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LOUISA MAY ALCOTT I RAGAZZI DI JO

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LOUISA MAY ALCOTT

I RAGAZZI DI JO

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Capitolo primo Dieci anni dopo – Se qualcuno mi avesse detto quali straordinari

cambiamenti ci sarebbero stati qui, in dieci anni, non ci avrei creduto, – disse la signora Jo alla signora Meg mentre sedevano sotto il portico di Plumfield un giorno d’estate, guardandosi intorno piene di soddisfazione e di orgoglio.

- Questa è la magia che i soldi e il cuore generoso possono creare. Sono sicura che il signor Laurence non potrebbe avere monumento più nobile del collegio che ha così generosamente lasciato in eredità; e una casa come questa, finché esisterà, manterrà sempre viva la memoria di zia March, – rispose la signora Meg sempre contenta di lodare gli assenti.

- Credevamo alle fate, ti ricordi? E pensavamo a che cosa avremmo chiesto se avessimo potuto vedere esauditi tre nostri desideri. Non sembra anche a te che il mio si sia davvero avverato finalmente? Ho il danaro, la fama e un sacco di lavoro che amo fare, – disse la signora Jo, passandosi distrattamente le mani fra i capelli ed arruffandoli come faceva sempre quand’era una ragazza.

- Anch’io sono stata esaudita e anche Amy. Se la mamma, John e Beth fossero qui, sarebbe perfetto, – soggiunse con un commosso tremolio nella voce perché il posto della mamma era vuoto, ora.

Jo mise la mano su quella della sorella ed entrambe rimasero a sedere silenziose, guardando la scena dinanzi a loro, mentre i pensieri lieti si susseguivano a quelli tristi.

Certo si sarebbe detto che la magia si fosse data da fare, tramutando la quieta Plumfield in un piccolo mondo laborioso. La casa era più ospitale che mai con la facciata ridipinta, le ali di nuova costruzione, un prato e un giardino ben tenuti ed un’aria di prosperità che certo mancava quando vi schiamazzavano ragazzi esuberanti e per i Bhaer era duro far quadrare i conti. Sulla collina da cui un tempo venivano fatti volare gli aquiloni si ergeva ora il bel collegio che il generoso lascito del signor Laurence aveva permesso di costruire. Studenti indaffarati facevano avanti e indietro per i sentieri battuti una volta da piedi di bimbi, e molti giovani di ambo i

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sessi usufruivano di quei vantaggi che il benessere, la saggezza e la benevolenza offrivano loro.

Subito all’entrata di Plumfield, tra gli alberi, c’era una graziosa casetta, marrone, come la «Piccionaia», e sui declivi verdi volti a ponente splendeva al sole la casa di Laurie con le sue bianche colonne. Infatti, quando la rapida crescita della città aveva stretto la vecchia dimora tra tante altre case rovinando il nido di Meg, e aveva osato persino costruire una fabbrica di saponi sotto il naso sdegnoso del signor Laurence, i nostri amici erano emigrati a Plumfield e da quel momento avevano avuto inizio grandi cambiamenti.

C’erano quelli piacevoli: la perdita delle persone care era stata mitigata dalle benedizioni che, partendo, avevano ricevuto. Così tutto prosperava nella piccola comunità e il direttore e il cappellano del collegio, il signor Bhaer ed il signor March, vedevano realizzato il sogno che avevano a lungo accarezzato. Le tre sorelle si dividevano i compiti per la cura dei giovani studenti, ognuna secondo le proprie inclinazioni. Meg era la materna amica delle ragazze, Jo la confidente e l’avvocato difensore di tutti e Amy la generosità in persona, che aiutava i più bisognosi e intratteneva tutti con grande cordialità. Non c’era da meravigliarsi se la sua casa era soprannominata «Monte Parnaso», ricolma com’era di quella musica, bellezza e cultura a cui tanto ambiscono i cuori dei giovani.

I primi dodici ragazzi avevano ormai percorso strade diverse, eppure tutti ricordavano la vecchia Plumfield e tornavano da ogni parte del globo per raccontare le esperienze fatte, per rievocare il passato, per affrontare con rinnovato coraggio le prove della vita: poiché un tuffo nei giorni felici risolleva lo spirito e infonde nuove energie. Poche parole basteranno a tratteggiare la storia di ognuno di loro, e poi potremo proseguire con un nuovo capitolo delle loro vite.

Franz, ormai ventiseienne, stava ad Amburgo presso un suo parente che faceva il mercante e se la passava bene. Emil era il ragazzo più allegro che mai avesse «solcato i mari»; lo zio, credendo di fargli odiare la vita avventurosa, lo aveva spedito a fare un lungo viaggio, da cui invece Emil era tornato così entusiasta che alla fine lo zio gli aveva dato modo di restare su

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una nave, poiché era chiaro che quella era la sua vocazione. Ora il ragazzo era davvero felice. Dan non aveva ancora una fissa dimora, poiché, dopo le ricerche geologiche, nel Sud-America, aveva tentato l’allevamento del bestiame in Australia ed ora, in California, cercava giacimenti minerari. Nat studiava musica al Conservatorio, con la prospettiva di trascorrere un anno o due in Germania per perfezionarsi. Tom cercava di entusiasmarsi agli studi di medicina. Jack che lavorava con il padre, si dava da fare per diventare molto ricco. Dolly, in collegio, studiava legge assieme a Stuffy e Ned. Il povero Dick era morto, e così Bill, ma nessuno era riuscito a portare un vero lutto, al pensiero che essi nella vita non avrebbero mai potuto essere felici per le sofferenze che pativano nell’anima e nel corpo.

Teddy e Rob erano soprannominati «il leone e l’agnello»: il primo, infatti, era esuberante come il re degli animali ed il secondo tenero e gentile come un agnellino. La signora Jo lo chiamava «figlia mia» e diceva che era molto arrendevole sebbene, sotto quella natura docile e i modi gentili, si nascondesse un carattere risoluto. In Ted invece rivedeva se-stessa da giovane con tutti i propri capricci, i propri difetti e le proprie aspirazioni. Con i suoi riccioli ribelli, le gambe e le braccia troppo lunghe, il suo vocione e la sua perenne vivacità, Ted era una figura inconfondibile a Plumfield. Aveva i suoi periodi bui e ogni settimana sprofondava nella «Palude della disperazione» da cui lo salvavano Rob o Jo che sapevano bene quando era meglio scuoterlo e quando, invece, bisognava lasciarlo tranquillo. Era la croce e il tormento della sua buona madre; per la sua età era una ragazzo sveglio e pieno di talento, e la madre si domandava cosa sarebbe mai diventato quel figlio così straordinario.

Demi aveva frequentato con onore l’università e la signora lo avrebbe voluto ministro di Dio, immaginandoselo già a predicare ai fedeli e profetizzando per lui una vita utile ed onorata votata alla salvezza delle anime; ma il giovane che ormai lei chiamava John, le dichiarò che non era nei suoi progetti frequentare la scuola di teologia perché ne aveva abbastanza dei libri e voleva conoscere di più il mondo, e causando un grosso dispiacere alla cara donna decidendo di

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dedicarsi alla carriera giornalistica. Fu davvero un brutto colpo, ma si rassegnò ben sapendo che i giovani devono fare da soli le proprie scelte e che l’esperienza è la miglior maestra di vita. Così, pur sperando un giorno di vederlo predicare dal pulpito, lasciò che seguisse le proprie inclinazioni. La zia Jo si infuriò quando seppe che nella loro famiglia ci sarebbe stato un cronista e chiamò il nipote «Jenkins». Era contenta delle aspirazioni letterarie del giovane, ma, come vedremo, aveva buoni motivi per detestare quella specie di Paul Prys1. Demi, aveva dunque le sue idee e continuava per la sua strada senza curarsi delle ansie della mamma e degli cherzi dei compagni. Lo zio Teddy, citandogli Dickens ed altri scrittori celebri, che avevano cominciato come cronisti, lo incoraggiava e gli pronosticava una splendida carriera.

Le ragazze erano tutte graziose, dei fiori; Daisy, dolce e mite, era il conforto e la compagna della mamma. Josie, a quattordici anni, era un tipino molto originale, piena di inventiva e di stranezze, l’ultima delle quali era la passione per il teatro che divertiva e, allo stesso tempo, preoccupava la madre e la sorella. Bess era diventata una ragazza alta, bella, a cui si potevano dare molti più anni di quanti ne avesse. Aveva conservato i modi aggraziati e i gusti raffinati che le avevano guadagnato il nome di Principessina, dimostrando di aver ereditato le qualità paterne e materne, peraltro accentuate da ciò che la ricchezza e l’affetto dei suoi cari le davano. Ma l’orgoglio della comunità era Nan la peste; infatti, come molti bambini troppo vivaci e ribelli, stava diventando una donna piena di quella energia che esplode quando la persona ha trovato il campo più adatto per esprimersi. A sedici anni aveva cominciato a studiare medicina ed a venti era già a buon punto: le università e gli ospedali, grazie ad altre donne intelligenti, le erano aperti. Mai era venuta meno alla promessa fatta nel periodo dell’infanzia alla sconcertata Daisy che l’ascoltava: «Non ho nessuna voglia di avere una casa che mi dia un sacco di fastidi. Avrò invece un laboratorio con tante bottiglie e cassetti e polverine e me ne andrò in giro con cavallo e carrozza a curare i malati». Ora, fattasi donna, il lavoro che aveva sognato si era realizzato e le procurava una tal gioia che nulla avrebbe potuto distoglierla da esso. Molti

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bravi ragazzi avevano tentato di farle cambiare idea offrendole come Daisy diceva: «Una bella casetta e una famigliola da accudire», ma Nan rideva delle loro dichiarazioni d’amore e metteva in fuga gli adoratori imponendo loro di mostrare la lingua che pronunciava quelle dolci parole o tastando, con aria professionale, il polso di quella mano che sperava di essere accettata. Così tutti si erano allontanati tranne uno, il più cocciuto degli altri, un ammiratore la cui devozione era inestinguibile.

Era Tom che fin dall’infanzia amava la ragazza quanto lei amava le sue polverine e le dava una prova di fedeltà che la commuoveva molto. Fu dunque solo per amore che lui si iscrisse a medicina, per cui non si sentiva affatto portato, dato che era nato per il commercio. Nonostante tutto però Nan non si lasciava commuovere. Tom studiava e faceva la corte alla ragazza, sperando, in tutta umiltà, di non uccidere qualcuno il giorno in cui gli fosse stato concesso di esercitare la professione. Comunque erano ottimi amici e rallegravano i loro compagni con le vicende di quello strano tira e molla.

Entrambi stavano arrivando a Plumfield proprio nel pomeriggio in cui la signora. Meg e la signora Jo discorrevano sotto il portico. Non assieme, poiché Nan percorreva di buon passo la strada maestra, riflettendo su un caso interessante, mentre Tom la seguiva mettendo in atto una delle sue tecniche di abbordaggio: cercare di raggiungerla appena oltrepassati i sobborghi della città e facendolo sembrare un incontro casuale.

Nan era una bella ragazza dal colorito fresco, gli occhi chiari, il sorriso aperto e quello sguardo sicuro che hanno le giovani con uno scopo nella vita. Indossava un abito semplice e di buon gusto, camminando disinvolta, piena di quel vigore, salute e giovinezza che le sue spalle forti e le sue braccia armoniose denotavano. I pochi passanti che la incrociavano si voltavano a guardarla come se, in quella bella giornata, facesse piacere osservare una giovane che, felice e nel fiore degli anni, camminava per strada; e dello stesso parere doveva essere il giovane dal volto congestionato, che la seguiva sudato, impaziente e a testa scoperta.

Ad un tratto, un dolce «Salve» fu portato dal vento ed allora Nan, che si era fermata, disse affabilmente facendo credere di

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essere sorpresa: – Oh, Tom, sei tu? – Così sembra! Ho pensato che avresti fatto una passeggiata in campagna, oggi! – e il volto aperto di Tom si illuminò di piacere.

- Oh, lo sapevi. E come va la gola? – chiese Nan con il tono professionale che usava sempre per calmare i bollenti spiriti.

- La gola? Ah già… Sì, ora ricordo. Va bene; quella medicina ha avuto un effetto prodigioso. Non dirò mai più che l’omeopatia è da ciarlatani.

- Questa volta sei stato tu ad essere truffato grazie alle false pillole che ti ho dato; se il latte o lo zucchero curano tanto bene la difterite, ne terrò davvero conto. Oh Tom, Tom, non smetterai proprio mai di fare il bambino?

- Nan, e tu non la finirai mai di aver la meglio su di me? – Risero di gusto, come nei tempi passati che rivivevano quando tornavano a Plumfield.

- Sapevo che non ti avrei rivista per una settimana se non fossi venuto a trovarti in laboratorio. Sei tanto occupata che non riesco mai a parlarti, – spiegò Tom.

- Dovresti lavorare anche tu, Tom; credimi, se non ti dedichi seriamente agli studi, non passerai gli esami, – sentenziò Nan, severa.

- Ne ho abbastanza di loro, – rispose Tom con un’aria disgustata. – Bisogna distrarsi un po’ dopo avere dissezionato cadaveri tutto il giorno. Io non ce la faccio più, anche se certa gente, invece, sembra divertirsi un mondo.

- Allora perché non lasci perdere e non fai quello che più ti va a genio? Io l’ho sempre detto che era una sciocchezza, – disse Nan, dai cui occhi attenti traspariva una certa ansia per la salute dell’interlocutore, il cui viso era rosso come una mela.

- Tu sai perché ho scelto medicina e perché continuerò anche se dovessi morirne… Non sembro delicato, è vero, ma sento così male al cuore che prima o poi finirò nella fossa. Perché c’è un solo dottore al mondo che potrebbe curarmi e non vuole saperne.

Tom aveva un’aria pensosamente rassegnata, allo stesso tempo comica e patetica; parlava seriamente e continuava a battere quel tasto senza che da Nan gli venissero incoraggiamenti.

Nan si accigliò, ma ci era abituata e sapeva come prenderlo: –

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Il dottore lo sta curando nell’unico modo possibile, putroppo, però, non c’è mai stato al mondo un paziente così testardo. Sei andato a quel ballo, come ti avevo consigliato?

- Sì. - Ti sei dedicato alla graziosa signorina West? - Ho ballato con lei per tutta la serata. - E lei non ha toccato quel tuo cuore così sensibile? - Per niente. Una volta le ho sbadigliato in faccia, ho

dimenticato di offrirle un rinfresco e ho tirato un respiro di sollievo quando l’ho riportata a sua madre.

- Ripeti la cura più spesso che puoi e annota i sintomi; sono certa che tra breve sarai pazzo di lei.

- Mai! Sono certo che questa cura non fa per me. - Vedremo! E fai come ti dico! – esclamò con voce severa. - Sì, dottore, – rispose bonariamente Tom. Per un attimo regnò il silenzio, poi, come se la disputa fosse

stata messa da parte per lasciar spazio ai ricordi di un tempo, risvegliati dalla vista di cose care, Nan disse ad un tratto: – Quanto ci siamo divertiti in questo bosco! Ricordi quando sei caduto dal noce e per poco non ti rompevi l’osso del collo?

- Se me ne ricordo! E quando mi avete immerso nell’assenzio fino a quando divenni di un bel colore mogano e la zia si rammaricava per la mia giacca rovinata! – disse Tom ridendo, ridiventato ragazzo per un momento.

- E quando hai appiccato il fuoco alla casa? - E tu sei corsa via a prendere la tua scatola delle bende? - Dici ancora «tuoni e tartarughe»? - E ti chiamano ancora «Pazzerella»? - Daisy sì… cara Daisy! È una settimana che non la vedo. Ho

visto Demi stamattina e mi ha detto che fa la massaia da mamma Bhaer.

- Lo fa sempre quando zia Jo è indaffarata; Daisy è una massaia modello: dovresti lasciarti guidare da lei se non riesci a trovare la tua strada; sarebbe meglio che pensare all’amore.

- Nat mi spaccherebbe il violino in testa se le proponessi una cosa simile! No, grazie. Un altro nome è inciso nel mio cuore, in modo indelebile come l’ancora blu tatuata sul mio braccio. «Speranza» è il mio motto, «Non cedo» il tuo: vedremo chi la spunterà.

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- Voi ragazzi pensate si possa stare assieme come facevamo da bambini, ma non può più essere così, – disse Nan, poi cambiando improvvisamente argomento: – Com’è bello da qui il Parnaso!

- E una bella casa, ma preferisco il vecchio Plum! Come sgranerebbe gli occhi la zia March se potesse vedere tutti i cambiamenti che ci sono stati! – disse Tom che con Nan si era fermato al cancello per guardare ancora una volta il bel paesaggio che si estendeva davanti a loro.

Un grido improvviso li fece trasalire ed un ragazzo, alto e coi capelli biondi ed arruffati, venne verso di loro saltando come un canguro; e dietro di lui una esile ragazzina che si cacciò tra le siepi di biancospini ridendo allegramente. Era una bella creatura dai folti ricci neri, gli occhi luminosi ed un viso espressivo. Il cappello le pendeva sulla schiena, la gonna era rovinata a causa di tutti i ruscelli che aveva attraversato, degli alberi su cui si era arrampicata e dell’ultimo salto che aveva spiccato.

- Nan, tirami fuori da qui, per favore. E tu Tom, acciuffa Ted: mi ha preso il libro e devo averlo assolutamente, – invocò Josie per nulla stupita dall’improvvisa comparsa dei due.

Tom acciuffò subito il ladruncolo per il colletto, mentre Nan sollevava Josie dalla siepe e la rimetteva in piedi senza rivolgerle una parola di rimprovero, perché essendo stata tanto vivace da bambina si sentiva molto indulgente verso gli altri.

- Che c’è, cara? – domandò, riunendo con uno spillo lo strappo più lungo della gonna, mentre Josie si esaminava i graffi alle mani.

- Studiavo la mia parte sul salice e Ted si è avvicinato quatto quatto e mi ha levato dalle mani il libro con un bastoncino, così è caduto nel ruscello e prima che potessi scendere dall’albero, lui aveva preso il libro. Cattivo, dammelo subito o ti tirerà le orecchie! – esclamò Josie ridendo e strillando ad un tempo.

Ted, sfuggito a Tom, assunse un’aria sentimentale e, con uno sguardo languido alla ragazzina malconcia davanti a lui, attaccò un motivetto di Claude Melnotte2 con un tono estremamente divertente. Poi concluse, allegramente, con la frase: «Vi piace il quadro, amore?». Ed il quadro era lui, con le

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sue lunghe gambe intrecciate e il viso atteggiato in una smorfia orribile.

Il rumore degli applausi mise fine a quegli scherzi e i giovani risalirono assieme la strada come ai tempi in cui Tom conduceva un tiro a quattro di cui il miglior cavallo era Nan. Rossi, allegri e senza fiato salutarono le signore e sedettero sui gradini per riposare; la zia Meg si diede subito a rammendare gli strappi della figlia, mentre Jo accarezzava la criniera ribelle del suo leoncino biondo e gli prendeva il libro di mano. Apparve Daisy a salutare gli amici e si cominciò a conversare.

- Ci sono pasticcini per il tè e sarà meglio per voi che vi tratteniate ad assaggiarli. Daisy è bravissima, – disse Ted, ospitale.

- Ted è un buon giudice. Se n’è mangiati nove l’ultima volta. Ecco perché sei tanto grasso, – aggiunse Josie guardando di sottecchi il cugino che era magro come un’acciuga.

- Debbo andare a trovare Lucy Dove; ha un patereccio e sarà bene inciderlo. Prenderò il tè all’Università, – annunciò Nan e tastò in tasca per assicurarsi che ci fosse l’astuccio degli strumenti.

- Bene, vengo anch’io. Tom Merryweather ha un orzaiolo e gli ho promesso di curarlo: lui risparmierà la parcella del medico e io farò un po’ di pratica… Devo ancora fare molta pratica, – disse Tom per il quale ogni pretesto era buono per star vicino al suo idolo.

- Zitti, a Daisy non piace questo vocabolario da chirurghi. Per noi è più adatto l’argomento delle ciambelle, – disse Ted e rise contento pregustandosi i dolciumi.

- Nessuna nuova del Commodoro? – chiese Tom. - Sta tornando a casa ed anche Dan spera di essere qui

presto. Ho un gran desiderio di vedere i miei ragazzi riuniti; ho chiesto ai nostri giramondo di venire a casa per il Giorno del Ringraziamento se non prima, – rispose Jo, tutta sorridente all’idea.

- Verranno tutti se potranno, siatene certa. Anche Jack rinuncerà volentieri a qualche dollaro per non perdere neanche uno dei nostri vecchi pranzi, – disse Tom ridendo.

- Abbiamo ingrassato un bel tacchino per la festa; per ora io non gli do la caccia, anzi lo nutro per bene. Si gonfia a vista

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d’occhio, quella benedetta bestiola! – disse Ted additando il volatile che razzolava nel campo vicino.

- Se Nat se ne va alla fine del mese, si dovrà organizzare una festicciola per salutarlo. Suppongo che il caro Chirper tornerà a casa come una specie di Ole Bull3,- disse Nan all’amica.

Le guance di Daisy si imporporarono e la mussola della camicetta si alzò ed abbassò per via di un bel respiro profondo.

- Lo zio Laurie dice che ha davvero del talento, – rispose tranquilla. – Dopo un periodo di pratica all’estero, potrà farsi qui una buona posizione anche se, forse, non diventerà mai famoso.

- I giovani raramente diventano come si vorrebbero, -disse Meg con un sospiro. – Perciò è inutile aspettarsi qualcosa da loro. Dovremo essere soddisfatte se dai nostri ragazzi verranno donne e uomini buoni, onesti; tuttavia è naturale che ci auguriamo che siano anche brillanti e pieni di successo nella vita.

- Assomigliano ai miei polli; quel bel galletto è il più stupido della covata e quello brutto là, dalle zampe lunghe lunghe è il re del cortile, tanto è sveglio, e canta che sveglierebbe i Sette Dormienti, mentre invece quello bello starnazza e si spaventa per un nonnulla. Voi vi burlate tutti di me, ma aspettate che io cresca e vedrete! – e così dicendo Ted aveva proprio l’aria del galletto dalle gambe troppo lunghe. I presenti risero di gusto della sua uscita.

- Vorrei che Dan si stabilisse in un posto fisso, come si dice «pietra mossa non fa muschio», e a venticinque anni Dan non ha un legame al mondo all’infuori di questo… -disse Meg accennando alla sorella.

- Anche Dan troverà il suo nido e l’esperienza è la miglior maestra: è ancora un po’ selvaggio, eppure ogni volta che torna a casa lo trovo migliorato. Perciò non perdo la fiducia che ho in lui. Può darsi che non faccia mai nulla di eccezionale né che si arricchisca, ma se il ragazzo ribelle diventerà un uomo onesto, io potrò dirmi soddisfatta, – disse la signora Jo che si ergeva sempre a difensore delle pecore nere del suo gregge.

- Brava, mamma! Prendi le parti di Dan che vale molto più dei vari Jack e Ned che si vantano di essere dei ricchi elegantoni. Vedrai se non farà qualcosa di cui potremo andare

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orgogliosi e per cui altri dovranno abbassare la cresta! – aggiunse Ted il cui affetto per «Danny» era rafforzato dalla sua ammirazione di ragazzo per l’uomo avventuroso e spavaldo.

- Lo spero davvero! Dan è il tipo da imprese eccezionali e gloriose come scalare il Cervino, buttarsi a capofitto nelle cascate del Niagara o trovare una gigantesca pepita. Questo è il suo modo di sfogare i bollori giovanili e forse vale più del nostro, – disse Tom, pensoso, che aveva ormai accumulato molta esperienza in quel genere di cose da quando si era dato alla medicina.

- Molto meglio! – esclamò Jo. – Preferirei di gran lunga mandare i miei ragazzi in giro per il mondo piuttosto che abbandonarli soli in una città piena di tentazioni con l’unica prospettiva di perderci in denaro, tempo e salute. Dan dovrà farsi da solo una strada e questo gli insegnerà ad essere coraggioso, paziente e fiducioso in se stesso. Non mi preoccupa quanto George e Dolly che frequentano l’Università e sono peggio di due bambini incapaci di badare a se stessi.

- Che ne è di John? Gira ancora in lungo e in largo per la città, come reporter e scrive articoli su tutto, dai sermoni agli incontri di boxe? – chiese Tom, il quale certo sentiva che quel genere di vita era più adatto per lui delle lezioni alla facoltà di medicina e del servizio all’ospedale.

- Demi è salvaguardato da tre cose: i buoni principi, i gusti raffinati ed una madre saggia. Non farà mai del male, lo so bene, e l’esperienza fatta in questo periodo gli sarà di grande utilità quando comincerà a scrivere, – sentenziò Jo in tono profetico. Era ansiosa di vedere trasformato in cigno qualcuno dei suoi anatroccoli.

- A proposito di Jenkins: eccolo che arriva! – esclamò Tom. Infatti un ragazzo dal viso sorridente e dagli occhi castani risaliva la strada sventolando in alto un giornale.

- Ecco il vostro «Evening Tattler»! Ultima edizione! Orribile delitto! Un cassiere di banca scappa col denaro! Una polveriera esplode! Gli studenti liceali fanno sciopero! -tuonò Ted, avvicinandosi al cugino con la grazia indolente di una giovane giraffa.

- Il Commodoro è in porto, taglierà la gomena e correrà qui, con il vento in poppa, non appena gli sarà possibile! -annunciò

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John sbagliando ad usare i termini nautici. Per un po’ tutti parlarono allo stesso tempo ed il giornale

passò di mano in mano in modo che tutti potessero vedere che la «Brenda» proveniente da Amburgo era giunta sana e salva in porto.

- Arriverà domani con la solita collezione di mostri marini e di storielle amene; l’ho visto io stesso allegro e abbronzato come un chicco di caffè. Ha fatto buon viaggio e, visto che il suo superiore ha una gamba rotta, spera di essere nominato capitano in seconda, – aggiunse John.

- Potessi rimettergliela a posto io! – esclamò Nan tra sé e sé e si stropicciò le mani con un gesto che le era familiare.

- Come sta Franz? – domandò la signora Jo. - Si sposerà tra poco. È una notizia importante per te, zia,

visto che lui è il primo a separarsi dal gregge. La fidanzata si chiama Ludmilla Heldegard Blumenthal. Ovviamente è un angelo: di buona famiglia, bene educata e graziosa. Il nostro amico vuole il consenso dello zio e solo dopo si sistemerà definitivamente e diventerà un felice ed onesto cittadino. Che Dio gli conceda una lunga vita!

- Sono proprio contenta: mi fa molto piacere che i miei ragazzi si sistemino, abbiano una buona moglie ed una bella casetta. Se tutto andrà bene, non avrò più da badare a Franz! – concluse la signora Jo e, soddisfatta, si stropicciò le mani. Era stanca e spesso le sembrava di essere una vera chioccia che abbia da tirare su una copiosa covata di pulcini e anitre.

- Anch’io sono contento per lui! – sospirò Tom, e guardando timido e di sottecchi Nan. – Un uomo ha bisogno della famiglia per sentirsi forte ed una ragazza ha il dovere di sposarsi il più presto possibile, non è vero, John?

- Sì, se ci sono in circolazione uomini a modo. La popolazione femminile è superiore a quella maschile, specialmente nel New England, il che è certo dovuto al nostro superiore grado di cultura, – rispose John che, appoggiato allo schienale della sedia di sua madre, raccontava, a bassa voce, ciò che aveva fatto quel giorno.

- È una vera provvidenza, miei cari; ci vogliono tre o quattro donne perché un uomo venga al mondo, ci resti e lo abbandoni. Siete creature che hanno bisogno di grandi cure, ragazzi, ed è

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una fortuna che le madri, le sorelle, le mogli, le figlie, amino il compito che si sono assunte, altrimenti non vivreste a lungo, – disse solennemente la signora Jo e tirò a sé un cestino colmo di calzini malridotti. Il buon professore rovinava ben presto i suoi indumenti e i figli, sotto questo aspetto, gli assomigliavano molto.

- Dato quanto abbiamo detto, le donne in eccesso se vorranno aver cura di questi poveri uomini, avranno il loro bel da fare. È questa una verità di cui ho conferma ogni giorno, perciò sono contenta che la mia professione farà di me una zitella, serena, utile agli altri ed indipendente.

L’enfasi posta da Nan sulla parola “zitella” inquietò Tom e fece ridere gli altri.

- Sono molto orgogliosa e soddisfatta di te, Nan, e spero che tu abbia successo nella vita. Il mondo ha bisogno di donne dedite agli altri come lo sei tu e talvolta io mi domando se non ho falsato la mia vocazione e se non avessi fatto meglio a restar sola… Senonchè il mio dovere sembrava spingermi verso questa strada, e io non me ne rammarico, – disse la signora Jo, stringendosi al seno una calza azzurra ridotta in brandelli.

- In quanto a me sono il primo a rallegrarmene. Che cosa avrei fatto senza la mia mammina? – disse Ted e abbracciò tanto forte la signora Jo che entrambi scomparvero dietro il giornale che il ragazzo, per qualche minuto, aveva letto con tutta la sua attenzione.

- Figlio mio, se ti lavassi un po’ più spesso le mani, le tue adorabili carezze sarebbero meno disastrose per il mio colletto inamidato. Ma non fa nulla, caro pasticcione! Meglio avere macchie d’erba che rinunciare alle tue coccole! – e la signora Jo emerse da quella breve eclisse con il volto sorridente nonostante che i capelli le si fossero impigliati nei bottoni della giacca di Ted e il colletto inamidato ora fosse tutto storto.

A questo punto Josie, che aveva studiato la parte tenendosi dall’altro lato dello spiazzo, cacciò un grido soffocato e declamò il monologo di Giulietta nella tomba con tale enfasi che i ragazzi applaudirono, Daisy rabbrividì e Nan mormorò: – È un’eccitazione troppo cervellotica per la sua età.

- Credo che ti dovrai abituare all’idea, Meg, perché questa

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ragazza è un’attrice nata. Noi non siamo mai arrivati a tanto, neppure nella «Maledizione della strega», – disse la signora Jo gettando un mazzo di calze variopinte ai piedi della nipotina che cadeva, in maniera aggraziata, sulla stuoia.

- È una sorta di punizione per me che ho avuta la passione del teatro da bambina. Ora capisco quali fossero le ansie di mia madre quando la supplicai di lasciarmi fare l’attrice. Non darò mai il mio consenso, tuttavia può darsi che debba rinunciare di nuovo alle mie speranze ed ai miei progetti.

C’era un tono di rimprovero nella voce della madre che indusse John a sollevare la sorella ed a ordinarle con voce ferma di «desistere da quelle sciocchezze in pubblico».

- Lasciami stare, Minion! Altrimenti reciterò «La sposa impazzita» con tutti gli «ah! oh!» di cui sono capace, – minacciò Josie, guardandolo come un gattino maltrattato.

Alzatasi in piedi, fece una bella riverenza e proclamò con voce solenne che «la vettura della signora Woffington stava aspettando»; poi discese le scale e voltò l’angolo tirandosi dietro, con sussiego, lo scialle scarlatto di Daisy.

- Non è uno spasso? Non potrei resistere in questo paese monotono se non ci fosse questa ragazzina a renderlo piacevole. Se dovesse perdere la sua vivacità sarei spacciato, bada perciò a non rovinarla, – disse Ted, aggrottando le sopracciglia, a John che stava scrivendo appunti stenografici sui gradini.

- Siete una bella coppia voi due e ci vuole una certa energia per guidarvi, ma mi piace così. Meg, Josie avrebbe dovuto essere mia figlia e Rob il tuo: così la tua casa sarebbe stata un paradiso e la mia un vero inferno Ora devo andare a comunicare la notizia a Laurie. Vieni con me, Meg, una passeggiatina ci farà bene, – e, ficcatosi in testa il cappello di paglia di Ted, la signora Jo se ne andò via in compagnia della sorella lasciando Daisy ad occuparsi delle ciambelle, Ted a placare gli ardori di Josie, e Tom e Nan a far passare ai loro pazienti un brutto quarto d’ora.

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Capitolo secondo Il Parnaso Il nome gli calzava a pennello e le Muse si trovavano certo in

casa quel giorno poiché i nuovi arrivati, che stavano risalendo il pendio, furono accolti da suoni e immagini degni veramente del Parnaso. Passando davanti ad una finestra aperta sbirciarono nella biblioteca dove presiedevano Clio, Calliope e Urania. Melpomene e Talia si divertivano nell’ingresso, dove alcuni giovani ballavano e provavano una commedia. Erato passeggiava in giardino con il suo innamorato e nella classe di musica Febo in persona dirigeva un coro armonioso.

Il nostro vecchio amico Laurie era diventato ormai un maturo Apollo, ma bello e spiritoso come sempre, che il tempo aveva trasformato da fanciullo bizzarro in uomo saggio. Le preoccupazioni e i dolori, così come gli agi e la felicità, avevano lasciato il segno su di lui: aveva assolto fedelmente il compito di realizzare i desideri del nonno. La prosperità si addice a quelli che meglio sbocciano al calore del sole; altri, invece, hanno bisogno dell’ombra e diventano più dolci se toccati dal gelo. Laurie apparteneva alla prima categoria così come Amy, perciò la vita era stata una specie poesia da quando si erano sposati. Una poesia che non era stata solo felice e armoniosa, ma seria, utile e ricca di quella bella generosità che può tanto quando il benessere e la saggezza si accompagnano all’amore per il prossimo.

La loro casa era bella e confortevole ma senza ostentazioni di sorta e qui, la coppia che amava l’arte, attirava e riceveva artisti di ogni tipo. Laurie poteva ora godersi la musica quanto voleva ed era un generoso mecenate per quei compositori che più erano graditi al suo cuore. Amy aveva protetti tra i giovani pittori, gli scultori, e la sua arte le era doppiamente cara ora che la figlia era divenuta abbastanza grande da condividerne con lei le fatiche e le gioie. Era una di quelle donne che sapevano essere spose fedeli e madri amorose, senza peraltro dover sacrificare il proprio talento naturale per il bene dei figli e per quello degli altri. Le sorelle sapevano sempre dove trovarla; così Jo andò difilato allo studio dove madre e figlia lavoravano assieme; Bess era intenta a scolpire il busto di un

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bambino mentre sua madre dava gli ultimi ritocchi a una bella testa del marito. Sembrava che il tempo si fosse fermato per Amy, perché la felicità l’aveva mantenuta giovane e la prosperità le aveva dato quella cultura necessaria ad una donna del suo rango. Era una donna composta, graziosa, che rivelava come la semplicità diventasse eleganza se accompagnata al buongusto nella scelta degli abiti e ad una certa grazia nel portarli. Qualcuno aveva detto di lei: – Non so mai che cosa indossi la signora Laurence, ma ho sempre l’impressione che sia la donna più elegante che c’è nella stanza.

Era evidente che adorava la figlia e ne aveva motivo, perché quella più giovane sé stessa era la bellezza in persona, quella bellezza a cui aveva tanto aspirato. Bess aveva ereditato la figura materna, così simile a quella della dea Diana, gli occhi azzurri, la pelle chiara, i capelli ricci e biondi che portava annodati in una pettinatura classica. Per di più, e questa era fonte di inesauribile felicità per Amy, Bess aveva il naso e la bocca del padre anche se con una nota più femminile. La graziosa semplicità di un grembiule le si addiceva a meraviglia, ed era assorta nel suo lavoro come ogni vero artista, quando la zia Jo entrò esclamando: – Mie care ragazze! Smettetela con quei pasticci di fango e ascoltatemi!

Le artiste posarono gli strumenti del mestiere ed accolsero cordialmente l’esuberante zia, sebbene in quel momento fossero preda dell’ispirazione e l’arrivo di Jo sciupasse quel prezioso momento. La conversazione era animatissima quando arrivò Laurie, chiamato da Meg; sedette tra le due sorelle e, con naturalezza, ascoltò molto interessato le notizie su Franz ed Emil.

- L’epidemia è scoppiata e farà strage nel nostro gregge: Jo, aspettati ogni sorta di avventure romantiche e sconsiderate. I tuoi ragazzi sono cresciuti e si getteranno a capofitto n un mare molto più burrascoso di quello che hai conosciuto fino ad oggi, – disse Laurie, divertendosi molto allo sguardo di Jo, misto di orgoglio ed apprensione.

- Lo so bene e spero che mi sarà concesso di aiutarli e condurli in porto. Sarà una tremenda responsabilità perche verranno senz’altro da me pretendendo che io risolva tutti i

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loro problemi di cuore. Nonostante tutto però mi fa piacere, e in quanto a Meg, è una tale inesauribile fonte di buoni sentimenti che freme alla prospettiva di occuparsi degli amori altrui, – rispose Jo che si sentiva abbastanza tranquilla poiché i suoi ragazzi, data la giovane età, erano per il momento al sicuro.

- Temo che non sarà entusiasta quando il nostro Nat comincerà a ronzare troppo vicino alla sua Daisy. Naturalmente avete idea di cosa significhi? Io sono il suo maestro di musica ed anche il suo confidente e vorrei proprio sapere che consiglio dovrò darle, – disse Laurie serio.

- Silenzio! Dimenticate che c’è la bambina! – avvertì Jo, ed accennò a Bessie che aveva ripreso il suo lavoro.

- Dio la benedica! E in piena Atene e non sente una parola di ciò che diciamo; piuttosto sarebbe ora che piantasse lì tutto e uscisse un po’. Su, cara, metti a dormire la tua statua e vai a fare una passeggiata. Zia Meg è in salotto, va’ da lei finché non arriviamo, e falle vedere le nuove illustrazioni, – aggiunse Laurie guardando la figura slanciata di sua figlia, così come Pigmalione avrebbe guardato Galatea, perché per lui era la più bella statua della casa.

- Subito, papà; solo, per piacere, dimmi se il mio lavoro va bene, – e Bess, obbediente, lasciò gli strumenti, dando un’occhiata al busto a cui lavorava.

- Figlia mia, la sincerità mi obbliga a dirti che una guancia è più paffuta dell’altra e che i riccioli, sulla fronte del bambino, assomigliano più a corna. A parte questi difetti, può proprio gareggiare con i Cherubini gorgheggianti di Raffaello e ne sono orgoglioso.

Laurie parlava in tono scherzoso, poiché i primi tentativi artistici di sua figlia gli ricordavano troppo quelli della stessa Amy perché potesse considerarli seriamente come faceva la mamma entusiasta.

- Tu vedi la bellezza solo nella musica, – rispose Bess e scosse il capo biondo che era una macchia luminosa e calda tra le fredde luci dello studio.

- Non è vero: vedo la bellezza in te, mia cara. E se tu non sei arte, che cosa lo è? Vorrei infondere maggiormente in te il gusto della natura e vorrei che tu abbandonassi questa fredda

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argilla e questo marmo per il sole, l’allegria giovanile, il riso, i balli, come fanno le altre ragazze. Voglio una figlia fatta di carne e di sangue, non una statua in grembiule grigio che dimentica tutto per il suo lavoro.

Mentre parlava, due mani polverose gli cinsero il collo e Bess, seria, intercalando le parole con i baci, gli disse: – Io non mi dimentico di te, papà, ma capisci, voglio fare qualcosa di veramente bello, di cui tu possa essere orgoglioso. La mamma mi consiglia molto spesso di smettere di tanto in tanto, ma quando entriamo qui, nel nostro studio, ci scordiamo che fuori c’è un altro mondo, qui per noi esiste solo il lavoro e la gioia di compierlo. Ma ora, per farti piacere, andrò fuori a correre e a cantare, – e, buttando via il grembiule uscì dalla stanza, e sembrò quasi che con lei se ne fosse andata tutta la luce.

- Sono contenta che tu le abbia parlato. E troppo assorta nei suoi sogni di grandezza per la sua età! È colpa mia ma la sento così simile a me e capisco così bene il suo pensiero che mi dimentico di essere saggia! – sospirò Amy, coprendo con un panno bagnato il busto al quale Bess stava lavorando.

- Penso, – disse Jo, – che poter rivivere nei nostri figli sia la cosa più bella al mondo. Cerco però di ricordare ciò che la mamma ha detto una volta a Meg, e cioè che i padri devono sempre aver parte nell’educazione dei figli, sia maschi che femmine. Per questo, quando posso, lascio Ted a suo padre e Fritz mi presta Rob i cui modi così docili sono per me un riposo come lo sono per suo padre le tempeste di Ted. Ora ti consiglierei, Amy, di fare in modo che Bess, per un certo tempo, lasci perdere i suoi pasticci di argilla e si occupi di musica con Laurie. Così non si limiterà ad una sola arte e lui non sarà geloso.

- Ma senti! È un vero Daniele4! – esclamò Laurie molto compiaciuto. – Ho sperato, lo confesso, che tu, Jo, mi dessi una mano e dicessi una parola in mio favore. Sono effettivamente geloso di Amy e vorrei mia figlia un po’ per me. Cara, lasciamela durante quest’estate e l’anno prossimo, e, quando andremo a Roma, io la restituirò a te ed alla scultura. Non è una proposta ragionevole?

- D’accordo, ma nel tuo esperimento di unire svago e musica, non dimenticate che, sebbene abbia soltanto quindici anni, la

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nostra Bess è più matura di tante altre ragazze della sua età e tu non puoi trattarla come una bambina. È tanto preziosa per me ed io vorrei che restasse sempre pura e bella come il marmo che ama.

Amy parlava con una nota di rimpianto ed intanto si guardava attorno nella bella stanza dove aveva trascorso tante ore felici con quella sua figlia così cara.

- Ad ognuno il suo turno, come dicevamo quando volevamo cavalcare tutti Ellen Tree o mettere gli stivali color ruggine. – fece Jo scherzosamente, – perciò dovete dividervi Bess e vedere allora chi fa il meglio per lei.

- D’accordo, – risposero i genitori e risero a tutti quei cari ricordi che le parole di Jo avevano riportato alla mente.

- Quanto mi piaceva saltare sui rami di quel vecchio melo! Mai nessun cavallo vero mi ha dato altrettanto piacere, – disse Amy guardando fuori dalla finestra, come se i suoi occhi ancora potessero vedere il vecchio giardino e le ragazzine che ci giocavano.

- E quanto mi sono divertita con quei benedetti stivali! – disse Jo ridendo. – Non ne sono rimasti che dei brandelli, perché i ragazzi li hanno rotti del tutto, ma ci sono ancora affezionata e mi piacerebbe molto portarli in scena, come facevamo allora, se fosse possibile.

- Ciò che più ricordo volentieri sono lo scaldaletto e il cuscino a salsicciotto. Quante marachelle, e come sembra ormai lontano quel tempo! – disse Laurie, e fissò le due donne che gli stavano dinanzi, stentando a credere che esse fossero la piccola Amy di un tempo e Jo la ribelle.

- Non vorrai insinuare che invecchiamo, mio signore… È solo che siamo sbocciate e con i nostri figlioletti che ci fanno corona siamo davvero un fascio di rose, – rispose Amy dando dei colpetti alla mussolina rosa della gonna con l’aria soddisfatta della fanciulla che indossa un abito nuovo.

- Sì, e sarà meglio non parlare delle spine e delle foglie morte, – notò Jo con un sospiro. La vita non era sempre stata facile per lei ed anche allora non le mancavano i crucci e le preoccupazioni.

- Andiamo a prendere il tè e vediamo che cosa stanno combinando questi benedetti ragazzi. Siete stanche e avete

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bisogno di essere ristorate e confortate, – disse Laurie, ed offrì il braccio alle due sorelle per condurle a prendere il tè che scorreva in quel nuovo Parnaso come il nettare scorreva nell’antico.

Trovarono Meg nel salotto estivo, una stanza chiara, arieggiata e in quel momento pervasa dalla luce del sole e dal fruscio degli alberi che si stagliavano nell’arco delle finestre aperte. A un’estremità c’era la grande sala da musica e dall’altra, tutto tappezzato in seta rossa, c’era una sorta di santuario che racchiudeva i ricordi di famiglia. Alle pareti tre ritratti, in due angoli opposti due busti in marmo, un divano e al centro una tavola ovale sulla quale si rinnovavano sempre i fiori freschi: questi erano i soli oggetti d’arredamento di quell’angolo. I busti, entrambi opera di Amy, somigliantissimi, rappresentavano John Brooke e Beth e richiamavano alla mente il detto: «La creta rappresenta la vita, il gesso la morte, il marmo l’immortalità». Alla destra come si conveniva al fondatore della casa, era appeso il ritratto del signor Laurence con la stessa espressione di benevolo orgoglio che aveva suscitato l’ammirazione di Jo, un giorno. Di fronte, un lascito ad Amy, c’era il ritratto della zia March: imponente turbante in capo, maniche sbuffanti, mezzi guanti incrociati, con severa dignità, sulla gonna rigonfia di seta color prugna. Il tempo aveva addolcito la severità del volto e lo sguardo fisso del signore che le stava di fronte era forse il responsabile di quel sorriso sulle labbra. Al posto d’onore, baciato da una calda luminosità e attorniato da una ghirlanda, c’era l’amato viso della mamma dipinto con grande abilità e riconoscenza da un artista importante che lei aveva aiutato quando era povero e sconosciuto. Il ritratto era così somigliante che la mamma sembrava sorridesse e dicesse gioiosa alle figlie: «State tranquille, io non vi ho abbandonato».

Le tre sorelle fissarono per un momento con tenero rispetto e con nostalgia il quadro. La mamma era stata tutto per loro e nessuno mai avrebbe potuto prenderne il posto. Erano soltanto due anni che se n’era andata a vivere e amare in un posto migliore ed aveva lasciato un ricordo di sé che ispirava e confortava ognuno di loro. Si strinsero l’uno all’altro e tanto erano consci di tutto questo che Laurie interpretò il pensiero di

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tutti dicendo: – Non posso chiedere niente di meglio per mia figlia se non che somigli a vostra madre. Dio voglia che sia così perché tutto quello che ho di buono nella vita lo devo a quella santa donna.

In quello stesso istante, una bella voce intonò, nella stanza accanto, l’«Ave Maria»; Bess, inconsciamente, faceva eco alla preghiera del padre mentre seguiva il suo consiglio. Il dolce suono di quell’aria che la mamma usava cantare riportò gli ascoltatori alla realtà da quel mondo di beni e dolcezze perduti; sedettero di fronte alle finestre aperte a godere la musica ed intanto Laurie portò loro il tè, e le servì con amorevole attenzione. Arrivarono anche Nat e Demi seguiti da Josie e Ted, dal professore e dal fedele Rob, tutti ansiosi di sapere qualcosa di più preciso sui «ragazzi». Il rumore delle tazze posate sui piattini si moltiplicò, la conversazione si animò ed il sole al tramonto illuminava un gruppo di persone che, dopo le fatiche del giorno, si godevano il meritato riposo.

Il professor Bhaer era ormai brizzolato, ma aitante e geniale come sempre: faceva il lavoro che amava e lo svolgeva con tale entusiasmo che tutto il collegio sentiva e subiva la sua positiva influenza. Rob gli somigliava tanto quanto era possibile per un ragazzo ed era già stato soprannominato «il professorino» tanto adorava lo studio e prendeva esempio dal padre.

- Miei cari, – disse il professor Bhaer sedendosi a fianco di Jo e stringendole con affetto la mano, – tra poco riavremo i nostri ragazzi e staremo in allegria tutti quanti assieme.

- Fritz, sono ben contenta per Emil e anche per Franz, se tu approvi la sua scelta. Conosci Ludmilla? Credi che sarà un buon matrimonio? – domandò Jo porgendogli la sua tazza di tè e avvicinandosi a quello che era il suo sostegno e il suo rifugio, sia nella gioia che nel dolore.

- Tutto va a meraviglia. Ho visto la ragazza quando sono andato ad accompagnare Franz; era una bambina allora, ma già dolce e affascinante. Il signor Blumenthal penso sia contento e il nostro Franz non potrà non essere felice perché è troppo tedesco per trovarsi bene lontano dalla patria. In questo modo sarà il nostro anello di congiunzione con il vecchio mondo e questo mi fa molto piacere.

- Hai sentito di Emil? Sarà ufficiale in seconda nel prossimo

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viaggio, non è meraviglioso? Sono proprio felice che entrambi i tuoi ragazzi abbiano raggiunto tutto questo, visto che hai rinunciato a tanto per loro e per la madre! Non hai certo fatto pesare la tua generosità, ma io non potrò dimenticarla, – disse Jo con la mano in quella del marito, come se fosse ancora una ragazza ai primi appuntamenti con l’innamorato.

Lui allora fece una delle sue belle risate e le bisbigliò dietro il ventaglio: – Se non fossi venuto in America per quei due poveri ragazzi, non avrei mai trovato la mia Jo. I tempi duri sono finiti ed io benedico Iddio per ciò che avevo creduto di perdere, perché da lì è venuta la fortuna della mia vita.

- Qui si amoreggia di nascosto, vergogna! – esclamò Ted e sbirciò da dietro il ventaglio proprio nel momento più interessante, cosa che imbarazzò sua madre e divertì molto suo padre, visto che il professore non si vergognava di considerare sua moglie la più cara donna sulla terra.

Rob, pronto, spinse fuori il fratello da una porta-finestra per vederlo rientrare dall’altra. La signora Jo chiuse il ventaglio e lo tenne pronto, per batterlo sulle nocche del figlio qualora le si fosse ancora avvicinato.

Nat si avvicinò portando il cucchiaino che il professore gli aveva chiesto e rimase lì davanti a loro con un’espressione in viso di affetto teneramente rispettoso per l’uomo che aveva fatto così tanto per lui.

- Ho qui delle lettere di raccomandazione per te, caro; sono indirizzate a due miei vecchi amici, a Lipsia, che ti saranno vicini nella tua nuova vita. È bene che tu li abbia accanto perché i primi tempi soffrirai di nostalgia ed avrai bisogno di qualcuno che ti conforti, – disse il professore, e consegnò a Nat alcune lettere.

- Grazie, professore. So bene che mi sentirò molto solo. La musica e la speranza di riuscire nella vita mi tireranno su di morale, – rispose Nat che allo stesso tempo aveva voglia di iniziare al più presto la nuova esistenza e soffriva al pensiero di lasciare gli amici e di doversene fare dei nuovi.

Era ormai un uomo fatto: gli occhi azzurri erano onesti e sinceri come sempre, la bocca, a dispetto dei baffetti che curava assiduamente, aveva ancora una piega infantile e la fronte ampia tradiva più che mai l’amore per la musica che il

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giovane aveva. Modesto, affettuoso, laborioso, Nat era considerato da Jo un giovane gradevole se non brillante e Jo gli voleva bene, aveva fiducia in lui ed era certa che avrebbe fatto del suo meglio, ma pensava anche che non sarebbe forse riuscito a grandi cose a meno che l’apprendistato all’estero e l’assoluta indipendenza non avessero fatto di lui un uomo più forte e un artista migliore di quanto sembrasse possibile.

- Ho segnato tutta la tua roba, o meglio è Daisy che ha fatto tutto. Quando avrai raccolto i libri potremo cominciare a preparare le valigie, – disse Jo, che era abituata a organizzare i viaggi dei suoi ragazzi in ogni parte del mondo e non si sarebbe spaventata neppure se avesse dovuto occuparsi di una spedizione al Polo Nord.

Nat arrossì sentendo quel nome – o fu soltanto il raggio del sole al tramonto a colorire le sue guance? – ed il suo cuore accelerò i battiti al pensiero della cara fanciulla che ricamava molte «N» e «B» sui suoi umili calzini e i suoi fazzoletti. Nat infatti adorava Daisy e il suo sogno più caro era quello di farsi una posizione come musicista tanto da potere un giorno richiedere quell’angelo in moglie. Questa speranza lo spronava molto più dei consigli del professore, delle cure affettuose di Jo e dell’aiuto generoso di Laurie. Per lei lavorava, aspettava, sperava e trovava il coraggio e la pazienza di aspettare proprio sognando il futuro roseo con Daisy che avrebbe badato alla casa, fiera di lui, paga della fortuna che lui le avrebbe donato. La signora Jo lo sapeva bene e, sebbene lui non fosse in tutto e per tutto l’uomo che avrebbe scelto per la nipote, sentiva che Nat avrebbe sempre avuto bisogno dell’affetto e dell’amorevole attenzione che Daisy poteva dargli, senza i quali avrebbe corso il rischio di diventare uno dei tanti uomini che, pur capaci di fare qualcosa, falliscono solo perché non hanno avuto la guida di un pilota sicuro che reggesse il loro timone attraverso il mare burrascoso della vita. La signora Meg, invece, disapprovava decisamente l’amore del ragazzo e avrebbe dato sua figlia solo al miglior uomo esistente sulla faccia della terra: sebbene gentile e molto dolce, era anche una donna ferma e decisa, e Nat, per conforto ed aiuto, si rifugiava dalla signora Jo che era sempre pronta a prendere le parti del ragazzo. Ora poi all’orizzonte c’era una nuova serie di preoccupazioni: i

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ragazzi crescevano e prevedeva che le ansie non sarebbero mai finite con tutti quei flirt, per quanto onesti e idilliaci, che presto sarebbero sbocciati. La signora Meg era la sua alleata e consigliera perché amava ancora le storie d’amore come quando era una ragazza, ma nel caso specifico un fidanzamento con Nat era fuori discussione. «Nat non è ancora un uomo fatto e non lo sarà mai. Nessuno conosce la sua famiglia. La vita del musicista è dura ma, d’altra parte, Daisy è troppo giovane. Meglio aspettare sei o sette anni, quando il tempo li avrà provati entrambi e meglio vedere quali effetti avrà su di loro la lontananza». E con questo chiudeva il discorso perché, una volta che il materno pellicano si ridestava in lei, avrebbe dato sino alla sua ultima goccia di sangue per i figli.

La signora Jo pensava proprio a questo mentre guardava Nat che parlava con suo marito di Lipsia, e decise che avrebbe parlato seriamente al giovane prima della sua partenza. Era infatti la confidente di tutti, quella alla quale i ragazzi parlavano delle tentazioni della loro vita, delle difficili prove che dovevano affrontare e che spesso li rovinano perché manca loro la parola che incita e sostiene al momento opportuno.

Questo è il primo compito di tutti i genitori e non ci deve essere falsa delicatezza che impedisca loro di sorvegliare attentamente e da vicino i figli, poiché tutto questo sviluppa in loro quell’autocontrollo e quella consapevolezza di sé necessari per affrontare il mare aperto.

- Ecco Platone e i suoi discepoli, – annunciò irriverentemente Teddy mentre il signor March giungeva circondato da giovani e giovanette. Il saggio vecchio era amato da tutti e istruiva il suo gregge con tale intelligenza che tutti gli erano eternamente grati dell’aiuto morale e intellettuale.

Bess gli andò incontro, premurosa. Da quando la nonna era morta, il nonno era affidato a lei, ed era così bello vedere il capo dorato chinarsi su quello argenteo del vecchio mentre lo aiutava ad accomodarsi in poltrona e lo serviva teneramente affaccendata.

- Il tè è pronto, ne volete una tazza o preferireste un po’ d’ambrosia? – domandò Laurie che girava tenendo una

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zuccheriera in mano e un piatto di dolci nell’altra, perché nutrire gli affamati e inzuccherare il tè erano per lui due compiti molto graditi.

- Né l’uno, né l’altro, grazie, questa figliuola si è già occupata di me, – rispose il signor March, e si voltò a sorridere a Bess che, seduta sul bracciolo della poltrona, gli porgeva un bicchiere di latte fresco.

- Possa vivere a lungo per continuare a farlo ed io possa essere sempre qui a vedere contraddetto il detto «la giovinezza e la vecchiaia non stanno bene insieme», – rispose Laurie, e sorrise a quella coppia tanto bene assortita.

- La scontrosa vecchiaia, dice il poeta; ecco, papà, in questo è tutta la differenza, – ribatté Bess che amava la poesia e leggeva quella più elevata.

- «Vorresti vedere tu le rose sbocciare su un venerando letto di neve?» – citò il signor March mentre Josie veniva a sederglisi vicino, con un’aria ancora da rosellina tutta spine a causa dell’accesa discussione avuta con Teddy.

- Nonno, le donne debbono sempre ubbidire agli uomini e dar loro ragione solo perché sono più forti? – domandò concitata la ragazza, e diede un’occhiata di traverso al cugino che arrivava impettito, con un sorriso di sfida sulle labbra sul viso infantile che era comico a vedersi in cima a quel corpo lungo lungo.

- Cara, ormai questo è una convinzione antiquata e ci vorrà un po’ perché si cambi, secondo me. Penso che sia arrivata l’ora della donna e a me sembra che i ragazzi dovrebbero fare del loro meglio perché le ragazze li hanno ormai raggiunti e nulla può fermarle, – rispose il signor March, e guardò affettuosamente i volti luminosi delle giovinette che erano tra le più brave allieve del collegio.

- Queste povere Atalanta sono, purtroppo, distratte dallo scopo prefissato e in ritardo nel raggiungerlo per colpa degli ostacoli gettati sulla loro strada – magari non proprio mele d’oro – ma senza dubbio faranno sensibili progressi quando avranno imparato meglio a correre, – disse ridendo Laurie, ed accarezzò i capelli ricciuti di Josie, che stavano dritti come il pelo di un gattino arrabbiato.

- Quando io mi metterò in cammino, tonnellate di mele non mi fermeranno e dozzine di Ted non avranno potere su di me,

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per quanto possano provarci. Dimostrerò che una donna può recitare bene quanto un uomo, se non di più. Si è già visto e si vedrà ancora, e non ammetterò mai che il mìo cervello, per quanto più piccolo di quello di Ted, valga meno del suo, – esclamò concitata la ragazzina.

- Se scuoti la testa in quel modo, farai andare a male il poco cervello che rimane… e io ci farei attenzione, se fossi in te, – disse Ted ricominciando a stuzzicarla.

- Da che cosa ha avuto inizio questa guerra civile? – domandò il nonno, con una leggera enfasi sull’aggettivo tanto che i due contendenti calmarono un poco i bollenti spiriti.

- Studiavamo l’Iliade e siamo arrivati al punto in cui Giove ordina a Giunone di non interessarsi dei suoi affari, o altrimenti lui l’avrebbe frustata e Josie si è disgustata del fatto che Giunone non avesse reagito; io, invece, ho dichiarato che era giusto, Giove aveva ragione a dire che le donne non capivano molto e che non potevano far altro che obbedire agli uomini, – spiegò Ted con gran divertimento dei presenti.

- Le dee facciano pure ciò che vogliono, ma secondo me, le greche e le troiane erano donne da poco se acconsentivano ad obbedire a uomini i quali non erano capaci di combattere e dovevano ricorrere, quando stavano per essere battuti, a Pallade, Venere e Giunone. Pensateci! Due eserciti stanno lì, a guardarsi, mentre una coppia di eroi si lancia dei sassi! No, veramente, Omero non mi pare un gran che. I miei eroi sono Napoleone e Grant.

Lo sprezzo di Josie fece pensare al colibrì che rimproverava lo struzzo e tutti risero di gusto sentendola snobbare l’immortale poeta e criticare gli dei.

- Ho capito, tu pensi che la Giunone di Napoleone ebbe vita facile, vero? Ecco come ragionano le ragazze: basta niente perché cambino idea, – disse ironico Ted.

- Come quella fanciulla di Johnson la quale non era «categorica, ma tutta indecisioni e contraddizioni» – commentò Laurie, il quale si divertiva un mondo a quella battaglia verbale.

- Parlavo di loro soltanto come soldati, ma se tu vuoi considerare il lato umano dei personaggi storici, non ti sembra che il signor Grant fosse un marito perfetto e la signora Grant

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una donna molto fortunata? Certo non la minacciò mai di frusta se mai gli chiese qualcosa sui suoi affari. Napoleone, se pure ebbe dei torti verso Giuseppina, certo sapeva combattere e non domandò mai l’aiuto di Minerva o di un’altra dea. Te lo dico io: tutti questi eroi di Omero erano una massa di stupidi, da quel damerino di Paride, ad Achille sempre così di cattivo umore, né certo saranno tutti gli Ettore o gli Agamennone di Grecia a farmi cambiare opinione, – dichiarò Josie per nulla sconfitta.

- Tu sai combattere come una troiana, è evidente; vuol dire che noi staremo qui, a guardarvi, come due bravi eserciti obbedienti, mentre tu e Ted ve la sbrigate tra di voi, -cominciò Laurie, e prese l’atteggiamento del guerriero che, in riposo, si appoggia alla lancia.

- Temo proprio che dovremo smettere, ecco Pallade che viene a portarsi via Ettore, – disse il signor March sorridendo mentre Jo si avvicinava, per avvertire il figlio che era quasi l’ora di cena.

- Finiremo questa battaglia più tardi, quando non ci saranno più dee ad interferire, – disse Teddy, e se ne andò con insolita sveltezza, ricordandosi ciò che l’aspettava a cena.

- Battuto, per Giove! È bastata una ciambella! – gli gridò dietro Josie e si rallegrò dell’opportunità di usare quella parola che a una ragazza era proibita.

Ma Ted che si ritirava in buon ordine, le lanciò una frecciatina dichiarando con un’espressione estremamente virtuosa: – «L’obbedienza è il primo dovere di un soldato».

Josie, approfittando del fatto che a una donna è concessa l’ultima parola, gli corse dietro, ma non riuscì a snocciolare il bel discorsetto che aveva sulle labbra perché un giovane abbronzato, vestito di blu, stava salendo le scale gridando: – Ehi! Ehi! Dove siete tutti?

- Emil! Emil! – gridò Josie. Ted si precipitò incontro a lui e i nemici di poco prima posero fine alla loro disputa dando un caloroso benvenuto al nuovo arrivato.

Le ciambelle furono dimenticate e i due ragazzi, tirando il cugino come due rimorchiatori avrebbero tirato un bastimento carico, tornarono in salotto dove Emil baciò tutte le donne e strinse la mano a tutti gli uomini tranne lo zio che preferì

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abbracciare alla vecchia, buona maniera tedesca con grande gioia degli astanti.

- Non speravo di poter scappare oggi, poi ho visto che ci riuscivo e così mi sono diretto verso la vecchia Plumfield; non c’era anima viva da quelle parti e allora bordeggiando ho fatto rotta per il Parnaso e, finalmente, eccovi tutti qua. Dio vi benedica, come sono contento di rivedervi! – esclamò il marinaio raggiante, e rimase lì, a guardare tutti, a gambe spalancate come se ancora sentisse la coperta della nave rollare sotto di lui.

- Dovresti esprimerti con maggiore rudezza, Emil!, non dovresti dire «Dio vi benedica» non è affatto marinaresco. Come odori di nave e di catrame! – esclamò Josie, annusandolo e godendo del fresco odore di mare che emanava. Emil era il suo cugino preferito e anche lui le voleva molto bene. Così sapeva per certo che le tasche rigonfie della sua giacchetta blu erano colme di tesori, per lei, almeno.

- Ehi, lasciatemi fermare prima di buttarvi a pesce, – fece Emil ridendo; poi tenuta a distanza Josie, con una mano, con l’altra tirò fuori pacchetti marcati con nomi diversi, scatolette che venivano chissà da quali posti esotici e li distribuì a tutti accompagnandoli a commenti così calzanti che tutti risero perché era proprio un bontempone.

- Ecco un gioiello che terrà ferma la nostra barchetta per almeno cinque minuti, – disse gettando a Josie una collana di coralli rosa. – Ed ecco il regalo delle sirene a Ondina, -aggiunse porgendo a Bess una fila di conchiglie di madreperla tenute da una catena d’argento. – Ho pensato che a Daisy sarebbe piaciuto un violino e Nat le avrebbe dato certamente un arco, – continuò ridendo e mostrando una spilla di filigrana a forma di violino.

- Certo le piacerà! Glielo porto io! – fece Nat e si allontanò, contento di potersela svignare e sicuro di riuscire a trovare Daisy, sebbene Emil non l’avesse vista.

Emil rise sotto i baffi e tirò fuori un grazioso orso intarsiato nel legno la cui testa si apriva e faceva da calamaio. Con una bella riverenza lo presentò alla zia Jo.

- Visto che questi animali ti piacciono tanto ne ho portato uno per la tua penna.

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- Ben fatto, commodoro! – disse la signora Jo, soddisfatta del dono, che fece profetizzare al professore nuove opere di Jo «degne di Shakespeare», nate dalla profondità di quel calamaio.

- Visto che la zia Meg, nonostante la sua giovane età, vuol portare delle cuffiette di trina, ho fatto cercare a Ludmilla qualche pizzo. Spero che ti piaceranno, – e da un morbido pacchetto uscirono trine, ed una di queste, simile ad un cristallo di neve, poco dopo ornava il capo della signora Meg.

- Non ho trovato nulla degno della zia Amy, tanto più che lei ha tutto ciò che desidera, così le ho portato un quadretto che mi fa sempre pensare a lei quando Bess era piccola. E le porse un medaglione ovale su cui era dipinta una Madonna dai capelli d’oro che teneva in braccio, coperto dal suo manto azzurro, un roseo bambino.

- Com’è bello! – esclamarono tutti. La zia Amy se lo mise immediatamente al collo appeso ad un nastro azzurro tolto dai capelli di Bess; il dono le procurava grande gioia perché le ricordava l’anno più felice della sua vita.

- Ed ora mi lusingo davvero di aver trovato qualcosa di adatto per Nan. Un oggetto semplice, non appariscente, una specie di distintivo molto adatto ad un dottore, – disse Emil, e mostrò fiero un paio d’orecchini di lava a forma di cranio.

- Che orrore! – fece Bess che odiava le cose macabre e abbassò gli occhi sulle sue conchiglie.

- Non porta gli orecchini, – disse Josie. - Bene, allora si divertirà a forare le vostre orecchie; Nan non

è mai felice come quando può tormentare i suoi simili e straziarli con un bisturi, – ribatté Emil senza turbarsi affatto. – Per voi, ragazzi, ho molte belle cose nel mio baule, ma prima di tutto, sapevo che non avrei avuto pace finché non avessi distribuito i regali alle signore. Ed ora ditemi quali sono le novità.

Seduto sulla miglior tavola di marmo della zia Amy il marinaio lasciò dondolare le gambe e parlò con la velocita di dieci nodi all’ora fin quando la zia Jo li condusse tutti ad un grande pranzo di famiglia in onore del Commodoro.

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Capitolo terzo L’ultimo guaio di Jo La famiglia March, nel corso della sua vita aveva avuto molte

gradite sorprese, ma la più grande di tutte fu quella di veder trasformato il «Brutto anatroccolo» non in un cigno, ma in una anatra le cui uova d’oro trovarono un insperato riscontro: che in dieci anni il sogno più caro e più utopistico di Jo divenne realtà. Come e perché avvenne non riuscì mai a capirlo del tutto, ma a un certo punto si trovò ad essere abbastanza famosa e, cosa ancora migliore, ad avere in tasca una piccola fortuna con la quale era in grado di spazzare via gli ostacoli attuali e di assicurare il futuro dei suoi ragazzi.

Era cominciato un anno in cui tutto andava male a Plumfield; i tempi erano duri, la scuola rendeva poco, Jo lavorava troppo e si ammalò per lungo tempo, Laurie e Amy erano all’estero ed i Bhaer erano troppo orgogliosi per domandare aiuto sia pure a quella coppia di persone care e generose. Confinata nella sua stanza, Jo fu presa dalla disperazione per lo stato delle loro finanze e finalmente pensò di ricorrere alla penna da tempo abbandonata come l’unico modo di riempire i buchi nelle loro entrate. Un editore domandava un libro per giovinette e lei, sebbene si sentisse molto più vicina ai ragazzi, scribacchiò una storia in cui narrava alcune vicende della sua vita e di quella delle sorelle. Poi, senza riporvi troppe speranze, lo spedì.

Quando c’era di mezzo Jo le cose andavano sempre al contrario. Il suo primo libro al quale ella aveva lavorato per anni, varato con grandi speranze e con tutte le illusioni della giovinezza, naufragò ben presto, anche se va detto che i relitti continuarono a fluttuare per anni a beneficio, se non di altri, dell’editore. Quella storia scritta in fretta, inviata con nessun altro motivo se non quello di guadagnare qualche dollaro, partì con il vento favorevole, con l’aiuto di un saggio pilota approdò nel porto del favore del pubblico e portò a casa un carico inatteso di gloria e di danaro.

Probabilmente mai nessuna donna fu più stupita della signora Josephine Bhaer quando la sua barchetta tornò in porto con le vele spiegate, i cannoni che per tanto tempo erano stati silenziosi, tonanti e, più ancora di tutto questo, quando

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quel trionfo allietò i suoi cari, che vollero congratularsi con lei e stringerle affettuosamente la mano. Da quel momento la navigazione fu agevole e dovette limitarsi a caricare le sue navi e farle partire per viaggi fortunati, da cui esse tornarono cariche di aiuti per sé stessa e per tutti coloro che amava.

Non tenne mai in gran conto la fama, perché ai giorni nostri basta una piccola scintilla per provocare un gran fumo e la notorietà non è vera gloria. Accettò invece con immensa gratitudine la fortuna che però non era neppure metà di quella che la folla generosa le accreditava. Dato che ormai la corrente era girata, continuò ad andare in quella direzione e trasportò piacevolmente la famiglia in un porto sicuro dove i membri più anziani potevano riposarsi al sicuro dagli uragani ed i più giovani potevano mettere in mare le loro navi per il viaggio della vita.

Felicità, pace e benessere vennero in quegli anni a benedire coloro che avevano atteso pazientemente, lavorato assiduamente e creduto ampiamente nella saggezza e giustizia di Colui che manda ai cuori umani la delusione, la povertà e il dolore solo per mettere alla prova il loro amore di uomini e per rendere più dolce il successo quando fosse arrivato. Agli occhi del mondo c’era esclusivamente il benessere economico e la brava gente si rallegrò della fortuna della famiglia, ma ben pochi conobbero quello che per Jo era il successo più vero, che nulla avrebbe potuto cambiare o portarle via.

Fu la possibilità di rendere felici e sereni gli ultimi anni di sua madre, di vedere deposto per sempre il fardello delle preoccupazioni e le care mani riposare in grembo, il caro volto non più turbato dall’ansia e il suo cuore tenero dedicarsi a quella saggia carità che era la sua gioia. Da bambina il sogno preferito di Jo era quello di sedere in pace e riposarsi dopo una vita faticosa e dura. Ora quel sogno era diventato una bella realtà: la mamma sedeva nella sua stanza comoda e lussuosamente arredata, con le figlie amorevoli che la servivano man mano che gli acciacchi aumentavano, con il fedele compagno della vita su cui contare sempre, e i nipoti che rischiaravano con il loro affetto il tramonto della sua esistenza.

Quello era un periodo felice per tutti perché la povera donna

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si rallegrava, come soltanto sanno fare le madri, della buona sorte dei suoi familiari. Era vissuta abbastanza da poter raccogliere ciò che aveva seminato, da vedere esaudite le sue preghiere, realizzate le sue speranze e sbocciate le buone qualità, mentre la pace e la prosperità benedicevano la casa che aveva costruito. Dopo di che, come un angelo paziente e coraggioso, il cui compito si era concluso, rivolse gli occhi al cielo, contenta di trovare riposo.

Questo era il lato dolce e sacro del cambiamento; ma, come tutte le cose in questo nostro mondo, c’era anche il rovescio della medaglia. Dopo la prima sorpresa, lo stupore e la gioia, Jo, per l’ingratitudine che è insita nella natura umana, si stancò della fama e cominciò a sentire la mancanza di libertà. Infatti il pubblico degli ammiratori si impossessò tutto d’un tratto di lei, della sua vita presente, del suo passato e del suo futuro. Molti sconosciuti vollero vederla, farle domande, chiederle consiglio, congratularsi con lei e mandarla fuori dai gangheri con la loro ammirazione sempre gentile, ma anche fastidiosa. Se poi si rifiutava di confidarsi con loro quelli la rimproveravano, se non se la sentiva di alleviare dolori, sofferenze, miserie, se non partecipava a tutte le afflizioni e le debolezze della natura umana, veniva giudicata egoista, senza cuore, altezzosa; se le era impossibile rispondere alle pile di lettere che riceveva, era accusata di non adempiere al suo dovere verso il pubblico e se preferiva la dolcezza della sua casa al piedistallo su cui le si richiedeva di mettersi, la gente criticava le sue «arie di letterata». Faceva del suo meglio per i bambini, perché essi erano il pubblico per cui scriveva e faticava duramente per soddisfare la domanda che sempre usciva da quelle giovani labbra avide: «Ancora storie… e subito!». La famiglia era contraria a questa assiduità e la sua salute ne risentiva; ma per un certo tempo si sacrificò, con animo grato, sull’altare della letteratura per ragazzi, conscia di dover molto ai piccoli amici che le avevano permesso, dopo venti anni di sforzo, di trovare il successo.

Ci fu però un momento in cui la sua pazienza venne definitivamente meno e stanca di fare il leone da giardino zoologico divenne orso di nome e di fatto, ritornando alla propria tana e digrignando i denti quando le richiedevano di

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venirne fuori. La sua famiglia si era goduta il suo successo e non aveva grande simpatia per quello che di poco piacevole le era capitato, ma Jo arrivò al punto di considerare il tutto come la peggiore piaga di tutta la sua vita, perché la libertà era stata sempre il suo bene più prezioso ed ora se la vedeva portare via. Dopo un po’ fu stanca di vivere in una vetrina e, d’altra parte, Jo era troppo matura, troppo stanca e troppo indaffarata per godere di una simile vita.

Sentì che aveva fatto tutto quello che le si poteva ragionevolmente chiedere dopo che autografi, fotografie e appunti biografici furono disseminati ai quattro venti, quando artisti ebbero ritratto la sua casa da tutti i suoi lati, e i giornalisti l’ebbero descritta con dipinta sul viso l’espressione truce che assumeva sempre in queste occasioni. E quando intere scolaresche entusiaste ebbero saccheggiato il suo prato in cerca di souvenir e un continuo flusso di amabili pellegrini ebbe consumato i gradini di casa sua con i propri rispettosi piedi; quando poi i domestici, dopo una settimana di assiduo lavoro in quella casa dove il campanello suonava in continuazione, se ne andarono e quando il marito fu costretto a ricordarle di mangiare, senza contare le volte in cui i «ragazzi» furono costretti a coprire la sua ritirata quando ospiti non richiesti si erano intrufolati in casa nei momenti meno opportuni.

Il breve riepilogo di una giornata spiegherà forse meglio lo stato di cose, giustificando in qualche modo quell’infelice e darà un’idea approssimativa della mania degli autografi che dilaga ormai nel paese, e si tratta per di più di una storia vera.

- Ci dovrebbe essere una legge che protegga i poveri autori, – disse un mattino la signora Jo, poco dopo l’arrivo di Emil; la posta le aveva portato un assortimento di lettere di ogni tipo ed insolitamente cospicue. – Per me è un argomento più importante dei diritti internazionali d’autore, perché il tempo è danaro, la pace è salute e io li perdo entrambi senza nient’altro in cambio se non un minor rispetto verso i miei simili e il desiderio sfrenato di isolarmi in una foresta, visto che nemmeno nella libera America posso chiudermi in casa quando e come voglio.

- Questi «cacciatori» sono tremendi quando sono alla cerca

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della preda e se potessero mettersi al suo posto, gli farebbe bene: imparerebbero quanto sono noiosi quando «si onorano di far visita per esprimere la loro ammirazione per l’affascinante opera» – citò Ted, e fece un bell’inchino alla madre che in quel momento aggrottava la fronte davanti a dodici richieste di autografi.

- Ho preso una ferma decisione su di un punto, – rispose la signora Jo con grande serietà. – Non risponderò mai più a questo genere di lettere. Ne ho mandate almeno sei a questo ragazzo e probabilmente lui le vende. Questa ragazzina scrive da un collegio e se mando un autografo a lei, tutte le altre ragazze lo vorranno e mi scriveranno. Tutti cominciano dicendo che sanno bene di essere indiscreti e capiscono che io mi irriterò della loro richiesta, ma comunque provano a fare la loro richiesta perché è risaputo che io amo i ragazzi, o perché ad essi piace molto il mio libro e, in ogni caso, sarà solo per quella volta. Emerson e Whittier cestinano tutta questa roba e io, sebbene sia soltanto la bambinaia letteraria che provvede a dare la pappa morale alla nostra gioventù, seguirò il loro illustre esempio, altrimenti non avrò tempo di mangiare e dormire se tenterò di far felici questi cari, irragionevoli ragazzi! – e la signora Jo, con un sospiro di sollievo, spazzò via l’intero mucchio di lettere.

- Aprirò io le altre e ti lascerò far colazione in pace, cara mamma, – disse Rob che spesso fungeva da suo segretario. – Eccone una che viene dal Sud… – E rompendo il pomposo sigillo, lesse:

Signora, visto che il Cielo ha voluto coronare i vostri sforzi di

ampio successo, non esito a chiedervi di fornire fondi per comprare alla nostra Chiesa un nuovo servizio eucaristico. A qualunque Chiesa apparteniate, certo risponderete con grande liberalità alla mia richiesta.

Vostra devotissima X.Y. Zavier

– Spedisci un cortese rifiuto, caro. Ciò che ho da dare serve a

nutrire e vestire i poveri che vengono alla mia porta: queste sono le mie offerte di gratitudine per il successo avuto.

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Continua, – rispose la signora con uno sguardo riconoscente per la sua felicità.

- Un aspirante scrittore diciottenne propone che tu apponga il tuo nome ad una novella che ha scritto, tanto dopo la prima edizione il tuo nome verrà tolto e le successive avranno quello del vero autore. È una proposta molto seria.

Penso che gli dirai di no, nonostante la dolcezza che ti contraddistingue nei confronti dei giovani letterati.

- No, non si può fare. Diglielo molto cortesemente, e non fargli inviare il manoscritto. Ne ho già sette per le mani e, purtroppo, non ho il tempo di rileggere il mio, – rispose, pensosa, la signora Jo, pescando una lettera dalle altre, e aprendola con attenzione, perché la grafia irregolare e stentata dell’indirizzo diceva che era stata scritta dalla mano di un bimbo.

- Risponderò io a questa; una bambina malata domanda un libro e lo avrà, ma non scriverò il seguito ai miei libri già pubblicati per farle piacere. Non finirei mai se io dessi ascolto a questi voraci Oliver Twist5 che chiedono sempre di più. Che c’è ora, Robin?

- Questa è davvero breve e dolce: Gentile signora Bhaer, desidero esprimervi la mia opinione

sui vostri romanzi. Li ho letti tutti molte volte, e trovo che sono di prima categoria. Brava! Continuate così!

Il vostro ammiratore Billy Babcock

– Ecco, questa mi piace davvero! Billy è un giovanotto di

buon senso di cui è bello sentire il parere visto che, prima di formulare un giudizio, ha letto più volte i miei romanzi. Non chiede che gli si risponda perciò mandagli i miei ringraziamenti e i miei saluti.

- Ecco qui una signora inglese con sette figlie. Desidera conoscere le tue idee sull’educazione e vuole sapere le carriere che dovranno scegliere: la prima ha dodici anni. Non mi stupisco che la madre sia preoccupata! – disse ridendo Rob.

- Cercherò di rispondere, ma dato che non ho figlie femmine, la mia opinione non le sarà di molto aiuto, e, probabilmente, la scandalizzerà, perché secondo me farebbe bene, prima di

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pensare alla loro carriera, a lasciarle crescere sane e robuste, a lasciarle scorrazzare nei campi e divertirsi. Saranno loro stesse a rivelare ciò che desiderano fare in futuro.

- Qui c’è un giovanotto che vuole sapere che tipo di ragazza sposare e se tu conosci una ragazza simile a quelle dei tuoi romanzi.

- Dagli l’indirizzo di Nan e vedremo che risultato avrà, – propose Tom, già deciso, in cuor suo, a fare egli stesso quell’esperimento.

- Questa è di una signora che chiede di adottarle la figlia e prestarle danaro per studiare arte all’estero per alcuni anni. Fossi in te, mamma, lo farei per vedere come educuchi le ragazze.

- No, grazie, preferisco occuparmi delle mie cose. E che cos’è questa lettera tanto imbrattata? Ha un aspetto terribile, a giudicare dalle macchie d’inchiostro, – domandò la signora Jo la quale spesso tentava di distrarsi dal suo compito quotidiano indovinando dall’esterno ciò che le lettere contenevano.

La lettera era soltanto la poesia di un fervido ammiratore il quale, a giudicare dallo stile sconnesso, doveva esser pazzo.

A.J. M. B. Oh, se un girasole io fossi, dei versi comporrei, e la brezza profumata che soffio fino a te il nostro segreto sarebbe. A guisa dell'elmo maestoso di Febo che indora il mattin, tu sei; le guance come del mar 0 fondal che le rose di maggio fa sbocciar. Forti e sagge son le tue parole, e come un'eredità le so tramandar; e quando lo spirito tuo volerà, in paradiso possa sbocciar. Il mio parlar è d'adulazione pien e il silenzio più dolce mai lo saprà spezzar,

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nelle strade affollate o nella valle più sperduta con lampi di genio ti saprò accompagnar. Guarda i lillà come sanno fiorir, con eleganza e senza sudor, ma tra le gemme e i fiori del mondo il geranio più bello è J. M. Bhaer. Mentre i ragazzi applaudivano alle espressioni di quel

sincero entusiasmo, la madre leggeva le offerte generose di riviste appena nate, che le domandavano di assumerne, senza compenso, la direzione. Quindi la lunga lettera di una povera fanciulla inconsolabile perché il suo eroe prediletto era morto. «Non voleva, la cara signora Bhaer, scrivere nuovamente il romanzo e farlo finire bene?»

Poi la lettera di un ragazzino furente perché gli era stato negato un autografo. Le prediceva cupamente non solo il completo fallimento economico della scrittrice, ma anche la perdita del favore del pubblico se non si fosse affrettata inviare subito, a lui ed a tutti quelli che li richiedevano, autografi, fotografie e qualche piccola biografia per giunta. Un pastore voleva sapere quale fosse la sua religione, una zitella indecisa chiedeva alla signora Bhaer che le dicesse quali dei due pretendenti doveva sposare.

Questi piccoli esempi sono sufficienti a mostrare quanto poco fosse rispettata la tranquillità di una donna occupatissima e faranno sì che i miei lettori perdonino la signora Jo se ella non rispose con precisione a tutti.

- E anche questo lavoro è fatto. Ora darò una spolveratina ai mobili e poi mi metterò a lavorare. Sono abbastanza indietro e i romanzi a puntate non possono attendere, perciò Mary ricorda che non riceverò nessuno. Non vedrei neanche la regina Vittoria se venisse a trovarmi oggi.

Su queste parole, la signora Bhaer posò con un gesto deciso il tovagliolo e si alzò.

- Spero che tu abbia una buona giornata mia cara, – le augurò il marito il quale era stato anch’egli affaccendatissimo con la sua voluminosa corrispondenza.

- Pranzerò al collegio col professor Plock che viene oggi a

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farci visita. I ragazzi faranno colazione al Parnaso e così tu potrai stare tranquilla.

E spianando le piccole rughe della fronte con un bacio di arrivederci, il brav’uomo se ne andò con le tasche piene di libri, un vecchio ombrello in una mano e un sacchetto di sassi per la lezione di geologia nell’altra.

- Se tutte le donne letterate avessero per marito tali angeli premurosi, vivrebbero più a lungo e scriverebbero di più… sebbene, tutto considerato, non sarebbe poi una grande benedizione per l’umanità, dato che già si scrive troppo nel mondo, – disse la signora Jo, agitando il piumino da spolverare verso il marito il quale, mentre si allontanava per strada, rispose sventolando l’ombrello.

Nello stesso momento Rob si avviava verso la scuola ed era così simile al padre con quei libri, la borsa, quelle spalle quadrate e l’aria tranquilla, che la madre rise e disse allegra: – Dio benedica entrambi i miei professori! Non sono vissute al mondo due creature migliori.

Emil già era andato alla nave in città, ma Ted indugiava in casa per ottenere l’indirizzo che voleva, per saccheggiare la zuccheriera e chiacchierare con «mammina». I due si divertivano moltissimo assieme.

La signora Jo rimise in ordine il proprio studio, dispose i fiori nei vasi e diede quegli ultimi ritocchi che lasciavano la stanza fresca e pulita per tutto il giorno. Avvicinatasi alla finestra per abbassare le tende scorse un artista che faceva uno schizzo seduto sul prato. Allora sospirò e si ritirò frettolosamente per andare a scuotere il piumino alla finestra del cortile.

In quello stesso istante il campanello suonò e si udì nella strada un rumore di ruote.

- Vado io, Mary, falli entrare, – disse Ted, e passatesi le mani tra i capelli per ravvivarli si diresse in ingresso.

- Non ricevo nessuno, dammi la possibilità di scappare di sopra, – mormorò la signora Jo preparandosi a fuggire.

Senonchè, prima ancora che potesse farlo, sulla soglia apparve un uomo che teneva in mano un biglietto. Ted lo accolse con aria severa e la signora si rannicchiò dietro i tendoni della finestra, attendendo il momento buono per svignarsela.

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- Faccio una serie di articoli per il «Saturday Tattler» e prima di tutto ho voluto intervistare la signora Bhaer, – cominciò il nuovo venuto col tono insinuante tipico di quelli della sua razza, mentre gli occhi memorizzavano quanto potevano, perché l’esperienza gli aveva insegnato a sfruttare al meglio il proprio tempo, dato che le sue visite erano sempre brevi.

- La signora Bhaer non riceve mai giornalisti, signore. - Domando soltanto pochi secondi, – disse l’uomo,

spingendosi ancor più all’interno della casa. - La signora non può ricevervi, è uscita, – ribatté Teddy dopo

che un’occhiata furtiva dietro di sé gli aveva rivelato che la povera genitrice era scomparsa: attraverso la finestra, suppose, come le accadeva spesso di fare quando stava per avere la peggio.

- Spiacentissimo. Tornerò in un’altra occasione. Questo è lo studio della signora? Che stanza deliziosa! – e il ficcanaso fece un passo verso il salotto, deciso a vedere quanto gli era possibile anche se nel tentativo avesse dovuto rimetterci la vita.

- No, non è lo studio della signora, – disse Teddy, e gentilmente, ma con fermezza, lo fece ritornare nell’ingresso augurandosi di cuore che la madre fosse riuscita a voltare l’angolo della casa.

- Se poteste dirmi l’età della signora Bhaer, il suo luogo di nascita, la data del matrimonio e il numero dei figli vi sarei molto obbligato, – continuò l’impavido visitatore incespicando nella stuoia d’ingresso.

- La signora ha circa sessant’anni, è nata in Nova Zembla, si è sposata quarant’anni fa, proprio in questo giorno e ha undici figlie. Volete sapere altro, signore? – e il volto grave di Ted era in tal contrasto con la ridicola risposta che il giornalista si riconobbe sconfitto e se ne andò ridendo, mentre una signora seguita da tre fanciulle sorridenti saliva i gradini della casa.

- Veniamo da Oshkosh e non potevamo tornare a casa senza aver visto la cara zia Jo. Le mie figliolette amano i suoi libri e sognano di conoscerla. Sappiamo bene che è molto presto, ma dobbiamo andare a far visita anche a Holmes e Longfeller, a qualche altra celebrità, e così abbiamo pensato di passare prima di tutto da qui. Ditele che c’è la signora Erastus

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Kingsbury Parmalee di Oshkosh, non importa se dobbiamo aspettare. Se la signora non riceve ancora, daremo un’occhiata in giro.

Il tutto fu detto con tale rapidità che Ted potè solo star lì a guardare le tre esuberanti fanciulle le quali lo fissavano con i loro occhi blu così supplici, che la sua naturale cortesia lo costrinse a dar loro almeno una risposta gentile.

- La signora Bhaer non riceve oggi… è uscita proprio in questo momento, credo… Però, se vi fa piacere potete visitare la casa e il giardino, – mormorò tirandosi da parte mentre le quattro avanzavano guardandosi attorno, estasiate.

- Oh, grazie! Il luogo è davvero incantevole. Qui è dove la signora scrive, vero? E dite, questo è il suo ritratto? È proprio come avevo immaginato che fosse!

Con tali commenti le signore si fermarono ad ammirare un’incisione raffigurante la nobile signora Norton con una penna in mano e un’espressione rapita, in capo un bel diadema ed al collo una collana di perle.

Rimanendo serio a stento, Ted additò un ritratto brutto della signora Jo appeso dietro la porta che faceva divertire moltissimo la scrittrice perché aveva un’aria lugubre nonostante uno strano effetto di luce sulla punta del naso e le guance che erano rosse come la sedia su cui sedeva.

- Questo è un ritratto di mia madre, non molto somigliante a dire il vero… – dichiarò, divertendosi allo sforzo eroico delle ragazze che non volevano mostrare la loro delusione nel vedere la triste differenza tra il loro ideale e la realtà.

La più giovane, appena dodicenne, non seppe celare il suo disappunto e voltò le spalle a quell’immagine sentendosi come molti di noi, quando scopriamo che i nostri idoli sono uomini e donne molto comuni.

- Ho creduto che avesse sedici anni e portasse le trecce sulle spalle: ora non mi interessa affatto conoscerla, – disse l’onesta bambina avviandosi alla porta d’ingresso e lasciando la madre a fare le proprie scuse e le sorelle a dichiarare che quel brutto ritratto era «veramente delizioso, espressivo e poetico, ecco, vede, specialmente qui, sulla fronte».

- Andiamo, ragazze, è ora di andare se vogliamo riuscire a far tutto, oggi. Lasciate gli album e domandate che ve li mandino

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quando la signora Bhaer avrà scritto un pensierino. Credete, vi siamo molto, molto obbligate. Presentate i nostri omaggi a vostra madre e ditele che siamo veramente spiacenti di non averla potuta conoscere.

Nell’istante in cui la signora Erastus Kingsbury Parmalee pronunciava queste parole gli occhi le caddero su una donnetta di mezza età fasciata in un grembiule a quadretti e con un fazzoletto legato in testa, intenta a spolverare una stanza alla fine del corridoio e che poteva anche essere uno studio.

- Un’occhiata sola al suo studio privato dato che è fuori, – esclamò l’entusiasta signora, e attraversò l’ingresso seguita dal suo gregge, prima che Teddy potesse avvertire la madre la cui ritirata era stata impedita davanti a casa dall’artista, dal retro dal giornalista, che non se n’era andato, e attraverso l’ingresso e le scale, dalle signore.

- L’ha beccata! – pensò Teddy comicamente disperato. -È inutile che faccia finta di essere la domestica perché hanno visto il ritratto.

La signora Jo fece del suo meglio e, siccome era una buona attrice, se la sarebbe cavata benissimo se il fatale ritratto non l’avesse tradita. La signora Parmalee si fermò davanti alla scrivania e, ignorando la pipa di schiuma lì appoggiata, le pantofole da uomo ad essa vicine e le molte lettere indirizzate al «Professor F. Bhaer», congiunse le mani, esclamando teatralmente: – Ragazze! Questo è il luogo dove ha scritto quelle deliziose, profonde vicende che ci hanno commosse nel più profondo dell’anima. Potrei prendere un pezzetto di carta, una vecchia penna, magari un francobollo usato come ricordo di questa donna eletta?

- Ma certo signora! Fate pure! – rispose la domestica e si allontanò guardando di sottecchi il ragazzo i cui occhi erano pieni di malcelato divertimento.

La maggiore delle tre ragazze vide quello sguardo, intuì la verità, e un’occhiata alla domestica con il grembiule confermò il suo sospetto. Allora toccando la madre mormorò: – Mamma, questa è la signora Bhaer, sono certa!

- Davvero? Ma che dici? Certo! Non c’è dubbio! Ebbene, come è carina! – e, inseguendo la povera infelice che tentava di raggiungere la porta, la signora Parmalee esclamò: -Signora,

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non vi preoccupate per noi! Sappiamo che siete occupata. Lasciate soltanto che vi stringa la mano e ce ne andremo.

Datasi per vinta, la signora Jo si voltò, porse la mano come avrebbe fatto per un vassoio, lasciò che gliela stringessero cordialmente. Intanto, in un accesso di ospitalità allarmante, la matrona diceva: – Se mai verrete a Oshkosh i vostri piedi non potranno sfiorare la strada, signora; la gente sarà così tremendamente felice di vedervi che sarete portata in braccio dagli abitanti.

Jo si ripromise, in cuor suo, di non andare mai in quella città troppo espansiva e intanto rispose il più cordialmente possibile. Dopo aver scritto il proprio nome sui vari album, diede a tutti un ricordino e baciò tutti. Finalmente i visitatori se ne andarono per andare a far visita a Holmes, Longfeller e «le varie celebrità» e, c’è da augurarsi per quelli, che fossero tutti fuori casa.

- Cattivello! Perché non mi hai dato modo di svignarmela? Mio caro, quante frottole hai raccontato a quell’uomo! Spero che i nostri peccati ci saranno perdonati, sebbene proprio non sappia che cosa ne sarà di noi se non riusciremo a trovare il modo di scansarli. Tanti contro uno: non vale!

E la signora Jo attaccò il grembiule nel guardaroba all’ingresso sospirando per le prove a cui era sottoposta.

- Ecco! Ne arrivano altri! Sarà meglio che tu scappi intanto che la via è libera! Io li fermo, – gridò Teddy mentre scendeva i gradini per avviarsi a scuola.

La signora Jo corse in camera sua e, chiusa a chiave la porta, potè ammirare dalla finestra un intero gruppo di fanatici installarsi in giardino, dopo che era stato negato loro l’ingresso, cogliere fiori senza ombra di discrezione, sistemarsi i capelli, fare colazione al sacco e esprimere tranquille, serene, la loro opinione sui luoghi e sugli abitatori dei medesimi prima di andarsene.

Seguì qualche ora di relativa quiete, dopo di che, mentre la signora Jo si disponeva ad un lungo pomeriggio di duro lavoro, Rob salì ad avvertirla che un gruppo di studenti alloggiati alla Young Men’s Christian Union sarebbe andato a visitare il collegio e intanto due o tre che lei già conosceva avrebbero approfittato dell’occasione per andare a presentarle i loro

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omaggi. - Pioverà e perciò mi auguro che non vengano, ma il papà ha

pensato che volessi essere pronta nel caso arrivassero. Comunque, di solito sei sempre pronta ad aprire la porta ai ragazzi, mentre fai difficoltà quando si tratta delle povere signorine, – commentò Rob il quale dal fratello era stato edotto dei fatti svoltisi nella mattinata.

- I ragazzi non fanno smancerie, per questo li sopporto. L’ultima volta che ho accolto un gruppo di signorine, una di esse, mi ha gettato le braccia al collo sospirando: «Amatemi!» Mi è venuto voglia di sculacciarla, – ribatté la signora Jo, scuotendo energicamente la penna.

- Puoi essere sicura che questi ragazzi non faranno mai una cosa simile, però vorranno senz’altro un autografo, allora farai meglio a prepararne una dozzina, – disse Rob e, visto che era un giovane ospitale, sempre d’accordo con quelli che ammiravano sua madre, le porse un pacco di foglietti.

- Non possono essere peggio delle ragazze. Quando sono stata a visitare un certo collegio credo proprio di aver firmato autografi e quando sono andata via ho lasciato un bel pacco di fogli e album. Questa è una delle manie più fastidiose e assurde che siano mai esistite al mondo.

Eppure nonostante tutto la signora Jo buttò giù una dozzina di firme, poi indossò il vestito di seta nero e, si rimise al lavoro rassegnandosi alla visita, sempre augurandosi però che si mettesse a piovere.

Si mise a piovere a dirotto, allora Jo sentendosi sicura, si scompigliò i capelli, tolse i polsini inamidati e si affrettò a finire il capitolo, perché scrivere trenta pagine al giorno era il compito che si era prefissa e voleva finirlo prima che calasse la sera.

Josie aveva colto dei fiori da mettere nei vasi, e stava dando gli ultimi tocchi alla sua composizione floreale quando, dalle parti della collina, vide sopraggiungere un gruppo di ombrelli aperti e sobbalzanti.

- Zia, stanno arrivando. Vedo lo zio che corre per il prato per andare ad accoglierli! – gridò ai piedi della scala.

- Tienili d’occhio e fammi sapere quando imboccano il viale, mi ci vorrà un minuto per rimettermi a posto! – rispose la

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signora Jo e si rimise a scrivere in fretta, perché i romanzi a puntate non possono attendere neppure a causa dell’intera Christian Union.

- Ma sono più di due o tre! Ne vedo almeno mezza dozzina! – gridò dalla porta d’ingresso Ann.

- No, sono una dozzina, credo; zia, guarda fuori! Ma che cosa dobbiamo fare? – strillò Josie, smarrita al pensiero dell’invasione di quella folla.

- Dio ci assista, sono centinaia. Metti subito un catino all’ingresso e di’ che posino li dentro i loro ombrelli per farli sgocciolare. Fai lasciare i cappelli sul tavolo, sull’attaccapanni non ci starebbero. Inutile cercare delle stuoie per salvare i miei poveri tappeti!

E la povera signora Jo discese le scale, pronta a ricevere quella turba, mentre Josie e le domestiche correvano qua e là, disperate all’idea di tante scarpe inzaccherate di fango.

Ed ecco la lunga fila di ombrelli con i pantaloni fradici, macchiati, e i visi rosei di piacere. Infatti i signori, indifferenti alla pioggia, si erano molto divertiti in città. Il professor Bhaer li incontrò al cancello e aveva appena cominciato il discorsetto del benvenuto quando la signora Jo, maternamente preoccupata perché erano tutti inzaccherati, apparve alla porta e li pregò di entrare. Allora, i ragazzi lasciarono il povero professore a parlare a testa nuda sotto la pioggia e spingendosi su per i gradini, felici ed allegri, lottando con gli ombrelli e togliendosi il cappello entrarono in casa.

Ciacchete, ciacchete, ciacchete, il vestibolo fu percorso da settantacinque paia di scarpe infangate, settantacinque ombrelli furono ficcati nell’ospitale portaombrelli mentre i loro proprietari si disperdevano a pianterreno e settantacinque mani, venivano strette cordialmente dalla signora, sebbene alcune fossero bagnate e altre non troppo pulite o sudaticce. Un gruppetto dei più arditi, tra quegli ammiratori impetuosi, presentò, facendo i propri complimenti una tortorella; un altro aveva degli arboscelli che aveva portato via come souvenir da una località ben nota e non ci fu uno che non volle per sé un ricordino di Plumfield. Un pacchetto di carta apparve misteriosamente sul tavolo accompagnato da una richiesta scritta di autografi; così, nonostante il suo voto mattutino, la

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signora Jo scrisse su ciascuna di esse un autografo, mentre il marito ed i figli facevano gli onori di casa.

Josie scappò in un salotto che dava sulla parte posteriore della casa, ma fu trovata da un gruppo di ragazzi partito in esplorazione e, per di più, insultata mortalmente da uno di essi il quale le domandò innocentemente se fosse lei la signora Jo Bhaer.

Il ricevimento non durò molto e finì meglio di com’era iniziato perché la pioggia cessò e un bell’arcobaleno brillò sui ragazzi che allineati sui prati cantavano per accomiatarsi. Quell’arco sopra le giovani teste parve un augurio benefico, come se il Cielo sorridesse alla loro comunità e mostrasse loro che il sole splendeva per tutti, sulla terra fangosa e i cieli piovosi.

Dopo tre grida di evviva i ragazzi se ne andarono lasciando un piacevole ricordo della loro visita alla famiglia che, subito, si affaccendò a vuotare i catini colmi di acqua piovana e a togliere il fango dai tappeti.

- Ragazzi simpaticissimi, laboriosi e onesti, non mi dispiace affatto di aver perduto mezz’ora per loro, e devo finire perciò fate in modo che non mi interrompano più, – avvertì la signora Jo lasciando Mary a chiudere la casa.

Il professor Bhaer ed i suoi figli erano andati ad accompagnare per un tratto di strada gli ospiti, e Josie era scappata a casa a raccontare alla mamma come si era divertita da zia Jo.

La pace regnò per circa un’ora, poi si udì trillare il campanello della porta d’ingresso e Mary giunse ridendo a dire: – Una strana signora domanda se può prendere una cavalletta in giardino.

- Che cosa? – e la signora Jo abbandonò sul foglio la penna che fece una bella macchia d’inchiostro. Fra tutte le richieste strampalate che le erano state fatte, questa sorpassava tutte.

- Una cavalletta, signora. Le ho detto che avevate da fare, le ho domandato che cosa desiderava, e lei mi ha risposto: «Ho preso cavallette nei giardini di molte celebrità e desidero averne una di Plumfield da aggiungere alla mia collezione!» – Si è mai sentita una cosa simile?

E qui Mary riattaccò a ridere pazzamente.

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- Dille che può prendere tutte quelle che ci sono e che è la benvenuta! Sarò ben felice di liberarmi di loro, visto che mi saltano continuamente addosso e non mi lasciano in pace.

Mary si allontanò e tornò dopo poco, e quasi non riusciva a parlare dal ridere.

- Le è molto obbligata, signora. Ora le piacerebbe avere un vostro vecchio abito o un paio di vostre calze da mettere in un tappeto che sta facendo. Ha un panciotto di Emerson, dice, e un paio di calzoni di Holmes e anche un vestito della signora Stowe. Dev’essere matta!

- Dalle quel vecchio scialle rosso, così sarò un angolo allegro tra i grandi di quello strambo tappeto. Gli ammiratori delle celebrità sono tutti un po’ lunatici, ma questa sembra una maniaca inoffensiva perché non mi fa perdere tempo e mi mette di buon umore, – e la signora Jo ritornò al suo lavoro, dopo aver gettato un’occhiata alla signora alta e magra, vestita di nero, che correva per il giardino alla caccia dell’insetto che desiderava.

Non vi furono più interruzioni fino al crepuscolo quando Mary fece capolino attraverso la porta per annunciare che un signore desiderava vedere la signora Bhaer e non avrebbe accettato una risposta negativa.

- Invece deve. Non scenderò per nessuna ragione. È stata una giornata terribile, non voglio essere ancora disturbata, – rispose la povera scrittrice fermandosi a metà del grandioso finale di un capitolo.

- Gliel’ho detto, signora, ma è entrato in casa con una tal faccia di bronzo. Deve essere matto anche lui e, francamente, mi fa un po’ paura; è prepotente, alto, nero di capelli… freddo come il marmo, anche se non è niente male, – aggiunse Mary sorridendo appena; evidentemente lo sconosciuto, a dispetto della sua sfacciataggine, le era piaciuto.

- Mi hanno rovinato la giornata! Devo avere questa mezz’ora per finire. Digli che se ne vada! – dichiarò decisa la signora Jo.

Mary uscì e la padrona che, suo malgrado, era costretta a ascoltare, sentì prima un mormorio di disputa, poi un grido della ragazza, allora, ricordando i modi di fare dei giornalisti e che la ragazza era molto timida e giovane, la signora Jo buttò la penna e accorse in aiuto. Scendendo con la sua aria più

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maestosa si fermò per vedere lo sfacciato scocciatore che sembrava voler dare l’assalto alla casa valorosamente difesa da Mary e con voce solenne domandò: – Ma chi è questo signore che insiste nel restare qui mentre io ho rifiutato di riceverlo?

- Non lo so davvero, signora. Non vuole dire il suo nome ed afferma che se non lo riceverete, ve ne dispiacerete, – rispose Mary sdegnata e furente ritirandosi dalla sua posizione difensiva.

- Non è vero che ti spiacerebbe? – domandò l’estraneo guardando l’irata signora con due occhi ridenti e neri, i denti bianchi smaglianti nello scuro della lunga barba e le mani tese verso di lei mentre le si avvicinava.

La signora Jo aguzzò lo sguardo, perché la voce le era familiare, poi completò lo stupore di Mary buttando le braccia al collo del «brigante» ed esclamando felice: – Ragazzo caro! E da dove arrivi?

- Dalla California, solo per vederti, mamma Bhaer. Non è vero che ti sarebbe dispiaciuto se me ne fossi andato? – rispose Dan, e baciò con affetto la signora.

- Pensare che avevo ordinato di buttarti fuori da casa mia, quando per più di un anno ho tanto desiderato rivederti! -disse ridendo la signora Jo, e scese per chiacchierare con il suo vagabondo che si era divertito immensamente per quello scherzetto.

Capitolo quarto Dan Molte volte la signora Jo aveva pensato che Dan avesse

sangue indiano nelle vene, non soltanto per il suo amore per la vita errabonda e selvaggia, ma anche per il suo aspetto esteriore che diventava sempre più esotico con il passare degli anni.

A venticinque anni era molto alto, con braccia e gambe muscolose, un volto intelligente, bruno, lo sguardo vivo della persona i cui sensi son ben vivi; energico, di maniere brusche, pronto all’azione e alla parola, gli occhi pieni dell’antico fuoco, sempre attento come se fosse abituato a stare in guardia, nel

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complesso un’aria di vigore e freschezza affascinanti per coloro che conoscevano i pericoli e le gioie della sua vita avventurosa.

Era nella sua forma migliore, mentre sedeva chiacchierando con Mamma Bhaer, la sua mano forte e abbronzata in quelle di lei e un mondo d’affetto nella sua voce, mentre diceva: – Come avrei potuto dimenticare i vecchi amici e l’unica casa che abbia mai conosciuto? Avevo tanta fretta di venir qui e raccontarvi la mia fortuna che non mi sono neppure fermato a riassettarmi sebbene sapessi di sembrare più che mai un bufalo selvaggio, – concluse scuotendo il capo nero e ricciuto; poi si stiracchiò la barba e rise così forte da far risuonare la stanza.

- Caro, sai quanto mi sono sempre piaciuti i banditi e tu ci assomigli proprio. Mary che è nuova, ha avuto un po’ paura del tuo aspetto e delle tue maniere; Josie non capirà chi sei forse, ma Ted riconoscerà il suo Danny nonostante quel barbone e tutti quei capelli. Tra un po’ saranno qui tutti qui a darti il benvenuto; però, prima che arrivino, parlami di te, te ne prego. Sono quasi due anni da quando sei stato qui, l’ultima volta! Come te la sei passata? – domandò la signora Jo la quale aveva ascoltato con materno interessamento il racconto della sua vita in California e l’inaspettato successo in un piccolo investimento di capitale che aveva fatto.

- Benissimo! Come sai, il danaro non mi interessa affatto, preferisco guadagnare il poco per vivere che avere preoccupazioni con il molto. Devo confessarti che mi ha divertito il fatto che mi piovesse così dal cielo e che quindi io avessi modo di darlo a chi ne aveva bisogno. Inutile mettere da parte, ti assicuro; non vivrò tanto da diventar vecchio ed averne bisogno, almeno non la gente della mia razza, – disse Dan, con l’aria di uno che è oppresso dal suo capitale.

- Ma se un giorno ti sposerai e ti sistemerai da qualche parte, il che io mi auguro che prima o poi accada, avrai pur bisogno di qualcosa per cominciare. Sii prudente, investi il tuo danaro e non spenderlo perché i giorni grigi vengono per tutti, purtroppo, e tu sopporteresti male di dover dipendere da qualcuno, – disse la signora Jo con aria molto saggia, anche se le piaceva vedere che la febbre dei soldi non aveva ancora afferrato il suo caro e fortunato ragazzo.

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Dan scosse il capo e si guardò attorno nella stanza come se la trovasse già troppo stretta e desiderasse di nuovo l’aria aperta e gli spazi sconfinati.

- Chi sposerebbe un giramondo come me? Le donne preferiscono gli uomini con la testa sul collo ed io non sarò mai così.

- Figlio mio, quando ero ragazza mi piacevano enormemente gli uomini avventurosi, proprio come te; tutto ciò che è nuovo, coraggioso, libero e romantico attrae sempre noi donne. Non ti perdere d’animo, un giorno, anche tu, troverai un’ancora e sarai ben contento di fare viaggi più brevi e di portare a casa carichi preziosi.

- Che cosa ne diresti se un giorno ti portassi a casa una donna indiana? – domandò Dan con uno sguardo birichino negli occhi che si soffermavano sul busto marmoreo di Galatea che si stagliava, bianco e grazioso, in un angolo della stanza.

- La accoglierei a braccia aperte se fosse una buona creatura… perché, c’è forse qualcosa in aria? – e la signora Jo fissò il giovane con quell’interessamento che le faccende amorose ridestavano persino nelle donne più intellettuali, – Non per il momento, questo è certo. Sono troppo impegnato ad «andare a zonzo», come dice Ted. E come sta il nostro ragazzo? – domandò Dan, abilmente cambiando il discorso, come se ne avesse avuto già abbastanza di quei sentimentalismi.

La signora Jo cominciò allora a parlare del talento e delle virtù dei figli e continuò fin quando i due ragazzi non sopraggiunsero e si buttarono su Dan come due giovani orsi affezionati, trovando modo di manifestare la loro gioia una sorta di corpo a corpo, in cui ebbero la peggio perché Dan li sistemò subito. Finalmente sopraggiunse il professore e allora le loro lingue vorticarono come pale di mulino mentre Mary accendeva le luci nella casa e la cuoca si dedicava a preparare una buona cenetta, indovinando, per istinto, che quell’ospite era il benvenuto.

Dopo il tè, Dan si mise a passeggiare in lungo e in largo per la stanza e intanto raccontava le proprie avventure; spesso faceva una capatina nell’ingresso per respirare aria più fresca come se i suoi polmoni ne avessero più bisogno di quelli della gente civilizzata. E fu appunto durante una di queste capatine

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che vide, inquadrata nel vano scuro della porta, una figuretta bianca e si fermò a guardarla. Bess, la quale non aveva riconosciuto il vecchio amico, rimase anch’ella immobile, ignara di formare un bel quadretto, lei così alta, slanciata, con i capelli d’oro come un alone intorno al capo, e le estremità del suo scialle bianco che le svolazzavano attorno nel vento della sera.

- Sei tu, Dan? – domandò entrando, con un grazioso sorriso e la mano tesa.

- Sembrerebbe proprio. Non ti avevo riconosciuta, Principessa; ho creduto che fossi un’apparizione! – rispose Dan, guardandola con un’espressione curiosamente dolce e stupita.

- Io sono cresciuta, è vero, ma tu, in due anni, sei cambiato completamente, – e Bess guardò con ingenuo compiacimento la figura pittoresca che le stava dinanzi, tanto contrastante con tutte le persone presenti, così ben vestite.

Prima che i due potessero dire di più Josie arrivò precipitosamente dimenticandosi della dignità che comportavano i suoi tredici anni da poco compiuti, lasciò che Dan la prendesse in braccio e la baciasse come fosse stata una bambina. Soltanto quando la mise giù si accorse che anche lei era cambiata ed allora, con comico sgomento, esclamò: – Perbacco! Anche tu sei cresciuta? Che farò dunque io che non avrò più nessun bambino con cui giocare? Ted è diventato una pertica, Bess è una signorina e, perfino tu, chicco di senape, ti dai arie e hai allungato le gonne.

Le ragazze risero, Josie arrossì, guardando il giovanotto alto e rendendosi conto di essersi lasciata eccessivamente trasportare dalla propria espansività.

Le due cugine, l’una bianca e bella come un giglio, l’altra simile a una rosellina selvatica, facevano un delizioso contrasto; Dan le guardò con vivo compiacimento. Nei suoi viaggi aveva conosciuto tante belle ragazze ed era contento che le vecchie amiche stessero sbocciando così bene.

- Ehi, voi due! Non vi permettiamo di monopolizzare Dan! – disse la signora Jo. – Riportatelo qui e tenetelo d’occhio, altrimenti se la svignerà per un viaggetto di uno o due anni, prima che abbiamo avuto il tempo di vederlo.

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Condotto dalle due graziose carceriere, Dan tornò in salotto, per ricevere un rimprovero da Josie perché era cresciuto più di tutti i suoi coetanei e aveva preso per primo l’aria di un uomo.

- Emil è più vecchio di te, eppure è ancora un ragazzino; salta e balla, canta le canzoni di mare come una volta. Tu dimostri trent’anni, sei alto e nero come il cattivo dei drammi teatrali. Ma guarda! Mi viene un’idea! Sei proprio adatto per la parte di Arbace negli Ultimi giorni di Pompei. La vogliamo rappresentare: abbiamo i leoni, i gladiatori e l’eruzione del vulcano. Tom e Ted, durante lo spettacolo, rovesceranno dei secchi di cenere e faranno rotolare barili di sassi. Avevamo bisogno di un uomo molto bruno per la parte dell’egiziano e tu sarai fantastico, vestito di tuniche rosse e bianche. È vero, zia Jo?

Questo diluvio di parole costrinse Dan a tapparsi le orecchie con le mani; prima che la signora Bhaer avesse avuto modo di rispondere alla sua impetuosa nipote, sopraggiunsero i Laurence accompagnati da Meg e dalla sua famiglia, seguiti poco dopo da Tom e Nan; tutti sedettero ad ascoltare le avventure di Dan narrate in modo conciso ed efficace come dimostravano le varie espressioni di meraviglia, di gioia, di piacere e di ansia dipinte sul volto dei presenti attorno a lui. I ragazzi tutti avrebbero voluto partire immediatamente per la California e andare a far fortuna; le fanciulle riuscivano a malapena ad attendere di vedere le cose curiose e carine che l’amico aveva scelto per loro durante i suoi viaggi. Le persone più mature si congratularono in cuor loro per l’energia e le buone prospettive che il loro «ragazzo ribelle» possedeva.

- Certo tu vorrai tornare a tentare un altro colpo di fortuna ed io mi auguro che tu ce la faccia, ma attento, perché la speculazione è un giuoco rischioso e potresti perdere ciò che hai guadagnato, – disse il signor Laurie il quale si era divertito molto alla narrazione di quelle avventure come avevano fatto i ragazzi e, come loro, avrebbe desiderato vivere anche lui le esperienze di Dan.

- Per il momento ne ho abbastanza perché ci sono troppi rischi. Anche se è proprio questo che m’interessa so che non mi fa troppo bene. Vorrei, invece provare ad organizzare una

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fattoria all’Ovest perché, fatto su larga scala, è un lavoro interessantissimo; d’altra parte, dopo tanto vagabondare, ho l’impressione che un lavoro assiduo, costante, mi farebbe piacere. Quando sarò avviato, mi manderete le vostre pecore nere per popolare il mio allevamento; in Australia mi sono dedicato, per un po’ di tempo, alle pecore e ora me ne intendo abbastanza di quelle di razza nera.

Una bella risata fece sparire dal viso di Dan l’espressione seria; quelli che lo conoscevano bene, capirono che a San Francisco aveva subito una dura lezione e non osava ricominciare.

- Ottima idea, Dan! – esclamò la signora Jo, vedendo con grandi speranze quel suo desiderio di stabilirsi in un luogo e di lavorare alacremente. – Così sapremo sempre dove ti trovi, potremo venire a trovarti e non ci sarà metà del globo fra di noi. Manderò a farti visita il mio Ted, è tanto irrequieto che gli farà bene. In tua compagnia sarà al sicuro, potrà mettere a profitto il suo eccesso di energie e imparerà un lavoro sano.

- Maneggerò perfettamente la zappa e il rastrello se mi si darà la possibilità, ma le miniere del Montana mi attirerebbero molto di più, – dichiarò Ted, esaminando con molto interesse i campioni di minerali auriferi che Dan aveva portato in dono al professore.

- Voi andrete, fonderete una nuova città e, quando saremo pronti a migrare, verremo e ci stabiliremo là. A un certo punto avrete bisogno anche di un giornale e a me piace l’idea di fondarne e dirigerne uno a mio modo piuttosto che sgobbare da mattina a sera come faccio adesso, – osservò Demi, ansioso di emergere nel mondo giornalistico.

- Potremo anche costruire un nuovo collegio laggiù perché questi uomini dell’Ovest, un po’ ignoranti, hanno fame di cultura e sono pronti a scegliere la scuola che dà la migliore istruzione, – aggiunse il signor March sempre giovane e immaginando già di vedere fiorire nello spazioso occidente scuole e istituti uguali a quello che già dirigeva.

- Coraggio, Dan, l’idea è ottima e noi ti sosterremo. Non mi dispiacerebbe affatto investire il mio danaro in praterie e cow-boys, – disse il signor Laurie sempre pronto ad aiutare i giovani che si volevano fare strada, sia con le parole di

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incoraggiamento che con la propria borsa sempre aperta. - Un po’ di danaro è indispensabile ad un giovane e investirlo

in terreni lo lega a un posto, almeno per un po’. Mi piacerebbe davvero vedere di che cosa sono capace, però, prima di prendere una decisione, penso che mi consiglierei con voi. Ho i miei dubbi sul fatto che mi terrebbe fermo a lungo ma, in ogni caso, sarei sempre padrone di tagliare i ponti con tutto se mi stancassi, – annunciò Dan il quale era commosso e compiaciuto dell’interessamento di quegli amici carissimi ai suoi progetti.

- Sono sicura che non ti piacerà a lungo. Quando uno ha avuto l’intero mondo per spaziarvi, una fattoria deve sembrargli sempre piccola e poco interessante, – disse Josie che, dal canto suo, preferiva il lato romanzesco della vita vagabonda che le procurava storie emozionanti e regalini dopo ogni viaggio.

- C’è qualcuno che si occupa d’arte da quelle parti? – domandò Bess pensando in cuor suo quale splendido studio di bianco e nero sarebbe stato Dan mentre lui, parlando con gli amici, stava li, metà in ombra e metà alla luce.

- C’è tanta natura, là, mia cara, ed è molto meglio che sia così. Tu ci troveresti magnifici esemplari di fauna da scolpire, paesaggi che non hai mai visto in Europa. Perfino le semplici zucche sono grandiose in quei luoghi. Tu, Josie, potresti recitare Cenerentola dentro una di quelle quando aprirai il tuo teatro a Dansville, – disse il signor Laurie, desideroso di non gettare acqua sul fuoco sul nuovo progetto.

Josie, maniaca com’era del palcoscenico, fu conquistata immediatamente e, quando le ebbero promesso tutte le parti tragiche su quella scena non ancora costruita, provò un grande interesse nel progetto e incoraggiò Dan a non perdere tempo ed iniziare subito il suo esperimento. Anche Bess ammise che gli studi della natura le avrebbero giovato molto, i paesaggi selvaggi avrebbero migliorato il suo gusto che, a lungo andare, sarebbe potuto divenire sdolcinato, se davanti a lei avesse avuto solo luoghi delicati e aggraziati.

- Io farò il medico della nuova città, – disse Nan la quale era sempre alla ricerca di nuove imprese. – Sarò pronta per quando la città sarà costruita, e le città da quelle parti crescono come funghi.

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- Dan non permetterà a nessuna donna sotto ai quaranta di risiedere nella sua città. Non gli piacciono le ragazze, specialmente se giovani e graziose, – intervenne Tom che era furiosamente geloso dell’ammirazione per Nan che leggeva negli occhi di Dan.

- Questo non mi interessa affatto, i medici fanno eccezione a qualsiasi regola. A Dansville, non vi saranno molti ammalati perché tutti condurranno una vita attiva e sana, e poi laggiù andrà soltanto gente giovane. Invece saranno frequenti gli incidenti provocati dal bestiame selvaggio, le cavalcate veloci, le schermaglie con gli indiani e l’imprudenza della vita all’Ovest: questo mi andrà benissimo: sogno già ossa rotte. La chirurgia è così interessante e qui non c’è modo di esercitarla, – dichiarò Nan ansiosa di esporre la targa di dottore e di cominciare subito il suo lavoro.

- Bene, ti accetterò, dottore, e sarò molto fiero di mostrare ciò che possiamo fare noi giovani dell’Est. Sbrigati a compiere i tuoi studi e, non appena avrò un tetto da ripararti, ti manderò a chiamare. Io stesso prenderò lo scalpo di qualche pellirossa e picchierò una dozzina o più di cow-boys a tuo totale beneficio, – disse ridendo Dan compiaciuto dello spirito intraprendente della bella figura di Nan che la faceva risaltare rispetto alle altre ragazze.

- Grazie! Scusa… Ora vorresti lasciarmi guardare il tuo braccio? Che splendido bicipite! Ragazzi, guardate qui, ecco ciò che io chiamo muscoli! – e Nan, improvvisò una breve lezione con l’aiuto del braccio di Dan ad illustrarla.

Tom, intanto, si era rifugiato sotto il pergolato e guardava in cagnesco le stelle, scuotendo il braccio destro con un movimento vigoroso che sembrava voler atterrare qualcuno.

- Fate di Tom un becchino. Si divertirà moltissimo a sotterrare gli ammalati uccisi da Nan; in questo momento sta cercando di trovare l’espressione adatta al suo prossimo lavoro. Non dimenticartene, Dan, – disse Ted, spostando l’attenzione verso il ragazzo triste, nell’angolo.

Per fortuna, Tom non era tipo da tenere a lungo il broncio ed uscì dal suo breve esilio con una gaia proposta.

- Sentite, faremo così; consiglieremo le autorità cittadine di trasferire a Dansville tutti i casi di vaiolo, febbre gialla e colera

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che ci saranno; Nan sarà contenta e i suoi errori tra emigranti e forzati, non avranno grande importanza.

- Dan, io ti consiglierei di mettere le tende vicino Jacksonville o a un’altra città come questa e in tal modo potresti godere della società di gente colta. A Jacksonville c’è «il circolo Platone» e anche una sete di filosofia veramente inestinguibile. Tutto ciò che viene dall’Est è bene accolta e nuove imprese fiorirebbero su un suolo così fertile, – osservò il signor March che, seduto tra i più anziani, si godeva quella scena vivace.

L’idea di Dan che studiava Platone era molto divertente ma nessuno, all’infuori del malizioso Ted, ne rise; Dan si affrettò a manifestare un altro progetto che gli ribolliva in quel suo cervello sempre al lavoro.

- Non sono certo che l’idea di mandare avanti una fattoria possa realizzarsi e mi sento fortemente attratto verso i miei vecchi amici, gli Indiani del Montana. Sono una pacifica tribù che ha molto bisogno di aiuto. Centinaia e centinaia sono morti di fame perché non è stato dato loro ciò che gli spettava. I Sioux, invece, combattono, sono forti di trentamila uomini, così il governo ha paura e dà loro tutto quello che vogliono. Una dannata vergogna, vi dico! – Dan interruppe l’imprecazione che gli era sfuggita dalle labbra, ma gli occhi gli sfavillavano. – Sì, è proprio così, e non vi domanderò scusa per la mia espressione, – continuò. – Se quando ero tra quei poveri diavoli avessi avuto qualche soldo avrei dato loro sino all’ultimo spicciolo; sono stati cacciati dalla loro terra, e aspettano pazientemente dopo che li hanno portati in luoghi che non producono assolutamente nulla. Sono convinto che persone oneste potrebbero fare molto per loro, e sento che dovrei andar là a dare una mano. Conosco il loro linguaggio e fraternizzo con loro. Ora posseggo qualche migliaio di dollari e non sono sicuro di avere il diritto di spenderli per me e godermeli. Non vi pare?

Dan aveva un’aria molto adulta e responsabile, mentre guardava gli amici, eccitato, rosso in volto e vibrante; tutti provarono quella compassione che unisce i cuori col legame della pietà verso coloro che soffrono immeritatamente.

- Questo devi fare! Sì, proprio questo! – gridò la signora Jo

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esaltata; la disgrazia la interessava molto di più della buona sorte.

- Sì, aiuta quegli infelici, – fece eco Ted, e batté le mani come se fosse a teatro, – prendimi con te per darti una mano. – Ho una voglia matta di andare a stabilirmi tra quella brava gente e andare a caccia.

- Parliamone un po’ di più e vediamo se è una cosa saggia, – interruppe il signor Laurie il quale già, in cuor suo, aveva deciso di popolare le vaste praterie, non ancor comperate, con gli Indiani del Montana, e di aumentare le sovvenzioni a quelle organizzazioni che mandavano missionari a quelle popolazioni infelici.

Dan si gettò subito a capofitto nel racconto di ciò che aveva visto presso i Dakota e le altre tribù del Nord-Ovest, raccontando dei torti subiti, della loro pazienza, del loro coraggio, come se fossero stati suoi fratelli.

- Mi chiamavano Dan, Nube di Fuoco, perché il mio fucile era il migliore che avessero mai visto, e Corvo Nero era l’amico prezioso che tutti desidererebbero avere, mi ha salvato la vita più di una volta e mi ha insegnato ciò che sarebbe stato utile fare in caso desiderassi tornare. La fortuna non gira nel verso giusto per loro e vorrei pagare i miei debiti.

Da quel momento tutti furono interessati e Dansville perse di fascino, ma il prudente signor Bhaer obiettò che una persona onesta tra tante non avrebbe potuto far molto, per quanto nobile fosse stato il suo tentativo, perciò gli consigliava di pensarci su bene, di ottenere l’appoggio delle autorità prima di prendere qualunque decisione.

- Certo, lo farò. Andrò nel Kansas e vedrò come si mettono le cose. Ho incontrato un tale a San Francisco che è stato là e me ne ha parlato bene. Il fatto è che c’è tanto da fare ovunque che non so più da qual parte cominciare e quasi mi piacerebbe non avere un centesimo, – dichiarò Dan, e aggrottò la fronte, esprimendo quella perplessità che tutte le anime buone provano quando, ansiose di compiere anch’esse della carità terrena, si dispongono ad aiutare gli infelici della terra.

- Terrò io il tuo danaro finché non avrai deciso. Tu sei tanto impulsivo che forse lo daresti alla prima persona che ti chiede l’elemosina. Te lo terrò mentre progetti e te lo restituirò

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quando avrai stabilito in qual modo vorrai investirlo, va bene? – domandò il signor Laurie il quale, fin dall’epoca della sua giovinezza stravagante, aveva imparato ad essere saggio.

- Grazie, signore, sarò felice di liberarmene. Terrete il mio danaro fin quando io non vi dirò in qual modo intendo farlo fruttare e se nel frattempo dovesse accadermi qualcosa, lo userete per aiutare un altro bricconcello, come avete fatto con me. Questa è la mia volontà e voi ne siete testimoni ed ora che l’ho manifestata, mi sento meglio, – concluse Dan, e dopo aver dato al signor Laurie la borsa in cui teneva la sua piccola fortuna, raddrizzò le spalle, come sollevato di un enorme peso.

Nessuno prevedeva cosa sarebbe successo prima che Dan tornasse a riprendersi il suo danaro, né si pensava che quella sua dichiarazione fosse quasi un testamento. Allora, mentre il signor Laurie spiegava in qual modo lo avrebbe investito, si udì un’allegra voce cantare:

Peggy era una bella ragazza, dai ragazzi, tirate le gomene! Mai non negava al suo Jack un bicchierino, dai ragazzi, tirate le gomene! E quando lui sull’oceano se ne andò alla promessa lei tenne

fede, dai ragazzi, tirate le gomene! Emil, che annunciava sempre così il suo arrivo, arrivò dopo

un attimo accompagnato da Nat che aveva passato l’intera giornata in città a dare lezioni. Era bello vedere Nat sorridere radiosamente al suo amico mentre gli stringeva calorosamente la mano, e ancora meglio era vedere come Dan si ricordasse quanto doveva all’amico, faceva del suo meglio con i modi rudi che gli erano abituali, per dimostrargli la sua riconoscenza. Dopo di che i due viaggiatori si misero a parlare delle loro avventure e snocciolarono storielle per sbalordire gli amanti della terraferma e della vita comoda.

Con questi nuovi arrivi la casa sembrava non poter più contenere i più giovani che allora si radunarono sotto il portico sedendosi sui gradini, mentre il signor March e il professore si ritirarono nello studio, Meg ed Amy andarono a sorvegliare in

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cucina la preparazione dei dolci e il signor Laurie e la signora Jo stavano sul balcone ad ascoltare l’allegro chiacchiericcio che proseguiva là fuori.

- Ecco il nostro gregge radunato! – esclamò la signora additando il gruppo dei giovani davanti a loro. – Gli altri sono morti o lontani, ma questi sette ragazzi e queste quattro ragazze sono il mio conforto e il mio orgoglio. Se aggiungiamo Alice Heath la dozzina è completa ed io ho sempre da fare per guidare queste giovani vite tanto quanto l’umana saggezza può fare.

- Se pensiamo a quanto sono cambiati dal giorno in cui li accogliemmo, possiamo dichiararci soddisfatti, – rispose il signor Laurie mentre i suoi occhi si posavano sulle teste brune e nere e soprattutto su quella bionda che la luna crescente illuminava più delle altre.

- Le ragazze non mi preoccupano, Meg bada a loro ed è tanto tenera e paziente che non possono non far bene, ma i ragazzi si fanno sempre più irrequieti e sembrano allontanarsi sempre più ogni volta che se ne vanno. Cresceranno, – sospirò la signora Jo, – ed io li terrò soltanto per un filo sottilissimo che può rompersi da un momento all’altro come è accaduto per Jack e Ned. A Dolly e George piace tornare a trovarci e quindi io li posso sempre guidare, il caro Franz è troppo leale per dimenticare gli insegnamenti ricevuti, ma quei tre che stanno per riprendere il loro volo nel mondo mi preoccupano. Il buon cuore di Emil lo terrà sempre sulla retta via, spero, e poi «un piccolo dolce angioletto siede lassù e protegge la vita del povero Jack»; in quanto a Nat che spiccherà il suo primo volo, è ancora debole nonostante la tua influenza. Dan invece è ancora il nostro «Selvaggio» e ho paura che gli ci vorrà qualche bella lezione per calmarsi.

- Dan è un ragazzo che merita e quasi rimpiango quel progetto della fattoria; una levigatina basterebbe per farne un vero gentiluomo, e chissà cosa potrebbe diventare se rimanesse tra noi, – disse il signor Laurie, chinandosi verso la sedia della signora Jo come usava fare in altri tempi, quando condividevano i loro piccoli segreti.

- Non andrebbe bene, Teddy. Il lavoro e la libertà assoluta che ama faranno di lui un galantuomo e questo sarà meglio delle

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raffinatezze, senza contare i pericoli, poi, che una vita troppo superficiale in città gli offrirebbe. Noi non possiamo cambiare la sua natura, possiamo soltanto aiutarla a svilupparsi nella giusta direzione. I vecchi istinti ci sono e devono essere controllati o finirà male, di questo sono sicura, e l’affetto che nutre per noi è una garanzia. Dovremo tenerlo legato a noi fin quando non sarà più maturo o non avrà un legame più forte che lo sostenga.

La signora Jo parlava gravemente, perché conoscendo Dan meglio di chiunque altro, sapeva bene che non era completamente domato e che perciò la vita sarebbe stata dura con lui. Era sicura che prima di ripartire, lui le avrebbe lasciato gettare uno sguardo nel suo animo e allora avrebbe potuto dargli il consiglio o la parola d’incoraggiamento di cui aveva bisogno. Si disse perciò che avrebbe lasciato fare al tempo e intanto lo avrebbe studiato, felice di vedere che prometteva bene, pronta a scorgere il male che la vita gli avrebbe fatto. Era ansiosa di vederlo riuscire brillantemente perché gli altri prevedevano per lui un completo fallimento, ma poiché aveva imparato per certo che non si possono plasmare le creature come la creta, si accontentava di sperare che il ragazzo ribelle diventasse un uomo onesto, senza pretendere altro. E già questa speranza era molto perché Dan era pieno di impulsi imprevedibili, di passioni forti e aveva una natura selvaggia, senza leggi. Nulla lo frenava se non l’unico affetto della sua vita, il ricordo di Plumfield, il timore di deludere gli amici fedeli, l’orgoglio che spesso è più forte dei principi e lo induceva a voler conservarsi la stima di coloro i quali lo amavano e ammiravano a dispetto dei suoi difetti.

- Non ti agitare, cara. Emil è un bambinone e cadrà sempre in piedi. Mi occuperò seriamente di Nat e in quanto a Dan, mi sembra avviato sulla buona strada. Lasciamo che vada a dare un’occhiata al Kansas, e se un giorno il progetto della fattoria non avrà più fascino per lui, potrà tornare dagli Indiani del Montana e fare del bene là. È straordinariamente adatto per questa missione e spero deciderà di affrontarla. Proteggere i deboli e combattere gli oppressori terranno occupate le sue energie altrimenti pericolose, e la vita che gli sarà offerta sarà adatta a lui certo più di quella dell’allevatore di bestiame o del

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contadino. - Mi auguro che tu abbia ragione. Ed ora che cosa succede? –

domandò la signora Jo, e si protese ad ascoltare le esclamazioni di Ted e di Josie che giungevano al suo orecchio.

- Un puledro! E possiamo cavalcarlo! Dan, sei un portento! – esclamò il ragazzo.

- Un costume da indiana! Ora potrò fare la parte di Namioka se i ragazzi reciteranno Metamora, – aggiunse Josie, battendo le mani.

- Una testa di bufalo per Bess! Dio benedetto, come ti è venuto in mente di portarle una cosa così orribile? – domandò Nan.

- Ho pensato che le avrebbe giovato scolpire qualcosa di forte e naturale. Non riuscirà mai a nulla se si accontenterà sempre di fare degli dei leziosetti o gattini domestici, – rispose l’impertinente Dan, che ricordava che durante la sua ultima visita Bess era disperatamente indecisa tra scolpire una testa di Apollo o un gatto persiano.

- Ti ringrazio. Ci proverò e, se fallirò, potremo appendere la testa di bufalo in ingresso ricordandoci di te, – rispose Bess, sdegnata che avessero offeso gli dei da lei idolatrati, ma troppo educata per rivelarlo se non nel tono che, in quel momento, era dolce ma glaciale come un cono gelato.

- Non verrai certamente a vedere la nostra bella colonia quando lo faranno gli altri, vero? Troppo rozza per te… – domandò Dan, cercando di assumere il tono deferente che tutti gli altri ragazzi usavano quando si rivolgevano alla «Principessa».

- Andrò a Roma a studiare parecchi anni. In quella città è raccolta tutta la bellezza e tutta l’arte del mondo, la vita intera non basta per goderne, – rispose Bess.

- Roma è una vecchia tomba ammuffita in confronto al «Giardino degli Dei» e alle mie magnifiche Montagne Rocciose. Non me ne importa un fico secco dell’arte, solo la natura ha valore per me e ti assicuro che potrei mostrarti delle cose che farebbero volare in aria i tuoi vecchi maestri come degli aquiloni. Farai meglio a venire e mentre Josie cavalcherà i puledri, tu li scolpirai. Se una mandria di circa un centinaio di puledri selvaggi non ti parlerà di bellezza, io ci rinuncerò, –

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esclamò Dan entusiasmandosi per la grazia selvaggia e l’energia delle quali sapeva godere ma non riusciva a descrivere.

- Verrò un giorno con il papà e vedrò se i tuoi cavalli sono meglio di quelli di San Marco o di quelli del Campidoglio. Non schernire i miei dei ed io farò del mio meglio per farmi piacere i tuoi, te ne prego, – pregò Bess cominciando a pensare che valesse la pena di andare a visitare l’Ovest sebbene non vi fossero ancora apparsi un Raffaello o un Michelangelo.

- Affare fatto! Penso che la gente dovrebbe vedere il proprio paese prima di filarsela all’estero, come se il nuovo mondo non valesse la pena di essere scoperto, – cominciò Dan pronto a sotterrare l’ascia di guerra.

- Riconosco che il nuovo mondo offre dei vantaggi, ma non tutti. Le donne in Inghilterra possono votare e noi, invece, no; mi vergogno dell’America perché non è all’avanguardia nelle cose giuste, – esclamò Nan la quale aveva idee progressiste su tutte le riforme e si preoccupava dei propri diritti dato che doveva combattere per farne valere alcuni.

- Per carità, non cominciamo con questo argomento che porta sempre a liti, discussioni e insulti senza che si giunga mai ad un accordo. Stiamo tranquilli e godiamocela questa sera, te ne prego, – supplicò Daisy la quale odiava le discussioni tanto quanto Nan le amava.

- Nella mia città potrai votare quanto vuoi, te lo prometto, potrai essere sindaco, consigliere e amministrare tutto. La mia città sarà libera come l’aria o altrimenti io non potrò viverci, – disse Dan, e aggiunse ridendo: – Vedo che la signora Shakespeare Smith e la signora Pazzerella non vanno d’accordo più di quanto facessero una volta.

- Se tutti fossimo sempre della medesima opinione non si farebbero passi avanti. Daisy è tanto cara, ma tende ad essere un po’ retrograda e allora io cerco sempre di scuoterla e in autunno la porterò a votare. Demi ci accompagnerà a fare l’unica cosa che ci è permessa, per ora.

- Le accompagnerai veramente, Pretino? – domandò Dan usando l’antico soprannome. – Nel Wyoming le elezioni vanno benissimo.

- Sarò ben orgoglioso di farlo; la mamma e le zie vanno a

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votare ogni anno, Daisy verrà con me; ancora oggi lei è la mia migliore amica, né io ho intenzione di dimenticarmi di lei, – disse Demi, e cinse con un braccio la vita della sorella alla quale era più affezionato che mai.

Dan li guardò malinconico, pensando quanto dovesse essere dolce avere un tale affetto nella vita e allora la sua triste giovinezza, con le sue lotte, gli parve più solitaria che mai. Tom emise un sospiro che sembrava il vento nella tempesta e che vanificò quell’atmosfera sentimentale, e disse, grave: – Ho sempre desiderato avere un gemello. E così piacevole avere qualcuno al quale appoggiarsi per essere confortati quando le altre ragazze ti fanno soffrire.

Poiché la sfortunata passione di Tom era il continuo bersaglio degli scherzi familiari, quella allusione fece ridere tutti, e le risate aumentarono quando Nan tirò fuori una boccetta di Nux dicendo nel suo tono professionale: – Sapevo che avevi mangiato troppa aragosta: prendi quattro pillole e il mal di stomaco ti passerà all’istante. Tom sospira sempre e fa lo sciocco quando ha mangiato troppo.

- Bene, prenderò le pillole visto che sono le sole cose dolci che mi offri -. E Tom bofonchiando, trangugiò la dose prescritta.

- «Chi può guarire lo spirito infermo o sradicare un grande dolore?» citò Josie con aria tragica dall’alto della ringhiera.

- Vieni con me, Tommy, ed io farò di te un uomo: lascia le pillole e le polverine, gira il mondo per un po’ e in breve dimenticherai di avere un cuore e perfino uno stomaco, -propose Dan offrendo la sua panacea per tutti i mali.

- Vieni con me a navigare, Tom. Un buon attacco di mal di mare ti rimetterà in sesto e un colpo di vento di tramontana spazzerà via i tuoi crucci. Vieni con me come chirurgo e in cambio avrai una comoda cuccetta e divertimenti a non finire.

E se la tua bella si arrabbia, ragazzo, e disprezza la tua giubba blu, spiega la vela verso altri porti e cercati una che ti ami di più. - aggiunse Emil che aveva una canzone per alleviare ogni

cruccio e ogni dolore e le offriva spontaneamente agli amici.

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- Ci ripenserò quando avrò la laurea, non intendo sgobbare tre anni e non avere un pezzo di carta da mostrare. Fino ad allora…

-… non abbandonerò mai la signora Micawber6, – s’inserì Teddy, e fece una risata gorgogliante.

Tom con uno spintone lo fece ruzzolare per le scale nell’erba bagnata; prima che questa piccola schermaglia avesse termine il tintinnio di cucchiaini da tè li richiamò ad un piacevole rinfresco. In altri tempi le bambine, per evitare ogni disordine, badavano ai ragazzi, ora i giovani si affrettavano a servire le fanciulle e le signore. Questo piccolo particolare dimostrava chiaramente quanto il tempo avesse cambiato tutto.

E com’era piacevole quella nuova consuetudine! Perfino Josie se ne stava immobile al suo posto e lasciava che Emil le portasse le ciliegie; certo si rallegrava in cuor suo di essere tanto cresciuta di grado, fin quando Ted non le rubò il dolce, al che dimenticò le buone maniere e lo castigò dandogli un colpo sulle nocche delle dita. Come ospite d’onore a Dan era permesso soltanto di servire Bess che, in quel piccolo mondo, occupava il posto più alto. Tom stava scegliendo per Nan quanto c’era di meglio quando fu schiacciato dalla sua osservazione: – Non mangio mai a quest’ora, e avrai un incubo se lo farai.

Così, dominando doverosamente i morsi della fame, passò il piatto a Daisy e si mise a masticare foglie di rosa.

Dopo che una quantità sbalorditiva di cibo fu consumata, qualcuno disse: «Ed ora, cantiamo!». Seguì un’ora di musica durante la quale Nat suonò il violino, Demi il flauto, Dan strimpellò il vecchio banjo ed Emil cantò una ballata malinconica in cui si parlava del naufragio della «Betsey»; tutti poi si unirono nel canto delle vecchie canzoni, finché la musica letteralmente aleggiò nell’aria, tanto che i passanti, sorridendo, esclamarono: – La vecchia Plumfield è allegra stasera!

Quando tutti se ne furono andati, Dan si attardò sotto il portico della casa a godere la brezza che veniva dai campi e portava il profumo dei fiori dal Parnaso; così, mentre stava là, romantico al chiaro di luna, la signora Jo venne a chiudere la porta.

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- Che cosa fai? Sogni, Dan? – domandò, pensando che fosse venuto il momento delle confidenze, immaginate dunque quale fu la sorpresa quando, invece di interessanti confidenze o parole affettuose, vide Dan voltarsi e lo sentì dire, brusco: – No, pensavo che mi sarebbe tanto piaciuto fumare.

La signora Jo rise delle proprie speranze e rispose gentilmente: – Puoi fumare quanto vuoi nella tua stanza, ma non dar fuoco alla casa.

Forse Dan vide la delusione nel suo volto o forse il ricordo di qualche marachella da bambino lo toccò al cuore perché si chinò verso la signora e la baciò mormorandole: – Buona notte, mamma.

E la signora Jo fu soddisfatta solo a metà. Capitolo quinto Tempo di vacanze Il giorno seguente erano tutti felici di essere in vacanza e

indugiavano al tavolo della colazione quando la signora Jo esclamò ad un tratto: – Guardate, un cane!

Infatti sulla soglia era apparso un grosso mastino che se ne stava immobile, con gli occhi fissi su Dan.

- Ciao, vecchio mio! Non potevi aspettare che venissi a prenderti? Te la sei svignata, vero? Confessalo e per punizione ti prenderai qualche frustata come se fossi un uomo, – disse Dan, alzandosi per andare verso il cane che si mise sulle gambe posteriori per guardare in faccia il suo padrone, abbaiando, come per negare, sdegnato, di aver disobbedito.

- Bene, Don non mente mai! – disse Dan e, dopo avergli dato una carezza, guardò fuori dove si vedevano avvicinarsi un uomo e un cavallo.

- Ho lasciato il bagaglio in albergo, ieri sera, e non sapevo se vi avrei trovato. Venite a vedere Octoo, la mia puledra: è una meraviglia!

E Dan uscì seguito dall’intera famiglia, per accogliere i nuovi arrivati.

Trovarono la puledra, che stava per salire le scale ansiosa di avvicinarsi al padrone con grande sforzo dell’uomo che la tratteneva.

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- Lasciatela salire, – ingiunse Dan, – si arrampica come un gatto e salta come una cerbiatta. Bellezza, vuoi fare una galoppata? – domandò mentre la stupenda bestia trottava verso di lui e nitriva di piacere quando lui le strofinava il naso e le dava dei colpetti sui fianchi lucidi.

- Ecco quel che si dice un signor cavallo e che mi piacerebbe avere! – esclamò Ted ammirato e contento, visto che in assenza di Dan avrebbe dovuto aver cura della giumenta.

- Che occhi intelligenti! Sembra che voglia parlare! – disse la signora Jo.

- Parla, a modo suo, s’intende, e sono poche le cose che non sa. Vero, ragazza mia? – e Dan appoggiò la guancia al muso dell’animale come se la piccola giumenta nera gli fosse molto cara.

- Che cosa significa «Octoo»? – domandò Rob. - Fulmine, e se lo merita questo nome, come vedrete. Corvo

Nero me l’ha ceduta in cambio del mio fucile; abbiamo passato ore meravigliose noi due assieme, laggiù. Mi ha salvato la vita più di una volta. Vedete questa cicatrice?

Dan mostrò una piccola cicatrice seminascosta dalla criniera e tenendo il braccio attorno al collo di Octoo ne narrò la storia.

- Una volta Corvo Nero ed io eravamo a caccia di bufali ma non li trovammo subito come avevamo creduto, così esaurimmo le provviste. Ci trovavamo a cento miglia di distanza dal fiume del Cervo Rosso, dove c’era il nostro campo. Pensavo che fossimo spacciati quando il mio bravo compagno disse: «Ora ti farò vedere come vivremo fin quando non troveremo i branchi». Eravamo scesi da cavallo per passare la notte accanto ad uno stagno, non si vedeva creatura viva, nemmeno un uccello, ed il nostro occhio spaziava per miglia e miglia nella prateria. Ebbene, che cosa credete che facessimo? – e Dan guardò in volto i presenti.

- Mangiaste i vermi come fanno gli Australiani, – disse Rob. - Bolliste foglie o erba, – suggerì la signora Jo. - Forse vi riempiste lo stomaco di argilla come si dice

facciano i selvaggi… – azzardò il signor Bhaer. - Uccideste un cavallo, – esclamò Ted che, sempre, era

assetato di sangue. - No, ma lo facemmo sanguinare. Qui, vedete; ne colmammo

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una tazza, vi mettemmo delle foglie di salvia selvatica un po’ d’acqua e lo scaldammo su un fuoco di sterpi. Era ottimo e dopo il pasto dormimmo benissimo.

- Suppongo che non fu così per Octoo, vero? – e Josie accarezzò la giumenta con espressione di simpatia.

- Non se ne accorse neppure. Corvo Nero mi disse che avremmo potuto vivere per giorni e giorni del sangue dei cavalli e pure continuare il cammino prima che sentissero qualcosa. Il mattino seguente trovammo i bufali ed io uccisi quello la cui testa è ora nella mia cassetta, pronta ad essere appesa al muro per far venire una fifa nera ai monelli. È una bella bestia, vi assicuro.

- A che cosa serve questa cinghia? – domandò Ted che era intento a esaminare la sella indiana, le redini, il morso, il laccio e appunto la cinghia di cui parlava.

- Ci aggrappiamo ad essa quando ci sdraiamo sul fianco del cavallo opposto al nemico, facciamo fuoco da sotto il collo della bestia mentre galoppiamo intorno. Ecco, ora ti faccio vedere! – Balzato in sella Dan scese per i gradini, attraversò il prato al galoppo talvolta sul dorso di Octoo, talvolta quasi nascosto aggrappandosi alla cinghia o alla staffa balzando di sella e continuando a correre accanto alla bestia che galoppava e divertendosi enormemente. Intanto Don il cane, gli correva dietro rapito dalla sensazione di essere libero e di nuovo con i suoi amici.

Ed erano un bello spettacolo quelle tre creature selvagge così piene di vigore, di grazia e di libertà, così che in quel momento il tappeto erboso sembrava una prateria e gli spettatori avevano l’impressione che quello squarcio di vita diversa rendesse sciocche e insignificanti le loro.

- È più bello dello spettacolo di un circo! – esclamò la signora Jo, e desiderò in cuor suo di essere ancora una ragazza per poter fare una galoppata su quel fulmine di cavallo. -Credo che Nan avrà da fare a rimettere a posto ossa perché Ted se le romperà tutte cercando di rivaleggiare con Dan.

- Qualche capitombolo non gli farà male, questo nuovo compito e questo nuovo piacere gli faranno bene. Dan non si rassegnerà mai a guidare l’aratro, dopo aver cavalcato un simile Pegaso, – disse il signor Bhaer mentre la nera giumenta

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saltava il cancello, risaliva il viale e si fermava ad una parola del giovane e stava lì fremente, mentre Dan balzava di sella e attendeva gli applausi.

Ne ricevette moltissimi ed egli sembrò esserne più compiaciuto per l’animale che per se stesso. Ted volle subito una lezione e si trovò subito a suo agio su quella strana sella, trovando Octoo mansueta come un agnello mentre trotterellava via per farsi vedere al collegio. Bess, che aveva visto da lontano la corsa, discese correndo la collina e tutti si radunarono sotto al portico, mentre Dan apriva con uno strattone il coperchio della cassa che un facchino aveva «scaraventato» di fronte alla porta, per adoperare le sue stesse parole.

Abitualmente Dan viaggiava portando con sé ben poca roba, e detestava avere più bagaglio di quello che poteva portare nel suo zaino ormai consunto, ma ora che possedeva un po’ di danaro si era caricato di una collezione di trofei conquistati da lui stesso con l’arco e la lancia e li aveva portati a casa per farne dono agli amici.

«Saremo divorati dalle tarme», pensò la signora Jo quando comparve una testa irsuta seguita da un tappetino di pelle di lupo per i suoi piedi, da uno di pelle d’orso per lo studio del professore e da vestiti indiani guarniti di code di volpe destinati ai ragazzi.

Tutte cose un po’ calde per una giornata di luglio, ma ciò nondimeno accettate con vero piacere. Ted e Josie si vestirono subito, impararono il grido di guerra e si dedicarono a sbalordire gli amici con una serie di schermaglie attorno alla casa e nel giardino, con scuri, archi, frecce, finché la stanchezza produsse una tregua. Variopinte ali d’uccelli, soffice erba delle pampas, collane di conchiglie, graziosi lavoretti fatti di perline, pelle e piume fecero la gioia delle fanciulle. Minerali, punte di frecce e schizzi primitivi interessarono il professore e, quando la cassa fu svuotata, Dan, diede al signor Laurie, come regalo, molte malinconiche canzoni indiane trascritte sulla scorza di betulla.

- Ci vorrebbe una tenda sopra le nostre teste per essere perfetti, quasi mi sentirei in dovere di darvi per cena orzo arrostito e carne secca, miei prodi. Certo, dopo questa riunione

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indiana nessuno avrà voglia di agnello con piselli, -disse la signora Jo, e valutò con uno sguardo il pittoresco disordine del largo ingresso ove gli ospiti della casa stavano sdraiati sui tappeti, tutti, o quasi tutti, adorni di piume, e bracciali.

- Andrebbero bene musi di cervo, lingue di bufalo, bistecche d’orso e ossibuchi arrostiti, ma un diversivo non mi spiace. Portate dunque l’agnello e le verdure, – disse Dan che, con l’atteggiamento ed il fare di un capo fra la sua tribù, sedeva sulla cassa con ai piedi il grintoso mastino.

Le ragazze cominciarono a mettere ordine, ma fecero poca strada, perché ogni cosa che gli capitava tra le mani aveva una storia e ognuna di esse era emozionante, allegra o addirittura spaventosa, e non conclusero nulla finché il signor Laurie non condusse via Dan.

Così cominciarono le vacanze estive ed era curioso notare come l’arrivo di Dan e di Emil avesse portato un piacevole scompiglio nella vita quieta di quella studiosa comunità, perché essi portavano con sé un fresco venticello che li rianimava tutti. Molti collegiali si trattenevano durante le vacanze e Plumfield e il Parnaso fecero del loro meglio per rendere loro piacevoli quei giorni, perché la maggior parte di essi veniva da stati lontani, era povera ed aveva poche opportunità, oltre a questa, di istruirsi e divertirsi.

Emil era un ragazzo socievole e allegro, e andava in giro spensierato con il suo fare da marinaio, ma Dan si sentiva un po’ in soggezione specialmente con le ragazze. Diventava taciturno quando stava tra loro e le guardava come un’aquila guarda uno stormo di colombe. Si trovava più a suo agio tra i giovani e ne divenne presto l’idolo. La loro ammirazione per le sue doti fisiche gli fece bene, dato che era perfettamente conscio dei difetti della sua educazione e spesso si domandava se avrebbe potuto trovare nei libri qualcosa che lo soddisfacesse più di ciò che provava leggendo il volume splendidamente illustrato della natura. Ma il suo silenzio non impedì alle ragazze di scoprire le sue buone qualità e «lo Spagnolo», come l’avevano soprannominato, fu tenuto in gran considerazione perché i suoi occhi parlavano più della bocca. Così quelle care creature cercarono in tutti i modi di dimostrargli il loro cortese interessamento.

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Lui comprese tutto ciò e cercò di rendersene degno controllando il suo vocabolario, cercando di esser meno rude nei modi e spiando l’effetto di ogni suo gesto o parola, ansioso di fare un’ottima impressione. La buona compagnia riscaldava il suo cuore solitario, l’istruzione lo spingeva a fare del suo meglio e i cambiamenti avvenuti in lui stesso e negli altri durante la sua assenza, facevano sembrare la vecchia casa un mondo nuovo.

Dopo aver vissuto in California, era dolce e riposante essere là tra volti familiari che lo aiutavano a dimenticare tante cose che rimpiangeva e a meritare tutta la fiducia di quei buoni compagni e il rispetto di quelle innocenti fanciulle.

Così, tra cavalcate, regate e merende all’aperto di giorno, musica, ballo e giochi di sera, tutti affermarono che da anni non c’era stata una vacanza tanto allegra. Bess mantenne la promessa e lasciò che la polvere si accumulasse sulla sua adorata argilla mentre si divertiva coi compagni e studiava musica col padre che si rallegrava di vedere spuntare il rosa sulle sue guance e sentire il suo riso che cacciava via lo sguardo sognante che aveva di solito. Josie bisticciò meno di frequente con Ted perché Dan li guardava così che lei si calmava all’istante e il suo sguardo faceva effetto anche sul bellicoso cugino. Ma Octoo fece ancora di più per il vivace ragazzo, il cui fascino per il cavallo eclissava quello della bicicletta che fino ad allora era stata tutta la sua delizia. Cavalcava l’instancabile animale a tutte le ore del giorno e cominciò a ingrassare un po’ con grande gioia di sua madre che temeva che il suo spilungone stesse crescendo troppo in fretta e che ciò danneggiasse la sua salute.

Demi, stanco degli affari, si divertiva nel tempo libero a fotografare chiunque si piegasse a sedersi o stare immobile davanti a lui, ottenendo, tra molti insuccessi, qualche ottimo ritratto perché aveva buon gusto nel far mettere in posa e soprattutto una pazienza infinita. Si può dire che vedesse il mondo attraverso l’obiettivo della sua macchina fotografica e si divertisse molto a guardare i suoi simili standosene sotto un pezzo di stoffa nera. Dan era per lui un elemento prezioso perché era fotogenico e posava volentieri col suo costume messicano, il cavallo e il mastino e tutti volevano una copia di

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quelle pittoresche fotografie. Anche Bess era uno dei soggetti preferiti. Demi ricevette il

premio alla Mostra fotografica per dilettanti per la foto di sua cugina con i capelli attorno al viso che si innalzava dalla nuvola di merletti drappeggiati sulle spalle. Queste fotografie furono distribuite generosamente dall’artista fiero di sé e una copia di esse ebbe una storia sentimentale che narreremo in seguito.

Nat coglieva ogni occasione per restare accanto a Daisy, in previsione della prossima separazione, e la signora Meg fu un po’ condiscendente sicura che la lontananza avrebbe curato quell’incauta fantasia. Daisy parlava poco, ma era triste quando era sola, e le sue lacrime silenziose cadevano sui fazzoletti che cifrava amorosamente servendosi dei suoi stessi capelli. Era certa che Nat non l’avrebbe dimenticata e la vita le si annunciava vuota senza quel caro ragazzo che era stato suo amico sin dai tempi delle formine e delle confidenze sotto il salice. Era, lei, una ragazza all’antica, docile e rispettosa e nutriva per sua madre una tale venerazione che la volontà di lei era legge, e se l’amore le era proibito, sarebbe bastata l’amicizia. Teneva per sé il suo dolore, sorrideva dolcemente a Nat e gli rese molto felici quegli ultimi giorni di vita in famiglia, dandogli tutto ciò che poteva: dai saggi consigli alle tenere parole, da una completa borsa da lavoro per la sua vita di scapolo a una scatola di dolci per il viaggio.

Tom e Nan trascorsero tutto il tempo che rimaneva loro libero dallo studio in grandi divertimenti coi vecchi amici poiché il prossimo viaggio di Emil sarebbe stato molto lungo, la durata dell’assenza di Nat era incerta e nessuno poteva dire quando Dan si sarebbe fatto vivo di nuovo. Sembrava che tutti sentissero che la vita cominciava ad essere una cosa seria e, anche mentre godevano a pieno quei giorni felici tutti quanti assieme, erano consci di non essere più ragazzi e, spesso, nelle pause del divertimento, parlavano seriamente dei loro progetti e delle loro speranze come ansiosi di aiutarsi l’un l’altro prima di dover separarsi per strade diverse.

Avevano davanti a loro ancora poche settimane, poi la «Brenda» sarebbe stata pronta e Nat doveva salpare da New York e Dan lo avrebbe accompagnato per vederlo partire e

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perché aveva i suoi progetti e non vedeva l’ora di poter darsi da fare. Al Parnaso fu dato un ballo d’addio in onore dei partenti e tutti vi parteciparono con i loro abiti migliori e la più allegra disposizione d’animo. George e Dolly vennero con le loro arie da universitari di Harvard, raggianti nei loro abiti da cerimonia. Jack e Ned inviarono le loro scuse e tanti auguri, ma nessuno lamentò la loro assenza perché erano quelli che la signora Jo chiamava i suoi «insuccessi». Il povero Tom si trovò, come al solito, in un bell’impiccio per aver annaffiato la chioma ricciuta con una lozione molto aromatica nel vano tentativo di far star lisci e piatti i suoi riccioli, come dettava la moda. Purtroppo la sua testa ribelle si attorcigliò ancor di più e, malgrado i suoi disperati sforzi per liberarsene, l’effluvio di mille negozi da parrucchiere gli rimase addosso per tutta la sera. Nan non gli permetteva di starle vicino e muoveva con molta energia il ventaglio non appena era nei paraggi, una cosa che gli trafiggeva il cuore e lo faceva sentire come un Peris escluso dal paradiso. Naturalmente i compagni lo prendevano in giro e soltanto la sua inestinguibile innata allegria potè salvarlo dalla disperazione.

Emil brillava nella sua uniforme e danzava con l’abbandono di cui solo i marinai sono capaci, le sue scarpette di vernice erano ovunque e i suoi compagni perdettero ben presto il fiato nel vano tentativo di gareggiare con lui; mentre le ragazze furono d’accordo nel dichiarare che guidava la dama come un angelo tanto che, malgrado il suo incedere, non vi fu alcuna collisione. Lui si divertì moltissimo e le ragazze pronte a navigare non gli mancarono.

Non avendo l’abito da sera, Dan era stato costretto ad indossare il costume da messicano e sentendosi a proprio agio nei calzoni dalla lunga fila di bottoni, la giacchetta aperta, la fascia dai colori vivaci, portò lo scialle con largo gesto sulle spalle; e stava proprio bene così, con quei lunghi speroni, mentre insegnava a Josie passi nuovi o girava attorno gli occhi neri per ammirare qualche bionda damigella a cui non osava rivolgere la parola.

Le mamme sedevano sotto la pergola fornendo spilli, sorrisi e parole gentili a tutti e specialmente ai giovani un po’ goffi e nuovi a simili situazioni e alle ragazze timide consapevoli del

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vestito di mussola spiegazzato o dei guanti sciupati. Era divertente vedere la signora Amy incedere maestosa al braccio di un alto campagnolo dalle scarpe grosse e dalla fronte ampia, o vedere la signora Jo danzare come una fanciulla con un giovane timido, le cui braccia si muovevano come se fossero stantuffi, il cui viso era scarlatto per la confusione e il grande onore di poter pestare i piedi alla moglie del direttore. La signora Meg lasciava sempre posto, sul suo divano, per due o tre signorine e il signor Laurie si dedicava a intrattenere queste damigelle vestite poveramente con una affabilità che le conquistava e le rendeva felici. Il buon professore andava attorno con i rinfreschi e mostrava a tutti il suo volto gioviale, mentre nel suo studio il signor March dissertava sulla commedia greca con gentiluomini così seri da far pensare che mai le loro menti si fossero piegate alle gioie frivole.

La sala da musica, il salotto, l’ingresso e il portico erano gremiti e le fanciulle biancovestite erano seguite come un’ombra; l’aria piena di voci allegre e i piedi si muovevano assieme con leggerezza mentre l’orchestra suonava con vigore e la luna amica faceva del proprio meglio per aggiungere fascino allo scenario.

- Meg, appuntami uno spillo, per poco quel caro ragazzo di Dunbar non mi riduceva il vestito a pezzi. Però si è divertito andando a sbattere contro i compagni e trascinandomi come una scopa, vero? In queste occasioni mi accorgo di non essere più giovane e leggera come una volta. Fra dieci anni saremo pesanti come sacchi di farina, sorella mia, bisogna rassegnarsi, – e la signora Jo si ritirava in un angolo, parecchio scompigliata dalle buone azioni.

- Beh, io diventerò un po’ più robusta ma tu non stai mai ferma per riuscire a ingrassare, cara, ed Amy conserverà sempre la sua silhouette, non le si danno più di diciotto anni, stasera, con quel vestito bianco e le rose, – rispose Meg affaccendata ad appuntare con uno spillo una balza strappata del vestito della sorella, mentre i suoi occhi seguivano amorevolmente i movimenti aggraziati dell’altra. Meg adorava Amy proprio come una volta.

Era una delle battute di famiglie dire che Jo stava ingrassando e lei stava allo scherzo anche se aveva già una

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figura un po’ matronale che le si addiceva molto. Stavano ancora ridendo quando arrivò il signor Laurie, libero per un momento dai suoi doveri.

- Stai riparando i danni come al solito, Jo? Non sei mai stata capace di far niente anche solo vagamente delicato senza ridurti a pezzi. Vieni a fare una passeggiatina con me e a prendere un po’ di fresco prima di cena. Devo mostrarti alcuni quadretti mentre Meg ascolterà le confidenze farfuglianti dalla signorina Carr, che ho reso felice dandole Demi per cavaliere.

Mentre così parlava, Laurie condusse Jo nella sala da musica quasi vuota dopo un ballo che aveva trascinato i giovani in giardino e vicino all’ingresso. Fermandosi davanti ad una delle quattro grandi finestre che davano su un portico davvero ampio indicò alla sua compagna una scenetta che si svolgeva di fuori, dicendo: – Il titolo è: «Il marinaio a terra».

Due lunghe gambe in calzoni turchini dalla cui estremità sbucavano due scarpette lucide, pendevano dal tetto della veranda tra i tralci delle viti e le rose, raccolte da mani invisibili evidentemente appartenenti allo stesso padrone delle suddette gambe, venivano lanciate in grembo a parecchie fanciulle appollaiate come uno stormo di bianchi uccelletti sulla balaustra sottostante, mentre una voce virile scendeva «come una stella cadente» sul pubblico comprensivo che ascoltava attento questo canto melanconico:

Il sogno di Mary La luna a oriente il colle avea risalito che si eleva sulle sabbie di Dee, e dal punto più alto spandeva l'argentea sua luce sulle torri e sugli alberi. Quando Mary a dormire se ne andò (ma il suo pensier era per Sandy sul mar) allora lieve e dolce si udì una voce che dicea: «Mary, più non piangere per me». Ella alzò il capo dal guancial, si domandò chi mai fosse quel tal. Il povero Sandy vide, tremante, pallido e dagli occhi scavati.

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«O Mary, mia cara, fredda è la mia carne che nel mare in tempesta sta... Lontan, lontan da te, io moero ormai son: Mary, mia cara, più non piangere per me. Tre giorni e tre notti di tempesta e noi lottam contro la furia delle onde... di salvare la barca noi tentam, ma tutto il nostro ardor vano fu. Financo allor, preda del terror, colmo di te era il mio cuor. Cessata è la tempesta, io riposo in eterno. Dunque, Mary, diletta, più non piangere per me. Mia amata fanciulla, prepararti tu dovrai; ben presto su quella spiaggia c'incontrerem, ove l'amore di ansia e di tormento è privo e mai più ci abbandonerem. Il gallo forte cantò, svaniron le ombre. Ella mai più il suo Sandy riabbracciò. Ma lo spirito di lui, passando, ripeté: «Mary, mia dolce Mary, più non piangere per me». - L’eterna allegria di questo ragazzo è una fortuna per lui:

non affonderà mai con uno spirito così ottimista che lo terrà a galla nella vita, – disse Jo mentre le rose venivano lanciate da mani applaudenti, alla fine della canzone.

- Certamente no, è un dono di Dio di cui dobbiamo essere grati, no? Noi gente triste sappiamo quanto valga. Mi fa piacere che ti piaccia il mio primo quadro, ora vieni a vedere il secondo. Mi auguro che non si sia rovinato… era proprio carino, pochi minuti fa… questo è «Otello narra le sue avventure a Desdemona».

La seconda finestra incorniciava un gruppo pittoresco di tre persone: il signor March seduto in poltrona, con Bess su un cuscino ai suoi piedi ascoltava Dan il quale, appoggiato a una colonna, parlava con un’insolita animazione. L’anziano signore era un po’ in ombra, ma la piccola Desdemona, illuminata dal raggio lunare, guardava il giovane Otello, assorta nella storia

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che stava raccontando così bene. Lo scialle che Dan portava sulle spalle, il suo viso scuro, il gesto largo del braccio rendevano la scena molto interessante, e i due spettatori se la godettero con piacere, finché la signora Jo disse con un improvviso bisbiglio: – Sono contenta che sia in partenza. È un tipo troppo pittoresco, per tenerlo qui, tra tante fanciulle romantiche. Ho paura che lo stile “grandioso, fosco e particolare” sia un po’ troppo per le nostre semplici fanciulle.

- Non vedo il pericolo. Dan è rude per ora, e lo sarà sempre sebbene faccia qualche progresso. Com’è bella la mia piccola reginetta in questo momento, in questa luce smorzata!

- La nostra Chiomadoro è bella in qualunque situazione! – dichiarò la signora Jo, con uno sguardo pieno di tenerezza e orgoglio. Ma la scena sarebbe tornata in mente molto tempo dopo, come pure le sue parole profetiche.

Il terzo era un quadro a prima vista tragico. Il signor Laurie represse un sospiro, mentre bisbigliava: «Il cavaliere ferito», additando Tom che, con un largo fazzoletto avvolto attorno al capo, stava in ginocchio davanti a Nan che gli stava estraendo dal palmo della mano una spina o una scheggia di legno con grande abilità, almeno dall’espressione beata del paziente.

- Ti faccio male? – domandò la ragazza, voltando la mano al raggio della luna per vederla meglio.

- Nient’affatto: toglila, mi piace, – rispose Tom incurante del male che gli facevano le ginocchia e dei danni fatti ai suoi pantaloni più belli.

- Non ci metterò molto. - Fai pure, anche per ore. Non sono mai stato tanto felice. Per nulla commossa da quella tenera osservazione, Nan

inforcò un paio di occhialoni tondi e disse con voce fredda: – Ecco, ora vedo. È soltanto una scheggia. Eccola qua.

- Ma la mano sanguina… non vuoi fasciarla? – domandò Tom, desideroso di prolungare il più possibile quella situazione.

- Sciocchezze: succhia il sangue. Soltanto sta’ attento domani, se vai a fare delle dissezioni. Non voglio vedere più intossicazioni del sangue.

- È stata la sola volta in cui ti sei mostrata gentile con me; avrei voluto che mi tagliassero il braccio.

- Vorrei che ti tagliassero la testa, invece! Puzza di

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trementina e di kerosene più che mai. Va’ a fare una corsa in giardino e falle prendere un po’ d’aria.

Temendo di tradirsi con le loro risa, gli astanti se la svignarono lasciando il cavaliere che scappava via dalla tristezza e la dama che ficcava il naso nel calice di un bel giglio per respirare qualcosa di buono.

- Povero Tom! Il suo destino è duro e se la prende comoda! Consigliagli di lasciare le romanticherie e di andare a lavorare, Jo.

- L’ho già fatto, Laurie, e più di una volta, ma credo che solo un forte shock potrà far rinsavire questo benedetto ragazzo. Aspetto con interesse per vedere cosa succederà. Iddio ci aiuti! Che cos’è questa roba?

Aveva ragione a fare una simile domanda. Infatti, su un rustico sgabello Ted tentava di reggersi su una gamba sola, teneva l’altra distesa e annaspava nell’aria con le mani. Josie, attorniata da altre ragazzine, stava osservando le sue contorsioni, profondamente interessata e intanto, parlavano di «piccole ali», «fili dorati attorcigliati», e «berretti a papalina che starebbero una meraviglia».

- Questo si potrebbe intitolare «Mercurio che tenta di volare» – disse Laurie dando un’occhiata attraverso le tende di pizzo.

- Che benedette gambe lunghe ha questo ragazzo! Vien da chiedersi come possa servirsene. Stanno facendo progetti per la recita di Le statue di Owlsdark Marble e faranno una bella confusione con gli dèi e le dee se nessuno li aiuterà… – insinuò la signora Jo che si godeva immensamente lo spettacolo.

- Ecco, Ce l’ha fatta! Magnifico! Vediamo quanto resiste! – gridarono le ragazze, mentre Ted riusciva a mantenersi in equilibrio un momento, avendo appoggiato un piede sul pergolato. Purtroppo però quella mossa portò tutto il peso del corpo sull’altro piede, lo sgabello di paglia si sfondò e il Mercurio volante cadde a terra tra le risate e le grida delle ragazze. Essendo abituato a fare capitomboli sulla nuda terra, si riprese immediatamente e si mise a saltellare, improvvisando una danza classica con un piede infilato nello sgabello.

- Ti ringrazio per i tuoi quattro bei quadretti. Ti dirò: mi hai dato un’ottima idea, penso che un giorno allestiremo dei veri e

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propri quadri viventi, e mostreremo a tutti le scene in movimento. Bello e nuovo. Suggerirò l’idea al nostro direttore e lascerò a te la gloria, – disse la signora Jo mentre si dirigevano verso la stanza da cui proveniva un rumore di bicchieri, di porcellane e dove si vedevano passare, in fretta, abiti neri.

Seguiamo anche noi l’esempio di questi nostri amici, andiamo a passeggiare tra i giovani origliando in modo da riannodare i fili dispersi della nostra storia. George e Dolly erano al buffet della cena; una volta servite le signore loro affidate, si misero in un angolo a maneggiare di tutto tentando invano di nascondere l’appetito giovanile sorto una maschera di elegante indifferenza.

- Bel banchetto, questo, Laurence non bada a spese: il caffè è squisito ma niente vino, uno sbaglio bello e buono – disse Stuffy che si meritava questo nome ed era ancora un ragazzo robusto dallo sguardo lento e dal colorito acceso.

- Laurence dice che il vino fa male ai ragazzi. Perbacco! Vorrei che ci vedesse alle nostre feste universitarie ben innaffiate di alcool. Non è vero che ammazziamo solamente il vitello grasso come dice Emil, – rispose Dolly, il damerino, e spiegò con attenzione un ampio tovagliolo sullo sparato della camicia dove un diamante splendeva come una stella solitaria. Ormai quasi non balbettava più, ma come George, parlava in tono di degnazione che, unito alla aria blasè assunta faceva un buffo contrasto con i loro volti giovanili e le puerilità delle loro osservazioni. Erano entrambi due ottimi ragazzi, sebbene troppo montati per essere tra i laureandi e un po’ viziati dalla libertà che la vita universitaria concedeva loro.

- La piccola Josie si sta facendo maledettamente carina, non è vero? – disse George con un sospiro soddisfatto, mentre il primo cucchiaio di gelato gli scivolava lentamente in gola.

- Sì, non c’è malaccio. Ma, la Principessa è molto più di mio gusto; come ben sai, a me piacciono le bionde, regali ed eleganti.

- Sì, è vero, Josie è un po’ troppo vivace. Ballare con lei è come ballare con una cavalletta. Ci ho provato, ma è troppo per me. La signorina Perry è una ragazza tranquilla e serena. L’ho già impegnata per la furlana7.

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- Tu non sarai mai un buon ballerino. Troppo pigro. Ora voglio cominciare a far danzare tutte le ragazze e a battere i ragazzi nel ballo. Ballare è il mio forte, – e Dolly guardò tutta la propria persona dalla punta delle scarpette allo sparato della camicia con la spavalderia di un giovane tacchino in bella mostra.

- La signorina Grey ti cerca perché vuole ancora un po’ di cibo; guarda anche se il piatto della signorina Nelson è vuoto. Sii gentile, da bravo… Non si può mangiare in fretta il gelato.

E George se ne stette nel suo angolino tranquillo mentre Dolly si faceva largo tra la folla degli invitati, per fare il suo dovere e ritornava furibondo, con una macchia d’insalata sullo sparato.

- Al diavolo questi maledetti villani! Vanno in giro come degli sciocchi e fanno una tale cagnara! Meglio stare attaccato ai libri e non cercare di essere uomini di mondo. Che orribili macchie! Vedi se ti riesce di pulire e fammi buttar giù un boccone. Sto morendo di fame. Non ho mai visto delle ragazze mangiare così tanto. Questo prova che non dovrebbero studiare molto. Non mi sono mai piaciute le studentesse, – concluse Dolly, irritato.

- Veramente? Non è da ragazze educate. Dovrebbero essere soddisfatte di un pezzo di torta e un po’ di gelato, e mangiare graziosamente. Soltanto noi uomini che lavoriamo sodo ne abbiamo bisogno e, per Giove, ho intenzione di prendere dell’altra meringa prima che finisca. Ehi, cameriere, passami quel piatto prima che puoi, – ordinò Stuffy afferrando un giovane vestito dimessamente che passava portando un vassoio carico di bicchieri.

Il suo ordine fu subito eseguito, ma l’appetito di George svanì subito dopo quando Dolly esclamò, con un’espressione scandalizzata, smettendo per un attimo di guardare la camicia rovinata: – L’hai fatta grossa! È Morton, l’alunno prediletto del signor Bhaer. È un pozzo di scienza e destinato ad avere tutti gli onori. Sentiremo parlare molto di lui.

E Dolly rise tanto di gusto che mandò un cucchiaio di gelato sulla testa di una signora la quale era seduta davanti a lui. E questa volta fu lui a combinare un pasticcio.

Lasciamo i due giovani al loro imbarazzo e ascoltiamo invece

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le chiacchiere sottovoce di due fanciulle che, sedute tranquillamente, aspettavano che i loro cavalieri si rifocillassero.

- Bisogna ammettere che i Laurence danno delle festicciole deliziose. Non ti diverti? – domandò la più giovane guardandosi attorno con l’aria di una che non è abituata a divertirsi molto.

- Moltissimo, anche se ho sempre l’impressione di non essere vestita come vorrebbe la circostanza. A casa il mio vestito mi sembrava elegante e pensavo di essere forse un po’ troppo ricercata. Qui, invece, mi sento una ragazza sciatta e di campagna. Ed ora non ho certo né il modo né i soldi per cambiare se anche sapessi cosa indossare, – ribatté l’altra e guardò, preoccupata, la veste di seta rosa adorna di trine da poco prezzo.

- Dovresti sempre farti consigliare dalla signora Brooke su come agghindarti, – disse la più giovane. – È stata molto gentile con me. Avevo un vestito di seta verde che, al confronto di tutti questi, sembrava davvero misero. Mi sentivo infelice per questo e le ho domandato quanto poteva costare un vestito come quello della signora Laurence; figurati, aveva l’aria tanto semplice ed elegante che ho pensato non fosse caro. Ma era stoffa indiana con pizzo di Valencienne e così non l’ho potuto comprare, naturalmente! La signora Brooke mi ha detto allora: «Copri la tua seta verde con un po’ di mussolina e metti nei capelli dei fiori bianchi anziché rosa, e vedrai che sarai molto elegante». Non sto bene infatti?

E la signorina Burton si guardò con soddisfazione, perché un po’ di buon gusto aveva fatto attenuare il verde brillante, e i fiori bianchi si addicevano ai suoi capelli rossi molto meglio delle rose.

- Stai benissimo e già ti avevo ammirata. Mi rivolgerò alla signora Brooke per il mio vestito rosso. Quella brava signora mi ha già insegnato a liberarmi dei miei mal di testa, e il mal di stomaco di Mary Clay va benissimo da quando ha ascoltato il suo consiglio e ha rinunciato al caffè e al pane caldo.

- La signora Laurence mi ha consigliato di correre, camminare molto e fare ginnastica per raddrizzare le mie spalle curve e allargare la cassa toracica; da un po’ di tempo

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infatti ho un portamento migliore di prima. - Sapevi che il signor Laurence paga tutte le tasse di Amelia

Merril? Il padre di lei è fallito e la poveretta era disperata al pensiero di dover lasciare il collegio, ma per sua fortuna il generoso signor Laurence è intervenuto e ha sistemato tutto.

- Sì, e il signor Bhaer dà ripetizione a parecchi ragazzi, la sera, per aiutarli a tenere il passo con gli altri. E la signora Bhaer ha curato lei stessa Charles Mackey quando ha avuto la febbre l’anno scorso. Penso proprio che siano le persone più generose della terra.

- Lo penso anch’io. Il tempo che passerò qui sarà il più felice e il più utile della mia vita.

Entrambe le ragazze dimenticarono per un momento i loro vestiti e le loro cene per guardare affettuosamente e con riconoscenza gli amici che cercavano di provvedere ai loro corpi e alle loro anime così come si occupavano delle loro menti.

Avviamoci ora a una brillante combriccola che cenava per le scale: le ragazze, come la spuma, stavano sui gradini superiori, in alto, i ragazzi in basso, dove si adagiano sempre i corpi più pesanti. Emil, che non si metteva mai a sedere se poteva appollaiarsi o arrampicarsi, ornava il pilastro della balaustra; Tom, Nat, Demi e Dan stavano accampati sui gradini; mangiavano con buon appetito, avendo già servito le signore ed essendosi guadagnati un momento di riposo, godevano, soddisfatti, il bel quadro spiegato pochi metri più in su.

- Mi dispiace tanto che i ragazzi se ne vadano. Tutto sarà così monotono senza di loro. Ora che hanno smesso di fare gli spiritosi e sono gentili, devo ammettere che stavo volentieri in loro compagnia, – disse Nan la quale, visto che l’incidente capitato a Tom lo tratteneva dal molestarla si sentiva ben disposta verso tutti quella sera.

- Penso anch’io la stessa cosa e Bess a cui di solito non piacciono i ragazzi a meno che non siano modelli d’eleganza, si stava lamentando proprio stamattina di vederli andar via. Sta facendo in questi giorni la testa di Dan e ancora non è terminata: non l’ho mai vista interessarsi tanto a un lavoro e questo veramente riesce molto bene. Dan è tanto muscoloso e forte che mi fa sempre pensare al Gladiatore morente o uno di

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quegli eroi antichi. Ecco Bess, com’è carina, questa sera! – disse Daisy e fece un cenno di saluto alla Principessa che passava dando il braccio al nonno.

- Non avrei mai immaginato che Dan cambiasse così, in meglio dico. Ricordate che lo chiamavamo il «ragazzaccio» e giuravamo che sarebbe diventato un pirata o qualcuno di terribile perché ci guardava con occhio bieco e qualche volta bestemmiava? Ora è il più bello di tutti ed è anche molto interessante con le sue storie e i suoi progetti. Mi piace infinitamente perché è atletico, forte ed indipendente. Sono stanca di cocchi di mamma e di topi di biblioteca, – disse Nan, coi suoi soliti modi spicci.

- Non è più bello di Nat, – esclamò Daisy sempre leale e paragonò le due facce davanti a lei, l’una insolitamente gaia, l’altra seria e sentimentale sebbene fosse nell’atto di mangiar dolci. – Mi piace Dan e sono contenta che stia bene, ma mi stanca e ho ancora paura di lui. La gente tranquilla è più adatta a me.

- La vita è una battaglia ed io ammiro i buoni soldati. I ragazzi prendono le cose alla leggera, non vedono com’è tutto così serio e non lavorano sodo. Guarda quello sciocco di Tom che spreca il suo tempo e si fa compatire perché non può avere ciò che vuole come un bambino che piange perché vuole la luna. Certe sciocchezze mi irritano! – disse Nan guardando Tom il quale, in quel momento, stava mettendo amaretti nelle scarpe di Emil e cercava di ingannare come gli era possibile l’esilio.

- Molte ragazze sarebbero commosse da tanta fedeltà, penso sia una cosa molto bella, – disse Daisy parlando dietro il ventaglio perché altre ragazze stavano sedute sul gradino inferiore al suo.

- Tu sei una troppo sentimentale e quindi non un buon giudice. Nat, quando tornerà, avrà imparato ad essere uomo e vorrei che Tom partisse con lui. La mia idea è che se noi ragazze abbiamo influenza sui nostri compagni, dovremmo servircene per il loro bene, non per viziarli facendone dei tiranni e noi loro schiave. Prima che ci chiedano qualcosa, lasciate che diano prova di quello che sono e che sanno fare e che permettano che anche noi facciamo ugualmente; in tal

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modo sapremo come stanno le cose e non commetteremo errori che dovremmo rimpiangere tutta la vita.

- Sentite! Sentite! – gridò Alice Heath che era una ragazza del tipo di Nan e da coraggiosa e brava com’era si era scelta una professione. – Dateci soltanto una possibilità e aspettate pazientemente che facciamo del nostro meglio… Ora si pretende da noi che siamo sagge come gli uomini che hanno alle loro spalle intere generazioni di aiuto e appoggio, mentre noi quasi niente. Dateci uguali opportunità e tra qualche generazione si vedrà quale sarà il responso. Mi piace la giustizia, ma per noi non ce n’è molta.

- Lanci ancora il tuo grido di battaglia per la libertà? – domandò Demi mettendo il capo tra i ferri della ringhiera. – Alza la bandiera, sarò al tuo fianco e ti darò una mano se lo desideri. Con te e Nan in testa all’esercito non penso che ci sarà bisogno di aiuti.

- Sei un gran conforto, Demi, e mi rivolgerò a te in caso di emergenza, perché sei un ragazzo onesto, non dimentico quanto devi a tua madre, alle tue sorelle e alle tue zie, – rispose Nan. – Mi piacciono gli uomini che si rivelano franchi e riconoscono di non essere delle divinità. Come potremmo noi ritenerli tali quando vediamo gli errori commessi da queste grandi creature? Dovreste vederli ammalati come li vedo io e allora li conoscerete.

- Non ci colpire mentre siamo a terra, sii generosa, aiutaci a rialzarci, così che ti benediremo e crederemo per sempre in voi, – implorò Demi da dietro la ringhiera.

- Saremo gentili con voi, se voi ci tratterete con giustizia, non dico generosi, soltanto imparziali. Ho assistito lo scorso inverno a un dibattito per il suffragio alle donne, all’Assemblea legislativa, e di tutte le chiacchiere sciocche e volgari che ho mai sentito quelle erano le peggiori, ed erano i nostri rappresentanti. Mi sono sentita arrossire per loro, per le loro madri e per le loro mogli; se non posso parlare per me stessa, desidero farmi rappresentare da un uomo intelligente, non da un imbecille.

- Nan sta tenendo un comizio! Ora ci prenderemo una bella lavata di capo! – esclamò Tom e aprì un ombrello per riparare il capo, dato che poteva sentire la voce seria di Nan e i suoi

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occhi indignati si posarono per caso su di lui mentre parlava. - Continua! Continua! Prenderò gli appunti e nella relazione

metterò uno scroscio di applausi, – aggiunse Demi, e tirò fuori il suo carnet di ballo e una matita con l’aria del giornalista d’assalto.

Daisy ficcò il naso tra le sbarre e per un momento la combriccola fu molto rumorosa perché Emil gridava: «Ferma! Ferma! C’è burrasca!», Tom applaudiva con foga e Dan stava con la testa in alto come se la prospettiva di una lotta, fosse pure verbale, gli sarebbe stata molto gradita; Nat arrivò ad appoggiare Demi dato che la sua posizione sembrava buona. In quel momento, mentre tutti parlavano e ridevano allo stesso tempo, Bess attraversò leggera il pianerottolo superiore, guardò giù con la dolcezza di un angelo di pace il gruppo rumoroso e domandò, con gli occhi stupiti e il sorriso sulle labbra: – Che cosa succede?

- È una riunione di gente indignata. Nan e Alice si stanno scalmanando, siamo alla sbarra in attesa della condanna capitale. Vuole, Vostra Altezza, presiedere la seduta e giudicarci? – domandò Demi approfittando di una breve sosta, perché nessuno litigava in presenza della Principessa.

- Non sono abbastanza saggia. Siederò qui e ascolterò, continuate pure, – e Bess prese posto sopra di loro, calma e serena come una piccola statua della giustizia con il ventaglio e un mazzolino di fiori al posto della spada e della bilancia.

- Ora, signore, sgombrate le vostre menti e risparmiateci fino al mattino perché, non appena avremo finito di mangiare, abbiamo da ballare una furlana e la legge del Parnaso impone ad ognuno di fare il proprio dovere. La signora Presidentessa tiene il bandolo della conversazione, – disse Demi al quale questo genere di scherzi piaceva più dei tenui flirt permessi a Plumfield, unicamente per il fatto che non poteva essere evitato e perché fa parte di ogni educazione.

- Ho soltanto una cosa da dire, ed è questa, – cominciò Nan pacata, sebbene gli occhi le brillassero di divertimento ed eccitazione. – Voglio domandare a ognuno di voi, ragazzi, che cosa ne pensate di questo argomento. Emil e Dan hanno girato per il mondo e perciò si saranno fatti un’idea a proposito, Tom e Nat hanno avuto dinanzi agli occhi cinque esempi ottimi per

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anni, Demi è dei nostri e noi siamo fiere di lui, altrettanto dicasi di Rob. In quanto a Ted è una banderuola, Dolly e George naturalmente sono dei conservatori, nonostante le ragazze a Girton siano meglio degli uomini. Ed ora, Commodoro, sei pronto a rispondere?

- Prontissimo, capo. - Credi nel voto alle donne? - Dio benedica la tua graziosa testolina! Ci credo e sono

pronto a imbarcare una ciurma di ragazze quando tu lo desideri. Non sarebbero più spietate di qualunque nostromo quando ci fosse bisogno di togliere gli ormeggi? Non abbiamo tutti bisogno di un pilota che ci piloti salvi in porto? Perché dunque non dovrebbero condividere i nostri rischi in terra e in mare visto che siamo sicuri di naufragare senza di loro?

- Ben detto, Emil! Nan, dopo questo bel discorso, ti ingaggerà certamente come nostromo, – disse Demi, mentre le ragazze applaudivano e Tom lo guardava in cagnesco.

- Ed ora, Dan, tu che ami tanto la libertà, sei d’opinione che anche noi dobbiamo goderne?

- Tutta quella che riuscite a ottenere, e io combatterò chiunque sia così meschino da dire che non la meritate.

Questa breve e energica replica divertì la Principessa che sorrise benevolmente al rappresentante della California, dicendo vivacemente: – Nat non oserebbe confessare che si schiera nel campo avverso anche se lo fosse; spero pero che abbia preso la decisione di suonare per noi, almeno quando scenderemo sul campo di battaglia e non sarà uno di quelli che aspetta che tutto sia finito per suonare il tamburo e prender parte alla gloria.

La signora Presidentessa non ebbe quasi più dubbi e si rammaricò sinceramente di aver parlato così duramente, allorché Nat, arrossendo, ma con una nuova virilità in viso e nei modi, disse con un tono di voce che commosse tutti: -Sarei l’uomo più ingrato della terra se non onorassi, servissi e amassi le donne con tutto il cuore visto che ad esse debbo ciò che sono e ciò che sarò.

Daisy batté le mani, Bess gettò il mazzolino in grembo a Nat e le altre ragazze agitarono i ventagli, contente, perché il vero sentimento aveva reso eloquente e convincente quel breve

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discorso. - Thomas B. Bangs, venite dinanzi alla corte e dite la verità,

tutta la verità, nient’altro che la verità se potete, – ordinò Nan, dando un colpetto sul tavolo per richiamare all’ordine l’assemblea.

Tom chiuse l’ombrello, si alzò e levando una mano disse in tono solenne: – Credo nel suffragio di tutti i generi, adoro tutte le donne, e sarei pronto a morire per loro, in ogni momento, se questo potesse giovare alla causa.

- Vivere e lavorare per la causa è molto più difficile e, di conseguenza molto più onorevole. Gli uomini sono sempre pronti a morire per noi, ma non a renderci più facile la vita: sentimentalismo di bassa lega e scarso senso logico. Sei assolto, Tom, ma non chiacchierare troppo; e ora che la sentenza è stata pronunciata aggiorneremo la nostra seduta. È giunto il momento di fare un po’ di movimento. Sono contenta di constatare che la vecchia Plumfield ha dato al mondo sei veri uomini, e spero che essi continueranno ad essere fedeli, ovunque vadano, ad essa e ai principi che ha loro insegnato. Ora, ragazze, state lontane dalle correnti d’aria e voi, baldi giovani, attenti all’acqua gelata quando siete accaldati.

Con questa singolare conclusione, Nan lasciò il seggio della giuria e le ragazze andarono a godere di uno dei pochi diritti a loro concessi.

Capitolo sesto Ultime parole Il giorno dopo era domenica e un’allegra comitiva di giovani

e adulti si avviò alla volta della chiesa. Qualcuno a piedi, altri in carrozza, ma tutti godevano del bel tempo e della serenità che viene a rigenerarci quando il lavoro e le preoccupazioni della settimana sono finiti. Daisy aveva mal di testa e la zia Jo era rimasta a casa per tenerle compagnia, ben sapendo che il male più grave era nel cuore che stava avendo la peggio contro l’amore che cresceva all’avvicinarsi del distacco.

- Daisy sa quel che desidero ed io ho fiducia in lei; bisognerà tener d’occhio Nat e fargli capire bene che non ci dovranno essere corteggiamenti per lettera o io gli proibirò di scrivere.

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Odio sembrare crudele, ma è troppo presto perché la mia cara ragazza si leghi in alcun modo, – aveva detto la signora Meg facendo frusciare il suo più bell’abito di seta grigia, mentre aspettava Demi, che accompagnava sempre la madre in chiesa come profferta di pace per essersi opposto ai suoi desideri in altri campi.

- Lo farò, mia cara; starò in attesa di tutti e tre i ragazzi oggi, come un vecchio ragno, parlerò con ognuno di loro, perché sanno che li capisco e, prima o poi, mi aprono i loro cuori. Meg, sembri davvero una simpatica signora un po’ in carne, e nessuno crederà che questo ragazzone sia tuo figlio – aggiunse Jo, mentre Demi appariva lindo e in ordine, scarpe lucide e capelli castani cosparsi di brillantina.

- Mi stai adulando per addolcire il mio cuore nei confronti del tuo ragazzo. Ti conosco Jo, e non cedo. Sii ferma e risparmiami una scena tra poco. In quanto a John, se è contento della sua vecchia madre, non mi curo di ciò che pensa la gente, – rispose Meg mentre accettava con un sorriso il mazzolino di piselli odorosi e resede che Demi le offriva.

Poi, abbottonati con cura i candidi guanti, prese il braccio del figlio e si avviò orgogliosa verso la carrozza dove l’attendevano Amy e Bess; Jo, intanto, proprio come la mamma era solita fare un tempo, diceva: – Ragazze, avete preso i fazzoletti belli?

Le ragazze sorrisero a quelle parole familiari, e mentre partivano sventolarono le tre bianche bandiere, lasciando il ragno ad attendere la prima mosca. Non ebbe da aspettare a lungo. Daisy stava sdraiata e teneva la guancia umida sul libro di inni sacri che una volta lei e Nat cantavano assieme, e così la signora Jo se ne andò a fare quattro passi sul prato, ricordando un fungo a passeggio con quel suo grande ombrello. Dan era andato a fare una lunga passeggiata e si supponeva che Nat l’avrebbe accompagnato, ma invece tornò indietro di nascosto incapace di staccarsi dalla Piccionaia e di perdere anche solo un minuto di quell’ultimo giorno per stare accanto all’amata. La signora Jo lo vide immediatamente e lo invitò a sedere, su una panchina rustica, sotto il grande olmo dove avrebbero potuto parlare indisturbati ed intanto tener d’occhio una certa finestra dalle tendine bianche mezzo nascosta tra i tralci di vite.

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- È bello fresco qui, – disse il giovane. – Non me la sento oggi di seguire Dan in una delle sue camminate perché fa troppo caldo e poi va che sembra una macchina a vapore. Se n’è andato verso lo stagno dove stavano una volta i suoi serpentelli innocui e io l’ho pregato di scusarmi, – disse Nat facendosi vento con il cappello di paglia sebbene il caldo non fosse davvero opprimente.

- Sono contenta che tu sia tornato indietro; sta’ seduto qui, riposati con me e facciamo una delle nostre belle chiacchierate. Siamo stati così occupati di recente che sento di non conoscere tuoi progetti come invece vorrei, – disse la signora Jo, sicura che, anche se si fossero messi a parlare di Lipsia, sarebbe sempre venuto fuori Plumfield.

- Siete molto gentile e nulla mi fa piacere quanto parlare con voi. Ancora non mi rendo conto di andare tanto lontano; suppongo che non lo capirò finché sarò in alto mare. Comunque, questo è un buonissimo inizio per me e non saprò esprimere mai abbastanza la mia riconoscenza a voi e al signor Laurie per ciò che avete fatto, – disse Nat e la voce gli si spezzò perché veramente era un ragazzo dal cuore tenero e incapace di dimenticare un beneficio ricevuto.

- Tu ci ricompenserai splendidamente se sarai ed agirai come noi speriamo e ci aspettiamo da te, caro; nella nuova vita che affronterai ci saranno mille tentazioni e mille prove e potrai avvalerti solo del tuo coraggio e della tua saggezza. Allora sarà il momento di mettere in pratica i principi che abbiamo cercato di insegnarti e di vedere quanto sono radicati in te. Naturalmente commetterai degli errori, tutti li commettiamo, ma non venire mai meno alla tua coscienza e non ti lasciar mai andare alla deriva. Prega e abbi cura di te stesso, Nat, e mentre le tue mani impareranno il mestiere, fa che la tua mente diventi più saggia, mantieni il cuore innocente e ardente com’è ora.

- Farò del mio meglio, mamma Bhaer, perché possiate essere fiera di me. So che farò dei progressi per la musica, non potrebbe essere altrimenti, ma temo che non sarò mai molto saggio. In quanto al mio cuore, sapete che lo lascio qui, in buone mani.

Mentre parlava, i suoi occhi erano fissi alla finestra con uno

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sguardo di amore e desiderio che gli rattristava il viso, ma con un’espressione virile che rivelava chiaramente quanto forte fosse la presa che quel sentimento aveva su di lui.

- Voglio parlarti di questo e so che mi perdonerai se ti sembrerò severa, perché io sono dalla tua parte, con tutto il cuore, – disse la signora Jo lieta di poter dir la sua.

- Sì, parliamo di Daisy. Non riesco a pensare ad altro che di doverla lasciare e perderla, perché non ho speranze e suppongo sia chiedere troppo. Ma è che… non posso fare a meno di amarla, dovunque io sia! – esclamò Nat, con un’espressione in cui si fondevano la disperazione e la sfida che spaventò la signora Jo.

- Ascoltami e cercherò di darvi conforto e qualche buon consiglio: tutti sappiamo che Daisy ti vuol bene, ma sua madre fa delle obiezioni alle quali lei, essendo una brava ragazza, cerca di obbedire. I giovani pensano sempre di non poter cambiare, ma essi sono capaci di farlo nel migliore dei modi, e poca gente muore d’amore, – la signora Jo sorrise al pensiero di un altro ragazzo che un tempo aveva cercato di confortare, poi continuò a voce pacata mentre Nat la ascoltava come se il suo destino pendesse totalmente dalle sue labbra.

- Accadranno o l’una o l’altra di queste due cose: o tu troverai qualcun’altra da amare, oppure, meglio ancora, sarai tanto preso dalla tua musica che sarai disposto ad aspettare che il tempo sistemi le cose per entrambi. Forse Daisy dimenticherà quando te ne sarai andato, e sarà ben contenta che siate soltanto amici; ad ogni modo per il momento è molto più saggio non promettersi nulla, così tutti e due sarete liberi e fra un anno o due potreste facilmente incontravi e ridere di questa storiella morta sul nascere.

- Lo pensate davvero? – domandò Nat, e la fissò con tale intensità che la signora Jo non potè non dire la verità, poiché tutto il suo cuore era in quei suoi occhi azzurri e sinceri.

- No, non lo penso affatto, – rispose. - E allora, se foste al mio posto che cosa fareste? – aggiunse

con un tono di sfida mai udito in quella voce gentile. «Povera me, questo ragazzo fa tremendamente sul serio ed io

temo che per simpatia verso di lui dimenticherò la prudenza», pensò la signora Jo, meravigliata e compiaciuta

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dall’imprevista maturità che Nat dimostrava. - Ti dico subito che cosa farei. Io direi a me stesso:

«Dimostrerò che il mio amore è forte e fedele, voglio fare in modo che la madre di Daisy sia fiera di affidarla a me, perché io sono non soltanto un buon musicista, ma un uomo eccellente e merito rispetto e fiducia. È questo che vorrei dimostrare, e se fallissi, sarà sempre meglio perché almeno avrei tentato. Troverei comunque conforto nella sicurezza di aver fatto tutto quanto potevo per il bene di Daisy».

- Questo è ciò che intendevo fare, ma avevo bisogno di una parola di speranza per farmi coraggio! – esclamò Nat, infiammandosi come se già quella scintilla che covava sotto la cenere fosse diventata fuoco perché su di essa era stato soffiato l’incoraggiamento. – Tanti altri uomini, più poveri e meno capaci di me, hanno fatto grandi cose e hanno raggiunto gli onori, perché non ci devo riuscire io, anche se adesso non sono nessuno? Lo so che la signora Brooke si ricorda da dove vengo, ma mio padre era onesto sebbene tutto andò storto e io non ho nulla di cui vergognarmi nonostante sia stato allevato per carità. Non mi vergognerò mai di me stesso e dei miei e farò in modo che la gente mi rispetti, se posso.

- Bravo, Nat, questo è lo spirito giusto! Non desistere e fa’ di te stesso un uomo. Nessuno più di mia sorella Meg sarà pronta ad ammirare i tuoi successi, poiché lei non disprezza la tua povertà o il tuo passato; solo che le madri sono sempre troppo sensibili verso le figliole. E noi March, sebbene siamo stati poveri, siamo, lo confesso, molto fiere della nostra famiglia. Non c’interessa il denaro, ma una lunga lista di antenati onesti è qualcosa da desiderare sempre e di cui andare fieri.

- Anche i Blake erano brava gente. Li ho sempre ammirati e nessuno di loro è mai finito in carcere o è stato impiccato, o ha disonorato la famiglia. Eravamo ricchi e rispettati anni fa, poi siamo caduti in miseria e mio padre, piuttosto che mendicare, ha fatto il suonatore ambulante; e lo farei anch’io piuttosto che commettere malvagità.

Nat era tanto eccitato che la signora Jo, per placare l’atmosfera, rise allegramente e entrambi proseguirono con maggiore tranquillità.

- Ho già detto queste cose a mia sorella e le hanno fatto

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piacere. Sono sicura che se nei prossimi anni tu ti sistemerai si addolcirà e anche questa questione sarà felicemente risolta, a meno che non si verifichi quell’imprevedibile mutamento che tu ora non ritieni possibile. Andiamo, stai allegro, non essere triste, saluterai tutti tranquillamente, dimostra che sei un uomo e lascia dietro di te un ricordo gradevole. Tutti ti auguriamo buona fortuna e speriamo in te. Scrivimi ogni settimana ed io ti manderò lettere zeppe di notizie e pettegolezzi. Fa’ attenzione a ciò che scrivi a Daisy, non indulgere in sentimentalismi e in piagnistei perché mia sorella Meg vedrà le lettere; gioverai moltissimo alla tua causa se ci manderai resoconti sensibili e allegri della tua vita quotidiana.

- Lo farò certamente. Tutto mi sembra più chiaro e raggiungibile ora e non perderò il mio solo conforto per una mia qualsiasi colpa. Tante grazie mamma Bhaer per aver preso le mie difese. Mi sentivo così ingrato, meschino e abbandonato quando ho creduto che voi mi giudicaste un individuo spregevole che non aveva il diritto di amare una ragazza come Daisy. Certo nessuno ha mai detto niente, ma io sapevo cosa provavate e anche che il signor Laurie mi voleva far partire in parte anche per liberarsi di me. La vita talvolta è dura, vero?

E Nat si prese la testa fra le mani, come se gli dolesse per tutta quella confusione tra timori e speranze, passioni e propositi che era la dimostrazione che l’adolescenza era passata ed era cominciata la maturità.

- Sì, molto dura, ma è proprio la lotta contro gli ostacoli che giova a tutti noi; sotto molti punti di vista, le situazioni ti sono state facilitate, ma nessuno può far tutto. Tu ora devi guidare la tua canoa, imparare ad evitare le rapide e mirare dritto al porto che vuoi raggiungere. Non so quali potranno essere le tentazioni per te: non hai cattive abitudini e ami tanto la musica che nulla potrebbe allontanartene. Spero soltanto che non lavorerai troppo.

- Sento che potrei lavorare come un mulo, tanto è il mio desiderio di progredire, ma avrò cura di me stesso. Non posso perder tempo ad ammalarmi e, d’altra parte, mi avete dato abbastanza ricette, da potermela cavare.

Nat rise, ricordandosi del quadernetto pieno di prescrizioni che la signora Jo aveva scritto per lui perché lo consultasse in

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ogni occasione. Lei, subito, ne aggiunse altre a voce circa le abitudini

alimentari all’estero ed avendo attaccato con uno degli argomenti prediletti, era nel bel mezzo del discorso quando apparve Emil che camminava sul tetto della vecchia casa che prediligeva come meta delle sue passeggiate. Lassù poteva illudersi di passeggiare sul ponte di una nave, di avere attorno a sé soltanto cielo e aria fresca.

- Devo fare una chiacchierata col Commodoro e penso che lassù saremo tranquilli e indisturbati. Tu, intanto, vai a suonare qualcosa a Daisy: le concilierai il sonno e farà bene ad entrambi. Restate sotto al portico, così potrò sorvegliarvi come ho promesso… – e, dato un colpetto amichevole sulle spalle di Nat, la signora Jo lo lasciò al suo gradito compito e salì in cima alla casa servendosi non più, come un tempo, della vite rampicante, bensì della scala interna.

Giunta al pianerottolo superiore trovò Emil che stava intagliando le sue iniziali nel legno e cantava, da quell’intonato marinaio qual era «Vogate verso la spiaggia».

- Sali a bordo e fa come fossi a casa tua, zietta, – invitò il giovane facendole uno scherzoso cenno di saluto. – Stavo proprio lasciando un messaggio nel solito, vecchio posto in modo che tu possa pensare a me, quando correrai quassù a rifugiarti.

- Mio caro, è improbabile che io ti dimentichi! Certo che non avrò bisogno di vedere le tue iniziali incise su ogni albero e ogni ringhiera per ricordare il mio marinaio! – e la signora Jo sedette accanto al ragazzo che stava a cavalcioni della balaustra, incerta sul modo in cui iniziare il suo sermone.

- Bene, questa volta almeno non piangerai tutte le tue lacrime, non ti accascerai quando partirò, come facevi di solito, e questo certo mi conforta. Mi piace lasciare il porto col tempo bello, ricevere un gaio augurio di buon viaggio, soprattutto questa volta che passerà un anno prima che si possa nuovamente gettare l’ancora qui, – disse Emil, tirando indietro il berretto e guardandosi attorno, come se, amando la vecchia Plumfield, fosse triste di non poterla rivedere mai più.

- Avrai abbastanza acqua salata, senza che io vi aggiunga le mie lacrime: ti prometto che sarò una vera madre spartana e

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manderò i miei figli in battaglia senza inutili lamenti, mostrandogli uno scudo e dicendo solo «O con questo o su questo», – promise gaiamente la signora Jo. E aggiunse dopo una pausa: – Spesso vorrei partire con te; lo farò un giorno o l’altro, quando sarai capitano al comando di una nave tua. Non ho dubbi che lo sarai tra non molto tempo, dato che lo zio Hermann ti darà una mano.

- Quando avrò la mia nave, la chiamerò «L’allegra Jo» e assumerò te come nostromo; ci sarà da divertirsi ad averti a bordo e sarò fiero di condurti a vedere il mondo, che per tanti anni hai desiderato conoscere e non hai mai potuto, – promise Emil, subito affascinato da quello splendido sogno.

- Farò il mio primo viaggio con te e mi divertirò moltissimo, a dispetto del mal di mare e di tutte le bufere. Ho sempre pensato che mi sarebbe piaciuto vedere un naufragio, uno di quelli che finiscono bene, con tutta la gente salva dopo tanti pericoli e azioni eroiche, un naufragio durante il quale fossimo costretti ad aggrapparci, come il signor Pillicoddy8, ai fiocchi dell’albero maestro e alle murate.

- Niente naufragi, in un primo tempo, signora. Faremo però tutto il possibile per accontentare i clienti; il capitano dice che sono un tipo fortunato e porto con me il bel tempo, quindi lasceremo a te le bufere, se proprio le desideri, -ribatté ridendo Emil, e intagliò una nave a vele spiegate accanto alle sue iniziali.

- Grazie, spero che sarà così. Questo nuovo, lungo viaggio ti darà il modo di fare delle esperienze. Come ufficiale, avrai nuovi doveri e responsabilità: sei pronto per questo? Tu prendi tutto con tanta leggerezza! Mi sono chiesta se ti sei reso conto che ora dovrai non solo obbedire, ma anche comandare. Il potere è pericoloso, quindi stai attento a non abusarne, altrimenti potresti diventare un tiranno.

- Hai ragione. Mi è capitato di vederlo molte volte, perciò mi sono prefissato la mia linea di condotta. Non avrò tanta libertà con Peters come comandante, ma farò in modo che i ragazzi non soffrano soprusi quando lui sarà «colmo fino al fiocco». Inutile parlarne ora, non so già che non lo sopporterò.

- Tutto questo suona tremendamente misterioso. Posso chiederti che genere di tortura nautica sia «essere colmi fino al

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fiocco»? – domandò la signora Jo con grande interesse. - Ubriacarsi. Peters regge i grog più di qualsiasi uomo abbia

mai visto; non barcolla, ma diventa furioso come il vento del nord e fa sì che anche l’atmosfera intorno si scaldi. Una volta l’ho visto buttare a terra un uomo con un raggio del timone e non potei far nulla per oppormi. Ora avrò maggiori possibilità, spero, – ed Emil corrugò la fronte come se stesse già calpestando la tolda, tenendo tutto sotto controllo.

- Bada a non metterti nei guai, perché neppure la protezione di zio Hermann potrebbe salvarti se commettessi un atto di insubordinazione. Hai dimostrato di essere un buon marinaio; ora cerca di essere un buon ufficiale, il che è anche più difficile, credo. Ci vuole carattere per comandare con giustizia e con gentilezza, dovrai dimenticare i tuoi modi da ragazzo e pensare alla dignità del tuo grado. Sarà questo un ottimo tirocinio per te, Emil, e ti renderà un po’ più posato. Non potrai più far cagnara a meno che tu non sia qui; perciò ora pensa al tuo avvenire e fa onore alla tua divisa, -disse la signora Jo accarezzando uno dei lucenti bottoni che ornavano la nuova uniforme di cui Emil era tanto fiero.

- Farò del mio meglio. So che per me è passato il tempo degli scherzi e ora devo puntare diritto alla meta. Ma non aver timore, perché il marinaio a terra è ben diverso da quello che ha l’acqua sotto i piedi. Ho fatto una lunga chiacchierata con lo zio l’altra sera e ho ricevuto le istruzioni del caso. Non le dimenticherò, come non dimenticherò tutto quello che gli devo. Quanto a te, chiamerò la mia nave come ti ho detto e farò del tuo busto la polena, vedrai se non lo farò! – ed Emil suggellò con un tenero bacio la promessa, il che diverti molto Nat, che stava suonando dolcemente sotto il portico della Piccionaia.

- Tu mi rendi orgogliosa, capitano, ma, mio caro, voglio dirti ancora una cosa, poi ho finito: infatti non ti occorrono altri avvertimenti dopo le parole di mio marito. Ho letto, da qualche parte, che in ogni centimetro di fune usata dalla Marina britannica è intrecciato un filo rosso in modo che la si possa riconoscere ovunque se ne trovi un pezzettino. Questo è il succo della breve predica che ti farò: la virtù, che significa onore, onestà, coraggio e tutto ciò che forma un carattere, sono quel filo rosso che distingue un uomo buono ovunque si trovi.

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Custodisci queste doti sempre e dovunque, così che se per sfortuna dovessi naufragare nel mare della vita, quel segno potrà sempre esser ritrovato e riconosciuto. La tua è una vita dura e i tuoi compagni non come noi desidereremmo, ma tu puoi comunque essere un gentiluomo nel vero senso della parola. Non importa quello che può accadere al tuo corpo, conserva l’anima limpida, il cuore sincero verso coloro che ti amano e fa’ il tuo dovere sino alla fine.

Mentre lei parlava, Emil si era alzato e stava ad ascoltarla col berretto in mano e con uno sguardo limpido e serio come se stesse prendendo ordini da un superiore; quando ebbe terminato, lui rispose brevemente, ma con tutto il cuore: - A Dio piacendo, lo farò.

- Questo è tutto, non ho grandi timori nei tuoi riguardi, ma non si può mai sapere quando e come giungerà il momento della debolezza e talvolta una parola detta al momento giusto ci è di aiuto. Come le tante parole dette da mia madre e che ora mi tornano alla mente per confortarmi e per aiutarmi a guidare i miei ragazzi! – disse la signora Jo, alzandosi, poiché tutto era stato detto e non c’era più bisogno di aggiungere altro.

- Ne ho fatto tesoro e so dove trovarle quando serve. Più e più volte, durante i turni di guardia, ho rivisto la vecchia Plum e ho risentito te e lo zio parlare così distintamente che avrei giurato di essere qui. È una vita davvero dura, zietta, ma splendida se uno la ama come l’amo io ed ha un’ancora a cui aggrapparsi come ce l’ho io. Non ti preoccupare per me. L’anno prossimo tornerò con una cassa di tè che ti rallegrerà il cuore e ti darà idee sufficienti per una dozzina di novelle. Scendiamo? Marciare sul pontile! Sarò da te quando tirerai fuori la scatola dei biscotti. È l’ultima possibilità di una buona merenda a terra.

La signora Jo scese ridendo ed Emil finì la sua nave fischiettando allegramente, senza neppure sognarsi quando e dove quella breve chiacchierata sul tetto sarebbe ritornata alla mente di uno di loro.

Dan era più difficile da trovare, e quel giorno, fino a sera, non vi fu un solo momento di tranquillità in quella famiglia così impegnata. Poi, quando gli altri girovagavano qua e là, la

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signora Jo sedette nel suo studio a leggere e proprio in quel momento Dan si affacciò alla finestra.

- Vieni a riposarti dalla tua lunga camminata, devi essere stanco, – lo invitò, indicandogli il largo divano dove tanti ragazzi si erano riposati, almeno per quel po’ che fanno di solito.

- Ho paura di disturbare, – ma Dan sembrava proprio che volesse fermare da qualche parte le sue membra irrequiete.

- Non mi disturbi affatto. Sono sempre pronta a chiacchierare, non sarei una donna, se non lo fossi, – rise la signora Jo, mentre Dan si precipitava dentro e sedeva con un’aria di soddisfazione molto bella a vedersi.

- Anche l’ultimo giorno è passato, eppure non mi sembra di aver voglia di andar via. Generalmente sono impaziente di tagliare la corda dopo una breve permanenza, strano, vero? – domandò Dan togliendosi i fili d’erba e le foglie dai capelli e dalla barba, infatti era stato sdraiato sull’erba, pensando a molte cose in quella quieta notte estiva.

- Non è affatto strano, stai cominciando a diventare una persona civile. E un buon segno e sono felice di sentirtelo dire, – rispose la signora Jo prontamente. – Ti sei sfogato e ora desideri un cambiamento. Spero che l’avere una fattoria te lo dia, per quanto mi piaccia di più vederti aiutare gli Indiani, perché è molto meglio lavorare per gli altri che per se stessi.

- È vero, – assentì Dan con calore. – Mi sembra di voler mettere radici da qualche parte, e avere una famiglia mia a cui badare; suppongo di essere stanco di stare solo con me stesso, soprattutto ora, quando ho visto che c’è di meglio; sono un tipo rozzo e ignorante, e ho pensato di aver sbagliato andando in giro per il mondo invece di farmi un’educazione come hanno fatto gli altri ragazzi.

Dan guardava ansiosamente la signora Jo e lei cercava di nascondere la sorpresa che questo sfogo di nuova natura le causava, perché Dan, fino a quel giorno, aveva disprezzato i libri e si era vantato della sua libertà.

- No, non la penso così, nel tuo caso. Sono sicura che, fino ad ora, la vita libera era la cosa migliore per te. Ora che sei un uomo, puoi controllare meglio questa tua natura ribelle, ma da ragazzo solo una grande attività e molte avventure potevano

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tirarti fuori dai guai. Il tempo sta domando il mio puledro, come vedi, e io sarò comunque orgogliosa di lui, sia che faccia di sé un cavallo da soma sia che vada a tirare l’aratro come fece Pegaso.

A Dan, accoccolato nell’angolo del divano, piacque il paragone e sorrise con quella sua nuova espressione pensosa negli occhi.

- Sono contento che la pensi così. Il guaio è che ci vorrà un sacco di addestramento perché io sappia mettere solide radici da qualche parte. Voglio riuscirvi e di tanto in tanto ci provo, ma poi rompo il giogo e scappo via. Non ho commesso nulla di irreparabile finora, ma non mi stupirei che mi accadesse un giorno.

- Hai avuto qualche brutta avventura, Dan, durante la tua ultima assenza? Lo immaginavo, ma non ti ho mai chiesto nulla prima, sapendo che me lo avresti detto, se avessi potuto esserti di aiuto in qualche modo. Posso fare qualcosa? – e la signora Jo lo osservava ansiosamente perché un’improvvisa espressione abbattuta era apparsa sul suo volto e lui si piegò in avanti come per nasconderla.

- Niente di male, ma San Francisco non è il paradiso in terra ed è più difficile essere santi là che qui, — rispose lentamente; poi, quasi avesse deciso di «sbottonarsi» come dicevano i ragazzi, si raddrizzò e aggiunse rapidamente con un tono mezzo di sfida e mezzo di vergogna: – Ho tentato col gioco d’azzardo, ma non mi è andata bene.

- È così che hai fatto i soldi? - Neanche un centesimo. È denaro pulito quello, seppure la

speculazione non sia altro che un genere più grande di gioco d’azzardo. Ho vinto molto denaro, ma poi l’ho perso o l’ho dato via, ho piantato tutto in asso prima che il vizio avesse la meglio su me.

- Sia ringraziato il Cielo! Non ritentare, potrebbe avere su te lo stesso fascino terribile che ha su molti altri. Stai sulle tue montagne e sulle tue praterie ed evita le città, Dan, se queste cose ti tentano. Meglio perdere la vita che l’anima, e una passione come questa conduce ai peggiori peccati, come sai meglio di me.

Dan assentì e, vedendola così turbata, continuò in tono più

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leggero, benché ancora vi fosse l’ombra della passata esperienza.

- Non essere così spaventata: va tutto bene, ora; e poi un cane già scottato ha paura del fuoco. Non bevo e non faccio niente di ciò che temi, non preoccupatevi; però mi eccito facilmente e allora questo mio diabolico caratteraccio è difficile da tenere a bada. Combattere un alce o un bufalo mi sta bene, ma quando ci si imbatte in un uomo, non importa quanto mascalzone sia, bisogna fare attenzione. Potrei uccidere qualcuno, un giorno o l’altro, ed è questo che mi fa paura. Odio i vigliacchi!

E Dan diede un pugno tale sulla tavola che fece oscillare la lampada e traballare i libri.

- Questo è sempre stato il tuo lato debole, Dan, e io posso comprenderti perché per tutta la vita ho cercato di controllare il mio temperamento e non ho ancora imparato, -disse la signora Jo con un sospiro. – Per amor del Cielo, sorveglia bene il tuo demone e non permettere che un momento di furia rovini tutta la tua vita. Come ho detto a Nat, vigila e prega, mio caro ragazzo. Non c’è altro aiuto e speranza per le debolezze umane se non la pazienza, l’amore e l’aiuto di Dio.

La signora Jo aveva le lacrime agli occhi mentre parlava; infatti era qualcosa che sentiva molto profondamente e sapeva quale arduo compito fosse disciplinare questi istinti. Dan appariva commosso e anche a disagio, e lo era sempre quando si nominava una qualsiasi religione, benché egli avesse una fede tutta sua e ad essa cercasse di conformare la propria vita.

- Io non prego molto, non mi riesce facile, però posso vigilare come un pellerossa. Però è più facile stare attento ad un orso in agguato che al mio caratteraccio. È questo che mi fa paura, se mi stabilirò da qualche parte. Io posso convivere a meraviglia con un animale selvaggio, ma gli uomini mi irritano tremendamente e non mi è possibile liberarmene combattendoli come farei con un orso o un lupo. Penso che sarebbe meglio che me ne andassi sulle Montagne Rocciose e ci restassi un bel po’, almeno finché sarò abbastanza addomesticato per poter convivere in mezzo alle persone civili… se mai ne sarò capace.

E così dicendo Dan, scoraggiato, si prese la testa fra le mani. - Tenta il rimedio che io ti offro e non arrenderti. Leggi di più,

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studia un po’ e cerca di frequentare persone di grado più elevato, le quali non ti «irriteranno», ma ti renderanno più dolce e più forte. Noi non ti rendiamo selvaggio, ne sono sicura; tu qui sei stato mite come un agnello e ci hai reso tutti felici.

- Ne sono lieto, ma io mi sono sentito ugualmente come un falco in un pollaio e ho desiderato piombare sulla preda e farla a pezzi più di una volta. Non proprio come un tempo, tuttavia… – soggiunse Dan, ridendo brevemente alla faccia stupita della signora Jo, -… seguirò il tuo consiglio ed eviterò le cattive compagnie, per tutto il tempo che ci riuscirò; ma uno non può sempre fare la scelta giusta quando è sempre in giro come me.

- Questa volta ci riuscirai, perché vai a fare un viaggio pacifico e puoi tenerti lontano dalle tentazioni, se ci provi. Prendi con te qualche libro e leggi: ti sarà di grandissimo aiuto. I libri sono sempre una buona compagnia, se sono buoni. Lascia che te ne scelga qualcuno, – e la signora Jo, andò dritto agli scaffali ben forniti di libri che erano la gioia del suo cuore e il conforto della sua vita.

- Dammi libri di viaggio e di avventure, per favore. Non desidero libri di religione o cose simili, non mi piacciono e non lo pretendo neppure, – disse Dan guardando con poco interesse le lunghe file di volumi ben rilegati al di sopra del capo di Jo.

La signora Jo si volse bruscamente e, mettendogli le mani sulle spalle larghe, lo guardò negli occhi, poi gli disse gravemente.

- Ascoltami, Dan. Non schernire le cose buone e non pretendere di essere peggiore di quello che sei. Non lasciare che un falso pudore ti faccia trascurare la religione senza la quale nessun uomo può vivere. Non è necessario che tu ne parli, se non ti va, ma non chiuderle il tuo cuore sotto qualunque forma ti si presenti. Per ora il tuo Dio è la natura ed essa ha fatto molto per te; lascia che faccia ancora di più e ti conduca a conoscere e ad amare il Maestro, Amico e Consolatore più saggio e tenero che essa non potrà mai essere. Questa è la sola tua speranza, non gettarla via e non sciupare il tuo tempo, perché presto o tardi, sentirai il bisogno di Lui e Lui verrà a te e ti consolerà quando tutto il resto verrà meno.

Dan rimase immobile e lasciò che lei leggesse nei suoi occhi raddolciti il muto desiderio che aveva nel cuore, benché non

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avesse parole per esprimerlo, e permise che afferrasse solo un lampo di quella luce divina che cova o arde chiaramente in ogni anima umana. Lui non parlò e la signora Jo, felice che le venisse risparmiata una risposta che avrebbe potuto smentire i suoi veri sentimenti, si affrettò a soggiungere col suo più materno sorriso: – Ho visto nella tua camera la piccola Bibbia che ti ho dato tanto tempo fa; era molto consumata fuori, ma intatta dentro, come se non fosse stata molto letta. Mi prometti di leggerla un po’ una volta alla settimana, per amor mio? La domenica è un giorno tranquillo ovunque e questo libro non è mai vecchio né fuori posto. Comincia con le storie che ti piacevano quando le raccontavo a voi ragazzi. Davide era il tuo preferito, ricordi?

Rileggilo, è ancora più adatto a te ora e troverai utile leggere i suoi peccati e il suo pentimento finché arriverai alla vita e alle opere di un esempio più divino del suo. Lo farai per amore di «mamma Bhaer» che ha sempre amato il suo tizzone di fuoco e ha sempre sperato di salvarlo?

- Lo farò, – rispose Dan con un viso improvvisamente illuminato, che parve un raggio di sole tra le nubi, pieno di promesse, benché raro e di breve durata.

La signora Jo si voltò verso i libri e cominciò a parlare di quelli, ben sapendo che Dan non avrebbe più ascoltato. Sembrava sollevato, perché era difficile per lui mostrare quello che aveva dentro ed era orgoglioso di nasconderlo, come un indiano nasconde il dolore o la paura.

- Oh! Ecco il vecchio Sintram! Me lo ricordo: mi piaceva con quelle sue sfuriate! Di solito lo leggevo a Ted. Eccolo che cavalca con la Morte e il Diavolo al suo fianco.

Mentre Dan osservava il piccolo disegno del giovane che col cavallo e il cane saliva coraggiosamente per la gola rocciosa, affiancato dai due compagni, che cavalcavano a lato di molti uomini in questo mondo, uno strano impulso spinse la signora Jo a dire: – Questo sei tu, Dan, come sei adesso. Il pericolo e il peccato sono vicini a te nella vita che conduci, capricci e passioni ti tormentano, il cattivo padre ti ha lasciato solo a combattere, e lo spirito selvaggio ti trascina a vagare su e giù per il mondo in cerca di pace e di dominio di te stesso. Ci sono anche la cavalla e il cane, la tua Octoo e il tuo Don, amici fedeli,

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per nulla impauriti dagli strani compagni che cavalcano con te. Non hai ancora la corazza, ma cercherò di mostrarti dove la puoi trovare. Ricordi che Sintram amava sua madre e desiderava ritrovarla, ed infatti la ritrovò, quando vinse la sua battaglia coraggiosamente ed ebbe così conquistato la sua ricompensa? Tu puoi ricordare tua madre. Ho sempre pensato che le buone qualità che hai, ti vengono da lei. Fai rivivere la cara vecchia storia in questa e in altre parti, e cerca di renderle un figlio di cui lei possa essere fiera.

Quasi trascinata dalla strana somiglianza del racconto con la vita e i bisogni di Dan, la signora Jo aveva continuato a indicare i disegni che lo illustravano, e, quando alzò gli occhi, fu sorpresa vedendo come fosse colpito e interessato. Come tutte le persone del suo temperamento, era molto impressionabile, e la sua vita fra i cacciatori e gli Indiani, lo aveva reso superstizioso; credeva nei sogni, amava i racconti magici e tutto ciò che attraeva l’occhio o la mente lo impressionava molto più profondamente delle parole più sagge. La storia del povero e tormentato Sintram gli tornò alla memoria chiaramente, mentre guardava e ascoltava, simboleggiando la sua lotta interiore con una verosimiglianza maggiore di quanto la signora Jo pensasse; e proprio in quel momento, produsse in lui un’impressione che non avrebbe mai più dimenticato. Ma tutto ciò che disse fu: – Ci sono poche speranze, non credo proprio che incontrerò in Cielo la mia famiglia. E poi penso che la mamma non si ricorderà di quel povero marmocchio che abbandonò tanto tempo fa. Perché dovrebbe?

- Perché le vere mamme non dimenticano mai i loro figli! E io so che era una buona mamma, perché fuggì da un marito crudele per sottrarre il suo figlioletto alle cattive influenze. Se fosse sopravvissuta la tua vita sarebbe stata più felice, con una tenera amica che ti avrebbe aiutato e confortato. Non dimenticare mai che rischiò tutto per la tua salvezza: fa’ che non sia stato per niente.

La signora Jo parlava molto seriamente poiché sapeva che la madre era l’unica dolce memoria dell’infanzia di Dan e fu felice di avergliela ricordata in quel momento; improvvisamente una grossa lacrima cadde sulla pagina dove si vedeva Sintram

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inginocchiato ai piedi di sua madre, ferito ma vittorioso sul peccato e la morte. Lei lo guardò, felice di aver toccato Dan nel più profondo del cuore come quella lacrima chiaramente dimostrava; ma un gesto del suo braccio cancellò l’inopportuna spia e la sua barba nascose quella che seguiva. Chiuse il libro e disse, con un tremito appena represso nella sua potente voce: – Prenderò questo, se nessuno lo vuole. Lo leggerò tutto e forse mi farà bene. Mi piacerebbe incontrarla in un posto qualsiasi, ma non credo che questo accadrà.

- Prendilo e che ti serva d’aiuto. Mia madre me lo diede e quando lo leggerai cerca di ricordarti che nessuna delle tue madri ti dimenticherà mai.

La signora Jo gli consegnò il libro con una carezza. Dan se lo mise in tasca dicendo semplicemente: – Grazie, e buona notte -. Poi se ne andò diritto al fiume per rimettersi da quella rara scena di tenerezza e confidenze.

Il giorno dopo i viaggiatori partirono. Tutti erano di buon umore e un nugolo di fazzoletti rischiarò l’aria mentre se ne andavano sul vecchio omnibus baciando mani e agitando i cappelli a tutti ma specialmente a «mamma Bhaer» che disse nel suo tono profetico, mentre si asciugava gli occhi e le voci familiari si erano spente: – Ho il presentimento che qualcosa accadrà a qualcuno di loro e che non ritorneranno da me, o torneranno cambiati. Pazienza, io non posso che dire «Dio sia con i miei ragazzi».

E così fu. Capitolo settimo Il leone e l’agnello Quando i ragazzi se ne furono andati la calma scese su

Plumfield e la famiglia si disperse in varie località per una breve vacanza, poiché agosto era arrivato e si avvertiva il bisogno di un cambiamento. Il professore portò la signora Jo in montagna. I Laurence erano al mare e la famiglia di Meg e i ragazzi Bhaer fecero loro delle visite a turno, poiché qualcuno doveva sempre essere a casa a tenere tutto in ordine.

La signora Meg e Daisy erano di turno a casa quando accaddero gli avvenimenti che stiamo per narrare. Rob e Ted

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erano appena tornati dalla montagna e Nan era venuta a passare una settimana dalla sua amica Daisy, come unico momento di riposo che si era permessa. Demi era in gita con Tom cosicché Rob era l’uomo di casa, col vecchio Silas come sovrintendente.

L’aria del mare pareva avesse dato alla testa a Ted, poiché era insolitamente bizzarro e rendeva la vita difficile alla cara zia e al povero Rob con le sue trovate. Octoo era esausta per le cavalcate selvagge che la costringeva a fare e Don si ribellava apertamente quando gli si ordinava di saltare e di far vedere le sue abilità. Le ragazze del collegio invece erano preoccupate, ma anche divertite, dagli spiriti che di notte visitavano il giardino, dalle melodie celesti che disturbavano le loro ore di studio e dai salvataggi miracolosi di quell’infaticabile ragazzo che scherzava con l’acqua, la terra e il fuoco.

Alla lunga successe qualcosa che calmò definitivamente Ted e lasciò un ricordo incancellabile in entrambi i ragazzi, perché un improvviso pericolo e una paura ossessionante trasformarono il leone in agnello e l’agnello in leone, per quanto riguardava il coraggio.

Il primo settembre – i ragazzi non dimenticarono mai più quella data – dopo una piacevole passeggiata e una pesca fortunata, i due fratelli gironzolavano nel cortile. Daisy aveva visite e i ragazzi giravano al largo.

- Ti dico io cos’ha, Robby: quel cane è ammalato. Non vuol giocare, non mangia, non beve e si comporta in modo strano. Dan ci ucciderà se gli capita qualche cosa, – disse Ted, guardando Don che stava sdraiato vicino alla sua cuccia, riposandosi un momento dopo uno dei suoi continui andirivieni che lo facevano spostare dalla porta della camera di Dan all’angolo in ombra del cortile, dove il suo padrone l’aveva sistemato con un vecchio berretto a cui badare sino a che fosse tornato a casa.

- Può darsi che sia il caldo. Talvolta però penso che si strugga per la mancanza di Dan. I cani fanno così, lo sai, e la povera bestia è sempre stata giù di giri da quando i ragazzi sono partiti. Forse è successo qualcosa a Dan. Questa notte Don mugolava e non riesce a star fermo un momento. Ho sentito parlare di cose simili, – rispose Rob pensieroso.

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- Ma no! Non può essere! È annoiato. Lo scuoterò e gli farò fare una corsa, lo fa sempre star meglio. Su, bello, sveglia e sta’ allegro! – e Ted fece schioccare le dita rivolto al cane, che si limitò a guardarlo con tetra indifferenza.

- È meglio lasciarlo stare. Se domani non starà meglio lo porteremo dal dottor Watkins e sentiamo cosa dirà, – e Rob sdraiato sull’erba continuò ad osservare le rondini, mentre limava dei versi latini che aveva scritto.

Uno spirito perverso si era impossessato di Ted e solo perché gli era stato detto di non stuzzicare Don continuò a farlo, con la scusa che era per il bene del cane. Don non fece caso ai suoi buffetti, ai suoi ordini, ai suoi rimproveri o ai suoi insulti, finché Ted perse la pazienza. Vedendo lì vicino una bacchetta adatta, non seppe resistere alla tentazione di conquistare la grossa bestia con la forza, visto che la gentilezza non aveva portato all’obbedienza. Fu abbastanza saggio da legare prima Don alla catena, poiché una battuta di una mano che non fosse quella del suo padrone lo rendeva feroce. Ted aveva tentato più di una volta l’esperimento come il cane ben ricordava. Questa cattiveria fece balzare su Don che si riaccucciò ringhiando. Rob lo sentì e, vedendo Ted alzare la bacchetta, si mise in mezzo esclamando: – Non toccarlo! Dan l’ha vietato! Lascia in pace la povera bestia: non ti permetto di picchiarla.

Rob comandava di rado, ma quando lo faceva il signorino doveva obbedire. Ma il suo umore era troppo cattivo e il tono di comando di Rob fece sì che non seppe resistere alla tentazione di dare almeno un colpo al cane ribelle prima di smettere. Solo un colpo, ma lo pagò caro perché appena si abbatté sul cane, questi si avventò contro Ted con un ringhio, e Rob, gettandosi tra i due, sentii denti aguzzi penetrare nella sua gamba. Una parola fece accucciare Don pieno di rimorso ai piedi di Rob, perché l’animale lo amava ed era evidentemente spiacente di aver ferito il suo amico per errore. Dandogli un colpetto in segno di perdono, Rob lo lasciò andare e s’avviò zoppicando verso il granaio, seguito da Ted, la cui rabbia s’era tramutata in vergogna e dispiacere alla vista delle gocce di sangue sulle calze di Rob e della ferita nella gamba.

- Mi rincresce davvero tanto, ma perché ti sei messo in mezzo? Su, lavati, intanto io vado a prendere una benda per

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fasciarti, – disse inzuppando una spugna e tirando fuori un fazzoletto piuttosto sciupato.

Rob di solito non faceva molto caso alle sue disavventure, ed era sempre pronto a perdonare se gli altri erano i colpevoli; ma ora sedeva silenzioso, guardando le chiazze rossastre con una strana espressione sul suo viso pallido, che turbò Ted, anche se soggiunse ridendo: – Non avrai paura di una piccola ferita come quella, spero?

- Ho paura dell’idrofobia. Ma se Don è arrabbiato è meglio che l’abbia presa io, – rispose Rob con un sorriso e un brivido.

A quella terribile parola Ted divenne più bianco di suo fratello e, lasciando cadere spugna e fazzoletto, lo fissò con un volto terrorizzato mormorando in un tono disperato: – Oh! Rob non dirlo! Cosa dobbiamo fare, cosa dobbiamo fare?

- Chiama Nan, lei lo saprà. Non spaventare la zia e non dirlo ad anima viva tranne che a Nan; è sotto il portico dietro la casa, portala qui più presto che puoi. Mentre arriva io laverò la ferita. Può darsi che non sia niente, non avere quell’aria impressionata, Ted; potrebbe essere solo un ipotesi, visto che Don si comporta in modo così strano.

Rob cercò di parlare con calma, ma le lunghe gambe di Ted erano stranamente deboli, mentre correva via e fu una fortuna che non incontrasse nessuno perché la sua faccia l’avrebbe tradito. Nan si dondolava dolcemente in un’amaca, divertendosi con un allegro trattato sulla difterite, quando un ragazzo agitato l’afferrò improvvisamente bisbigliando mentre quasi la faceva cadere.

- Vieni da Rob nel granaio! Don è idrofobo e l’ha morsicato e noi non sappiamo che fare. Tutta colpa mia. Nessuno lo deve sapere. Fai alla svelta!

Nan fu subito in piedi, spaventata, ma perfettamente padrona di sé. Entrambi si misero in moto senza dire nient’altro, girarono attorno alla casa, dove l’ignara Daisy chiacchierava con le sue amiche in salotto e la zia Meg faceva in tutta tranquillità il suo pisolino pomeridiano.

Rob si era fasciato ed era calmo e forte come sempre quando lo trovarono nella stanza degli attrezzi, dove si era saggiamente rifugiato per non essere visto. A Nan fu subito raccontata la storia e, dopo aver dato un’occhiata a Don, ora

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nella sua cuccia triste e scontroso, disse lentamente fissando il secchio colmo d’acqua: – Rob, c’è una cosa sola da fare per stare tranquilli e dev’essere fatta subito. Non possiamo aspettare di sapere se Don è… malato o andare a cercare un dottore. Posso farla io e te la farò. Ma è molto doloroso e odio l’idea di farti male, caro.

Nella voce di Nan si sentiva un tremito molto poco professionale, mentre diceva queste cose e i suoi occhi si offuscarono vedendo le due giovani facce ansiose rivolte verso di lei e fiduciose del suo aiuto.

- Lo so, brucialo: fallo, per favore. Credo di poterlo sopportare. Ma è meglio che Ted vada via, – disse Rob, con un’espressione decisa sulle labbra e facendo un cenno allo sconsolato fratello.

- Non mi muoverò, posso sopportare la prova se la sopporta lui, solamente avrei dovuto esserci io al suo posto! -gridò Ted, facendo uno sforzo disperato per non piangere. Era così colmo di dolore, paura e vergogna, che pareva non potesse sopportare la cosa da uomo.

- Sarà bene che rimanga ad aiutarmi: gli farà bene, – rispose Nan severamente, ma il cuore le mancava, sapendo quello che toccava ai due poveri ragazzi. – Stai tranquillo, io torno fra un minuto, – aggiunse dirigendosi verso casa, mentre stabiliva velocemente cosa fosse meglio fare.

Era giorno di stiratura e il fuoco brillava ancora nella cucina vuota, poiché le cameriere erano di sopra a riposarsi. Nan mise ad arroventare un piccolo attizzatoio e, mentre aspettava, si prese la testa fra le mani, chiedendo aiuto, in questa necessità improvvisa, a tutto il suo coraggio, la sua forza e la sua saggezza; perché non c’era nessun altro a cui rivolgersi e benché così giovane, sapeva molto bene cosa doveva fare, se solo i suoi nervi la reggevano.

Se si fosse trattato di un altro paziente avrebbe trovato il tutto molto interessante, ma che fosse in pericolo proprio Rob, l’orgoglio del padre, il conforto della madre, l’amico e il preferito di tutti, no, questo era davvero terribile. Calde lacrime caddero sul tavolo lucido mentre Nan tentava di calmare la sua agitazione, ricordando a se stessa come poteva trattarsi di un errore, una preoccupazione naturale ma inutile.

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«Devo mettere in chiaro la cosa, altrimenti i ragazzi crolleranno e scoppierà il panico. Perché addolorare e spaventare tutti quando non siamo ancora certi che sia così? Non voglio. Porterò subito Rob dal dottor Morrison e farò visitare Don dal veterinario. Poi, dopo aver fatto tutto quello che possiamo, o rideremo della nostra paura infondata – se sarà così – o saremo pronti ad affrontare gli eventi. Ora andiamo dal mio povero ragazzo».

Armata del suo attizzatoio rovente, una brocca d’acqua gelata, e di parecchi fazzoletti presi dallo stendibiancheria, Nan ritornò nel granaio, pronta a far del proprio meglio nel più grave «caso d’emergenza» che le fosse capitato. I ragazzi seduti sembravano due statue: l’una della disperazione, l’altra della rassegnazione. E ci volle tutta la famosa calma di Nan per portare a termine l’operazione in fretta e bene.

- Coraggio, Rob, in un minuto sarà tutto finito. Tu, Ted, rimani qui vicino; potrebbe svenire.

Rob chiuse gli occhi, strinse i pugni e rimase immobile come un eroe, Ted si inginocchiò accanto a lui, bianco come un cencio e debole come una fanciulla, perché il rimorso lo attanagliava e gli piangeva il cuore al pensiero del male causato dalla sua ostinazione. In un momento fu tutto finito e non si udì che un piccolo gemito; ma quando Nan si girò verso il suo assistente perché gli porgesse l’acqua, il povero Ted era quello che ne aveva più bisogno poiché era svenuto e giaceva a terra in un commovente groviglio di gambe e di braccia.

Rob rise e, rianimata da quel gesto inaspettato, Nan fasciò la ferita con mani non più tremanti, benché grosse gocce di sudore le imperlassero la fronte. Bevve l’acqua col suo paziente numero uno, prima di rivolgersi al numero due. Ted si sentì imbarazzato e umiliato, quando scoprì di essere mancato proprio nel momento del pericolo e li pregò di non dirlo in giro, perché proprio non aveva potuto farne a meno; poi, completando la sua umiliazione, scoppiò in un pianto isterico che non giovò certo al suo prestigio, ma che gli fece un gran bene.

- Non ti preoccupare, non ti preoccupare, va tutto bene ora, e non occorre che gareggiate in saggezza, – disse Nan, mentre il povero Ted singhiozzava sulla spalla di Rob, ridendo e

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piangendo altrettanto violentemente. Suo fratello cercava di calmarlo e la giovane dottoressa faceva vento ad entrambi col vecchio cappello da giardiniere di Silas.

- Ora, ragazzi, ascoltatemi e ricordatevi quello che vi dico. Per il momento non allarmeremo nessuno, perché sono giunta alla conclusione che la nostra paura è fuori luogo. Don stava bevendo quando sono passata e non credo sia idrofobo più di quanto lo sia io. Tuttavia, per risollevare gli spiriti e sottrarre per qualche tempo alla vista degli altri le nostre facce da colpevoli, penso sia bene andare in città dal mio vecchio amico, il dottor Morrison, fargli dare un’occhiata e farci prescrivere anche un calmante, perché siamo tutti piuttosto scossi da questa bufera. Tu stai seduto tranquillo Rob, e tu Ted vai a prendere la carrozza, intanto io corro a prendere il cappello e dico alla zia che faccia le mie scuse a Daisy. Io non conosco queste signorine Penniman e lei sarà felice d’avere più spazio per il suo tè; noi faremo una merendina a casa mia e torneremo allegri come allodole.

Nan chiacchierava senza sosta per dar sfogo all’emozione nascosta che l’orgoglio professionale non le permetteva di mostrare e i ragazzi approvarono subito il suo piano; poiché è sempre più facile agire che attendere pazientemente. Ted andò barcollando a lavarsi la faccia sotto la pompa per far tornare un po’ di calore sulle sue guance prima di attaccare il cavallo. Rob rimase sdraiato sul fieno a guardare le rondini, rivivendo quei momenti che difficilmente avrebbe dimenticato. Così giovane il pensiero che la morte poteva arrivare improvvisamente per lui e in quel modo, lo rendeva più serio perché è una cosa tremenda essere fermati nel bel mezzo di una vita dalla possibilità di un simile cambiamento! Non aveva peccati di cui dovesse pentirsi, pochi errori e molti anni felici da ricordare con infinita soddisfazione. Così Rob non aveva paure che lo assillassero, né aveva rimpianti che lo rattristassero, ma per sua fortuna una fede forte e semplice che lo sosteneva e lo confortava.

- Mein vater9! – fu il suo primo pensiero. Rob era il prediletto del professore e la perdita del primogenito sarebbe stato un colpo terribile per lui. Queste parole mormorate con un tremito delle sue labbra che erano state così ferme, quando il ferro

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rovente gli aveva bruciato le carni, gli fecero ricordare l’altro Padre che ci è sempre vicino, sempre tenero e pronto ad aiutare e, congiungendo le mani, Rob recitò la più fervida preghiera della sua vita, là sul fieno, accompagnato dal cinguettio degli uccelli.

E gli fece bene. Dopo aver messo le sue paure, i suoi dubbi, le sue angosce nelle mani di Dio, il ragazzo si sentì pronto per qualsiasi cosa fosse successa in seguito e da quel momento vide chiaramente davanti a sé il suo nuovo dovere: essere coraggioso e allegro, conservare il silenzio e sperare per il meglio.

Nan prese il cappello e lasciò un biglietto sul portaspilli di Daisy, dicendole che era andata a fare un giro con i ragazzi e sarebbero stati fuori fino a dopo il tè. Poi tornò di corsa e trovò i suoi pazienti che stavano entrambi molto meglio, uno per il lavoro fatto, l’altro per il riposo. Salirono in carrozza e, dopo aver sistemato Rob sul sedile posteriore con la gamba in alto, partirono allegri e spensierati, come se nulla fosse successo.

Il dottor Morrison non diede eccessivo peso alla cosa, ma disse a Nan che aveva fatto un buon lavoro e, mentre i ragazzi scendevano le scale molto sollevati, le disse sottovoce: – Manda il cane in osservazione per qualche tempo e tieni d’occhio il ragazzo. Fa’ che non se ne accorga e riferiscimi se c’è qualcosa che non va. Non si sa mai in questi casi! Non nuoce essere prudenti.

Nan annuì e, sentendosi più sollevata ora che la responsabilità non era più sulle sue spalle, accompagnò i ragazzi dal dottor Watkins, che promise di venire più tardi a vedere Don. Un allegro tè in casa di Nan, che rimaneva aperta per lei tutta l’estate, fece loro bene e quando tornarono a casa nel fresco della sera non vi era alcuna traccia della paura passata, all’infuori dello sguardo serio di Ted e del leggero zoppicare di Rob. Poiché le ospiti stavano ancora chiacchierando sotto il portico antistante la casa, passarono dal retro e Ted calmò i suoi rimorsi dondolando Rob sdraiato nell’amaca, mentre Nan raccontò loro delle storie fino all’arrivo del veterinario.

Questi disse che Don era un po’ indisposto ma non più idrofobo del gattino che faceva le fusa e che si lisciava intorno

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alle sue gambe, mentre esaminava il cane. - Vuole il suo padrone e soffre il caldo. Gli date troppo da

mangiare. Lo terrò qualche settimana e ve lo rimanderò guarito, – disse il dottor Watkins, mentre Don gli appoggiava la grossa testa sulla mano e lo guardava con i suoi occhi intelligenti, intuendo che quell’uomo capiva le sue sofferenze e sapeva cosa fare per lui.

Così Don se ne andò senza protestare e i nostri tre cospiratori si consigliarono sul modo di risparmiare alla famiglia ogni inquietudine e di procurare a Rob il riposo che la sua gamba esigeva. Fortunatamente passava molte ore nel suo studio, così avrebbe potuto starsene sdraiato sul divano con un libro finché voleva, senza che nessuno badasse a lui. Essendo d’indole tranquilla non tormentò né se stesso né Nan con inutili paure, ma credette a quello che gli era stato detto. Messi da parte le fosche previsioni continuò sereno la sua vita, rimettendosi in fretta dal colpo che lui chiamava «la nostra paura».

Ma l’eccitabile Ted era più difficile da placare e ci volle tutta l’abilità e il buon senso di Nan per trattenerlo dal tradire il segreto; infatti era meglio non dir niente ed evitare ogni discussione sull’argomento per il bene di Rob. Il rimorso logorava e, non avendo la «mammina» con cui confidarsi, si sentiva molto infelice. Di giorno si dedicava a suo fratello, curandolo, chiacchierando con lui, osservandolo ansiosamente e importunandolo anche un po’, benché Rob non volesse ammetterlo. Ma di notte quando tutto era calmo, la fervida immaginazione di Ted e il suo cuore addolorato avevano il sopravvento e lo tenevano sveglio, o lo facevano camminare nel sonno. Nan lo teneva d’occhio e più di una volta gli diede un sonnifero per farlo riposare, lo sgridò e quando una notte lo sorprese a vagare per la casa, minacciò di chiuderlo a chiave in camera sua se non se ne stava a letto.

Dopo qualche tempo tutto questo passò. Tuttavia nel turbolento ragazzo si verificò un cambiamento che tutti notarono, anche prima che sua madre tornasse e chiedesse cosa avevano fatto per domare gli spiriti del «Leone». Era sì allegro ma non più così sbadato, e quando l’antica testardaggine s’impadroniva di lui si dominava bruscamente,

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guardava Rob e cedeva, oppure se ne andava a sfogare il suo malumore da un’altra parte.

Non prendeva più in giro le maniere antiquate e la passione per lo studio del fratello, ma lo trattava con un nuovo e profondo rispetto, che commuoveva il modesto Rob e stupiva gli altri osservatori. Sembrava che sentisse di dovergli qualcosa per la stupidaggine che avrebbe potuto costargli la vita, ed essendo l’amore più forte della volontà, Ted dimenticava il suo orgoglio e pagava il suo debito come un ragazzo onesto.

- Io non riesco a capire, – disse la signora Jo una settimana dopo essere tornata a casa, impressionata dal buon comportamento del suo figlio minore, – Ted si comporta così bene che ho paura che stiamo per perderlo. Sarà la dolce influenza di Meg o la buona cucina di Daisy, o le pillole che ho sorpreso Nan a dargli di nascosto? Qualche stregoneria c’è stata durante la mia assenza e questo diavoletto è diventato così amabile, quieto e obbediente, che non lo riconosco più.

- Cresce, mia cara, e poiché è una pianta precoce, fiorisce presto. Ho notato un cambiamento anche nel mio piccolo Rob. E più uomo e più serio che mai e raramente si allontana da me, come se l’amore per il suo vecchio papà crescesse con il suo diventar grande. I nostri ragazzi ci faranno sovente di queste sorprese, Jo, noi possiamo solo rallegrarcene e lasciare che diventino come piace a Dio.

Mentre il professore parlava il suo sguardo si era soffermato con orgoglio sui due fratelli che salivano assieme la scala, il braccio di Ted sulla spalla di Rob, mentre il minore ascoltava con molta attenzione alcune osservazioni geologiche che Rob faceva a proposito di un sasso che teneva in mano. Abitualmente Ted si faceva beffe di simili gusti e si divertiva a gettare ciottoli sul cammino del fratello, a mettergli schegge di mattoni sotto il cuscino, ghiaia nelle scarpe, a spedirgli per espresso pacchi contenenti terriccio indirizzati al «Prof. R.M. Bhaer». Ultimamente aveva trattato con rispetto i passatempi di Rob e aveva cominciato ad apprezzare le buone qualità di quel calmo fratello che aveva sempre amato ma un po’ sottovalutato, finché il suo coraggio nel pericolo aveva conquistato la sua ammirazione e gli aveva impedito di

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dimenticare una colpa le cui conseguenze avrebbero potute essere tanto terribili. La gamba era ancora dolorante sebbene tutto andasse bene, e Ted era sempre pronto ad offrire il suo braccio come sostegno, scrutando ansiosamente il volto del fratello e cercando di indovinarne i desideri; poiché il rimorso era ancora molto acuto nel suo animo e il perdono di Rob lo rendeva ancora più profondo. Un opportuno scivolone sulle scale aveva offerto a Rob una scusa per zoppicare e nessuno, tranne Nan e Ted, aveva visto la ferita, così il segreto era stato ben custodito sino a quel momento.

- Stavamo parlando di voi, cari ragazzi. Entrate e raccontate quale buona fata ci ha messo lo zampino mentre eravamo via. O è perché l’assenza ha reso acuti i nostri occhi che noi vediamo un così gradito cambiamento quando torniamo? – disse la signora Jo, invitando i due figli a sedersi accanto a lei sul divano, mentre il professore dimenticava il suo mucchio di lettere per godersi il bel quadro formato dalla moglie chiusa in un cerchio di braccia; infatti i ragazzi si erano seduti, sorridendole amorevolmente ma sentendosi un po’ colpevoli perché fino ad allora papà e mamma avevano sempre saputo tutto della loro vita.

- È soltanto perché Rob ed io siamo stati tanto tempo soli e siamo un po’ come gemelli. Io lo scuoto un po’ e lui mi sostiene molto. Tu e il papà fate lo stesso, mi pare. È una bella cosa, mi piace, – e a Ted parve di aver sistemato magistralmente la cosa.

- La mamma non ti ringrazierà certo per essere stata paragonata a te, Ted. Io invece sono lusingato di assomigliare a papà in qualche modo. Cerco sempre di diventare come lui, – rispose Rob, mentre tutti ridevano per il complimento di Ted.

- Io lo ringrazio perché è vero; e se tu, Robin, farai per tuo fratello la metà di quello che papà ha fatto per me, la tua vita non sarà un fallimento, – rispose la signora Jo con enfasi. – Sono felice di vedere che vi aiutate l’un l’altro. È il giusto modo di fare e non è mai troppo presto per cercare di capire le necessità, le virtù, le debolezze di quelli più vicino a noi. L’amore non dovrebbe renderci ciechi di fronte ai difetti, né la familiarità farci troppo pronti a biasimare le mancanze che notiamo. Continuate così, figli miei, e fateci il più sovente

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possibile sorprese di questo genere. - La «cara mamma» ha detto tutto. Io pure sono molto

compiaciuto del caldo affetto fraterno che vedo tra voi. È un bene per entrambi e mi auguro che duri a lungo, – e il professor Bhaer sorrise ai ragazzi, i quali sembravano soddisfatti, ma piuttosto imbarazzati per rispondere a queste lusinghiere osservazioni.

Rob rimase prudentemente in silenzio, per paura di dire troppo; ma Ted non seppe contenersi, trovando impossibile non rispondere qualcosa.

- Il fatto è che ho scoperto che ragazzo buono e coraggioso sia Rob e cerco di ripagarlo di tutte le noie che gli ho dato. Sapevo che era tremendamente saggio ma lo credevo piuttosto debole, perché gli piacevano più i libri degli scherzi e faceva sempre un sacco di storie per la sua coscienza. Ma comincio a capire che non sono gli individui che alzano la voce e si mettono in mostra ad essere i più forti. No, signori! Il tranquillo Rob è un «tipo in gamba», un eroe, e io sono orgoglioso di lui e lo sareste anche voi se sapeste tutto!

A questo punto uno sguardo di Rob fece ammutolire Ted, divenne rosso e si tappò la bocca con la mano, sgomento.

- Bene, e noi non possiamo «sapere tutto»? – chiese prontamente la signora Jo; il suo occhio acuto aveva colto i segni di un pericolo, e il cuore materno sentiva che fra lei e i suoi figli si era frapposto qualcosa. – Ragazzi! – continuò con solennità – io sospetto che il cambiamento di cui stiamo parlando non sia solo effetto della crescita come dicevamo. Ho idea che Ted si sia messo nei guai e che Rob l’abbia tolto dai guai e di qui l’amabile contegno del mio ragazzaccio e la maggior serietà del coscienzioso fratello, il quale non nasconde mai nulla a sua madre.

Ora Rob era diventato rosso quanto Ted ma dopo un attimo d’esitazione alzò lo sguardo e rispose sollevato: – Sì, mamma, è così; ma è tutto passato e non è successo niente di male ed io penso che sarebbe meglio lasciar stare, almeno per un po’. Mi sentivo colpevole di tenervi nascosto qualcosa, ma ora ne sapete abbastanza perché io non mi preoccupi e neppure voi. Ted è spiacente, a me non importa quello che è accaduto, e la cosa ha fatto bene a entrambi.

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La signora Jo guardò Ted, che sbatté le palpebre, ma sostenne lo sguardo come un adulto; poi si volse a Rob e lui le sorrise così sinceramente che si sentì rinfrancata. Ma qualcosa nel suo viso la colpì, ed essa vide cosa lo faceva sembrare più uomo, più serio, ma più amabile che mai. Era lo sguardo che nasce da un dolore dell’anima e del corpo, la paziente sottomissione a una prova inevitabile. In un lampo intuì che un pericolo aveva sfiorato il suo ragazzo e gli sguardi che aveva sorpreso tra i due figli e Nan confermavano i suoi timori.

- Rob, tesoro, tu sei stato malato, ferito o seriamente in pericolo per colpa di Ted? Dimmelo subito, non voglio che ci siano segreti. I ragazzi, alle volte, soffrono tutta la vita per un malanno trascurato o curato alla leggera. Fritz, falli parlare.

Il signor Bhaer lasciò le sue carte e si mise davanti a loro, dicendo in un tono che tranquillizzò la signora Jo e diede coraggio ai figli: – Figli miei, diteci la verità, la possiamo sopportare. Non nascondetecela per risparmiarci. Ted sa che gli perdoneremmo tutto perché lo amiamo, così siate sinceri tutti e due.

Ted di colpo si tuffò nei cuscini del divano e lì rimase, lasciando scorgere solo un paio di orecchie scarlatte, mentre Rob raccontava in poche parole la breve storia, fedelmente, ma con la massima dolcezza possibile, affrettandosi a rassicurarli che Don non era idrofobo, che la ferita era quasi chiusa e che non ne sarebbe derivato alcun pericolo.

Ma la signora Jo era diventata così pallida che dovette cingerla con un braccio e suo padre si voltò e cominciò a passeggiare in su e in giù esclamando: «Oh, cielo!» in un tale tono in cui si mescolavano pena, sollievo e gratitudine, che Ted si mise un altro cuscino sulla testa per sentirlo di meno. Si ripresero subito, ma simili notizie sono sempre un colpo, anche se il pericolo è passato, e la signora Jo si strinse il suo ragazzo finché suo padre non glielo portò via, per stringergli con forza le mani, dicendo con un tremito nella voce: -Essere in pericolo per la vita di un uomo tempra il carattere virilmente ma io non posso rinunciare al mio ragazzo. Grazie a Dio è salvo!

Un suono soffocato, a metà tra un rantolo e un gemito, arrivò da sotto i cuscini e le contorsioni delle lunghe gambe di Ted esprimevano così chiaramente la disperazione, che sua madre

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si piegò verso di lui e, frugando tra i cuscini, tirò fuori un’arruffata testa bionda, l’accarezzò, poi scoppiando in un’irresistibile risata, benché le lacrime le avessero rigato le guance, disse: – Vieni qui, povero peccatore, e che tu sia perdonato! So che hai sofferto abbastanza e non dirò una sola parola; solamente se qualcosa di male fosse successo a Rob mi avresti reso più infelice di te. Oh! Teddy, Teddy, cerca di vincere quel tuo carattere ostinato, prima che sia troppo tardi!

- Oh! mammina, io ci provo! Non potrò mai dimenticare tutto questo e credo che la lezione mi abbia fatto bene. Se non è stato così, temo di non essere degno di venir salvato, – rispose Ted, tirandosi i capelli come l’unico modo che avesse per esprimere tutto il suo profondo rimorso.

- Sì che nei sei degno, mio caro. Anch’io pensai così a quindici anni quando per poco non feci annegare Amy e la mamma mi aiutò come sto facendo io con te. Vieni da me Ted, quando la tentazione si impossessa di te e la sconfiggeremo assieme. Sapessi quante lotte ho sostenuto col Diavolo tentatore e quante volte ho avuto la peggio, ma non sempre, per cui vieni sotto il mio scudo e combatteremo fino alla vittoria.

Per un momento nessuno parlò mentre Ted e sua madre ridevano e piangevano allo stesso tempo, asciugandosi il naso nello stesso fazzoletto, e Rob se ne stava col braccio di suo padre attorno alle spalle, così felice che tutto fosse stato raccontato e perdonato, anche se sapeva che non avrebbero mai dimenticato, perché simili esperienze fanno bene e uniscono ancor di più coloro che si amano.

Poi Ted si alzò e, dirigendosi verso il padre, gli disse coraggiosamente: – Merito una punizione, dammela, ma prima dimmi che mi perdoni come mi ha perdonato Rob.

- Sempre ti perdonerò figlio mio, altrimenti non sarei degno del nome di padre. Il castigo l’hai già avuto, non voglio infliggertene uno più grave. Fa’ che non sia stato inutile e non lo sarà, con l’aiuto di tua madre e del Padre Onnipotente. Qui c’è posto per tutti e due, sempre!

E il buon professore aprì le braccia e si strinse al cuore i figli da quell’autentico tedesco qual era, senza vergognarsi di esprimere coi gesti e con le parole quell’emozione paterna che un americano avrebbe espresso con un colpetto sulla spalla e

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un laconico «Va tutto bene». La signora Jo, da buona romantica, stava seduta a godersi lo

spettacolo e poi, tutti assieme, fecero una lunga chiacchierata, dicendosi liberamente quello che avevano nel cuore, trovando grande conforto dalla confidenza che nasce quando l’amore scaccia la paura.

Decisero di non parlare della cosa a nessuno, tranne a Nan che doveva essere ringraziata e ricompensata del suo coraggio, della sua discrezione e della sua fedeltà.

- Ho sempre saputo che in quella ragazza c’era la stoffa della donna in gamba, e quanto è successo ne è la prova. Niente panico, strilli, svenimenti o confusione, ma buon senso ed energia. Cosa potrò darle o farle per mostrare la mia gratitudine? – disse la signora Jo con entusiasmo.

- Di’ a Tom di togliere l’assedio e lasciarla in pace, – suggerì Ted, ritornato quello di prima, benché un’ombra pensosa oscurasse ancora in parte la sua naturale gaiezza.

- Sì, fallo! La punzecchia come una zanzara. Nan gli ha proibito di venire qui finché c’è lei e l’ha spedito via con Demi. Tom mi è molto caro, ma si comporta da sciocco con Nan, – aggiunse Rob mentre se ne andava ad aiutare suo padre nel disbrigo della corrispondenza accumulatasi.

- Lo farò senz’altro, – disse la signora Jo decisa. – La carriera di quella ragazza non deve essere intralciata dalle sciocche fantasie di un ragazzo. In un momento di debolezza potrebbe dargli retta e allora sarebbe tutto finito. Donne più sagge di lei hanno fatto così e poi se ne sono pentite tutta la vita. Nan deve conquistarsi il suo posto, prima, e dimostrare che sa occuparlo; poi potrà sposarsi, se vuole e se trova un uomo degno di lei.

Ma non fu necessario l’intervento della signora Jo. L’amore e la gratitudine possono fare miracoli, e quando ad essi si aggiungono la gioventù, la bellezza, il caso e… le fotografie, il successo è assicurato, come avvenne nel caso dell’insospettato, ma troppo suscettibile Tom.

Capitolo ottavo Josie la sirenetta Mentre i giovani Bhaer stavano facendo queste gravi

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esperienze a casa, Josie se la godeva immensamente a Rocky Nook, poiché i Laurence sapevano molto bene come fare a rendere l’inattività estiva piacevole e sana allo stesso tempo. Bess amava moltissimo la sua cuginetta e la signora Amy pensava che, attrice o no, sua nipote doveva essere una gentildonna e le dava quell’educazione mondana che fa riconoscere ovunque la vera signora. Lo zio Laurie, poi, non era mai più felice di quando poteva remare, cavalcare o passeggiare con a fianco due belle ragazze. Josie sbocciava come un fiore selvaggio in quella vita all’aperto. Bess s’era fatta rosea, vivace e allegra, ed entrambe erano le beniamine dei loro vicini, le cui ville sorgevano sulla spiaggia o erano appollaiate sulle scogliere della graziosa baia.

Ma una piccola cosa turbava la pace di Josie, un desiderio insoddisfatto che divenne una mania e la rendeva inquieta e vigilante come un detective davanti a un caso da risolvere… miss Cameron, la grande attrice, aveva affittato una villa e vi viveva ritirata per riposare e per studiare una nuova parte per la stagione successiva. Non vedeva nessuno, tranne un amico o due, aveva una spiaggia privata ed era invisibile eccetto durante la quotidiana passeggiata in carrozza o quando i binocoli dei curiosi si fissavano sulla sua figura in blu che nuotava. I Laurence la conoscevano ma rispettavano la sua solitudine e, dopo una visita, la lasciarono in pace finché non espresse il desiderio di avere un po’ di compagnia; una cortesia di cui si ricordò e che ripagò più tardi, come vedremo.

Ma Josie era come una mosca assetata che ronzava attorno a un vasetto di miele chiuso, perché l’essere così vicina al suo idolo se da una parte le piaceva, dall’altra la faceva ammattire. Bruciava dal desiderio di vedere, di sentire di parlare e di studiare quella grande e fortunata creatura che sapeva far vibrare migliaia di persone con la sua arte e conquistarsi amici con la sua virtù, la sua bontà, la sua bellezza. Ecco, quello era il tipo di attrice che Josie voleva diventare e pochi potevano fare obiezioni se possedeva realmente quel dono; poiché la scena ha bisogno di tali donne per purificare ed elevare la professione che dovrebbe educare oltre che divertire. Se la gentile miss Cameron avesse saputo che ardore appassionato e desiderio bruciavano nel petto della ragazzina che distrattamente

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osservava arrampicarsi sulle rocce, sguazzare sul bagnasciuga o galoppare davanti al suo cancello con il suo pony, l’avrebbe resa felice con uno sguardo o una parola. Ma essendo stanca del lavoro dell’inverno e tutta presa dalla sua nuova parte la signora non fece caso alla sua piccola vicina, più di quanto si occupasse dei gabbiani nella baia e delle margherite nei campi. Mazzolini di fiori lasciati sui gradini della porta, serenate sotto il muro di cinta e sguardi fissi pieni d’ammirazione erano cose a lei così familiari, che quasi non le notava. E Josie era disperata quando tutti i suoi tentativi fallivano.

- Potrei arrampicarmi su quel pino e gettarmi sul tetto del suo portico, oppure fare in modo che il mio cavallino Shelta mi getti davanti al suo cancello e io debba essere portata dentro svenuta. Non serve annegarmi mentre sta facendo il bagno, perché non riesco ad affondare e poi lei manderebbe solamente un uomo a salvarmi. Cosa posso fare? Devo vederla e parlarle delle mie speranze e farmi dire se un giorno potrò recitare. La mamma le crederà, e se solo mi permettesse di studiare con lei per me sarebbe una gioia immensa!

Josie faceva queste osservazioni un pomeriggio, mentre Bess e lei si preparavano per una nuotata, poiché l’essere andate a pescare di mattina aveva impedito loro di fare il bagno.

- Aspetta il momento opportuno cara e non essere così impaziente. Papà ha promesso di offrirti un’occasione prima della fine dell’estate e sai che lui fa sempre le cose perbene. E questo sarà meglio di qualsiasi sciocchezza delle tue, – rispose Bess, raccogliendo i suoi bei capelli in una reticella bianca come il costume, mentre Josie sembrava una piccola aragosta, tutta in rosso com’era.

- Detesto aspettare, ma penso che dovrei. Spero che faccia il bagno oggi pomeriggio, benché ci sia bassa marea. Ha detto allo zio che doveva tuffarsi dopo pranzo perché la gente alla mattina la sta a guardare e si avvicina sulla sua spiaggia. Andiamo allo scoglio grande: là non ci sono che bambini e governanti, così possiamo far chiasso e sguazzare quanto ci piace.

E andarono a divertirsi perché nella piccola baia non c’erano altri bagnanti e i bambini ammirarono moltissimo le acrobazie acquatiche delle due esperte nuotatrici.

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Mentre si asciugavano sullo scoglio, Josie prese improvvisamente Bess per un braccio e per poco non la buttò in acqua, mentre diceva in preda all’eccitazione: – Eccola! Guarda, viene a fare il bagno! È stupenda! Oh, se volesse annegare anche solo un po’ e permettermi di salvarla! O farsi morsicare un dito da un granchio, qualcosa del genere, purché potessi andare da lei a parlarle!

- Non dare l’impressione di guardarla: viene qui per essere tranquilla e godersela. Fingi di non vederla, questo è un atto d’educazione, – rispose Bess, facendo finta di essere assorta a guardare uno yacht che passava con le sue vele bianche spiegate.

- Nuotiamo distrattamente verso di lei, come se andassimo in cerca di alghe fra le rocce. Non farà caso a noi se nuotiamo a dorso con fuori solo il naso. Poi quando non potremo fare a meno di vederla, torneremo indietro come se fossimo ansiose di ritirarci. Questo le farà effetto e può darsi che ci richiami per ringraziare le gentili signorine che rispettano i suoi desideri, – propose Josie, la cui viva fantasia era sempre occupata a ideare situazioni drammatiche.

Proprio mentre si lasciavano scivolare dallo scoglio, come se il fato alla fine avesse ceduto alle preghiere di Josie, fu vista miss Cameron far cenni con la mano mentre stava immersa sino alla cintola nell’acqua guardando sul fondo. Chiamò la sua cameriera che sembrò cercare qualcosa lungo la spiaggia e, non avendola trovata, agitò un asciugamano in direzione delle ragazze, come per chiedere aiuto.

- Corriamo, voliamo! Ha bisogno di noi, ha bisogno di noi! – gridò Josie, tuffandosi in mare come una tartaruga, nuotando nel suo stile migliore verso il suo porto di gioia. Bess la seguì più lentamente ed entrambe giunsero ansanti e sorridenti da miss Cameron che, senza alzare gli occhi, disse con quella sua stupenda voce: – Mi è caduto un braccialetto. Lo vedo, ma non posso prenderlo. Potrebbe il ragazzino procurarmi un bastone? Vi terrò sopra gli occhi per vedere se l’acqua me lo porta via.

- Mi tufferò volentieri a pescarlo ma non sono un ragazzo, – rispose Josie ridendo e scuotendo i suoi corti riccioli che da lontano avevano tratto in inganno la signorina.

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- Scusami. Tuffati, bambina; la sabbia lo sta ricoprendo alla svelta. Mi è molto caro e non mi ero mai dimenticata di togliermelo per il bagno prima d’ora.

- Lo riprenderò, – e Josie si tuffò per risalire con una manciata di sassolini, ma nessun braccialetto.

- È perduto. Non ti preoccupare: è colpa mia, – disse miss Cameron delusa, ma divertita dalla delusione della ragazzina che scuoteva via l’acqua dal volto e ansando le rispondeva coraggiosamente: – No. Lo ripescherò, anche se devo stare sott’acqua tutta la notte, – e con un lungo respiro Josie si tuffò di nuovo, non lasciando fuori altro che un paio di piedi in movimento.

- Ho paura che si farà male, – disse miss Cameron osservando Bess, che riconobbe per la sua somiglianza con la madre.

- Oh, no! Josie è come un pesce. Le piace anzi… – e Bess sorrise felice poiché il desiderio della cugina era stato meravigliosamente esaudito.

- Sei la figlia del signor Laurence, mi pare. Come stai cara? Di’ al babbo che verrò presto a fare una visita. Prima ero troppo stanca e un po’ scontrosa. Ora sto meglio. Ah, ecco la nostra campionessa di tuffi! Com’è andata? – chiese mentre i calcagni sparivano e appariva, invece, una testa gocciolante. Josie dapprima potè solo tossire e sputacchiare perché era mezzo soffocata; ma, sebbene la sua mano avesse mancato la presa, il coraggio, però, non le mancava. E con una risoluta scrollata alla testa, uno sguardo luminoso alla bella signora e una serie di inspirazioni per riempirsi i polmoni, disse con calma: – Il mio motto è «Non arrendersi mai». Lo riprenderò anche se dovessi andare fino a Liverpool! Ed ora via! – e la sirena si rituffò nell’acqua scomparendo alla vista altrui, strisciando sul fondo, come una vera aragosta.

- Che ragazzina decisa! Mi piace. Chi è? – chiese la signora, sedendosi su uno scoglio mezzo sommerso per osservare la sua subacquea, poiché aveva perso di vista il braccialetto.

Bess glielo disse, aggiungendo col sorriso persuasivo di suo padre: – Josie desidera diventare un’attrice ed è da un mese che aspetta di vederla. Questa è una grande gioia per lei.

- Benedetta figliola! Perché non è venuta a farmi visita?

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L’avrei ricevuta, benché di solito eviti le ragazze che hanno la mania del palcoscenico, non meno dei giornalisti, – disse miss Cameron, ridendo.

Non ci fu tempo per dire altro: una mano abbronzata, che teneva stretto il braccialetto, sorse dal mare, seguita da un visetto congestionato e Josie venne fuori così accecata e stordita che potè solo aggrapparsi a Bess, mezzo affogata ma trionfante.

Miss Cameron la guidò verso lo scoglio dove sedeva, e togliendole i capelli dagli occhi la rianimò con un cordiale «Brava, brava» che fece capire alla ragazza che il suo primo atto era stato un successone. Josie aveva spesso immaginato il suo incontro con la grande attrice, la dignità e la grazia con cui avrebbe fatto il suo ingresso e le avrebbe raccontato le sue speranze ambiziose, l’abito che avrebbe indossato per far colpo, le cose argute che avrebbe detto, la profonda impressione che il suo genio in erba avrebbe prodotto. Ma mai, neppure nei momenti di maggiore esaltazione aveva immaginato un incontro come quello; rossa in volto, piena di sabbia, gocciolante e senza parole era appoggiata alla spalla dell’illustre signora, e sembrava una bellissima fochetta mentre sbatteva gli occhi e ansava, finché alla fine riuscì a sorridere e ad esclamare con orgoglio: – L’ho preso! Come sono contenta!

- Ora riprendi fiato, mia cara, così sarò contenta anch’io. Sei stata molto gentile a darti tanto disturbo per me. Come posso ringraziarti? – chiese la signora, guardandola coi suoi begli occhi, che sapevano dire tante cose senza dover usare le parole.

Josie le strinse le mani spruzzando acqua, il che rovinò alquanto l’effetto del gesto, e rispose con una voce supplichevole che avrebbe intenerito un cuore molto più duro di quello di miss Cameron: – Mi permetta di venirla a trovare una volta, una volta sola! Voglio che mi dica se so recitare, lei lo capirà di certo. Mi atterrò a quello che lei dirà, e se lei pensa che io ci sappia fare… col tempo, quando avrò studiato molto… sarò la ragazza più felice del mondo. Posso venire?

- Certo, vieni domani alle undici. Faremo una bella chiacchierata, mi farai vedere quello che sai fare e io ti dirò la

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mia opinione. Ma non ti piacerà. - Sì che mi piacerà, non importa se mi dirà che sono una

sciocca. Voglio definire questa cosa e anche la mamma lo vuole. La prenderò bene se mi dirà di no, ma se dirà di sì, non rinuncerò mai fin che avrò fatto del mio meglio, come ha fatto lei.

- Ah, bambina mia è una strada molto dura e vi sono molte spine tra le rose che potrai raccogliere. Penso che tu abbia il coraggio e questo prova che hai perseveranza. Forse riuscirai. Vieni e vedremo.

Miss Cameron toccava il braccialetto mentre parlava, e sorrideva così gentilmente che la impetuosa Josie avrebbe voluto baciarla, ma saggiamente si trattenne, benché i suoi occhi fossero umidi di un’acqua molto più dolce di quella del mare, mentre la signora la ringraziava.

- Correte lungo la spiaggia per scaldarvi. Mille grazie, sirenette. Dì a papà di portare la sua figliola da me quando vuole. Arrivederci, – e con un cenno della mano la regina della tragedia licenziò la sua Corte, ma rimase sul suo trono di alghe, osservando le due agili figurette che correvano sulla spiaggia coi piedini luccicanti al sole, fin che scomparvero alla sua vista. E mentre si cullava nell’acqua disse a se stessa: «Quella bambina ha un viso adatto per la scena… mobile, vivace. Begli occhi, abbandono, coraggio, volontà. Forse ce la farà. Brava razza… talento in famiglia… vedremo».

Naturalmente Josie non chiuse occhio la notte, e il giorno seguente era eccitata e felice. Lo zio Laurie si divertì molto dell’accaduto e la zia Amy le preparò il più bell’abito bianco per quella grande occasione. Bess le prestò il suo miglior cappello e Josie errò per il bosco e la palude per fare un mazzolino di rose selvatiche, azalee bianche, felci ed erbe graziose come offerta di un cuore riconoscente.

Alle dieci si preparò solennemente, poi se ne stette seduta a guardarsi i guanti puliti e le scarpe con la fibbia, fino all’ora di andare, diventando pallida e seria al pensiero che il suo destino stava per essere deciso; poiché come tutte le persone giovani era sicura che tutta la sua vita poteva essete stabilita da una sola creatura umana, dimenticando in che modo prodigioso la Provvidenza ci ammaestra con le delusioni, ci

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sorprende coi successi inaspettati, con le delusioni e cambia i nostri apparenti tormenti in benedizioni.

- Andrò sola, saremo così più libere. Oh, Bess, prega che mi giudichi bene. Dipende così tanto da questo! Non ridete, zio! È un momento veramente molto importante per me. Miss Cameron sa di cosa parlo e ve lo dirà. Dammi un bacio, zia Amy, dal momento che non c’è la mamma. Se mi dici che ho un aspetto carino, sono soddisfatta. Arrivederci – e con un cenno della mano simile, per quanto potesse, a quello del suo modello Josie partì, molto graziosa a vedersi ma terribilmente agitata.

Sicura, ora, di essere ricevuta, suonò baldanzosamente a quella porta che escludeva tanti altri, ed essendo stata introdotta in un salotto in penombra mentre attendeva, si saziava con gli occhi dei molti ritratti di grandi attori. Aveva letto molto su di loro, conosceva i loro sforzi e i loro trionfi così bene, che ben presto dimenticò se stessa cercando di imitare la signora Siddons nel ruolo di Lady Macbeth, osservando l’incisione, mentre teneva il suo mazzolino come se fosse stata la candela nella scena di sonnambulismo, e aggrottava angosciosamente le sue giovani sopracciglia mentre mormorava il discorso della regina perseguitata dallo spettro. Era così assorta che miss Cameron l’osservò, non vista, per parecchi minuti, poi fece improvvisamente trasalire Josie avanzando maestosamente con quelle parole sulle labbra e quell’espressione sul viso che facevano di tale scena una delle sue più grandi interpretazioni.

- Io non so recitarla così, ma continuerò a provare se lei dice che posso farla! – esclamò Josie, dimenticando le belle maniere presa da quel momento.

- Fammi vedere cosa sai fare, – rispose l’attrice, andando saggiamente subito al punto, ben sapendo che nessuna chiacchierata avrebbe soddisfatto quella personcina tanto seria.

- Prima lasci che le offra questi. Ho pensato che avrebbe preferito fiori di campo a quelli di serra; sono lieta di offrirglieli, poiché non ho altro modo per ringraziarla della sua gentilezza verso di me, – disse Josie porgendole il suo mazzolino con un ingenuo calore davvero molto dolce.

- Li preferisco a tutti e ho sempre la mia stanza piena di

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mazzetti che una buona fata appende al mio cancello. Ma, in fede mia, credo di aver scoperto chi è la fata…. Questi fiori sono così simili agli altri, – soggiunse prontamente, mentre il suo sguardo passava dai fiori che aveva in mano a quelli che erano lì attorno disposti con lo stesso gusto.

Il rossore e il sorriso tradirono Josie, prima che dicesse con uno sguardo pieno di adorazione infantile e di umiltà: – Non potevo farne a meno: l’ammiro così tanto! So che mi prendevo una certa libertà, ma visto che non potevo entrare, ero felice di pensare che i miei mazzolini le sarebbero piaciuti.

Qualcosa nella fanciulla e nella sua timida offerta commosse la donna e, stringendo a sé Josie, le disse, senza che vi fosse alcuna traccia dell’attrice nel suo volto o nella sua voce: – Mi sono piaciuti molto, cara, e anche tu mi piaci. Sono stanca di lodi e l’amore è molto dolce quando è semplice e sincero come il tuo.

Josie si ricordò d’aver sentito tra le tante storie a suo riguardo che miss Cameron aveva perso il suo innamorato anni prima e che, da allora, era vissuta solo per la sua arte. Ora le pareva di sentire che quel fatto avrebbe potuto essere vero, e la compassione per quella splendida vita solitaria rese il suo volto molto eloquente ed allo stesso tempo pieno di gratitudine. Poi, come se fosse ansiosa di dimenticare il passato, la sua nuova amica disse in quel tono di comando che sembrava perfettamente naturale per lei: – Fammi vedere cosa sai fare. Giulietta, naturalmente. Cominciano tutte da lì. Povera creatura, come l’assassinano!

Ora, Josie aveva proprio deciso che avrebbe cominciato dall’infelice innamorata di Romeo, per continuare poi con Bianca, Paolina, e altri idoli delle ragazze con la passione per il teatro, ma, essendo una ragazza con del sale in zucca, comprese improvvisamente la saggezza del consiglio di zio Laurie e decise di seguirlo. Così invece del discorso che miss Cameron si aspettava, Josie recitò la scena della pazzia di Ofelia e la rese molto bene, essendo stata preparata in collegio dal professore di recitazione e ripetuta molte volte. Era troppo giovane, naturalmente, ma l’abito bianco, i capelli sciolti, i fiori veri che spargeva sulla tomba immaginaria, collaboravano a creare l’illusione; e cantò dolcemente le melodie, fece patetici

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inchini e scomparve dietro la tenda che divideva le stanze, dando uno sguardo all’indietro che meravigliò la sua spettatrice critica e la spinse a batterle brevemente le mani. Rallegrata da quel gradito suono, Josie tornò indietro, come il piccolo monello di una di quelle farse che aveva sovente recitato e raccontò una storia piena di brio e di malizia all’inizio, ma che terminava con un singhiozzo di pentimento e una calda preghiera di perdono.

- Benissimo! Prova ancora. Meglio di quanto mi aspettassi, – disse la voce dell’oracolo.

Josie provò il discorso di Porzia e lo recitò molto bene, dando la dovuta enfasi a ogni bella frase. Poi, non riuscendo a trattenersi dal recitare quella che considerava la sua migliore interpretazione, si lanciò nella scena di Giulietta al balcone, terminando col veleno e la tomba. Si sentiva sicura d’aver superato sé stessa e si aspettava un applauso. Una risata squillante la fece fremere d’indignazione e delusione mentre andava a porsi di fronte a miss Cameron, dicendo in tono di cortese sorpresa: – Mi hanno detto che la facevo benissimo. Mi spiace che lei non la pensi così.

- Mia cara, va molto male. E come potrebbe essere altrimenti? Cosa può saperne una bambina come te dell’amore della paura e della morte? Non cimentarti ancora in simili parti. Lascia la tragedia finché non sarai matura per interpretarla.

- Eppure mi ha applaudita nella parte di Ofelia. - Sì, quella era fatta bene. Qualsiasi ragazza intelligente può

recitarla con efficacia. Ma il vero messaggio di Shakespeare è molto al di sopra della tua comprensione, per ora, bambina. Il pezzo di commedia è stato il migliore. In quella hai mostrato il tuo vero talento: era nello stesso tempo buffo e patetico. Quella è arte, non perderla. Porzia aveva una buona declamazione. Continua con lavori di questo genere: allenano la voce, insegnano le sfumature d’espressione. Hai una buona voce e una grazia naturale, due cose difficili da acquistare e che ti aiuteranno molto.

- Sono molto lieta di valere almeno un po’, – sospirò Josie, sedendo umilmente su uno sgabello, abbattuta ma non scoraggiata, rassegnata ad ascoltarla sino in fondo.

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- Mia cara bambina ti avevo avvertito che non ti sarebbe piaciuto quello che ti avrei detto; tuttavia devo essere sincera, se voglio veramente aiutarti. Ho dovuto farlo con molte altre come te, e la maggior parte di loro non me l’ha mai perdonato, benché le mie previsioni si siano poi rivelate esatte e oggi siano ciò che avevo loro consigliato di essere: buone mogli e madri felici nelle loro case tranquille. Alcune hanno continuato e sono riuscite abbastanza bene. Di una sentirai parlare presto, credo, perché ha talento, perseveranza, intelligenza, oltre che bellezza. Sei un po’ troppo giovane per mostrare già a che categoria appartieni. I geni sono molto rari e persino a quindici anni raramente fanno prevedere il loro futuro valore.

- Oh, non penso di essere un genio, – esclamò Josie, divenendo calma e seria, man mano che ascoltava quella voce melodiosa e guardava quel viso espressivo che la riempiva di fiducia, tanto era forte, sincero e gentile. – Io voglio solo scoprire se ho talento sufficiente per continuare e se, dopo anni di studio, saprò recitare bene in una qualsiasi di quelle commedie che il pubblico non si stanca mai di vedere. Non mi aspetto di diventare una signora Siddons o una miss Cameron, per quanto lo desideri di tutto cuore; tuttavia è come se ci fosse in me qualcosa che non riesce a venir fuori in un modo che non sia questo. Quando recito io sono perfettamente felice. Mi sembra di vivere, di essere nel mio vero mondo e ogni nuova parte è un nuovo amico. Adoro Shakespeare e non mi stanco mai dei suoi splendidi personaggi. Naturalmente non capisco tutto. Ma è come essere da sola, di notte, con le montagne e le stelle, tutto è così solenne e grandioso, e cerco d’immaginarmi come saranno quando il sole sorgerà e attorno ogni cosa sarà chiara e splendente per me. Non lo vedo ancora, ma sento la bellezza e ambisco ad esprimerla.

Mentre parlava nel più perfetto abbandono Josie era pallida per l’eccitazione, i suoi occhi brillavano, le sue labbra tremavano e tutta la sua piccola anima sembrava esprimere con le parole le emozioni che la riempivano fino a farla traboccare. Miss Cameron capì, sentì che quello era qualcosa di più che un capriccio di bimba, e quando le rispose c’era una nuova intonazione di simpatia nella sua voce, un nuovo interesse nel suo volto, benché si astenesse saggiamente dal

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dire tutto ciò che pensava, ben sapendo che stupendi sogni fabbricano i giovani intorno a una sola parola, e quanto sia amaro quando poi le lucenti bolle di sapone scoppiano.

- Se tu senti queste cose non ti posso dare miglior consiglio che quello di continuare ad amare e studiare il nostro grande maestro, – disse lentamente; ma Josie colse il tono diverso e sentì con un brivido di gioia che la sua nuova amica le parlava ora come a una compagna. – È un’educazione in sé e per sé, e tutta una vita non è abbastanza lunga per rivelarti tutti i suoi segreti. Ma c’è molto da fare prima che tu possa sperare di ripetere le sue parole. Hai la pazienza, il coraggio, la forza di cominciare da capo e lentamente, dolorosamente porre le fondamenta per il lavoro futuro? La fama è una perla per cui molti si tuffano, ma che pochi riescono a pescare. Anche quando ce la fanno non è perfetta e sospirano per avere di più e per lottare per cose anche migliori.

Le ultime parole sembrarono più rivolte a se stessa che alla sua ascoltatrice, ma Josie le rispose prontamente con un sorriso e un gesto espressivo: – Io ho pescato il braccialetto nonostante l’acqua salata negli occhi.

- È vero. Non lo dimentico. È un buon segno e per ora ci accontentiamo -. Miss Cameron rispose al sorriso con un altro sorriso che fu come un raggio di sole per la ragazza, che tese le mani come per afferrare un invisibile dono. Poi continuò con un altro tono, osservando l’effetto delle sue parole sul volto espressivo davanti a lei: – Ora sarai un po’ delusa, perché invece di dirti di venire a studiare con me o di andare a recitare subito in qualche teatro di second’ordine ti consiglio di ritornare a scuola a terminare la tua istruzione. Questo è il primo passo, perché è necessario sapere un po’ di tutto e la sola vocazione produce un temperamento imperfetto. Coltiva la mente e il corpo, il cuore e l’anima, e fa’ di te una ragazza intelligente, graziosa, bella e sana. Poi, a diciotto o vent’anni, comincia a provare e misura le tue forze. È meglio andare in battaglia con le armi a posto e risparmiarsi la dura lezione che è immancabile quando ci si butta a capofitto troppo presto. Di tanto in tanto il genio conquista tutto davanti a sé ma è un fatto che non avviene spesso. Dobbiamo arrampicarci lentamente, con molti scivoloni e cadute. Saprai aspettare e

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lavorare? - Sì, certamente! - Lo vedremo. Mi farebbe piacere sapere che, quando mi

ritirerò dal palcoscenico, lascerò dietro a me una compagna ben istruita, fedele, dotata, che farà di più che prendere il mio posto, continuando ciò che mi sta a cuore: riabilitare il teatro. Forse tu sarai quella, ma ricordati che la mera bellezza e i ricchi costumi non fanno un’attrice e che gli sforzi di una ragazzina intelligente per recitare grandi personaggi non sono vera arte. È tutto splendore e finzione, disonore e delusione. Come può il pubblico essere soddisfatto di opere buffe, o di quei lavori di scarto detti «commedie di costume» quando un mondo di verità e bellezza, poesia e sentimento è in attesa di essere interpretato e goduto?

Miss Cameron aveva dimenticato a chi parlava e passeggiava su e giù piena di quel nobile rimpianto che tutte le persone colte provano di fronte al basso livello del teatro in quel periodo.

- È quello che dice anche lo zio Laurie e con la zia Jo cerca di creare commedie che trattino di cose vere e buone, semplici scene familiari che toccano il cuore della gente e la fanno ridere e piangere, e sentirsi migliore. Lo zio dice che quello è il mio genere e che non devo pensare alla tragedia. Ma è molto più bello passeggiare con la corona e con strascichi di velluto, che indossare abiti di ogni giorno ed essere solo me stessa, benché ciò sia così facile.

- Eppure questa è arte, bambina, ed è quello di cui abbiamo bisogno, finché non siamo pronti per i grandi maestri. Coltiva questo tuo talento. È un dono speciale questa capacità di far piangere e ridere e toccare il cuore della gente è compito molto più dolce che far gelare il sangue o accendere la fantasia. Di’ a tuo zio che ha ragione e prega la zia che scriva una commedia per te. Verrò a sentirti quando sarai pronta.

- Verrà? Davvero? Ne faremo una per Natale con una bella parte per me. È una cosetta da poco, ma che mi riesce bene e io sarei così orgogliosa, così felice di averla accanto a me!

Josie si alzò mentre parlava perché un’occhiata all’orologio le aveva rivelato che la sua visita era stata anche troppo lunga e, benché fosse duro per lei finire quel memorabile colloquio,

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capì che doveva andarsene. Allora prese il cappello, si volse a miss Cameron, che la guardava così acutamente da far sentire Josie trasparente come una lastra di vetro e arrossì graziosamente, mentre alzava gli occhi su di lei, dicendo con un tremito riconoscente nella voce: – Non potrò mai ringraziarla abbastanza per quest’ora e per tutto quello che mi ha detto. Farò quello che lei mi ha consigliato e la mamma sarà felice vedendomi riprendere in mano i libri. Ora posso studiare con tutte le mie forze perché lo studio mi aiuterà a riuscire; non mi farò eccessive illusioni, ma lavorerò e aspetterò, cercando di compiacervi, come unico modo per ripagare il mio debito di riconoscenza.

- Questo mi ricorda che io non ho ancora pagato il mio. Mia piccola amica, porta questo per mio ricordo. È adatto per una sirena e ti ricorderà il tuo primo tuffo. Possa il successivo portarti un gioiello di migliore valore e non lasciare sulle tue labbra sapore amaro! – e, mentre parlava, miss Cameron prese dal merletto che aveva al collo una graziosa spilla con un’acquamarina e l’appuntò come un’onorificenza sul petto dell’orgogliosa Josie. Poi, sollevandole il viso, la baciò teneramente, sorridendo, e la seguì allontanarsi sorridente con lo sguardo che pareva vedesse in quel futuro, pieno di prove e di trionfi, che lei conosceva tanto bene.

Bess si aspetta di vedere Josie precipitarsi in casa, tutta estasi ed eccitazione o tutta lacrime per la delusione, ma fu sorpresa dell’espressione di calma soddisfazione e di fermezza che aveva. Orgoglio e contentezza e un nuovo senso di responsabilità la rendevano seria e la sostenevano, e sentì che qualsiasi quantità di studio e lunghi anni di attesa sarebbero stati sopportabili se nel suo glorioso futuro avesse potuto essere un vanto per la sua professione e una degna compagna per la nuova amica, che già adorava con ardore giovanile.

Raccontò la sua breve storia a un pubblico profondamente interessato, e tutti capirono che il consiglio di miss Cameron era buono. La signora Amy si sentì sollevata all’idea che c’era da aspettare, poiché non voleva che sua nipote diventasse un’attrice e sperava che quella fantasia sarebbe passata.

Lo zio Laurie fece un mucchio di progetti affascinanti e previsioni e scrisse uno dei suoi più deliziosi biglietti per

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ringraziare la vicina per la sua gentilezza, mentre Bess, che amava l’arte sotto tutte le sue forme, simpatizzò pienamente con le ambiziose speranze della cugina, meravigliandosi solo che preferisse esprimere le sue fantasie recitando piuttosto che dar loro corpo nel marmo.

Questo primo colloquio non fu l’ultimo, poiché miss Cameron provava realmente dell’interesse per Josie ed ebbe parecchie conversazioni memorabili coi Laurence e le ragazze accanto a loro che si bevevano ogni sua parola con la gioia che tutti i veri artisti provano per il loro bellissimo mondo e imparavano come fossero sacri i doni della natura, come fossero potenti e come dovessero essere usati fedelmente per alti scopi, poiché ognuno, nel suo campo, aiutava ad educare, elevare e rinnovare.

Josie scrisse dei volumi a sua madre e, quando il soggiorno presso gli zii terminò, la ragazzina rese felice la madre che si vide restituita una figliuola alquanto cambiata, che si diede allo studio di quei libri una volta tanto detestati, con una perseveranza e un impegno che meravigliarono e rallegrarono tutti. La corda giusta era stata toccata: persino gli esercizi di francese e di pianoforte divennero sopportabili, perché ogni genere di cultura le sarebbe stato utile col tempo. Vestiti, belle maniere, consuetudini erano tutte cose interessanti ora, perché «doveva educare la mente e il corpo, il cuore e l’anima» e mentre si sforzava di diventare «un’intelligente, graziosa e sana ragazza», Josie si preparava inconsciamente a recitare bene la sua parte su qualunque palcoscenico il Direttore Supremo aveva allestito per lei.

Capitolo nono La crisalide diventa farfalla Un pomeriggio di settembre, due biciclette di lusso salivano,

luccicanti, per la strada di Plumfield, portando due ciclisti abbronzati e impolverati che tornavano da una gita evidentemente ben riuscita, perché, nonostante avessero le

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gambe un po’ pesanti le loro facce s’illuminavano osservando dalle loro selle le cose intorno, con quell’aria di calma contentezza che hanno tutti i ciclisti dopo aver imparato a pedalare con sicurezza. Prima di arrivare a quella fase infatti, una certa angoscia fisica e psicologica è la loro caratteristica predominante.

- Va’ avanti a dare la notizia, Tom, io mi fermo qui. Ci vediamo più tardi, – disse Demi smontando agilmente di sella alla porta della Piccionaia.

- Non chiacchierare, fai il bravo ragazzo. Lascia che parli prima con Mamma Bhaer, – rispose Tom pedalando oltre il cancello con un profondo sospiro.

Demi rise, e il suo compagno risalì lentamente il viale, sperando di tutto cuore che il campo fosse libero perché portava una notizia che avrebbe, secondo lui, stupito, sconvolto e spaventato l’intera famiglia.

Con sua gran gioia trovò sola la signora Jo, mezzo sepolta sotto un intrico di bozze, dalle quali si liberò per salutare cordialmente il viaggiatore ritornato. Ma dopo il primo sguardo, s’accorse che c’era qualcosa di nuovo, dato che i recenti eventi l’avevano resa più acuta e sospettosa.

- Cosa c’è, Tom? – domandò al ragazzo che si era sprofondato in una poltroncina con una curiosa espressione di timore misto a vergogna, allegria e sgomento sul viso cotto dal sole.

- Sono nei guai, signora. - Naturalmente, sono sempre pronta a sentir parlare di

imbrogli, quando compari. Che cosa c’è? Hai investito qualche vecchia signora che andrà per vie legali? – domandò allegramente la signora Jo.

- Molto peggio. - Non avrai avvelenato qualche anima fiduciosa che ti ha

chiesto una ricetta, spero? - Peggio ancora. - Non avrai lasciato che a Demi succedesse qualcosa e poi

l’hai abbandonato, no? - Peggio, peggio. - Rinuncio, dimmi in fretta che cos’è. Detesto aspettare

quando si tratta di una cattiva notizia. Avendo fatto eccitare e incuriosire sufficientemente la sua

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interlocutrice, Tom lanciò il fulmine con una sola breve frase e si appoggiò allo schienale per osservare l’effetto.

- Sono fidanzato! – annunciò. I fogli della signora Jo volarono per aria mentre congiungeva

le mani, esclamando sgomenta: – Se Nan ha capitolato, non la perdonerò mai!

- No, non l’ha fatto: la ragazza è un’altra. La faccia di Tom era così buffa mentre pronunciava queste

parole che alla signora Jo fu impossibile trattenersi dal ridere: il ragazzo appariva timido e soddisfatto e, nello stesso tempo, inquieto e parecchio perplesso.

- Ne sono felice, anzi felicissima! Non importa chi sia e vi sposerete presto, spero. Ora raccontami tutto! – ordinò la signora Jo, tanto sollevata da essere pronta a qualsiasi cosa.

- Cosa dirà Nan? – domandò Tom piuttosto preso alla sprovvista da questo punto della questione.

- Sarà felicissima di essersi liberata di una zanzara che l’ha tormentata per tanto tempo. Non preoccuparti di Nan. Chi è l’altra ragazza?

- Demi non ne ha scritto? - Ha scritto solo che hai fatto cadere in acqua una certa

signorina West giù a Quitno, pensavo che quello fosse abbastanza come guaio.

- Quello è stato soltanto il primo di una serie. La mia solita fortuna! Dopo aver fatto cadere in acqua quella povera ragazza ho dovuto occuparmi di lei, no? Tutti sembravano pensarlo e così sono stato accalappiato prima di rendermene conto. È tutta colpa di Demi! Lui aveva voluto fermarsi a divertirsi con la sua vecchia macchina fotografica, perché il paesaggio era bello e tutte le ragazze volevano essere fotografate. Guarda queste foto: ecco come passavamo il nostro tempo quando non giocavamo a tennis, – e Tom si tolse di tasca un pacchetto di fotografie, mostrandone parecchie in cui era in primo piano, reggendo un parasole sulla testa di una bella signorina seduta sugli scogli, oppure sdraiato sull’erba ai piedi della stessa ragazza, o appollaiato sulla balaustra di un portico con altre coppie in costume da bagno, tutte in pose graziose.

- Quindi questa è lei suppongo? – domandò la signora Jo, indicando una elegante signorina con un bel cappello, scarpe

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eleganti e racchetta. - Questa è Dora. Non è carina? – esclamò Tom, dimenticando

per il momento le sue pene e parlando con l’ardore di un innamorato.

- Molto carina, ma spero che non sia come la Dora di Dickens10. Con quella testina di riccioli sembra proprio lei!

- Nemmeno per idea! È molto elegante ma sa dirigere la casa, cucire e fare un mucchio di cose, glielo assicuro, signora. Piace a tutte le ragazze e ha un carattere dolce e allegro, canta come un usignolo, balla bene e le piacciono i libri. Pensa che i tuoi siano splendidi e mi ha fatto parlare di te fino alla nausea.

- Quest’ultima frase è per lusingarmi e conquistarti il mio aiuto a toglierti dagli impicci… Raccontami prima come ci sei cascato, – e la signora Jo si accinse ad ascoltare con grande interesse perché le vicende dei ragazzi non la stancavano mai.

Tom si grattò la testa per schiarirsi le idee, poi con buona volontà si buttò a capofitto nel racconto.

- Ecco, l’avevamo già incontrata prima, ma non sapevo che fosse lì. Demi desiderava vedere un amico e vi andammo. Trovando il posto bello e fresco e vi rimanemmo anche dopo la domenica. Facemmo la conoscenza di alcune persone simpatiche e andammo assieme a remare: Dora era con me e un dannato scoglio seminascosto ci mandò per aria. Per fortuna lei sapeva nuotare, quindi nessun pericolo, solo un po’ di paura e il vestito rovinato. Dora prese bene la cosa e facemmo subito amicizia, sarebbe stato impossibile non farla dopo esserci arrampicati su quella maledetta barca mentre tutti attorno ridevano. Fummo costretti a fermarci un altro giorno per vedere se Dora stesse bene e anche Demi lo desiderava. C’era là anche Alice Heath e due altre compagne d’università, così ci fermammo ancora un po’. Demi continuò a far fotografie, ballammo e organizzammo un torneo di tennis dato che pensavamo fosse una ginnastica efficace quanto la bicicletta. Il brutto è che il tennis è pericoloso e a furia di «servire» le ragazze, si finisce col diventar loro cavalier serventi e quel ch’è peggio, uno ci prende gusto.

- Ai miei tempi non si usava molto giocare a tennis, ma ti capisco perfettamente, – disse la signora Jo divertendosi a tutto ciò molto più dello stesso Tom.

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- Per essere sincero, non avevo la minima intenzione di fare sul serio, – continuò lentamente, come se questa parte della storia fosse da non raccontare, – ma tutti «filavano» e così ho fatto anch’io. A Dora l’idea sembrava piacere e un po’ se lo aspettava e dal canto mio ero contento di starle simpatico. Lei pensava che valevo qualcosa, anche se Nan non è dello stesso parere, ed è molto piacevole sentirsi apprezzato dopo essere stato punzecchiato per anni interi. Sì, è proprio bello avere una ragazza dolce che ti sorride ogni giorno, arrossisce quando le dici qualcosa di carino, è contenta quando arrivi, triste quando devi partire, una che ammira tutto ciò che fai e ti fa sentire veramente uomo e ti spinge ad agire meglio che puoi. È così che vuole e dev’essere trattato un ragazzo quando si comporta a dovere, non sgridate e alzate di spalle, per anni e anni, facendoti passare per pazzo quando hai intenzioni serie, sei fedele e ami una ragazza fin dall’infanzia; no, perbacco, non è per niente bello e non lo sopporterò più!

Tom si era riscaldato ed era divenuto eloquente, ripensando ai torti subiti. Balzò in piedi e camminò su e giù per la stanza, scuotendo la testa e sforzandosi di essere addolorato come lo era di solito, ma ora era solamente sorpreso che il cuore non gli dolesse affatto.

- Neppure io lo sopporterei. Dimentica quel vecchio capriccio, perché non era niente di più, e abbandonati al nuovo sentimento, se è sincero. Ma Tom, in che modo ti sei dichiarato, dato che devi averlo fatto per esserti fidanzato? – domandò la signora Jo, ansiosa di sentire raccontare il punto culminante della storia.

- Oh, è stato un caso. Io non ne avevo la minima intenzione; fu colpa dell’asino, e non avrei potuto cavarmi dall’impiccio senza urtare i sentimenti di Dora… – cominciò Tom, che vedeva avvicinarsi il momento cruciale.

- Così ci furono due asini allora? – disse la signora Jo prevedendo qualcosa di comico.

- Non ridete! Lo so che sembra buffo, ma avrebbe potuto essere terribile, – rispose Tom cupo, benché il lampo degli occhi rivelasse che i suoi problemi amorosi non l’accecavano al punto da non fargli vedere il lato comico dell’avventura. – Le ragazze ammiravano le nostre biciclette nuove e a noi piaceva

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sfoggiarle. Le portavamo a fare un giro e generalmente ci divertivamo un mondo. Bene, un giorno Dora era dietro a me e avevamo fatto un bel pezzo di strada, quando uno stupidissimo asino ci tagliò la strada e si fermò lì in mezzo. Pensavo che si sarebbe mosso, ma non lo fece e allora gli diedi un calcio e l’asino me lo restituì, così finimmo tutti a gambe all’aria, asino compreso. Che disastro! Io pensai solo a Dora, che ebbe una crisi di nervi e poi finì col ridere e piangere nello stesso tempo, mentre l’asino ragliava e io avevo perso la testa. Chiunque altro l’avrebbe persa con accanto una povera fanciulla boccheggiante a cui si stanno asciugando le lacrime, e le si sta chiedendo perdono, non sapendo se si era rotta qualcosa o no. La chiamai «anima mia» e le dissi non so quante altre sciocchezze nella foga del discorso, finché alla fine si calmò e mi disse guardandomi in un tal modo: «Ti perdono, Tom; aiutami ad alzarmi e riprendiamo il cammino». Non fu molto gentile da parte sua, dopo che l’avevo fatta cadere per la seconda volta? Mi commosse fino in fondo all’anima; allora le dissi che avrei voluto andare avanti tutta la vita con a fianco un angelo come lei e… bene, non ricordo affatto quello che le dissi in seguito. So solo che avresti potuto gettarmi a terra anche solo con una piuma, quando lei mi buttò le braccia al collo, mormorando: «Tom, caro, con te non ho paura neppure di un leone sulla nostra strada». Avrebbe potuto dire «asino», ma in quel momento era seria e aveva riguardo per i miei sentimenti. È stata tanto gentile, ma ora son qui con due innamorate sulle spalle e in un pasticcio del diavolo.

Alla fine di quel buffo racconto, la signora Jo, non riuscendo più a trattenersi, cominciò a ridere senza freno, finché le lacrime le rigarono le guance; dopo uno sguardo corrucciato di Tom che aumentò la sua ilarità, anche il ragazzo scoppiò in una risata che fece rintronare la stanza.

- Tommy Bangs, Tommy Bangs! A chi all’infuori di te poteva capitare una simile avventura? – disse la signora Jo quando potè riprender fiato.

- Non è un tremendo pasticcio e tutti mi prenderanno in giro per questa storia ridicola? Dovrò lasciare la vecchia Plum per qualche tempo, – rispose Tom con una smorfia cercando di rendersi conto del pericolo della sua posizione.

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- Nient’affatto: io sarò al tuo fianco, perché penso che sia lo scherzo meglio riuscito di tutta la stagione. Ma dimmi com’è andata a finire. È una cosa seria o un semplice «flirt» estivo? Io non approvo simili svaghi, ma ai giovani piace scherzare con oggetti affilati finché non si tagliano.

- Dora si considera fidanzata e ha scritto subito ai suoi. Io non osai dire una sola parola quando vidi che pigliava la cosa tanto sul serio e ne era felice. Ha solo diciassette anni e non ha mai amato nessun altro ed è sicura che tutto andrà benissimo, perché suo padre conosce il mio e siamo entrambi in buone condizioni finanziarie. Io ero così scosso che le dissi: «Come puoi amarmi veramente, se ci conosciamo appena?». Ma lei mi rispose con una voce che veniva dal suo tenero cuoricino: «Eppure ti amo, Tom; sei così allegro, gentile, onesto, che non posso farne a meno». Dopo di che cosa avrei potuto fare se non continuare a renderla felice finché ero lì e affidarmi in seguito alla fortuna per sistemare la faccenda?

- È proprio il tuo modo di prendere le cose alla leggera. Spero tu abbia almeno informato subito tuo padre.

- Gli ho scritto subito e glielo feci sapere in tre righe. Scrissi: «Caro papà, sono fidanzato con Dora West e spero che la mia scelta piacerà alla famiglia. A me piace moltissimo. Sempre tuo, Tom». Ne fu molto lieto, perché Nan non gli era mai piaciuta, lo sai. Ma Dora gli piacerà da cima a fondo, – e Tom parve perfettamente soddisfatto per la sua scelta e il suo buon gusto.

- Cosa ha detto Demi di questo sistema rapido e divertente di innamorarsi? Non si è scandalizzato? – domandò la signora Jo, sforzandosi di non scoppiare nuovamente a ridere al pensiero del poco romantico spettacolo dell’asino, della ragazza, di Tom, della bicicletta e tutti per terra, nella polvere.

- Per niente. Si è interessato moltissimo ed è stato molto gentile, mi ha parlato come un padre, dicendomi che era un’ottima cosa per mettere la testa a posto a un ragazzo, che dovevo essere onesto con lei e con me stesso e non scherzare neanche un momento. Demi è un vero Salomone, specialmente quando naviga nelle stesse acque, – rispose Tom, con l’aria di chi la sa lunga.

- Non vorrai dire che… – soggiunse ansimando la signora Jo,

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subito allarmata all’idea di nuove complicazioni amorose. - Sì, signora, voglio proprio dire quello. È tutto un pasticcio

da cima fondo e devo farla pagare a Demi per avermi indotto in tentazione mentre avevo gli occhi bendati. Lui mi disse che doveva andare a Quitno per vedere Fred Wallace ma in realtà non l’ha mai incontrato. E come avrebbe potuto trovarlo se anche rimase fuori col suo yacht per tutto il tempo che noi ci fermammo là? Era Alice la sua vera meta ed io fui lasciato al mio destino, mentre quei due vagabondavano con la vecchia macchina fotografica. Ci furono tre asini in quella faccenda e io non fui il più somaro, anche se sarò quello che sopporterà le beffe. Demi avrà l’aria più innocente e assennata, e nessuno gli dirà una parola.

- Sono scoppiati i colpi di sole estivi e nessuno sa chi sarà colpito dopo di voi. Bene, lasciamo Demi a sua madre; vediamo piuttosto cosa hai intenzione di fare, Tom.

- Non lo so; è tremendo essere innamorato di due ragazze allo stesso tempo. Cosa mi consigliate di fare?

- Esaminare il caso con buon senso, prima di tutto. Dora ti ama e pensa che tu l’ami. Nan non si cura di te e tu sei per lei un amico, benché tu abbia cercato di diventare qualcosa di più. La mia idea, Tom, è che tu ami Dora o stai per amarla perché in tutti questi anni non ti ho mai visto con questo sguardo né sentito parlare di Nan come parli di lei. La sua esistenza ha fatto sì che tu ti attaccassi ostinatamente a lei finché il caso ti ha fatto incontrare una ragazza più seducente. Ora io penso che faresti bene a considerare la vecchia innamorata come una buona amica e la nuova come fidanzata e, a tempo debito, se il tuo sentimento è sincero, a sposarla.

Se la signora Jo avesse avuto anche qualche dubbio sulla faccenda, il viso di Tom le avrebbe rivelato la verità della sua opinione. I suoi occhi brillavano, le labbra sorridevano e, nonostante la polvere e l’abbronzatura, una nuova espressione di felicità gli illuminava il viso, mentre rimaneva in silenzio per un momento, cercando di spiegarsi lo stupendo miracolo che il vero amore opera quando colpisce il cuore di un giovane.

- La verità è che io volevo far ingelosire Nan perché conosce Dora e avrebbe certamente sentito parlare della cosa. Ero stanco di essere calpestato e pensai che dovevo cercare di

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rompere i ponti e smettere di essere un seccatore e uno zimbello – continuò lentamente, come se fosse per lui un sollievo confidare alla sua vecchia amica i suoi dubbi, le sue aspirazioni, le sue speranze e le sue gioie. – Fui davvero stupito di trovare tutto questo facile e piacevole. Non volevo far nulla di male e così tirai avanti meravigliosamente e pregai Demi di parlare della cosa nelle sue lettere a Daisy, cosicché Nan lo venisse a sapere. Poi dimenticai del tutto Nan e non vidi, non sentii e non mi preoccupai che di Dora, finché l’asino (benedetto lui!) me la gettò tra le braccia e scoprii che mi amava. In fede mia, non so perché lo faccia! Non valgo proprio niente.

- Ogni uomo onesto pensa così quando una ragazza innocente si mette nelle sue mani. Renditi degno di lei e aiutatevi l’un l’altro perché Dora non è un angelo, ma una donna coi suoi difetti che dovrai sopportare e perdonare, – disse la signora Jo, cercando di rendersi conto che quel giovane pensieroso era quello scavezzacollo di Tommy.

- Quello che mi preoccupa è che all’inizio non intendevo prendere la cosa sul serio e mi volevo servire di quella adorabile ragazza come di uno strumento per torturare Nan. Non era onesto e io non merito di essere così felice. Se tutti i miei pasticci avessero buon esito come questo, in che stato di grazia dovrei trovarmi! – e Tom divenne nuovamente raggiante a quell’incantevole prospettiva.

- Mio caro ragazzo, non è un pasticcio, ma una dolce esperienza che si sta offrendo a te, così, all’improvviso, – rispose seria la signora Jo che sapeva che anche Tom lo era. – Devi apprezzarla ed esserne fiero, poiché è una cosa seria accettare l’amore e la fiducia di una ragazza che cerca tenerezza e sincerità. Non fare che la piccola Dora cerchi invano, ma sii uomo per amor suo e fa che questo affetto sia una benedizione per entrambi.

- Ci proverò. Sono sicuro d’amarla, è solo che non riesco ancora a crederci. Vorrei che la conosceste. Non desidero altro che rivederla. Ha pianto quando ci siamo lasciati l’altra sera e io non avrei voluto andarmene.

Tom si accarezzò la guancia come se sentisse ancora il suggello che le rosee labbra di Dora avevano impresso sulla

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sua promessa di non dimenticarla; per la prima volta nella sua vita spensierata Tommy Bangs capì la differenza tra sentimento e sentimentalismo. Questo gli fece ricordare improvvisamente Nan, perché non aveva mai conosciuto quel delizioso brivido quando pensava a lei e l’antica amicizia gli sembrò un affare piuttosto scialbo in confronto a questo piacevole miscuglio di romanzo, imprevisto, amore e allegria.

- Confesso che mi pare di essermi tolto un peso di dosso, ma che diavolo dirà Nan quando lo saprà? – esclamò egli con un sospiro.

- Quando saprà cosa? – domandò una limpida voce, che fece sussultare e voltare entrambi, poiché Nan stava sulla soglia e li osservava con calma.

Ansiosa di togliere Tom dall’imbarazzo e di vedere come Nan avrebbe preso la notizia, la signora Jo rispose in fretta: - Il fidanzamento di Tom con Dora West.

- Davvero? – e Nan apparve così stupita, che la signora Jo ebbe paura che volesse più bene di quanto credesse al suo vecchio compagno di giochi, ma le parole successive calmarono i suoi timori e tutto divenne subito consolante e lieto.

- Sapevo che la mia ricetta avrebbe fatto miracoli purché l’avesse seguita per un tempo abbastanza lungo. Caro vecchio Tom ne sono veramente felice. Dio ti benedica, ragazzo! – e gli strinse con effusione le mani.

- È stato un caso, Nan. Non era mia intenzione, ma io mi metto sempre nei guai e sembrava che non ci fosse altro modo per uscire da questo. Mamma Bhaer ti racconterà tutto. Io devo andare a darmi un tono, perché Demi mi aspetta per il tè. A presto!

Balbettando, arrossendo, con l’aria umile e soddisfatta, Tom se la svignò improvvisamente, lasciando la buona signora a illuminare Nan sull’avvenimento e a ridere ancora per questa nuova, movimentata maniera di fare la corte che si sarebbe potuta definire solo come accidentale. La ragazza si mostrò molto interessata, poiché conosceva Dora e la considerava una cara ragazza e predisse che, col tempo, sarebbe diventata per Tom una moglie eccellente dal momento che lo ammirava e lo stimava tanto.

- Mi mancherà, naturalmente, ma sarà un sollievo per me e

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un bene per lui perché non è un bene che un ragazzo perda il suo tempo. Ora entrerà nel mondo degli affari con suo padre, se la caverà benissimo e tutti saranno felici. Come regalo di nozze offrirò a Dora un elegante armadietto di pronto soccorso e le insegnerò a servirsene. Non ci si può fidare di Tom: è adatto a fare il medico quanto il vecchio Silas.

Quest’ultima parte del discorso risollevò lo spirito della signora Jo, perché Nan inizialmente si era guardata attorno come se avesse perso qualcosa di valore; ma l’idea della cassetta dei medicinali l’aveva evidentemente rallegrata e il pensiero di saper Tom avviato ad una professione sicura le era evidentemente di molto conforto.

- Il bruco si è trasformato finalmente, Nan, e il tuo schiavo è libero, ora. Lascialo andare e concentrati sul lavoro perché tu sei portata per la tua professione e sono sicura che ti farai molto onore col tempo, – disse la signora Jo.

- Lo spero. Questo mi fa venire in mente che al villaggio c’è il morbillo, e quindi sarebbe bene dire alle ragazze di non andare a fare visite dove ci sono bambini. Sarebbe spiacevole se si diffondesse l’epidemia proprio adesso che ricominciano le scuole. Ora vado da Daisy: sono curiosa di sentire cosa dirà di Tom. Non è una cosa divertente?

E Nan se ne andò ridendo con tanta spontanea allegria, da lasciar intendere che nessun rimpianto sentimentale turbava la sua «mente di fanciulla libera da simili fantasie».

- Terrò d’occhio Demi, ma per ora non dirò una parola. A Meg piace guidare i suoi ragazzi a modo suo, ed è proprio un buon modo. Ma il caro Pellicano si agiterà un po’, se il suo figliuolo si è buscato l’epidemia che sembra essere scoppiata tra noi questa estate!

La signora Jo non intendeva il morbillo, ma quella malattia molto più grave chiamata «amore», che può far strage fra intere comunità, di primavera e d’autunno, quando la letizia invernale o la pigrizia estiva fanno sbocciare a mazzi i fidanzamenti e accoppiare i giovani come passerotti. Aveva cominciato Franz, Nat era un malato cronico e Tom un caso violento, e ora sembrava che anche Demi avesse i primi sintomi e, quel che era peggio, anche il suo Ted le aveva detto solo il giorno prima con tutta calma: «Mammina, penso che

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sarei più felice se avessi anch’io un’innamorata come gli altri ragazzi». Se il suo adorato figlio le avesse chiesto della dinamite con cui giocare, non sarebbe stata meno sconvolta e non avrebbe rifiutato più decisamente l’assurda richiesta.

- Beh, anche Barry Morgan mi ha detto che dovrei averne una e si è offerto di trovarmene una tra le nostre compagne. Ho chiesto prima a Josie, ma quella se ne infischia, e allora ho deciso di far dare un’occhiata in giro Barry. Tu dici che l’amore fortifica un uomo e io voglio essere forte, – aveva spiegato Ted in un tono così serio che avrebbe fatto morir dal ridere sua madre, in qualsiasi altro momento.

- Santi numi! Dove andremo a finire in quest’epoca in cui bambini e ragazzini ci fanno certe richieste e vogliono giocare con una delle cose più sacre della vita? – aveva esclamato la signora Jo; e dopo aver messa la cosa in una giusta luce con poche parole, aveva spedito Ted a giocare a pallone o a cavalcare Octoo, come antidoto contro le innamorate.

E ora ecco scoppiare in mezzo a loro la bomba di Tom, portando forse la completa distruzione perché se una rondine non fa primavera, un fidanzamento ne trascina con sé altri e i suoi ragazzi erano, per la maggior parte, in quell’età infiammabile in cui basta una scintilla a far divampare la fiamma, una fiamma che presto si fa tremolante e si spegne subito, oppure brucia calda e chiara per tutta la vita. Non ci si poteva far nulla se non aiutarli a fare una buona scelta a esser degni delle loro compagne. Ma di tutte le lezioni che la signora Jo aveva cercato di insegnare ai suoi ragazzi, questa era la più difficile; poiché l’amore rende pazzi persino i santi e i savi e non c’è da aspettarsi che la gioventù sfugga alle delusioni, agli errori così ma anche alle delizie di questa dolce follia.

«Suppongo sia inevitabile, dato che viviamo in America. Vedrò di non prendermela troppo e di sperare che alcune delle nuove idee sull’educazione producano ragazze di cuore, allegre, brave e intelligenti per i miei ragazzi. Per fortuna non devo pensare a tutti e dodici, altrimenti perderei la testa, anche perché prevedo complicazioni e guai molto peggiori della barca, della bicicletta dell’asino di Tom e della sua Dora». Pensava così tra sé e sé la signora Jo, tornando alle sue trascurate bozze di stampa.

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Tom fu molto soddisfatto del bell’effetto che il suo fidanzamento produsse nella piccola comunità di Plumfield. Era stato «paralizzante», come disse Demi, e lo stupore lasciò agli amici di Tom poco fiato per prenderlo in giro. Che lui, il fedelissimo, abbandonasse il suo idolo per un’altra ragazza, fu un colpo per i romantici e un avvenimento per i più impressionabili. Era buffo vedere le arie che si dava il nostro Tom visto che le parti più ridicole della faccenda furono gentilmente dimenticate dai pochi che le conoscevano e Tom apparve agli occhi di tutti come un autentico eroe che aveva salvato una ragazza dalle acque, avendo ottenuto la sua gratitudine e il suo amore con questo suo coraggioso comportamento. Dora mantenne il segreto e si divertì molto quando venne a trovare «mamma Bhaer» e a conoscere tutta la famiglia. Piacque subito a tutti, perché era una ragazza così allegra e simpatica, fresca e spontanea che conquistava. Era bello vedere il suo ingenuo orgoglio per Tom, che era diventato un altro ragazzo, o meglio un uomo, perché questo cambiamento nella vita ne stava operando un altro, altrettanto grande, in lui. Era allegro e impulsivo come sempre, ma si sforzava di diventare come Dora lo credeva e così vennero a galla tutte le sue buone qualità. Fu una sorpresa vedere quante buone doti avesse Tom, e i suoi sforzi per mantenere la dignità maschile, dovuta al suo ruolo di fidanzato, erano veramente comici. C’era stato, insomma, un capovolgimento dall’antica sottomissione e devozione per Nan, rimpiazzata da una certa aria di protezione verso la sua piccola fidanzata, poiché Dora aveva fatto di lui il suo idolo e rifiutava l’idea di un minimo difetto o pecca in lui. Il nuovo stato di cose conveniva ad entrambi e il ragazzo deluso d’un tempo rifioriva in quella calda atmosfera di stima, d’amore e di fiducia. Lui amava moltissimo la fanciulla, ma non intendeva essere ancora schiavo e godeva immensamente della sua libertà senza rendersi conto che il grande tiranno del mondo si era impossessato di lui per tutta la vita.

Con grande soddisfazione di suo padre rinunciò alla medicina e si preparò a entrare negli affari con lui, che aveva un commercio ben avviato ed era pronto a facilitargli il cammino e ad accogliere favorevolmente il suo matrimonio con la figlia

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del ricco signor West. L’unica spina fra tante rose era il placido interesse di Nan per le sue faccende e l’evidente segno di sollievo di fronte al suo tradimento. Non voleva che soffrisse, ma una piccola dose di rimpianto alla perdita di un simile innamorato, gli avrebbe fatto piacere: una vena di melanconia, una parola di rimprovero, uno sguardo di invidia quando passava al braccio dell’adorata Dora, gli sarebbero sembrati il dovuto tributo a tanti anni di fedeltà e di sincero affetto. Ma Nan lo guardava con un’aria materna che lo irritava parecchio, e accarezzava la testa ricciuta di Dora con l’aria di chi possiede tutta la saggezza del mondo, degna dell’avvizzita zitella Julia Mills in David Copperfield.

Ci volle del tempo perché le vecchie e le nuove emozioni si stabilizzassero tra loro, ma la signora Jo lo aiutò e il signor Laurie gli diede saggi consigli sulle strabilianti acrobazie che può compiere il cuore umano e su come questi possano fargli bene se esso si tiene saldamente tra la sincerità e il buon senso. Finalmente per il nostro Tom tutto ritornò alla normalità e quando venne l’autunno lo si vide poco a Plumfield, poiché la sua beneamata abitava in città e gli affari lo facevano lavorare sodo. Era evidentemente a suo agio ora e in breve fece grandi progressi per la gioia del padre; la sua allegra presenza portò una ventata di aria fresca in quello che fino a quel momento era stato un vecchio e tranquillo ufficio, e il suo dinamismo era più adatto a trattare uomini e affari piuttosto che studiare le malattie o scherzare indecorosamente con gli scheletri.

Lasceremo qui Tom per qualche tempo, tornando alle avventure ben più serie dei suoi compagni, benché questo fidanzamento, avvenuto in modo tanto buffo, fu l’ancora che frenò il nostro vivacissimo Tom e fece di lui un uomo.

Capitolo decimo Demi mette la testa a posto – Mamma, posso parlare con te di cose serie? – domandò una

sera Demi mentre stavano seduti a godersi il primo fuoco della stagione. Daisy scriveva lettere al piano superiore e Josie studiava nella piccola biblioteca accanto.

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- Ma certo, caro. Nessuna cattiva notizia, spero? – e la signora Meg sollevò gli occhi dal suo cucito con un misto di piacere e d’ansia dipinti in viso; poiché amava con tutto il cuore chiacchierare con suo figlio che aveva sempre qualcosa di interessante da dire.

- Sarà una notizia che ti farà piacere, credo, – rispose Demi sorridendo mentre gettava via il giornale e si sedeva accanto a lei sul divanetto.

- Dimmela subito, allora. - So che non ti piace che io faccia il giornalista, quindi sarai

contenta di sapere che vi ho rinunciato. - Sono contentissima; è una professione troppo incerta e

senza prospettiva di tirare avanti a lungo. Ti voglio sistemato in un posto sicuro dove tu possa guadagnar bene in futuro. Vorrei che ti piacesse la mia professione, ma siccome a te non piace, qualsiasi genere di affari, purché onesti, andrebbe bene.

- Che ne diresti di un impiego nelle ferrovie? - Non mi piace. E un posto rumoroso e pieno di movimento, e

con un assortimento di gente rozza attorno. Spero che non sia questo il tuo futuro, caro.

- Avrei potuto ottenere un posto simile, ma ne preferisci forse uno da contabile in una buona ditta di cuoiami?

- No, diventeresti gobbo stando sempre alla scrivania, e poi si dice: «contabile una volta, contabile per tutta la vita».

- Cosa ne pensi se diventassi agente di commercio? - Per niente: con tutti quei terribili incidenti, patir freddo e

mangiar male durante i viaggi puoi essere sicuro che finiresti col perdere la salute o rimetterci la salute.

- Potrei fare il segretario di un uomo di lettere, ma lo stipendio è modesto e potrebbe finire da un momento all’altro.

- Sarebbe meglio e consono ai miei desideri. Non è che io sia contraria a qualsiasi lavoro onesto, ma non vorrei che mio figlio perdesse i suoi anni migliori sgobbando in un ufficio senza luce per pochi soldi o fosse urtato e calpestato nella lotta per farsi strada. Voglio vederti occupato in un campo dove il tuo gusto e la tua intelligenza possano essere sviluppati e resi utili, dove tu possa far carriera e, col tempo, impiegarvi la tua piccola fortuna e divenire socio nell’azienda. Così gli anni di apprendistato non andrebbero perduti, ma ti insegnerebbero a

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prendere il tuo posto fra la gente onorata, la cui vita e il cui lavoro sono utili e rispettati. Quand’eri ancora piccolo, ho parlato di questo con tuo padre, e, se fosse ancora qui, ti avrebbe fatto capire quello che intendo dire e ti avrebbe aiutato ad essere ciò che era lui.

La signora Meg si asciugò una lacrima mentre diceva queste cose, perché il ricordo di suo marito era sempre molto tenero per lei e l’educazione dei suoi figli era stato un compito sacro al quale aveva dedicato tutto il suo cuore e la vita intera ed aveva ottenuto meravigliosi risultati, come dimostravano suo figlio e le due affezionate ragazze. Demi la circondò con un braccio e le disse con quella voce tanto simile a quella del padre e che era la musica più dolce per le sue orecchie: – Mamma cara, penso di aver trovato proprio quello che tu desideri per me e non sarà colpa mia se non diverrò l’uomo che tu speri. Lascia che ti spieghi tutto. Non ho detto nulla finché non era cosa sicura, perché ti avrebbe solamente preoccupato; ma la zia Jo ed io siamo stati all’erta e ora il momento è venuto. Tu conosci il signor Tiber, l’editore della zia, è uno degli uomini che ha avuto più successo in affari ed è anche generoso, gentile ed è l’onore in persona, come prova il trattamento che ha sempre riservato alla zia. Ebbene, ho sempre aspirato ad un posto presso di lui, poiché amo i libri e, non sapendoli scrivere, mi piacerebbe almeno pubblicarli. Questo richiede gusto letterario e senso critico, ti mette a contatto con persone istruite ed è già di per sé un’istruzione. Ogni volta che entro in quella bella stanza luminosa per vedere il signor Tiber per la zia Jo vorrei sempre stare là: è tutta tappezzata di libri e di quadri, uomini e donne celebri vanno e vengono e il signor Tiber siede al suo scrittoio come un re che riceve i sudditi, poiché anche i grandi scrittori diventano umili davanti a lui e aspettano con ansia un suo «sì» o un suo «no». Naturalmente io non ho niente a che fare con tutto questo, e forse non ne avrò mai, ma mi piace vederlo e l’atmosfera là dentro è così diversa da quella degli uffici bui del trambusto di molti tipi di affari, dove non si parla che di danaro! È un altro mondo e io mi sento come a casa mia. Preferirei sbattere gli zerbini e accendere le stufe là dentro, piuttosto che essere capo-ufficio in un negozio di pellami con un lauto stipendio.

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Demi si fermò per riprendere fiato e la signora Meg, la cui faccia s’era andata illuminando man mano che il figlio parlava, esclamò gioiosamente: – Era proprio quello che volevo! Ci sei riuscito, mio caro ragazzo? La tua fortuna è fatta se entrerai a far parte di quella ditta così fiorente e con tutte quelle brave persone che ti aiuteranno.

- Penso di sì, ma non siamo ancora sicuri di niente. Potrei non essere adatto per quel posto sono solamente in prova e devo cominciare dal principio e trovare la mia strada con fiducia. Il signor Tiber è stato molto gentile e ha promesso di farmi fare carriera senza nuocere agli altri impiegati, se dimostrerò di essere adatto per incarichi più elevati. Devo cominciare il primo del mese prossimo nella libreria, registrando le ordinazioni, andrò in giro a prendere gli ordini e altre cose del genere. L’idea mi piace! Sono disposto a fare qualsiasi cosa sui libri, fosse anche solo spolverarli, – disse ridendo Demi, soddisfatto dell’avvenire che lo aspettava, perché dopo aver provato diverse cose sembrava finalmente aver trovato quello che faceva al caso suo e con buone prospettive.

- Hai ereditato dal nonno la passione dei libri visto che non riesce a vivere senza di loro. Sono contenta. Gusti di questo genere rivelano una natura raffinata e sono una consolazione e un aiuto nella vita di una persona. Sono veramente felice, John, che alla fine tu voglia sistemarti e che abbia trovato un’occupazione così soddisfacente. Molti ragazzi cominciano molto prima ma io non credo nel mandarli allo sbaraglio ad affrontare il mondo così giovani, proprio quando il corpo e l’anima hanno maggior bisogno del supporto della famiglia e di attenzioni. Ora tu sei un uomo e devi farti la tua vita, fa del tuo meglio e sii onesto, utile e felice come tuo padre, e non mi importa se non farai una gran fortuna.

- Cercherò, mamma. Non potevo avere una possibilità migliore. La ditta Tiber & Co. tratta i suoi impiegati come gentiluomini e paga bene il lavoro fatto con coscienza. Là tutto procede come nel mondo degli affari e questo mi piace. Da qualunque parti arrivino odio le promesse non mantenute, l’inefficienza e le prepotenze. Il signor Tiber mi ha detto: «Questo lavoro è solo per insegnarle le prime astuzie del

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mestiere. In futuro avrò dell’altro per lei, Brooke». La zia ha detto che ho fatto recensioni di libri e che ho la passione della letteratura così col tempo, sebbene non sappia produrre «opere scespiriane» come dice lei, forse potrò scrivere qualche cosetta non disprezzabile. Se non mi riuscirà, penso che sia comunque una professione nobile ed onorevole selezionare e diffondere buoni libri tra la gente. E sono soddisfatto di essere un umile aiuto in quest’opera.

- Sono contenta che la pensi così. Si è molto più felici quando si fa un lavoro che si ama. Io detestavo l’insegnamento, mentre occuparmi della casa della mia famiglia è stato per me molto piacevole sebbene sia più duro sotto molti punti di vista. La zia Jo è contenta? – domandò poi la signora Meg, che già vedeva una insegna bellissima con «Ditta Tiber, Brooke & C.» sulla porta di una casa editrice famosa.

- È così contenta che ho fatto fatica a non farle scappare troppo presto di bocca il segreto. Avevo già avuto tanti progetti e ti avevo delusa così spesso che questa volta volevo essere ben sicuro. Questa sera ho dovuto convincere Rob e Ted a trattenerla a casa finché non ti avessi parlato io, perché aveva una voglia matta di venire a darti la grande notizia. I castelli che ha costruito per me basterebbero a riempire tutta la Spagna e ci hanno divertito mentre aspettavamo di conoscere il mio destino. Il signor Tiber non fa le cose di fretta, ma quando ha preso la sua decisione sei sistemato, e questa volta mi pare di essere partito col piede giusto.

- Dio ti benedica, figliuolo, speriamo sia vero! Questo è un giorno felice per me, perché ultimamente sono stata così ansiosa con tutte le mie preoccupazioni, così debole e indulgente e il mio ragazzo, con tutte le sue buone qualità, avrebbe potuto sciupare il tempo in occupazioni innocue, ma insoddisfacenti. Ora sono tranquilla nei tuoi riguardi. Se solamente Daisy potesse essere felice e Josie rinunciasse al suo sogno, sarei soddisfatta del tutto.

Demi lasciò che la mamma assaporasse la sua gioia per alcuni minuti e intanto sorrideva di un sogno tutto suo, di cui non era ancora venuto il momento di parlare; poi continuò col tono paterno che assumeva inconsciamente quando parlava delle sorelle: – Baderò io alle ragazze, ma penso che il nonno

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abbia ragione quando dice che dobbiamo essere ciò che Dio e la natura fanno di noi. Non possiamo fare grandi cambiamenti, dobbiamo solo cercare di sviluppare le buone doti e controllare i nostri cattivi impulsi. Io spero finalmente d’aver trovato, a furia di cercare, la strada giusta. Lascia che Daisy sia felice a modo suo poiché è un modo buono e femminile. Se Nat tornasse a casa come si deve, gli direi «Dio vi benedica, figliuoli», e gli costruirei un bel nido. Poi tu ed io aiuteremo la piccola Josie a scoprire se il suo motto deve essere «Tutto il mondo è un palcoscenico» oppure «Casa dolce casa».

- Suppongo che dovremo fare così John, ma io non riesco a non fare progetti e sperare che diventino realtà. Capisco che Daisy è legata a Nat e se lui saprà essere degno di lei lascerò che siano felici a modo loro, come fecero i miei genitori con me. Ma prevedo che Josie mi farà tribolare. Benché io ami il teatro e l’abbia sempre amato, non vedo come potrei lasciare che la mia bambina diventi un’attrice, anche se ha certamente un grande talento.

- E di chi è la colpa? – domandò Demi ridendo, ricordandosi i primi trionfi materni e il costante interesse per i tentativi drammatici dei giovani attorno a lei.

- Mia, lo so. Come avrebbe potuto essere altrimenti quando io recitavo «Bambini nel bosco» con te e Daisy prima che sapeste parlare e insegnavo a recitare «Mamma oca» a Josie quand’era ancora in fasce? Povera me! Suppongo che i gusti della madre riemergano nei figli e bisogna lasciare che poi questi vengano alla luce, – e la signora Meg rise e scosse la testa di fronte all’innegabile fatto che i March avevano tutti una passione per il teatro.

- Perché non avere una grande attrice che porti il nostro nome, come abbiamo una scrittrice, un prelato e un giornalista? Non possiamo scegliere le nostre inclinazioni, ma non dobbiamo neppure nasconderle perché non sono proprio ciò che vorremmo. Lascia che Josie segua la sua strada e faccia quello che può. Ci sono qui io a prendermi cura di lei. E tu non puoi negare che ti piacerebbe farle indossare i costumi di scena e vederla splendere alle luci di quella ribalta su cui sarebbe piaciuto essere anche a te. Su, mamma, meglio far buon viso dal momento che i figli vogliono ormai camminare con le

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proprie gambe. - Non ne sono convinta, ma se sarà così lascerò che «Dio

provveda», come diceva la mamma quando doveva prendere una decisione e vedeva solo il primo passo del cammino da percorrere. Sarei immensamente felice se sapessi che la vita non ferirà la mia piccola e non la lascerà insoddisfatta, quando sarebbe troppo tardi per cambiare idea, poiché non c’è nulla di più duro a cui rinunciare dell’eccitazione che dà quella carriera. Ne so qualcosa e, se non avessi incontrato tuo padre, temo proprio che sarei diventata un’attrice a dispetto della zia March e di tutti i nostri rispettabili antenati.

- Lascia dunque che Josie aggiunga nuovi onori al nostro nome e faccia conoscere il talento di famiglia nel suo campo. Io sarò la sua guardia del corpo e tu l’accudirai, e non verrà fatto alcun male alla nostra Giulietta, per quanti Romei possano fare i cascamorti sotto il suo balcone. Davvero, mamma, opporsi al desiderio di Josie non si addice a una signora che sta per spezzare i cuori degli spettatori recitando la parte dell’eroina nella commedia che zia Jo ha scritto per il prossimo Natale! E il lavoro più toccante che abbia visto e mi rincresce che tu non sia diventata un’attrice, benché, in tal caso, noi forse non ci saremmo.

Ora Demi era in piedi con le spalle al fuoco, in quell’atteggiamento orgoglioso che assumono solitamente gli uomini, quando i loro affari vanno bene o quando vogliono dettar legge su qualsiasi argomento.

La signora Meg sorrise alle lodi di suo figlio, e non potè negare che gli applausi le erano tanto graditi sia oggi sia quando recitava «La maledizione della strega» o «il volto della vergine mora» tanti anni prima.

- È del tutto assurdo da parte mia, ma non ho saputo resistere quando Jo e Laurie scrissero quella parte per me e dissero che avreste recitato anche voi ragazzi. Quando indosso l’abito della vecchia mamma dimentico me stessa e il suono del campanello che chiama in scena mi dà lo stesso brivido di allora quando allestivamo commedie in soffitta. Se Daisy volesse recitare la parte della figlia sarebbe una scena completa, perché con te e Josie non mi pare vero di recitare: è tutto così realistico!

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- Specialmente nella scena dell’ospedale, quando ritrovi il figlio ferito. Sai mamma che durante l’ultima prova, quando piangevi china su di me, il mio viso era bagnato di lacrime vere? Verrà giù la casa dagli applausi, ma non dimenticarti di asciugare le lacrime, altrimenti dovrò starnutire, -disse Demi ridendo al ricordo del successo materno.

- Non piangerò, ma quasi mi si spezzava il cuore a vederti così pallido e disfatto. Spero che non ci saranno più guerre fin tanto che vivrò, perché dovrei lasciarti partire e non voglio rivivere le stesse emozioni di quando il babbo partì soldato.

- Non pensi che Alice reciti la parte meglio di quanto farebbe Daisy? Daisy non ha affatto la stoffa dell’attrice, mentre Alice mette l’anima anche nelle parole più insulse che recita. Mi pare che la parte della Marchesa sia perfetta nella nostra commedia, – disse Demi passeggiando su e giù per la stanza, come se il calore del fuoco l’avesse fatto avvampare improvvisamente.

- Pare anche a me. È una cara ragazza e io sono fiera di lei e le voglio bene. Dov’è questa sera?

- Sgobbando sul suo greco, penso. Sempre così, la sera. È un vero peccato, – soggiunse Demi a bassa voce, guardando attentamente i libri sugli scaffali senza però vedere un sol titolo.

- Ecco, quella è una ragazza come piace a me. Graziosa, beneducata, istruita ma amante della casa, una vera compagna e un vero aiuto per un uomo buono e intelligente. Spero che lo troverà.

- Anch’io, – mormorò Demi. La signora Meg aveva ripreso il suo lavoro e stava

controllando un occhiello mezzo terminato con così tanto interesse che l’espressione del volto di suo figlio sfuggì al suo sguardo. Lui lanciò un sorriso raggiante allo scaffale dei poeti come se, pur dalla loro prigione di vetro, essi potessero simpatizzare e rallegrarsi con lui per quel primo roseo albeggiare della grande passione che anch’essi conoscevano così bene. Ma Demi era un giovane saggio e non agiva senza aver prima pensato attentamente. Non era ancora sicuro del suo cuore e si accontentava di aspettare finché il sentimento, di cui sentiva spiegare le ali, uscisse dalla crisalide e fosse

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pronto per librarsi in volo nel sole a ricercare la sua dolce compagna. Non aveva ancora detto nulla, ma i suoi occhi scuri erano eloquenti e c’era una trama tutta loro nelle scenette che lui e Alice Heath recitavano così bene assieme. Lei era presa dai libri e destinata a laurearsi con tutti gli onori, e lui cercava di fare lo stesso in quella più grande università aperta a tutti, dove ogni uomo ha un suo premio da guadagnare o perdere. Demi non poteva offrirle che se stesso ed essendo un giovane modesto lo considerava un misero dono finché non avesse dimostrato di saper guadagnarsi la vita e di essere degno di custodire la felicità di una donna.

Nessuno si era accorto che anche lui era stato colpito dall’epidemia tranne l’acuta Josie, che però era intimorita dal fratello, che sapeva essere tremendamente severo quando lei passava i limiti, e si accontentava saggiamente di osservarlo come un gattino, pronta ad attaccare al primo accenno di debolezza. Demi aveva preso l’abitudine di suonare il flauto dopo essersi ritirato in camera sua per la notte, facendo di quel melodioso amico il suo confidente, nel quale versava le dolci speranze e i timori che gli riempivano il cuore. La signora Meg, assorbita dagli affari domestici, e Daisy, a cui non interessava altra musica che quella del violino di Nat, non avevano fatto caso a quei concerti da camera; ma Josie ogni volta mormorava tra sé con un sorrisetto cattivo: «Dick Swiveller pensa alla sua Sofia Wackles» e aspettava il momento di vendicare alcuni torti che aveva subito da Demi, che prendeva sempre le parti di Daisy quando questa tentava di placare gli spiriti della ribelle sorellina.

Quella sera le si offrì l’occasione buona e ne trasse il massimo vantaggio. La signora Meg stava finendo il suo occhiello e Demi si aggirava ancora nervosamente per la stanza, quando si sentì chiudere un libro nello studio seguito da un rumoroso sbadiglio. Apparve quindi la studentessa con l’aria di una in cui il sonno e la voglia di combinarne una stanno lottando per avere la meglio tra loro.

- Ho sentito fare il mio nome: stavate forse parlando male di me? – domandò appollaiandosi sul bracciolo di una poltrona.

La mamma le diede la bella notizia, per la quale Josie si rallegrò come doveva e Demi ricevette le sue congratulazioni

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senza mostrare troppa gratitudine, tanto da farle sentire che troppa soddisfazione non gli faceva bene e spingerla a mettere subito una spina nel suo letto di rose.

- Ho sentito qualcosa sulla recita, poco fa e vi voglio dire che aggiungerò una canzone nella mia parte per renderla più frizzante. Come starebbe questa? – e sedendosi al piano cominciò a cantare sull’aria di «Kathleen Mavourneen»11 le seguenti parole:

O fanciulla più di ogni altra dolce, come dirti l'amore che tutta la terra trasfigura, il desiderio che mi fa gonfiare il petto quando sogno una vita a te dedicata? Non andò oltre perché Demi, rosso di collera, si lanciò verso

di lei e, un momento dopo, si vedeva una ragazza molto agile girare attorno alle sedie e al tavolo, inseguita dal futuro socio della «Tiber & Co.».

- Piccola peste, come hai osato frugare tra le mie carte? – gridò l’inferocito poeta, cercando invano di afferrare l’impertinente ragazzina che saltava di qua e di là, agitandondogli sotto il naso un foglietto.

- Non ho frugato, ma l’ho trovato tra le pagine del vocabolario. Peggio per te, se lasci in giro la tua robaccia. Non ti piace la mia canzone? Eppure è tanto carina.

- Te la insegno io una canzone che non ti piacerà per niente se non mi rendi ciò che è mio!

- Vieni a prenderla, se ce la fai! – e Josie scomparve nello studio per terminare la disputa senza conseguenze poiché la madre stava già esclamando: – Ragazzi, non litigate!

Prima che Demi entrasse, il foglio era già nel fuoco e lui si calmò subito, vedendo che il pomo della discordia era ormai eliminato.

- Sono contento che tu l’abbia bruciato non me ne importava molto… erano pochi versi che cercavo di musicare per una delle ragazze. Però ti avverto di lasciar stare le mie carte, altrimenti ritiro il consiglio che stasera ho dato alla mamma, e cioè di lasciarti recitare quanto vorrai.

A questa grave minaccia, Josie si calmò subito e con la voce

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più carezzevole lo pregò di riferirle quello che aveva detto. Per non tenerla sui carboni ardenti, glielo disse e quella mossa diplomatica gli assicurò un’alleata su due piedi.

- Come sei caro! Non ti stuzzicherò più anche se farai il sentimentale giorno e notte. Se starai dalla mia parte, io starò dalla tua e non dirò mai una parola. Guarda, ho un bigliettino di Alice. Non può essere un’offerta di pace che calmi la tua vita?

Gli occhi di Demi scintillarono, vedendo Josie che teneva in mano un foglietto spiegazzato, ma sapendo cosa poteva esserci scritto, smontò la sua curiosità e la riempì di stupore dicendo con noncuranza: – Non ha importanza, è solo per dirmi se verrà con noi al concerto domani sera. Puoi leggerlo se vuoi.

Con lo spirito di contraddizione proprio del suo sesso, Josie smise di essere curiosa nel momento stesso in cui le si diceva di leggere pure e docilmente glielo porse; osservò però con attenzione Demi leggere le poche righe che vi erano scritte e gettarle nel fuoco.

- Come, Demi, pensavo che conservassi ogni piccola cosa sfiorata dalla «fanciulla più di ogni altra dolce»! Non ti importa di lei?

- Mi interessa molto, come a tutti noi, del resto, ma vivere sulla luna e fare il cascamorto non è nel mio stile. Mia cara, le tue commedie ti rendono romantica, e siccome Alice ed io facciamo talvolta gli innamorati sulla scena, ti sei messa in testa che lo siamo davvero. Non perdere tempo a cercare cose inesistenti, ma bada ai tuoi affari e lasciami ai miei. Ti perdono, ma non rifarlo: denota cattivo gusto e ricordati che le regine della tragedia non fanno tanto rumore per nulla.

Quest’ultimo attacco stese completamente Josie. Gli chiese umilmente perdono e se ne andò a letto, subito seguita da Demi che era ormai convinto di aver sistemato non solo se stesso, ma anche la sua sorellina troppo curiosa. Ma se avesse visto la sua faccia non appena ebbe sentito i primi lamenti di flauto, non si sarebbe sentito tanto sicuro; infatti Josie aveva un’espressione astuta come una volpe, mentre con una smorfia beffarda diceva: «Non me la fai: so che Dick sta facendo la serenata alla sua Sophie Wackles».

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Capitolo undicesimo Il giorno del ringraziamento di Emil La «Brenda» filava con le vele spiegate ad afferrare il vento

che si era alzato e tutti si rallegravano che il loro lungo viaggio stesse volgendo al termine.

- Ancora quattro settimane, signora Hardy, e poi le offriremo un tè come non ne ha mai bevuto prima, – disse l’ufficiale in seconda Hoffmann, fermandosi di fianco a due signore che sedevano in un angolo riparato del ponte.

- Sarò felice di accettarlo e ancora più felice di mettere piede sulla terra ferma, – rispose la signora più anziana sorridendo al nostro amico Emil che era il suo preferito, visto che si dedicava alla moglie e alla figlia del capitano, gli unici passeggeri a bordo.

- Anch’io sarò contenta, anche se dovrò mettermi due scarpe grandi come delle giunche cinesi. Ho passeggiato così tanto su e giù per il ponte che mi ritroverò scalza se non arriviamo al più presto, – disse ridendo Mary, la figlia del capitano, mostrando due stivaletti logori al compagno delle sue passeggiate, ricordando con gratitudine quanto lui gliele avesse rese piacevoli.

- Penso che in Cina non ce ne siano di abbastanza piccole, – rispose Emil con la galanteria propria dei marinai, ripromettendosi in cuor suo di scovare le più belle scarpine appena scesi a terra.

- Non so che altra ginnastica avresti potuto fare, cara, se il signor Hoffmann non ti avesse fatto passeggiare ogni giorno. Questa vita oziosa fa male ai giovani, benché si addica molto a una vecchia come me… almeno quando il mare è calmo. Crede che avremo burrasca? – soggiunse la signora Hardy con uno sguardo ansioso a occidente, dove il sole tramontava, infiammando il cielo.

- Solo una folata di vento, signora, quel tanto per mandarci avanti più in fretta, – rispose Emil con un’occhiata esperta di qua e di là.

- Canti, per favore, signor Hoffmann; è così bello sentire un po’ di musica a quest’ora. Ne sentiremo la mancanza, quando saremo a terra, – disse Mary con un tono persuasivo che

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avrebbe fatto cantare anche uno squalo, se mai fosse stato possibile.

Durante gli ultimi mesi Emil aveva benedetto questo suo dono, perché rallegrava le lunghe giornate e faceva dell’ora del tramonto la più deliziosa, vento e tempo permettendo. Perciò si schiari la voce, e appoggiandosi alla murata vicino alla ragazza, guardò i riccioli bruni mossi dal vento, cantando la sua canzone preferita:

Datemi, compagni, una brezza fresca, una bianca e gonfia vela, una nave che tagli le onde infuriate e sfidi qualsiasi tempesta. Quale vita è come quella del marinaio, così libera, spavalda ed eroica? La sua casa è il vasto oceano, la sua tomba un letto di corallo. Le ultime note di quella voce chiara e forte si erano appena

spente nell’aria, quando la signora Hardy esclamò improvvisamente: – Che succede?

Lo sguardo pronto di Emil vide subito la nuvoletta di fumo che usciva da un boccaporto dove non avrebbe dovuto esserci fumo e il suo cuore sembrò fermarsi per un attimo mentre la terribile parola «fuoco» lo fulminava. Si dominò e si allontanò, dicendo con calma: – Non è permesso fumare là dentro, vado a farlo smettere, – ma appena fu fuori di vista, il suo viso cambiò d’espressione e s’infilò nel boccaporto pensando con una smorfia: «Se la nave prende fuoco, non mi meraviglierei di finire in un letto di corallo…»

Spari per alcuni minuti e, quando risalì, mezzo asfissiato dal fumo, era bianco come può esserlo un uomo abbronzato, ma calmo e padrone di sé quando andò a fare rapporto al capitano.

- Fuoco nella stiva, capitano. - Non spaventate le donne! – fu il primo ordine del

comandante Hardy; poi entrambi tentarono di scoprire quanto fosse esteso l’incendio e di spegnerlo se fosse stato possibile.

Il carico della «Brenda» era di natura infiammabile e, nonostante i torrenti d’acqua versati nella stiva, fu presto

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evidente che la nave era perduta. Ben presto il fumo cominciò a filtrare ovunque fra le tavole, e il vento che si alzava fece divampare le fiamme che sbucavano qua e là rendendo visibile una realtà troppo difficile da nascondere. La signora Hardy e Mary ressero la notizia con grande coraggio, quando fu detto loro di tenersi pronte ad abbandonare la nave al primo cenno. Le scialuppe furono preparate in tutta fretta e gli uomini lavorarono instancabilmente a turare ogni falla da cui il fuoco sarebbe potuto uscire. Ben presto la povera «Brenda» fu una fornace galleggiante e l’ordine «Scialuppe a mare» fu lanciato per tutti. Naturalmente prima furono messe in salvo le donne e fu una fortuna che, essendo una nave mercantile, non ci fossero altri passeggeri a bordo, così non ci furono scene di panico e una dopo l’altra le scialuppe si allontanarono. Quella in cui erano le donne si tenne abbastanza vicina perché il capitano sarebbe stato l’ultimo ad abbandonare la nave.

Emil gli rimase accanto finché ebbe l’ordine di allontanarsi, e obbedì a malincuore, ma fu un bene che se ne andasse, perché aveva appena raggiunto la scialuppa che dondolava in basso, avvolta in una nuvola di fumo, quando uno degli alberi, minato dal fuoco che divampava nelle viscere della nave cadde con uno schianto, buttando il capitano Hardy fuori bordo. La scialuppa lo raggiunse mentre galleggiava lontano dal relitto ed Emil si buttò in mare per salvarlo perché era ferito e privo di sensi. In seguito a questo incidente fu necessario che il giovane assumesse il comando e ordinò subito agli uomini di allontanarsi a tutta forza perché si sarebbe potuta verificare un’esplosione da un momento all’altro.

Gli altri battelli erano già fuori pericolo, ma tutti indugiavano per osservare il terribile eppur splendido spettacolo della nave che bruciava in quel mare immenso, tingendo di rosso la notte e gettando un lugubre bagliore sull’acqua, su cui galleggiavano le fragili imbarcazioni piene di facce pallide, rivolte, per un ultimo sguardo, verso la «Brenda» che si inabissava lentamente nella sua tomba d’acqua. Tuttavia nessuno ne vide la fine, perché il vento spinse lontano gli osservatori e li separò; alcuni non si sarebbero mai più incontrati, fino al giorno in cui il mare avrebbe restituito i suoi morti.

La scialuppa di cui seguiremo le fortune era sola quando

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spuntò l’alba, mostrando a questi superstiti tutta la pericolosità della loro situazione. Erano sì state imbarcate, ma era evidente che quelle scorte di cibo, acqua e provviste non potevano durare a lungo con un uomo gravemente ferito a bordo, due donne e sette marinai e che c’era urgente bisogno di aiuto. La loro unica speranza era incontrare una nave, benché la bufera che aveva imperversato tutta la notte, li avesse trascinati via dalla loro rotta. Tuttavia si aggrapparono tutti a questa speranza e passarono la giornata scrutando l’orizzonte e confortandosi l’un l’altro con profezie di un pronto salvataggio.

L’ufficiale in seconda Hoffmann fu molto coraggioso ed utile benché quell’inaspettata responsabilità pesasse assai sulle sue spalle. Le condizioni del comandante sembravano disperate e il dolore della moglie gli straziava il cuore, e la cieca fiducia della ragazza nelle sue capacità di salvarli fece sì che capisse che nessun segnale di dubbio o di paura doveva diminuirla. Per il momento gli uomini facevano il loro dovere, ma Emil sapeva che il suo compito sarebbe potuto diventare davvero molto arduo, se la fame o la disperazione li avessero resi dei bruti. Perciò prese il coraggio a due mani, si diede un contegno forte e virile e parlò con tanta serena fiducia delle loro possibilità di salvezza che tutti si rivolsero istintivamente a lui per aiuto e conforto.

Il primo giorno e la prima notte passarono relativamente bene, ma al terzo la situazione sembrò più cupa e la speranza cominciò ad affievolirsi. Il ferito delirava, la moglie era disfatta dall’angoscia e dall’incertezza e la fanciulla indebolita dalla mancanza di cibo, poiché aveva ceduto metà della sua razione di biscotti alla madre e la sua razione d’acqua per bagnare le labbra febbricitanti del padre. I marinai avevano smesso di remare e stavano torvi ai banchi, rimproverando apertamente il capitano di non aver seguito i loro consigli, altri chiedendo ancora cibo, tutti sul punto di diventare pericolosi, poiché i patimenti e le privazioni portavano alla luce i loro peggiori istinti. Emil fece del suo meglio, ma un essere umano poteva fare poco in quella situazione, e alla fine non potè che distogliere lo sguardo smarrito da quel cielo implacabile che non mandava una sola goccia d’acqua a placare la loro sete, dal

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mare sconfinato su cui nessuna vela appariva a consolare i loro occhi speranzosi. Per tutto il giorno cercò di consolare e incoraggiare i compagni, mentre la fame lo consumava, la sete lo tormentava e la paura incalzante gli pesava sul cuore. Raccontò delle storie agli uomini, li scongiurò di sopportare coraggiosamente per rispetto alle donne, promise ricompense se avessero remato fino al limite delle loro forze, per ritrovare, il più approssimativamente possibile, la rotta e aumentare così le probabilità di essere salvati. Con una vela creò un riparo per l’ammalato e si prese cura di lui come di un figlio, confortò la moglie, e cercò di distrarre la fanciulla, cantandole tutte le canzoni che sapeva, narrandole le sue avventure per terra e per mare finché la vide sorridere, sicura che tutto sarebbe finito per il meglio.

Venne anche il quarto giorno e le scorte di viveri erano quasi esaurite. Emil propose di conservarle per l’ammalato e le donne, ma due degli uomini si ribellarono esigendo la loro razione. Lui allora diede il buon esempio, rinunciando alla propria e molti buoni compagni lo seguirono con quel calmo eroismo che è delle nature rozze, ma virili. Questo fece vergognare gli altri e per un altro giorno in quel piccolo mondo di sofferenza e tensione regnò una pace beneaugurante. Ma durante la notte, mentre Emil, disfatto dalla stanchezza, lasciava la guardia al suo marinaio più fidato per prendersi un po’ di riposo, i due ribelli andarono al deposito delle provviste e rubarono il poco pane e l’acqua rimasta, oltre all’unica bottiglia di cognac che veniva conservata gelosamente per sostenere le loro forze e per rendere potabile l’acqua salmastra. Pazzi di sete bevvero avidamente e al mattino uno dei due cadde in un torpore dal quale non si risvegliò più; l’altro era così eccitato dal forte liquore, che quando Emil tentò di calmarlo, saltò dall’imbarcazione e fu perduto. Terrorizzati da quella scena, da quel momento in poi gli altri si placarono e la barca continuò ad avanzare col suo triste carico di anime e di corpi sofferenti.

Ma essi dovettero affrontare un’altra prova che li rese ancor più disperati di prima. Apparve una vela all’orizzonte e, per qualche tempo, prevalse una gioia delirante che si mutò nella più nera disperazione quando passò oltre, troppo lontana per scorgere i segnali che le venivano fatti o per udire le frenetiche

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grida d’aiuto che risuonavano per il mare. Allora anche Emil si perdette d’animo, poiché sembrava proprio che il capitano stesse per morire e che le donne non potessero resistere oltre. Resistette fino al calare della notte, poi nell’oscurità, e nel silenzio rotto solo dai lamenti flebili dell’ammalato, dalle preghiere mormorate della povera moglie, dall’incessante sciacquio delle onde, Emil nascose il volto tra le mani e visse un’ora di silenziosa agonia, che lo invecchiò più di quanto avrebbero potuto fare lunghi anni di felicità. Non era la sofferenza fisica che lo tormentava, nonostante la fame e la debolezza lo torturassero, ma la sua spaventosa impotenza a vincere il destino avverso che sembrava incombere su di loro. Non si preoccupava degli uomini perché questi pericoli facevano parte della vita che si erano scelti, ma del comandante a cui voleva bene, della cara signora che era stata tanto gentile con lui e della dolce ragazza che con la sua presenza aveva reso piacevole a tutti il lungo viaggio. Se solo avesse potuto salvare quelle creature care ed innocenti da quella morte crudele, avrebbe sacrificato volentieri la sua vita per loro.

Mentre stava seduto con la testa tra le mani, affranto dalla prima grande prova della sua giovane vita, con il cielo senza stelle sopra la sua testa, il mare agitato sotto i suoi piedi, e intorno a lui una sofferenza per cui non poteva far nulla, un suono melodioso ruppe il silenzio e lui l’ascoltò come in sogno. Era Mary che cantava a sua madre, che stava singhiozzando nelle sue braccia sfinita dalla lunga angoscia. Era una voce debole e rotta, perché le labbra della povera fanciulla erano arse dalla sete, ma il cuore pieno d’amore in quell’ora di disperazione, si rivolgeva istintivamente al grande Consolatore e Lui ascoltò il suo debole lamento. Era un vecchio e dolce inno spesso cantato anche a Plumfield e, ascoltandolo, il suo passato felice tornò così vivamente alla memoria di Emil che dimenticò l’amarezza del presente e gli parve di essere di nuovo a casa. Gli sembrava ieri che aveva parlato con la zia Jo sul terrazzo e con un sussurro di rimorso, pensò: «Il filo rosso! Devo ricordarmelo e compiere il mio dovere fino all’ultimo. Dritto alla meta, ragazzo, e se non potrai toccare il porto, inabissati con tutte le vele spiegate!»

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Allora mentre la dolce voce cantava per cullare la stanca donna nel suo sonno irregolare, Emil per un istante dimenticò il suo fardello, sognando Plumfield. Li vide tutti, risentì le voci familiari, sentì la stretta delle mani affettuose che gli davano il benvenuto e disse tra sé: «Non devono vergognarsi di me se non li rivedrò mai più».

Un grido improvviso lo riscosse dal suo sogno e una goccia d’acqua sulla fronte gli fece capire che la pioggia benedetta finalmente era arrivata portando con sé la salvezza; poiché la sete è peggiore da sopportare della fame, del caldo e del freddo. Salutata l’acqua con grida di gioia, tutti protesero le labbra riarse e le mani, stesero le vesti per raccogliere le grosse gocce che presto caddero a rovesci dal cielo a mitigare la febbre dell’ammalato, a calmare il tormento della sete e a rinfrescare ogni corpo stanco della scialuppa. Piovve tutta la notte, e tutta la notte quei derelitti godettero della salvifica pioggia e si rianimarono, come piante morenti ravvivate dalla rugiada mandata dal cielo. All’alba le nubi si squarciarono ed Emil si alzò meravigliosamente rinvigorito e rianimato da quelle ore di silenziosa gratitudine, perché il loro grido d’aiuto era stato ascoltato. Ma non era ancora finita lì, perché mentre il suo occhio scrutava l’orizzonte, chiare contro il cielo tinto di rosa si stagliarono le bianche vele di una nave, così vicina, che essi poterono distinguere il pennone dell’albero maestro e le nere figure che si muovevano sul ponte.

Un solo grido proruppe dalle gole strozzate e risuonò sul mare, mentre gli uomini sventolavano il cappello o il fazzoletto e le donne stendevano le mani imploranti verso quel bianco angelo della salvezza che veniva verso di loro, come se il fresco vento gonfiasse tutte le vele per affrettarne il cammino.

Non furono delusi questa volta: segnali di risposta li rassicurarono che l’aiuto sarebbe arrivato e, nella commozione di quell’istante, le due donne felici si aggrapparono al collo di Emil, ringraziandolo con lacrime e benedizioni traboccanti dal loro cuore. Lui confessò poi che il momento in cui fu più orgoglioso di sé fu quando tenne Mary tra le braccia, la coraggiosa fanciulla che aveva resistito così a lungo, si accasciò e si aggrappò a lui quasi svenuta, mentre la madre si affannava attorno al malato che pareva sentire l’allegra

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confusione e alzò la voce per dare un ordine, come se fosse ancora sul ponte della nave perduta.

Ben presto tutto finì, e tutti si trovarono sani e salvi a bordo dell’«Urania» diretti a casa. Emil vide i suoi amici in buone mani, i suoi uomini tra i compagni, raccontò la storia del naufragio prima di pensare a sé. Il buon odore della minestra che avevano portato in cabina alle signore gli ricordò che moriva di fame e un improvviso capogiro tradì la sua debolezza. Fu subito portato via e ricoperto di gentilezze, e dopo aver ricevuto cibo e abiti fu lasciato a riposarsi. Mentre il medico lasciava la cabina, chiese con un tono strozzato: – Che giorno è oggi? Sono così confuso che ho perso la nozione del tempo.

- È il Giorno del Ringraziamento, amico! E le offriremo un classico pranzo del New England, se potrà farvi onore, -rispose il medico cordialmente.

Ma Emil era troppo sfinito per far altro che non fosse starsene tranquillo e ringraziare Dio con più fervore e gratitudine che mai, per il dolce dono della vita, che ora gli pareva più preziosa perché in essa c’era ora il senso del dovere fedelmente compiuto.

Capitolo dodicesimo Il Natale di Dan Dov’era Dan? In prigione. Povera signora Jo! Quanto

avrebbe sofferto il suo cuore se avesse saputo che mentre la vecchia Plum splendeva nella letizia del Natale, il suo ragazzo se ne stava solo in una cella, cercando di leggere il libricino che lei gli aveva dato. Con gli occhi velati di tanto in tanto da calde lacrime che nessuna sofferenza fisica era mai riuscita a strappargli, e il cuore pieno di accorata nostalgia per tutto quello che aveva perso.

Proprio così: Dan era in prigione, ma nessun grido d’aiuto sarebbe venuto da lui, mentre sopportava la terribile situazione in cui si trovava. Con la muta disperazione di un indiano al supplizio, perché il suo peccato di cuore l’aveva trascinato lì: questa fu l’amara lezione che avrebbe domato il suo spirito ribelle e gli avrebbe insegnato il controllo di sé

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stesso. La storia della sua caduta è presto detta. Avvenne, come

accade spesso, proprio mentre si sentiva insolitamente pieno di speranze, di buoni propositi e di sogni di una vita migliore. Durante il viaggio aveva incontrato un simpatico giovane per cui provò subito una naturale simpatia, un certo Blair che andava a raggiungere i fratelli maggiori in una fattoria nel Kansas. Nel vagone fumatori si giocava a carte e il ragazzo, che aveva a malapena vent’anni, annoiato dal lungo viaggio, ingannava il tempo con compagni occasionali, pieni di vivacità ed un po’ esaltati dalla libertà dell’Ovest. Dan, fedele alla sua promessa, non si unì a loro, ma osservava con grande interesse le partite che si susseguivano; ben presto si accorse che due di quei compari erano bari intenzionati a spennare il ragazzo, che con molta imprudenza aveva ostentato un portafoglio ben fornito. Dan aveva un debole per i tipi più giovani e sprovveduti che incontrava sulla sua strada, e qualcosa di quel ragazzo gli ricordava Teddy, perciò lo tenne d’occhio e lo mise in guardia contro i suoi nuovi amici.

Naturalmente non fu ascoltato e, quando si fermarono per la notte in una grande città, Dan perdette di vista il ragazzo all’albergo, dove l’aveva portato per tenerlo al sicuro. Avendo saputo chi era venuto a prenderlo lo andò a cercare, dandosi del pazzo per la pena che si prendeva e, tuttavia, incapace di abbandonare quel giovane fiducioso in balia dei pericoli che lo circondavano.

Lo trovò che giocava in un locale di infimo ordine con quegli uomini ben decisi a carpirgli il denaro. Dall’espressione di sollievo che comparve sul volto di Blair quando lo vide, Dan capì, senza bisogno di parlare, che le cose andavano male per lui e si era accorto troppo tardi del pericolo.

- Non posso ancora lasciare il tavolo perché ho perso denaro non mio, e devo riguadagnarlo, altrimenti non oserò guardare in faccia i miei fratelli, – gli sussurrò il povero ragazzo, quando Dan lo pregò di andarsene subito. La vergogna e la paura lo rendevano disperato, tuttavia continuava a giocare, sicuro di poter riconquistare il denaro che gli era stato affidato. Vedendo l’espressione risoluta di Dan, il suo sguardo acuto e la sua aria da uomo esperto, gli altri divennero prudenti,

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giocarono onestamente e lasciarono che il ragazzo vincesse qualcosa; ma non avevano nessuna intenzione di rinunciare alla loro preda e, vedendo che Dan stava alle spalle di Blair come una sentinella, si scambiarono uno sguardo d’intesa che voleva dire «Dobbiamo sbarazzarci di costui».

Dan se ne accorse e si mise in guardia, perché lui e Blair erano stranieri, e in simili posti si possono commettere facilmente crimini senza che nessuno venga a saperlo. Tuttavia non volle abbandonare il ragazzo e continuò a osservare attentamente ogni carta, finché scoprì che baravano e lo disse apertamente. Volarono parole grosse e l’indignazione di Dan superò qualsiasi prudenza. Alla fine, quando uno dei due bari si rifiutò di restituire il bottino insultandolo ed estraendo la pistola, il temperamento impetuoso di Dan esplose e stese l’uomo con un pugno tremendo, che prima gli fece sbattere la testa contro una stufa e poi rotolare privo di sensi e sanguinante sul pavimento. Ne seguì una scena selvaggia, ma Dan, in mezzo al trambusto, sussurrò al ragazzo: «Dattela a gambe e non dire una parola. Non ti preoccupare per me».

Terrorizzato e sconvolto, Blair abbandonò subito la città lasciando Dan a trascorrere quella notte in camera di sicurezza e, pochi giorni dopo, ad affrontare il tribunale, accusato di omicidio colposo, poiché l’uomo era morto. Dan non aveva amici, e così, dopo aver narrato brevemente il fatto, tacque, ansioso di non mettere a conoscenza di una così triste notizia i suoi cari amici. Tenne nascosto persino il suo vero nome, dando quello di David Kent, come aveva fatto già altre volte in situazioni d’emergenza. Tutto si concluse rapidamente e siccome c’erano le attenuanti, fu condannato a un anno di prigione ai lavori forzati.

Sbalordito dalla rapidità con cui era avvenuto quell’orribile cambiamento nella sua vita, Dan non se ne rese conto esattamente fin quando la porta di ferro della prigione non si richiuse dietro di lui e si sedette solo in una cella stretta, gelida e silenziosa come una tomba. Lui sapeva che sarebbe bastata una parola e il signor Laurie sarebbe venuto a portargli aiuto e conforto; ma non poteva sopportare l’idea di narrare la sua sciagura, né di vedere il dolore e la vergogna che essa avrebbe

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causato agli amici che avevano riposto in lui tante speranze. - No, – disse stringendo i pugni, – preferisco che mi credano

morto. E morirò, se dovrò star qui a lungo. Poi balzò in piedi, andando su e giù per la cella come un leone

in gabbia, con un tumulto di rabbia e di dolore, di ribellione, di rimorso, che gli ribolliva nel cuore e dentro la testa, finché sentì che sarebbe impazzito e avrebbe sbattuto contro le mura che gli precludevano la libertà che, per lui, era la vita. Per parecchi giorni soffrì orribilmente; poi, sfinito, sprofondò in una cupa malinconia, che a vedersi era ancora più triste dell’agitazione.

Il custode della prigione era un uomo rozzo che era odiato da tutti per le sue gratuite crudeltà, ma il cappellano era pieno di compassione e assolveva il suo difficile compito con fede e bontà. Si adoperò molto per il povero Dan, ma questi pareva insensibile e fu quindi costretto ad aspettare che il lavoro calmasse i nervi scossi e la prigionia domasse quello spirito orgoglioso che soffriva, ma non si lamentava.

Dan fu messo al reparto spazzole e, sentendo che l’attività era la sua unica salvezza, lavorò con una energia febbrile che presto guadagnò l’approvazione del capo e l’invidia dei compagni meno abili. Giorno dopo giorno si sedette al suo tavolo, guardato da un sorvegliante armato; proibita ogni parola non strettamente necessaria, nessun rapporto con gli uomini accanto a lui, nessun spostamento se non dalla cella all’officina, nessun esercizio fisico all’infuori delle lugubri marce avanti e indietro, la mano sulla spalla del compagno davanti, tenendo il passo col triste scalpiccio così diverso dalla dinamica marcia dei soldati. Silenzioso, cupo e smagrito, Dan compiva il suo lavoro quotidiano, mangiava il suo pane amaro e obbediva agli ordini, con un lampo di ribellione negli occhi che faceva dire al suo guardiano: «Questo è un soggetto pericoloso. Bisogna tenerlo d’occhio perché un giorno o l’altro scapperà».

C’erano individui molto più pericolosi di lui, perché abituati al crimine e pronti a qualsiasi tentativo disperato che interrompesse la monotonia delle loro lunghe condanne. Questi uomini indovinarono presto l’umore di Dan e, nel modo misterioso che inventano i galeotti, riuscirono ad informarlo,

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prima che fosse passato un mese, che si stavano facendo progetti d’ammutinamento, appena si fosse presentata la prima occasione favorevole. Il «Giorno del Ringraziamento» era una delle poche occasioni per parlarsi, mentre godevano di un’ora di libertà nel cortile della prigione. Quel giorno tutto sarebbe stato pianificato e, se possibile, si sarebbe messo in pratica il temerario tentativo che sarebbe finito per la maggior parte di loro con uno spargimento di sangue e una disfatta, ma, per alcuni, con la libertà. Dan aveva già progettato un suo piano di fuga e aspettava il momento giusto. E intanto si faceva sempre più cupo, fiero e ribelle perché la perdita della libertà gli consumava corpo e anima. Quell’improvviso cambiamento dalla vita sana e libera ad un’altra così ristretta, tetra e miserabile, non poteva non avere un effetto devastante su un individuo del temperamento e dell’età di Dan. Meditava sulla sua vita distrutta, rinunciava a tutti i suoi progetti e alle sue belle speranze, sentiva che non sarebbe più stato capace di farsi vedere alla cara vecchia Plumfield, che non avrebbe più potuto stringere quelle mani amiche con le sue macchiate di sangue. Non pensava al disgraziato che aveva ucciso, perché riteneva che fosse meglio che una vita simile si fosse conclusa, ma l’infamia della prigione non sarebbe mai stata spazzata via dalla sua memoria, anche quando i capelli rasati fossero ricresciuti, si fosse tolto la grigia casacca e lasciato alle spalle le sbarre e i chiavistelli della prigione.

«Tutto è finito per me; ho rovinato la mia vita, lasciamo che vada come vada. Rinuncio a lottare, mi prenderò tutti i piaceri ovunque e in qualsiasi modo. Mi crederanno morto e così penseranno ancora a me ma non sapranno mai cosa sono diventato. Povera mamma Bhaer! Ha cercato di aiutarmi ma è stato inutile; il suo “selvaggio” non può essere salvato».

E, lasciando scivolare la testa tra le mani, Dan, seduto nel suo letto basso, rimpiangeva con un pianto senza lacrime tutto quello che aveva perso, finché il sonno pietoso non veniva a confortarlo coi sogni dei giorni felici, quando i ragazzi giocavano assieme, o di quelli più recenti e ancor più felici quando tutti gli sorridevano e Plumfield sembrava avere acquistato per lui un nuovo e strano fascino.

C’era nel reparto di Dan un povero infelice il cui destino era

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molto più duro del suo, poiché la sua condanna finiva quella primavera ma c’erano poche speranze che arrivasse vivo a quel giorno. Anche il cuore più spietato aveva compassione del povero Mason, a cui la tosse consumava la vita, là chiuso in quel cupo laboratorio, contando i tristi giorni che ancora dovevano trascorrere prima di poter rivedere la moglie e la figlioletta. C’era la speranza che il resto della pena gli venisse condonato, ma non aveva amici che si dessero da fare per il suo caso, ed era evidente che il perdono del Giudice Supremo avrebbe presto posto termine per sempre al suo paziente dolore.

Dan provava per lui più compassione di quanta ne volesse mostrare e quest’unico tenero sentimento in quel periodo buio era come il fiorellino che sbocciava tra le pietre del cortile della prigione e salvava il recluso dalla disperazione, come si racconta in una bella e vecchia storia. Dan aiutava Mason nel lavoro quando era troppo debole per finire la sua parte, e lo sguardo di gratitudine con cui lo ringraziava era un raggio di sole che illuminava la cella quando si sentiva solo. Mason invidiava la salute di ferro del suo vicino e si addolorava di vedergliela sciupare là dentro. Era un’anima mite e tentava, per quanto potessero fare una parola sussurrata o uno sguardo ammonitore, di distoglierlo dall’unirsi alla «combriccola» dei ribelli. Ma, avendo voltato le spalle alla luce, Dan trovava che scendere la china pericolosa era più facile e provava un’aspra soddisfazione alla prospettiva di una sommossa generale, durante la quale avrebbe potuto vendicarsi del crudele guardiano e trovare la via della libertà, sentendo che un’ora d’insurrezione sarebbe stato un ottimo sfogo alle passioni che lo tormentavano. Aveva domato molte bestie selvagge, ma domare il suo spirito ribelle era troppo per lui, finché trovò il modo per tornare padrone di sé.

La domenica prima del Giorno del Ringraziamento Dan sedeva in cappella ed osservava i diversi ospiti nei posti riservati a loro e guardava ansiosamente se vi fossero volti familiari, poiché aveva il sacro terrore di trovarsi improvvisamente faccia a faccia con qualcuno di casa. No, erano tutti visi estranei e si dimenticò presto di loro, ascoltando le parole consolatrici del cappellano e il triste canto

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dei molti cuori oppressi. Spesso i visitatori parlavano ai galeotti, quindi non ci si meravigliò che, invitata a rivolgere loro la parola, una delle signore si alzasse dicendo che avrebbe raccontato una breve storia; tale annuncio fece sì che le orecchie degli ascoltatori più giovani si rizzassero e che l’interesse dei più anziani si risvegliasse poiché qualunque cambiamento nella loro monotona vita era sempre il benvenuto.

L’oratrice era una donna di mezza età, vestita di nero, con un viso compassionevole e una voce che sembrava riscaldare il cuore con il suo tono materno. A Dan ricordò la signora Jo e ascoltò attentamente ogni parola, sentendo che ognuna di esse era diretta a lui, perché, come per caso, arrivavano in quel momento in cui aveva bisogno di un dolce ricordo capace di sciogliere il gelo di disperazione che stava distruggendo tutti i buoni impulsi della sua natura.

Era una storia semplicissima, ma attirò immediatamente l’attenzione dell’uditorio, narrando di due soldati ricoverati in un ospedale durante l’ultima guerra, entrambi gravemente feriti al braccio destro, entrambi desiderosi di salvare l’arto e tornare a casa tutti interi. Uno era paziente e docile e obbediva serenamente persino quando gli dissero che il braccio doveva essere amputato. Si sottomise all’operazione e dopo molte sofferenze guarì, grato per la vita salvatagli, sebbene ormai non potesse più combattere. L’altro si ribellò, non volle ascoltare consigli, e avendo aspettato troppo a lungo, morì di una morte lenta, rimpiangendo amaramente la propria follia, quando ormai era troppo tardi. «Ora siccome tutte le storie dovrebbero avere una morale, lasciate che vi dica la mia», aggiunse sorridendo la signora mentre osservava le file di uomini giovani davanti a lei, e si chiedeva tristemente cosa li avesse condotti lì.

- Questo è un ospedale di soldati feriti nella battaglia della vita; vi sono anime malate, volontà deboli, passioni insane, coscienze ottenebrate, tutti mali che derivano dall’aver infranto le leggi e che portano con loro l’inevitabile dolore e la punizione. C’è speranza di aiuto per tutti, poiché la misericordia di Dio è infinita e la carità umana è grande, ma prima che la cura sia possibile ci vogliono sottomissione e

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penitenza. Scontate la vostra pena con fermezza, poiché essa è giusta, ma dalla sofferenza e dalla vergogna dovete ritrovare nuova forza per una vita migliore. Rimarrà la cicatrice, ma è meglio per l’uomo perdere entrambe le braccia che la sua anima; questi duri anni, invece di essere tempo perso, potranno diventare i più preziosi della vostra vita se vi avranno insegnato a comportarvi bene. Amici, cercate di dimenticare i tempi bui, di purificarvi dal peccato e di cominciare da capo. Se non volete farlo per voi, fatelo per amore delle vostre madri, delle vostre mogli, dei vostri figli che vi aspettano e sperano pazientemente in voi. Ricordatevi di loro e non lasciateli amare e sperare inutilmente. E se ci fosse qualcuno tra voi così sfortunato da non avere neppure un amico che si occupi di lui, non dimentichi il Padre le cui braccia sono sempre aperte per ricevere, perdonare e consolare i suoi figliol prodighi anche all’ultimo momento.

Qui finì il breve sermone, ma la predicatrice capì che le sue poche, cordiali parole non erano state pronunciate per niente, perché un ragazzo teneva la testa china e molti visi avevano quell’espressione raddolcita che rivela che qualche dolce ricordo era stato risvegliato. Dan fu costretto a mordersi le labbra perché non tremassero e ad abbassare gli occhi per nascondere l’improvvisa rugiada che li aveva velati, quando erano stati nominati «gli amici che aspettavano pieni di speranza». Fu contento, più tardi, di essere nuovamente solo nella sua cella e rimase seduto a pensare profondamente, invece di cercare di dimenticare sé stesso. Sembrava che quelle parole fossero proprio ciò di cui aveva bisogno per mostrargli dove stava e quanto i prossimi giorni avrebbero potuto essergli fatali. Si sarebbe unito alla «combriccola» e avrebbe forse aggiunto un altro crimine a quello già commesso, prolungando una pena che era già così terribile da sopportare? Avrebbe voltato deliberatamente le spalle a tutto ciò che era buono e rovinato irrimediabilmente il futuro che poteva ancora essere redento? O avrebbe dovuto sottomettersi, come il più saggio dei due soldati nella storia, sopportare la giusta punizione, cercando di diventare migliore? E anche se gli fosse rimasta la cicatrice, questa sarebbe servita come monito di una battaglia non completamente persa, visto che aveva

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salvato l’anima anche se non più pura come una volta? Allora forse avrebbe osato di nuovo presentarsi a casa, confessare la sua colpa e trovare così nuova forza nella pietà e nella comprensione di coloro che non l’avevano mai abbandonato.

Quella notte il bene e il male combatterono per avere la meglio su Dan, come avevano fatto per Sintram l’angelo e il demonio, ed era difficile dire se avrebbe vinto la sua natura sregolata o il suo buon cuore. Rimorsi e rancore, vergogna e angoscia, orgoglio e passione fecero di quella stretta cella un campo di battaglia, e al povero ragazzo sembrò di avere nemici molto più feroci da combattere di qualsiasi altro che avesse incontrato nei suoi vagabondaggi. Un piccolo episodio fece pendere la bilancia, come spesso avviene in questi nostri cuori misteriosi, e un po’ di solidarietà aiutò Dan a scegliere il corso della vita che l’avrebbe salvato o dannato.

Nell’ora buia prima dell’alba, mentre giaceva ancora sveglio sul letto, un raggio di luce brillò attraverso le sbarre, i chiavistelli girarono dolcemente e un uomo entrò. Era il buon cappellano, guidato dal medesimo istinto che guida la madre al capezzale del figlio malato; la sua lunga esperienza di curatore di anime gli aveva infatti insegnato a leggere i segni della speranza sulle dure facce attorno a lui e a capire quando era venuto il momento per dire una parola d’aiuto, porgere il balsamo della preghiera sincera che arreca conforto e salvezza ai cuori stanchi e travagliati. Già in precedenza era stato da Dan in orari inaspettati, ma l’aveva sempre trovato cupo, indifferente o ribelle e se n’era andato, deciso ad aspettare pazientemente l’occasione propizia. Ora questa era arrivata: il prigioniero aveva un’espressione di sollievo sul viso quando la luce lo illuminò e il suono di una voce umana fu di grande conforto dopo aver ascoltato il bisbigliare delle passioni, dei dubbi, dei timori che avevano regnato per ore nella sua cella, spaventandolo con la loro forza, e mostrandogli quanto avesse bisogno di aiuto per combattere la giusta battaglia, poiché era senza difesa.

- Kent, il povero Mason è morto. Ha lasciato un messaggio per te ed io ho sentito il bisogno impellente di venire a dartelo ora, perché penso che tu sia stato colpito da quanto hai sentito oggi e abbia bisogno dell’aiuto che Mason cercava di darti, –

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disse il cappellano, sedendosi sull’unica sedia e fissando il suo sguardo benevolo sulla figura sul letto.

- Grazie, padre, mi fa piacere sentirlo, – fu tutto ciò che Dan rispose, ma si dimenticò di sé stesso nella pietà per il povero compagno, morto in prigione senza aver potuto rivedere per l’ultima volta la moglie e la figlia.

- Mason è morto all’improvviso ma si è ricordato di te e mi ha pregato di dirti queste parole: «Gli dica di non fare quella cosa, ma di sopportare ancora, di fare del suo meglio, e, quando avrà scontato la condanna, di andare direttamente da Mary, che gli darà il benvenuto per amor mio. Lui non ha amici da queste parti e si sentirà solo, ma una donna è sempre amica e consolatrice, quando la fortuna volta le spalle a un uomo. Gli porti il mio saluto affettuoso perché lui è stato buono con me e Dio lo benedirà per questo». Poi è spirato tranquillamente e domani se ne tornerà a casa col perdono di Dio, perché quello degli uomini è arrivato troppo tardi.

Dan non disse nulla, ma si mise le mani sul viso e restò così, quasi immobile. Vedendo che il toccante messaggio aveva ottenuto un effetto ancora maggiore di quanto avesse sperato, il cappellano continuò a parlare, senza sapere quanto la sua voce paterna calmasse il povero prigioniero che desiderava ritornare a casa, ma sentiva di non averne più diritto.

- Spero non vorrai deludere questo umile amico, il cui ultimo pensiero è stato per te. So che c’è aria di ammutinamento, e temo che tu sia tentato di dare una mano dalla parte sbagliata. Non lo fare, perché il complotto non riuscirà, – non riescono mai – e sarebbe un peccato rovinare il tuo nome sul registro che qui è ancora intonso. Fatti coraggio, figliolo, e alla fine dell’anno uscirai migliore e non peggiore per questa dura esperienza. Ricordati che una donna piena di gratitudine t’attende per darti il benvenuto, se non hai amici tuoi, e se ce li hai, fai del tuo meglio per amor loro, e chiedi insieme a me che Dio ti dia quell’aiuto che Lui solo può dare.

Poi senza aspettare risposta, il buon cappellano pregò fervidamente e Dan l’ascoltò come non aveva mai fatto prima, poiché l’ora solitaria, il messaggio del morente e l’improvviso ridestarsi della sua parte migliore, gli fecero pensare che un angelo custode fosse venuto a salvarlo e a consolarlo.

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Dopo quella notte vi fu in Dan un gran cambiamento, benché nessuno ne sapesse nulla tranne il cappellano; per tutti gli altri rimase lo stesso individuo silenzioso, serio e poco socievole di prima, e voltando le spalle sia ai buoni che ai cattivi trovò il suo unico svago nei libri che il suo amico gli portava. Lentamente, come la goccia tenace corrode la pietra, così la gentilezza di quest’uomo si guadagnò la confidenza di Dan, e guidato da lui, cominciò a risalire dalla Valle dell’Umiliazione verso le alte vette, da dove, attraverso le nubi, si può intravedere la Città Celeste verso la quale tutti i veri pellegrini dirigono prima o poi i loro occhi ansiosi e i loro piedi incerti. Vi furono molti scivoloni e molte lotte col Gigante della Disperazione e col fiero Satana, molte ore dure in cui la vita non sembrava fosse degna di essere vissuta, e sembrava che l’unica speranza fosse la fine fatta da Mason. Ma, nonostante tutto, la stretta di una mano amica, il suono di una voce fraterna, il desiderio inestinguibile di espiare il passato con un futuro migliore e guadagnarsi il diritto di rivedere la propria casa, tennero avvinto il povero Dan al suo grande compito, mentre il vecchio anno volgeva alla fine e il nuovo aspettava di voltare un’altra pagina del libro di cui il giovane stava imparando ora la più dura lezione.

A Natale sentì una tale nostalgia della vecchia Plumfield, che studiò il modo di mandare degli auguri per rallegrare i cuori ansiosi dei suoi cari e confortare il suo. Scrisse a Mary Mason, che viveva in un altro Stato, pregandola di spedire la lettera che le accludeva. In essa diceva semplicemente che stava bene, aveva molto lavoro, aveva rinunciato alla fattoria e aveva altri progetti di cui avrebbe parlato più tardi; probabilmente non sarebbe potuto tornare a casa prima dell’autunno, né avrebbe potuto scrivere spesso, ma tutto andava bene ed inviava saluti e auguri di Buon Natale a tutti.

Poi riprese la sua vita solitaria, cercando di espiare virilmente la sua colpa.

Capitolo tredicesimo Il Capodanno di Nat – Non aspetto per ora di sentire qualcosa di Emil, Nat scrive

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regolarmente, ma dov’è finito Dan? Non ha mandato che due o tre cartoline, da quando è partito. Un ragazzo energico come lui dovrebbe aver comperato tutte le fattorie del Kansas a quest’ora! – disse una mattina la signora Jo quando arrivò la posta e nessuna lettera o pacco portava l’elegante scrittura di Dan.

- Sai che non scrive mai molto spesso, ma fa il suo dovere e poi torna a casa. I mesi e gli anni sembrano contare poco per lui e probabilmente sta facendo ricerche minerarie in qualche terra selvaggia, dimenticandosi del tempo che passa, – rispose il signor Bhaer, assorto nella lettura di una lunga lettera di Nat da Lipsia.

- Ma mi aveva promesso che mi avrebbe fatto sapere come andavano gli affari e Dan appena può mantiene le sue promesse. Temo che gli sia successo qualcosa, – e la signora Jo si confortò, accarezzando la testa di Don, che si era avvicinato sentendo il nome del suo padrone per guardarla con occhi quasi umani nella loro pensosa intelligenza.

- Non ti preoccupare, mammina cara, perché a lui non succede mai niente. Se la caverà benissimo e un giorno arriverà a casa tutto trionfante con una miniera d’oro in tasca e una prateria nell’altra, vivace come un grillo, – disse Ted, che non aveva nessuna fretta di riconsegnare Octoo al suo legittimo proprietario.

- Forse è andato nel Montana e ha rinunciato a fare l’agricoltore. Sembrava gli piacessero gli Indiani sopra ogni altra cosa, – e Rob si mise ad aiutare sua madre con la montagna di lettere, tentando di rassicurarla col suo ottimismo.

- Lo spero, perché sarebbe la cosa più adatta a lui. Ma sono sicura che ci avrebbe informato se avesse cambiato programma e ci avrebbe chiesto il denaro per cominciare il tutto. No, il mio sesto senso dice che c’è qualcosa che non va, – disse la signora Jo con un’aria solenne, come fosse il Fato in persona.

- Allora lo verremmo a sapere, le cattive notizie arrivano sempre in fretta. Non andarti a cercare altre preoccupazioni Jo, e senti piuttosto come sta andando bene Nat. Non avrei mai creduto che quel ragazzo s’interessasse d’altro che di musica.

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Il mio amico Baumgarten l’ha lanciato molto bene, e questo gli gioverà, se non perderà la testa. È un bravo ragazzo, ma inesperto del mondo e Lipsia è piena di tranelli per gli sprovveduti. Che Dio sia con lui!

Il professore lesse gli entusiastici resoconti di Nat su alcune riunioni letterarie e musicali a cui aveva partecipato, sugli splendori dell’opera, la gentilezza dei suoi nuovi amici, il piacere di studiare con un maestro come Bergmann, le speranze di un rapido guadagno e l’immensa gratitudine per coloro che gli avevano aperto quel mondo incantato.

- Questo almeno consola e dà delle soddisfazioni! Io sentivo, prima della sua partenza, che Nat aveva qualità insospettate: era più uomo, e così pieno di grandi progetti, – disse la signora Jo con tono soddisfatto.

- Vedremo. Senza dubbio avrà anche lui i suoi problemi, e grazie a questi migliorerà. Succede a tutti quando si è giovani, speriamo solo che non sia troppo dura per il nostro bravo ragazzo, – rispose il professore con un sorriso complice, ricordando la sua vita da studente in Germania.

Ed aveva ragione. Nat stava imparando la lezione della vita con una rapidità che avrebbe meravigliato i suoi amici a casa. La virilità dei modi, di cui tanto si rallegrava la signora Jo, si stava sviluppando in lui in maniera insospettata; il tranquillo Nat si era gettato a capofitto nei divertimenti più innocui della gaia città, con tutto l’ardore di un giovane inesperto che si accosta per la prima volta al piacere. La completa libertà e il suo senso d’indipendenza erano cose meravigliose e i molti benefici ricevuti dai Bhaer cominciavano a pesargli e desiderava davvero camminare con le proprie gambe e farsi strada. A Lipsia nessuno conosceva il suo passato e con un guardaroba ben fornito, un grosso conto in banca, col miglior maestro della città, si fece conoscere come un giovane musicista, presentato dal rispettabilissimo professor Bhaer e dal ricco signor Laurence, che aveva molti amici ben lieti di spalancare le porte delle loro case al suo protetto. Grazie a queste presentazioni, al suo tedesco fluente, ai suoi modi semplici e al suo innegabile talento, il giovane forestiero fu cordialmente accolto e lanciato subito in un circolo in cui molti giovani ambiziosi avevano lottato invano per entrarvi.

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Tutto ciò fece girare un po’ la testa a Nat. Mentre sedeva al teatro dell’opera sfarzosamente illuminato, conversava con eleganti signore; in qualche festicciola selezionata, dava il braccio alla graziosa figlia di qualche eminente professore, immaginandosi che fosse Daisy, spesso si domandava se quel giovane brillante potesse essere il povero suonatore ambulante che una volta aveva aspettato sotto la pioggia davanti ai cancelli di Plumfield. Nat aveva un cuore sincero, pieno di buone intenzioni e una grande ambizione, ma in quell’ambiente venne fuori il lato più debole della sua natura: la vanità lo sviò, il piacere lo intossicò e per qualche tempo dimenticò tutto tranne le delizie di quella nuova affascinante vita. Senza voler ingannare nessuno lasciò credere alla gente di essere un giovane di buona famiglia e di grandi speranze, si vantò un po’ della ricchezza e dell’influenza del signor Laurence, del valore del professor Bhaer e del fiorente collegio dove lui stesso era stato educato. Fece conoscere la signora Jo alle sentimentali Frauleins che lessero i suoi libri, ed esaltò il fascino e la virtù della fanciulla del suo cuore alle madri che lo ascoltavano con simpatia. Tutte queste infantili e innocenti vanità furono fatte circolare dai pettegoli e la sua importanza e la sua popolarità crebbero con sua gran meraviglia e piacere, non senza provare un po’ di vergogna.

Ma alla fine tutto questo portò frutti amari. Dato che era considerato un membro delle classi più elevate, gli divenne ben presto impossibile continuare a vivere nell’umile quartierino che si era scelto e continuare la vita tranquilla di studio tracciata per lui. Incontrò altri studenti, giovani ufficiali, allegri compagni d’ogni genere e si sentì molto lusingato di essere il benvenuto fra loro; ma era un piacere che costava caro e spesso lasciava una punta di rimorso a turbare la sua coscienza onesta. Fu tentato a prendere stanze migliori in una via più elegante, abbandonando la buona signora Tetzel al grande dispiacere provocatole dalla sua partenza e facendo scuotere di dissenso i riccioli grigi della sua vicina di casa, una vecchia artista di nome Vogelstein, che gli predisse il suo ritorno quando sarebbe stato più triste e più maturo.

La somma messa a sua disposizione per le spese e i piccoli divertimenti che la vita attiva gli avrebbe potuto concedere,

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era sembrata a Nat una vera fortuna, benché fosse inferiore a quella proposta in un primo tempo dal generoso signor Laurie. Il professor Bhaer aveva saggiamente consigliato la prudenza poiché Nat non era abituato a maneggiar denaro e il brav’uomo temeva le tentazioni che una borsa ben fornita rende possibili in quell’età alla ricerca del piacere. Nat si godeva immensamente il suo bell’appartamentino e a poco a poco lasciò che penetrassero in esso raffinatezze insolite. Amava molto la musica e non perse mai nessuna lezione, ma le ore che avrebbe dovuto dedicare ai lunghi e pazienti esercizi, furono troppo sovente sprecate a teatro, balli o circoli non facendo nulla di male oltre a perder tempo prezioso e denaro non suo, poiché non aveva vizi. Fino ad allora infatti si era sempre divertito da gentiluomo. Ma a poco a poco si verificò in Nat un brutto cambiamento e lui stesso se ne rese conto. Quei primi passi sul sentiero fiorito lo stavano portando non in alto ma in basso, e la sensazione continua della sua slealtà cominciò a tormentarlo e gli fece capire, in quelle poche ore di riposo che si concedeva, che qualcosa non andava, nonostante il felice turbine di divertimenti in cui viveva.

«Ancora un mese e poi metterò giudizio», si disse più di una volta, cercando di scusare l’indugio col fatto che tutto era nuovo per lui, che gli amici a casa desideravano che fosse felice e che quella vita di società gli dava quella raffinatezza di cui aveva bisogno. Ma col passare dei mesi divenne sempre più difficile sfuggire; si sentiva trascinato ed era così dolce abbandonarsi alla corrente, che rimandava sempre di più il giorno in cui avrebbe messo la testa a posto. Le feste invernali avevano seguito i più sani svaghi estivi e Nat le trovò molto più dispendiose, poiché le ospitali signore si aspettavano dal giovane straniero il contraccambio ai loro inviti e carrozze, fiori, biglietti per i teatri e le altre piccole spese a cui un buon cavaliere non può sottrarsi, pesarono assai a quella borsa che all’inizio sembrava senza fondo. Prendendo il signor Laurie a modello, Nat divenne un compito cavaliere e piaceva a tutti, perché attraverso le arie da poco acquistate, brillavano chiaramente la sua genuina onestà e la semplicità del suo carattere, che guadagnava così la fiducia e l’affetto di quanti lo conoscevano.

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Tra questi era una vecchia amabile signora con una figlia musicista, di buona famiglia ma povera, e desiderosa di sposare la figlia suddetta a qualche giovane facoltoso. Le piccole finzioni di Nat intorno al suo avvenire e ai suoi amici, affascinarono la gentile signora, come la sua musica e le maniere affabili conquistarono la sentimentale Minna. Il loro quieto salottino era familiare e riposante per Nat quand’era stanco della vita troppo allegra, e il materno interessamento della vecchia signora era dolce e confortante per lui. I teneri occhi azzurri della fanciulla poi erano così pieni di gioia quando arrivava, di rammarico quando se ne andava e di ammirazione quando le suonava qualcosa, che per lui era impossibile star lontano da quel luogo attraente. Non aveva cattive intenzioni e non temeva pericoli, avendo confidato alla madre di Minna di essere fidanzato, perciò continuò a far loro visita, senza neppure sognarsi quali ambiziose speranze accarezzasse la vecchia signora, né quale pericolo vi fosse nel ricevere l’adorazione di una romantica fanciulla tedesca, finché fu troppo tardi per evitare a lei una pena e a sé stesso un rimorso.

Certo qualche accenno a queste nuove e piacevoli esperienze finì nelle voluminose lettere che egli non era mai troppo stanco, o troppo allegramente occupato da dimenticarsi di scrivere ogni settimana. E mentre Daisy si rallegrava della sua felicità e dei suoi successi e i ragazzi ridevano all’idea che il «vecchio merlo» diventasse un uomo di mondo, i grandi si facevano seri e dicevano fra loro: – Sta bruciando le tappe, bisogna metterlo in guardia, altrimenti saranno guai.

Ma il signor Laurie diceva: – Lasciategli correre la cavallina; è stato sottomesso e imbrigliato abbastanza a lungo. Non può andar molto lontano col denaro che ha in tasca, e non ho alcun timore che faccia debiti. È troppo timido e onesto per essere sventato. È la prima volta che sente il sapore della libertà, lasciategli assaporarla, poi si metterà al lavoro di buona lena; io me ne intendo e son sicuro di aver ragione.

Così gli ammonimenti furono molto blandi e quelle ottime persone attesero con ansia di avere più notizie sullo studio duro e meno sugli «splendidi divertimenti». Daisy talvolta si domandava, mentre il suo cuore fedele si stringeva, se

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qualcuna di quelle affascinanti Minne, Ildegarde e Lotte a cui accennava, non le stavano portando via il suo Nat; ma non glielo chiese mai e gli scrisse sempre calma e allegra, cercando inutilmente un sintomo di cambiamento nelle lettere tutte sgualcite per essere state troppo lette.

I mesi trascorsero veloci finché arrivarono le vacanze di Natale, coi doni, gli auguri e i brillanti consessi. Nat si riprometteva di divertirsi moltissimo e dapprima fu davvero così, poiché il Natale in Germania è uno spettacolo degno di essere visto. Ma pagò caro l’abbandono con cui si era gettato nell’allegria di quella memorabile settimana, e a Capodanno venne la resa dei conti. Sembrò che una fata maligna avesse preparato le sorprese che seguirono, e furono tanto sgradite, tanto magico fu il cambiamento che apportarono, trasformando il suo mondo felice in una scena di sconforto e di desolazione con la stessa velocità del cambio di scena nelle pantomime. La prima sorpresa arrivò il mattino in cui, doverosamente carico di fiori e costosi dolci, si recò a ringraziare Minna e sua madre per il paio di bretelle ricamate con non-ti-scordar-di-me e un paio di calzini di seta a ferri, opera delle agili dita della vecchia signora: doni questi che egli aveva trovato quel giorno sul suo tavolo. La madre lo accolse con molta buona grazia, ma quando chiese di poter salutare la figlia, la brava signora gli chiese francamente quali fossero le sue intenzioni, aggiungendo che alcuni pettegolezzi che erano giunti al suo orecchio avevano reso necessario che lui si dichiarasse o smettesse di venire a far loro visita, dato che la pace di Minna non doveva essere distrutta.

Raramente si era vista una faccia più sbigottita di quella di Nat quando si sentì fare questa domanda inaspettata. Capì troppo tardi che il suo elegante modo di fare all’americana aveva tratto in inganno l’ingenua fanciulla e sarebbe potuto venir usato con effetti terribili dall’astuta madre se avesse deciso di farlo. Solo la verità avrebbe potuto salvarlo ed ebbe il coraggio e l’onestà di dirla francamente. Seguì una scena molto triste, poiché Nat dovette togliersi di dosso il suo fittizio splendore, confessare di essere solo un povero studente, e chiedere umilmente perdono dell’incosciente libertà con cui aveva goduto della loro troppo confidente ospitalità. Se avesse

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avuto ancora qualche dubbio sugli scopi e i desideri della signora Schomburg, essi sarebbero stati presto cancellati dalla franchezza con cui lei espresse il proprio disappunto, dalla violenza con cui lo rimproverò e dallo sdegno con cui lo respinse quando i suoi splendidi castelli in aria crollarono.

Il sincero pentimento di Nat la calmò un po’ e lei acconsentì a lasciargli salutare per l’ultima volta Minna. La fanciulla, che aveva ascoltato dal buco della serratura, entrò tutta in lacrime, gettandosi al collo di Nat ed esclamando: «Oh tu, mio caro! non potrò mai dimenticarti, anche se mi hai spezzato il cuore!»

E questo fu peggio del rimprovero perché anche l’imponente madre piangeva e fu solo dopo molte effusioni e chiacchiere, tipicamente tedesche, che Nat potè infine scappare, sentendosi quasi un secondo Werther, mentre l’abbandonata Carlotta si consolava coi cioccolatini e sua madre coi regali di maggior valore.

La seconda sorpresa arrivò mentre faceva colazione col professor Baumgarten. Veramente la scena del mattino gli aveva già tolto l’appetito e il suo morale ricevette un altro colpo, allorché un suo compagno di studi lo informò tutto allegro che era in procinto di imbarcarsi per l’America e che non avrebbe mancato di fare una visita di dovere al «carissimo professor Bhaer» per dirgli come il suo protetto se la passasse bene a Lipsia. Nat si sentì morire, immaginandosi l’effetto che quei brillanti resoconti avrebbero avuto a Plumfield. Non che avesse ingannato di proposito i suoi amici, ma naturalmente, nelle sue lettere, aveva taciuto molte cose, e, quando Carlson aggiunse, con un’occhiatina maliziosa, che avrebbe accennato al prossimo fidanzamento del suo «amico del cuore» con la bella Minna, Nat si sorprese a sperare che quell’inopportuno «amico del cuore» finisse in fondo al mare prima di raggiungere Plumfield, per distruggere tutte le sue speranze col racconto del suo inverno buttato al vento. Aguzzando l’ingegno, sventò la mossa di Carlson, in un modo che gli piaceva definire «mefistofelico», dandogli indicazioni così confuse, che sarebbe stato un miracolo se fosse riuscito a scovare il professor Bhaer. Ma il pranzo perdette ogni attrattiva per Nat, che se ne andò appena gli fu possibile a vagare sconsolatamente per le strade,

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senza nessuna voglia di andare a teatro o di prender parte alla cena fissata con alcuni allegri compagni. Trovò un po’ di conforto nel fare l’elemosina ad alcuni mendicanti, nel render felici due bambini con un dorato pan di spezie, e nel bere un bicchiere di birra tutto solo, brindando alla sua Daisy ed augurandosi un anno migliore del precedente.

Alla fine andò a casa, ma qui trovò ad aspettarlo la terza sorpresa nel mucchio di conti da pagare che gli cadde addosso come una tempesta di neve seppellendolo sotto una valanga di rimorso, di disperazione e di disgusto per sé stesso. Quei conti erano così tanti e così salati che ne fu sconvolto e disperato perché, come aveva saggiamente predetto il professor Bhaer, conosceva molto poco il valore del denaro. Per pagare subito tutti i debiti avrebbe dovuto prelevare fino all’ultimo centesimo i soldi in banca e sarebbe rimasto a secco per i successivi sei mesi a meno che non scrivesse a casa. Ma sarebbe morto di fame piuttosto che fare una cosa simile! Il primo impulso fu di cercare aiuto al tavolo da gioco, al quale i suoi amici l’avevano spesso invitato. Tuttavia aveva promesso al signor Bhaer di resistere a quella che lui all’epoca riteneva una tentazione impossibile, e ora non voleva aggiungere un’altra colpa alla lista già così lunga. Non voleva chieder prestiti, né mendicare. Cosa poteva fare? Doveva pagare quei maledetti conti e continuare le lezioni, altrimenti il viaggio sarebbe stato un vergognoso fallimento, ma nello stesso tempo doveva pur mangiare! Ma come? Piegato dal rimorso per le follie di quegli ultimi mesi, si avvide troppo tardi fino a che punto si era lasciato trascinare dalla corrente, e per ore e ore passeggiò su e giù per le sue belle stanze, dibattendosi nella «Palude della disperazione» senza che nessuna mano amica venisse a soccorrerlo. Almeno così gli parve finché furono portate delle lettere, e in mezzo a nuovi conti, c’era una busta logora col francobollo dell’America.

Che lettera gradita fu quella! E con che avidità lesse le lunghe pagine piene degli auguri affettuosi di tutta la famiglia! Ognuno di loro aveva scritto qualche riga e vedendo i nomi familiari i suoi occhi si velarono sempre più finché arrivato alle ultime parole «Dio benedica il mio ragazzo! Mamma Bhaer» non resse più e con la testa fra le mani, inondò la lettera di una

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pioggia di lacrime che gli alleggerì il cuore e lavò via le colpe giovanili che ora gli pesavano così tanto sulla coscienza.

«Che cari! Come mi amano e che fiducia hanno in me! Come sarebbero delusi se sapessero che pazzo sono stato! Piuttosto che chiedere aiuto a loro suonerò per le strade!», gridò Nat, asciugandosi le lacrime delle quali si vergognava, benché sentisse il bene che gli avevano fatto.

Ora gli sembrava di vedere più chiaramente quello che doveva fare: la mano amica gli era stata tesa attraverso l’oceano e l’amore, il grande Evangelista l’aveva sollevato dalla Palude e gli aveva mostrato lo stretto passaggio al di là del quale c’era la salvezza. Dopo aver letto e riletto la lettera e aver baciato con passione l’angolo dove era stata disegnata una margheritina, Nat si sentì forte abbastanza per affrontare il peggio e superarlo. Tutti i conti dovevano essere pagati, ogni cosa di sua proprietà venduta e quelle stanze costose abbandonate al più presto. Sarebbe ritornato dalla più frugale signora Tetzel e avrebbe cercato un lavoro qualsiasi che gli permettesse di mantenersi, come facevano altri studenti. Doveva abbandonare i nuovi amici, voltare le spalle alla vita brillante, smettere di essere una farfalla e riprendere il suo posto tra i bruchi. Era l’unica cosa onesta da fare. Ma fu duro per il poveretto schiacciare le sue piccole vanità, rinunciare alle delizie così care ai giovani, riconoscere la propria follia e scendere dal piedistallo per essere compatito, deriso e dimenticato.

Per farlo ci volle tutto il coraggio e l’orgoglio di Nat, perché era una natura molto sensibile e la stima degli altri era preziosa per lui, perciò il suo insuccesso gli riuscì terribilmente amaro. Solo il suo innato disprezzo per la meschinità e per l’inganno gli impedirono di chiedere aiuto o di nascondere le sue ristrettezze con mezzi disonesti. Quella sera, solo nella sua camera, gli ritornarono alla mente con incredibile chiarezza le parole del signor Bhaer, e si rivide ragazzo ancora a Plumfield mentre puniva il professore, come lezione a sé stesso che aveva mentito per paura.

«Il professore non deve soffrire un’altra volta per colpa mia e se sono uno sciocco non voglio diventare anche un vigliacco… Andrò dal professor Baumgarten, gli racconterò tutto e gli

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chiederò un consiglio. Preferirei affrontare un cannone carico, ma devo farlo. Venderò tutto, pagherò i debiti e tornerò al mondo a cui appartengo. Meglio essere un povero onesto che una cornacchia tra i pavoni». E, in mezzo alle preoccupazioni, Nat sorrise, guardando intorno a sé la preziosa eleganza della sua camera e ricordando da dove veniva.

Egli mantenne virilmente la parola e gli fu di conforto constatare che la sua esperienza era una storia vecchia per il professore, che approvò i suoi progetti, pensando saggiamente che la disciplina gli avrebbe fatto bene, e fu molto buono ad offrirsi di aiutarlo e a promettergli di mantenere il segreto col professor Bhaer, finché Nat non si fosse riabilitato.

La prima settimana dell’anno nuovo fu trascorso dal nostro figliol prodigo nella messa in pratica dei suoi progetti con pentita sollecitudine e il giorno del suo compleanno lo vide solo nella stanzetta all’ultimo piano in casa della signora Tetzel, con nulla più dell’antico splendore, tranne poche cianfrusaglie invendibili, dategli dalle simpatiche ragazze che sentivano profondamente la sua mancanza. I suoi amici l’avevano preso in giro, compatito e infine l’avevano abbandonato, salvo uno o due, che gli avevano offerto generosamente denaro e gli avevano promesso di rimanergli vicino. Se ne stava triste e abbattuto, mentre seduto, si chinava sul misero fuoco e ricordava l’ultimo Capodanno a Plumfield, quando, proprio a quell’ora, stava danzando con la sua Daisy. Un colpo alla porta lo fece trasalire e, dopo un distratto «avanti», aspettò di vedere chi si fosse arrampicato fin lassù per lui. Era la buona signora Tetzel che portava, tutta orgogliosa, un vassoio su cui stavano una bottiglia di vino e una torta straordinaria, guarnita di confetti di tutti i colori e coronata di candeline. La seguiva la signorina Vogelstein, che portava tra le braccia una pianta di rose in fiore, al di sopra della quale ondeggiavano i suoi riccioli grigi, e il volto amico raggiava di gioia, mentre esclamava: – Caro signor Blake, veniamo a portarle i nostri auguri e uno o due regali in onore di questo giorno, che deve essere sempre ricordato. Molti, molti auguri e possa l’anno nuovo fiorire meravigliosamente per lei come i suoi amici desiderano di tutto cuore.

- Sì, sì, glielo auguriamo davvero! – soggiunse la signora

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Tetzel, – mangi questo dolce fatto con amore e beva alla salute delle persone care tanto lontane.

Divertito e commosso dalla gentilezza di quelle care persone, Nat le ringraziò e le fece restare a condividere l’umile festino con lui. E loro acconsentirono volentieri poiché erano donne materne preoccupate per quel caro giovane di cui conoscevano le ristrettezze e potevano offrirgli un aiuto materiale e il conforto di buone parole.

La signora Tetzel, un po’ esitante, parlò di un suo amico che costretto per malattia a lasciare il posto nell’orchestra di un teatro di second’ordine, lo avrebbe volentieri offerto a Nat, se avesse potuto accettare un occupazione così umile. Arrossendo e giocherellando con le rose, come una fanciulla timida, la vecchia signorina Vogelstein, gli chiese se, nelle ore libere, avrebbe potuto dare lezioni di inglese nella scuola per giovinette dove insegnava disegno, soggiungendo che avrebbe avuto un modesto, ma sicuro compenso.

Nat accettò con molta gratitudine entrambe le offerte, trovando meno umiliante essere aiutato da donne che da amici. Questo lavoro gli avrebbe permesso di mantenersi in maniera frugale, e un lavoro un po’ noioso, promessogli dal suo maestro, gli avrebbe assicurato le lezioni. Felici per la riuscita del loro piccolo piano, le due amichevoli vicine lo lasciarono con parole gentili, calde strette di mano e volti raggianti di femminile soddisfazione ed il bacio cordiale che Nat diede loro sulle guance avvizzite, fu l’unico modo per contraccambiare la loro generosità.

Era strano come il mondo gli sembrasse più luminoso, dopo, perché la speranza era un cordiale migliore del vino e le buone intenzioni fiorivano come le rose che riempivano del loro profumo la stanza, mentre Nat risvegliava echi, suonando le care vecchie melodie, e trovando ora, come sempre, il suo miglior conforto nella musica, a cui promise di essere, d’ora in poi, un suddito più fedele.

Capitolo quattordicesimo Si va di scena a Plumfield È impossibile per l’umile storico della famiglia March

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narrarne le vicende senza parlare di recite e rappresentazioni, com’è impossibile per la nostra cara signorina Yonge12 continuare le sue interessanti novelle, senza avere almeno dodici o quattordici ragazzi protagonisti, così accettiamo la cosa e ci consoleremo degli ultimi tristi eventi parlando delle recite di Natale a Plumfield, perché influenzarono il destino di molti dei nostri personaggi e non possono quindi essere passate sotto silenzio.

Quando venne costruito il collegio, il signor Laurie fece aggiungere anche un grazioso teatrino che doveva servire non solo per le rappresentazioni, ma anche per declamazioni, conferenze e concerti. Il sipario mostrava Apollo circondato dalle Muse e, per onorare il costruttore della sala, l’artista aveva dato al dio una decisa somiglianza con il nostro amico, il che fu considerato, da tutti, ma non da lui, un gran bello scherzo. Il talento di famiglia forniva artisti, musicisti, compagnie di repertorio, scenografi, e rappresentazioni memorabili furono date su quel piccolo ma bel palcoscenico.

Da qualche tempo la signora Jo cercava di scrivere un lavoro teatrale che fosse meglio degli adattamenti di commedie francesi allora in voga, in cui si mescolavano curiosamente abiti eleganti, falsi sentimenti, battute di cattivo gusto, senza uno spunto di naturalezza che le salvasse. Era facile immaginare commedie ricche di nobili discorsi e di situazioni emozionanti, ma molto difficile scriverle, per cui si accontentò di comporre alcune scene di vita semplice, in cui erano fusi l’elemento comico e quello sentimentale. Mentre adattava i suoi personaggi agli attori, sperava che la sua modesta impresa avrebbe dimostrato che la sincerità e la verità non avevano completamente perso il potere di affascinare. Il signor Laurie la aiutò e si chiamavano scherzosamente fra loro Beaumont e Fletcher, divertendosi molto a questo lavoro a quattro mani, dato che la conoscenza di Beaumont dell’arte drammatica era di grande aiuto nel tenere a freno la penna di Fletcher, che si abbandonava a voli pindarici. Così si vantarono di aver prodotto, per scherzo, un lavoro pulito e di sicura presa sul pubblico.

Tutto era ormai pronto e il giorno di Natale fu molto animato dalle ultime prove, dal panico degli attori timidi, dalla

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confusione per qualche accessorio dimenticato e dall’addobbo del teatro. I sempreverdi e l’agrifoglio raccolti nel bosco, le piante fonte della serra del Parnaso, le bandiere di tutte le nazioni rendevano ridente il teatro in quella serata, in onore degli ospiti che dovevano arrivare, prima fra tutti miss Cameron, che aveva mantenuto fedelmente la promessa. L’orchestra accordò con insolita cura gli strumenti, i direttori di scena addobbarono il palcoscenico con prodiga eleganza, il suggeritore prese eroicamente posto nella sua buca asfissiante preparata per lui, e gli attori si vestirono con mani tremanti che facevano cadere gli spilli, e con fronti sudaticce su cui la cipria non voleva aderire. Beaumont e Fletcher erano ovunque, sentendo che era in gioco la loro reputazione letteraria, poiché avevano invitato critici amichevoli, ma anche giornalisti, che, come le zanzare, non possono mai essere tenuti lontano da nessun avvenimento terreno, sia esso la morte di un grand’uomo o l’inaugurazione di un museo da due soldi.

- È arrivata? – era la domanda che correva sulla bocca di tutti quelli che stavano dietro il sipario; e quando Tom, che faceva la parte di un vecchio, infilò le lunghe gambe tra i lumi della ribalta per dare una sbirciata ed annunciò di aver visto la testa della bella miss Cameron al posto d’onore, tutta la compagnia fu presa da un tremito e Josie dichiarò con il respiro affannoso, che, per la prima volta in vita sua, avrebbe avuto paura del palcoscenico.

- Se avrai paura ti scuoterò io, – le disse la signora Jo, che era in un tal scompiglio per le svariate fatiche sostenute che poteva recitare la parte della strega senza aggiungere uno straccio o un ricciolo ribelle.

- Avrai tempo di riprenderti mentre saremo in scena noi. Siamo attori consumati e calmi come orologi, – disse Demi, facendo un cenno ad Alice, già pronta nel suo elegante costume e con tutti i suoi oggetti di scena sotto mano.

Ma quei due calmi orologi correvano più del solito, come rivelavano chiaramente il colorito acceso, gli occhi brillanti e un certo ansimare dei petti sotto i pizzi e i costumi di velluto. Dovevano aprire la serata con un’allegra scenetta che avevano recitato altre volte e con molto successo. Alice era una ragazza

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alta, con occhi e capelli neri e un volto che intelligenza, salute e felicità rendevano bello. In quel momento era più bella che mai, perché il broccato, le piume e la cipria da Marchesa si addicevano molto alla sua figura statuaria. Demi, nel suo costume di corte, con spadino, tricorno e parrucca bianca era il più galante Barone che si potesse desiderare. Josie era la camerierina, e la recitava con naturalezza, essendo graziosa, impertinente e curiosa come ogni servetta francese. I personaggi erano solo questi tre e il successo della commedia dipendeva dallo spirito e dall’abilità con cui sarebbero stati espressi i repentini cambiamenti d’umore degli innamorati capricciosi sempre in lite, dall’arguzia del dialogo e dallo sfondo adatto alla cerimoniosità del periodo in cui l’azione era ambientata.

Pochi avrebbero riconosciuto il serio John e la studiosa Alice nel brillante cavaliere e nella dama civettuola che con le loro bizze facevano continuamente ridere il pubblico, che ammirò molto i ricchi costumi e la grazia dei giovani attori. Josie era un personaggio importante nella trama: spiava dal buco delle serrature, sbirciava nei bigliettini della Marchesa, entrava e usciva nei momenti meno opportuni, col nasetto in aria, le mani nelle tasche del grembiule, la curiosità che pervadeva tutta la sua figura, dalla cresta della cuffietta alla punta delle scarpette rosse. Tutto andò liscio, e la capricciosa Marchesa, dopo aver tormentato il devoto Barone quanto voleva, si dichiarò vinta nella gara di spirito, e stava offrendogli la mano che lui aveva così ben conquistato, quando uno schianto li fece trasalire e una scena laterale pesantemente decorata si inclinò in avanti, minacciando di cadere addosso ad Alice. Demi se ne accorse e balzò davanti ad Alice per fermare la caduta del pannello in un atteggiamento di un Sansone moderno, con una parte della casa sulle spalle. Il pericolo fu scongiurato e si stava accingendo a pronunciare il suo ultimo discorso quando il giovane direttore di scena che tutto eccitato era salito su una scala per riparare il danno, si sporse per sussurrare a Demi: «Tutto bene» e liberarlo dall’incomoda posizione di aquila ad ali spiegate; nel far ciò il martello gli scivolò dalla tasca e finì sul volto alzato del ragazzo, infliggendogli un tal colpo da fargli dimenticare immediatamente la parte del Barone.

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L’improvviso calare del sipario privò il pubblico di una graziosa scena fuori programma con la Marchesa che volò ad asciugargli il sangue con un grido d’angoscia: «Oh! John, sei ferito? Appoggiati a me», cosa che fece con molto piacere, essendo assai stordito, ma non tanto da non godere del dolce tocco delle mani affaccendate attorno alla sua persona e dell’ansia del viso così vicino al suo. Entrambe le cose gli rivelarono qualcosa che avrebbe considerato conquistato a buon mercato anche a costo di una pioggia di martelli o della caduta dell’intero collegio sulla sua testa.

Nan fu subito sul posto con il suo astuccio di medicinali che non lasciava mai la sua tasca, e la ferita era già incerottata quando la signora Jo giunse, domandando con aria tragica: – È ferito troppo gravemente per poter continuare? Se è così la mia commedia è rovinata!

- Posso recitarla meglio di prima, zietta, perché avrò una ferita vera, invece che dipinta. Sarò pronto, non preoccuparti per me, – e raccogliendo la sua parrucca, Demi se ne andò, con un eloquente sguardo di ringraziamento alla Marchesa che per amor suo aveva rovinato un paio di guanti, ma non sembrava le importasse molto, nonostante fossero lunghi fino al gomito e fossero molto costosi.

- Come vanno i nervi, Fletcher? – domandò il signor Laurie alla signora Jo, mentre stavano attendendo, in quel minuto senza respiro, gli ultimi trilli del campanello.

- Sono calmi quasi quanto i tuoi, Beaumont, – rispose lei, mentre faceva cenni disperati a Meg, per farle capire di raddrizzarsi la cuffia.

- Coraggio, collega. Sarò dalla tua parte, qualunque cosa accada.

- Vorrei che andasse tutto bene perché, anche se è una cosetta da poco, ci abbiamo messo un bel po’ di onesto lavoro e molta onestà. Guarda Meg, non sembra il ritratto di una vecchietta di campagna?

Lo sembrava veramente, seduta davanti ad un allegro fuoco nella cucina di una fattoria, intenta a dondolare una culla e a rammendare calze, come se non avesse mai fatto altro in vita sua. I capelli grigi, le rughe abilmente tracciate sulla fronte, l’abito dimesso, la cuffia, lo scialletto e il grembiule a quadri,

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l’avevano trasformata in una creatura calma e materna che conquistò le simpatie della platea nel momento in cui il sipario si alzò e la scoprì mentre dondolava la culla e rammendava canticchiando una vecchia canzone. Con un monologo della vecchia madre su suo figlio Sam che voleva arruolarsi, sulla figlia Dolly, sempre scontenta, che desiderava solo gli agi e i piaceri della città, e sulla povera «Elizy» che, dopo un infelice matrimonio, era tornata a casa per morire e affidandole il suo piccino, per timore che il cattivo padre lo pretendesse. Così si aprì la breve storia, che acquistò maggior credibilità grazie alla pentola che bolliva sul serio attaccata alla catena, dal tic-tac di un vecchio pendolo e da due scarpine azzurre, che si agitavano nella culla, accompagnate da un dolce balbettio infantile. Quei piedini strapparono il primo applauso e il signor Laurie, dimenticando ogni eleganza nella soddisfazione del momento, sussurrò alla sua collaboratrice: – Lo sapevo che il bambino li avrebbe fatti squagliare!

- Se il caro piccino non strillerà nel momento sbagliato, siamo salvi. Ma è un rischio. Preparati a prenderlo, se le moine di Meg saranno insufficienti, – gli rispose la signora Jo, e aggiunse, stringendo il braccio del signor Laurie, quando vide comparire una faccia smunta alla finestra. – Ecco Demi! Speriamo che non lo riconoscano quando tornerà in scena nella parte del figlio. Non ti perdonerò mai di non aver voluto fare tu il cattivo.

- Non si può dirigere e recitare allo stesso tempo! È truccato magnificamente e poi gli piace un po’ di melodramma.

- Questa scena avrebbe dovuto venire più tardi, ma io volevo mostrare il più presto possibile che l’eroina è la madre. Sono stanca di ragazze malate d’amore e di mogli scappate da casa. Proveremo che c’è del romanticismo nelle signore anziane. Eccolo che arriva!

Sulla scena entrò, con andatura dinoccolata, un uomo dall’aspetto miserabile, malvestito, con la barba sfatta, gli occhi cattivi che cercava d’assumere un’aria prepotente mentre spaventava la buona vecchia, esigendo che gli desse il bambino. Seguì una scena madre e la signora Meg stupì anche coloro che la conoscevano meglio, per la semplice dignità con cui all’inizio affrontò l’uomo che temeva; e siccome questi

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insisteva brutalmente nella sua pretesa, lei lo supplicò, con voce e mani tremanti, di lasciarle la creatura che aveva promesso di proteggere alla madre morente. Quando lui decise di prenderlo con la forza, un brivido percorse la platea e la vecchia donna fece un balzo per afferrare il bimbo nella culla e, stringendoselo al cuore, lo sfidò nel nome di Dio a strapparlo da quel sacro rifugio. La scena fu recitata veramente bene e lo scroscio d’applausi che salutò il bel quadro della donna indignata col roseo bimbo che si appendeva al suo collo e dell’uomo intimidito che, davanti a un simile difensore dell’innocenza indifesa, non osava realizzare il suo malvagio proposito, fece capire ai due eccitati autori che quella loro prima scena era stata un vero successo.

La successiva era più tranquilla e presentava Josie nei panni di una contadinella, che apparecchiava di malavoglia la tavola. Il modo stizzoso con cui sbatteva i piatti, urtava le tazze e tagliava la grossa pagnotta di pane nero, mentre raccontava i suoi problemi e le sue aspirazioni di ragazza, fu magistrale. La signora Jo non perdeva di vista miss Cameron e la vide varie volte fare cenni di approvazione per qualche gesto o tono particolarmente riuscito, per qualche buon brano di azione secondaria e per il rapido cambiamento di espressione sul giovane viso, che variava come un giorno d’aprile. La sua lotta con lo spiedo fu molto divertente; così pure il suo disprezzo per lo zucchero grezzo e il piacere con cui invece lo mangiò per addolcire le sue noiose faccende; e quando si sedette, come Cenerentola, vicino al focolare, guardando, piangente, le fiamme danzare sulle pareti della povera stanza, si sentì una giovane voce esclamare impulsivamente: «Poverina, dovrebbe divertirsi un po’!»

Entra la vecchia e tra madre e figlia si svolge una graziosa scena, in cui la fanciulla blandendo, minacciando, baciando e piangendo riesce a ottenere il consenso materno per una visita ad una ricca parente in città; Dolly da imbronciata e tempestosa, diviene incantevolmente gaia e dolce non appena vede appagato il suo grande desiderio. La povera vecchia non si è ancora riavuta da questa dura prova, che entra il figlio in divisa militare e le annuncia che si è arruolato e deve partire. Questo è un colpo molto duro per lei, ma la patriottica madre lo

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sopporta coraggiosamente e crolla affranta solo quando i due sconsiderati giovani sono corsi via a raccontare a qualcun altro la bella notizia della loro partenza. Allora l’atmosfera della rustica cucina diventa davvero patetica, con la vecchia madre rimasta sola che si lamenta per i suoi figli, poi nasconde il grigio capo tra le mani, inginocchiandosi accanto alla culla a piangere e pregare, con solo il neonato a consolare il suo cuore affettuoso e fedele.

Durante l’ultima parte di questa scena si sentirono singhiozzi repressi e quando calò il sipario, il pubblico era così occupato ad asciugarsi gli occhi che dimenticò per un attimo di battere le mani. Quel silenzio fu più lusinghiero di un applauso e la signora Jo, asciugando le lacrime vere dagli occhi di Meg, le disse con la solennità consentitale da una macchia di rossetto sul naso: – Meg, hai salvato la mia commedia! Perché non sei una vera attrice e io una vera commediografa?

- Lascia stare le effusioni, adesso, e aiutami piuttosto a vestire Josie: è in uno stato tale di eccitazione che trema e non riesco a cambiarla. Sai che si tratta della sua scena più importante.

Lo era infatti, poiché sua zia l’aveva scritta espressamente per lei e Josie era felice in un magnifico vestito, con uno strascico così lungo da soddisfare i suoi sogni più folli. Il salotto della ricca parente era addobbato come per le grandi occasioni e la cuginetta campagnola entra ammirando la sua coda che spazzava il pavimento con un rapimento così naturale, che nessuno ebbe il coraggio di ridere di quella piccola gazza con le penne prese in prestito. Fa le sue confidenze a uno specchio e da questo si capisce che ha già scoperto che non è tutto oro quel che luccica e che ha incontrato tentazioni più grandi di quelle legate al suo desiderio infantile di piacere, di lusso e di adulazione. Un ricco innamorato le fa la corte, ma il suo cuore onesto resiste agli allettamenti che lui le offre e nel suo innocente imbarazzo desidera che la mamma sia lì con lei a confortarla e consigliarla.

Un’allegra danza a cui presero parte Dora, Nan, Bess e diversi altri ragazzi, costituì un bello sfondo all’umile figura della mamma con la sua cuffia da vedova, il suo scialletto scolorito, il grande ombrello e un cestello sul braccio. Il suo

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stupore, mentre osserva lo spettacolo, accarezza le tende e liscia i suoi vecchi guanti quando nessuno la vede, furono veramente insuperabili; ma lo slancio spontaneo di Josie quando vede sua madre e il suo grido, «Ecco la mamma», furono così naturali, che non ci fu quasi bisogno che fingesse di calpestare lo strascico correndo a buttarsi tra quelle braccia, che le sembravano ora il più vicino rifugio.

L’innamorato ora recita la sua parte. Piccoli scoppi di ilarità accolgono le domande incalzanti e le brusche risposte della vecchia nel colloquio che rivela alla ragazza quanto sia squallido l’amore del ragazzo e quanto vicina fosse stata a rovinare la sua vita come aveva fatto sua sorella Elizy. Lei quindi lo respinge decisamente e, rimasta sola con la madre, lascia scorrere lo sguardo dalla sua figura elegante al vestito logoro, dalle mani incallite dal lavoro fino al tenero viso della vecchia e, tra un bacio e un singhiozzo, le dice: – Portami a casa, mamma, e salvami. Ne ho abbastanza di questa vita.

- Ti serva di lezione, Maria, e non dimenticartene, – disse una signora a sua figlia, mentre il sipario calava e la fanciulla rispose: – Non capisco perché… ma è proprio commovente, – e si asciugò una lacrima col fazzolettino ricamato.

Poi Tom e Nan si rivelarono nella scena successiva. L’azione si svolgeva nella corsia di un ospedale militare e il chirurgo, accompagnato dall’infermiera, passava di letto in letto, tastando il polso, somministrando medicine e ascoltando i lamenti, con una serietà e un atteggiamento così compito da far sbellicare dalle risate il pubblico. L’elemento tragico, mai disgiunto dal comico in simili luoghi e situazioni fu inserito quando il chirurgo, mentre fasciava un braccio, raccontò all’infermiera che c’era nell’ospedale una vecchia madre che cercava il figlio, dopo giorni e notti attraverso campi di battaglia, in ospedali mobili e tra scene che avrebbero ucciso la maggior parte delle donne.

- Ora è qui e io ho paura del suo arrivo, temo che quel poveretto che è appena morto sia proprio suo figlio. Preferirei star di fronte a un cannone che incontrare queste povere donne, col loro coraggio, le loro speranze e il loro immenso dolore, – dice il dottore.

- Queste povere madri mi spezzano il cuore, – aggiunge

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l’infermiera, asciugandosi le lacrime nel grembiule. E su queste parole entrò la signora Meg, col suo solito vestito, il cesto, l’ombrello, il suo linguaggio rustico e i modi semplici. Tuttavia il tutto era reso patetico dalla terribile esperienza che aveva trasformato la tranquilla vecchietta in quell’essere smarrito, dagli occhi sbarrati, dalle mani tremanti e un’espressione di angoscia mista a volontà e disperazione, che conferiva all’umile figura una dignità tragica e una potenza che commossero tutti i cuori. In poche frasi spezzate narrò la sua dolorosa odissea, poi ricominciò la triste ricerca. Tutti trattenevano il respiro, mentre, accompagnata dall’infermiera passava di letto in letto, e man mano che avanzava sul suo volto si alternavano la speranza, il timore, la più amara delusione. Su uno stretto lettuccio, giaceva, coperta da un lenzuolo, una figura umana; qui la donna si fermò, coprì gli occhi con una mano, l’altra si strinse al petto, quasi per trovare il coraggio di guardare quel morto senza nome. Poi sollevò il lenzuolo e con un lungo sospiro di sollievo mormorò: – Non è mio figlio, grazie a Dio! Ma è un figlio anche lui, – e, chinandosi, baciò teneramente quella fronte fredda.

Qui qualcuno singhiozzò e miss Cameron si asciugò in fretta due lacrime, ansiosa di non perdere né un gesto, né uno sguardo di quella povera anima che, quasi distrutta dal lungo cercare, si trascinava per la lunga fila di letti. Ma la sua ricerca si concluse felicemente perché, come se la voce della donna l’avesse svegliato dal suo sonno febbrile, un giovane sparuto, dagli occhi smarriti, si rizzò a sedere sul letto e, tendendole le braccia, gridò con una voce la cui eco si perse nella stanza: – Mamma, mamma! Sapevo che saresti venuta da me!

Andò verso di lui con un grido di gioia e d’amore che fece fremere gli ascoltatori; mentre se lo prese tra le braccia, spargendo per lui quelle lacrime, quelle preghiere e benedizioni che solo una vecchia madre amorosa poteva dare.

L’ultima scena era in un allegro contrasto con la precedente. La cucina di campagna era animata dall’allegria di Natale; l’eroe ferito, con una benda nera e le stampelle bene in vista, sedeva accanto al fuoco sulla vecchia sedia, il cui scricchiolio era un suono tranquillizzante al suo orecchio. Dolly, tutta contenta, girava per la stanza decorando con vischio e

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agrifoglio la credenza, la cassapanca, la cappa del camino e la vecchia culla, mentre la madre si riposava accanto al figlio con quel bambino benedetto sulle ginocchia. Ristorato da un sonnellino e da una buona pappa, questo attore in fasce si coprì di gloria grazie al suo felice sgambettare, ai suoi indecifrabili discorsi rivolti al pubblico, ai vani tentativi di raggiungere i riflettori del palcoscenico ai quali ammiccava felice, come a giocattoli che sembravano brillare. Era bello vedere la signora Meg dargli dei colpetti gentili sul sederino, giocherellare con la sue gambe grassocce, e infine appagare i suoi desideri con una zolletta di zucchero; allora il piccolo l’abbracciò con un ardore riconoscente che si guadagnò uno scroscio di applausi tutto per lui.

Un suono di voci che cantano, proveniente dall’esterno, interrompe la pace della felice famigliola e, dopo un canto natalizio nella bianca luce della luna, una turba di vicini entra a fare gli auguri portando con sé doni. Un particolare della scena rese questo quadretto molto vivace, perché l’innamorata di Sam gli stava vicina, occupandosi di lui, con una tenerezza che la Marchesa non aveva mai mostrato nei riguardi del Barone, e Dolly, sotto un ramo di vischio, faceva la civetta con il suo rude innamorato, il quale rassomigliava talmente a Ham Peggotty13, coi suoi stivaloni di cuoio, la ruvida giacca, la barba e i baffi bruni, che nessuno avrebbe riconosciuto in lui Ted, se non fosse stato per le lunghe gambe, che nessun stivale sarebbe riuscito a nascondere.

Tutto si concluse con una cena alla buona, portata dagli ospiti e, mentre tutti sedevano attorno alla tavola, imbandita con formaggio, torta di frittelle e altre delizie, Sam si alzò con l’aiuto delle stampelle per proporre il primo brindisi e alzando il bicchiere colmo di sidro, disse con voce soffocata dall’emozione: «Mamma, Dio ti benedica!» Tutti si alzarono per brindare, mentre Dolly teneva un braccio attorno al collo di sua madre, che nascondeva le lacrime di felicità sul seno della figlia e l’irrequieto bambino batteva il cucchiaio sul tavolo e emetteva grida di gioia mentre calava il sipario.

Dovettero però risollevarlo in tutta fretta, per poter dare un ultimo sguardo al gruppo di persone attorno alla figura principale, che fu inondata di fiori, con gran gioia di Roscius, il

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bebé; finché un bocciolo lo colpì sul naso e causò il tanto temuto strillo, che fortunatamente non fece che accrescere l’allegria di quel momento.

- Mi pare che non ci sia male, come inizio, – disse Beaumont, con un sospiro di sollievo, mentre il sipario calava per l’ultima volta e gli attori andavano a vestirsi per la commedia finale.

- Come esperimento è stato un successo. Ora possiamo azzardarci a cominciare il nostro dramma americano, – rispose la signora Jo, piena di soddisfazione e di grandi idee per la nuova famosa commedia che, dobbiamo però aggiungere, non potè scrivere quell’anno a causa dei drammatici eventi che si susseguirono nella sua famiglia.

«Le statue di Owlsdark» chiusero il trattenimento ed essendo una cosa nuova, si rivelò divertente per l’indulgente pubblico. Gli dei e le dee del Parnaso erano riuniti in assemblea e grazie all’abilità della signora Amy nel drappeggiare e mettere in posa i personaggi, le parrucche bianche e gli abiti di cotone, erano classicamente corretti e graziosi, nonostante qualche tocco di modernità che ne diminuiva l’effetto, dando però occasione al presentatore di fare argute osservazioni. Il signor Laurie, in berretto e toga, era il professor Owlsdark; dopo un ambizioso discorso d’introduzione, cominciò ad esporre e illustrare le sue statue. La prima figura era una scultorea Minerva, ma un più attento esame li fece scoppiare in una risata, poiché le parole «Diritti della donna» adornavano il suo scudo, mentre una pergamena col motto «Vota presto e spesso» pendeva dal becco di una civetta appollaiata sulla sua lancia e un mortaio ed un pestello ornavano il suo elmo. L’attenzione fu fatta concentrare sulla bocca severa, gli occhi acuti, la fronte maestosa di quella intelligente donna dell’antichità, e alcune frecciatine vennero dirette sulla degenerazione delle sue consorelle moderne, che vengono meno al compimento dei loro doveri.

Poi fu la volta di Mercurio, elegante nella sua posa alata, benché le gambe tremassero come se fosse difficile tenere quel dio tanto vivace fermo al proprio posto. Ci si dilungò sulla natura irrequieta, si fecero allusioni ai suoi capricci maliziosi e all’immortale messaggero alato venne attribuito un pessimo carattere. Tutto questo divertì molto i suoi amici, e fece

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arricciare sdegnosamente il naso di marmo della vittima, quando uno scroscio di applausi derisorio salutava una battuta più azzeccata. Gli stava accanto una graziosa Ebe nell’atto di versare il nettare da una teiera d’argento in una tazza di porcellana azzurra. Anch’essa comunicava un messaggio: infatti il professore spiegò che il nettare degli antichi era una bevanda che rallegrava senza inebriare e deprecò che l’abuso della classica bevanda da parte delle donne americane fosse così dannoso da favorire eccessivamente il loro sviluppo cerebrale nella cultura dell’epoca. Un cenno diretto alle cameriere moderne, molto in contrasto con quella compita coppiera, fece arrossire, sotto la patina di gesso, le guance della statua, e le procurò uno scroscio di applausi del pubblico, quando riconobbe Dolly e la brillante «servetta».

Poi seguiva Giove in tutta la sua maestà dato che lui e sua moglie occupavano i piedestalli centrali nel semicerchio degli dei immortali. Era uno splendido Giove, coi capelli rialzati sulla fronte spaziosa, la barba color d’ambrosia, i fulmini d’argento in una mano e nell’altra una bacchetta logorata dall’uso. Ai suoi piedi stava una grande aquila imbalsamata, presa al museo, e la benigna espressione del suo augusto volto mostrava il suo buonumore; e poteva ben esserlo, poiché gli furono tributati bei complimenti sul suo saggio governo, sulla pace del suo regno e sulla progenie di perfette Palladi che annualmente uscivano dal suo possente cervello. Grida di giubilo accolsero queste e altre lusinghiere parole e costrinsero Giove tonante a inchinarsi per ringraziare; poiché, come tutti sanno, Giove si inchina e le adulazioni vincono i cuori sia degli dei che degli uomini.

Giunone, coi suoi pavoni, i suoi aghi da rammendo, la penna, il mestolo, non se la cavò così facilmente, poiché il professore la coprì di accuse, di critiche e persino di insulti che provocarono l’ilarità del pubblico. Lui alluse alla sua infelicità domestica, alla sua mania di immischiarsi ovunque, alla sua lingua tagliente, al suo pessimo carattere e alla sua gelosia, terminando però con un tributo alla sua abilità nel curare le ferite e nel comporre le liti degli eroi belligeranti, ed al suo grande amore per i giovani dell’Olimpo e della terra. Scoppi di risa salutarono queste frecciatine, ma erano frammisti ai fischi

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da parte di alcuni ragazzi indignati che non sopportavano neppure per scherzo la mancanza di rispetto nei confronti della cara Mamma Bhaer, che invece si diverti moltissimo, come rivelavano lo scintillio degli occhi e il tremolio delle labbra pronte al riso.

Un allegro Bacco, a cavalcioni di un barile, prese il posto di Vulcano, e sembrava molto a suo agio con un boccale di birra in una mano e una bottiglia di champagne nell’altra, e con una ghirlanda di grappoli d’uva sui capelli ricciuti. Egli fu l’illustrazione di un breve discorso sulla moderazione, diretto particolarmente a una fila di giovani eleganti appoggiati alle pareti della sala. A un tratto si vide George Cole nascondersi dietro un pilastro, mentre Dolly spinse il suo vicino contro un altro e tutta la fila si mise a ridere quando il professore li guardò attraverso le sue grosse lenti, rivelando le loro orge bacchiche, ed esponendoli al disprezzo di tutti.

Visto l’effetto ottenuto, l’avveduto professore si volse ad una avvenente Diana, bianca ed immobile come il cervo di calce che aveva accanto; era perfetta coi sandali, l’arco e la mezza luna, e poteva dirsi la statua più bella sulla scena. Fu trattata molto delicatamente dalla critica paterna, che alludendo solo vagamente al suo amore per gli sport, al suo permanente zitellaggio ed alle sue facoltà di indovina fece una breve dissertazione sulla vera arte, e passò poi all’ultima statua.

Questa era un Apollo in piena regola; i riccioli abilmente disposti in modo da nascondere una ferita sopra l’occhio, le belle gambe elegantemente in equilibrio e le abili dita in procinto di trarre divine melodie dalla graticola argentata che era la sua lira. Furono descritti i suoi attributi divini, come pure i suoi difetti e le sue piccole pazzie, fra cui il debole per la fotografia e per il flauto, i suoi tentativi di dirigere un giornale e il suo amore per la compagnia delle Muse. Quest’ultima frecciata produsse risolini e rossori tra le studentesse e molta allegria fra i giovani precedentemente presi in giro perché come si dice «mal comune mezzo gaudio», dopo di che cominciarono a radunarsi.

Finalmente dopo un’ultima battuta il professore ringraziò con un inchino e, dopo ripetute chiamate da parte del pubblico, il sipario calò, ma non abbastanza rapidamente da nascondere

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Mercurio che muoveva selvaggiamente le gambe, tornate libere, Ebe che lasciava cadere la teiera, Bacco che rotolava allegramente sul suo barile e Giunone che picchiava l’impertinente Owlsdark sulla testa con lo scettro di Giove.

Mentre il pubblico sfollava per andare a cenare in sala, sul palcoscenico regnava una confusione indescrivibile, poiché dei e dee, contadini e baroni cameriere e falegnami si scambiavano congratulazioni per il successo del loro lavoro. Attori e attrici, nei vari costumi, si unirono poi agli ospiti per bere, col loro caffè, sorsi di lodi generose e per raffreddare con i gelati il calore dei loro modesti rossori. La signora Meg si sentì felice e orgogliosa quando miss Cameron si avvicinò a lei che sedeva accanto a Josie, con Demi che le serviva entrambe, e le disse così cordialmente che fu impossibile dubitare della sincerità delle sue parole: – Ora non mi chiedo più da chi i suoi figli abbiano ereditato il loro talento. Faccio i miei complimenti al Barone, e la prossima estate dovrete lasciare che io abbia la piccola come allieva quando saremo in spiaggia.

Si può facilmente immaginare come fu accolta tale offerta, come pure le lodi amichevoli prodigate dal medesimo benevolo critico all’opera di Beaumont e Fletcher, che si affrettarono a spiegare che quello era un tentativo di far andare di pari passo arte e natura, con pochissimo aiuto da parte dello stile elegante e di grandiosi scenari. Tutti erano di buonumore, specialmente la «piccola Dolly», la quale ballò come un folletto con il leggiadro Mercurio, e Apollo che passeggiava dando il braccio alla Marchesa, che sembrava avesse lasciato la sua civetteria nello spogliatoio assieme al rossetto.

Quando tutto fu finito, Giunone disse a Giove, al cui braccio si era aggrappata mentre tornavano a casa lungo i sentieri innevati: – Mio caro Fritz, il Natale è il tempo propizio per nuove decisioni e io ho deciso di non essere mai più impaziente né stizzosa col mio ottimo marito. So di esserlo, anche se tu non lo vuoi ammettere; c’era del vero nelle parole scherzose di Laurie e io mi sono sentita vulnerabile sotto quel punto di vista. D’ora in poi sarò una moglie modello, altrimenti non merito il più caro e miglior uomo del mondo, – ed essendo in una disposizione di animo un po’ drammatica, Giunone abbracciò teneramente il suo eccellente Giove al chiaro di luna,

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con gran divertimento di coloro che li seguivano. Concludendo, tutti e tre i lavori poterono essere considerati

dei successi e la sera di quel Natale restò memorabile nella famiglia March. Infatti Demi ebbe una risposta alla sua domanda non formulata, Josie vide esaudito il suo più grande desiderio, e, grazie allo scherzo del professor Owlsdark, la signora Jo rese la vita impegnata del professor Bhaer simile ad un letto di rose, tenendo fede alla sua decisione. Pochi giorni dopo ebbe la ricompensa a questo attacco di virtù nella lettera di Dan che calmò i suoi timori e la rese felice, sebbene non glielo potesse scrivere visto che non aveva lasciato nessun indirizzo.

Capitolo quindicesimo L’attesa - Moglie mia, ho una cattiva notizia per te, – disse il professor

Bhaer, entrando una mattina dei primi di gennaio. - Dimmela subito, per favore. Non sopporto l’attesa, Fritz, –

esclamò la signora Jo, lasciando cadere il lavoro e alzandosi in piedi, come per ricevere il colpo con coraggio.

- Eppure dobbiamo restare in attesa e sperare, mia carissima. Vieni e sopportiamo il colpo assieme. La nave di Emil ha fatto naufragio e finora non abbiamo nessuna notizia di lui.

Fu una fortuna che il signor Bhaer avesse preso sua moglie tra le sue forti braccia, perché questa per poco non svenne, ma dopo un momento si riprese e, sedendosi accanto al marito, ascoltò tutto quello che c’era da ascoltare.

Da parte di alcuni sopravvissuti erano state mandate notizie agli armatori di Amburgo e Franz le aveva ritelegrafate allo zio. Dato che una delle scialuppe di salvataggio era giunta in salvo, si poteva sperare che anche altre lo fossero, benché l’uragano ne avesse fatte affondare due. Un vapore molto rapido aveva portato queste scarne notizie e altre migliori sarebbero potute arrivare in qualsiasi momento, ma il buon Franz non aveva aggiunto che i marinai avevano riferito che l’imbarcazione del capitano era stata affondata dalla caduta dell’albero maestro, ma i marinai non sapevano com’erano

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andate le cose, perché il fumo aveva loro precluso la visuale e il vento li aveva trascinati lontano. Tuttavia anche questa triste notizia giunse a Plumfield, e profondo fu il dolore per la scomparsa del Commodoro dal cuore felice che non sarebbe più tornato a casa, cantando allegramente.

La signora Jo si rifiutò di crederlo insistendo ostinatamente nel dire che Emil sarebbe scampato a qualsiasi tempesta e sarebbe ricomparso un giorno sano e salvo. E fu un bene che si aggrappasse a questa speranza, perché il povero signor Bhaer era molto afflitto per la perdita del suo ragazzo, perché i figli di sua sorella erano stati anche i suoi e aveva per loro un affetto uguale a quello per i figli propri. Si presentò così alla signora Giunone l’occasione di mantenere la sua promessa e lo fece parlando serenamente di Emil, anche quando la speranza impallidiva e il suo cuore era colmo d’angoscia. Se qualcosa avesse potuto confortare i Bhaer per la perdita di uno dei loro ragazzi, questo sarebbe stato il cordoglio e l’affetto mostrato dagli altri. Franz teneva continuamente in moto il telegrafo coi messaggi, Nat mandava lettere affettuose da Lipsia e Tom tormentava gli agenti di navigazione per avere notizie. Perfino l’affaccendato Jack scrisse con insolito calore; Dolly e George vennero spesso a trovarli, portando i più bei fiori e i più squisiti dolci per rallegrare la signora Jo e addolcire il dolore di Josie mentre Ned dal cuore d’oro venne fin da Chicago per stringere loro le mani e dire con le lacrime agli occhi: «Ero così ansioso di avere notizie del nostro caro amico che non riuscivo a star lontano da qui».

- Questo mi è di grande conforto e mi fa capire che, se non avessi insegnato altro ai miei ragazzi, almeno ho inculcato loro un grande affetto fraterno che li spingerà a sostenersi l’un l’altro tutta la vita, – disse la signora Jo, quand’egli se ne fu andato.

Rob rispose a valanghe di lettere, che dimostrò loro quanti amici avessero; e tutte le gentili lodi del ragazzo scomparso avrebbero fatto di Emil un santo e un eroe, se fossero state vere. Gli adulti sopportarono il dolore con calma avendo ormai imparato la rassegnazione alla dura scuola della vita, ma i giovani si ribellarono. Alcuni sperarono al di là di ogni speranza e continuarono a farlo, altri si abbandonarono alla

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disperazione e la piccola Josie, la cugina favorita di Emil e sua compagna di giochi, aveva il cuore così a pezzi che nulla riusciva a confortarla, Nan le diede inutilmente dei calmanti e le parole incoraggianti di Daisy passavano come il vento, mentre i tentativi di Bess per divertirla fallirono tutti. Piangere tra le braccia di sua madre e parlare del naufragio che l’ossessionava anche nel sonno era l’unica cosa che le importasse fare. La signora Meg era seriamente preoccupata per lei, quando fortunatamente miss Cameron le mandò un affettuoso biglietto, esortandola ad imparare coraggiosamente la sua prima lezione di una tragedia reale e ad essere come quelle eroine piene di abnegazione che amava rappresentare sulla scena. Queste parole fecero del bene alla ragazza che si sforzò, aiutata moltissimo da Teddy e da Octoo. Il ragazzo era infatti profondamente impressionato per l’improvviso spegnersi di quella lucciola, della cui luce e vita tutti sentivano la mancanza ora che non c’era più. La costrinse a fare lunghe gite in carrozza tirata dalla nera cavallina, che scuoteva i suoi campanellini d’argento, producendo una musica così allegra che Josie non poteva fare a meno di ascoltarla, e la faceva correre sulle strade innevate a un trotto che faceva scorrere più caldo il sangue nelle vene e la faceva tornare a casa rafforzata e confortata dal sole, dall’aria fresca e dalla compagnia adatta a lei, tre aiuti ai quali i giovani che soffrono raramente riescono a resistere. Dato che Emil stava facendo da infermiere al capitano Hardy, sano e salvo a bordo del piroscafo salvatore, tutto questo dolore sembrerebbe inutile, ma non fu così perché avvicinò ancor più strettamente molti cuori nella comune sofferenza. Insegnò ad alcuni la pazienza, ad altri la partecipazione al dolore, ad altri ancora il rimorso per colpe che pesano ancor più sulla coscienza quando la persona verso cui si è peccato se n’è andata, e a tutti, infine, insegnò la solenne lezione che bisogna farsi trovare pronti quando si è chiamati in causa. Per settimane un gran silenzio regnò su Plumfield e le facce degli studenti della collina riflettevano la tristezza di quelle giù nella valle. Dal Parnaso si diffondeva una musica sacra per confortare tutti coloro che la sentivano; la casetta bruna era colma di doni innumerevoli per confortare la piccola afflitta, mentre la bandiera di Emil

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sventolava a mezzasta sul tetto, dove si era seduto con la signora Jo prima di partire.

Così trascorsero lente alcune settimane, quando improvvisamente come un fulmine a ciel sereno, giunse la notizia: «Tutti salvi, segue lettera». Allora la bandiera di Emil sventolò alta sul pennone, le campane del collegio suonarono a festa, tuonò il cannone di Teddy come da tempo non si sentiva, e un coro di voci felici esclamò «Sia ringraziato Iddio!» mentre la gente andava e veniva ridendo e piangendo, ed abbracciandosi l’un l’altro in un trasporto di gioia. Col tempo giunsero le tanto attese lettere e tutta la storia del naufragio fu loro raccontata brevemente da Emil, con grande eloquenza dalla signora Hardy, e con gratitudine dal capitano, mentre Mary aggiunse poche righe affettuose che andarono direttamente al cuore e sembrarono le più dolci di tutte. Mai lettere furono tanto lette, passate di mano in mano, ammirate e ricoperte di lacrime come quelle; la signora Jo le teneva sempre in tasca, quando non erano in quelle di suo marito, ed entrambi davano loro uno sguardo quando recitavano le preghiere la sera. Si potè sentire di nuovo il professore canticchiare ronzante come un calabrone mentre andava alle lezioni; le rughe si distesero sulla fronte della signora Jo, mentre scriveva agli amici ansiosi questa storia realmente accaduta e trascurando i suoi romanzi. Messaggi di felicitazioni giunsero da ogni parte e ovunque si vedevano facce sorridenti. Rob sorprese i suoi genitori scrivendo una poesia molto ben fatta per un ragazzo della sua età e Demi la musicò per poterla cantare quando il bravo marinaio sarebbe ritornato. Teddy era letteralmente fuori di sé, galoppava su Octoo per tutto il vicinato a guisa di un secondo Paul Revere14, con la differenza che le sue erano buone notizie. Ma lo spettacolo più bello fu vedere la piccola Josie rialzare il capo come un bucaneve e ricominciare a fiorire crescendo in altezza e compostezza, con l’ombra del dolore passato a smorzare la sua vivacità ed a dimostrare che aveva tratto profitto dall’aver cercato di recitare bene sul palcoscenico reale dove tutti abbiamo una parte nel gran dramma della vita.

Allora cominciò un altro genere di attesa, poiché i viaggiatori erano in viaggio per Amburgo e vi si sarebbero fermati un po’

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prima di tornare a casa, dato che lo zio Hermann era l’armatore della «Brenda» e il capitano doveva far rapporto a lui. Emil si sarebbe fermato per il matrimonio di Franz, rimandato fino ad allora a causa del periodo di lutto, finito poi così felicemente. Questi progetti risultarono ancor più graditi e piacevoli, dopo i tempi dolorosi appena trascorsi e nessuna primavera parve loro più bella di quella, poiché, come aveva giustamente detto Teddy: «Ora l’inverno del nostro scontento si è fatto glorioso grazie a questi figli di Bhaer». Infatti dai veri figli del professor Bhaer, Emil e Franz erano considerati dei fratelli maggiori.

Ci fu molto spazzare e spolverare tra le signore che dovevano sistemare la casa non solo per il giorno della distribuzione dei diplomi, ma anche per ricevere gli sposi che dovevano venire da loro in viaggio di nozze. Si fecero grandi progetti, si prepararono doni e tutti si rallegrarono all’idea di rivedere Franz, anche se Emil, che li avrebbe accompagnati, sarebbe stato l’eroe principale. Quei cuori affettuosi non potevano sognarsi quale sorpresa era in serbo per loro, mentre facevano innocentemente i loro piani e si auguravano che tutti i ragazzi potessero essere presenti ad accogliere i fratelli maggiori.

Mentre a Plumfield aspettano e lavorano con gioia, vediamo come se la passano gli altri ragazzi assenti, che pure aspettano e lavorano e sperano in giorni migliori. Nat proseguiva deciso per il sentiero che si era saggiamente scelto, benché non fosse precisamente cosparso di rose, ma anzi piuttosto spinoso e duro da percorrere dopo aver conosciuto il sapore del piacere e del lusso quando aveva mordicchiato il frutto proibito. Ma ciò che raccolse dalla sua vita dissipata fu ben poco e raccolse con coraggio quello che aveva seminato, riuscendo a trovare un po’ di frumento in mezzo all’erbaccia. Di giorno insegnava, sera dopo sera suonava il violino nel teatrino male illuminato e intanto studiava così diligentemente che il suo maestro ne era molto soddisfatto e non lo perdeva mai di vista, come uno che meriti di essere preferito ad altri, se l’occasione si fosse presentata. Gli allegri compagni lo dimenticarono ma i vecchi amici gli rimasero fedeli e lo tiravano su di morale quando la stanchezza o la nostalgia di casa lo rattristavano. Con l’arrivo

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della primavera le cose migliorarono e diminuirono le spese, il lavoro divenne più piacevole e la vita più sopportabile di quando le bufere invernali battevano sulle sue spalle miseramente vestite, e il gelo attanagliava i suoi poveri piedi che si trascinavano pazientemente nei vecchi stivali. I debiti non l’opprimevano più; l’anno di assenza stava per finire e, se avesse voluto restare, il signor Bergmann aveva delle possibilità per lui che gli avrebbero dato l’indipendenza, almeno per qualche tempo. Così passeggiava sotto i tigli col cuore più leggero e, nelle sere di maggio, girava per la città con una comitiva di studenti, suonando davanti a case, in cui era solito essere ospite. Nell’oscurità mai nessuno lo riconobbe, benché sovente amici del tempo passato ascoltassero la sua musica; e una sera Minna gli gettò del denaro, che raccolse umilmente, come parte della sua penitenza, sentita in modo quasi eccessivo.

La ricompensa gli giunse prima di quando si aspettasse e gli parve anche superiore a quanto meritasse, pensò, sebbene il cuore gli balzasse in petto quando un giorno il suo maestro lo informò che era stato scelto con diversi altri allievi promettenti a far parte dell’orchestra che doveva partecipare al Festival di Londra nel luglio successivo. Questo non era solo un onore per il violinista, ma anche una gioia per l’uomo poiché l’avrebbe portato più vicino a casa e gli avrebbe aperto la via per una promozione futura e per maggiori guadagni nella professione da lui scelta.

- Cerca di essere utile a Bachmeister a Londra con la tua conoscenza dell’inglese e, se tutto va bene, sarà felice di portarti con sé in America, dove si recherà all’inizio dell’autunno per un giro di concerti invernali. Hai lavorato bene in questi ultimi mesi e ho buone speranze per te.

Poiché il grande Bergmann lodava raramente i suoi allievi, queste parole riempirono di gioia e d’orgoglio il cuore di Nat e lui lavorò con ancor più diligenza di prima, perché si avverasse la profezia del maestro. Il viaggio in Inghilterra gli parve già una gioia grandissima, ma riuscì a provarne ancora di più, quando, ai primi di giugno, Franz ed Emil vennero a fargli una breve visita, e portando un sacco di buone notizie, di auguri e di regali a quel povero solitario, che, nel rivedere i

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cari compagni d’un tempo, avrebbe potuto anche buttar loro le braccia al collo e piangere come una ragazzina. Come fu felice che lo trovassero nella sua cameretta intento al lavoro e non vivendo come un gran signore con denaro preso in prestito! Come fu orgoglioso di raccontare loro i suoi progetti, assicurarli che non aveva debiti, e di ricevere le loro lodi per il suo miglioramento nella musica e le congratulazioni per la sua parsimonia e la sua tenacia nel comportarsi come si deve! Si sentì poi così sollevato, quando, dopo aver onestamente confessato le sue mancanze, i due si limitarono a scherzarci su ed ammisero che anche loro avevano conosciuto simili esperienze e che proprio quelle li avevano resi più saggi. Rimasero d’accordo che avrebbe assistito al matrimonio alla fine di giugno e che poi avrebbe raggiunto i compagni a Londra. Come testimone non potè rifiutare l’abito nuovo che Franz volle ad ogni costo ordinare per lui; e l’assegno, giuntogli da casa in quei giorni, lo fece sentire milionario ed un milionario felice, per di più, perché l’assegno era accompagnato da lettere molto affettuose, piene di gioia per i suoi successi che lui sentiva di essersi meritato, e ormai aspettava le vacanze con l’impazienza di un bambino.

Nel frattempo Dan contava le settimane che gli mancavano per arrivare ad agosto, quando sarebbe stato di nuovo libero. Ma non ad aspettarlo non c’erano né campane di nozze e né musiche festose; nessun amico l’avrebbe salutato all’uscita della prigione, nessun progetto pieno di speranze gli stava davanti e il suo non sarebbe stato un felice ritorno a casa. Eppure il suo successo era molto più grande di quello di Nat, benché solo Dio e un uomo buono ne furono testimoni. Era stata una battaglia difficile da vincere, ma mai più, nella vita, avrebbe dovuto combatterne una così terribile, perché anche se nemici l’avrebbero attaccato ancora, aveva trovato la guida che il cristiano porta sempre nel petto e l’Amore, la Penitenza e la Preghiera, le tre dolci sorelle, gli avevano fornito l’armatura che l’avrebbe salvaguardato per l’avvenire. Non aveva ancora imparato a portarla, e vi si trovava a disagio, nonostante ne riconoscesse il valore, grazie all’amico fedele che gli era sempre rimasto al fianco durante quel triste anno.

Tra poco sarebbe stato di nuovo libero, sfinito e con le

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cicatrici della lotta, ma sarebbe stato fuori, tra gli uomini, nel sole e nella luce. A questo pensiero Dan sentiva come se non potesse più aspettare, ma dovesse abbattere i muri della cella e volar via, come le larve che aveva tante volte osservato sulle rive dei ruscelli, mentre gettavano il loro involucro, si arrampicavano sulle felci e poi si levavano nel cielo. Notte dopo notte si addormentava facendo progetti su come e quando sarebbe andato da Mary Mason, come aveva promesso, poi direttamente dai suoi vecchi amici, gli Indiani, e in quel luogo selvaggio avrebbe nascosto la sua vergogna e curato le ferite. Pensava che lavorare per salvare molti uomini gli avrebbe fatto espiare il peccato di averne ucciso uno, e l’antica vita di libertà l’avrebbe salvato dalle tentazioni che lo assalivano in città.

- Un giorno, quando mi sarò riabilitato e avrò qualcosa da raccontare di cui non debba vergognarmi, tornerò a casa, – si diceva, mentre il suo cuore impetuoso batteva più veloce, desiderando intensamente di ritornare in famiglia ed era difficile da domare quanto uno dei suoi cavalli selvaggi delle praterie. – Ma ora non posso, prima devo superare questo momento. Mi vedrebbero e sentirebbero subito l’odore della prigione su di me, se tornassi ora, e io non potrei guardarli negli occhi e nascondere la verità. Non posso rinunciare all’amore di Ted, alla fiducia di mamma Bhaer e al rispetto di… di… delle ragazze, che, se non altro, stimavano la mia forza, ma ora non vorrebbero neppure toccarmi, – e il povero Dan guardava con raccapriccio il pugno dalla pelle scura che involontariamente teneva serrato, ricordando ciò che esso aveva fatto, dopo che una certa manina bianca si era posata con fiducia proprio lì. – Voglio che siano ancora orgogliosi di me e che nessuno di loro sappia mai di questo terribile anno. Io posso cancellarlo dalla mia vita, e lo voglio, che Dio mi aiuti! – e la mano serrata si sollevava come per giurare solennemente che quell’anno perduto avrebbe dato buoni frutti, se risoluzione e pentimento fossero riusciti a operare il miracolo.

Capitolo sedicesimo Ai campi da tennis

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Gli sport erano molto graditi a Plumfield, e il fiume, dove un tempo si dondolava la vecchia zattera col suo carico di ragazzini e che aveva risuonato degli strilli delle bimbe che cercavano di raccogliere gigli, era ora animato di imbarcazioni di ogni genere, dalle snelle lance alle comode barche da diporto, rese allegre da cuscini, tende e gagliardetti svolazzanti. Tutti sapevano remare e le ragazze come i ragazzi avevano le loro gare e sviluppavano i muscoli in maniera scientifica. L’ampio prato pianeggiante, vicino al vecchio salice, era diventato il terreno per i giochi del collegio, e vi si giocavano furibonde partite di «baseball» alternate al calcio, ai salti e altri sport affini creati apposta per sforzare le dita, rompere le costole e stirare le schiene dei giocatori troppo ambiziosi. Gli svaghi più delicati delle ragazze si svolgevano a una rispettosa distanza da questo campo di Marte; i colpi delle mazze da cricket risuonavano sotto i grandi olmi che delimitavano il prato, le racchette si alzavano e abbassavano con forza nei campi da tennis, e qua e là erano a disposizione staccionate di diversa altezza utilissime per esercitarsi nell’elegante salto col quale ogni fanciulla si aspettava di salvarsi un giorno in cui un toro infuriato, che doveva sempre arrivare ma non arrivava mai, fosse stato realmente alle loro calcagna.

Uno dei campi da tennis si chiamava «il campo di Josie», e lì la ragazza dominava come una regina; era un gioco che le piaceva molto ed essendo incline a sviluppare sé stessa sino al più alto livello di perfezione anche in questo campo, in ogni momento libero la si poteva trovare intenta a giocare con qualche sua vittima. Un sabato pomeriggio molto piacevole aveva giocato con Bess e l’aveva battuta, poiché sebbene più graziosa, la Principessa era assai meno svelta della cugina e coltivava la sua personalità con metodi più tranquilli.

- Oh, cielo! Tu sei stanca e tutti i ragazzi sono occupati in quel noioso incontro di «baseball». Che devo fare? – sospirò Josie, gettando indietro il gran cappello rosso che portava e guardandosi tristemente intorno in cerca di nuovi mondi da conquistare.

- Riprenderò quando mi sarò rinfrescata un po’, anche se è un po’ noioso visto che non vinco mai, – le rispose Bess,

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facendosi vento con una grossa foglia. Josie era in procinto di sedersi accanto a lei sulla rustica

panchina ed aspettare, quando il suo sguardo acuto scorse poco lontano due figure maschili in pantaloni azzurri e giacca bianca, che si dirigevano evidentemente verso il luogo della gara. Non poterono tuttavia raggiungere la loro meta, perché Josie con un grido di gioia corse incontro a loro, ben decisa ad accaparrarsi quei rinforzi mandati dal cielo. Entrambi si fermarono per aspettarla e si tolsero rispettosamente il cappello. Ma che differenza nel loro saluto! Il più grasso se lo tolse pigramente e se lo rimise subito, come se fosse contento di aver finito con i suoi doveri; l’altro, invece, quello slanciato e con la cravatta cremisi, se lo tolse con un grazioso inchino e lo tenne sospeso sopra di lui mentre si avvicinava permettendole così di ammirare i suoi riccioli corvini accuratamente lisciati e divisi, con una ciocca arricciata ricadente sulla fronte. Dolly era molto orgoglioso del suo inchino che aveva studiato davanti allo specchio ma che non adoperava per tutti, considerandolo un’opera d’arte degna solo delle sue ammiratrici più belle e privilegiate, visto che era un bel ragazzo e si credeva un Adone.

L’impetuosa Josie evidentemente non apprezzò l’onore che le veniva fatto, perché salutò entrambi con un cenno del capo e li pregò di «andare con lei a giocare a tennis e di non andare ad accaldarsi e a sporcarsi con gli altri ragazzi». Queste parole li convinsero, poiché Stuffy aveva già più caldo di quanto volesse e Dolly indossava un abito nuovo che desiderava conservare immacolato il più a lungo possibile, conscio che gli stava molto bene.

- Felice di farti piacere, – rispose il più compito, inchinandosi di nuovo.

- Mentre giocate, io mio riposo, – soggiunse il più grasso, desideroso di riposare e di fare una chiacchierata al fresco con la Principessa.

- Bene, tu consolerai Bess, perché l’ho battuta sonoramente e ha bisogno di distrarsi. So già che hai qualche dolce in tasca, George: dagliene qualcuno, così Dolly può riprendere in mano la sua racchetta. Avanti, fila al tuo posto, – e, spingendo la sua vittima davanti a sé, Josie ritornò trionfante verso il campo da

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tennis. Lasciandosi cadere poderosamente sulla panchina, che

scricchiolò sotto il suo peso, Stuffy – come lo continueremo a chiamare, sebbene ora nessuno osi più farlo – tirò fuori la sua scatola di dolciumi, senza la quale non andava mai lontano e offrì a Bess violette candite e altre leccornie, mentre Dolly doveva faticare non poco per tener testa a un’avversaria più forte di lui. Forse l’avrebbe anche battuta, se un malaugurato scivolone che gli produsse una brutta macchia sui pantaloni nuovi, non l’avesse distratto e reso incurante. Esaltata dalla vittoria, Josie gli permise di riposare, offrendogli nello stesso tempo un’ironica consolazione per l’infortunio che evidentemente gli pesava parecchio.

- Non te la prender tanto, si può pulire. In qualche vita precedente devi essere stato un gatto se ti preoccupi dello sporco, oppure un sarto che vive per i vestiti.

- Suvvia, non infierire sul nemico battuto, – le rispose Dolly dal suo angolo di prato dove s’era seduto con Stuffy per lasciare il posto alle ragazze sulla panchina. Sotto di lui era steso un fazzoletto e i suoi gomiti erano appoggiati su un altro, mentre i suoi occhi fissavano tristemente la macchia bruna e verde che tanto lo affliggeva. – Mi piace essere pulito e non mi sembra educato presentarmi alle signore con le scarpe vecchie e la camicia di flanella grigia. I nostri amici sono tutti gentiluomini e si vestono come tali, – aggiunse alquanto irritato alla parola «sarto», perché doveva pagare a uno di quei rispettabili signori un conto spiacevolmente salato.

- Anche i nostri, ma qui da noi un abito non fa il gentiluomo. Ci vuole molto di più, – ribatté vivacemente Josie, prendendo subito le difese del suo collegio. – Sentirete parlare di qualcuno dei ragazzi con le «scarpe vecchie e la camicia di flanella» quando voi e i vostri gentiluomini vi annoderete le cravatte e vi liscerete i capelli nell’anonimato. Mi piacciono le scarpe vecchie, e le porto anche, ma detesto i bellimbusti, non è vero Bess?

- Non quando sono gentili con me e appartengono alla nostra vecchia compagnia, – rispose Bess, con un cenno di ringraziamento verso Dolly, che stava togliendo con estrema attenzione un bruco indiscreto da una delle scarpette rosse

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della fanciulla. - E a me piace la ragazza sempre gentile e non quella che ti

salta subito in testa, se hai un’opinione diversa dalla sua, non è vero George? – domandò Dolly col suo miglior sorriso per Bess e uno sguardo harvardiano di disapprovazione a Josie.

Un placido russare fu la sola risposta di Stuffy e una bella risata ristabilì la pace, almeno per il momento. Ma Josie amava stuzzicare quei padreterni che si mettevano troppo in mostra e si riprometteva un altro attacco, dopo aver giocato ancora a tennis. Ottenne di disputare un’altra partita perché Dolly era un cavalier servente con le signore e subito accettò, lasciando Bess a ritrarre George sdraiato sul dorso con le robuste gambe incrociate e il volto arrossato mezzo nascosto dal cappello. Josie questa volta fu battuta e ritornò alquanto stizzita, perciò svegliò il pacifico dormiente, facendogli il solletico sul naso con un filo di paglia finché si mise a sedere starnutendo e volgendosi intorno furibondo nei confronti di quella «maledetta mosca».

- Vieni, siediti e facciamo un po’ di conversazione elegante; voi «eleganti damerini» dovreste migliorare le nostre menti e i nostri modi perché noi siamo solo povere ragazze di campagna in abiti e cappelli sciatti, – cominciò la «zanzara», aprendo la battaglia con un’astuta citazione da uno degli infelici discorsi su certe ragazze studiose che si curavano più dei libri che dell’eleganza.

- Non intendevo voi! I vostri vestiti vanno bene e i vostri cappelli sono all’ultima moda, – cominciò il povero Dolly, tradendosi con quell’esclamazione.

- Ci sei cascato, stavolta. Credevo che voi foste tutti gentiluomini cortesi e simpatici, e invece siete sempre pronti a prendere in giro le ragazze che non vestono bene e ciò non è degno di un uomo; lo dice sempre la mamma, – e Josie capì d’aver inflitto un astuto colpo all’elegante giovane che s’inchinava a molti altari, purché fossero ben decorati.

- Ti ha beccato, amico mio, e ha ragione. Tu non mi senti mai parlare di vestiti e simili sciocchezze, – disse Stuffy, reprimendo uno sbadiglio e cercando un altro bon-bon per rinfrescarsi.

- Tu parli solo di mangiare e questo è ancor peggio, per un

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uomo. Sposerai una cuoca e gestirai un ristorante un giorno, – ribatté Josie, prendendosela subito con lui.

Questa terribile profezia zittì Stuffy in silenzio per un po’, ma Dolly riprese coraggio e, cambiando abilmente discorso, portò la guerra nel campo nemico.

- Dato che vuoi che noi ti facciamo migliorare nei modi, lasciami dire che le signorine della buona società non fanno osservazioni personali, né prediche. Invece le ragazzine che non lo sono lo fanno e credono di essere spiritose, ma ti assicuro che non è un comportamento molto fine.

Josie tacque un momento per riprendersi dallo shock di essere stata chiamata «ragazzina», quando era ancor fresco il ricordo degli onori del suo quattordicesimo compleanno; e intanto Bess aggiunse con quel tono altero che era infinitamente più schiacciante dell’impertinenza di Josie: – È vero; ma noi siamo cresciute fra gente colta e seria, perciò non sappiamo far conversazione di società come le vostre signorine. Siamo così abituate a conversazioni sensate e ad aiutarci l’un l’altro indicandoci apertamente i nostri errori, che non abbiamo da offrirvi frivolezze.

Quando la Principessa disapprovava, raramente i ragazzi se ne offendevano. Così Dolly tacque e Josie, seguendo la tattica di sua cugina, che trovava ottima, esplose dicendo: -Ai nostri ragazzi piace che noi conversiamo con loro e accettano volentieri le osservazioni che facciamo loro. Loro non credono di saper tutto e di essere perfetti a diciott’anni, come ho osservato succede agli studenti di Harvard, specialmente i più giovani.

Josie fu immensamente soddisfatta di questa sua stoccata, e Dolly mostrò di aver accusato il colpo dal tono pungente in cui le rispose con uno sguardo sprezzante alla folla accaldata, polverosa e rumorosa sul campo di baseball: – Il genere di ragazzi che avete qui ha bisogno di tutto l’affinamento e la cultura che potete dar loro; e mi fa piacere che possano averli. I nostri, invece, appartengono per la maggior parte alle migliori famiglie del paese e così non abbiamo bisogno che le ragazze c’insegnino nulla.

- È un vero peccato che non abbiate fra voi un maggior numero di ragazzi come i nostri. Essi apprezzano e fanno buon

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uso di quello che il collegio dà loro, non si accontentano di trascinarsi, divertendosi il più possibile e scansando ogni fatica! Oh, vi ho sentito parlare, voi uomini, e ho udito i vostri padri dire che non vorrebbero aver sprecato tempo e denaro, solo perché possiate dire di essere stati all’università! Quanto alle ragazze, sarà tanto di guadagnato per voi, quando potranno frequentare le vostre università e vi costringeranno a darvi da fare, come facciamo noi qui.

- Se hai una così brutta opinione di noi perché porti i nostri colori? – domandò Dolly, spiacevolmente cosciente di non saper far fruttare tutti i vantaggi che la sua «Alma Mater» gli offriva, ma deciso a difenderla.

- Non sono i vostri colori: il mio cappello è rosso, non cremisi. Te ne intendi proprio di colori, – lo schernì Josie.

- So solo che una mucca ti metterebbe in fuga precipitosa se agitassi quell’affare rosso sotto il suo naso, – ribatté Dolly.

- Sono pronta. Le tue eleganti signorine saprebbero fare questo? E voi? – e bruciando dal desiderio di far sfoggio della sua ultima prodezza, Josie corse alla più vicina staccionata, appoggiò una mano sul piolo più alto e volteggiò dall’altra parte come una piuma.

Bess scosse il capo e Stuffy applaudì svogliatamente, ma Dolly, seccato di essere sfidato da una ragazza, saltò con un balzo la staccionata e atterrò in piedi accanto a Josie, dicendole con tutta calma: – E tu sai fare questo?

- Non ancora, ma ci riuscirò. E poiché il suo nemico sembrava un po’ abbattuto, Dolly si

ammorbidì e affabilmente le mostrò altri esercizi del genere, del tutto ignaro di essere caduto in una trappola terribile, perché la vernice rossa della staccionata non adatta ad essere trattata con tanto vigore, venne via a strisce impresse sulle spalle di Dolly, quando questi fece una capriola all’indietro appoggiandosi ad essa e si rizzò con un sorriso, e fu gratificato da questa irritante osservazione: – Se vuoi sapere com’è esattamente il color cremisi, non hai che da guardarti la schiena; è così bene stampato e non credo che andrà via lavandolo.

- Col cavolo che non andrà via! – esclamò Dolly, tentando di guardare dietro di sé, e rinunciandovi con rammarico.

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- Penso faremmo bene ad andarcene, Dolf, – disse pacifico Stuffy, sentendo che sarebbe stato saggio prima che scoppiasse un’altra scaramuccia dato che, oltretutto, il suo partito sembrava aver la peggio.

- Non abbiate fretta, vi prego; fermatevi a riposare; dovete averne bisogno, dopo le grandi fatiche cerebrali che avete sostenuto questa mattina. Andiamo Bess, è l’ora della lezione di greco. Arrivederci signori! – e, dopo un profondo inchino, Josie s’incamminò, col cappello rialzato spavaldamente e la racchetta alta sulla spalla come una bandiera trionfante, perché avendo avuto l’ultima parola sentiva di potersi ritirare con tutti gli onori.

Dolly, un po’ glaciale, rivolse a Bess il suo migliore inchino, mentre Stuffy, si sdraiò voluttuosamente a gambe all’aria, mormorando in tono sognante: – La piccola Josie è di umor nero, oggi! Io faccio un altro sonnellino: fa troppo caldo per giocare.

- Hai ragione. Chi sa se quella «viperetta» aveva ragione a proposito di queste dannate macchie, – e Dolly sedette, cercando di pulire a secco la giacca con un fazzoletto.

- Dormi? – domandò, dopo qualche minuto di quella divertente occupazione, temendo che il suo amico fosse troppo a suo agio mentre lui era furibondo.

- No, stavo pensando che Josie non aveva poi tutti i torti chiamandoci scansafatiche. È vergognoso fare così poco, quando dovremmo sgobbare come Morton, Torry e compagnia bella. Non avrei mai voluto andare all’università, ma mio padre mi ci ha costretto! Bel profitto ne avremo tutti e due! – rispose con un sospiro Stuffy, perché egli odiava studiare e vedeva davanti a sé ancora due lunghi anni.

- Ma, sai, l’università ti conferisce prestigio. Non è necessario prendere lo studio troppo sul serio. Per conto mio ho intenzione di godermela e di essere un elegantone di prim’ordine, se ne ho voglia. Sia detto fra noi, sarebbe infinitamente più divertente se in università ci fossero anche le ragazze. Al diavolo lo studio! Ma se proprio dobbiamo sgobbare, sarebbe carino che qualcuna delle nostre «belle» venisse a darci una mano. Non credi?

- In questo momento ne vorrei aver qui tre; una per farmi

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vento, un’altra per baciarmi e la terza per darmi una bella limonata gelata! – sospirò Stuffy, con uno sguardo di desiderio verso la casa da cui non appariva alcun soccorso.

- Che ne direste d’un bicchiere di birra? – chiese una voce dietro a loro che fece balzare in piedi Dolly, mentre Stuffy si rotolava sull’erba come un delfino spaventato.

Seduta sulla scaletta che scavalcava il muro li vicino, c’era la signora Jo, con due boccali tenuti da una cinghia sulle spalle, parecchi bicchieri di stagno in mano e un vecchio cappellino da sole in testa.

- Sapevo che i ragazzi si sarebbero buscati un malanno bevendo acqua gelata, perciò sono scesa con un po’ della mia buona e sana birra. Hanno bevuto come spugne. Ma c’era anche Silas con me, così ne è rimasta ancora un po’ nel boccale. Ne volete?

- Sì, grazie. Versiamocene un poco, – Dolly resse la tazza e Stuffy la riempì con gioia, entrambi molto riconoscenti, ma timorosi che la signora Jo avesse sentito quello che era successo poco prima.

Jo dimostrò che aveva sentito tutto dicendo, mentre i ragazzi bevevano alla sua salute e se ne stava seduta in mezzo a loro come una vivandière un po’ matura, con i suoi boccali e i suoi bicchieri: – Sono contenta di sentire che vi piacerebbe avere anche le ragazze all’università, ma spero che imparerete a parlare di loro più rispettosamente prima che arrivino, altrimenti questa sarà la prima lezione che vi daranno.

- Ma, signora, io scherzavo! – cominciò Stuffy, ingoiando tutto d’un fiato la sua birra.

- Anch’io. Io sono sicuro, io… io le apprezzo molto, -balbettò Dolly, spaventato, perché sentiva che stava arrivando una predica.

- Ma non nel modo giusto: alle ragazze frivole può piacere essere chiamate «carine» o altre cose del genere, ma quelle che amano lo studio desiderano essere trattate come esseri ragionevoli e non come bambole da corteggiare. Hai indovinato, voglio proprio farvi una predica: questo è compito mio! Perciò alzatevi e ascoltatemi da uomini.

La signora Jo rise, ma in realtà era molto seria, perché da diversi indizi e segnali durante l’inverno trascorso, aveva

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capito che quei ragazzi cominciavano a «guardare alla vita» proprio nel modo che lei disapprovava. Entrambi erano lontani da casa, avevano denaro da spendere ed erano inesperti, curiosi, creduloni, come la maggior parte dei ragazzi della loro età; non avendo un grande amore per i libri, mancavano della difesa che tiene lontani dai pericoli molti ragazzi studiosi; l’uno indulgente verso se stesso, indolente, così abituato al lusso, da esser una facile vittima del piacere dei sensi; l’altro vanitoso, come lo sono tutti i bei ragazzi, presuntuoso e così ansioso di trovare favore agli occhi dei compagni, che avrebbe fatto qualsiasi cosa che l’avrebbe reso possibile. Questi punti deboli li rendevano particolarmente esposti a quelle tentazioni che assalgono i ragazzi senza grande forza di volontà e amanti del piacere. La signora Jo li conosceva assai bene e più di una volta, da quando erano andati all’università, aveva rivolto loro più di una parola di ammonimento; ma sino a poco tempo prima non sembravano aver compreso i suoi amichevoli consigli, ma questa volta era sicura che li avrebbero capiti, ed intendeva parlar chiaro. La sua lunga esperienza coi giovani l’aveva resa ardita e abile al tempo stesso nel trattare quegli argomenti pericolosi che generalmente sono passati sotto silenzio, finché non è troppo tardi per qualsiasi cosa che non sia pietà e rammarico.

- Vi parlerò come fossi vostra madre, poiché le vostre sono lontane, e ci sono cose che solo le mamme sanno trattare, se fanno il loro dovere, – cominciò solennemente e la sua voce veniva da sotto il cappellino da sole.

- Buon Dio! Ci siamo! – pensò Dolly con segreto sgomento, mentre Stuffy si beccò il primo colpo, cercando di sostenersi con un altro bicchiere di birra.

- Questa birra non può farti male, George, ma ti devi guardare dal bere altre cose. Quel tuo vizio di mangiar troppo è una vecchia storia, e qualche altro mal di stomaco ti insegnerà ad essere saggio. Il bere, invece, è una faccenda molto più seria e porta a danni peggiori di quelli che possano affliggere solamente il tuo corpo. Ti ho sentito parlare di vini come se li conoscessi bene e te ne importasse di più di quanto dovrebbe fare un ragazzo, e sovente ho sentito uscire dalla tua bocca battute offensive. Per amor del cielo, non cominciare a

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scherzare con questo pericoloso “giusto per divertimento” come dite voi, o perché è di moda, e gli altri lo fanno. Fermati subito ed impara che la moderazione in tutte le cose è l’unica regola valida.

- Parola d’onore che non prendo che vino e ferro. La mamma dice che ho bisogno di un ricostituente per reintegrare la perdita di materia cerebrale durante lo studio, – protestò Stuffy deponendo il bicchiere, come se gli bruciasse le dita.

- Delle buone bistecche e minestra d’avena saranno un ricostituente migliore di qualsiasi tonico di quel tipo. Hai bisogno di lavoro e di una buona dieta e io vorrei averti qui con me, per qualche mese, lontano da tutti i pericoli. Ti sottoporrei alla cura del dottor Banting e ti metterei in grado di correre senza ansimare e di vivere senza il bisogno di quattro o cinque pasti al giorno. Non hai certo una mano virile! Dovresti vergognartene! – e la signora Jo gli afferrò il pugno flaccido, con fossette ad ogni falange, che si gingillava con la fibbia d’una cintura attorno ad una vita davvero troppo larga per un ragazzo di quell’età.

- Non ci posso far nulla: siamo tutti sovrappeso in famiglia, – disse Stuffy a sua discolpa.

- Ragione di più per vivere più sobriamente. Vuoi morire giovane o restare invalido per tutta la vita?

- Oh! No, signora. Stuffy aveva un’espressione così smarrita, che la signora Jo

non ebbe il coraggio di infierire contro i suoi vizi, tanto più che sapeva che erano dovuti in gran parte alla madre troppo indulgente. Perciò addolcì il tono della voce e gli disse dandogli un buffetto sulla mano grassoccia, come faceva quando da piccolo rubava le zollette di zucchero dalla sua zuccheriera: – Allora sta’ in guardia. Ogni uomo porta scritto in faccia il suo carattere e tu non vorrai mica aver impressa sulla tua la golosità e l’alcolismo!

- Non lo voglio di certo! Per favore, signora, mi scriva una dieta, e io mi ci atterrò, se ci riesco. Sto diventando davvero troppo grasso e non mi piace; inoltre il mio fegato è pigro, ho le palpitazioni e il mal di testa. La mamma dice «troppo lavoro», ma può darsi che la causa sia il troppo mangiare, – e Stuffy emise un sospiro in parte di rimpianto per tutte le buone cose a

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cui avrebbe dovuto rinunciare e in parte di sollievo, quando riuscì ad allargare la cintura appena la sua mano fu di nuovo libera.

- Te la preparerò, seguila e fra un anno ti prometto che sarai un uomo e non un sacco ripieno di cibo. E in quanto a te Dolly… – e la signora Jo si rivolse all’altro colpevole che tremava e desiderava di non essere venuto a Plumfield.

- Studi ancora il francese con la stessa passione dell’anno scorso?

- No, signora; non mi interessa, cioè… sono molto occupato col g-greco, ora, – rispose Dolly, coraggiosamente, all’oscuro del significato di quella domanda; sinché un ricordo improvviso lo fece balbettare e guardare con profondo interesse la punta delle scarpe.

- Oh! Non studia francese, legge solo romanzi in quella lingua e va a teatro tutte le volte che c’è l’operetta, – disse Stuffy, convalidando i sospetti della signora Jo.

- Capisco, ed è proprio di quello che ti voglio parlare. Ted fu preso dall’improvviso desiderio di imparare il francese nel tuo stesso modo, dopo aver sentito qualcosa detto da te, Dolly. Andai io stessa a un’operetta e mi resi conto che non era un posto per ragazzi per bene. I giovani della vostra università erano intervenuti in massa e fui felice di constatare che alcuni fra i più giovani sembravano vergognarsi quanto me. I più anziani si divertivano molto e, quando uscimmo, aspettarono fuori quelle donne imbellettate per portarle a cena. Non sei mai andato con loro?

- Una volta. - Ti sei divertito? - No, signora, io… io venni via subito, – balbettò Dolly, col viso

dello stesso colore della sua splendida cravatta. - Sono contenta che tu non abbia perso ancora il dono di

arrossire, ma lo perderai presto se continuerai a frequentare una simile scuola e ti dimenticherai di vergognartene; la compagnia di quelle donne ti renderà indegno di quella delle ragazze perbene e ti procurerà solo preoccupazione e peccato. Oh! Perché i padri di famiglia delle città non fanno smettere queste cose, sapendo il male che fa? Mi faceva male il cuore a vedere quei ragazzi che avrebbero dovuto essere a casa nei

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loro letti, andare a passare una notte di gozzoviglia che avrebbe contribuito a rovinare la vita di qualcuno di loro per sempre.

I giovani ascoltarono sgomenti l’energica protesta della signora Jo contro uno dei divertimenti più in voga allora e tacevano contriti, Stuffy ben felice di non aver mai partecipato a quelle allegre cenette e Dolly profondamente soddisfatto «di essere venuto via subito». Con le mani sulle loro spalle e con la fronte di nuovo distesa, la signora Jo, desiderosa di fare per loro quello che nessun’altra donna avrebbe fatto e di farlo con gentilezza, continuò nel suo tono più materno: – Miei cari ragazzi, se io non vi volessi molto bene, non vi direi queste cose. So che non sono piacevoli, ma la mia coscienza non mi darebbe pace se non vi dicessi la parola che può tenervi lontano da due dei vizi capitali che sono la maledizione dell’umanità e portano alla rovina tanti giovani. Voi state cominciando proprio adesso a subire i loro richiami, e presto sarà difficile liberarsene. Fermatevi ora, vi prego, e non solo salverete voi stessi ma aiuterete anche altri giovani col vostro buon esempio. Venite da me, se qualche dubbio vi tormenta, non abbiate paura né vergogna: ho sentito confessioni ben più tristi di quelle che voi potreste mai farmi e ho potuto consolare molti poveri ragazzi che avevano sbagliato, perché non avevano ricevuto una buona parola in tempo. Fatelo e potrete di nuovo baciare le vostre madri con labbra pure e col tempo potrete chiedere di essere amati da fanciulle innocenti.

- Sì, signora, grazie. Penso che abbiate ragione, ma è difficile dare un calcio a tutto, quando le signore vi offrono il vino e i signori per bene conducono le loro figlie a vedere «Aimée», – disse Dolly, prevedendo sofferenze, anche se sapeva che era tempo di risalire la china.

- È vero; onore ancora più grande andrà a coloro che sono abbastanza saggi e coraggiosi da resistere ai condizionamenti dell’opinione pubblica ed alla morale degli uomini e delle donne di nessun merito. Pensate alle persone che stimate maggiormente e, imitandole, vi guadagnerete il rispetto di coloro che guardano a voi come a un modello. Preferisco che i miei ragazzi siano derisi e trattati con freddezza da un centinaio di sciocchi, piuttosto che vederli perdere quello che,

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una volta perso, nessun potere al mondo può loro ridare: l’innocenza e il rispetto di sé stessi. Non mi meraviglia che troviate difficile rigar diritto, quando i libri, i quadri, le sale da ballo, i teatri e le strade vi offrono tentazioni. Tuttavia potete resistere se cercate di farlo. L’inverno scorso la signora Brooke si preoccupava sempre per John che tornava a casa tardi a causa del suo lavoro di cronista; ma quando gli parlò delle cose che poteva vedere e sentire sulla sua strada dalla casa all’ufficio a mezzanotte lui le rispose col suo tono serio: «So cosa intendi, mamma, ma nessuno deve per forza commettere errori, a meno che non lo voglia».

- Questo è tipico del «pretino», – esclamò Stuffy, con un sorriso di approvazione sulla larga faccia.

- Sono contento che voi mi abbiate detto tutto questo. Ha ragione ed è appunto perché «non vuole» commettere errori che noi tutti lo rispettiamo, – aggiunse Dolly, sollevando il viso con un’espressione che rassicurò il suo mentore sul fatto che era stata toccata la giusta corda e che era sorto in lui uno spirito d’emulazione, forse più utile di qualsiasi parola che lei avesse detto. Vedendo tutto ciò si sentì soddisfatta e disse, accingendosi a lasciare la sbarra davanti alla quale i due imputati erano stati giudicati e trovati colpevoli, ma meritevoli di clemenza: – Ora cercate di essere per gli altri quello che John è per voi, un buon esempio. Perdonatemi di avervi annoiato, miei cari ragazzi e ricordatevi la mia predica. Penso che vi farà bene anche se forse non lo saprò mai. Le parole dette per caso, con gentilezza, a volte aiutano in modo sorprendente, ed è per questo che i più anziani sono qui, altrimenti la loro esperienza sarebbe di ben poca utilità. Ora andate a trovare i giovani invece. Spero di non dovervi mai chiudere in faccia i cancelli di Plumfield, come ho dovuto fare con alcuni dei vostri «gentiluomini». Ho intenzione di tenere i miei ragazzi e le mie ragazze al sicuro per quanto posso e questo è un posto dove le virtù fuori moda sono ancora vissute e insegnate.

Molto impressionato da quella tremenda minaccia, Dolly l’aiutò a scendere la scaletta con profondo rispetto e Stuffy la liberò delle sue caraffe vuote, facendo solennemente voto di astenersi dal bere tutti gli alcolici, tranne la birra, per tutto il

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tempo che la sua debole carne avesse potuto resistere. Naturalmente, quando furono soli, trattarono alla leggera «la predica di mamma Bhaer», com’era da aspettarsi da «uomini del nostro ceto», ma nel profondo dei loro cuori le furono grati d’aver dato una scrollatina alle loro coscienze giovanili, e più d’una volta in seguito ebbero occasione di ricordare con riconoscenza la mezz’ora passata sul campo da tennis.

Capitolo diciassettesimo Tra le ragazze Nonostante questa storia abbia per oggetto i ragazzi della

signora Jo, non si possono trascurare le ragazze, tanto più che esse occupavano un posto elevato in quella piccola repubblica e particolari attenzioni gli venivano dedicate per prepararle a far bene la loro parte in quella più grande repubblica che offriva loro più ampie opportunità e più seri doveri. Per molte, l’influenza della vita in comune era la parte migliore dell’insegnamento che esse ricevevano, poiché l’educazione non si ferma ai libri e i migliori caratteri sovente non escono dai collegi, ma appartengono a chi ha fatto dell’esperienza la propria maestra e della vita il loro libro di testo. Altre s’interessavano solo dello studio, correndo il rischio di esagerare, nell’illusione che pervade il New England, secondo cui lo studio dev’essere a tutti i costi duro, dimenticando che la salute e la saggezza sono molto meglio. Una terza categoria, costituita da ragazze ambiziose, quasi non sapeva neppure esattamente cosa volesse: avevano fame di qualunque cosa potesse servire per affrontare il mondo e guadagnarsi da vivere, trascinate dalla necessità, dallo stimolo di qualche talento seminascosto o dall’irrequietezza della natura forte e giovanile, desiderosa di rompere con una vita ristretta che ormai non soddisfaceva più.

A Plumfield tutte trovarono un aiuto, perché la fiorente istituzione non aveva leggi fisse come i Medi e i Persiani e credeva nel diritto all’educazione di ambo i sessi, di ogni razza, religione e classe, cosicché c’era posto per chiunque bussasse e raccoglieva i giovani poveri dei paesi settentrionali, le vivaci fanciulle dell’Ovest, gli impacciati schiavi liberati o le donne

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del Sud e gli studenti di buona famiglia, la cui povertà faceva di questo collegio l’unica possibilità dopo che altre porte erano sbarrate per loro. Esistevano ancora i pregiudizi, il ridicolo e l’indifferenza delle classi alte, e le profezie d’insuccesso contro cui combattere; ma il corpo insegnante era costituito da uomini e donne fiduciosi e sereni, i quali avevano visto riforme più importanti nascere da radici anche più piccole, e dopo inizi burrascosi fiorire rigogliosamente e conferire prosperità e onore alla nazione. Perciò essi lavoravano tenacemente e lasciavano fare al tempo, pieni di una fiducia sempre crescente nella loro impresa, vedendo di anno in anno che il numero degli allievi aumentava, e che i loro progetti si realizzavano, e così il sentirsi utili proprio nella più vitale delle professioni li premiava con le sue dolci ricompense.

Tra le diverse abitudini che erano nate spontaneamente, ce n’era una particolarmente utile e interessante per «le ragazze», come alle fanciulle piaceva essere chiamate. Questa abitudine era nata dall’ora un tempo dedicata al cucito e ancora conservata dalle tre sorelle, anche molto dopo che i loro minuscoli cestini da lavoro si erano allargati sino a diventare ampie ceste di biancheria di casa da rammendare. Erano donne sempre molto occupate, tuttavia al sabato cercavano sempre di riunirsi in una delle tre stanze coi guardaroba, poiché anche il classico Parnaso aveva il suo angolino dove la signora Amy sedeva spesso tra le sue cameriere, insegnando loro a cucire e a rammendare, ma anche ad aver rispetto del risparmio, dato che la ricca signora non aveva problemi a rammendarsi le calze o ad attaccarsi un bottone. Durante queste riunioni casalinghe con libri, lavoro e le loro figlie accanto, leggevano, cucivano e chiacchieravano in quella dolce intimità così cara alle donne amanti della casa e che può essere resa tanto utile da una saggia mescolanza di consigli di cucina e nozioni pratiche di chimica, norme di ricamo e teologia, compiti prosaici e buona poesia.

La signora Meg era la prima a proporre di allargare il loro piccolo circolo, poiché nei suoi giri di materna ispezione tra le ragazze, trovava una mancanza d’ordine, di abilità e di capacità in questo ramo di educazione. Il latino, il greco, le matematiche e le scienze erano quanto mai fiorenti, ma

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intanto la polvere si accumulava sui cestini da lavoro, gomiti sdruciti venivano trascurati e alcune delle calze azzurre avevano un triste bisogno di essere rammendate. Desiderosa che alle «nostre ragazze» non fosse rivolto il risolino di scherno con cui di solito si ammiccava alle donne intellettuali, la signora Meg invitò gentilmente due o tre delle più disordinate a casa sua e rese quell’ora così piacevole e quella lezione così divertente che capirono l’antifona, le furono grate del favore e chiesero di tornare. Ben presto altre ragazze pregarono di poter rendere meno noiosa quell’ora di lavoro settimanale, unendosi a loro e in breve questo divenne un privilegio così ambito che il vecchio museo fu attrezzato di macchine da cucire, tavole da lavoro, sedie a dondolo ed anche un allegro caminetto, cosicché, piovesse o splendesse il sole, gli aghi potevano continuare indisturbati.

Qui la signora Meg si trovava nel suo regno e impugnava le forbici come una regina, mentre tagliava biancheria, ritoccava i vestiti, dirigeva Daisy, la sua aiutante speciale, nell’ornare cappelli e nel completare i nastri e merletti che aggiungono grazia agli abiti più semplici e fanno risparmiare alle ragazze povere o troppo affaccendate tanto tempo e denaro. La signora contribuì con il suo buon gusto e decideva sul grande problema dei colori adatti a diverse carnagioni; poiché poche donne, anche le più colte, sono prive di desiderio di apparire eleganti che può rendere attraente più di un viso comune come pure rendere brutto più di un bel visino per mancanza di abilità e di conoscenza di ciò che è più adatto per sé. Anche lei fece la sua parte nel procurare i libri per la lettura e poiché l’arte era il suo forte portava loro brani da Ruskin, Hamerton e dalla signora Jameson, che era sempre attuale. Bess offriva il suo contributo leggendo questi brani ad alta voce e Josie, a sua volta, si dava da fare coi romanzi, le poesie e commedie che lo zio le consigliava. La signora Jo tenne brevi conferenze sulla salute, la religione, la politica e vari altri argomenti che potessero interessare tutti, leggendo numerosi brani tratti da I doveri della donna della signorina Cobble, da L’educazione delle fanciulle americane della signorina Brackett, da Non vi sono sessi nell’educazione della signora Duffy, e dalla Riforma del vestito della signora Woolson15, e da molti degli altri ottimi

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scritti che donne sagge scrivono per le loro sorelle, ora che si stanno svegliando e si chiedono: «Cosa dobbiamo fare?»

Era curioso vedere i pregiudizi scomparire man mano che le menti ignare venivano illuminate, l’indifferenza trasformarsi in interesse e le menti più aperte cominciare a pensare, mentre gli spiriti più arguti e lingue più vivaci rendevano più piccanti le discussioni che inevitabilmente nascevano. Così i piedi coperti da calze ben rammendate portavano a spasso teste più sagge di prima e le vesti graziose coprivano cuori infiammati da alti ideali e le mani che lasciavano il ditale per le penne, i vocabolari e gli atlanti erano più preparate al lavoro della vita, fosse esso dondolare una culla, assistere un ammalato o dare aiuto alla grande opera del mondo.

Un giorno ci fu una vivace discussione sulle professioni femminili. La signora Jo aveva letto qualcosa sull’argomento e aveva domandato a ciascuna delle dodici ragazze, sedute in circolo, cosa intendesse fare, lasciando il collegio. Le risposte furono le solite. «Insegnerò, aiuterò la mamma, studierò medicina, belle arti, ecc.», ma quasi tutte finivano con «finché non mi sposerò».

- Ma se non vi sposerete, cosa farete? – domandò la signora Jo sentendosi di nuovo ragazza, mentre ascoltava le risposte e osservava i volti pensierosi o allegri.

- Diventeremo vecchie zitelle, immagino. È orribile, ma inevitabile visto che ci sono molte più donne che uomini, – rispose una vivace ragazzina troppo carina per temere la beata condizione di zitella, a meno che non l’avesse scelta di sua spontanea volontà.

- È bene che voi consideriate questo fatto, e vi prepariate a diventare donne utili, non superficiali. Questa classe, peraltro, trovo sia largamente costituita da vedove, perciò non consideratela un’accusa allo zitellaggio.

- È una consolazione! Oggi non si ride più delle zitelle come una volta almeno da quando qualcuna di loro è diventata famosa e ha chiaramente provato che la donna non è solo la dolce metà, ma un essere autonomo che può benissimo fare da sé.

- Non mi piace lo stesso. Non tutte possiamo essere come la signorina Cobbe, la signorina Nightingale, la signorina Phelps e

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tutte le altre. Perciò cosa possiamo fare se non stare sedute in un angolo e guardare? – domandò una ragazza piuttosto bruttina con un’espressione insoddisfatta.

- Coltivare l’allegria e la gioia, almeno. Ma ci sono moltissime occupazioni piacevoli che aspettano di essere svolte, perché nessuna ha bisogno di «stare in un angolino e guardare», a meno che non scelga di farlo, – disse la signora Meg, con un sorriso mettendo sulla testa della fanciulla un cappellino che aveva appena finito di decorare.

- Grazie mille. Sì, signora Brooke, capisco; anche questo è un lavoretto, eppure mi rende felice e… riconoscente, – aggiunse, guardando in su con occhi splendenti, mentre accettava il dono amorevole e la piccola lezione con la stessa dolcezza con cui le venivano dati.

- Una delle migliori donne e fra le più amate che io conosco ha fatto per anni lavori di poca importanza per amor di Dio, e continuerà a farne finché incrocerà le mani nella bara. Fa di tutto: raccoglie bambini abbandonati e li mette in case fidate, salva ragazze perdute, cura povere donne in difficoltà, cuce, lavora a ferri, è in continuo movimento, chiede aiuto e lavora per i poveri giorno dopo giorno senza altro compenso che il «grazie» dei bisognosi e l’affetto e la considerazione dei ricchi che fanno di santa Matilde la loro dispensatrice di carità. Questa è una vita degna di essere vissuta e io penso che questa semplice donnetta si meriterà in Cielo un posto ben più alto di molti di cui il mondo ha sentito parlare.

- So che è una bella cosa, signora Bhaer, ma non è una prospettiva allegra per le più giovani. Vorremmo almeno un po’ di gioia, prima di darci da fare con impegno, – disse una fanciulla dell’Ovest dal volto aperto e franco.

- Divertiti pure, mia cara, ma se devi guadagnarti il pane, cerca di renderlo dolce con l’allegria, e non amaro con il continuo rimpianto, che non è esattamente una delizia. In passato pensavo che il mio era un destino molto duro, perché dovevo divertire una vecchia signora stizzosa, ma i libri che io lessi nella sua biblioteca mi sono stati di grandissimo aiuto e la cara vecchia mi lasciò in eredità Plumfield, «per il mio servigio reso con animo sereno e per le mie affettuose cure». Io non lo meritavo, ma mi sforzavo di essere allegra e gentile, e cercavo

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di ricavare dal mio compito il maggior piacere possibile, grazie all’aiuto e ai consigli di mia madre.

- Dio mio! Se potessi trovare un posto simile canterei tutto il giorno e diventerei un angelo, ma ognuno di noi deve correre i propri rischi e magari non ricevere nessun premio per le sofferenze. Ma io non faccio mai così, – disse la fanciulla dell’Ovest, che passava momenti difficili, con i pochi mezzi e le molte aspirazioni.

- Non fare nulla per avere solo un compenso, ma stai sicura che esso verrà sia pure non nella forma che tu ti aspetti. Un inverno io lavorai sodo per guadagnare fama e denaro, ma non ottenni né l’uno né l’altra e ne fui molto delusa. Un anno dopo scoprii di aver guadagnato due premi: l’abilità di saper usare la penna e… il professor Bhaer.

Alla risata della signora Jo fece eco quella tra le ragazze, alle quali piacevano queste conversazioni ravvivate dagli esempi di vita vissuta.

- Lei è una donna molto fortunata, – cominciò la delusa fanciulla, la cui anima si innalzava al di sopra dei nuovi cappellini e non sapeva precisamente dove dirigersi.

- Eppure la chiamavano «l’infelice Jo» e non aveva mai ciò che desiderava, finché non rinunciò a sperare, – disse la signora Meg.

- Rinuncerò completamente a sperare allora e starò a vedere se i miei desideri saranno esauditi. Io non desidero che aiutare i miei e trovare una buona scuola dove insegnare.

- Prendi questo proverbio come regola: «Tieni pronta la rocca per filare e Dio ti manderà il lino», – rispose la signora Jo.

- Sarà bene far così, se dovremo restare zitelle, – disse la ragazza più carina, aggiungendo tutta contenta: – In fondo penso che mi piacerebbe, siamo così indipendenti! Mia zia Jenny può fare tutto quello che vuole e non deve mai chiedere il permesso a nessuno, ma la mamma deve chiedere a papà per ogni cosa. Bene Sally, ti darò la mia occasione e sarò «una cosa superflua», come dice il signor Plock.

- Tu sarai una delle prime a cadere prigioniera, vedrai se non sarà così. Comunque ti ringrazio.

- Bene, io terrò pronta la rocca da filare e accetterò qualsiasi lino il destino mi manderà, sia esso semplice che intrecciato,

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come a lui piacerà. - Questo è il giusto spirito, Nelly. Continua così e vedrai come

sarà lieta la vita affrontata con un cuore coraggioso, una mano volenterosa e tanto lavoro da fare.

- Io trovo che nessuno ha qualcosa da ridire sul lavorare molto in casa o sul divertirsi, ma il momento in cui ci mettiamo a studiare, tutti ci predicano che non potremo resistere e ci dicono di stare molto attente. Ho provato il lavoro e i divertimenti, ma mi sono tanto stancata che sono venuta in collegio benché i miei mi predicessero un esaurimento nervoso e una morte precoce. Vi pare che corra simili pericoli? – domandò una robusta ragazza, con un sguardo ansioso al suo volto fiorente, riflesso nello specchio di fronte.

- Vi sentite più forte o più debole di quando siete entrata qui due anni fa, signorina Winthrop?

- Molto più forte fisicamente e molto più lieta di spirito. Penso che prima morivo di noia, ma i dottori la chiamavano «debolezza costituzionale ereditaria». Ecco perché la mamma è sempre così in ansia ed io non mi do molto da fare.

- Non preoccuparti, cara: il tuo cervello attivo moriva d’inedia per mancanza di nutrimento, ora ne ha tanto e la vita semplice ti si addice meglio del lusso e dei divertimenti. È una sciocchezza pensare che le ragazze non sono capaci di rendere come i ragazzi. Né gli uni né le altre possono sopportare lo studio duro, ma nella giusta misura non può che giovare a entrambi i sessi, perciò goditi la vita a cui il tuo istinto ti ha condotto e noi dimostreremo che un saggio lavoro intellettuale è una cura migliore, per quel genere di debolezza ereditaria, dei tonici e dei romanzi letti sdraiate sui divani, dove troppe ragazze vanno a naufragare al giorno d’oggi! Così bruciano la loro candela da entrambi le estremità e, quando si ammalano, maledicono i libri e non i balli.

- La dottoressa Nan mi ha parlato di una sua paziente che credeva di soffrire di cuore finché Nan non le ha fatto togliere il corsetto, smettere di prendere il caffè e di ballare tutta la notte, e l’ha quindi obbligata a mangiare, dormire, passeggiare e vivere regolarmente ed ora è perfettamente guarita. «Il buon senso deve aiutare le abitudini», ha concluso Nan.

- Da quando sono arrivata qui non ho più avuto mal di testa,

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e riesco a studiare il doppio di quanto studiavo a casa. È l’aria, credo, e anche il piacere che si prova a superare i ragazzi, – disse un’altra ragazza, battendosi l’ampia fronte col ditale, come se il vivace cervello là dentro funzionasse proprio bene e si divertisse a fare la ginnastica quotidiana a cui era sottoposto.

- È la qualità che conta, non la quantità, lo sai. Può darsi che i nostri cervelli siano più piccoli, ma non credo che per questo manchino di quello che è loro richiesto; se non mi sbaglio, il ragazzo che nella nostra classe ha la testa più grossa è anche il più stupido, – disse Nelly con un’aria solenne, che provocò un uragano di risate. Tutte sapevano che il giovane Golia a cui ella alludeva era stato metaforicamente ucciso da questo Davide dallo spirito pronto in molti campi, con grande disgusto suo e dei suoi compagni.

- Signora Brooke, misuro dalla parte giusta o da quella sbagliata? – domandò la migliore allieva in greco della sua classe, guardando con espressione smarrita un grembiule di seta nera.

- Dalla giusta, signorina Pierson, ma lasciate un po’ di spazio tra le pieghe, sta meglio.

- Non ne farò mai più un altro, ma salverà abiti dalle macchie d’inchiostro, e sono contenta di averlo fatto, – e l’erudita signorina Pierson continuò a lavorare, trovandolo un compito molto più difficile di quello di risalire alla radice d’un verbo greco.

- Noi imbrattacarte dobbiamo imparare il modo di farci uno scudo contro le macchie, altrimenti siamo perdute. Vi darò il modello del grembiule che portavo nei miei giorni di «lampi di genio», come li chiamavano noi, – disse la signora Jo, cercando di ricordare dove fosse andata a finire la vecchia cucinetta di latta dove di solito nascondeva i suoi scritti.

- Parlare di scrittori mi fa ricordare che la mia ambizione è di diventare una George Eliot e di far fremere il mondo! Dev’essere così bello sapere di possedere un tale potere e sentire la gente ammettere che hai «un cervello maschile». La maggior parte dei romanzi scritti da donne non mi interessa, ma quelli della Eliot sono veramente stupendi. Non la pensate così anche voi, signora Bhaer? – domandò la ragazza con la

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fronte spaziosa e i nastri della gonna strappati. - Sì, ma non mi fanno fremere come i libri della piccola

Charlotte Brontë. C’è il cervello, ma sembra mancare il cuore, perciò ammiro George Eliot ma non la amo, e la sua vita mi sembra più triste di quella della Brontë, perché, nonostante il suo genio, il suo amore e la gloria le è mancata quella luce senza la quale nessuna anima è veramente grande, buona e felice.

- Sì, è vero, eppure la Eliot è così romantica, originale e misteriosa e in un certo senso, è stata anche grande. I suoi nervi e la sua dispepsia distruggono parecchio l’illusione, ma io adoro le persone famose e un giorno o l’altro intendo andare a Londra per vedere tutte quelle che mi riuscirà rintracciare.

- Troverai molte fra le migliori intente appunto al lavoro che ti ho raccomandato; e se proprio vuoi conoscere una gran dama ti dirò che la signora Laurence ha intenzione di portarne qui una oggi stesso. Lady Abercrombie è sua ospite a pranzo e, dopo aver visitato il collegio, verrà a farci visita. Era particolarmente ansiosa di vedere la nostra scuola di cucito, poiché è interessata a cose del genere e le organizza in casa sua.

- Buon Dio! Mi sono sempre immaginata che i nobili non facessero altro che andare in giro in carrozza a sei cavalli, partecipare a balli ed essere presentati alla regina in tricorno, strascico e piume! – esclamò un’ingenua ragazza del selvaggio Maine, dove un giornale illustrato arrivava molto di rado.

- Nient’affatto. Lord Abercrombie è venuto in America per studiare il nostro sistema carcerario e sua moglie si occupa di scuole; sono entrambi di nobilissime origini, eppure sono le persone più semplici e sensibili che abbia mai conosciuto. Non sono belli, né giovani e vestono senza ricercatezza, perciò non dovete aspettarvi niente di splendido. Ieri sera il signor Laurie mi parlava di un suo amico che aveva incontrato Lord Abercrombie nell’ingresso, e che a causa del volto rubicondo e del rozzo pastrano, l’aveva scambiato per un cocchiere perciò gli aveva domandato: «Cosa volete, buon uomo?» Il nostro Lord, allora, aveva detto gentilmente chi era e che era invitato a cena. E il povero ospite ne fu molto dispiaciuto, dicendo in seguito: «Ma perché non portava le medaglie e le decorazioni?

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Almeno così si sarebbe capito che era un Lord!» Le fanciulle risero, poi un fruscio generale rese chiaro che

ciascuna si stava facendo bella prima che l’ospite di riguardo arrivasse. Anche la signora Jo raddrizzò il suo colletto, la signora Meg sentì se la sua cuffia era a posto, mentre Bess scuoteva i suoi riccioli e Josie si guardava baldanzosamente allo specchio: a dispetto della filosofia e della filantropia, erano pur sempre donne!

- Dobbiamo alzarci tutte in piedi? – esclamò una ragazza, molto impressionata dall’onore che l’aspettava.

- Sarebbe carino. - Dobbiamo dare la mano? - No, vi presenterò tutte assieme e i vostri visetti pieni di

simpatia saranno la miglior presentazione. - Vorrei aver indossato il mio vestito migliore. Avrebbero

dovuto avvertirci! – bisbigliò Sally. - Che sorpresa sarà per i miei, quando dirò loro che una vera

Lady è venuta a farci visita! – disse un’altra. - Non fare la faccia di quella che non ha mai visto una

nobildonna prima d’ora, Milly. Non veniamo poi da un paese selvaggio! – aggiunse la fanciulla più robusta, che, avendo tra i suoi antenati gente che era stata a bordo della Mayflower, si sentiva alla pari con tutte le teste coronate d’Europa.

- Zitte, arriva! Dio, che cappello! – esclamò la fanciulla allegra con aria melodrammatica, e tutti gli sguardi si abbassarono sulle mani intente al cucito, mentre la porta si apriva per lasciar entrare la signora Laurence con la sua ospite.

Fu uno shock scoprire, quando furono finite le presentazioni, che quella discendente di centinaia di conti era una robusta signora dimessamente vestita, con un cappello sciupato, un rotolo di carte in una mano e un’agenda nell’altra. Ma il viso era pieno di benevolenza, la sua voce forte e molto gentile, i suoi sorrisi accattivanti, e aveva attorno a sé un’indescrivibile aura di nobiltà che fece ben presto dimenticare l’assenza di bellezza e il vestito semplice, così da rendere comunque memorabile quell’incontro agli occhi penetranti delle fanciulle a cui non sfuggiva nulla.

Seguì una breve conversazione sulla nascita, la crescita ed il

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successo di quella classe, e poi la signora Jo spostò il discorso sull’attività della dama inglese, ansiosa di dimostrare alle sue allieve come il lavoro nobiliti ancor più che il rango elevato, e la carità benedica la ricchezza.

Fu un bene per le fanciulle sentire parlare delle scuole serali tenute da donne che esse conoscevano e ammiravano: dalla protesta eloquente della signorina Cobbe che aveva ottenuto la protezione della legge per le mogli maltrattate, alla signora Butler che salvava i reietti, dalla signora Taylor che aveva adibito una stanza del suo storico palazzo a biblioteca per la servitù a Lord Shaftesbury, occupato con le case per gli operai nei bassifondi di Londra; e infine ascoltare della riforma carceraria e di tutto il lavoro fatto nel nome del Signore dai ricchi e dai grandi signori a favore degli umili e dei diseredati. Tutto questo le colpì molto di più di quanto avrebbero potuto fare le tranquille prediche ricevute in casa e fece nascere in loro l’ambizione di dare una mano quando fosse arrivato il loro momento, ben sapendo che anche nella gloriosa America c’è ancora tanto da fare prima che fosse come dovrebbe essere: una nazione veramente giusta, libera e grande. Capirono inoltre da subito che Lady Abercrombie trattava tutti da pari a pari, dalla dignitosa signora Laurence alla piccola Josie, che prendeva nota di tutto e si riprometteva di farsi regalare al più presto un paio di scarpe inglesi dalla suola spessa come quelle della visitatrice. Nessuno avrebbe immaginato che quella signora possedeva un gran palazzo a Londra, un castello nel Galles e una gran casa di campagna in Scozia, sentendola parlare con ammirazione del Parnaso e di Plumfield come di un «caro vecchio focolare» e del collegio come di una cosa che onorava quanti vi appartenevano. A questa osservazione tutte le teste si rialzarono un po’ e, quando la nobildonna se ne andò, ogni mano fu pronta a ricevere con calore la stretta cordiale che diede loro, accompagnata da parole che esse ricordarono a lungo: – Sono molto lieta di vedere così curato un ramo dell’educazione femminile generalmente trascurato e devo ringraziare la mia amica, la signora Laurence, di avermi mostrato uno dei quadri più belli che abbia mai visto in America: Penelope tra le sue ancelle.

Un gruppo di volti sorridenti seguì le grosse scarpe

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trascinarsi via e sguardi rispettosi accompagnarono il logoro cappello finché non fu fuori vista, e le ragazze sentirono per la loro nobile visitatrice più rispetto che se si fosse presentata con una carrozza a sei cavalli con tutti i suoi diamanti addosso.

- Ora sì che mi sono riconciliata con i «lavoretti», vorrei solo poterli fare bene come Lady Abercrombie, – disse una delle ragazze.

- Ringrazio la mia buona stella che i miei occhielli fossero ben fatti perché lei li ha guardati e ha detto: «Parola d’onore, sono perfetti», aggiunse un’altra, convinta che la sua veste di cotonina avesse acquistato un alto onore.

- I suoi modi sono gentili e dolci come quelli della signora Brooke. Nessuna aria di superiorità o condiscendenza come mi aspettavo. Adesso capisco, signora Bhaer, che cosa intendevate, quando una volta diceste che le persone beneducate sono uguali in tutto il mondo.

La signora Meg la ringraziò del complimento e la signora Bhaer aggiunse: – Io le riconosco appena le vedo, ma non riuscirò mai ad essere io stessa un modello in quanto a contegno. Mi fa piacere che abbiate goduto della visita. Ora se voi non volete che l’Inghilterra ci superi in molte cose, dovete lavorare con impegno e stare sempre tra le prime linee: le nostre sorelle, come vedete, fanno sul serio e non perdono il tempo a preoccuparsi della loro classe sociale, ma vanno ovunque il dovere le chiami.

- Faremo del nostro meglio, signora, – risposero di tutto cuore le ragazze, e sciamarono via coi loro cestini da lavoro, pensando che se anche non fossero diventate delle Harriet Martineau, delle Elizabeth Browning o delle George Eliot16, sarebbero tuttavia potute diventare donne nobili, utili e indipendenti e ricevere dalle labbra riconoscenti dei poveri qualche dolce appellativo, superiore a quello che qualsiasi regina avrebbe potuto concedere loro.

Capitolo diciottesimo Il giorno del diploma Il signore del tempo atmosferico ha evidentemente un

riguardo particolare per i giovani e manda il sole nei giorni del

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diploma più spesso che può. Una giornata particolarmente radiosa splendeva su Plumfield quando venne il giorno di quest’interessante ricorrenza, portando con sé la solita fioritura di rose, fragole, fanciulle biancovestite, giovani raggianti, amici orgogliosi e composte autorità piene di giusta soddisfazione per la messe scolastica di quell’anno. Poiché il collegio Laurence era misto, la presenza di ragazze, e non solo quindi di giovanotti, davano all’occasione un’animazione e una vivacità completamente assenti quando il gentil sesso compare solo in veste di spettatore. Le mani che voltavano le pagine di dotti libri possedevano anche la capacità di decorare di fiori l’ingresso; gli occhi affaticati dallo studio splendevano con calore ospitale verso le persone riunite, e sotto la bianca mussola battevano cuori colmi di ambizione, speranza e coraggio quanto quelli che si agitavano sotto i panciotti dei loro colleghi.

La collina del collegio, il Parnaso e la vecchia Plum formicolavano di volti allegri e ospiti, studenti e professori andavano su e giù nella piacevole eccitazione di arrivare e di dare il benvenuto. Tutti erano accolti con cordialità, sia che arrivassero in ricche carrozze o arrivassero a piedi per vedere il loro bravo figliolo o la loro brava ragazza conseguire gli onori in quel felice giorno che li compensava di tanti sacrifici reciproci. Il signore e la signora Laurie facevano parte del comitato di ricevimento e la loro bella casa traboccava di gente. La signora Meg, con Daisy e Josie come aiutanti, era ricercatissima dalle ragazze, aiutandole nel dare gli ultimi ritocchi ai vestiti e dando un’occhiata a sistemare le decorazioni. La signora Jo, in quanto moglie del preside e madre di Ted, era occupatissima; e infatti ci volle tutta la sua forza e la sua abilità per far indossare al figlio l’abito della domenica.

Non che avesse qualcosa contro l’eleganza, anzi adorava gli abiti ben confezionati, e grazie alla sua alta statura poteva sfoggiare un abito da società ereditato da un suo amico elegantone. L’effetto finale era piuttosto buffo, ma lui l’avrebbe indossato nonostante le beffe degli amici e sospirava inutilmente per un berretto di castoro che i suoi genitori gli avevano proibito nel modo più assoluto. Aveva un bel dire che

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in Inghilterra anche i ragazzini lo portavano ed erano infinitamente eleganti; sua madre gli rispose soltanto, accarezzandogli la testa bionda: – Ragazzo mio, sei abbastanza ridicolo così; se ti lasciassi mettere un cappello simile dovremmo scappare da Plumfield, tali e tante sarebbero le risate e lo scherno degli spettatori. Accontentati di sembrare una specie fantasma in agguato e non chiedere anche il più ridicolo copricapo del mondo.

Essendogli stato negato quel nobile simbolo di virilità, Ted consolò il suo animo ferito apparendo in pubblico con un colletto incredibilmente alto e inamidato e una cravatta che destò l’ammirazione di tutte le ragazze. Questo capriccio era una specie di vendetta contro l’inflessibile madre, perché quei colletti facevano disperare la stiratrice, perché non riuscivano mai bene e la cravatta richiedeva una tale abilità per essere annodata, che in certi casi tre donne dovevano darsi parecchio da fare, prima che lui – come Lord Brummell17 – dopo una serie di fallimenti, dichiarasse: «Può andare». In queste occasioni Rob si dedicava totalmente a lui, visto che il suo abbigliamento si distingueva per rapidità, semplicità e precisione. Ted di solito diventava frenetico prima di essere in ordine e dalla tana dove il Leone s’arrabbiava e l’Agnello pazientemente sopportava, si sentivano arrivare ruggiti, fischi, comandi e lamenti. La signora Jo sopportava finché non volavano scarpe e cominciava una pioggia di spazzole; allora, temendo per l’incolumità del figlio maggiore, correva a salvarlo, e con un saggio miscuglio di scherzi e rimproveri, riusciva alla fine a convincere Ted che era «una bellezza» se non addirittura «una gioia per gli occhi». Alla fine avanzava maestosamente, stretto in un colletto al cui confronto quelli dell’infelice Biler di Dickens erano sciocchezze neppur degne di essere menzionate. L’abito era un po’ largo di spalle, ma lasciava intravedere un bello sparato lucido, e insieme al fazzoletto che con noncuranza spuntava nell’angolo giusto, faceva davvero un bell’effetto. Le scarpe che erano lucide, ma altrettanto strette, comparivano a un’estremità del «lunga molletta nera», come lo chiamava Josie, mentre all’altra spuntava un viso giovanile che voleva apparire solenne, sostenuto dal colletto con un’angolazione tale che, se la faccenda fosse durata a

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lungo, avrebbe avuto come conseguenza un’incrinatura della spina dorsale. Guanti chiari, un bastone e – goccia amara in quel prezioso calice! – un ignobile cappello di paglia, per non parlare di un fiorellino all’occhiello e di una bella catena da orologio che davano l’ultima rifinitura a quell’impeccabile ragazzo.

- Che stile, eh? – domandò mostrandosi alla madre e alle cugine che doveva scortare in sala in questa particolare occasione.

Uno scoppio di ilarità lo salutò, seguito da esclamazioni di orrore perché si era messo i baffetti biondi che portava di solito quando recitava. Gli si addicevano e sembravano per lui l’unico balsamo che potesse guarire la ferita provocata dalla mancanza del beneamato cappello.

- Tirati subito via quella roba, sfacciato! Che direbbe tuo padre d’un simile scherzo, proprio in questo giorno in cui dobbiamo comportarci il meglio possibile – disse la signora Jo, tentando di mostrarsi irritata, pensando fra sé che nessuno dei ragazzi attorno a lei era bello e originale quanto il suo ragazzone.

- Lasciaglieli, zia, sta così bene! Nessuno crederà che non ha ancora diciotto anni, – esclamò Josie, a cui piaceva molto ogni genere di travestimento.

- Papà non se ne accorgerà neppure, tutto preso dai pezzi grossi e dalle ragazze. E se se ne accorgerà, apprezzerà lo scherzo e mi presenterà come suo primogenito. Rob non fa testo, mentre io sono splendido, – disse Ted avanzando con passo maestoso, come un Amleto in abito a coda e inamidato.

- Ragazzo, ubbidisci! – e quando la signora Jo parlava con quel tono la sua parola era legge. Tuttavia, più tardi, i baffi riapparvero e diversi estranei credettero fermamente che vi fossero tre figli Bhaer. Così Ted riuscì a trovare un raggio di sole ad illuminare il suo malumore.

Il signor Bhaer si sentì felice e orgoglioso quando, all’ora stabilita, guardò quella platea di giovani facce davanti a lui e ripensò alle «piccole aiuole» dove, anni prima, aveva gettato con fede e speranza i semi da cui sembrava essere scaturito il magnifico raccolto. Il caro vecchio viso del signor March splendeva della più serena soddisfazione, poiché questo era il

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sogno della sua vita realizzatosi dopo paziente attesa; e l’amore e la venerazione che i giovani gli dimostravano provavano chiaramente che il compenso da lui desiderato era arrivato in tutto e per tutto. Il signor Laurie in queste circostanze si faceva vedere entro i limiti concessi dalle buone maniere, poiché tutti rivolgevano lodi, poemi, orazioni al fondatore del collegio ed al nobile dispensatore della sua beneficenza. Le tre sorelle erano raggianti d’orgoglio, mentre sedevano tra le signore e godevano, come solo le donne possono, degli onori tributati agli uomini che amavano; i «veri Plum», come si chiamavano tra loro i più giovani, consideravano la festa un loro merito e ricevevano gli sguardi curiosi, ammirati o pieni invidia degli estranei, con un misto di dignità e di soddisfazione, davvero comico a vedersi.

La musica era eccellente, e doveva essere così, perché Apollo in persona dirigeva l’orchestra. I poemi, come sempre in tali occasioni, avevano un’altra valenza, poiché i giovani oratori cercavano di esprimere antiche verità con parole nuove e le rendevano efficaci con l’entusiasmo dei loro visi seri e le loro voci squillanti. Era bello vedere l’interesse profondo con cui le ragazze ascoltavano qualche compagno di studi e approvavano con un mormorio simile a quello del vento su un’aiuola di fiori. Ma era ancor più interessante e piacevole guardare attentamente le facce dei ragazzi, quando una snella figurina in bianco si stagliò sullo sfondo dei dignitari nerovestiti con le sue guance che arrossivano e impallidivano e le labbra che tremavano finché la serietà di quell’impegno non vinse la paura. Parlò apertamente, col cuore in mano, delle speranze e dei dubbi, delle aspirazioni e delle ricompense che tutti devono conoscere, desiderare e per cui bisogna lavorare. Questa chiara e dolce voce sembrò raggiungere e risvegliare ciò che di più nobile c’era negli animi di quei giovani e mettere un marchio su quegli anni di vita in comune che li rendeva per sempre sacri e indimenticabili.

L’orazione di Alice Heath fu giudicata all’unanimità il successo della giornata perché, senza essere sdolcinata o sentimentale, come purtroppo tendono ad essere questi primi tentativi dei giovani oratori, fu al contrario così seria, sensibile ed ispirata che l’oratrice lasciò il palcoscenico sotto un

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uragano di applausi essendo stati i buoni giovani così infiammati dal suo appello di «camminare fianco a fianco» come se avesse cantato la Marsigliese. Un ragazzo era così eccitato che per poco non si precipitò fuori dal suo posto per riceverla, mentre lei andava a nascondersi fra la compagne che l’accolsero con visi pieni di orgoglio affettuoso e con le lacrime agli occhi. Una prudente sorella trattenne il giovane, e subito fu in grado di ascoltare con compostezza le parole del preside.

E meritavano davvero di essere ascoltate, perché il signor Bhaer parlò come un padre ai figli da cui si accomiatava per lasciar spazio alle battaglie della vita, e le sue parole tenere, sagge e utili aleggiarono nei loro cuori, anche molto dopo che la lode fu dimenticata. Poi si svolsero altri saggi, tutti nello stile di Plumfield, e poi ci fu la conclusione. Come il tetto non fu scoperchiato quando i robusti polmoni di quei giovani così emozionati intonarono potentemente l’inno finale, resterà per sempre un mistero; ma il tetto rimase al suo posto e solo le ghirlande ormai appassite vibrarono quando l’onda sonora si innalzò per spegnersi poi lontano, lasciando dietro di sé un’eco dolce a presidiare quel luogo fino all’anno successivo.

Il pomeriggio trascorse in banchetti e rinfreschi e al tramonto ci fu un attimo di pausa, poiché tutti cercavano un po’ di riposo prima dell’inizio dei festeggiamenti serali. Il ricevimento in casa del preside era una delle maggiori attrattive del programma, come pure il ballo al Parnaso e le passeggiate, i canti e gli amoreggiamenti per quanto si riuscisse a far stare tutto insieme a poche ore dal diploma.

C’era un gran viavai di carrozze e vivaci gruppi di studenti sotto i portici, sui prati e alle finestre si chiedevano chi potessero essere quegli ospiti di riguardo. L’arrivo di un polveroso veicolo carico di bagagli, fermatosi alla porta ospitale del professor Bhaer, suscitò molti commenti curiosi fra quella gioventù che bighellonava, specialmente quando si videro scendere due giovani dall’aspetto straniero, seguiti da due signorine, e tutti e quattro furono accolti con esclamazioni di gioia e con grandi abbracci dai Bhaer. Poi tutti scomparvero dentro casa, seguiti dai bagagli, e i ragazzi furono lasciati a chiedersi chi mai fossero quei misteriosi forestieri, finché una bella collegiale dichiarò che dovevano essere i nipoti del

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professore, uno dei quali era atteso in viaggio di nozze. Aveva indovinato: Franz presentò con orgoglio la sua bionda

e bella sposa e non era stata quasi ancora baciata e benedetta che Emil si fece avanti mano nella mano con la sua Mary con questo sbalorditivo annuncio: – Zio, zia Jo, eccovi un’altra figlia. C’è posto anche per la mia di moglie?

Non vi fu alcun dubbio in proposito, perché Mary fu salvata a stento dai calorosi abbracci dei suoi nuovi parenti i quali, ricordando quello che la giovane coppia aveva sofferto assieme, capirono quella naturale e felice conclusione del lungo viaggio cominciato sotto ben altri auspici.

- Ma perché non ce l’hai detto, così saremmo stati pronti per due spose invece di una? – domandò la signora Jo, un po’ imbarazzata, perché come al solito era comparsa in vestaglia e bigodini, essendosi precipitata fuori dalla stanza, dove si stava preparando per le fatiche della sera.

- Beh, mi sono ricordato che bello scherzo era sembrato a tutti voi il matrimonio di zio Laurie e ho pensato di farvene uno simile, – disse Emil ridendo. – Sono in licenza e ho creduto che fosse la cosa migliore approfittare del vento e della marea favorevoli per accompagnare qui il vostro vecchio ragazzo. Speravamo di arrivare ieri sera, ma non ce l’abbiamo fatta; comunque siamo arrivati in tempo per assistere alla fine della festa.

- Figli miei, è una gioia grande vedervi tutti e due felici e di nuovo sotto questo tetto. Non ho parole per esprimere la mia gratitudine e chiedere al buon Dio in Cielo di proteggervi sempre e conservarvi a lungo, – disse il professor Bhaer, tentando di stringerli nelle sue braccia tutti e quattro assieme, mentre le lacrime scorrevano sulle sue guance e il suo inglese andava a farsi benedire.

Un acquazzone d’aprile rinfrescò l’aria e alleggerì i cuori troppo emozionati della felice famiglia; poi tutti cominciarono a parlare, Franz e Ludmilla in tedesco con lo zio, Emil e Mary con le zie, e attorno a questo gruppo si raccolsero i giovani ansiosi di sentire tutto sul naufragio, sul salvataggio e sul viaggio verso casa. Fu una cosa solenne e commovente vedere e sentire quelle creature felici parlare del grave pericolo corso e del salvataggio, mentre le brevi e concise frasi di Emil

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venivano interrotte ogni tanto dalla voce dolce di Mary, che citava alcuni fatti che sottolineavano il coraggio, la pazienza, l’abnegazione a cui lui aveva solo accennato.

- Non posso sentire il ticchettio della pioggia senza provare il desiderio di pregare; e per quanto riguarda le donne, vorrei levarmi il cappello davanti a ognuna di loro, perché sono più coraggiose di tutti gli uomini che ho conosciuto finora, – disse Emil con una serietà del tutto nuova in lui, che gli donava tanto quanto la nuova gentilezza con cui trattava tutti.

- Se le donne sono coraggiose, alcuni uomini sono affettuosi e pieni d’abnegazione come le donne. Ne conosco uno che di notte faceva scivolare la sua razione di cibo nelle tasche di una ragazza, nonostante lui stesso morisse di fame, e che stava seduto per ore a cullare un malato nelle sue braccia perché potesse dormire. No, amore mio, voglio raccontarlo e tu devi permetterlo, – esclamò Mary, tenendo tra le sue la mano che lui aveva posato sulle sue labbra per farla tacere.

- Non ho fatto che il mio dovere. Se quel tormento fosse durato più a lungo avrei potuto diventare cattivo come Barry e il nostromo. Che notte tremenda, eh? – disse Emil fremendo al solo ricordo.

- Non pensarci, caro. Parla dei giorni felici a bordo dell’Urania, quando papà migliorava e noi viaggiavamo verso casa sani e salvi, – replicò Mary con lo sguardo fiducioso e allontanando la parte più dura della terribile esperienza a favore del lieto fine.

Emil ritrovò subito il sorriso e, sedendo con il braccio attorno alla vita della «cara ragazza» come fanno i marinai, raccontò la felice conclusione della storia.

- Che giorni felici trascorremmo ad Amburgo! Lo zio Hermann non poteva fare tutto quello che serviva per il capitano e, mentre la madre si occupava di lui, Mary si prendeva cura di me. Avevo bisogno di entrare in cantiere per le riparazioni; il fuoco aveva ferito i miei occhi, e il continuo scrutare l’orizzonte alla ricerca di una vela e la mancanza di sonno me li avevano annebbiati, come avessi davanti la nebbia di Londra. È stata il mio pilota e mi portò in salvo, come vedete, e quindi non riuscii più a separarmi da lei, e così salii a bordo come primo ufficiale e ora mi dirigo a gonfie vele verso

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la gloria. - Zitto, caro, non dire sciocchezze, – sussurrò Mary, cercando

a sua volta di farlo tacere, con quella timidezza tipicamente inglese per le cose di cuore. Ma lui prese tra le sue le morbide manine della ragazza e, osservando con orgoglio l’unico anello che portava, continuò con l’aria di un comandante sulla nave ammiraglia: – Il capitano aveva suggerito di aspettare ancora un po’, ma io gli dissi che difficilmente avremmo visto un tempo peggiore di quello trascorso assieme e che se non ci conoscevamo dopo un anno come quello, non ci saremmo conosciuti mai. Ero sicuro di non valere più nulla senza questa manina sul timone, così la convinsi e la mia coraggiosa mogliettina si è imbarcata con me per il lungo viaggio della vita. Che Dio la benedica!

- Ma ti imbarcherai veramente con lui? – domandò Daisy, ammirando il suo coraggio, ma rabbrividendo con l’orrore tipico dei gatti nei confronti dell’acqua.

- Non ho paura, – rispose Mary con un sorriso leale. – Ho visto il mio capitano alla prova nel buono e nel cattivo tempo e se mai farà di nuovo naufragio, preferisco essere con lui, piuttosto che stare a terra ad aspettare.

- Sei proprio una donna sincera e una vera moglie di marinaio! E tu sei un uomo fortunato, Emil! Sono sicura che questo viaggio sarà propizio, – esclamò la signora Jo, deliziata dall’aria di mare che spirava da questo idillio. – Oh! mio caro ragazzo, ho sempre sentito che saresti tornato, e quando tutti disperavano io non mi detti mai per vinta, ma insistevo nel dire che eri aggrappato all’albero maestro da qualche parte su quel dannato mare.

E la signora Jo sottolineò la sua fiducia abbracciando Emil con un gesto autenticamente teatrale.

- Era proprio così, – rispose Emil con calore, – e in questo caso l’albero maestro era il pensiero di ciò che tu e lo zio mi avevate detto. Fu questo che mi sostenne, e fra i mille pensieri che mi assalirono durante quelle lunghi notti, nessuno era più chiaro dell’idea del filo rosso, ricordi, quello della Marina inglese, e tutto il resto. Mi piaceva quell’idea e giurai che se un pezzetto della mia gomena fosse rimasto a galla, in esso ci sarebbe stato il filo rosso.

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- C’era, mio caro, c’era! Il capitano Hardy lo testimonia e questa è la tua ricompensa, – e la signora Jo baciò Mary con una tenerezza materna, che svelò come preferisse la rosellina inglese al tedesco fiordaliso dagli occhi azzurri, per quanto dolce e riservato fosse.

Emil osservò compiaciuto la scenetta, dicendo poi, mentre guardava la stanza che aveva pensato di non rivedere più: – È strano, non vi pare, come nell’ora del pericolo tornino alla mente in tutta chiarezza certi particolari! Mentre galleggiavamo là, disperati e mezzi morti di fame, pensavo sempre di sentir suonare la campana del collegio e Ted scendere di corsa le scale, e tu zia Jo dire: «Ragazzi, ragazzi, è ora di alzarsi!» Sentivo veramente l’odore del caffè che prendevamo la mattina e una notte per poco non piansi, svegliandomi mentre sognavo i pasticcini allo zenzero. Vi garantisco che fu una delle più amare delusioni della mia vita affrontare la fame con quell’odore di spezie alle narici. Oh zia! Se ne hai qualcuno, dammelo subito!

Un mormorio compassionevole salì da quel consesso di zie e cugine, ed Emil fu trascinato via a festeggiare con i tanto agognati pasticcini, dato che ce n’era sempre una scorta a portata di mano. La signora Jo e sua sorella si unirono all’altro gruppo, felici di sentire quello che Franz diceva di Nat.

- Nel momento in cui ho visto com’era magro e malvestito, ho capito che qualcosa non andava; lui ha cercato di sviare il discorso, ed era così felice per la nostra visita e per le notizie che gli portavamo che se l’è cavata con una breve confessione. Allora sono andato dai professor Baumgarten e Bergmann e da loro sono venuto a conoscenza di tutta quanta la storia, il suo spendere più denaro di quanto avrebbe dovuto, e il suo tentativo di rimediare lavorando in modo straordinario e facendo molti sacrifici. Baumgarten pensava che gli avrebbe fatto bene e mantenne il segreto finché io arrivai. E gli ha fatto bene davvero, ha pagato tutti i debiti e s’è guadagnato il pane col sudore della fronte, come ogni uomo onesto.

- È questo che mi piace in Nat, e come avevo previsto è stata una buona lezione per lui e l’ha imparata a dovere. Ha dimostrato di essere uomo e si è meritato il posto che Bergmann gli offre, – disse il signor Bhaer con un’aria

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soddisfatta, mentre Franz aggiungeva altri particolari da noi già ricordati.

- Te l’avevo detto, Meg, che aveva della stoffa e che l’amore di Daisy l’avrebbe tenuto sulla retta via. Caro ragazzo, come vorrei averlo qui in questo momento! – esclamò, la signora Jo, dimenticando, nella gioia, le ansie e i dubbi che l’avevano preoccupata nei mesi precedenti.

- Sono contenta e suppongo che, come al solito, finirò per cedere, specialmente ora che l’epidemia è ormai in mezzo a noi. Tu ed Emil avete eccitato la loro immaginazione e Josie vorrà avere il fidanzato prima che abbia il tempo di voltarmi, – rispose la signora Meg, con comica disperazione.

Ma sua sorella vide che era commossa dalle tribolazioni di Nat e s’affrettò a esaltare il suo trionfo, perché la vittoria fosse anche più completa; e si sa, il successo è sempre una cosa affascinante.

- L’offerta di Bergmann è molto buona, non è vero? -domandò, benché il signor Laurie l’avesse già illuminata su questo punto, quando la lettera di Nat aveva portato la notizia.

- Ottima da ogni punto di vista. Nat potrà esercitarsi alla perfezione nell’orchestra di Bachmeister, visiterà Londra comodamente e, se gli andrà bene, potrà tornare in America con loro, ben avviato tra i violini. Non avrà grandi onori, ma un impiego sicuro e un passo avanti nella sua carriera. Mi ero congratulato con lui e lui mi fece ridere dicendo, da autentico innamorato qual è: «Dillo a Daisy, raccontale tutto!» Lascio l’incarico a te, zia Meg, e potrai anche comunicarle che il ragazzo di un tempo ha ora una bella barba bionda. Gli dona molto, gli nasconde le labbra sottili e conferisce un’aria nobile ai suoi grandi occhi e alla sua «fronte mendelssohniana», come l’ha definita una ragazza di spirito. Ludmilla ha per voi una sua fotografia.

La cosa li divertì ed essi ascoltarono molte altre interessanti notizie su Nat, che il buon Franz, persino nella sua felicità, non aveva dimenticato di ricordare per amore del suo amico. Sapeva raccontare tanto bene e descriveva così vividamente il paziente e doloroso cambiamento di Nat che la signora Meg era ormai conquistata. Tuttavia se fosse venuta a conoscenza dell’episodio di Minna e i concerti nei giardini delle birrerie o

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per le strade, non avrebbe ceduto così presto. Comunque serbò dentro il proprio cuore tutto ciò che aveva sentito e, da vera donna, si ripromise una bella chiacchierata con Daisy, durante la quale avrebbe fatto finta di cedere poco a poco, di cambiare il dubbioso «Staremo a vedere», con un cordiale: «Si è comportato bene, sii felice, cara».

Nel bel mezzo di quest’allegra chiacchierata l’improvviso battere dell’orologio riportò alla realtà la signora Jo e, toccandosi i bigodini, esclamò: – Oh! benedetti ragazzi, ma voi dovete mangiare e riposarvi ed io devo vestirmi, altrimenti dovrò ricevere gli ospiti in questo stato. Meg, vuoi accompagnare in camera Mary e Ludmilla e occuparti di loro? Franz conosce la strada per andare in sala da pranzo. Tu, Fritz, vieni con me a metterti in ordine, perché con il caldo e l’emozione sembriamo proprio due naufraghi!

Capitolo diciannovesimo Rose bianche Mentre gli ospiti si rinfrescavano e la signora Jo lottava per

entrare nel suo abito di gala, Josie corse in giardino per raccogliere fiori da offrire alle spose. L’arrivo improvviso di quelle dolci creature aveva incantato la romantica ragazza e la sua testolina era piena di salvataggi eroici, di tenera ammirazione e di una curiosità tutta femminile di sapere se le spose quella sera avrebbero indossato il loro abito di nozze oppure no. Stava davanti ad un grande cespuglio di rose bianche e sceglieva le più belle per formare due mazzi che aveva intenzione di legare col nastro che aveva sul braccio, e deporli sui tavoli da toeletta delle nuove cugine, come gentile omaggio, quando un passo la fece trasalire e, alzando gli occhi, vide suo fratello che veniva giù per il vialetto a braccia conserte, testa bassa e l’aria assente di uno assorto in profondi pensieri.

- Sophy Wackles, – disse l’acuta fanciulla, con un sorriso di superiorità, succhiandosi il pollice che si era appena punta nella fretta di strappare un ramo spinoso.

- Cosa stai facendo, piccola peste? – le domandò Demi con gesto drammatico, perché, sentiva, ancor prima di vedere, un

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ostacolo che disturbava il suo sogno ad occhi aperti. - Sto cogliendo rose per le «sposine». Non ti piacerebbe averne

una? – rispose Josie, a cui la parola «peste» aveva suggerito il suo divertimento preferito.

- Cosa, un fiore o una sposa? – domandò Demi con calma, benché i suoi occhi fissassero il cespuglio fiorito come se avesse un interesse insolito e improvviso per lui.

- Tutt’e due: tu prendi il primo e io ti offro l’altra. - Davvero potessi! – e Demi colse un bocciolo di rosa, con un

sospiro che andò dritto al cuore di Josie. - E perché no? È bello vedere la gente così felice, e se vuoi

esserlo, questo è il momento propizio. Tra poco lei se ne andrà per sempre.

- Chi? – e Demi colse un bocciolo semischiuso, con un improvviso rossore in viso che fece divertire Josie.

- Non fare lo gnorri. Sai benissimo che intendo Alice. Senti, «Jack», ti voglio bene e voglio aiutarti; è una cosa così bella tutti questi innamorati e nozze e cose del genere, e dovremmo anche noi avere la nostra parte. Perciò segui il mio consiglio e sputa il rospo per scoprire prima che parta se Alice ti ama o no.

Demi rise della serietà del consiglio datogli dalla ragazzina, ma gli piacque e rivelò che gli andava a genio, dicendole dolcemente, invece di strapazzarla come il solito: – Sei tanto cara. E, visto che sei così saggia, vuoi suggerirmi come devo fare per «sputare il rospo», come – e con quanta eleganza – dici tu?

- Oh! Ci sono molti modi, lo sai. Nelle commedie, gli innamorati si mettono in ginocchio, ma è una posa scomoda, quando si hanno le gambe lunghe. Ted non ci riesce mai bene anche se lo faccio esercitare per ore. Potresti dirle: «Devi essere mia, devi essere mia» come il vecchio che gettava cetrioli al di là del muro alla signora Nickleby, se vuoi essere allegro e spigliato, oppure potresti scrivere una poesia. E direi che questo l’hai già fatto.

- Ma Josie! Io amo Alice seriamente e credo che lei già lo sappia. Voglio dirglielo, ma perdo la testa appena ci provo e ho paura di essere ridicolo. Pensavo che tu potessi suggerirmi qualche modo originale: leggi tante poesie e sei così romantica!

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Demi cercava di essere chiaro, ma nel dubbio del suo amore, dimenticava la sua dignità e il suo solito riserbo e chiedeva alla sorellina di insegnargli come formulare quella domanda a cui si può rispondere con una sola parola. L’arrivo dei suoi cugini così felici aveva sconvolto tutti i suoi piani e la sua ferma decisione di aspettare ancora. La rappresentazione di Natale gli aveva dato il coraggio di sperare e il discorso di poco prima l’aveva riempito di tenero orgoglio, ma la vista di quelle fiorenti spose e di quei ragazzi raggianti era troppo per lui ed era ansioso di assicurarsi la sua Alice senza aspettare un’ora di più. Daisy era la sua confidente abituale in tutto, tranne che in questo; un senso di fraterna simpatia l’aveva trattenuto dal confidarle le sue speranze, poiché le sue le erano proibite. Sua madre era gelosa di qualsiasi ragazza lui ammirasse, tuttavia sapendo che le piaceva Alice, continuava ad amarla e si godeva questo segreto da solo, con l’intenzione di dirle presto ogni cosa.

Ora improvvisamente Josie e quelle rose sembravano suggerirgli una rapida conclusione alla sua dolce perplessità e lui era disposto ad accettare il suo aiuto, come il leone intrappolato aveva accettato quello del topolino.

- Penso che le scriverò, – cominciò lui lentamente, dopo una pausa, durante la quale entrambi cercavano di farsi venire un’idea nuova e brillante.

- Ho trovato! È un’idea proprio carina! E si addice a lei e anche a te che sei poeta, – esclamò Josie con un balzo.

- Che cos’è? Non scherzare, ti prego, – la supplicò il povero innamorato, curioso, ma sempre spaventato davanti a quella piccola donna dalla lingua pungente.

- L’ho letto in una novella di miss Edgeworth che parlava di un uomo che offre alla donna del suo cuore tre rose, un bocciolo, una rosa appena schiusa e una perfettamente sbocciata. Non mi ricordo quale lei abbia scelto, ma questo è un modo grazioso per esprimersi e Alice lo conosce perché era presente quando leggemmo l’episodio. Qui ci sono tutti i tipi, hai già i due boccioli, ora cogli la rosa più bella e io ne farò un mazzolino e lo metterò nella sua camera. Dev’essere venuta ad aiutare a vestire Daisy, così posso fare tutto per bene.

Demi ci pensò un attimo, con gli occhi fissi sul cespuglio dei

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«fiori nuziali», mentre un sorriso gli comparve sul volto ed era così diverso da qualsiasi altro prima, che Josie ne fu commossa e volse altrove lo sguardo, come se non avesse il diritto di vedere l’alba di quella passione che, finché dura, rende l’uomo felice come un dio.

- Fai così, – fu tutto quello che le disse, e colse una rosa sbocciata per completare il suo messaggio d’amore floreale.

Josie, affascinata all’idea che ci fosse il suo zampino in quella storia, fece un grazioso nodo col nastro attorno allo stelo dei fiori e finì con molta soddisfazione il suo terzo mazzetto, mentre Demi scriveva sopra un cartoncino: «Cara Alice, Tu conosci il significato di questi fiori. Vuoi appuntartene uno, o anche tutti, questa sera e rendermi anche più orgoglioso, innamorato e felice di quanto io già sia? – Tutto tuo, John».

Consegnandolo alla sorella, le disse in un tono che le fece sentire la grande importanza della sua missione: – Ho fiducia in te, Josie. Questo significa tutto per me. Non far scherzi, cara, se mi vuoi bene.

La risposta di Josie fu un bacio che prometteva ogni cosa; poi corse via a compiere la sua «missione segreta», come Ariel, lasciando Demi a sognare fra le rose, come Ferdinando.

Mary e Ludmilla furono conquistate dai loro mazzi di fiori e la donatrice ebbe il piacere di appuntare alcune rose nella capigliatura bruna e bionda, mentre faceva da cameriera nello spogliatoio delle «sposine», il che la consolò della delusione in materia di abiti nuziali.

Nessuno aiutava Alice a vestirsi, perché Daisy era nella camera accanto con sua madre, cosicché neppure i loro occhi amorosi videro l’accoglienza fatta al piccolo mazzo, né le lacrime, i sorrisi e i rossori che si alternarono sul suo viso, mentre leggeva il biglietto e pensava alla risposta che avrebbe dovuto dare. Non c’era alcun dubbio su quale avrebbe desiderato dare, ma il dovere la tratteneva dal farlo, perché a casa l’aspettavano una madre malata e un vecchio padre. C’era bisogno di lei là e dell’aiuto che poteva ormai dare con l’istruzione che quattro di anni di diligenti studi le avevano dato.

L’amore sembrava molto dolce e una piccola casa sua e di John un paradiso in terra; ma ancora non vi poteva pensare. E

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lentamente mise da parte la rosa sbocciata, mentre sedeva davanti allo specchio, meditando sulla grande questione della sua vita.

Era saggio e prudente chiedergli di aspettare, legarlo con una promessa, o anche solo esprimere a parole il grande amore e la grande stima che aveva per lui? No, era più generoso compiere da sola il sacrificio e risparmiargli il dolore di speranze troppo a lungo posposte. Lui era giovane, l’avrebbe dimenticata e lei avrebbe potuto compiere meglio il suo dovere se nessun innamorato impaziente fosse stato lì ad attenderla. Con gli occhi velati di lacrime e una mano che indugiava sullo stelo che egli aveva privato di spine, mise la rosa semi-sbocciata accanto a quella fiorita, domandandosi se avrebbe potuto appuntarsi almeno un piccolo bocciolo. Pareva assai misero e pallido accanto agli altri, tuttavia essendo nello spirito incline a sacrificarsi, che l’amore vero porta con sé, pensò che era troppo dargli anche la pur minima speranza, se poi non avesse potuto farla seguire da una maggiore Mentre fissava tristemente quei simboli d’un amore che le diveniva sempre più caro, ascoltò quasi senza volerlo, il mormorio di voci dalla stanza accanto. Le finestre aperte, le pareti sottili e il silenzio del crepuscolo estivo rendevano impossibile non sentire e dopo pochi momenti non potè più trattenersi perché stavano parlando di John.

- E stato veramente gentile da parte di Ludmilla portarci boccette di acqua di Colonia originale. Era proprio quello che ci voleva dopo una giornata così estenuante! Ce ne sarà anche per John, gli piace tanto!

- Sì, mamma. Hai visto come è balzato dalla sedia quando Alice ha terminato il suo discorso? Sarebbe volato da lei se non lo avessi trattenuto. Non mi stupisce che fosse contento e orgoglioso di lei, perché anch’io ho rovinato i guanti a forza di battere le mani e ho persino dimenticato che non mi piace vedere le donne sulle tribune, tanto era così cara e spontanea e dolce, dopo il primo momento di imbarazzo.

- Non ha detto niente a te? - No, e indovino il perché. Il caro ragazzo pensa che mi

avrebbe resa infelice, ma non è così. Ma conosco il suo modo di fare, perciò aspetto e spero che tutto vada al suo posto.

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- Deve andar bene! Nessuna ragazza saggia rifiuterebbe il nostro John, anche se non è ricco e se non lo sarà mai. Daisy, morivo dalla voglia di dirti cosa ne ha fatto del suo denaro. Me l’ha detto ieri sera ma finora mi era mancato il tempo per raccontartelo. Ha fatto ricoverare il giovane Burton all’ospedale e ve l’ha mantenuto, finché non gli hanno salvato la vita, ed è stata una cosa abbastanza dispendiosa. Ma ora quell’uomo può lavorare e provvedere ai vecchi genitori. Era disperato, ammalato, povero e troppo orgoglioso per chiedere aiuto e il nostro caro ragazzo l’ha scoperto, ha speso fino all’ultimo centesimo che aveva, tutto senza dir nulla a nessuno, neppure a sua madre, finché lei stessa non l’ha costretto a farlo.

Alice non sentì cosa rispose Daisy perché era troppo presa dalle sue stesse emozioni; dovevano essere felici, a giudicare dal sorriso che brillava nei suoi occhi e dal gesto deciso con cui si appuntò il bocciolo di rosa sul petto, dicendo a se stessa: «Merita una ricompensa per la sua buona azione e l’avrà».

La signora Meg stava parlando, e ancora di John, quando fu di nuovo in grado di ascoltare.

- Qualcuno potrebbe giudicare l’atto di John imprevidente e temerario, dato che possiede tanto poco, ma io credo che il suo primo investimento sia saggio e buono, perché «Chi dona ai poveri, presta a Dio», ed ero così contenta ed orgogliosa che non ho voluto rovinare la sua buona azione offrendogli del denaro.

- E il fatto di non possedere nulla da offrire che non gli ha fatto dire niente a nessuno, penso. È chiaro che non farà la sua domanda finché non avrà molto da offrire, ma lui dimentica che l’amore è tutto! E io so che in questo è molto ricco: lo vedo e lo sento e qualsiasi donna dovrebbe essere fiera di averlo.

- Hai ragione, cara. Anch’io la pensavo così ed ero disposta a lavorare e ad aspettare col mio John e per lui.

- Anche lei lo sarà e spero che lo capiranno. Ma è tanto buona e ha un tal senso del dovere che temo non voglia permettersi di essere felice. Tu mamma, saresti contenta?

- Contentissima, perché non esiste una ragazza migliore e più nobile di lei. E tutto quello che posso desiderare per mio figlio e non voglio perdere quella cara e coraggiosa creatura, se posso

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far qualcosa. Ha un cuore abbastanza grande perché vi sia posto per l’amore e per il dovere. Ma essi possono aspettare più serenamente se lo fanno assieme, perché d’altronde dovranno attendere, senza dubbio.

- Sono così felice che tu approvi la sua scelta e gli sia risparmiata la più triste delusione.

La voce di Daisy a questo punto si spezzò e un improvviso fruscio, seguito da un sommesso mormorio, parve rivelare che la ragazza era tra le braccia di sua madre per cercare e trovare conforto. Alice non udì altro e chiuse la finestra con un’aria un po’ colpevole ma un viso raggiante, perché in quel caso il vecchio proverbio su chi origlia non valeva e aveva saputo più di quanto avrebbe mai osato sperare. Le cose sembrarono cambiare improvvisamente: sentiva che il suo cuore poteva accogliere l’amore e il dovere, sapeva che sarebbe stata bene accolta dalla madre e dalla sorella di John e il ricordo del destino meno felice di Daisy, del duro tirocinio di Nat della lunga attesa e della possibile separazione per sempre, tutto le tornò in mente così vividamente che la prudenza le parve crudeltà, il sacrificio di sé una romantica follia e qualunque altra cosa, che non fosse stata la pura verità, un atto di slealtà verso il suo innamorato. Mentre pensava queste cose la rosa semiaperta andò ad unirsi al bocciolo e poi, dopo una pausa, Alice baciò lentamente la rosa fiorita e l’aggiunse al gruppo rivelatore dicendo a sé stessa, con una sorta di dolce solennità, come se quelle parole fossero un voto: «Amerò, lavorerò e aspetterò col mio John e per lui».

Fu un bene per lei che Demi fosse assente quando scese per unirsi agli ospiti, che cominciarono presto ad andare su e giù per la casa in un flusso continuo. Il nuovo splendore che animava il suo volto di solito così pensoso fu facilmente spiegato con la gioia per le congratulazioni che riceveva come oratrice, e la leggera agitazione che si poteva notare, quando le si avvicinò un gruppo di giovani, passò presto, poiché nessuno di essi notò i fiori che portava sul suo cuore felice. Nel frattempo Demi faceva da guida per il collegio ad alcuni personaggi illustri e aiutava il nonno a intrattenerli con discussioni sui metodi pedagogici di Socrate, su Pitagora, Pestalozzi, Froebel e tutti gli altri che lui avrebbe mandato

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volentieri in fondo al Mar Rosso; e non c’è da meravigliarsi, perché il suo cuore e la sua mente erano pieni di amore e di rose, di speranze e di timore. Alla fine guidò gli «autorevoli, gravi e riveriti signori», sani e salvi a Plumfield e li fece atterrare davanti allo zio e alla zia Bhaer, che ricevevano in pompa magna, l’uno pieno di genuina contentezza nei confronti di tutti gli uomini e le cose, l’altra sopportando la tortura col sorriso sulle labbra, mentre stringeva mani su mani, fingendo di non accorgersi del triste fatto che l’imponente professor Plock si era accampato sullo strascico del vestito di velluto delle grandi occasioni.

Con un lungo sospiro di sollievo Demi si guardò attorno, cercando l’amata fanciulla. La maggior parte della gente avrebbe cercato a lungo prima di riuscire a scoprire un angelo in particolare nella folla biancovestita delle sale, dei salotti e dello studio, ma il suo occhio si volse, come l’ago magnetico in direzione del polo, verso l’angolo dove una liscia testolina bruna con la sua corona di trecce, si stagliava come quella di una regina, o almeno così pensò lui, al di sopra della folla che la circondava. Sì, aveva una rosa sul petto: una, due… oh! Visione sublime! Vide tutto questo da un capo all’altro della sala e emise un sospiro così rapito che fece ondeggiare la capigliatura arricciata della signorina Perry, come se l’avesse investita una raffica di vento. Non vide la rosa sbocciata, perché era nascosta da un nastro, e fu bene, forse, che la beatitudine arrivasse per gradi, altrimenti avrebbe fatto sussultare la moltitudine lì riunita, volando verso il suo idolo, poiché non c’era nessuna Daisy, pronta ad afferrarlo per la coda dell’abito. Un’imponente signora assetata di informazioni s’impadronì di lui proprio in quel momento delizioso, e lui fu costretto ad indicare le varie celebrità con una pazienza da santo che avrebbe meritato una ricompensa migliore di quella che ricevette, perché una certa distrazione e incoerenza di linguaggio a tratti fecero sussurrare all’ingrata dama, rivoltasi alla prima amica incontrata, dopo che Demi era scappato via: – Non ho visto in giro né vino né liquori, eppure è evidente che il giovane Brooke ha bevuto troppo. È un gentiluomo, ma chiaramente già ubriaco.

Se lo era! Ma di un vino più inebriante di qualsiasi altro che

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avesse spumeggiato ad un pranzo di diploma, per quanto molti studenti ne conoscessero il sapore. Quando si fu liberato della vecchia signora, si voltò, lieto, a cercare la giovane, deciso a sentire una sola parola. La vide in piedi accanto al piano, sfogliando distrattamente degli spartiti, mentre chiacchierava con diversi signori. Nascondendo la sua impazienza sotto un’aria da scolaro in vacanza, Demi si aggirò lì intorno, pronto a farsi avanti quando sarebbe arrivato il momento giusto, e domandandosi nel frattempo perché le persone anziane persistessero nell’accaparrarsi quelle giovani, invece di stare sedute in un angolo a chiacchierare con i loro coetanei. Le persone anziane in questione, alla fine, si ritirarono ma solo per essere sostituite da due allegri ragazzi che pregarono miss Heath di accompagnarli fino al Parnaso e di partecipare al ballo. Demi era assetato di sangue nei loro confronti, ma si calmò sentendo George e Dolly esclamare, mentre si soffermarono un minuto, dopo il rifiuto di Alice: – Veramente, sai, mi sono fatto quasi convincere dall’idea dell’educazione mista. Dà un certo fascino allo studio e un certo gusto persino al greco vedere ragazze affascinanti che vi si dedicano, – disse Stuffy, che trovava il sapere così arido che ogni cosa che lo insaporisse era il benvenuto e si sentiva come se ne avesse scoperto una nuova.

- Sì, per Giove! Noi ragazzi dobbiamo stare attenti, altrimenti voi vi prenderete tutti gli onori. Oggi, Alice sei stata stupenda, e ci hai tenuti tutti prigionieri come di un incantesimo, anche se lì dentro faceva così caldo che ho davvero pensato che non avrei potuto resistere se non per te! -soggiunse Dolly, che cercava di fare il galante e che offriva una toccante prova di devozione perché il caldo aveva reso floscio il suo colletto, messo fuori posto i suoi ricci e sciupato i suoi guanti.

- C’è posto per tutti e se ci lascerete i libri, noi vi lasceremo il baseball, il canottaggio, la danza e i flirt, che mi sembrano le materie che voi preferite, – rispose Alice dolcemente.

- Adesso sei troppo dura con noi! Non possiamo sgobbare tutto il tempo e voi signore non sembrate disdegnare di darvi da fare nelle due ultime materie che hai menzionato, – ribatté Dolly, con una occhiata a George, occhiata che diceva chiaramente: «Questa volta ho colto nel segno».

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- Alcune di noi lo fanno, nei primi anni, poi la finiamo con gli svaghi infantili. Ma non permettete che io vi trattenga più a lungo lontani dal Parnaso; – e con un cenno sorridente si accomiatò da loro, a cui bruciava l’amara consapevolezza di essere dei «ragazzini».

- Le hai buscate, Dolly. Meglio non cercare di combattere contro queste ragazze superiori. Si è sicuri di essere sconfitti, perché chiamerebbero a raccolta cavalleria, fanteria e dragoni, – disse Stuffy, allontanandosi quietamente, alquanto contrariato da tutto quello sfoggio di sapere.

- È stata così dannatamente sarcastica! Non credere che sia molto più vecchia di noi. Le ragazze crescono più in fretta, però non c’è bisogno che si dia delle arie e parli come una vecchia signora, – borbottò Dolly, sentendo di aver sacrificato i suoi guanti sull’altare di una Pallade ingrata.

- Vieni con me e cerchiamo qualcosa da mangiare. Mi sento svenire con tutti questi discorsi. Il vecchio Plock mi ha bloccato in un angolo e mi ha fatto girare la testa con i suoi Kant, Hegel e i loro compari.

- Ho promesso a Dora West che l’avrei fatta ballare e devo andare a cercarla: è una ragazza simpatica, non si preoccupa di nient’altro che di ballare a tempo.

I due ragazzi se ne andarono a braccetto, lasciando Alice a leggere così attentamente la musica, che sembrava che la società non avesse davvero alcun fascino per lei. Mentre si chinava per voltare una pagina, il giovane in piedi dietro al piano vide la rosa sbocciata e restò senza parole dalla gioia. La fissò un istante, poi si affrettò ad occupare il posto agognato, prima che giungesse un altro gruppo di seccatori.

- Alice, non posso crederci… Hai proprio capito… come potrò mai ringraziarti? – mormorò Demi, chinandosi come se anche lui volesse leggere la canzone, di cui peraltro non vide né una nota né una parola.

- Zitto, non ora. Ho capito… non lo merito… siamo ancora troppo giovani e dobbiamo aspettare; ma io… io sono molto fiera e felice, John!

Tremo al pensiero di cosa sarebbe successo dopo questo tenero bisbiglio, se non fosse capitato lì Tom tutto agitato, dicendo allegramente: – Musica? Proprio quello che ci vuole.

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La gente si sta diradando e abbiamo bisogno di un po’ di riposo. Il mio cervello annaspa tra tutte queste parole in «-ologia» e «-ismo» di cui ho sentito discutere questa sera. Sì, questa romanza va bene, è molto dolce! Le canzoni scozzesi sono sempre affascinanti.

Demi lo guardava in cagnesco, ma l’ottuso ragazzo non se ne accorse neppure, e Alice, sentendo che quello sarebbe stato uno sfogo salutare a tutte quelle emozioni, si sedette subito al piano e cantò una romanza che espresse la sua risposta, meglio di quanto avrebbe potuto fare lei stessa, una romanza scozzese che s’intitolava Aspettiamo un po’.

La stanza era silenziosa prima che il primo verso fosse concluso; Alice saltò il successivo per timore di non poter proseguire, poiché gli occhi di John erano fissi su di lei, rivelandole che sapeva che cantava per lui e che faceva in modo che la semplice ballata gli dicesse qual era la sua risposta. John la intese nel senso desiderato da Alice e le sorrise con tanta gioia che il cuore ebbe la meglio sulla sua voce e si alzò bruscamente, mormorando qualcosa a proposito del caldo.

- Sei stanca, vieni un po’ all’aria aperta a riposarti, mia cara, – e Demi con aria di padronanza la condusse sotto la luce delle stelle, lasciando Tom a guardarli con gli occhi spalancati, battendo le palpebre come se un fuoco d’artificio fosse esploso improvvisamente sotto il suo naso.

- Santo cielo! Il Pretino meditava grandi cose l’estate scorsa e non me ne ha mai parlato. Chissà se Dora si farà quattro risate? – e Tom se ne andò di corsa, per comunicare esultante la sua scoperta.

Nessuno seppe mai quello che quei due si dissero in giardino, ma i Brooke rimasero in piedi fino a tardi quella sera, e ogni occhio indiscreto che avesse spiato alla finestra, avrebbe visto Demi ricevere le congratulazioni della sua alleata, mentre le raccontava com’erano andate le cose. Josie si inorgoglì del risultato, insistendo sul fatto che il fidanzamento era opera sua; Daisy provava la più calda simpatia e la gioia più viva, e la signora Meg era così felice, che quando sua sorella Jo se ne fu andata a sognare veli da sposa e Demi sedeva nella sua stanza suonando beatamente il motivo di «Aspettiamo un po’», parlò a

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Daisy di Nat e con le braccia attorno a quella figlia tanto ubbidiente pronunciò queste parole di ricompensa: – Aspettiamo il ritorno di Nat, poi anche la mia brava figliola porterà le rose bianche.

Capitolo ventesimo Questione di vita o di morte I giorni estivi che seguirono furono lieti e sereni per i giovani

e per i meno giovani, perché tutti fecero gli onori di Plumfield ai loro felici ospiti. Mentre Franz ed Emil si occupavano degli affari dello zio Hermann e del capitano Hardy, Mary e Ludmilla facevano amicizia ovunque, perché, pur molto diverse, erano entrambe due eccellenti e affascinanti ragazze. La signora Meg e Daisy scoprirono nella sposa tedesca una massaia perfetta, come piaceva a loro, e passarono molte ore piacevoli assieme, imparando a cucinare nuovi piatti, ascoltando cose sui grandi bucati semestrali e sugli splendidi guardaroba di Amburgo, oppure discutendo della vita domestica in tutti i suoi aspetti. Ludmilla non solo insegnò molte cose, ma anche ne imparò, e ritornò in patria con molte nuove e utili cognizioni nella sua bionda testolina.

Mary aveva tanto girato il mondo che possedeva una vivacità insolita per una ragazza inglese, mentre la sua grande cultura faceva di lei una piacevolissima compagna. Una bella dose di buon senso la rendeva equilibrata, e la recente esperienza del pericolo e la nuova felicità le davano talvolta un aspetto serio che contrastava parecchio con la sua naturale vivacità. La signora Jo era molto soddisfatta della scelta di Emil ed era sicura che quel tenero e fedele pilota l’avrebbe condotto salvo in porto col tempo buono o tempestoso. Aveva temuto che col tempo Franz sarebbe diventato un pacifico borghese, intento a far denaro e che si sarebbe accontentato ma vide ben presto che l’amore per la musica e la dolce Ludmilla mettevano molta poesia nella sua vita e gl’impedivano di essere troppo prosaico. Si sentì perciò rassicurata nei confronti di questi due ragazzi e godette della loro visita con vera soddisfazione materna, separandosi quindi da loro a settembre con enorme rimpianto, ma piena di

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speranza per i due che salpavano per la nuova vita che avevano davanti a sé.

Il fidanzamento di Demi fu annunciato solo alla famiglia poiché i due innamorati erano troppo giovani per far altro che amarsi ed aspettare… Essi erano così felici che pareva che per loro il tempo si fosse fermato e dopo una settimana d’incanto si separarono coraggiosamente. Alice diretta ai doveri di casa, ma con una speranza che la sostenne e la rallegrò durante molte prove, e John al suo lavoro, pieno di nuovo ardore che rendeva tutto possibile, quando era in palio un simile premio.

Daisy si sentiva felice per loro e non si stancava mai di ascoltare i progetti per il futuro di suo fratello. La speranza aveva fatto di lei in poco tempo quello che era sempre stata: un’allegra, attiva creatura che aveva per tutti un sorriso, una parola gentile e una mano pronta ad aiutare; girava di nuovo per casa cantando, e sua madre capì che era stata trovata la cura adatta alla tristezza dei tempi passati. Il caro Pellicano aveva ancora dubbi e paure, ma li teneva saggiamente per sé, preparandosi domande chiarificatrici da fare a Nat quando fosse tornato a casa, e sorvegliando con occhio acuto le lettere da Londra, poiché qualche segno misterioso era volato al di là dal mare e la gioia di Daisy sembrava riflettersi nella presente allegria di Nat.

Dopo essere passato attraverso un periodo alla Werther e aver tentato un po’ anche di Faust – esperienza di cui parlava alla sua Margherita come se fosse veramente consistita anche di rapporti con Mefistofele, Blocksburg e la cantina di Auerbach – ora si sentiva un Wilhelm Meister, che faceva il suo apprendistato sotto i grandi maestri della vita. Poiché conosceva la verità sui suoi errori e il suo sincero pentimento, Daisy sorrideva soltanto di quel miscuglio di amore e filosofia che le spediva, ben sapendo che era impossibile a un giovane vivere in Germania senza assorbirne lo spirito.

- Il suo cuore è onesto e anche la sua mente si schiarirà, quando potrà uscire da quella nebbia di tabacco, birra e metafisica in cui ha vissuto. L’Inghilterra risveglierà il suo buon senso e la buona aria salata spazzerà via le sue piccole follie, – diceva la signora Jo, molto soddisfatta delle prospettive del suo violinista il cui ritorno era stato rimandato

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sino alla primavera, con suo grande segreto rammarico, ma con grande vantaggio per la sua carriera.

Josie trascorse un mese al mare con miss Cameron, e si buttò con tanta passione nelle lezioni impartitele, che la sua energia, il suo talento e la sua costanza posero le basi di un’amicizia che sarebbe stata di valore inestimabile per lei negli operosi e brillanti anni a venire, poiché l’istinto della piccola Jo aveva ragione e il talento teatrale della famiglia March sarebbe fiorito in lei, facendola diventare un’artista amata e rispettata.

Tom e Dora si avviavano tranquillamente all’altare, perché Bangs padre aveva una tal paura che il figlio cambiasse ancora idea e scegliesse un’altra occupazione (la terza) che acconsentì con piacere ad affrettare il matrimonio considerato come una sorta di ancora per tener ben fermo l’incostante Tom. Inoltre Tom non poteva certo lamentarsi di essere trattato male dalla fidanzata, perché Dora era una compagna devota e innamorata e gli rendeva la vita così piacevole che il suo talento naturale di mettersi sempre nei guai sembrava sparito e prometteva di diventare un uomo ricco, grazie all’innegabile talento per gli affari a cui si dedicava.

- Ci sposeremo in autunno e per i primi tempi vivremo con mio padre. Il capo sta invecchiando e mia moglie ed io dobbiamo averne cura, e più tardi avremo una casetta nostra, – era il suo discorso preferito a quell’epoca e di solito era accolto con sorrisi divertiti, perché l’idea di un Tom Bangs capo di famiglia era incredibilmente divertente per tutti quelli che lo conoscevano.

Tutto andava a gonfie vele e la signora Jo cominciava a pensare che le sue tribolazioni fossero finite per quell’anno, quando sopraggiunse una nuova preoccupazione. Parecchie cartoline erano arrivate a più riprese da parte di Dan che aveva dato loro come indirizzo «presso M. Mason». Con questo mezzo poteva soddisfare il suo desiderio di avere notizie da casa e mandare brevi messaggi per placare la loro sorpresa per il suo ritardo nel trovare una sistemazione. L’ultima lettera, che arrivò a settembre, era datata dal Montana e diceva semplicemente:

Mi trovo finalmente qui e mi occupo di miniere, ma non vi

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rimarrò a lungo. Avvenimenti di tutti i generi. Abbandonata l’idea della fattoria. Vi informerò presto dei nuovi progetti. Sto bene, ho molto da fare e sono molto felice.

D. K. Se avessero saputo cosa significava quella grossa linea quel

messaggio postale sarebbe stato un bigliettino veramente eloquente, perché Dan era uno spirito libero ed era andato direttamente verso la libertà tanto agognata. Aveva incontrato per caso un vecchio amico e questi gli aveva fatto il favore di fare da sovrintendente di una miniera per un certo periodo. Aveva trovato molto piacevole persino la compagnia dei rozzi minatori e la fatica fisica, dopo essere stato rinchiuso tanto tempo in una stanza a fabbricare spazzole. Gli piaceva afferrare il piccone e frantumare rocce e terra, finché si sentiva esausto, il che accadeva presto, perché quell’anno di prigione aveva lasciato il segno sul suo splendido fisico. Bruciava dal desiderio di tornare a casa, ma aspettava, settimana dopo settimana, che sparissero da lui le tracce della prigione e dal suo viso l’espressione smarrita. Nel frattempo era diventato amico di padroni e operai, e poiché nessuno conosceva la sua storia, lui riprese il suo posto nel mondo con gioia e gratitudine e anche con un po’ di orgoglio. Non aveva altri progetti che fare del bene da qualche parte e cancellare così il suo passato.

La signora Jo, un mattino d’ottobre, stava facendo grande pulizia sul suo scrittoio, mentre fuori cadeva la pioggia e la pace regnava in tutta la casa. Trovando per caso le cartoline postali, ci penso un po’ su, poi le ripose accuratamente nel cassetto su cui c’era l’etichetta «Lettere dei ragazzi», dicendo fra sé, mentre buttava una dozzina di richieste di autografi nel cestino della carta straccia: «Sarebbe ora che arrivasse un’altra cartolina, a meno che non venga lui stesso a raccontarci i suoi progetti. Sono proprio curiosa di sapere cos’ha fatto in quest’anno e come se la passa adesso».

L’ultimo suo desiderio fu esaudito neppure un’ora dopo, perché Ted entrò correndo con un giornale in una mano e un ombrello sfondato nell’altra, col volto eccitato, annunciando tutto d’un fiato: – La miniera è franata… venti uomini

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intrappolati, nessuna via d’uscita… le mogli piangono… il livello dell’acqua sale. Dan conosceva il vecchio pozzo… ha rischiato la vita… li ha salvati… Molti sono morti… i giornali non parlano d’altro… Sapevo che sarebbe diventato un eroe… Urrà per il vecchio Dan!

- Cosa? Dove? Quando? Chi? Smettila di urlare e fammi leggere, – gli ordinò sua madre totalmente sconvolta.

Ted le consegnò il giornale e le permise di leggerlo da sé con frequenti interruzioni da parte sua e di Rob che era sopraggiunto desideroso di sentire la storia. Non vi era nulla di nuovo, ma il coraggio e il sacrificio commuovono sempre i cuori generosi e destano ammirazione, perciò il resoconto era allo stesso tempo schematico ed entusiasta e il nome di Daniel Kean, l’uomo coraggioso che aveva salvato la vita degli altri a rischio della propria, in quel giorno era sulla bocca di molti. I volti di questi suoi amici erano pieni d’orgoglio, mentre leggevano come il loro Dan fosse stato l’unico, nel panico iniziale, che si ricordò dell’esistenza di un vecchio pozzo che conduceva nella miniera, ora murato, e che era l’unica speranza di salvezza, se gli uomini potevano essere tirati fuori prima che l’acqua, che stava salendo di livello, non li avesse annegati; lessero come si fosse calato solo, dicendo agli altri di stare indietro, finché non avesse visto se era sicuro, come avesse sentito i poveri infelici che battevano disperatamente coi picconi dall’altra parte per salvarsi, e come gridando e bussando li avesse guidati al posto giusto. Poi aveva guidato le operazioni di salvataggio e, prodigandosi eroicamente, li aveva tirati fuori in tempo. Mentre lo stavano tirando su per ultimo la fune ormai consumata si era spezzata e Dan aveva fatto una terribile caduta durante la quale era rimasto gravemente ferito, ma ancora vivo. Con che riconoscenza le donne gli avevano baciato il volto sporco e le mani sanguinanti, mentre gli uomini lo portavano via in trionfo e i proprietari della miniera promettevano una larga ricompensa, se fosse sopravvissuto per poterla ricevere.

- Deve vivere! E tornare a casa a farsi curare, appena potrà muoversi dovessi andare io stessa a prenderlo! Ho sempre saputo che un giorno o l’altro avrebbe fatto qualcosa di eroico, se non si fosse fatto fucilare o impiccare per qualche colpo di

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testa! – esclamò la signora Jo con grande eccitazione. - Vai a prenderlo, mamma, e portami con te. Devo andare io a

prenderlo, Dan vuole tanto bene a me ed io a lui! – esclamò Ted, sentendo che questa sarebbe stata una spedizione fatta apposta per lui.

Prima che sua madre potesse replicare entrò il signor Laurie, facendo la stessa confusione e lo stesso rumore di Teddy Jr., esclamando, mentre agitava il giornale della sera: – Hai letto la novità, Jo? Cosa ne pensi? Devo partire subito e occuparmi di quel coraggioso ragazzo?

- Vorrei che tu andassi… ma forse non tutto è vero, se ne dicono tante… Forse tra qualche ora avremo una versione tutta diversa dei fatti.

- Ho telefonato a Demi, perché s’informi e, se la cosa risponde al vero, parto immediatamente. Mi piacerebbe fare questo viaggio. Se è in condizione di partire lo porterò subito a casa, altrimenti mi fermerò e mi occuperò di lui. Se la caverà. Dan non morirà mai per una ferita alla testa: ha nove vite come i gatti e non ne ha persa ancora neanche una metà.

- Oh zio, se vai, non posso venire con te? Muoio dalla voglia di fare un viaggio, e sarebbe una bellezza farlo con te, vedere le miniere e Dan! Sapere tutto di lui ed essergli di aiuto. So curare gli ammalati, sai? Non è vero Rob? – esclamò Teddy nel suo tono più accattivante.

- Benissimo, ma se la mamma può fare a meno di te sono pronto nel caso lo zio avesse bisogno di qualcuno, – rispose Rob con la solita calma, che faceva capire come fosse molto più adatto a fare quel viaggio dell’eccitabile Ted.

- Non posso fare a meno di tutti e due. I miei ragazzi si mettono subito nei guai, se non li tengo vicini a casa. Non ho alcun diritto di trattenere anche gli altri, ma voi due non vi perderò di vista, altrimenti accadrà qualcosa. Non ho mai visto un anno come questo, con naufragi, matrimoni, tempeste, fidanzamenti e catastrofi d’ogni genere! – esclamò la signora Jo.

- Se ti occupi di ragazzi e ragazze, devi aspettarti sempre cose del genere signora. Spero che il peggio sia ormai passato, finché questi ragazzi non cominceranno ad andare per il mondo. Allora ti sarò vicino io, perché avrai bisogno di ogni

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tipo di conforto e sostegno, specialmente se Teddy spiccherà presto il volo, – disse ridendo il signor Laurie, divertendosi di quelle preoccupazioni.

- Credo che ormai nulla possa più sorprendermi ma sono in pensiero per Dan e penso sia bene che qualcuno vada da lui. È un posto selvaggio, quello, e può aver bisogno di essere curato in modo adeguato. Povero ragazzo, sembra che sia costretto a superare un sacco di prove impegnative! Ma forse ha bisogno di colpi simili, per il suo «processo di maturazione» – così diceva Hannah.

- Tra poco avremo notizie da Demi, poi partirò, – e con questa promessa, il signor Laurie se ne andò; Ted vedendo che sua madre era irremovibile, seguì lo zio per corromperlo a portarlo con lui.

Ulteriori indagini confermarono le prime notizie e fecero aumentare l’interesse. Il signor Laurie partì subito e Ted lo accompagnò in città, sempre supplicandolo invano di essere accompagnato dal suo Dan. Fu assente tutta la giornata, ma sua madre disse con calma: – È soltanto un po’ di malumore perché si vede contrariato. Sarà al sicuro con Tom o Demi e questa sera tornerà a casa affamato e rassegnato. Lo conosco bene.

Ma ben presto si accorse che c’era ancora qualcosa che poteva sorprenderla, perché la sera non riportò Ted e nessuno l’aveva visto. Il signor Bhaer era in procinto d’andare a cercare il suo figlio perduto, quando arrivò un telegramma, spedito da una stazione lungo il percorso del signor Laurie:

Mi sono ritrovato Ted sul treno. Lo porto con me. Scriverò domani.

T. Laurence - Ted ha preso il volo prima di quanto ti aspettassi, mamma.

Ma non ti preoccupare, lo zio si prenderà cura di lui e Dan sarà felice di vederlo, – disse Rob, mentre la signora Jo stava seduta, cercando di rendersi conto che il suo figlio più giovane era veramente in viaggio per il selvaggio West.

- Ragazzaccio disubbidiente! Verrà severamente punito, se mai lo rivedrò. Laurie ha chiuso un occhio a questa marachella. Lo so che l’ha fatto, è proprio nel suo carattere. Non credi che quelle due birbe si divertiranno un mondo

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assieme? Vorrei essere con loro! Non credo che quello sventato ragazzo si sia portato via neppure una camicia da notte o un soprabito. Pazienza, ci saranno due malati da curare invece di uno quando torneranno… se torneranno. Quei dannati treni espressi rotolano sempre giù nei precipizi o s’incendiano o si scontrano. Oh! Teddy, mio adorato ragazzo, come posso lasciarlo andare così lontano da me?

E la signora Jo, da vera madre, dimenticò il minacciato castigo, per abbandonarsi a teneri lamenti per quello scapestrato, che ora correva attraverso il continente tutto allegro per il successo della sua prima ribellione. Il signor Laurie si divertì molto all’idea che la sua frase «Quando Teddy prenderà il volo» avesse messo in testa al ragazzo l’idea della fuga, e quindi la responsabilità cadeva tutta sulle sue spalle. Se la assunse interamente, dal momento in cui scoprì il fuggiasco addormentato in uno scompartimento, senz’altro bagaglio che una bottiglia di vino per Dan e una spazzola da scarpe per sé; e, come sospettava la signora Jo, i due «birbanti» trascorsero momenti splendidi assieme. A tempo debito arrivarono lettere di pentimento e gli irati genitori dimenticarono presto i rimproveri, nelle loro preoccupazioni per Dan che era gravemente ammalato e non aveva riconosciuto gli amici per parecchi giorni. Poi cominciò a migliorare e tutti perdonarono il ragazzo cattivo, quando scrisse con orgoglio che le prime parole coscienti pronunciate da Dan furono «Ehilà, Ted!» con un sorriso di gioia al vedere chino su di lui un volto familiare.

- Sono contenta che sia andato e al ritorno non lo sgriderò più. Cosa metteremo nella cassa per Dan? – e la signora Jo diede sfogo alla sua impazienza di prendersi cura del malato, mandandogli rifornimenti sufficienti per un intero ospedale.

Presto cominciarono a giungere resoconti sempre più lieti e alla fine Dan fu dichiarato in grado di viaggiare, ma non sembrava avesse fretta di tornare a casa, anche se non si stancava mai di sentirne parlare dai suoi infermieri.

«Dan è stranamente cambiato, – scriveva Laurie a Jo, -non solo a causa della malattia, ma di qualcosa che deve essergli evidentemente successo prima. Non so cosa sia e lascio a te il compito di chiederglielo, tuttavia dal suo farneticare durante il delirio temo che deve essersi cacciato in qualche grosso guaio

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l’anno scorso. Sembra invecchiato di dieci anni, ma migliore di prima, più tranquillo e molto grato a tutti noi. È commovente vedere i suoi occhi fissi su Ted, come se non si saziasse mai di guardarlo. Dice che il Kansas è stato un fallimento, ma non vuol parlarne, così aspetto il momento opportuno. Qui tutti gli vogliono molto bene e ora cose come questo lo interessano, proprio lui che disprezzava ogni manifestazione di affetto. Ora gli piace che tutti pensino bene di lui e non sa più cosa fare per conquistare affetto e stima. Potrei essermi sbagliato del tutto. Lo scoprirai presto. Ted è fuori di sé dalla gioia e il viaggio gli ha fatto davvero di bene. Lo lascerai venire con me in Europa quando ci andremo? Il fatto di stare troppo attaccato alle sottane della mamma non gli si confà più di quanto non si confacesse a me quando ti proposi di scappare a Washington qualche secolo fa. Ti dispiace non averlo fatto?»

Questa lettera mise in fermento la vivace fantasia della signora Jo, e subito immaginò ogni genere di delitto, disgrazie e complicazioni in cui si poteva essere imbattuto Dan. Ora era troppo debole per poter essere disturbato con delle domande, ma si ripromise di ottenere importanti rivelazioni appena fosse tornato a casa sano e salvo, poiché il «tizzone di fuoco» era per lei il suo ragazzo più interessante. Lo supplicò di tornare a casa e ci mise più tempo a comporre quella lettera che doveva riportarlo da lei di quanto ne dedicasse ai più emozionanti episodi delle sue opere.

Nessuno all’infuori di Dan vide la lettera, ma essa glielo riportò, e un giorno di novembre il signor Laurie aiutò un uomo debole a scendere dalla carrozza davanti alla porta di Plumfield, e mamma Bhaer accolse il viaggiatore come un figlio ritrovato, mentre Ted con un cappello dall’aspetto indecoroso e un paio di stivali strabilianti faceva una specie di danza della guerra attorno a quel gruppo così ben assortito.

- Subito di sopra a riposarti: adesso ti curo io e questo fantasma deve mangiare, prima di vedere qualcuno, – ordinò la signora Jo, cercando di non mostrare quanto fosse sconvolta alla vista di quell’essere senza barba e capelli che era la pallida, scarna ombra del giovane gagliardo da cui si era accomiatata un anno prima.

Fu felice di obbedire e si sdraiò sul comodo divano nella

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camera preparata per lui, guardandosi attorno con la stessa tranquillità di un bimbo malato restituito finalmente al suo nido e alle braccia materne, mentre la sua nuova infermiera lo nutriva e lo ristorava, trattenendosi coraggiosamente dal fargli le mille domande che le bruciavano sulla lingua. Debole e stanco, ben presto si addormentò e allora lei scivolò fuori dalla stanza per godere la compagnia dei «due birbanti» che rimproverò, accarezzò, lodò e interrogò a suo piacimento.

- Jo, io penso che Dan abbia commesso qualche crimine e abbia sofferto per quello, – disse il signor Laurie, appena Ted se ne fu andato a mostrare i suoi stivali ai compagni e a raccontare loro storie meravigliose sui pericoli e le delizie della vita dei minatori. – Dev’essere capitata una terribile esperienza al ragazzo e questa gli ha spezzato lo spirito. Quando siamo arrivati era incosciente ed io sono rimasto a vegliarlo, perciò più di ogni altro ho potuto ascoltare i suoi tristi deliri. Parlava del «guardiano», d’un processo, di un morto, di Blair e Mason e continuava a offrirmi la mano, domandandomi se gliel’avrei stretta e l’avrei perdonato. Una volta, mentre stava molto male, gli ho tenuto ferme le braccia e si è calmato un momento, supplicandomi di non mettergli le manette. Ti giuro che qualche volta era terribile sentirlo nella notte parlare di Plumfield e di te, chiedendo di lasciarlo uscire per andare a casa a morire.

- Non è venuto a morire, ma per vivere e pentirsi di qualunque cosa possa aver commesso, perciò non torturarmi con queste fumose allusioni, Laurie. Non mi interessa se ha violato i dieci comandamenti, gli starò vicina e così pure tu, e lo rimetteremo in piedi e ne faremo ancora un uomo rispettabile. Capisco che non è perduto dallo sguardo sul suo povero viso. Non dire una parola su questo a nessuno e io ti prometto che in breve saprò la verità, – rispose la signora Jo, sempre leale verso il suo cattivo ragazzo, ma molto addolorata da quanto aveva sentito.

Per alcuni giorni Dan si riposò e vide poche persone; poi le cure, il sereno ambiente familiare, la consolazione di essere a casa cominciarono a fare effetto su di lui e sembrò tornare quello di prima, pur restando piuttosto reticente sulle sue recenti esperienze, prendendo a pretesto l’ordine del medico di

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non parlare troppo. Tutti volevano vederlo, ma lui rifuggiva tutti tranne i vecchi amici; «non voleva essere idolatrato» diceva Ted, deluso di non poter sfoggiare il suo coraggioso Dan.

- Non c’era uomo che non avrebbe fatto lo stesso, perché allora fare tanto chiasso per me? – diceva l’eroe, più vergognoso che fiero del braccio rotto, che sembrava così interessante, legato al collo.

- Ma non è piacevole pensare che hai salvato la vita a venti persone, Dan, che hai restituito figli, padri e mariti alle donne che amavano? – domandò la signora Jo, una sera in cui erano soli, dopo aver fatto allontanare parecchi visitatori.

- Ah, sì! È quello che mi ha tenuto in vita, credo; sì, preferisco averlo fatto che essere eletto presidente o diventare un pezzo grosso nel mondo. Nessuno sa che consolazione sia aver salvato venti vite, per scontare… – qui Dan si interruppe, avendo evidentemente parlato sotto l’impulso di una forte emozione a cui la sua ascoltatrice non aveva accesso.

- Immaginavo che ti saresti sentito così. È una cosa meravigliosa salvare la vita degli altri a rischio della propria come hai fatto tu, – cominciò la signora Jo nella speranza che continuasse con quell’impulsivo modo di parlare che ricordava i suoi vecchi modi di fare.

- Chi perde la sua vita, la conquisterà, – mormorò Dan, fissando l’allegra fiamma che illuminava la stanza e splendeva sul suo volto smunto con un bagliore rossastro.

La signora Jo fu così stupita di udire simili parole uscire dalle labbra del ragazzo che esclamò piena di contentezza: -Allora hai davvero letto il libricino che ti ho dato e hai mantenuto la promessa?

- Lo lessi parecchio qualche tempo dopo. Non lo conosco ancora bene ma sono pronto per imparare ed è già qualcosa.

- È tutto ciò che conta. Oh mio caro, raccontami tutto! So che c’è qualcosa che ti pesa sul cuore: lascia che io ti aiuti a portarlo e il fardello sarà più leggero.

- Lo so che sarebbe così, e desidero parlarne, ma ci sono cose che neanche tu potresti perdonarmi e, se voi mi abbandonate, temo che non saprò stare a galla.

- Le madri perdonano qualsiasi cosa! Raccontami tutto e sta’ sicuro che non ti abbandonerò mai, anche se tutto il mondo ti

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girasse le spalle. La signora Jo afferrò una delle sue grandi mani sciupate e la

tenne stretta fra le sue, aspettando in silenzio finché quel gesto affettuoso riscaldò il cuore del povero Dan e gli diede il coraggio di parlare. Seduto nella sua posa abituale, con la testa fra le mani, gli raccontò lentamente tutta la sua storia, senza mai alzare lo sguardo, finché l’ultima parola non fu uscita dalle sue labbra.

- Ora sai tutto. Puoi perdonare un assassino e tenere in casa un avanzo di galera?

Per tutta risposta lei lo circondò con le braccia e appoggiò la testa rasata sul suo petto con gli occhi così pieni di lacrime che a stento potevano vedere la speranza e il timore che rendevano il viso di Dan così tragico.

Questo fu meglio di qualsiasi parola e il povero Dan si aggrappò a lei con muta gratitudine, sentendo tutta la beatitudine dell’amore materno, questo dono divino che consola, purifica e dà forza a quanti lo cercano. Due o tre lacrime amare si erano nascoste nello scialletto di lana, dove posava la guancia di Dan e nessuno seppe mai quanto dolce e morbido gli fosse quel cuscino dopo i duri guanciali che aveva per tanto tempo conosciuto. Le sofferenze dell’anima e del corpo avevano spezzato la sua volontà e il suo orgoglio ed egli provò un tale sollievo per essersi liberato del pesante fardello che tacque un momento per gustarlo in una gioia silenziosa.

- Mio povero ragazzo, come devi aver sofferto in questo anno, mentre noi ti pensavamo libero come l’aria! Perché non ci hai detto nulla Dan, e non ti sei lasciato aiutare da noi? Hai potuto dubitare dei tuoi amici? – chiese la signora Jo, dimenticando ogni altro sentimento per la compassione, mentre rialzava la faccia e guardava con rimprovero quei grandi occhi infossati che ora incontravano francamente il suo sguardo.

- Mi vergognavo. Ho cercato di sopportare da solo piuttosto che sconvolgere e deludere tutti voi; perché so di aver fatto uno sbaglio anche se cerchi di non darlo a vedere. Non importa, devo abituarmi, – e Dan abbassò nuovamente gli occhi, come se non riuscisse a sopportare di vedere il turbamento e il dolore che tale confessione aveva dipinto sul viso della sua migliore amica.

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- Io sono sconvolta e delusa per il peccato, ma sono anche felice e orgogliosa e grata che il mio peccatore si sia pentito, abbia espiato e sia pronto a trarre beneficio dall’amara lezione. Nessuno, all’infuori di Laurie e Fritz, verrà a conoscenza della verità; a loro la dobbiamo dire, ma essi la penseranno come me, – rispose la signora Jo, pensando saggiamente che la completa franchezza sarebbe stata una cura più efficace di una eccessiva pietà.

- No, non lo faranno! Gli uomini non sanno perdonare come le donne. Ma è giusto così. Dite loro ogni cosa da parte mia e che sia finita. Il signor Laurie lo saprà già, penso. Ho certamente parlato nel delirio, tuttavia è stato sempre molto buono con me. Posso sopportare che loro due lo sappiano, ma, la prego, non lo dica a Ted e alle ragazze! – Dan le strinse il braccio con un viso tanto supplichevole, che lei si affrettò a rassicurarlo che nessuno avrebbe saputo la verità, eccetto i due vecchi amici, al che lui si calmò, come vergognandosi del suo improvviso sgomento.

- Non fu un assassinio, ricordatelo, ma legittima difesa: lui colpì per primo e io dovetti rispondere. Non avevo intenzione di uccidere, ma temo di non provare tutto il rimorso che dovrei. Ho pagato più del dovuto per questo e un delinquente di quella risma è meglio che non sia più al mondo ad insegnare ai giovani la via dell’inferno. Sì, lo so che pensi che questo mio sentimento sia terribile, ma non posso fare diversamente. Detesto uno scellerato come un lupo della prateria in agguato, e sento sempre il desiderio di sparare loro addosso. Forse sarebbe stato meglio se mi avesse ucciso perché la mia vita ormai è rovinata.

Mentre parlava, tutta l’oscurità della vecchia prigione sembrò calare come una nera nube sul volto di Dan e la signora Jo fu spaventata intravedendo quel fuoco attraverso il quale era passato, uscendone vivo, ma segnato per sempre. Nella speranza di riportare la sua mente a pensieri più lieti, gli disse in tono quasi sollevato: – No, non è rovinata; con questa dura prova hai imparato a darle maggior valore e a usarla meglio. Non è stato un anno perduto, ma un anno che può diventare il più utile di quelli da te conosciuti. Cerca di pensarla così e ricomincia da capo, noi ti aiuteremo e avremo ancor più fiducia

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in te a causa di questo fallimento. Tutti facciamo lo stesso nella vita e continuiamo a lottare.

- Non potrò mai più essere quello di prima. Mi sembra di avere sessant’anni e non m’importa più di nulla, ora che sono tornato a casa. Lasciatemi restare finché potrò reggermi sulle mie gambe, poi vi libererò della mia presenza e non vi darò più noia, – disse Dan, abbattuto.

- Tu sei debole ed avvilito; ti passerà e un giorno andrai a compiere la tua missione tra gli Indiani con tutta l’antica energia e la nuova pazienza, col pieno dominio di te stesso e l’esperienza che hai acquistato. Parlami ancora del buon cappellano, di Mary Mason e della buona signora le cui parole accidentalmente ti hanno aiutato così tanto. Voglio sapere tutto delle tribolazioni del mio povero ragazzo.

Vinto dal suo tenero interessamento, Dan s’illuminò e riprese a parlare, finché non ebbe tirato fuori tutta la storia di quel doloroso anno e si sentì meglio per il peso di cui si era sgravato.

Se avesse saputo quanto questo pesava ora sul cuore della sua ascoltatrice, avrebbe taciuto; ma lei nascose il suo dolore finché non fu andato a letto, calmo e consolato; poi pianse tutte le sue lacrime, con gran sgomento di Fritz e di Laurie, finché anch’essi seppero tutta la storia e poterono soffrire con lei; dopodiché si ripresero e discussero per trovare il modo migliore di riparare alla peggiore delle catastrofi che l’anno aveva portato loro.

Capitolo ventunesimo Il cavaliere di Aslauga Fu curioso vedere il cambiamento che si produsse in Dan

dopo quella conversazione. Sembrava si fosse tolto un gran peso dal cuore e sebbene il suo antico spirito impetuoso riemergesse, di tanto in tanto, sembrava intento a cercare di dimostrare la sua gratitudine, il suo affetto e il suo rispetto a quegli amici veri con un’umiltà e una fiducia molto dolci per loro e utilissime a lui. Dopo aver sentito la storia raccontata dalla signora Jo, il professore e il signor Laurie non vi fecero mai allusione se non con calorose strette di mano, sguardi

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compassionevoli, qualche parola di incoraggiamento e una raddoppiata gentilezza che non lasciava dubbi sul loro perdono. Il signor Laurie cominciò subito a interessare persone influenti sulla missione di Dan e mise in moto l’ingranaggio che ha bisogno di molto lubrificante prima di poter ottenere qualcosa, specialmente quando vi è di mezzo il governo. Il signor Bhaer, con la sua abilità di vero maestro, fornì alla mente avida di Dan qualcosa da fare e l’aiutò a conoscere se stesso, portando avanti il compito del buon cappellano, con tanta paterna premura che il povero ragazzo diceva sovente che gli sembrava di aver trovato un padre. I ragazzi gli facevano fare lunghe scarrozzate e lo divertivano con i loro scherzi e i loro progetti, mentre le donne, giovani e vecchie, lo curavano e lo viziavano talmente da farlo sentire un sultano con uno stuolo di schiave, pronte a esaudire il suo minimo desiderio.

Anche solo poco di tutto questo sarebbe stato sufficiente per Dan che aveva un terrore tutto virile per le comodità ed era così poco abituato alla malattia, che si ribellava agli ordini del dottore di stare tranquillo. Ci volle tutta l’autorità della signora Jo e l’astuzia delle ragazze per impedirgli di lasciare il divano, finché non fossero guarite la distorsione alla schiena e le ferite alla testa. Daisy cucinava per lui, Nan si occupava delle sue medicine, Josie gli leggeva ad alta voce, per far passare le lunghe ore di inattività che gli pesavano così tanto, mentre Bess gli portava i suoi quadri e le sue figurine di cera per distrarlo e, dietro suo desiderio, installò nel suo salottino un cavalletto e cominciò a modellare la testa di bufalo che le aveva regalato. Quei pomeriggi sembravano la parte più piacevole delle sue giornate e la signora Jo, occupata nell’attigua stanza di studio, poteva vedere l’amichevole trio e godere il bel quadretto che essi formavano. Le due ragazze erano molto lusingate dal successo dei loro sforzi e si adoperavano per svagarlo assecondando l’umore di Dan con quel tatto femminile che la maggior parte delle donne imparano anche prima di liberarsi del grembiulino. Quando era allegro, la stanza risuonava di risa, se era triste esse leggevano o lavoravano in rispettoso silenzio, finché la loro dolce pazienza tornava a rasserenarlo; infine, se soffriva, gli stavano

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accanto come una «coppia di angeli», come diceva Dan. Egli chiamava sovente Josie «mammina», ma Bess era sempre la Principessa e il suo contegno verso le due cugine era molto differente. Josie talvolta lo irritava coi suoi modi chiassosi, le lunghe commedie che amava leggere, e i materni rimproveri che gli rivolgeva quando non osservava le prescrizioni mediche, perché avere in suo potere uno dei padreterni era così delizioso per lei, che l’avrebbe comandato con una bacchetta di ferro se si fosse sottomesso. Verso Bess, nella sua gentile assistenza, non dimostrava mai impazienza né stanchezza, obbediva a ogni sua minima parola, si sforzava di comportarsi bene in sua presenza e provava un tale interesse per il suo lavoro che stava sdraiato per ore ad osservarla senza stancarsi, mentre Josie leggeva per lui con la sua migliore intonazione senza che nessuno la ascoltasse.

La signora Jo osservava tutto questo e li chiamava «Una e il Leone», e quei soprannomi si addicevano molto bene ai due giovani, benché il Leone avesse la criniera tosata e Una non cercasse affatto di domarlo. Le signore facevano la loro parte, fornendolo di dolciumi ed esaudendo tutti i suoi desideri; ma la signora Meg era sempre affaccendata in casa, la signora Amy doveva fare i preparativi per il viaggio di primavera in Europa e la signora Jo si aggirava sull’orlo di un vortice di lavoro, perché l’uscita del libro era stata tristemente ritardata dagli ultimi eventi familiari. Mentre sedeva alla scrivania, mettendo a posto carte o mordicchiando soprappensiero la penna, in attesa che l’ispirazione divina scendesse su di lei, sovente dimenticava i suoi eroi ed eroine immaginarie, per studiare quei modelli viventi di fronte a lei, e così, da sguardi occasionali, parole, gesti, finì con lo scoprire una piccola storia d’amore di cui nessun altro sospettava.

Il tendaggio tra le due stanze era generalmente tirato da un lato permettendo così la visione del gruppetto nel vano dell’ampia finestra: da un lato, Bess col camiciotto grigio, occupata con i suoi utensili; Josie dall’altro coi suoi libri, e in mezzo, sul lungo divano appoggiato su cuscini, stava sdraiato Dan avvolto in una colorata veste da camera orientale, offerta dal signor Laurie e indossata per far piacere alle ragazze, sebbene il malato preferisse la sua vecchia giacca senza

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«strascico che desse noia». Lui era di fronte alla camera della signora Jo, ma sembrava non vederla perché i suoi occhi erano fissi sulla snella figura davanti a lui, sul pallido sole invernale che splendeva sul suo capo biondo, sulle delicate manine che modellavano con tanta destrezza la creta. Josie si intravedeva appena dondolarsi senza posa in una poltroncina ai piedi del letto; il continuo mormorio della sua voce ancora infantile era abitualmente l’unico rumore che rompesse la quiete della stanza, a meno che non sorgesse un’improvvisa discussione a proposito del libro o della testa di bufalo.

Qualcosa in quei grandi occhi neri, più grandi e più neri che mai nel pallore del volto smagrito, fissi sempre su un unico oggetto, cominciarono, dopo qualche tempo, ad esercitare uno strano fascino sulla signora Jo, che osservò con curiosità i cambiamenti che avvenivano in essi. La mente di Dan non era concentrata sul racconto e spesso dimenticava di ridere o di fare esclamazioni nei momenti più comici o eccitanti. Quegli occhi erano talvolta dolci e pensosi, e l’osservatrice si rallegrava che nessuna delle due fanciulle notasse quello sguardo pericoloso perché quando cominciavano a parlare, spariva; talvolta era uno sguardo pieno di fuoco ardente e il colorito andava e veniva all’improvviso nonostante i suoi sforzi di nasconderlo con un gesto impaziente della mano o della testa; ma il più delle volte era uno sguardo cupo e triste, come se quegli occhi scuri guardassero, da una prigione, qualche luce o gioia a loro proibita. Questa espressione compariva tanto spesso da preoccupare la signora Jo che avrebbe voluto andare a domandargli quale amaro ricordo rattristasse le sue ore tranquille. Sapeva che il suo delitto e la sua punizione dovevano pesargli sul cuore, ma la gioventù e le nuove speranze avrebbero dovuto aiutarlo a cancellare la prima asprezza del marchio infamante della prigione. In altri momenti il suo sguardo si sollevava e sembrava quasi dimenticarsi di ogni cosa, mentre scherzava coi ragazzi, s’intratteneva coi vecchi amici o si godeva la prima neve, uscendo in carrozza ogni giorno di bel tempo. Perché allora avrebbe dovuto scendere sempre sopra di lui quell’ombra cupa in compagnia di quelle innocenti e amorose fanciulle? Sembrava che esse non se ne accorgessero, e se una di loro

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parlava o lo guardava, un breve sorriso di risposta splendeva sul suo viso come un raggio di sole tra le nubi. Così la signora continuò ad osservare, ad almanaccare, a scoprire fatti nuovi finché il caso non confermò i suoi timori.

Un giorno Josie fu chiamata altrove e Bess, stanca di lavorare, si offrì di prendere il suo posto, se lui avesse avuto ancora voglia di sentir leggere.

- Sì, la tua lettura va meglio per me di quella di Josie. Legge così in fretta che la mia testa indebolita si confonde e comincia subito a darmi fastidio. Non dirglielo però: è tanto cara e buona a star qui per delle ore con un orso come me!

Bess sorrise prontamente e andò a prendere un altro libro sul tavolo perché quello che leggeva Josie era finito.

- Tu non sei un orso, ma sei buono e paziente. È difficile per un uomo stare rinchiuso, dice sempre la mamma, e dev’essere terribile per te che sei sempre stato così libero!

Se Bess non fosse stata intenta a leggere i titoli, avrebbe visto il volto di Dan contrarsi, come se le sue ultime parole l’avessero ferito. Lui non rispose, ma altri occhi videro e compresero perché avesse l’aria di voler scattare in piedi e correr fuori per una di quelle sue scorribande su per la collina come faceva quando l’ansia di libertà diventava intollerabile. Spinta da un impulso improvviso la signora Jo prese il suo cestino da lavoro e andò ad unirsi ai due giovani, intuendo che vi era bisogno di un corpo isolante, perché Dan pareva una nuvola temporalesca piena di elettricità.

- Cosa dobbiamo leggere, zia? Dan non ha preferenze, ma tu conosci i suoi gusti: suggeriscimi qualcosa di tranquillo, piacevole e breve; Josie sarà presto di ritorno, – disse Bess, ancora china sui libri ammucchiati al centro del tavolo.

Prima che la signora Jo potesse rispondere, Dan tirò fuori da sotto il cuscino un libricino consunto e, porgendoglielo, disse: – Per favore, leggi il terzo racconto, è breve e grazioso. Mi piace molto.

Il libro si aprì al punto giusto, come se il terzo racconto fosse stato letto spesso e Bess, leggendo il titolo, sorrise.

- Come, Dan? non avrei mai pensato che ti piacesse questa romantica storia tedesca. C’è un combattimento, ma è molto sentimentale, se ricordo bene.

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- Lo so, ma ho letto così pochi racconti, che preferisco quelli più semplici. Talvolta non avevo altro da leggere e credo di saperla a memoria, ma non mi sento mai stanco di quei cavalieri che combattono, dei demoni, degli angeli e di quelle dame. Leggi «Il cavaliere di Aslauga» e vedrai se non ti piacerà. Per i miei gusti Edward è troppo sentimentale, ma Froda è insuperabile e l’angelo dai capelli biondi mi ha sempre ricordato te.

Mentre Dan parlava, la signora Jo si sistemò dove poteva vederlo nello specchio e Bess prese una sedia di fronte a lui, dicendo, mentre si riannodava il nastro, che teneva stretti sulla nuca la massa dei suoi folti e morbidi ricci: – Spero che i capelli di Aslauga non fossero ribelli come i miei che vanno sempre fuori posto. Un minuto, e sono pronta.

- Non legarli, ti prego, lasciali sciolti. Mi piace vederli splendere così. Sarà un sollievo per la tua testa e nello stesso tempo sarai più in linea con la storia, Chiomadoro, – la pregò Dan, usando il nomignolo infantile della fanciulla, e sembrando, per un momento, molto più simile al ragazzino d’un tempo di quanto avesse fatto nei molti giorni precedenti.

Bess rise, scosse i riccioli e cominciò a leggere, felice di nascondere un po’ il viso, perché i complimenti la rendevano timida, da qualunque parte le arrivassero. Dan ora ascoltava attentamente e la signora Jo, con gli occhi che andavano spesso dal ditale allo specchio, potè vedere, senza voltarsi, come si gustasse ogni parola come se per lui avesse più significato che per gli altri ascoltatori. Il suo viso splendeva meravigliosamente e presto assunse quell’espressione che aveva quando qualche cosa di coraggioso o bello toccava la parte migliore di lui. Era l’affascinante storia di Fouqué,18del cavalier Froda e della bella figlia di Sigurd, una specie di spirito che appariva al suo innamorato nell’ora del pericolo e delle tribolazioni come pure in quella del trionfo e della gioia, finché diventava la sua guida e il suo custode ispirandogli coraggio, nobiltà e lealtà, e conducendolo ad azioni coraggiose sui campi di battaglia, a sacrifici per coloro che amava e vittorie su sé stesso grazie allo splendore della sua capigliatura finché, dopo la morte, lui trovava lo spirito amato ad aspettarlo per ricompensarlo.

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Di tutte le novelle del libro, questa era l’ultima che si poteva pensare sarebbe piaciuta a Dan e anche la signora Jo fu sorpresa, notando come avesse colto la morale della storia attraverso il delicato uso delle immagini e il linguaggio romantico col quale era scritta. Ma, mentre lo osservava e ascoltava, ricordò all’improvviso la vena di sentimento e di delicatezza che era nascosta in Dan, come il filone d’oro in una roccia, e che lo rendeva intuitivo nel sentire e godere del colore di un fiore, della grazia di un animale, della dolcezza delle donne, dell’eroismo degli uomini e di tutti i dolci legami che avvincono i cuori; tuttavia era lento nel dimostrarlo, non conoscendo le parole adatte a esprimere i gusti e le tendenze che aveva ereditati dalla madre. Le sofferenze del corpo e dell’anima avevano domato le sue violente passioni e l’atmosfera di amore e di dolcezza che ora lo circondava, purificava e riscaldava il suo cuore, finché cominciò a desiderare quel nutrimento così a lungo trascurato o rifiutato. Tutto questo era chiaramente scritto sul suo viso troppo espressivo e, credendosi non visto, lo lasciava liberamente rivelare la sua sete di bellezza, di pace e di felicità personificata per lui nell’innocente e splendida fanciulla che aveva davanti a sé.

La rivelazione di questo fatto, naturale ma triste, fu un colpo per la signora Jo, perché sapeva quanto quell’amore fosse completamente senza speranza. Infatti la luce e le tenebre non erano così lontane tra loro quanto Bess candida come la neve e Dan macchiato dal peccato. Nessun dubbio sfiorava la mente della ragazza, come dimostrava chiaramente la sua completa incoscienza di quanto stava succedendo, ma quanto tempo sarebbe durata prima che quegli occhi eloquenti svelassero la verità? Che terribile delusione allora per Dan e che sgomento per Bess che era fredda, inaccessibile e pura come i suoi marmi e rifuggiva da qualunque pensiero d’amore con riserbo verginale.

«Come tutto è difficile per il mio ragazzo! Come posso distruggere il suo sogno e privarlo di quel sentimento del bene che comincia ad apprezzare e desiderare? Quando i miei figli saranno sistemati, non tenterò altre esperienze simili, perché queste cose spezzano il cuore e non ce la faccio più a

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sopportarle», pensò la signora Jo, mentre metteva al contrario le fodere alle maniche di una giacca di Ted, tanto era perplessa e addolorata dinanzi a questa nuova catastrofe.

La storia era ormai finita e, mentre Bess buttava indietro i suoi capelli, Dan le domandò con l’ardore di un ragazzo: – Non ti piace?

- Sì, è molto bella e ne capisco il significato, ma Ondine è sempre stata la mia preferita.

- Certo è come te… gigli e perle, anima e acqua pura. Il mio preferito era Sintram, ma cominciai a prediligere questa novella, una volta, quando ero… ehm! un po’ giù di corda e mi fece bene, così serena e spirituale nel suo significato, capisci?

Bess spalancò i suoi occhi azzurri meravigliandosi di questa predilezione di Dan per lo «spirituale», ma si limitò a scuotere il capo e a dire: – Qualcuna delle canzoncine è bella e potrebbe essere musicata.

Dan rise: – Ero solito cantare l’ultima strofa su un’aria di mia invenzione qualche volta, all’ora del tramonto.

Udendo le note celestiali, volgendo il tuo limpido sguardo alla luce pura ed eterna, sia tu benedetto, cavaliere di Aslauga!

- Ed infatti lo ero, – aggiunse sottovoce, mentre guardava i raggi del sole danzare sulle pareti.

- Questa ti si addice meglio, ora, – e, felice di fargli piacere mostrandogli il suo interessamento, Bess lesse con voce dolce:

Rimarginatevi, rapide, ferite dell'eroe, oh, cavaliere ritorna presto forte! L'amata lotta per la vita e la gloria oh, più a lungo non ritardar! - No, non sono un eroe e non lo sarò mai e la «vita e la gloria»

non possono far molto per me. Non importa. Leggimi il giornale, per favore. Questo colpo alla testa ha fatto di me un vero stupido.

La voce di Dan era gentile, ma la luce se n’era andata dal suo viso e cominciò ad agitarsi, come se i cuscini di seta fossero stati imbottiti di spine. Accorgendosi che il suo umore era cambiato, Bess depose il libro, prese il giornale e cercò tra le

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colonne una notizia che potesse interessarlo. - Il mercato dei cambi non ti interessa, mi pare, e neppure le

cronache musicali. Ecco un assassinio: una volta ti piacevano questo tipo di notizie. Devo leggere? «Un uomo ha ucciso…»

- No! Un monosillabo, ma fece rabbrividire la signora Jo, e per un

momento non osò guardare lo specchio rivelatore. Quando lo fece, Dan giaceva immobile con una mano sugli occhi e Bess leggeva beata il notiziario artistico ad orecchie che non sentivano una sola parola. Sentendosi come un ladro che ha rubato qualcosa di molto prezioso, la signora Jo scivolò nel suo studio e, poco dopo, Bess la raggiunse per comunicarle che Dan si era quasi addormentato.

Dopo averla rimandata a casa, con il fermo proposito di tenervela il più possibile, mamma Bhaer passò un’ora di seria meditazione, tutta sola in quel tramonto di fuoco; e quando un rumore dalla stanza accanto la fece accorrere, scoprì che il sonno simulato era diventato un vero riposo, perché Dan respirava pesantemente, con due pomelli rossi sulle guance e una mano stretta sul petto. Sentendo per lui una pietà più profonda di quella provata fino ad allora, si sedette sulla sediolina accanto al letto, cercando di trovare una via d’uscita a quel pasticcio, finché la mano del dormiente scivolò dal petto e così facendo strappò un cordoncino che portava al collo, facendo cadere sul pavimento un piccolo medaglione.

La signora Jo lo raccolse e poiché non si era svegliato, stette a guardarlo, domandandosi quale incantesimo contenesse; era infatti un medaglione di fattura indiana e il cordoncino di erbe strettamente intrecciate era di un color giallo paglierino e dolcemente profumato.

«Non voglio indagare più nei segreti del povero ragazzo. Aggiusterò il cordone, glielo rimetterò al collo e non gli farò mai sapere di aver visto il suo talismano».

Voltò il medaglione per vedere se fosse rotto e un cartoncino le cadde in grembo. Era una fotografia, ritagliata perché potesse entrare nella custodia e sotto il viso raffigurato erano scritte due parole «La mia Aslauga». Per un istante la signora o pensò che fosse una fotografia sua perché tutti i ragazzi ne avevano una, ma caduta la carta velina essa vide il ritratto di

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Bess fattole da Demi in quel felice giorno d’estate. Ora non vi era più dubbio e con un sospiro lo rimise a posto e glielo stava infilando sotto la camicia, in modo che neanche una minima cosa rivelasse che lei sapesse, quando, chinandosi su di lui, vide che la stava guardando con un’espressione che la sorprese più di tutte le altre strane espressioni che aveva mai visto su quel viso incostante.

- Ti è scivolato il braccio, il medaglione è caduto; stavo per rimetterlo a posto… – gli spiegò la signora Jo, sentendosi come un bambino cattivo colto in fallo.

- Hai visto il ritratto? - Sì. - Così sai che pazzo sono? - Sì, Dan, e sono così addolorata… - Non preoccuparti per me. Va tutto bene, sono… contento

che tu lo sappia, benché non avessi la minima intenzione di dirtelo. Naturalmente è solo una mia pazza fantasia, e non ne verrà fuori nulla. Del resto non ho mai pensato che potesse succedere. Buon Dio! Cosa potrebbe mai essere per me quell’angelo all’infuori di quello che è… una specie di sogno di tutto ciò che è dolce e buono?

Più addolorata da questa calma rassegnazione nella voce e nello sguardo, che dall’ardore più appassionato, la signora Jo potè solo dire, con un volto che esprimeva simpatia: – È dura, ragazzo mio, ma non c’è altro modo di vederla. Tu sei abbastanza coraggioso e saggio per capirlo e per conservare il segreto tra noi due soli.

- Giuro che lo farò! Né uno sguardo, né una parola, se posso. Nessuno lo immagina e, poiché non dà fastidio a nessuno, che male c’è se lo conservo e traggo conforto dalla dolce illusione che non mi ha fatto perdere il senno in quel luogo maledetto?

Il viso di Dan era ansioso ora e si nascose il piccolo medaglione, come per sfidare chiunque glielo volesse portar via. Desiderosa di sapere tutto, prima di dare consiglio e conforto, la signora Jo disse tranquillamente: – Conservalo e raccontami tutto quanto riguarda la tua «illusione». Poiché per caso sono inciampata nel tuo segreto, dimmi com’è nato e come posso aiutarti a renderlo più lieve da sopportare.

- Riderai, ma non me ne importa. Tu sei sempre riuscita a

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penetrare in tutti i nostri segreti e a darci una mano. Ebbene, io non mi sono mai occupato troppo di libri, ma laggiù, quando il diavolo mi tormentava, dovevo pur fare qualcosa per non impazzire, perciò lessi i due libri che mi avevi dato. Uno era oltre le mie capacità, almeno fino al giorno in cui il buon cappellano mi spiegò come leggerlo, ma l’altro mi fu di grande conforto, come già ti dissi. Mi divertì e lo trovai bello come un poema. Mi piacquero tutte le novelle, ma particolarmente quella di Sintram. Guarda com’è consumato! Poi arrivai a questa storia e mi fece rivivere quel felice periodo della mia vita passato qui l’estate scorsa.

Dan si fermò un momento, mentre le parole indugiavano sulle sue labbra; poi con un lungo sospiro continuò, come se gli pesasse mettere a nudo l’assurdo romanzetto che aveva intessuto attorno ad una fanciulla, a un ritratto e a una storia per bambini, là nell’oscurità di quel luogo terribile per lui come l’inferno per Dante finché non trovò la sua Beatrice.

- Non potevo dormire e dovevo pur pensare a qualche cosa, così immaginai di essere Folko e di vedere la chioma splendente di Aslauga nella luce del tramonto sulla parete, nel bagliore della lampada del guardiano, e nel chiarore che entrava all’alba. La mia cella era situata in alto; potevo vedere un lembo di cielo e talvolta vi brillava una stella, dolce come un bel viso. Attribuivo grande importanza a quel lembo di azzurro e, quando vi passava una nuvola, pensavo che fosse la cosa più bella del mondo. So che ero uno sciocco, ma quei pensieri e quelle piccole cose mi aiutarono a superare quel momento e sono ora per me cose realmente sacre, dalle quali non posso separarmi. La cara testolina luminosa, l’abito bianco, gli occhi simili a stelle, quei modi dolci e calmi che la pongono in alto, sopra di me, quanto la luna nel cielo. Non me la portate via! È solo un’illusione, ma un uomo deve pur amare qualcosa ed è meglio che io ami una come lei che una qualsiasi delle ragazze normali che si prenderebbero cura di me.

La calma disperazione nella voce di Dan colpì fin nel profondo del cuore la signora Jo, ma non c’era alcuna speranza e non gliene diede. Sentiva che lui aveva ragione e che quell’amore senza speranza avrebbe potuto fare di più per elevarlo e purificarlo più di qualsiasi altro affetto. Poche donne

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avrebbero potuto sposare Dan, ora, tranne qualcuna che gli sarebbe stata più di peso che di aiuto nella lotta che la vita sarebbe sempre stata per lui; era meglio scendere solo nella tomba piuttosto che diventare quello che pensava fosse stato suo padre: un bell’uomo senza scrupoli, pericoloso, che era stato la causa di più di un cuore infranto.

- Sì, Dan, fai bene a conservare questa innocente illusione, se ti è di aiuto e di conforto, finché un affetto più reale e possibile non venga a renderti felice. Vorrei poterti dare una speranza, ma entrambi sappiamo che l’adorabile fanciulla è la pupilla degli occhi di suo padre, l’orgoglio di sua madre e che anche il più perfetto innamorato non sembrerà mai degno della loro preziosa creatura. Lascia che rimanga l’alta e lucente stella che ti guida e ti fa credere nel paradiso.

Qui la signora Jo si fermò affranta. Le sembrò così crudele distruggere la debole speranza che gli occhi di Dan rivelavano, che non osò più fare la morale, pensando alla vita dura e solitaria che lo attendeva. Forse fu la cosa più saggia che potesse fare, perché nella sua materna simpatia lui trovò conforto al dolore e ben presto, davanti all’inevitabile, potè parlare di nuovo con quel tono di virile rassegnazione che mostrava quanto fosse onesto il suo sforzo di rinunciare a tutto, meno che alla pallida illusione che per tutt’altri avrebbe potuto divenire una possibile felicità.

Parlarono a lungo e seriamente nella luce del crepuscolo e questo secondo segreto li unì più del primo, poiché in esso non vi era peccato né vergogna, solo un dolore tranquillo e paziente che ha trasformato in santi ed eroi uomini molto peggiori del nostro povero Dan. Quando alla fine si levarono al richiamo della campana, tutto lo splendore del tramonto si era spento e nel cielo invernale brillava un’unica stella, grande, dolce e chiara, sopra il mondo coperto di neve. Fermandosi davanti alla finestra prima di abbassare le tende, la signora Jo disse allegramente: – Vieni a vedere com’è bella la stella della sera, dato che la ami tanto.

E mentre Dan stava in piedi accanto a lei, alto e pallido, come il fantasma del giovane di un tempo, lei aggiunse sottovoce: – Ricordati, caro, che se la dolce fanciulla ti è negata, la vecchia amica è sempre qui per amarti, per aver fiducia in te e per

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pregare. Questa volta non fu delusa e se aveva chiesto una

ricompensa alle tante ansie e preoccupazioni, la ricevette quando il braccio di Dan la cinse, mentre diceva, con una voce che dimostrava che non aveva lavorato invano per salvare il suo «tizzone di fuoco»: – Non potrò mai dimenticarlo; tu mi hai aiutato a salvare la mia anima e a darmi il coraggio di guardare in alto e dire «Dio la benedica».

Capitolo ventiduesimo Certamente l’ultimo arrivo - In fede mia, mi pare di vivere in una polveriera e non so

quale barile esploderà per primo e mi farà saltare in aria, – diceva tra sé la signora Jo il giorno seguente, mentre si dirigeva verso il Parnaso per suggerire a sua sorella che forse la più graziosa delle due infermiere faceva meglio a tornare ai suoi dei di marmo, prima di aggiungere, inconsciamente, un’altra ferita a quelle già ricevute dall’eroe umano. Non svelò alcun segreto, ma la sua allusione bastò, perché la signora Amy custodiva sua figlia come una perla di gran valore, e subito escogitò un mezzo molto semplice per allontanarla dal pericolo. Il signor Laurie doveva recarsi a Washington per occuparsi degli affari di Dan e fu ben contento di portare con sé la famiglia, non appena gli fu ventilata l’idea. Così la cospirazione riuscì perfettamente e la signora Jo tornò a casa, sentendosi più che mai una traditrice. S’aspettava un’esplosione da parte di Dan, invece accolse la notizia con una calma tale che era evidente che non si faceva alcuna illusione, e la signora Amy fu sicura che la sua romantica sorella si fosse ingannata. Se avesse visto il volto di Dan quando Bess andò a salutarlo, il suo occhio materno avrebbe scoperto molto di più di quello dell’inconsapevole fanciulla. La signora Jo tremava per la paura che si tradisse, ma lui aveva imparato a dominarsi a una dura scuola e avrebbe superato il difficile momento con coraggio se non fosse che, quando prese tra le sue le manine della fanciulla, dicendole cordialmente: «Addio, principessina; se non ci incontreremo più, ricordati qualche volta del vecchio amico Dan», lei, commossa dal ricordo

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dell’ultimo pericolo da lui corso e dal suo sguardo pensoso, rispose con insolito calore: «Come potrei non ricordarti, quando tutti noi siamo così orgogliosi di te? Dio benedica la tua missione e ti riconduca sano e salvo a casa!»

Mentre lei lo guardava con un volto pieno d’affetto e di dolce rimpianto, tutto quello che stava per perdere gli venne in mente così vividamente che non seppe resistere all’impulso di afferrare quella chioma d’oro tra le mani e di baciarla, dicendo con voce spezzata: «Addio», poi fuggì nella sua stanza, sentendosi di nuovo in cella, senza alcun lembo d’azzurro a confortarlo.

Questa improvvisa carezza e quel brusco allontanamento sorpresero alquanto Bess, che col pronto intuito di ogni donna, aveva sentito che in quel bacio vi era qualcosa di sconosciuto; perciò lo seguì con lo sguardo turbato e un improvviso rossore sulle guance. La signora Jo lo vide e, temendo una domanda molto naturale, le diede la risposta, prima che la ragazza gliela rivolgesse: – Perdonalo, Bess. Ha avuto grandi preoccupazioni e ora si commuove nel separarsi dai vecchi amici; perché, sai, potrebbe anche non tornare, da quel selvaggio paese dove andrà a stare!

- Alludi al pericolo di morire? – domandò Bess innocentemente.

- No, cara, una prova molto più grave. Ma non posso dirti altro… tranne che l’ha superata coraggiosamente, perciò devi aver fiducia in lui e stimarlo come faccio io.

- Deve aver perduto qualcuno che amava, povero Dan. Dobbiamo essere molto buoni con lui.

Bess non fece altre domande, ma sembrò soddisfatta della soluzione del mistero, così appropriata che la signora Jo lo confermò con un cenno del capo, e la lasciò andare con la convinzione che la perdita di una persona amata e il dolore avevano prodotto il cambiamento che tutti notavano in Dan e che lo rendeva restio a parlare dell’anno trascorso.

Ma Ted non poteva essere così facilmente soddisfatto e quell’insolita reticenza lo portava alla disperazione. Sua madre l’aveva esortato a non tormentare Dan con inutili domande, almeno finché non si fosse rimesso in salute; ma la prospettiva della prossima partenza lo spinse a chiedergli un racconto dei

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fatti chiaro, soddisfacente, completo che, era sicuro, dovevano essere stati emozionanti, dalle poche parole sfuggite a Dan nel delirio della febbre. Perciò un giorno, trovato il campo libero, si offrì di far compagnia al malato e subito cominciò: – Senti, vecchio mio, se non vuoi ch’io legga, allora devi parlare e raccontarmi tutto quello che hai fatto nel Kansas, delle fattorie e di quei luoghi. Quello che ti è successo nel Montana lo so, ma tu sembri aver dimenticato quello che è successo prima. Coraggio, dimmelo, – glielo domandò così bruscamente, che Dan si riscosse prontamente dalla sua triste meditazione.

- No, non l’ho dimenticato, ma non interessa altri che me. Non vidi nessuna fattoria… abbandonai l’idea, – disse lentamente.

- Perché? - Avevo altro da fare. - Che cosa? - Fabbricar spazzole, per esempio. - Non mi prendere in giro. Dimmi la verità. - Lo feci realmente. - A che scopo? - Per star lontano dai guai, soprattutto. - Di tutte le cose stravaganti che hai fatto, e ne hai fatte

molte, questa è la più stravagante, – esclamò Ted, sconcertato da questa deludente scoperta. Ma non era disposto a cedere e continuò: – Che guai Dan?

- Che te ne importa? I ragazzi non devono essere inopportuni.

- Ma io muoio dalla voglia di sapere e sono il tuo amico fedele che ti ama più di tutti. Ti ho sempre voluto bene: dai, dimmi! Adoro le avventure, sarò muto come un pesce se non vuoi che si sappia.

- Davvero? – e Dan lo guardò, domandandosi come si sarebbe trasformato quel volto infantile, se ad un tratto gli avesse rivelato la verità.

- Te lo giuro solennemente, se vuoi. So che dev’essere un racconto stupendo e muoio dalla voglia di sentirlo.

- Sei curioso come una donna, anzi più di alcune; Josie e Bess, per esempio, non mi hanno mai fatto domande.

- Non si interessano di zuffe e simili cose, a loro piacciono le

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miniere, gli eroi e cose del genere. Anche a me, veramente, e sono molto orgoglioso di te, ma capisco dai tuoi occhi che c’è stato dell’altro prima e ho intenzione di scoprire chi sono Blair e Mason, chi fu colpito, e chi scappò via e tutto il resto.

- Cosa? – gridò Dan con un tono che fece sobbalzare Ted. - Sì, mormoravi qualcosa su di loro nel delirio e lo zio Laurie

era curioso di sapere chi fossero. Anch’io lo ero. Ma non ti preoccupare, non dirlo, se non ti ricordi o se non vuoi ricordare.

- Cos’altro ho detto? Strano, quante sciocchezze si dicono quando non si è in sé!

- Io non ho sentito altro, ma mi sembrava una cosa interessante e te l’ho ricordata, pensando che avrebbe potuto rinfrescarti un po’ la memoria, – disse Ted molto gentilmente, perché la rabbia di Dan era forte in quel momento.

A questa risposta si rasserenò e dopo un’occhiata al ragazzo che si agitava sulla sedia con un’impazienza a stento trattenuta, Dan decise di divertirlo con un gioco di indovinelli e di mezze verità, sperando di soddisfare la sua curiosità e di essere poi lasciato in pace.

- Lasciami pensare; Blair era un ragazzo che avevo incontrato in treno, e Mason un povero diavolo che si trovava in una… una specie di ospedale, dove capitai per caso. Blair scappò dai suoi fratelli e penso di poter dire che Mason fu colpito, perché morì là. Ti basta?

- No, non basta. Perché Blair è scappato? E chi ha colpito l’altro? Sono sicuro che ci deve essere stato un combattimento da qualche parte, non è vero?

- Sì. - Credo di indovinare il perché. - Diavolo! Vediamo cosa indovini. Dev’essere divertente! –

disse Dan, fingendo una disinvoltura che non aveva affatto. Felice che gli fosse permesso di far andare a briglia sciolta la

sua fantasia, Ted diede subito la sua spiegazione di ragazzo del mistero che Dan aveva conservato così bene, perché sentiva che ci doveva essere un mistero da qualche parte.

- Non importa che tu dica di «sì» se indovino, se hai fatto giuramento di tacere. Capirò dalla tua faccia e non dirò nulla a nessuno. Senti se non ho indovinato. Laggiù la gente è

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piuttosto selvaggia, e io credo che tu ti sia trovato immischiato in qualche faccenda poco chiara. Non intendo rapine ai postali o partecipazione al Ku Klux Klan o cose del genere, ma devi aver preso le difese di coloni o partecipato all’impiccagione di qualche furfante o anche preso a fucilate qualcuno come si deve fare talvolta, per legittima difesa. Ah! Ah! Ho indovinato, lo vedo dalla tua faccia. Non c’è bisogno che tu parli, conosco il lampo dei tuoi occhi e i tuoi pugni chiusi! – e Ted gonfiò il petto, tutto soddisfatto.

- Continua, furbacchione, e non perdere il filo del racconto, – disse Dan che provava un curioso senso di sollievo a quelle parole dette a caso e che avrebbe desiderato confermare con quelle vere, senza osare però farlo… Avrebbe potuto confessare la sua colpa, ma non la punizione che era seguita, tanto vivo era ancora in lui il senso della vergogna.

- Lo sapevo che avrei indovinato, non mi si può ingannare a lungo, – cominciò Ted con aria così orgogliosa di sé che Dan non potè trattenersi da un breve riso.

- È un sollievo, non è vero, esserti liberato di quel peso? Ora confidati a me e tutto è a posto, a meno che tu non abbia giurato di tacere.

- L’ho giurato. - Bene, allora non parlare, – e Ted fece il viso lungo, ma

subito tornò il solito e ricominciò con l’aria di uno che la sa lunga: – Bene… capisco… questione d’onore… Silenzio fino alla morte… Sono contento che tu sia rimasto accanto all’amico all’ospedale. Quanti ne hai uccisi?

- Solamente uno. - Un furfante, naturalmente? - Un dannato mascalzone. - Non fare quella faccia, io non ci trovo nulla da ridere. Non

mi farei scrupolo neppure io a spaccare la testa a uno di quei mascalzoni assetati di sangue. Dopo avrai dovuto nasconderti e restar tranquillo, credo.

- Molto quieto e a lungo. - Ma poi tutto è finito bene e sei andato alla miniera e hai

compiuto quella coraggiosa azione. Ebbene, io dico che è decisamente interessante e magnifico. Sono contento di averlo saputo, ma non aprirò bocca.

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- Non mi importa se lo farai. Ted, se tu avessi ucciso un uomo ti preoccuperesti, un uomo malvagio, intendo?

Il ragazzo aprì la bocca per dire «Nient’affatto», ma poi trattenne la risposta come se qualcosa nel volto di Dan gli avesse fatto cambiare idea: – Ti dirò, se fosse stato mio dovere in guerra o per legittima difesa, credo che non dovrei provarne; ma se l’avessi colpito in un impeto d’ira, credo che me ne dispiacerebbe moltissimo. Non mi meraviglierei se il ricordo mi tormentasse e il rimorso mi divorasse come accade ad Aram e agli altri. Non credi? Ma il tuo è stato un combattimento leale, vero?

- Sì, avevo ragione, ma preferirei non esserci cascato. Le donne non la pensano come noi e si scandalizzano per cose simili. Questo è duro da sopportare, ma non importa.

- E tu non raccontarlo a loro, così non si preoccuperanno, – disse Ted, con l’aria di uno che sa trattare il sesso debole.

- Non ne ho l’intenzione. Ricordati di tenere per te quello che sai, perché sono cose fuori dell’ordinario. Ora puoi leggere, se vuoi, – e così ebbe termine la conversazione. Ted ne fu molto soddisfatto e, in seguito, si mostrò saggio come un gufo.

Seguirono settimane tranquille, durante le quali Dan era insofferente per stare lì ad aspettare. Quando finalmente gli scrissero che i suoi documenti erano pronti, era ansioso di partire, per dimenticare con un duro lavoro un amore senza speranza e per vivere per gli altri dal momento che non poteva vivere per sé.

Così una tempestosa mattina di marzo, il nostro Sintram se ne andò a cavallo, con il suo cane, per affrontare di nuovo i nemici, dei quali sarebbe stato vittima senza l’aiuto del cielo e della pietà umana.

- Povera me! La vita sembra fatta di addii e diventano sempre più penosi, man mano che si avanza negli anni, – sospirava una settimana dopo la signora Jo, mentre sedeva una sera nel grande salotto del Parnaso, dove tutta la famiglia si era radunata per festeggiare i viaggiatori ritornati.

- Ma è fatta anche di incontri, mia cara: noi siamo qui riuniti e Nat finalmente è sulla via di casa. Guarda il rovescio della medaglia, come diceva la mamma, e ti consolerai, – le rispose la signora Amy, felice di essere di nuovo a casa e di non vedere

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più lupi minacciare il suo ovile. - Sono stata così preoccupata ultimamente che non posso

fare a meno di lamentarmi. Mi chiedo cos’avrà pensato Dan non potendo più rivedervi. È stata una cosa saggia, ma lui sarebbe certamente stato felice di dare ancora uno sguardo ai volti familiari, prima di andare in quei luoghi selvaggi, – disse con rimpianto la signora Jo.

- Molto meglio così. Abbiamo lasciato lettere e tutto quanto pensavamo gli potesse servire, poi siamo scappati via, prima che arrivasse. Bess sembrava più sollevata e io, dal canto mio, lo ero realmente, – e la ruga di ansia sulla bianca fronte della signora Amy si distese, mentre sorrideva alla figlia che rideva felice con le cugine.

La signora Jo scosse la testa, come se il rovescio di quella medaglia fosse difficile da trovare, ma non ebbe tempo di rammaricarsi ancora, perché proprio in quell’istante il signor Laurie entrò con un’aria davvero felice.

- È arrivato un nuovo quadro: guardate verso la sala di musica, brava gente, e ditemi se vi piace. Io lo chiamerei «Solo un violinista» dalla novella di Andersen. Voi come lo intitolate?

Mentre parlava, spalancò la porta e sulla soglia comparve un giovane dal volto raggiante e con un violino in mano. Non c’era dubbio alcuno sul nome da dare a quel quadro e tutti si alzarono gridando: «Nat! Nat!» ma Daisy gli fu accanto per prima e sembrò aver dimenticato per strada la sua abituale riservatezza, perché si aggrappò a lui, singhiozzando scossa da una sorpresa e da una gioia troppo grandi per essere trattenute. Ogni cosa fu sistemata in quell’abbraccio tenero e pieno di lacrime, e se la signora Meg intervenne per staccare sua figlia da Nat fu solo per abbracciarlo a sua volta, mentre Demi gli stringeva la mano con affetto fraterno e Josie ballava attorno a loro come tre streghe del Macbeth contemporaneamente declamando col suo tono più tragico: – Usignolo fosti, secondo violino ora sei, il primo diventerai. Urrà!

Quest’uscita provocò una risata generale e fece tornare l’allegria. Poi cominciò l’abituale fuoco di fila di domande e risposte, mentre i ragazzi ammiravano la barba bionda e i suoi abiti di taglio straniero, e le ragazze il suo aspetto migliorato,

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perché era colorito per le sostanziose bistecche e la buona birra inglesi e rinvigorito dall’aria marina che l’aveva sospinto più velocemente a casa, mentre gli adulti si rallegravano delle buone prospettive per il futuro. Naturalmente tutti volevano sentirlo suonare e quando le lingue furono stanche egli fece del suo meglio per accontentarli, meravigliando anche i critici più severi coi suoi progressi, ancor più che per l’energia e la sicurezza di sé che facevano del timido Nat un uomo nuovo. Poi quando il violino, il più umano di tutti gli strumenti, ebbe finito di diffondere le più belle melodie, Nat disse guardando i suoi vecchi amici attorno a lui con un’espressione di felicità e di gioia: – Ora lasciate che vi suoni qualcosa che tutti conoscete, anche se a voi non può essere cara quanto a me, – e in piedi nella posizione resa celebre da Ole Bull, suonò la canzone che aveva già suonato la sera che era arrivato per la prima volta a Plumfield. Tutti la ricordavano e si unirono al coro nostalgico che ben esprimeva le loro emozioni:

Oh, il mio cuore è triste e stanco e per il mondo ramingo me ne vo con la nostalgia dell'antica piantagion e dei miei vecchi che a casa son. - Ora sto meglio, – disse la signora Jo, mentre poco dopo,

scendevano tutti la collina. – Alcuni dei nostri ragazzi sono stati dei fallimenti, ma penso che Nat sarà un successo e la buona Daisy finalmente una ragazza felice. Nat è opera tua, Fritz, e mi congratulo di cuore.

- Ah! noi non possiamo fare altro che gettare il seme e sperare che cada in un terreno fertile. Io ho seminato, forse, ma tu hai sorvegliato perché gli uccelli non beccassero il seme e Laurie ha generosamente innaffiato; perciò ci divideremo il raccolto e saremo contenti anche se sarà piccolo, mia cara.

- Pensavo che per il mio povero Dan la semente fosse caduta su un terreno pietroso, ma non mi stupirei se superasse tutti gli altri nella vera vittoria della vita, poiché si fa più festa per un peccatore pentito che per novantanove giusti, – gli rispose la signora Jo, ancora molto attaccata alla sua pecora nera, benché un gregge di pecorelle bianche trotterellasse davanti a

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lei. È una gran tentazione, per il narratore stanco, chiudere

questa storia con un terremoto che inghiottisca Plumfield e i suoi dintorni, tanto profondamente che nessun nuovo Schliemann possa mai più trovarne i resti. Poiché una fine tanto tragica potrebbe urtare la sensibilità dei miei gentili lettori, mi tratterrò e vorrei prevenire la solita domanda («Che fine fecero?») col dire che tutti i matrimoni andarono bene. I giovani riuscirono ottimamente nelle carriere scelte e così pure le ragazze, perché Bess e Josie si fecero molto onore nel campo artistico e, col tempo, trovarono compagni degni di loro. Nan invece restò una zitella, laboriosa, allegra, indipendente e dedicò la sua vita alle donne sofferenti e ai loro figli, e in questo lavoro degno di una donna vera trovò una felicità duratura. Dan non si sposò mai, ma condusse una vita coraggiosa e utile tra coloro che si era scelto per compagnia finché non venne ucciso combattendo per loro; solo allora giacque tranquillamente nella selvaggia prateria che amava tanto, con una ciocca di capelli biondi sul petto e un sorriso sulle labbra che sembrava dicesse che il cavaliere di Aslauga aveva combattuto la sua ultima battaglia e riposava in pace. Stuffy divenne magistrato e morì di apoplessia dopo un banchetto ufficiale. Dolly fu un brillante uomo di società finché non perse tutto il suo denaro e allora trovò un lavoro adatto a lui in una grande sartoria. Demi divenne socio nella ditta «Tiber & Co.» e visse tanto da vedere il suo nome sulla porta dell’azienda. Rob divenne professore nel collegio Laurence, ma Teddy eclissò tutti diventando un eloquente e famoso sacerdote con gran soddisfazione della sua stupitissima mamma. Ed ora, avendo cercato di accontentare tutti con molti matrimoni, poche morti e tanta prosperità, quanta ne consente l’eterna vicenda delle cose, lasciate che la musica cessi, si spengano i lumi e cali per sempre il sipario sulla famiglia March.

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1 Personaggio dalla proverbiale curiosità, protagonista di canzoni popolari nei paesi anglosassoni. 2 Claude Melnotte (1840-1923): musicista e compositore francese. 3 Ole Bull (1810-80): celebre violinista norvegese, amico di Liszt, che ha avuto fortuna prima in Francia e poi negli Stati Uniti. 4 Riferimento al profeta Daniele, personaggio biblico di grande saggezza. 5 Riferimento all’Oliver Twist di Dickens e al suo sfortunato protagonista. 6 I coniugi Micawber sono personaggi del David Copperfield di Dickens: lui è un sognatore inconcludente, mentre lei tira avanti la famiglia e i figli. 7 Tipo di danza originaria dei territori friulani ma molto praticata in tutto il mondo. Una coppia di danzatori ruota su se stessa con grande velocità e energia. 8 Protagonista della farsa Poor Pillicoddy di John Maddison Morton (1811-91). 9 In tedesco nel testo. 10 Riferimento a Dora Copperfield, del David Copperfield di Dickens, che muore dopo un breve periodo di matrimonio. 11 Canzone popolare composta nel 1837 da Frederick William Nicholls Crouch (1808-96). 12 Charlotte Mary Yonge (1823-1901): scrittrice inglese. 13 Personaggio del David Copperfield di Dickens. 14 Paul Revere (1735-1818) fu un fine incisore e un fervente patriota durante la Guerra di Indipendenza. È passato alla storia per la cosiddetta «cavalcata di mezzanotte» con cui avvisò le truppe americane dell’arrivo dell’esercito inglese a Boston. Cavalcando nella notte tra il 18 e il 19 aprile 1775, permise ai commilitoni di prepararsi all’arrivo del nemico: il giorno successivo si combatterono le prime battaglie della guerra, a Lexington e Concord. 15 John Ruskin (1819-1900): scrittore, poeta, pittore, critico d’arte inglese. Philip Gilbert Hamerton (1834-94): critico e scrittore d’arte inglese. Anna Brownell Jameson (1794-1860): scrittrice e saggista inglese. Frances Power Cobbe (1822-1904): saggista inglese attiva nei movimenti per i diritti civili delle donne e i diritti degli animali. Anna C. Brackett (1832-1902): pedagoga americana. Emy B. Duffy (1825-93): saggista e polemista americana. Abba. L. Woolson (1827-98): scrittrice americana. 16 Harriet Martineau (1802-76): pensatrice e scrittrice inglese. Elizabeth Barrett Browning (1806-61): poetessa inglese. George Eliot, pseudonimo di Mary Anne Evans (1819-80): scrittrice inglese, autrice di Middlemarch, Daniel Deronda, Il mulino sulla Floss e altri celebri romanzi. 17 George Bryan Brummell (1778-1840), passato alla storia come «Lord Brummell» e divenuto simbolo di eleganza nei modi e raffinatezza nel vestire. 18 Friedrich Heinrich Karl de la Motte, Barone di Fouqué (1777-1843): scrittore romantico tedesco.