, con una predilezione delle

persone anziane oltre i 55-60 anni. Tra i sintomi generali è frequente anoressia, astenia e perdita di

peso con febbricola. È un dolore muscolare ed una rigidità ch insorge improvvisamente,

principalmente interessati sono il cingolo pelvico e scapolare, inizialmente può essere asimmetrica.

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All’insorgenza i movimenti delle spalle sono limitati nel 90% dei casi, infatti i pz vi diranno che non

riescono a pettinarsi, o non riescono ad abbottonarsi il reggiseno. C’è una sinovite transitoria non

deformante nel 20% dei casi. Tornando ai sintomi generali, astenia, anoressia, perdita di peso ecc..

questi sintomi li riscontriamo un po’ in molte malattie reumatologiche (vasculiti, artrite reumatoide),

ma li possiamo riscontrare anche in altre patologie tra cui i tumori. Questo è importante perchè spesso

questa patologia si presenta come sindrome paraneoplastica, molto importante. Poi anche spesso

associata a vasculiti come l’artrite di Horton.

Tra gli esami di laboratorio abbiamo detto che c’è una VES aumentata, anche la PCR può essere

aumentata, aumento delle mucoproteine, la ferritina, il fibrinogeno, tutti i markers di flogosi sono

aumentati. Si può avere un anemia normocromica. Gli enzimi muscolari sono negativi. I quadri

radiologico, bioptico e elettromiografico non forniscono elementi di rilievo, per cui si può fare

tranquillamente la diagnosi differenziale con la polimiosite: anche qui si ha impossibilità ad alzare le

braccia ma gli enzimi sono negativi, l’esame elettromiografico è negativo.

La diagnosi si basa su: età avanzata, esordio brusco (dalla sera alla mattina), dolore e rigidità ai cingoli

scapolare e pelvico, notevole aumento degli indici di flogosi, normalità degli enzimi muscolari e

dell’elettromiografia, brillante risposta agli steroidi. La diagnosi differenziale va fatta con altre

patologie perché alcune sono molto gravi. Va fatta con l’artrite reumatoide senile sieronegativa

(perché la polimialgia reumatica è generalmente sempre sieronegativa, cioè il fattore reumatoide è

negativo, però noi abbiamo anche l’artrite reumatoide sieronegativa, quindi si deve fare questa

diagnosi differenziale. Abbiamo visto che solo nel 20% dei casi nella polimialgia reumatica la sinovite

può essere erosiva. Le mialgie nel corso di infezioni …[49’20’’], quindi dobbiamo capire se il pz ha

avuto un infezione pregressa, virale, che ha potuto portare a queste mialgie diffuse. Polimiosite,

abbiamo detto che gli enzimi muscolari sono normali, l’EMG è generalmente normale. Fibromialgia, si

manifesta soprattutto nelle giovani donne, o ha dei tender che si vanno a valutare nell’esame fisico

articolare. Periartrite bilaterale della spalla, l’abbiamo vista per le condrocarcinosi e per la

pseudogotta. Artrosi, qui però gli indici di flogosi sono bassi, quindi la diagnosi si fa con gli indici di

flogosi. Sindromi depressive, tipiche negli anziani, con questa sintomatologia molto spiccata.

Endocrinopatie, esempio ipotiroidismo, miopatia tireotossica. Morbo di Parkinson. Neoplasie occulte.

La prognosi è buona, si ha una pronta risposta ai cortisonici. Alcuni però non rispondono ai

cortisonici, per cui si utilizzano immunosoppressori, quindi i DMARDs, in particolare il methotrexate.

Vi ricordo anche l’arterite gigantocellulare perché generalmente le due viaggiano insieme, anche se

questa è una vasculite, però ve la riporto perchè va sempre ricercata nei pz con polimialgia reumatica.

L’arterite a cellule giganti è un arterite granulomatosa, colpisce prevalentemente le arterie originate

dall’arco aortico, portando disturbo e danni ai tessuti da esse irrorati. Colpisce i soggetti di età

maggiore di 50 anni. Nel 40-50% dei casi è associata a polimialgia reumatica. E’ una panarterite, quindi

riguarda tutta l’arteria, può essere segmentaria, e determina: necrosi della parete arteriosa,

frammentazione della lamina elastica interna, granulomi che contengono cellule giganti; inoltre

colpisce arterie di medio e grosso calibro ( colpita di frequente l’arteria temporale). Colpisce anziani

con età maggiore di 70 anni (dopo i 50 anni si riscontra già, dai 70 in poi la prevalenza aumenta). Tra

le manifestazioni sistemiche ricordiamo malessere, brividi, astenia..quadro simile alla polimialgia

reumatica. Tra le manifestazioni locali ricordiamo: disturbi ischemici nei tessuti o organi irrorati

dalle arterie interessate, ad esempio, colpendo l’arteria temporale, si può andare incontro a cecità per

danneggiamento del nervo ottico), dolori e segni locali di flogosi (se il distretto arterioso colpito è

superficiale, per esempio arteria temporale).

Tra le caratteristiche cliniche abbiamo cefalea, perché è colpita l’arteria temporale, calo ponderale,

perdita delle pulsazioni dell’a. temporale, claudicatio mandibolare, astenia, febbre, polimialgia

reumatica (40-50% dei casi), sintomi visivi, anemia, arterie del cuoio capelluto tumefatte, soffi

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arteriosi, perdita del visus, sinovite, anomale del SNC, sensibilità del seno carotideo, claudicatio della

deglutizione, claudicatio della lingua. Abbiamo VES e degli indici di flogosi aumentati, possiamo

riscontrare la presenza anche di anticorpi antifosfolipidi nel 60% dei casi , ma la certezza della

diagnosi l’abbiamo con la biopsia dell’arteria temporale in cui troviamo: modificazioni istologiche con

tratti di arteria normale; il 25% ha un istologia normale alla biopsia bilaterale e in sezioni multiple.

Dovrebbe essere eseguita precocemente perché il substrato infiammatorio viene ridotto dall’azione

degli steroidi che quindi modificano il quadro istologico.

Come si presenta? Si può presentare anche in forma atipica, per esempio con un ictus. la VES alta

indica che l’arterosclerosi non è la causa sottostante, perché ci suggerisce l’arterite. Malattia senza

polso o sindrome dell’arco aortico; il 15% si presenta con calo ponderale e deve essere ricercata una

neoplasia. Vedete questi pazienti presentano proprio l’arteria gonfia, queste tortuosità, e se andiamo a

palpare il polso è ridotto, anche al livello del cuoio capelluto possono avere delle alterazioni

discromiche nella zona di passaggio dell’arteria (perché l’arteria è superficiale quindi l’infiammazione

porta delle arterazioni anche a livello cutaneo). Questo è quello che avviene a livello dell’arteria

retinica, per cui può portare a cecità.

La fibromialgia è una malattia molto complessa, in effetti è una sindrome più che una malattia, perché

per anni non è stata manco identificata come malattia, per alcuni non esiste, però esiste ed è anche

molto frequente e va sempre considerata perché, è vero che può essere secondaria ad altre patologie

(maggior parte dei casi), ma c’è anche una forma primaria che deve essere trattata.

Nel ‘92 venne riconosciuta tra le malattie reumatiche, ma ancora oggi non tutti la riconoscono. La S.I.R.,

ovvero la società italiana di reumatologia, la riconosce tra i reumatismi extrarticolari, perciò va messa

insieme alla polimialgia reumatica come capitolo. Questa figura ci dice quali sono i punti per andare a

ricercare la fibromialgia, i “tender points” che sono 18 e per fare la diagnosi almeno 11 su 18 devono

essere positivi.

In queste giovani donne si ha una sindrome dolorosa generalizzata, la prima cosa che si dice è “io ho

dolori dappertutto”, voi identificate così la persona che ha la fibromialgia. Comunque è una sindrome

dolorosa cronica caratterizzata da dolore muscolare diffuso, presenza appunto di tender points che

sono questi qua, con associati sintomi clinici non attribuibili ad altre forme cliniche. Non è una malattia

rara, in Canada sono stati fatti degli studi ed è stato visto che è una malattia tipica delle donne, 86

femmine e 14 maschi vengono colpiti, quindi l’ 86% sono donne. Il tipo di donna colpito è di età media,

con livello di istruzione basso e divorziata. Sul livello d’istruzione non penso sia corretto, nella mia

pratica clinica ho riscontrato che anzi sono quelle più emancipate, che fanno 100 mila cose, che non si

fermano mai, ad essere colpite. Cioè più è iperattiva più è fibromialgica.

Sappiamo di certo che non è una malattia dei muscoli o delle inserzioni tendinee, non è una malattia

psicosomatica (mettiamolo tra virgolette perché in realtà una buona componente presenta il

coinvolgimento, spesso si può risalire ad un evento scatenante). Ci sono dei neurotrasmettitori del SNC

che sono alterati, in particolar modo quelli del sonno e del dolore, per cui queste donne dormono male

la notte, si svegliano piene di dolore e questi dolori aumentano durante tutto il corso della giornata;

quelli più importanti coinvolti sono la serotonina, 5 idrossi-triptofano, la melatonina e a volte anche la

sostanza P. C’è una scarsa efficacia di Fans e analgesici, anche se i primi farmaci che si danno sono

proprio gli analgesici, poi successivamente i Fans e poi i neuromodulatori. Tutti i farmaci dimostrati

attivi agiscono sul SNC, quindi questi qua vengono trattati con gli antidepressivi. Possono essere

associati a una connettivite o a una artrite reumatoide, cioè tutte le malattie possono portare ad una

fibromialgia. Considerate che soprattutto le malattie dolorose che impediscono il sonno notturno

chiaramente innescano questo tipo di patologia, perché il sonno ristoratore è importante. Se la notte

non si dorme si innescano tutte quelle alterazioni della serotonina, del triptofano e così via, quindi

questi tender diventano positivi e la sintomatologia aumenta.

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Quali sono i sintomi che la pz riferisce? Dolore diffuso (“ mi fa male dappertutto”), dolore cronico della

durata di 3 mesi o oltre, rigidità muscolare inferiore ai 60minuti, astenia e facile faticabilità muscolare

(cioè o già sono stanchi o subito lo diventano), consultano molti medici. Quindi questo è proprio il

vestito della donna fibromialgica; è rara negli uomini però se presente è la fine, non la sanno proprio

gestire. Altri sintomi: sonno senza riposo, il pz si sveglia come se avesse lavorato durante la notte,e

questo si traduce in tipiche anomalie alfa-delta, e assenza di sonno profondo, colon irritabile trovato

nel 60% di pz, dispepsia, stato d’ansia o stato depressivo, meteoropatia (il cambio di tempo ad

esempio fa aumentare i dolori), cefalea, a volte si associa a confusione mentale, sensazione di

tumefazione articolare (la mattina si svegliano rigidi, con le mani impastate, non riescono a muoverle),

sindrome ureterale ed infine dismenorrea.

Alcune domande alla pz che possono orientare verso una fibromialgia:

• di mattina ti senti più stanca di quando vai a dormire?

Questo sì perché il sonno non è ristoratore;

• hai dolore dappertutto?

• Ti senti stanco al minimo sforzo? (appena sveglia, da seduta nel letto o appena si comincia a

fare qualcosa);

• soffri di gastrite o colon irritabile?

• Hai spesso cefalea o vertigini?

• Sono anni che ti lamenti, ma nessun medico ti ha mai guarito?

Quali sono i tender points che bisogna valutare? Normalmente si fa una pressione lieve, perché subito

saltano dal dolore nel momento in cui vai a toccare il punto. Devono essere presenti 11 su 18, la

pressione è di circa 4kg./cm2, pari allo sbilanciamento del letto ungueale alla pressione.

Questi sono tutti e 18, quello cervicale basso è il secondo sullo sterno, poi il quarto, il trocanterico,

quello del ginocchio, questi sono i più dolenti, poi occipitale, trapezoide… vabbè non li dovete sapere

tutti, l’importante è che sapete che devono essere 11 su 18. Quelli del trapezio sono dolentissimi, poi ci

sono quelli delle ginocchia, quelli del sopraspinato.

Diagnosi differenziale: si fa con i reumatismi extrarticolari, reumatismi infiammatori.

Esami: nessuno, è tutto normale.

Prognosi: favorevole a distanza, in particolar modo per le donne che capiscono, accettano la malattia,

la sindrome (preferisco chiamarla sindrome e non malattia). Nel momento in cui la accettano, ci

convivono e passa tutto. Magari mantengono una maggiore sensibilità se le si tocca, ma non hanno

tutto quel corteo di sintomi, che le fanno impazzire (cefalea, colon irritabile, disturbi mestruali…). La

FM è una patologia ad alto costo dato che fanno 100 mila visite, il segreto è rassicurarle, dire loro che

effettivamente sono malate ma non è una malattia mortale, con la quale si può stare bene nonostante i

dolori. Non è una malattia debilitante, può diventarlo psicologicamente se si comincia a pensare di

essere malati.

Quali sono i farmaci? Quelli che agiscono a livello del SNC, esempio molto importanti sono i farmaci

miorilassanti come il Flexiban, la ciclobenzopirina (che può essere data in 2/3 compresse al giorno).

In realtà spesso utilizziamo un protocollo a cicli, ovvero si alterna il miorilassante associato al

magnesio (10 giorni-20 giorni), perché il Mg facilita l’assorbimento degli altri farmaci, e poi si dà

l’antidepressivo (es. Cipralex o il Cymbalta, e così via). A volte si può associare un neurotrofico come il

.. [1h 09’ 05’’]. In effetti in questi pz bisogna capire qual è la terapia giusta, spesso va cambiata sia

l’associazione dei farmaci sia il farmaco, ma è una pz con la quale bisogna soprattutto parlare.

Comunque come farmaci vengono utilizzati i miorilassanti, o il Flexiban ( cioè la ciclobenzopirina) o il

Sirdalud (la tizanidina). Poi sono importanti i farmaci che aumentano l’attività della serotonina,

esempio l’Amitriptilina(Laroxyl) a gocce, ma a dosaggio basso, non come antidepressivo. Bastano 3

gocce la sera, aumentando gradualmente massimo 5-7 e poi fermarsi, poi ridurre piano piano un'altra

volta, quindi un ciclo di 3 mesi ad aumentare in modo scalare, a diminuire in modo scalare. Altri

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farmaci, ricordiamo il Trittico, il Prozac, il Zoloft, Seroxat; ultimamente comunque il Cymbalta o il

Cipralex, e poi il “Samir”, che aiuta molto in tutti i tipi di depressione, e anche in pz con fibromialgia.

Come terapia non farmacologica invece ricordiamo: la terapia fisica (TENS, ionoforesi,

termoterapia), rilassamento muscolare (esempio training autogeno). Soprattutto si fanno dei massaggi

di sfioramento in questi casi, alcune chiedono di quello che va di moda ultimamente, il pilates, anche se

non va bene perché fa insistere sul dolore, aumentandolo. Quindi vanno bene massaggi di sfioramento,

omeopatia, agopuntura, altre pratiche di medicina non tradizionale, attività fisica lieve. Il fitness

peggiora la rigidità e il dolore muscolare.

Allora quali sono le indicazioni che vengono date a questi pz? Attività regolare durante la giornata,

alternare fasi di attività e fasi di riposo, cioè non vuol dire che deve stare sempre a riposo, inizia a fare

un attività se si stanca si siede e si deve riposare e poi riprendere; quindi si deve riposare se si stanca e

se ha dolore, non deve insistere sul dolore. Ginnastica mattina e sera però sempre dolcemente,

muovendo tutte le articolazioni, valutando anche fin dove può arrivare, ad esempio alzando il braccio

vicino al muro e segnandosi dove arriva. Facendolo ogni mattina, per 10 minuti, si vede che il braccio

lo si può aumentare anche 1 cm alla volta. La sera andare a dormire dopo aver fatto una doccia o un

bagno molto molto caldo, perché chiaramente la pz si rilassa. Queste sono delle indicazioni che sono

state pubblicate. Si è visto che pz che non dormivano bene, che venivano svegliate durante la notte

avevano una sintomatologia accentuata, quindi un sonno tranquillo favorisce anche una diminuzione

della sintomatologia (hanno diviso le persone in due gruppi, quelle svegliate durante la notte e quelle

no.

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Cuomo – Lezione 12 (12-04-17) – Vasculiti.

Sbobinatore: Martina Casadio

Coordinatore: Katia Vitale

Le vasculiti sono un argomento molto complesso. Si tratta, infatti, di molte malattie raggruppate in un unico gruppo di cui voi dovete sapere la classificazione e quali sono le più frequenti. Le vasculiti sono malattie infiammatorie dei vasi che causano sintomi legati all’occlusione vascolare e/o alla rottura dei vasi, quindi emorragia. Abbiamo diverse classificazioni. Una prima classificazione le divide in base alla forma in: primarie o secondarie; in queste ultime rientrano ad esempio quelle dovute alla LES, all’artrite reumatoide o altre connettiviti. Una seconda classificazione le suddivide in base alll’estensione anatomica, quindi in: organo specifiche, cioè che colpiscono un solo organo oppure sistemiche. Qual è la patogenesi delle vasculiti? Può essere legata alla formazione e precipitazione di immunocomplessi, alla presenza degli ANCA e alla formazione dei granulomi grazie anche alla cooperazione delle T cells. Che cosa succede a livello dei vasi? In seguito a un lieve eccesso di antigeni (cioè se l’antigene è molto alto) non si ha la formazione di immunocomplessi, oppure si ha la fagocitosi, oppure si può avere un deposito degli stessi immunocomplessi che facilitano l’infiammazione quindi il rilascio di amine vasoattive da parte dei basofili e da parte delle piastrine, o ancora si può avere l’attivazione del complemento, quindi il consumo di complemento, che determina il richiamo di PMN e il rilascio di radicali dell’O2 e poi direttamente un danno sulla parete vasale. Vasculiti da immunocomplessi: - malattie da siero provocate da farmaci o dalla somministrazione di sieri immuni; - presenza di antigeni virali (per esempio: HCV e crioglobulinemia che viaggiano generalmente insieme, tuttavia si ritrova una ridotta percentuale di pazienti affetti da crioglobulinemia perché l’HCV con questi nuovi farmaci è stata quasi debellata per cui è raro vedere questa sindrome crioglobulinemica; o la PAN, associata alla presenza dell’epatite B); - presenza di immunocomplessi dovuta alla formazione di anticorpi rivolti verso la presenza di antigeni self (per esempio il dsDNA nel LES o il fattore reumatoide nella AR). Vasculiti ANCA (Anti Neutrophil Cytoplasm Antibodies) positive, che sono degli anticorpi diretti contro il citoplasma dei neutrofili e sono classificati in cANCA e in pANCA. I cANCA sono diretti contro la proteinasi3 (Pr3) e hanno un pattern di immunofluorescenza citoplasmatico e sono tipici della granulomatosi di Wegener. I pANCA invece sono diretti contro la mieloperossidasi, hanno un pattern di immunofluorescenza perinucleare e sono presenti anche questi nella granulomatosi di Wegener ma anche nella Churg-Strauss e nella poliangite microscopica. [Mostra slides 7,8 illustranti le differenze tra i cANCA (pattern citoplasmatico) e pANCA (pattern perinucleare)]. Qual è il ruolo patogenetico degli ANCA? Intanto l’attivazione endoteliale che va ad attivare tutto un processo infiammatorio che colpisce anche direttamente l’endotelio e può essere scatenato da un’infezione come nel caso dell’HCV/HPV oppure da altri starter esterni ambientali. Quando si deve sospettare una vasculite? La vasculite si può presentare con una sintomatologia:

- sistemica, quindi per la produzione di citochine noi troveremo malessere, febbre, perdita di peso;

- localizzata in un solo organo, in questo caso abbiamo per esempio artriti oppure interessamento renale, quindi, proteinuria. In questo caso, pertanto, bisogna individuare qual è l’organo colpito e qual è la causa che sta a monte.

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Il decorso può essere subacuto (è molto subdolo e lento, quindi questa febbricola, questo dimagrimento a volte il paziente non lo avverte neanche). In verità a volte siccome non si riesce a capire subito la diagnosi succede che i pazienti vengono considerati psicopatici (è il caso di una paziente che abbiamo ora in reparto che veniva seguita da uno psichiatra e dicevano che non aveva niente, quando ora ha un tumore allo stomaco ormai in fase terminale). Quindi spesso succede che la sintomatologia è sfumata, può essere associata a varie patologie però se non si riesce a trovare la patologia di base non si riesce a seguire bene il paziente. Si può avere dolore se sono interessate le articolazioni o le terminazioni nervose, si può avere febbre, eruzioni cutanee, artralgie/artriti e così via a seconda anche dell’organo colpito. Le vasculiti vengono suddivise in base al diametro dei vasi colpiti. Avremo:

- vasculiti dei grandi vasi: arterite a cellule giganti e la sindrome di Takayasu; - vasculiti dei medi vasi: poliarterite nodosa, la Kawasaki, la vasculite primaria del SNC e la

sindrome di Buerger; - vasculiti dei piccoli vasi: si dividono in due gruppi: ANCA positive e da immunocomplessi.

Quelle ANCA positive sono la poliangite microscopica, la sindrome di Wegener, la Churg-Strauss e quella da farmaci. Quelle da immunocomplessi possono essere dovute da: ipersensibilità, crioglobulinemia, malattie del connettivo, malattie da siero, sindromi para infettive, oppure da autoanticorpi come la sindrome di Goodpasture, la paraneoplastica o la Behcet (parola turca letta beczet o bescé).

L’arterite a cellule giganti: - si manifesta nei pazienti al di sopra dei 50 anni soprattutto tra i 60 e 70 anni - mostra sintomi generali di infiammazione, quali astenia e febbre - associazione alla polimialgia reumatica, quindi interessamento del cingolo scapolare e pelvico - cefalea, disturbi visivi (può portare anche a cecità), claudicatio alla masticazione - segni di laboratorio di aumentata infiammazione (soprattutto degli indici come VES e PCR) e un’anemia cronica. [Mostra slide 14, 15: biopsia di arteria temporale con intima inspessita e riduzione del lume del vaso]. L’arterite di Takayasu: in Occidente è molto rara. Più frequente invece in Oriente e nelle giovani donne orientali. E’ un’infiammazione della parete aortica con formazione di tratti stenotici e può colpire varie parti dell’aorta principalmente colpisce più l’arco o il tratto discendente includendo anche le arterie renali. I criteri sono: -età inferiore ai 40 anni -claudicatio delle estremità -pressione arteriosa brachiale bassa (polsi poco percettibili) -differenza di pressione arteriosa > 10 mmHg tra un braccio e l’altro - soffi arteriosi alla succlavia e/o all’aorta addominale - aortografia: restringimento (spesso focale, segmentario) di tratti di aorta e dei suoi rami principali non dovuto ad aterosclerosi o a displasia fibromuscolare. [Mostra slide 18: biopsia di aorta con intima inspessita. Slide 19: radiografia raffigurante la stenosi della succlavia. Slide 20: RMN raffigurante stenosi carotide comune e della succlavia sinistra]. Poliarterite nodosa: -prevalenza del 6 x 105

- arterite necrotizzante delle arterie di medio calibro, talora di arteriole -età media di insorgenza tra i 40-45 anni -10-30 % associata a HBsAg e/o HCV - casi sporadici insorti dopo vaccini o altre infezioni virali -non predisposizione genetica nota (gli studi non hanno mostrato una stretta correlazione tra i geni e questa malattia)

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Quali sono i criteri classificativi? (Bisogna averne almeno tre di questi criteri) -perdita di peso > 4 Kg -livedo reticularis -dolore testicolare -mialgie, astenia, dolore alle gambe -mono o polineuropatia -PA diastolica > 90 mmHg -aumento creatinina -positività a HBsAg -arteriografia anomala -biopsia arteriosa che ci fornisce la diagnosi definitiva [Mostra slide 23: questa è la poliarterite nodosa con vasculite di arterie di medio calibro dove c’è proprio un’alterazione necrotizzante di tutta la parete vascolare. Mostra slide 24: questa è un’immagine della livedo reticularis per farvi vedere di cosa si tratta, che ritroviamo anche in molte malattie come nel LES, nella sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi. Mostra slide 25: queste sono le dilatazioni aneurismatiche associate alla poliarterite nodosa, quindi si ha un restringimento e poi a valle una dilatazione]. Poliangite microscopica: -vasculite necrotizzante sistemica e colpisce vasi di piccolo calibro -non granulomatosa come la poliarterite nodosa -associata a glomerulonefrite necrotizzante -ANCA positività nel 75 % dei casi (generalmente pANCA contro la mieloperossidasi) -differentemente dalla poliarterite nodosa può portare emorragia alveolare che spesso è mortale (purtroppo noi abbiamo avuto un paziente che è arrivato in studio con dispnea importante ed era seguito per una fibrosi polmonare dallo pneumologo. Aveva sviluppato febbre, astenia, insomma una sintomatologia sistemica; era stato ricoverato più volte ma la diagnosi di vasculite non era stata fatta da nessuno e quindi l’ho fatto ricoverare e in corso di ricovero ha avuto un’emorragia alveolare ed è morto. E’ arrivato da noi nello stadio finale della vasculite, se fosse stato diagnosticato prima magari avrebbe avuto un po’ di tempo in più) - ANCA positiva, accompagnata da GNF necrotizzante (c’è sempre un interessamento polmonare e renale in questo tipo di vasculite) -non è associata a HBsAg positività né a ipertensione arteriosa come la poliarterite nodosa. [Mostra slide 27: questa è l’emorragia alveolare, quest’aspetto cotonoso del torace. Mostra slide 28: questo è quello che si vede alla TAC. Mostra slide 29: questo è quello che avviene a livello renale dove si formano delle semilune che sono tipiche della poliangite microscopica]. Granulomatosi di Wegener: - questa è una malattia infiammatoria granulomatosa che colpisce l’apparato respiratorio -vasculite sistemica necrotizzante dei vasi di medio e piccolo calibro -può portare alla formazione di semilune a livello renale [Mostra slide 31: questa è la biopsia. Mostra slide 32: questi sono i granulomi con cellule giganti. Mostra slide 33: questa è la necrosi fibrinoide del polmone]. -anche la granulomatosi di Wegener è associata a un’ ANCA positività nel 80-90 % dei casi (solo il cANCA) - colpisce le vie aeree superiori e quindi può portare sinusite, perforazione del setto nasale, naso deformato a sella, stenosi subglottica -a livello polmone determina la presenza di noduli, lesioni cavitarie ed emorragia alveolare -a carico del rene glomerulonefrite necrotizzante (non semilune perché a differenza della poliangite porta sempre alla formazione di semilune però questa è necrotizzante, invece la poliangite no).

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[Mostra slide 35: questo è il naso a sella, presenta prima una gobba poi un affossamento del naso. Mostra slide 36: questa è una sclerite necrotizzante che pure si può associare alla Wegener. Mostra slide 37: queste sono masse di tessuto infiammatorio che si possono trovare in regione retro-orbitaria sempre nella Wegener (sono proprio granulomi che si possono localizzare in vari organi). Mostra slide 38: questi sono noduli multipli escavati]. Vasculite di Churg-Strauss: -è una granulomatosi allergica che colpisce i vasi di piccolo e medio calibro, con una necrosi fibrinoide, infiltrazione eosinofila e aspetti granulomatosi -gli organi colpiti sono i seni paranasali, il polmone, la cute, il SN periferico, il cuore, i reni e l’intestino -c’è una positività per gli ANCA (in questo caso i p-ANCA che sono positivi nel 50 % dei casi). È caratterizzata da tre fasi: -la prima fase prodromica: malattia atopica in cui il soggetto soffre di rinite e asma che può durare mesi o anni prima che si sviluppi la vera e propria vasculite -eosinofilia ematica e tissutale -fase vasculitica: vasculite necrotizzante del polmone, cuore, cute e nervi periferici. [Mostra slide 41: questo è quello che avviene a livello delle arterie, quindi questa necrosi a carico della parete vasale. Mostra slide 42: qui è molto evidente l’infiltrazione eosinofila a livello polmonare. Mostra slide 43: anche qui c’è una granulomatosi/un granuloma. Quali sono i criteri di classificazione? -asma -eosinofilia > 10 % dei globuli bianchi totali -mono o polineuropatia con una caratteristica distribuzione a calzini o a guanti (cioè la parte periferica del piede e della mano evidenzia questa parestesia/neuropatia) -infiltrati polmonari migranti -sinusite -con la biopsia si può evidenziare un’eosinofilia tessutale. Vasculite da ipersensibilità (detta anche vasculite leucocitoclastica cutanea): -si ritrova in soggetti con età > 16 anni -in genere dopo l’assunzione di un farmaco a cui non si sapeva di essere sensibili -appare una porpora palpabile su tutto il corpo che non scompare alla digito-pressione e non è legata alla trombocitopenia -si può avere eruzione maculo-papulare con lesioni piatte o sollevate di varia grandezza (da 1 mm fino a 10 cm) -alla biopsia troviamo un aumento di polimorfonucleati perivascolari. Questa può essere suddivisa in una forma cutanea isolata cioè avviene una volta e poi non si ripresenta più oppure può interessare tutto l’organismo, quindi qualsiasi organo (interessamento sistemico): -cuore (infarto, pericardite) -occhi (vasculite retinica) -apparato gastrointestinale (pancreatite) -SN (soprattutto periferico) -polmone (emottisi) -rene (microematuria, proteinuria) [Mostra slide 47: questo è quello che si manifesta a livello cutaneo (abbiamo delle lesioni cutanee iniziali) e dopo 24-48 h le varie aree di lesioni maculare vengono inglobate l’una con l’altra e quindi aumenta l’area di interessamento. Mostra slide 48: addirittura queste lesioni possono portare ad ulcere, quindi un’evoluzione necrotica. Mostra slide 49: questo è quello che appare a livello microscopico].

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La diagnosi differenziale della vasculite da ipersensibilità va fatta con altre forme di vasculite tipo quelle infettive dovute a virus, malattia di Lyme o Rickettsie, o bisogna differenziarla dalle collagenopatie come LES, AR o SS o da altri tipi di vasculiti come la Henoch- Schoenlein (presente soprattutto nei bambini e colpisce la parte superiore degli arti inferiori come la parte inferiore dei glutei e la parte superiore delle cosce), crioglobulinemie, PN, PM, CSS. [Mostra slide 51: questo è quello che vediamo in una vasculite da crioglobulinemia che è diversa dall’altra che abbiamo visto; questa è una porpora palpabile con anche un colorito molto diverso. Si presenta tutto punteggiato poi anche queste confluiscono però questo è palpabile]. Malattia di Behcet: Si tratta di una vasculite che sembra rara, ma che poi paradossalmente è abbastanza frequente soprattutto nelle giovani donne. Infatti, nella mia casistica le pazienti affette da questa malattia sono soprattutto donne. Il marker più importante di questa malattia è l’HLAB51. E’ una malattia cronica multisistemica ed è recidivante. Ha un’alta incidenza nei paesi definiti “via della seta”( che parte dalla Turchia ed interessa tutto il Mediterraneo), quindi l’Italia è uno dei paesi maggiormente colpiti. È caratterizzata dalla presenza di ulcere ricorrenti del cavo orale che si possono presentare almeno tre o più volte l’anno e sono ulcere acute ma dolenti spontaneamente quindi non con l’ingestione di cibi o liquidi. Quindi interrogando il paziente bisogna chiedere se tale ulcera può spontaneamente provocare dolore. Inoltre è possibile riscontrare la presenza di ulcere genitali ricorrenti, la presenza di un interessamento oculare con uveite anteriore o posteriore e una vasculite retinica. A livello cutaneo si può avere un eritema nodoso (che sono noduli sottocutanei che si manifestano spontaneamente e sono dolenti), si può avere una pseudofollicolite e si possono avere delle lesioni pseudo-acneiformi, cioè il soggetto presenta questi grossi foruncoli, queste grosse follicoliti che non sono riconducibili a un semplice acne, ma sono associate ad una complicanza della malattia di Behcet. Infine vi può essere la positività al Pathergy-test, che è una cosa molto semplice: con un ago si punge il soggetto sull’avambraccio e dopo 24-48 h si forma una papula o una pustula attorno alla puntura. Questo è uno dei criteri per fare diagnosi di Behcet. [Mostra slide 55: queste sono le ulcere che vi dicevo che sono presenti al palato o alle guance, quindi appaiono come delle comuni afte però hanno la caratteristica di essere dolenti spontaneamente. Mostra slide 56: questo è l’eritema nodoso. Mostra slide 57: questa è la pseudofollicolite. Mostra slide 58: questa è l’uveite]. Le possibili manifestazioni cliniche in corso di malattia di Behcet sono: -tromboflebiti ricorrenti -vasculite di arterie di medio e grande calibro -manifestazioni intestinali tipo malattie infiammatorie croniche dell’intestino -meningoencefalite che è la complicanza più severa (racconta un caso che le è capitato durante la sua esperienza quando faceva la tirocinante nel reparto di reumatologia: il primo paziente che le fu affidato fu un paziente con Behcet che però aveva già gli esiti di una meningoencefalite, quindi già era in trattamento però era stato colpito dalla meningoencefalite per cui aveva gli esiti di questa complicanza) -encefalopatia -artrite periferica -epididimite. -sacroileite La prof racconta un caso di una paziente ricoverata a cui era stata fatta diagnosi di spondilite anchilosante perché questa aveva anche una sacroileite, ma non era stata fatta alcuna diagnosi di vasculite né malattia di Behcet, quindi questa paziente veniva trattata con i biologici, precisamente con Adalimumab, però continuava ad avere dolori, soprattutto manifestazioni neurologiche per cui è stata ricoverata e in seguito, quando è stata visitata per una consulenza, questa paziente tra tutte le manifestazioni della vasculite che già aveva, presentava anche una positività del marker HLAB51, per cui la diagnosi era certa, non c’era dubbio che si trattasse della malattia di Behcet. Quindi è stato

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sospeso l’Humira (nome commerciale dell’Adalimumab) per un po’ per capire se questi dolori non fossero necessariamente dovuti alla sacroilite che lei continuava ad avere; ora sta facendo dei boli di cortisoni. Per quel che riguarda la terapia inizialmente vengono somministrati i cortisonici, i corticosteroidi con dosaggio di 1 mg per Kg di peso corporeo. Per ridurre gli effetti collaterali del cortisonico (tachicardia, ipertensione, iperglicemia), invece che fare il dosaggio pieno come viene descritto, si somministrano 250 mg della soluzione fisiologica da 500 lentamente per almeno due ore, in modo tale che gli effetti collaterali vengano azzerati e invece l’effetto terapeutico del farmaco venga centrato in pieno. Infatti, questo è già il secondo mese che la signora è sotto trattamento e presenta minor dolore (essendo il cortisonico un anti-infiammtorio). Quindi per tutti i tipi di vasculite è necessario l’introduzione del cortisonico poi, se non si risponde al cortisonico, si dà l’immunosoppressore che può essere methotrexate oppure la ciclofosfamide o il (minutaggio: 00:37:07 ). A volte anche per risparmiare il cortisone si possono introdurre gli immunosoppressori, perché a volte per esempio 50 mg al giorno di cortisone non vanno bene perché portano molti effetti collaterali allora in questo caso si può ridurre il cortisone e aggiungere l’immunosoppressore, diminuendo così gli effetti collaterali.