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ALLE SPALLE di Birgit Vanderbeke Traduzione di Paola Del Zoppo

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"Ieri, ti ho vista ieri". Una telefonata anonima sconvolge il ritmo della vita di una scrittrice. Come se niente fosse accaduto, lei continua a svolgere il suo lavoro, a sbrigare la posta, a uscire a pranzo, a pensare a come poter dissuadere sua figlia dal farsi un tatuaggio. Anche se nei fatti nulla è cambiato, sente la paura che le si arrampica sulla schiena. Ascoltare un disco la porta a pensare a Eddie, geniale violinista che insieme a suo marito ha composto una melodia di grande successo e che, morto all’improvviso, è diventato leggenda. Quali sono i retroscena della morte di Eddie? Birgit Vanderbeke indaga sulle reali possibilità di scegliere la propria vita, di esprimere i propri bisogni, sull’influenza dei media e sul comportamento umano. La vividezza delle scene evocate, ironiche e provocanti, spezza la tensione dei pensieri, riportando continuamente narratrice e lettori alla realtà.

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ALLE SPALLE

di Birgit Vanderbeke

Traduzione di Paola Del Zoppo

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Birgit Vanderbeke, Alle spalle

Titolo originale: Abgehängt

The translation of this work was supported by a grant from the Goethe–Institut

which is funded by the German Ministry of Foreign Affairs

Originally published by S. Fischer Verlag

Copyright © 2001 by S. Fischer Verlag GmbH, Frankfurt am Main, Germany

Copyright © 2010 Del Vecchio Editore

Grafica e impaginazione: Dario Lucarini

Editing: Michele Piroli

Redazione: Vittoria Rosati Tarulli

www.delvecchioeditore.it

www.myspace.com/delvecchioeditore

Per l’immagine di copertina restiamo a disposizione degli aventi diritto che non si

siano potuti reperire.

ISBN: 978-88-6110-017-6

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c o l l a n a > n a r r a t i v a

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Lei dice sempre che non sopporta l’eccezionalità, è così trasparente. La normalità, dice lei, è così più semplicemente complicata, e per-ciò interessante.

Getrud Stein

Non si fa più sesso, l’ha sostituito la paura.

Paul Virilio

La messa in atto di un omicidio è qualcosa di completamente diversodalla comunicazione dell’avvenuta azione: omicidio.

Christoph Deutschmann

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Ieri, ti ho visto anche ieri, disse la voce.Con chi parlo, scusi?, dissi io.Troia, disse la voce, te la farò vedere io.Chiusi il telefono.Era una voce maschile, calda e amichevole.Simmy era in camera sua a disegnare la cartina dell’Europa.Entrai per un po’, mi misi a guardare l’Europa e dissi: io ricalcavo

sempre. Ci si mette di meno e viene meglio.Era arrivata alla costa belga, e disse: va bene anche così, e io dissi:

aspetta di arrivare alla Norvegia, lì è pieno di fiordi e insenature eisolette complicate e roba così. Faccio un salto in banca. Non alzòla testa.

Se suona il telefono, dissi, non rispondere.E se è Bine?, disse Simmy.

La strada era vuota. La cabina del telefono di fronte casa era an-cora distrutta. Tutte le case facevano finta di avere finestre cieche.

Non c’è niente di più normale di una telefonata anonima, pensavo.Non era stata quella la prima, e anche se non c’era niente di più nor-male, cominciò a innervosirmi, perché non era quella la prima.

Pensai anche a quella sera ad Amburgo, e che prima di allora nonavevo mai pensato a qualcosa del genere, ma da Amburgo in poi cipenso tutte le volte, e adesso non me lo toglievo dalla testa. D’altraparte anche ad Amburgo era tutto come al solito, solo che all’im-provviso mi ero sentita più irrequieta.

Il pubblico è così numeroso, avevo pensato, e tu sei piuttosto iso-

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lata in confronto a quella massa, e chi ti dice, in realtà, che si lascinoraccontare così tranquillamente quello che tu hai da dire. In fondopotrebbe essere che uno sta lì seduto e ha sempre avuto in testa diammazzare qualcun altro. Potrebbe essere che uno sta lì seduto e hasempre avuto in testa di ammazzare proprio te.

Non c’è niente che mi annoia di più dei gialli e delle cose futili.Quindi mi ero arrabbiata con me stessa e insultata perché, ovvia-

mente, non ha nessun senso l’idea che qualcuno voglia ammazzareproprio me. E infatti non mi ha ammazzato nessuno, ma da Am-burgo in poi non mi sono più sentita tanto sicura e, ogni volta chearrivavo nella stanza dell’albergo e mi chiudevo la porta alle spalle,notavo da me quanto mi sentissi sollevata.

Da Monaco in poi, comunque, controllo sempre nel bagno dellastanza, e tra me e me mi vergogno, ma comunque mi sento più tran-quilla quando la stanza da bagno è vuota e nessuno è nascosto nelladoccia.

In banca ora sono molto gentili, e per il compleanno inviano sem-pre un biglietto d’auguri, ma per fortuna non bisogna più entrare, daquando hanno all’esterno gli sportelli automatici per la stampa del-l’estratto conto e per i prelievi.

Qualche volta qualcuno in treno mi fissa incuriosito, e allora mimetto a guardare fuori dal finestrino, anche se la prima cosa chepenso è che ho una macchia sul cappotto o che c’è qualcosa di stranonella mia faccia. Naturalmente capitava anche prima che qualcunomi guardasse incuriosito, o anche che si girasse a guardarmi e mi fi-schiasse dietro, ma questo lo fanno con tutte le donne, e a un certopunto non capita più. Già capitava di rado quando ero intorno ai qua-ranta, e a dirla tutta un po’ mi sentivo offesa, perché comunque di per sé è già difficile avere quarant’anni, quando hai quarant’anni. Equando poi smettono di fissarti incuriositi, appena ti ci sei abituata,ti senti un po’ offesa, anche se in effetti ti eri sempre arrabbiata, però

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proprio intorno ai quaranta potrebbero guardare a loro piacimento.Quando hanno ricominciato a fissarmi, mi ero appena abituata alfatto che non mi guardassero più, e adesso hanno ricominciato, emi irrita.

A volte tra la posta ci sono lettere con l’intestazione: «Spettabilegentile», ma hanno sempre un mittente e io le butto via con tutta labusta, affrancata e intestata per la risposta, e con i biglietti con la miafoto, benché le foto siano in genere belle. Le foto a colori vengonosemplicemente meglio se le si scannerizza. Strano, effettivamente.A volte ci sono anche cartoline postali, su cui si legge: «Ti odio», oche devo crepare, e ovviamente butto via anche quelle e non dovreifarmene un problema, ma non mi riesce sempre, di non farmene unproblema. Da Amburgo in poi mi riesce sempre di meno e qualchevolta sulle cartoline sulle quali sta scritto che devo crepare non cisono francobolli, perché qualcuno le ha messe a mano nella cassettadella posta, e allora non mi riesce proprio per niente di non farmeneun problema, anche se è una cosa normale ricevere queste cartoline,per posta o consegnate a mano.

Mentre tornavo cominciò a piovere. Le strade con i negozi sonopiene anche quando piove, ma le altre erano vuote. Ad ogni mododietro di me non si sentivano passi. Ma avevo comunque questostrano brivido lungo la schiena, come se qualcuno mi stesse guar-dando o seguendo. Nel frattempo, dalla maggior parte delle finestresi intravedevano le luci. Lo trovavo rasserenante, semplicemente per-ché da bambina l’avevo sempre trovato rasserenante, anche se datempo ormai sapevo che non era rasserenante per nulla.

Da bambina pensavo che dietro ogni finestra illuminata ci fosse

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una cosa tipo un albero di Natale, ma già da bambina sapevo comefunzionava il Natale e quindi ero scettica. Nonostante ciò conti-nuavo a trovare le finestre illuminate rasserenanti.

Non mi girai. Tutti conoscono quel brivido freddo nella schiena,quando si avverte uno sguardo tra le scapole, e per quanto riguardai brividi nella schiena avevo preso una decisione. D’altra parte sipoteva solo decidere se crederci o meno. Con il tempo avevo de-ciso che ci si può benissimo credere, ma per nulla al mondo si puòammettere di crederci.

Se si ammettesse di crederci, sarebbe come ammettere che si credeche una sfera possa rotolare all’insù. Ovviamente non credo affattoche una sfera possa rotolare all’insù. Semplicemente non ammettodi sapere che può farlo. Innanzitutto per Simmy, che si fida del fattoche io non possa pensare che le sfere rotolino all’insù. Su questa eun paio di altre cose un bambino deve poter basare la sua fiducia.Non ne parlerei con Simmy neanche morta.

Per cui non mi girai e pensai che Vira, anni prima, mi aveva fattovedere una bomboletta spray e si era offerta di procurarne una ancheper me. Le avevo detto che non credo nelle bombolette spray.

Ah, preferisci il karate, aveva detto Vira, e suonava come un’at-testazione di stima, perché, al tempo, di autodifesa si parlava su tuttii giornali, e in televisione aveva persino surclassato la ginnasticamattutina.

Qualcosa del genere, avevo risposto, per non deluderla. Bisognadire che anche Vira è intorno ai quaranta, ed è un peccato che nonci vediamo più, perché mi piacerebbe sapere se Vira è mai riuscitaa utilizzare la sua bomboletta spray, o se è delusa di non averlo fatto.

Nella cassetta della posta c’era un sacco di pubblicità tutta inzup-pata, la posta l’avevo già ritirata prima.

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Simmy aveva finito con l’Europa.Ha chiamato qualcuno?, chiesi, e lei fece, con un tono legger-

mente accusatorio: hai detto che non dovevo rispondere.Dissi: Bine può sempre lasciare un messaggio in segreteria.Ma non l’ha fatto, disse Simmy, e il tono accusatorio si fece più

evidente, perché le impedivo di mantenere i contatti con Bine equindi con il mondo intero.

Qualcun altro?, chiesi. Perché non avevo voglia di controllare lasegreteria. So che le segreterie telefoniche sono necessarie, so che,senza, Meyer–Bromberger non mi può contattare quando sono ingiro, so che Serge non mi può lasciare il numero a cui posso rag-giungerlo fino alle sei e tre quarti, per ricordargli che Rosalie aspettala sua telefonata per il festival di Strasburgo, ma nonostante tutto que-sto non posso soffrirla, la segreteria telefonica. Non mi piace quandolampeggia, e non mi piace neanche quando non lampeggia.

Qualcun altro?, chiesi invece.Hanno chiuso, disse Simmy, e se potevo interrogarla sugli stati

membri dell’Unione europea e le capitali. E poi scambiò Zurigo conBerna e L’Aia con Amsterdam.

Vorrei andare a Helsinki, ci sei già stata?, chiese. Era convinta cheio fossi stata in qualunque città il cui nome le suonasse gradevole,e quando, immediatamente, confessai di non essere mai stata a Hel-sinki, fece una faccia come se le stessero per togliere la paghettaperché sua madre non ci era mai stata, a Helsinki. Per difendermidissi: per quanto ne so, neanche Serge. Ma Simmy pensa che è com-pletamente diverso. Nel frattempo mi venne in mente che Sergec’era stato, a Helsinki. La sera prima aveva chiamato come sempre.Sembrava stanco, e io gli avevo chiesto se era tutto a posto. Da quan-do Eddie è morto, dopo i concerti ha sempre un tono stanco, e an-ch’io ho un tono stanco e sono solo raramente davvero su di giri;anche se ovviamente si è su di giri, anche Serge è su di giri, ma a

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questo ci fai caso solo dopo la telefonata, quando sei solo nellastanza d’albergo. Però sembrava più stanco del solito, e per questoavevo chiesto: è tutto a posto?, e lui mi aveva preso in giro perchéero apprensiva e si era messo a ridere.

Non credo che ci sia qualcosa a posto quando uno non sa neancheche diavolo di valuta hanno, in Finlandia, ma magari questo me lodiranno all’aeroporto.

Suppongo le corone, feci io, lassù hanno tutti delle corone, maesattamente non lo so neanch’io, e Serge sbadigliò al telefono: do-mani sera lo saprai.

Non vedo l’ora, dissi io.E quindi Serge a Helsinki c’era stato, ma Simmy già aveva perso

interesse per Helsinki, perché sapeva le capitali, eccetto Berna eL’Aia, e adesso voleva andare da Bine.

Dissi: prima di metterti in bici sotto la pioggia, meglio che telefoni. Mi misi a riordinare la posta e pensai che un giorno avrei rotto con

Meyer–Bromberger, perché Serge, come al solito, nella sua postanon aveva neanche la metà delle scemenze che avevo io. Serge pensache Meyer–Bromberger non possa farci assolutamente nulla, e chela colpa è mia se le persone pensano di dovermi spedire per posta ilresoconto dei loro destini, e io penso che Meyer–Bromberger do-vrebbe impedir loro di farlo, e Meyer–Bromberger pensa che luinon può impedirlo finché il mio indirizzo non viene eliminato datutti gli elenchi telefonici, e io gli faccio notare che in fondo anchel’indirizzo di Serge è negli elenchi telefonici e Serge non riceve ne-anche la metà dei resoconti di destini che ricevo io, e Meyer–Brom-berger dice quello che dice sempre Serge, e che ha detto anche Simmypoco fa: che è una cosa completamente diversa, e io dico: va bene,allora voglio anch’io un violino, perché mi fa invidia. Non per ilviolino, ovviamente, ma perché Serge non deve fare tutto da solo,perché ha i suoi musicisti, e io non ho musicisti che mi possano

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salvare se qualcosa va storto, né da tutti i destini che Serge sempli-cemente non riceve, perché Rosalie fa in modo che non gli arrivino,e non perché per lui è completamente diverso.

Quando finii di mettere in ordine la posta era, in fondo, moltomeno terribile e quasi senza destini. Avevo voglia di chiamare Meyer–Bromberger e scusarmi per il mio sfogo, ma poi mi venne in menteche un giorno avrei potuto separarmi da lui, in effetti.

Squillò il telefono. Lo lasciai squillare, perché per oggi le telefo-nate anonime mi erano bastate, anche se oggigiorno le telefonateanonime sono una cosa normale; ma sulla segreteria stava lasciandoil messaggio qualcuno che si era presentato con il cognome, e alzaila cornetta. Era un uomo, e voleva parlare con Serge.

Mio marito non c’è, dissi, e quello rimase un po’ indeciso se direa me quello che avrebbe voluto dire a Serge.

Chiese: quando torna?, e io dissi: presumibilmente lunedì mattina.Potevo dargli il numero dell’hotel di Serge?, chiese.Se qualcuno chiede a Serge se può dargli il mio numero di tele-

fono, Serge non lo dà mai, e dice che gli dispiace molto, e tutte levolte che qualcuno mi chiede se posso dargli il numero dell’hotel diSerge, penso che anch’io dovrei fare così, ma poi chiedo sempre: diche si tratta, prego? L’uomo al telefono si fermò a pensare se la cosaera così importante da non poter attendere lunedì e poi decise.

Si tratta del fatto che, disse, come lei saprà suo marito è in contattocon il signor Brinkmann dell’immobile Granstein di Leverkusen, e ilsignor Brinkmann si è rivolto all’agenzia immobiliare Oliver Campepregandola di concludere le ulteriori trattative, poiché lui, per que-stioni urgenti, a breve… Ascolti, dissi io, per quanto ne so mio ma-rito non è in contatto con nessuna agenzia immobiliare e nessunsignor Brinkmann da nessuna parte, temo abbia sbagliato numero.

Me lo ero immaginato, disse l’uomo al telefono, così lentamenteche mi sembrò strano. Be’, allora scusi e buonasera.

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Visto che aveva detto buonasera guardai l’orologio e mi accorsiche era effettivamente sera, anche se non era affatto buona.Venivagiù a catinelle, e pensai di chiamare da Bine e far dire a Simmy diprendere l’autobus, al ritorno. La bicicletta poteva passare a ripren-derla l’indomani; ma era chiaro che Simmy, piuttosto che prenderel’autobus, mi avrebbe fatto dire di non esagerare con le mie ap-prensioni e quindi lasciai stare, perché le apprensioni esagerate sonol’ultima cosa che Simmy sopporta, da quando ha compiuto dodicianni. Invece mi misi alla finestra e cominciai a guardare la pioggiache cadeva.

Quando ero piccola amavo la pioggia. Quando pioveva mi sen-tivo a casa, appoggiavo la testa al vetro della finestra e cercavo dicapire, osservando i vetri dei lampioni, se magari di lì a poco nonavrebbe cominciato a piovere un po’ più forte, a piovere per bene epreferibilmente per sempre, e a un certo punto la pioggia si facevapiù sottile e poi ancora più sottile, e poi piovigginava solo, e io ri-manevo delusa.

Ormai la pioggia era solo bagnata e io avevo paura che gli au-tomobilisti, con la pioggia, sarebbero stati ancora più impazientie irritabili del solito, dopo una giornata di lavoro, e avevo paurache Simmy non si fosse ancora ricordata di cambiare la lampadinaposteriore della bicicletta, e quando guardai nell’armadietto dellescarpe per controllare se il pacchetto delle lampadine fosse ancorachiuso, era ancora chiuso, mentre le cateratte del cielo si aprivanosempre più, minuto dopo minuto. Spensi il computer e accesi latelevisione per spegnerla immediatamente dopo, perché nelle noti-zie locali si parlava di un incidente d’autobus; l’autobus era di ri-torno da una gita scolastica, e non volevo sapere come continuavala storia.

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Effettivamente è singolare, come si riesca a prendersi in giro dasoli. Quando sono in viaggio non ho mai paura che accada qualcosaa Simmy, non so neanche se piove o non piove, e di certo non so selei è in giro in bicicletta; non so niente, tranne che Serge le dà unbacio della buonanotte da parte mia e le dice che io chiamerò piùtardi, quando lei già dorme da un pezzo. E quando dopo chiamo, leidorme, e Serge mi dice com’è andata la giornata, chi ha chiamato eche Simmy dorme. Se Serge è in viaggio, me lo dice Jolanda cheSimmy dorme, e io non chiedo mai se è andata in bici sotto la piog-gia, anche se di certo a volte piove mentre io sono via, e Simmy dicerto è andata in bici da qualche parte; lei odia prendere l’autobus,perché nel sottopassaggio per la fermata dell’autobus c’è puzza egli uomini che vanno al chiosco ci pisciano e schiamazzano e a voltequalcuno vomita contro il muro e lei deve tapparsi il naso quandopassa lì sotto, cosa che quindi evita con tutte le sue forze. E quindidi certo Simmy prende la bici anche quando Serge o Jolanda le di-cono che sarebbe meglio che prendesse l’autobus, e io non pensomai a cosa le può succedere, ma adesso, qui, alla finestra, ci pensoin continuazione e mi vedo la scena davanti agli occhi, con gli au-tomobilisti nervosi che la superano mentre lei riesce a malapena arimanere in sella nelle pozzanghere, e tutto questo poco prima dellesei e mezza nel traffico più totale.

Il vetro della finestra si era fatto caldo, a furia di tenerci la fronteappoggiata, quando mi venne in mente che con Serge faccio più omeno la stessa cosa: effettivamente non avevo mai nessuna paura ri-spetto a Serge, quando era via, anche se stasera poteva succederglila stessa cosa che era successa a me ad Amburgo, e i suoi musicistipotrebbero non essere lì a salvarlo se qualcuno tra il pubblico avessevoluto uccidere Serge. E in fondo perché qualcuno dovrebbe sfo-gare la propria rabbia uccidendo me e non può capitare che vo-gliano uccidere Serge? Per questa gente è del tutto indifferentefinire i propri giorni in prigione, sono dei fanatici e molto proba-

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bilmente sono confusi dal mondo; e in fondo non è che debba perforza essere che uno vuole ammazzare Serge, potrebbe anche essereche lo picchino per sbaglio nel bar dell’hotel, perché magari lo scam-biano semplicemente per qualcun altro, per esempio per questo tizioche vuole comprare il terreno di Granstein dal tale Brinkmann. Ma-gari è lo stesso Brinkmann a uccidere Serge per sbaglio, nel bar del-l’hotel, perché il sostituto di Serge non si lascia fregare da lui. E poiBrinkmann non aveva questioni importanti da risolvere? Quando si hafretta in una situazione d’urgenza, spesso si è in albergo. Telefonai.

Sta’ attento, dissi. Forse suonò un po’ minaccioso e brusco, e Sergeandava di fretta. Naturale che fosse di fretta, e che non avesse finitodi vestirsi, e inoltre non ci telefoniamo mai prima, ma solo dopo, allafine, e quindi fu un po’ impaziente, perché non avevo nessun motivoper chiamare e però avevo chiamato lo stesso, e perché non volevoraccontargli che Simmy era sotto la pioggia battente e probabilmentesenza luce posteriore e che forse era stata investita da uno qualunquedei mostri alla guida il venerdì pomeriggio, e dissi: ha chiamato qual-cuno per te, nel tardo pomeriggio, per un terreno a Leverkusen.

E quindi?, disse Serge, e io dissi: gli ho detto che aveva sbagliatonumero.

Serge disse: e mi chiami per questo, ma amore!Allora, feci io in fretta: piove ancora a Pamplona?, ma Serge non

aveva ancora guardato fuori dalla finestra, e di sotto aspettava il suotaxi, questo lo sapeva anche senza guardare dalla finestra, e ovvia-mente, quindi, andava di fretta.

Sta’ attento, dissi ancora e riuscii a sentire che scuoteva la testa.A dopo.

Dopo la morte di Eddie avevo pensato che Serge non ce l’avrebbefatta, e per un po’ di tempo sembrò che avessi ragione. Simmy eraancora piccola, e finché un bambino è ancora piccolo, sua madre

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non può permettersi di avere paura, per nessuna ragione al mondo,e così facevo finta di non aver paura, ma invece ovviamente ne avevo,un po’ per Simmy, perché era piccola, metteva i denti e a volte avevala febbre, e un sacco per Serge, perché pensavo che non ce l’avrebbefatta. Per me non avevo paura, perché al tempo sapevo già che avolte le sfere rotolano all’insù. Succede di rado, ma succede. PoiSimmy è cresciuta, e Serge ce l’ha fatta. Lo penso ancora, che lesfere possano rotolare all’insù, ma succede sempre più di rado, etemo che un giorno forse non succederà più, e quando ci penso, miviene paura, tutta la paura che non avevo quando Simmy era piccola,perché al tempo la paura era qualcosa di diverso.

A volte ho timore anche che un giorno tutte le sfere, senza alcunosforzo, rotolino all’insù, semplicemente perché qualcuno che pensache le sfere possano rotolare all’insù riesce a farle rotolare all’insù, equesto sarebbe un errore madornale, perché allora non sarebbe più cosìimportante che le sfere possono rotolare all’insù, anzi dovrebbero con-tinuare a far finta di poter rotolare solo all’ingiù, di modo che non glisi imputi con troppa leggerezza la capacità di rotolare anche all’in-verso, perché il cielo attrae la terra, e la terra non può sfuggirgli.

Simmy arrivò di buonumore e tra l’altro per niente bagnata, per-ché la mamma di Bine l’aveva portata a casa in macchina. Avevaanche mangiato. Torta di uova e spinaci.

Simmy aveva un suo modo tutto particolare di porre l’accento su“torta di uova e spinaci” in modo che la frase si trasformasse in unadomanda: e perché tu non la fai mai, la torta di uova e spinaci?

Tutte le persone che da piccole hanno dovuto gustare forzatamentela torta di uova e spinaci, dissi io, sembrano ubbidire a un’oscura leggeche induce i loro figli a chiedere sempre la torta di uova e spinaci.Ma Simmy aveva posto la domanda solo in maniera retorica, e co-munque non le interessava per niente discutere di perle di saggezza

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quotidiana, preferiva andare a vedere la trasmissione sui dieci mi-gliori spot televisivi. Io invece mi misi a guardare la macchia chela mia fronte aveva lasciato sul vetro della finestra.

Durante le pubblicità disse: non conosco nessuno al mondo chebeve tanta Coca–Cola quanto noi, e non abbiamo ancora vintonulla. Non è giusto, no?

Dissi: perché, cosa c’è da vincere?, e lei disse: se ti dice male, Di-sneyland.

A cui posso rinunciare, dissi, e lei disse: oppure un viaggio in eli-cottero nel Grand Canyon, o… e squillò il telefono.

Non era un bel suono. Di solito il telefono squilla e basta, e a voltesi ha un sussulto, perché si stava facendo qualcosa o magari si èconcentrati su altro e non ci si aspetta il trillo, ma a volte si sente giàdal trillo che c’è qualcosa che non va.

Lascia suonare, dissi io, ma Simmy aveva già risposto. Hanno chiuso, fece lei, riattaccò e si era già dimenticata che altro

si poteva vincere a parte l’elicottero e il Grand Canyon, perché nelfrattempo lo spot era finito. Quando cominciò il telegiornale, Simmyaccese il registratore, si mise le cuffie, prese Harry Potter e sparì. Lasua voce, però, si faceva sentire ogni tanto, quando cantava un passodi una canzone, e si faceva tremendamente acuta, perché è abba-stanza più facile cantare a cappella, piuttosto che con un paio di cuf-fie nelle orecchie.

Conosci quel programma, Chi diventa milionario?, o qualcosacosì?, urlò all’improvviso.

Le urlai di rimando: non urlare così, e si tolse le cuffie.Conosci Chi vuol essere milionario?, chiese di nuovo con il suo

tono normale. Dissi: me lo hai appena chiesto; no, non lo conosco, ma conosco

il film Come sposare un milionario, tu lo conosci?

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No, disse lei, e io dissi: è con Marilyn Monroe.Ahhhh, fece Simmy, quella lì.Ai bambini non piace il fatto che il mondo sia esistito da prima

che nascessero. E così mi spiegò come si diventa milionari. Ti segnali per la trasmissione, semplicemente, e, se ti chiamano,

hai già in tasca qualcosa come diecimila marchi. E come fai?, feci io, e Simmy, che aveva visto la trasmissione da

Bine mentre mangiava la torta di uova e spinaci, disse: be’, almenodov’è la Casa Bianca lo saprai.

Più o meno, dissi io, e lei si fermò un attimo a pensare se la stavoprendendo in giro, e poi disse: dài, e io chiesi come si faceva ad averegli altri novecentonovantamila.

È una scemenza, disse lei, e spiegò che lei stessa non avrebbe avutonessun problema a diventare milionaria oggi stesso, se le fosse statadata l’occasione, e la concorrente in trasmissione era diventata anchelei milionaria, anche se non sapeva che l’acido ascorbico è la stessacosa della vitamina C, ma lì qualcuno l’aveva aiutata.

E quindi tu sapevi che l’acido ascorbico è la vitamina C, dissi io,e Simmy disse: io no, ma la mamma di Bine sì, e mi avrebbe potutoaiutare. O magari tu?

Io dissi: vuoi dire che chi non prepara la torta di spinaci e uova non sa cosa siano le vitamine?

Simmy disse: non si mai. Penso che andrò a letto. Làvati i denti,dissi io, e lei emise un gemito.

Ok.

Quando Serge è via, il tempo dalle nove a mezzanotte appartienesolo a me. Se ho fortuna, è esattamente il momento in cui capiscoche le sfere rotolano all’insù.

Lanciai uno sguardo alla scrivania, su cui la posta si era ammuc-

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chiata sopra un insieme scomposto di carte a cui adesso non volevopensare, perché già alla luce del giorno erano fastidiose. Lì sottoc’era anche un libro iniziato su Ingrid Bergman, del quale non miricordavo neanche come fosse finito lì. Quando mi guardavo in-torno, sugli scaffali, c’erano libri ovunque, in piedi o stesi su unlato, di cui non ricordavo come fossero arrivati in quel dato posto.Per la maggior parte non li avevo neanche iniziati, al contrario diquello su Ingrid Bergman, che però non avevo finito, perché ladonna che lo aveva scritto diceva sempre Ingrid invece di IngridBergman, e già che le dava del tu, le diceva tutto quello che avevasbagliato nella vita e nella carriera, e cosa lei, la donna che avevascritto il libro, non avrebbe mai sbagliato, perché sapeva comevanno le cose. Soprattutto sapeva quello che da vent’anni tutte ledonne sanno, e cioè che, in quanto donna, non bisogna lasciarsi trat-tare come una “vacca d’oro”, e lasciarsi spremere, confondendoquesto con l’amore. La frase con la vacca e lo spremere era sullapagina lasciata aperta, la parola “vacca” l’avevo cerchiata con unospesso tratto di matita, e il cerchio mi faceva pensare che propriosulla vacca avessi perso definitivamente la pazienza e la voglia dileggere. Misi via il libro e mi misi a pensare a cosa avrei dovutofare con gli altri libri, che stavano lì da un po’ di tempo e in cui siparlava di vacche e porcherie del genere.

Una volta avevo chiesto a Meyer–Bromberger cosa si dovesse farecon questo tipo di libri, e lui aveva detto che i suoi colleghi, per lopiù, li portano alle librerie antiquarie, e io avevo detto: ma hanno an-cora la plastica e sono nuovi.

E allora?, aveva risposto lui. Li può anche usare come materialeisolante, nel caso voglia costruire una casa. I libri isolano che èuna meraviglia. È vero, certo, che prendono anche fuoco che è unpiacere.

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