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2011
S.I.O.P. Società Italiana Otorinolaringoiatria Pediatrica
XXI Congresso S.I.O.P.
[ABSTRACTS ]
XXICONGRESSONAZIONALEDELLASOCIETÀITALIANADIOTORINOLARINGOLOGIAPEDIATRICA
Napoli, 17‐19 novembre 2011 Presidente: Nicola Mansi
ABSTRACTS
MISCELLANEA .................................................................................................................................................... 2
OTOLOGIA ........................................................................................................................................................ 11
MISCELLANEA – VIDEO .................................................................................................................................... 22
RINOLOGIA ...................................................................................................................................................... 30
FARINGO‐LARINGOLOGIA ................................................................................................................................ 39
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Napoli, 17‐19 novembre 2011 Presidente: Nicola Mansi
MISCELLANEA
Inquadramento diagnostico e trattamento delle fratture dello scheletro facciale in età pediatrica
P.Capasso, M.Gargiulo, A.Papa, S.Parascandolo (A.O. Cardarelli – Napoli)
Pott’s Puffy Tumor: a proposito di un caso
A.Mentone, E.Facciuto, G.Di Mauro, S. Parascandolo (A.O. Cardarelli – Napoli)
Il trattamento medico‐chirurgico degli ascessi odontogeni e delle loro complicanze in età pediatrica
A.Papa, M.Gargiulo, P.Capasso, S.Parascandolo (A.O. Cardarelli – Napoli)
Scarsa predittività dell’esame laringoscopico in caso di diagnosi di malattia da reflusso gastroesofageo in età pediatrica
A.Degrassi, S.Martellossi, D.L.Grasso, G.Pelos, G.Di Leo, I.L'Erario, E.Orzan (IRCCS Burlo Garofalo – Trieste)
Validazione di un questionario per l’ autovalutazione della disfonia da parte del bambino: il CVHI ‐ 10
V.de Maio (Napoli), A. Ricci Maccarini (Cesena), A.Schindler (Milano)
Nostra esperienza con l’uso del “pH‐Measurment System per lo studio del reflusso laringo‐faringeo
N.Mansi, V. de Maio, A.M Varricchio., G. Ripa (A.O. Santobono Pausilipon – Napoli)
Nostra esperienza nella rieducazione delle disfonie infantili con il metodo propriocettivo elastico
E.Capolongo, V.de Maio (A.O. Santobono Pausilipon – Napoli)
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INQUADRAMENTODIAGNOSTICOETRATTAMENTODELLEFRATTUREDELLOSCHELETROFACCIALEINETÀPEDIATRICAP.Capasso, M.Gargiulo, A.Papa, S.Parascandolo (A.O. Cardarelli – Napoli)
Introduzione: Nell’ambito della traumatologia pediatrica circa il 5% delle fratture è localizzata al volto; tale
percentuale si riduce se si considerano bambini al di sotto dei 6 anni nei quali le suddette fratture non
superano l’1%.
La minore incidenza di fratture del distretto facciale nel bambino rispetto all’adulto riconosce le seguenti
cause: obbligo di una maggiore protezione del bambino durante il trasporto; ridotto peso che, in caso di
incidente, riduce a parità di accelerazione la forza d’urto; differenze anatomiche tra splancnocranio e
neurocranio; maggiore elasticità dei tessuti dovuta alla presenza di cartilagine e osso a bassa
mineralizzazione; presenza dei seni paranasali in via di sviluppo; maggiore presenza di tessuto adiposo.
Il nostro studio presenta un’analisi retrospettiva dell'incidenza, dell’eziologia e del trattamento dei traumi
dello scheletro facciale nella popolazione pediatrica e adolescenziale afferita al dipartimento assistenziale
di chirurgia maxillo facciale dell’ospedale Cardarelli di Napoli.
Materiali: Dal 2007 al 2010 sono stati trattati presso la nostra struttura 82 pz suddivisi per età, sesso,
eziologia, localizzazione delle fratture e trattamento.
Discussione: Dall’analisi dei casi si evince che il 70,7% dei pz erano di sesso maschile, età media 14 anni con
un range di età da 6 a 18 anni. Il nostro protocollo diagnostico si è avvalso dell’esame clinico, della
ortopantomografia e in casi selezionati di una TC a basse emissioni.
Le cause principali erano da imputare a incidente stradale (41,4%), attività sportiva( 25,6%), caduta
accidentale (24,4%) e violenza (8,6%). Le localizzazioni più frequenti : ossa nasali (41,5%), mandibola( 24%),
dentoalveolare (21%), orbito zigomatica (9,8%), mascellare (3,7%). Nell’ambito delle fratture mandibolari si
evidenziarono le seguenti sottosedi: condilo (48%), corpo (35,8%), angolo (8,8%), sinfisi (7,4%). I Pz sono
stati trattati nel % 45 dei casi con terapia conservativa mentre nel 55% % dei casi è stato sottoposto a
terapia chirurgica.
Conclusioni: Le fratture dello scheletro faciale nel bambino sono un evento frequente correlato
principalmente ad incidenti stradali e cadute accidentali, anche se negli ultimi anni sono in aumento quelle
dovute a violenza in ambiente domestico.
Come sede, quelle più frequenti sono localizzate al naso, tuttavia sono quelle mandibolari a richiedere un
management chirurgico più complesso.
Il trattamento dovrebbe essere, ove possibile, sempre di tipo conservativo poiché le fratture nel bambino,
soprattutto quelle condilari presentano una spiccata tendenza alla guarigione spontanea, anche se in casi
rari possono evolvere in anchilosi articolare.
L’impiego delle placche di osteosintesi riassorbibili vengono utilizzate in casi selezionati e rappresentano
una valida e corretta alternativa a quelle in titanio in età pediatrica.
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POTT’SPUFFYTUMOR:APROPOSITODIUNCASOA.Mentone, E.Facciuto, G.Di Mauro, S. Parascandolo (A.O. Cardarelli – Napoli)
Il tumore gonfio di Pott, la prima volta descritto nel 1760 da Percivall Pott, viene definito attualmente come
un ascesso sub‐periostale a livello dell'osso frontale associato ad osteomielite. Si tratta di una patologia di
non frequente riscontro con solo 20/25 casi descritti in letteratura in era post‐antibiotica.
L'instaurarsi di questo infrequente tumore che il più delle volte si sviluppa a partire da un evento
antecedente di sinusite, eventi traumatici a carico dell'osso frontale, punture di insetti, è strettamente
correlato alle caratteristiche anatomiche dell'osso che facilitano la diffusione di processi infettivi.
Gli agenti patogeni coinvolti più frequentemente nel Tumore gonfio di Pott sono Streptococcus e
Staphilococcus; responsabili di possibili e temibili complicanze intracraniche sono batteri quali
Fusobacterium, Bacteroides, Streptococcus anaerobio, essendo la concentrazione dell'ossigeno bassa a
livello dei seni frontali.
I pazienti affetti da tumore gonfio di Pott lamentano: cefalea, febbre, fotofobia, rinorrea purulenta, segni di
ipertensione endocranica, convulsioni, deficit neurologico focale.
All'esame obiettivo specialistico, invece, si può apprezzare tumefazione e deformità in sede frontale,
eritema periorbitario ed eventualmente disturbi della motilità oculare.
Le complicanze osservate in circa il 60% dei pazienti affetti da Tumore gonfio di Pott sono il risultato di una
diretta estensione del processo infettivo o più comunemente sono conseguenti ad una tromboflebite
settica. La progressiva tromboflebite attraverso le vene diploiche nonché la formazione di emboli settici
può evolvere in una trombosi del seno sagittale e\o del seno cavernoso con empiema subdurale, meningiti,
ascesso subdurale, ascesso cerebrale.
Indipendentemente dalle complicanze neurologiche di cui sopra vanno ricordate anche le non meno
frequenti ed importanti complicanze orbitaria dovute ad una estensione verso il basso del processo
infettivo avuto origine in sede frontale quali: ascesso periorbitario, cellulite orbitaria, ascesso intraorbitario,
neurite ottica.
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ILTRATTAMENTOMEDICO‐CHIRURGICODEGLIASCESSIODONTOGENIEDELLELOROCOMPLICANZEINETÀPEDIATRICAA.Papa, M.Gargiulo, P.Capasso, S.Parascandolo (A.O. Cardarelli – Napoli)
INTRODUZIONE: Gli ascessi odontogeni costituiscono in età pediatrica una patologia di sempre maggiore
riscontro che vede coinvolti in maniera pluridisciplinare lo specialista ORL, l’odontoiatra e il chirurgo
maxillo‐facciale.
La maggior parte degli ascessi odontogeni nei bambini origina da carie, traumi o pericoronarite da
disodontiasi; esistono tuttavia condizioni patologiche congenite, quali l’osteogenesi imperfetta, quadri
sindromici cranio‐facciali con anomalie della dentina e l’ipofosfatemia familiare che nel pz pediatrico
possono svolgere un ruolo importante.
La natura polimicrobica di queste infezioni è ascrivibile a germi aerobi per il 35%, anaerobi per il 5% ed il
restante 60% ad una flora mista.
Una tempestiva diagnosi ed un adeguato trattamento evitano il propagarsi delle infezioni odontogene ai
tessuti circostanti, al circolo linfatico e al circolo ematico.
Nelle forme più severe l’espansione del processo infettivo può avere gravi conseguenze come nel caso
dell’angina di Ludwig, fasciti necrotizzanti e ascessi ad estrinsecazione cervicale.
Riportiamo la nostra esperienza nel trattamento medico e chirurgico degli ultimi 4 anni.
MATERIALI: Dal 2007 al 2010 sono stati trattati presso la nostra struttura 90 pz in età pediatrica affetti da
ascessi odontogeni; tutti analizzati per età, sesso, eziologia, localizzazione, patologie sistemiche,
trattamento farmacologico, chirurgico e complicanze.
DISCUSSIONE: Dall'analisi del nostri casi risulta che il 70% dei pz erano di sesso maschile, età media di 14
anni con un range da 5 a 18 anni. Le cause principali erano da imputare a parodontite apicale acuta nel
60%, pericoronarite da disodontiasi nel 25,6%, e fratture dentarie nel 14,4%, Le comorbidità riscontrate
furono: immunodepressione, malattie metaboliche e disabilità psico‐motoria spesso associata a patologie
sindromiche. Il dolore oro‐cervico‐faciale associato a tumefazione locale era presente nella quasi totalità
dei pazienti; nel 23% trisma; nel 15% disfagia; nel 3% dispnea. S.aureus, S Pyogenes, S. Viridans,
Peptostreptococco e Bacterioides, furono i patogeni isolati. I pz furono trattati nel 80% dei casi con terapia
farmacologica associata a quella chirurgica (drenaggio e estrazione dentale) e nel 20% con sola terapia
farmacologica che prevedeva la somministrazione (a opportune dosi pediatriche) di penicillina o
cefalosporina; nei casi di allergia a questi farmaci fu’ impiegata la clindamicina. Le complicanze riscontrate
furono: ascesso cervicale nel 15%, angina di Ludwig nel 5,5%, e fascite necrotizzante nel 2,2%.
CONCLUSIONI: Gli ascessi di natura odontogena rappresentano una delle cause più frequenti di gravi
flogosi del distretto oro‐cervico‐facciale. Nei pazienti pediatrici una precoce diagnosi seguita da un corretto
trattamento medico chirurgico che prevede l'associazione di drenaggio chirurgico, terapia farmacologica e
concomitante rimozione della noxa patogena dentaria abbatte sensibilmente il tasso di complicanze che in
questo tipo di pazienti può avere anche esito letale.
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SCARSAPREDITTIVITÀDELL’ESAMELARINGOSCOPICOINCASODIDIAGNOSIDIMALATTIADAREFLUSSOGASTROESOFAGEOINETÀPEDIATRICAA.Degrassi, S.Martellossi, D.L.Grasso, G.Pelos, G.Di Leo, I.L'Erario, E.Orzan (IRCCS Burlo Garofalo – Trieste)
Negli ultimi anni è molto aumentato l’interesse degli otorinolaringoiatri nei confronti della malattia da
reflusso gastroesofageo (GERD), per la possibilità di disporre di elementi patognomonici anche nelle alte vie
aerodigestive e per la possibile co‐presenza di un quadro di reflusso faringo‐laringeo.
Nondimeno, vi è una certa preoccupazione per la possibile scarsa specificità e sensibilità laringoscopica, che
potrebbe indurre ad un improprio trattamento dei bambini che presentano solo un sospetto di malattia da
reflusso gastroesofageo.
Lo scopo di questo studio è stato quello di verificare la validità dell’esame fibrolaringoscopico nel percorso
diagnostico della malattia da reflusso gastroesofageo nei bambini.
Nell’ambito della routinaria attività del Servizio di endoscopia digestiva dell’IRCSS Burlo Garofolo abbiamo
eseguito, in modo randomizzato, una fibrolaringoscopia al 20% dei bambini (47 su 225) visitati in un
periodo di 6 mesi tra il 2010 e il 2011 . Lo specialista ORL non era a conoscenza di un’eventuale diagnosi di
GERD o di altra diagnosi gastroenterologica .
I reperti laringei più significativi sono risultati l’edema e l’eritema delle corde vocali, della commissura
anteriore e dello spazio interaritenoideo. Le alterazioni endoscopiche laringee sono state catalogate in base
ad un indice 0‐4, intendendo come 0 l’assenza di edema/eritema e 4 come massimo grado. 11 pazienti su
47 hanno presentato alterazioni di varia gravità (1‐4), con il 76% dei bambini senza alterazioni
faringolaringee degne di nota.
Confrontando successivamente il reperto fibroscopico con le diagnosi gastroenterologiche, non si è
evidenziata significativa correlazione tra la presenza di alterazioni endoscopiche laringee e la presenza di
reflusso gastroesofageo. Oltre a ciò, non vi è stata nemmeno correlazione tra diagnosi GERD e alterazioni
faringolaringee di maggiore gravità.
Il lavoro presenta una casistica poco numerosa, tuttavia è possibile concludere che le alterazioni delle alte
vie respiratorie sono difficilmente impiegabili come indice patognomonico per il reflusso gastroesofageo.
Il ritrovamento endoscopico di alterazioni a carico della laringe ha una bassa sensibilità e specificità nei
confronti della GERD e non giustifica, da solo, la scelta di un trattamento farmacologico per il reflusso
gastroesofageo nella popolazione pediatrica.
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VALIDAZIONEDIUNQUESTIONARIOPERL’AUTOVALUTAZIONEDELLADISFONIADAPARTEDELBAMBINO:ILCVHI‐10* V.de Maio, ** A. Ricci Maccarini, *** A.Schindler * S.C. ORL, A.O.“Santobono Pausillipon”, Napoli ‐** U.O. ORL, Ospedale “Maurizio Bufalini”, Cesena ***U.O. ORL, Ospedale “Luigi Sacco”, Milano
Introduzione: L’autovalutazione della disfonia da parte del bambino rappresenta un problema in quanto il
questionario internazionalmente più utilizzato, il Voice Handicap Index (VHI), non è somministrabile in età
pediatrica per la sua complessità e per la tipologia delle domande in esso contenute, studiate
espressamente per essere rivolte ad un adulto.
L’introduzione del VHI‐10, in cui le domande sono passate da 30 a 10, ha ridotto la complessità del
questionario, che è comunque rivolto ai soggetti adulti.
La recente proposta del Pediatric Voice Handicap Index (PVHI) costituisce un passo avanti verso una
valutazione più consona ai problemi di voce del bambino, ma non ci informa su come la disfonia viene
vissuta dal bambino.
A tale scopo abbiamo elaborato un questionario a 10 domande, (Children’s Voice Handicap Hindex‐10,
CVHI‐10) derivato dal VHI‐10 ma con le opportune modifiche che lo rendono adatto all’età pediatrica, a cui
il bambino risponde personalmente apponendo una croce sulla risposta scelta (nei bambini molto piccoli le
domande e le possibili risposte vengono formulate al bambino dal foniatra o dal logopedista).
Scopo del lavoro è valutare la consistenza interna, l’affidabilità test‐retest e la validità del CVHI‐10, da noi
proposto un anno fa al Congresso Nazionale SIFEL Materiali e metodi.
Abbiamo somministrato il CVHI‐10 a 76 bambini disfonici, che sono giunti alla nostra osservazione per una
valutazione foniatrica e per controllo foniatrico al termine di un trattamento logopedico e/o fonochirurgico.
Ai genitori veniva somministrato un questionario a 10 domande, derivato dal CVHI‐10 con domande che
riguardavano la disfonia del bambino e a cui deve rispondere un genitore. Non abbiamo utilizzato il PVHI
classico in quanto è a 30 domande e non comparabile al CVHI‐10.
Sia il CVHI‐10 che il questionario per i genitori, che abbiamo denominato PVHI‐10, prevedono tre gradi di
severità nelle risposte, diversamente dal VHI, VHI‐10 e dal PVHI che prevedono 4 gradi di severità,
nell’ottica di rendere più semplici le risposte per il bambino.
Per lo studio della consistenza interna sono stati inclusi tutti i 76 bambini disfonici esaminati, mentre per
l’affidabilità test‐retest sono stati considerati i dati relativi a 15 soggetti.
Per la validazione del test sono state eseguite tre procedure:
1. confronto fra i dati del CVHI‐10 nel gruppo di 76 bambini prima e dopo trattamento riabilitativo;
2. confronto fra i dati del CVHI‐10 del gruppo di 76 bambini disfonici e di un gruppo di 10 bambini con
patologie infiammatorie croniche non disfonici;
3. correlazione fra i dati del CVHI‐10 e del PVHI‐10 in un gruppo di 26 bambini.
La consistenza interna è stata valutata attraverso il test alpha di Cronbach, mentre l’affidabilità è stata
valutata con il test dei ranghi di Spearman.
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Il confronto fra i dati pre‐ e post‐trattamento è stato eseguito tramite il test di Wilcoxon, mentre il
confronto fra il CVHI‐10 in soggetti sani e patologici è stato eseguito attraverso il test non parametrico di
Mann‐Whitney. Infine, la correlazione fra i dati del CVHI‐10 e del PVHI‐10 è stata analizzata tramite il test
dei ranghi di Spearman.
Tutti i calcoli sono stati eseguiti attraverso il software SPSS.12.
Risultati: il CVHI‐10 ha mostrato una buona consistenza interna (α = 0.79) e un’ottima affidabilità test re‐
test (r = 82). Il CVHI‐10 è in grado di cogliere le differenze fra soggetti trattati e non (p = 0.0001), così come
di distinguere soggetti sani da soggetti patologici (p = 0.0001). Infine la correlazione fra CVHI‐10 e PVHI‐10
si è rivelata ottimale (r = 0.78).
Conclusioni: il CVHI‐10 correla con l’analogo questionario somministrato ai genitori (PVHI‐10) ed è un test
affidabile e valido per la valutazione della disabilità correlata alla voce nel bambino disfonico.
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NOSTRAESPERIENZACONL’USODEL“PH‐MEASURMENTSYSTEMPERLOSTUDIODELREFLUSSOLARINGO‐FARINGEOMansi N., de Maio V., Varricchio A.M., Ripa G. S.C. di Otorinolaringoiatria – A.O. Santobono Pausilipon di Napoli
Il reflusso laringo faringeo si verifica quando il materiale refluito dallo stomaco raggiunge laringe e faringe
determinando lesioni a carico delle vie aeree superiori. Tale patologia è divenuta sempre più frequente in
questi ultimi anni ed i pazienti che ne sono affetti presentano il più ampio ventaglio sintomatologico a
motivo del fatto che la patologia da reflusso può interessare qualsiasi porzione delle vie aerodigestive
superiori.Risultando così multiforme e mutevole, l'insieme delle patologie da reflusso assume un ruolo non
secondario nella definizione della qualità della vita dei pazienti che ne risultano affetti. Ultimamente molti
specialistio hanno focalizzato la loro attenzione su di un fenomeno che di fatto è divenuto, pur essendo
sempre esistito,una "patologia emergente" a carattere multidisciplinare.
Lo specialista in otorinolaringoiatria si trova quindi a dover fronteggiare quella che sarebbe una condizione
patologica di un distretto di altra competenza per una serie di ragioni :
‐ per risolvere un problema disfonico.
‐ per risolvere un problema di disfagia.
‐ per risolvere altri disturbi a carico delle vie aerodigestive superiori.
‐ per preservare l'integrità dell'apparato pneumofonatorio
‐ per fornire giuste risposte a precise esigenze di professionisti della voce e di artisti
‐ per curare la laringite posteriore da rreflusso laringo faringeo
‐ per la prevenzione della patologia neoplastica della laringe.
Presso la nostra S.C. abbiamo sperimentato un nuovo apparecchio utile per una diagnosi strumentale di
reflusso faringo laringeo: il Restech Dx‐ph measurement System. Si tratta di unsistema ambulatorialedi
registrazione del ph nelle 24/48 ore composto da un sondino di ph monouso, un trasmettitore ed un
registratore. Il sondino misura il Ph ed il trasmettitore invia contestualmente i dati al registratore, che a sua
volta acquisisce i dati e salva le informazioni su una secure digital memory card removibile. Il paziente può
interagire con il registratore durante lo studio del ph inserendo informazioni cliniche rilevanti come ad
esempio indicare lo svolgimento del pasto o la posizione supina ovvero l'insorgenza di alcuni sintomi come
la tosse. Quando lo studio è completato i dati di Ph e le informazioni del paziente sono scaricate dalla
Memory card sul PC attraverso un lettore di SD Memory Card; dati ed informazioni possono essere rivisti
usando il software Dx‐ph Data View.
Gli AA. riportano i dati della loro esperienza confermando la validità di questo apparecchio per diagnosi
strumentale di reflusso faringo laringeo.
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NOSTRAESPERIENZANELLARIEDUCAZIONEDELLEDISFONIEINFANTILICONILMETODOPROPRIOCETTIVOELASTICO* E.Capolongo,**V.de Maio * S.S.D. di Audiologia e Foniatria A.O. Santobono Pausilipon Napoli ** S.C. di Otorinolaringoiatria A.O. Santobono Pausilipon Napoli
Gli AA. riportano la loro esperienza, maturata nel Laboratorio della Voce della A.O. Santobono Pausilipon di
Napoli, con pazienti di età compresa fra 7 e 15 anni, affetti da patologie organiche laringee, congenite e
acquisite, e quindi con danno già manifesto. Le direttive seguite nel corso dell'iter riabilitativo di questi
pazienti con disfonia organica sono le stesse che vengono utilizzate nei pazienti affetti da disfonia
disfunzionale pura.
L'intervento logopedico è di supporto alla pratica fonochirurgica, sia per la sua funzione di preparazione ad
una fonazione fisiologica sia per il completamento e la stabilizzazione dei risultati conseguiti in sede
operatoria. L'obiettivo è quello di ricondurre il bambino disfonico ad un uso corretto della voce eliminando
tutte le manovre di compenso che inconsapevolmente egli mette in atto al fine di ottenere una qualità
vocale migliore.
Il metodo riabilitativo a cui ci rifacciamo nell'esecuzione dei nostri cicli di terapia logopedica è il metodo
Propriopcettivo Elastico (PROEL) del dottor Borragan Torre, il quale afferma che " uno sforzo vocale obbliga
a generare un maggiore sforzo muscolare". Nelle patologie organiche vocali spesso si realizzano tensioni
muscolari importanti e ciò può determinare una maggiore tensione muscolare nel collo, nelle corde vocali,
in ogni parte del corpo che diventa più rigido e perde la sua condizione di elasticità.
Il metodo Propriocettivo Elastico permette di trovare una buona distensione del corpo e del tratto vocale
attraverso la ricerca del cosiddetto "equilibrio instabile" con la sperimentazione di posture che inducono,
nel punto di massimo equilibrio del corpo, a raggiungere la massima distensione: solo così il corpo
raggiunge un'elasticità che a sua volta determina l'elasticità del sistema vocale. Il piccolo paziente si rende
conto delle tensioni presenti, comprende di poterle eliminare e ciò sollecita in lui la motivazione,
componente fondamentale di questo metodo riabilitativo: il bambino disfonico si accorge di possedere una
voce migliore, che non pensava di poter produrre, e questa percezione gli fornisce la carica e la curiosità
per proseguire il trattamento logopedico.
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OTOLOGIA
Valutazione otologica in bambini affetti da labiopalatoschisi
V.Bebi, C.Pipolo, S.Portaleone, F.Di Berardino (Clinica ORL – Osp. S.Paolo ‐ Milano)
Effetti del drenaggio trans timpanico sullo sviluppo del linguaggio in età pediatrica
M.Cavaliere, S.Caldieri, A.Pianese, A.Marino, A.M.Di Lullo, G.Rossi, T.Abate (Clinica ORL Federico II ‐ Napoli)
Efficacia della crenoterapia nel trattamento dell'Otite media secretiva in bambini affetti da Sindrome di Down
E.Cantone, M.Mesolella, A.M. Di Lullo, V.Indolfi, A.Marino, V.Cappello, M.Iengo (Clinica ORL Federico II ‐ Napoli)
Due recenti casi pediatrici di trombosi dei seni venosi intracranici in corso di otite media acuta
A.Martini, M. Sari, C.Cutrone, B.Pedruzzi, G.Tava, T.Volo (Clinica ORL ‐ Padova)
Screening uditivo neonatale e sorveglianza uditiva: proposta di un modello sanitario in 4 regioni italiane
E.Orzan, L.Ronfani, D.Faraguna (IRCCS Burlo Garofalo ‐ Trieste)
Bilinguismo nei bambini stranieri con impianto cocleare: attualità e gestione
N.Nader, N.Botta, M.G. Barezzani, D. Zanetti (Spedali Civili ‐ Brescia)
L'impianto cocleare nelle malformazioni cocleo‐vestibolari
R.Bovo, S.Ghiselli, C.Faccioli, P.Trevisi, A.Benatti, A.Martini (Clinica ORL ‐ Padova)
Il problema delle scelte terapeutiche nei pazienti pediatrici NF2
E.Zanoletti,R.Bovo, D.Accordi, E.Davella, A.Mazzoni C.Faccioli,, A.Martini (Clinica ORL Padova)
La Vertigine nell’Infanzia: nostra esperienza
N.Cerchiai, J.Dallan, S.Sellari Franceschini, A.P.Casani (Pisa)
L'anestesia in otochirurgia pediatrica
T.Sellaroli, A.M.Varricchio, A.della Volpe, I.Diomaiuto (A.O.Santobono Pausilipon – Napoli)
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Napoli, 17‐19 novembre 2011 Presidente: Nicola Mansi
VALUTAZIONEOTOLOGICAINBAMBINIAFFETTIDALABIOPALATOSCHISIV.Bebi,C.Pipolo, S.Portaleone, F.Di Berardino (Clinica ORL – Osp. S.Paolo ‐Milano)
Come è ben noto le otiti medie effusive si presentano con elevata frequenza durante l'infanzia decrescendo
poi progressivamente fino oltre la pubertà.
Nel bambino affetto da labiopalatoschisi, di regola sottoposto a chirurgia nella prima infanzia, i dati
epidemiologici relativi all’incidenza di otite media effusiva non sono rinvenibili in letteratura.
Tuttavia è opinione comune che il bambino affetto da labiopalatoschisi sia per definizione un paziente
destinato a frequenti complicanze otologiche.
Tale assunto è alla base di provvedimenti terapeutici invasivi quale l’applicazione di tubi trans‐timpanici di
ventilazione permanenti.
Gli Autori riportano i risultati di un’indagine epidemiologica volta ad individuare l'incidenza di patologie
dell'orecchio medio, sulla base del timpanogramma, in pazienti affetti da labiopalatoschisi non soggetti a
posizionamenti di drenaggi trans timpanici.
In tale studio, pur evidenziando una maggior incidenza di otite media effusiva nel bambino con
labiopalatoschisi rispetto ad una popolazione di controllo, si osserva una netta riduzione di tale patologia
oltre gli 8 anni di età (27,6%) rispetto ai soggetti di età compresa tra 5 e 7 anni (78,3%).
Tali dati evidenziano una naturale tendenza alla guarigione dell'otite media effusiva durante
l'accrescimento nei bambini affetti da labiopalatoschisi avvalorando la necessità di un comportamento
terapeutico prudente in termini chirurgici.
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Napoli, 17‐19 novembre 2011 Presidente: Nicola Mansi
EFFETTIDELDRENAGGIOTRANSTIMPANICOSULLOSVILUPPODELLINGUAGGIOINETÀPEDIATRICAM.Cavaliere, S.Caldieri, A.Pianese, A.Marino, A.M.Di Lullo, G.Rossi, T.Abate (Clinica ORL ‐
FedericoII‐Napoli)
INTRODUZIONE: L’otite media secretiva (OMS) è una patologia di frequente riscontro in età pediatrica.
Oltre l’80% dei bambini presenta almeno un episodio di otite nei primi 3 anni di vita e in circa un terzo dei
soggetti si evidenzia una significativa ricorrenza degli episodi. L’ipoacusia trasmissiva che ne deriva può
alterare lo sviluppo della produzione del linguaggio, dal momento che la maggior parte delle regole
linguistiche vengono acquisite dal bambino entro i primi 4/5 anni di vita.
MATERIALE E METODI: Sono stati esaminati 30 bambini di età compresa tra 3 e 6 anni giunti alla nostra
osservazione, da Settembre 2010 a Giugno 2011, per OMS e ipertrofia adenoidea sottoposti ad intervento
di adenoidectomia con apposizione di drenaggio transtimpanico (DTT) bilaterale.
Prima e dopo l’intervento chirurgico, sono stati praticati esame audiometrico tonale, esame
impedenzometrico e visita logopedica (controlli a uno, due e tre mesi dall’intervento), analizzando
l’eventuale miglioramento del linguaggio secondo i livelli fonetico‐fonologico, lessicale‐semantico, morfo‐
sintattico e pragmatico.
RISULTATI: Abbiamo osservato un miglioramento medio della soglia uditiva di 28,5 dB (range 20‐35 dB).
A livello fonetico‐fonologico sono stati evidenziati: in input, normalizzazione dell’abilità di discriminazione
uditiva di parole nel 40% dei casi e della discriminazione uditiva di non parole nel 33%; in output,
eliminazione della nasalizzazione diffusa sui foni occlusivi e riduzione delle semplificazioni di sistema e di
struttura nel 75% dei pazienti; riduzione delle interdentalizzazioni e lateralizzazioni a carico delle fricative e
affricate nel 37,5%; stabilizzazione dei foni nel 25% dei bambini.
A livello morfo‐sintattico: aumento significativo di 4,1 della lunghezza media dell’enunciato. Ai livelli
lessicale‐semantico e pragmatico non si sono registrate differenze significative tra il pre e il post‐
operatorio.
CONCLUSIONI: Considerando il periodo relativamente breve di osservazione (3 mesi), i miglioramenti
linguistici apprezzati possono essere considerati indicatori di uno sviluppo psicolinguistico connesso ed
incentivato dalla normalizzazione dell’udito derivante dall’apposizione del DTT piuttosto che legato alla
normale crescita ed evoluzione del bambino.
XXICONGRESSONAZIONALEDELLASOCIETÀITALIANADIOTORINOLARINGOLOGIAPEDIATRICA
Napoli, 17‐19 novembre 2011 Presidente: Nicola Mansi
EFFICACIADELLACRENOTERAPIANELTRATTAMENTODELL'OTITEMEDIASECRETIVAINBAMBINIAFFETTIDASINDROMEDIDOWNE.Cantone, M.Mesolella, A.M. Di Lullo, V.Indolfi , A.Marino, V.Cappello, M.Iengo (Clinica ORL Federico II ‐Napoli)
Objective: Children with Down Syndrome have three times higher incidence of chronic ear disease and
secondary hearing loss than other children with developmental delays.
The aim of our study was to evaluate the effectiveness of crenotherapy with salt‐bromine‐iodine mineral
water of Agnano spa in Naples, Italy, in children with DS suffering from persistent bilateral middle ear
effusion (OME).
Methods: This study involved 65 subjects suffering from persistent bilateral middle ear effusion, divided in
two groups: 24 children diagnosed as having Down syndrome (group A); 21 children, as controls, who
showed neither chromosomal abnormalities nor mental retardation (group B).
All the children were submitted to crenotherapy with jet‐inhalations and insufflations by Politzer using salt‐
bromine‐iodine water.
Results: After crenotherapy the cure rate showed statistically equivalent outcomes 69% in group A and 71%
in group B. Conclusions: In conclusion for the treatment of persistent bilateral middle ear effusion in
children with Down syndrome we propose that conservative management with cycles of crenotherapy with
jet‐inhalations and insufflations by Politzer using salt‐bromine‐iodine should be the approach of first
choice.
XXICONGRESSONAZIONALEDELLASOCIETÀITALIANADIOTORINOLARINGOLOGIAPEDIATRICA
Napoli, 17‐19 novembre 2011 Presidente: Nicola Mansi
DUERECENTICASIPEDIATRICIDITROMBOSIDEISENIVENOSIINTRACRANICIINCORSODIOTITEMEDIAACUTAA.Martini, M. Sari, C.Cutrone, B.Pedruzzi, G.Tava, T.Volo (Clinica ORL ‐Padova)
La trombosi dei seni venosi intracranici è una complicanza rara delle otiti medie acute e croniche; la sua
incidenza, mortalità e morbilità sono in netta diminuzione grazie all’utilizzo di antibiotici, tuttavia resta una
patologia temibile. L’antibioticoresistenza e gli stati pro‐coagulativi ereditari o acquisiti sono tra i principali
fattori di aumento dell’incidenza di complicanze trombotiche in corso di flogosi dell’orecchio medio.
Generalmente il processo trombotico origina dal seno sigmoideo, particolarmente vulnerabile per la sua
posizione alle infezioni dell’orecchio medio, per poi propagarsi ad altri seni venosi adiacenti.
Gli autori presentano due recenti casi pediatrici di trombosi dei seni venosi cerebrali in corso di otite media
acuta, con discussione dell’approccio clinico‐terapeutico e della relativa letteratura.
Case report 1: D.B. bambina di 5 anni, con anamnesi fisiologica negativa, giunge alla nostra attenzione con
quadro otoscopico di otite media acuta sinistra ed otomastoidite, trombosi dei seni trasversi e sigmoidei
bilateralmente e della vena giugulare interna sinistra omolaterale alla flogosi (diagnosi radiologica).
Inoltre la bambina presentava assopimento ed edema del nervo ottico (visita oculistica). La piccola paziente
è pertanto stata sottoposta a mastoidectomia e stabilizzazione del seno sigmoideo eroso.
Case report 2: M.T. 5 anni, con anamnesi fisiologica negativa a parte adenotonsillectomia l’anno
precedente, giunge alla nostra attenzione con un quadro clinico di otomastoidite sinistra confermata dal
neuroimaging che evidenzia inoltre erosione del tegmen timpani con bolla d’aria nel golfo della giugulare;
trombosi dei seni trasversi bilateralmente e del seno sigmoideo e golfo della giugulare sinistro.
Il bambino viene sottoposto a mastoidectomia e plastica del seno trombotico.
In entrambi i casi la microbiologia eseguita intraoperatoriamente è risultata negativa.
Durante la degenza e successivamente a domicilio i pazienti sono stati sottoposti a terapia antibiotica ad
ampio spettro, terapia anti‐ipertensiva ed anticoagulante. Programmato screening coagulativo.
Gli ultimi controlli radiologici dimostrano la persistenza di un alterato scarico venoso.
I piccoli pazienti sono in buone condizioni generali e sono asintomatici, proseguono la terapia medica con
controlli clinici e di neuroimaging programmati.
In conclusione, la trombosi dei seni venosi intracranici in bambini con infezioni a carico dell’orecchio medio
richiede una precoce ed accurata diagnosi (clinica e radiologica) ed un tempestivo trattamento che
generalmente è sia chirurgico che medico.
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Napoli, 17‐19 novembre 2011 Presidente: Nicola Mansi
SCREENINGUDITIVONEONATALEESORVEGLIANZAUDITIVA:PROPOSTADIUNMODELLOSANITARIOIN4REGIONIITALIANEE.Orzan, L.Ronfani, D.Faraguna (IRCCS Burlo Garofalo ‐Trieste)
L’identificazione precoce del danno uditivo permanente congenito o acquisito dell’età pediatrica è in
procinto di diventare uno standard sanitario anche in Italia, così come avviene già in molti Paesi
industrializzati (USA, Regno Unito, Germania, Paesi Bassi…).
Nondimeno, recenti autorevoli revisioni identificano 4 aree di maggiore criticità nella gestione dei
programmi di screening uditivo :
1) mancanza di sufficiente capacità dei servizi di valutazione audiologia;
2) mancanza di un elevato livello conoscenze professionali tra gli esecutori e i coordinatori locali;
3) esistenza di reali difficoltà per le famiglie nell’ottenere il servizio;
4) presenza di interruzioni nei flussi informativi.
Il presente progetto, presentato nell'ambito del Programma 2011 del Centro Nazionale per la Prevenzione e
il Controllo delle Malattie dalla Regione Friuli Venezia Giulia con il coordinamento dell’IRCCS “Burlo
Garofolo” ‐ospedale di alta specializzazione e di rilievo nazionale per la salute dalla donna e del bambino‐ si
propone di affrontare e testare sul campo un modello di organizzazione di screening neonatale e
sorveglianza uditiva in quattro regioni italiane: Umbria, Trentino Alto Adige, Veneto e Friuli Venezia Giulia,
tenendo conto delle sopramenzionate criticità.
In tutte le regioni coinvolte sono già state realizzate esperienze parziali sia di formazione del personale sia
di utilizzo degli strumenti proposti per lo screening, anche se non sempre articolate in un progetto unico ed
esteso su tutto il livello regionale.
Oltre alla definizione delle singole procedure per le quali sono sempre indicati gli obiettivi specifici, le
responsabilità e gli indicatori, sono stati identificati 2 centri di coordinamento per ogni regione, uno
pediatrico e uno audiologico.
Queste unità rappresenteranno i garanti dell'estensione dello screening a tutti i punti nascita delle Regioni
e del coinvolgimento dei centri di Audiologia di riferimento, dell’adeguata gestione dei bambini con
ipoacusia confermata e infine dei rapporti con il centro coordinatore.
Elementi qualificanti del progetto saranno la formazione omogenea legata al mantenimento delle
competenze, la costituzione di un’unica banca dati, la fruibilità di accesso alle informazioni e ai dati in
forma aggregata e infine la creazione di un modello organizzativo estendibile ad altre regioni italiane.
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Napoli, 17‐19 novembre 2011 Presidente: Nicola Mansi
BILINGUISMONEIBAMBINISTRANIERICONIMPIANTOCOCLEARE:ATTUALITÀEGESTIONEN.Nader, N.Botta, M.G. Barezzani, D. Zanetti (Spedali Civili ‐Brescia)
Nelle ultime due decadi la popolazione Italiana ha subito una variazione demografica di cittadini stranieri.
Secondo i dati Istat 2010, al 1° gennaio 2009 i cittadini stranieri residenti in Italia rappresentavano il 6,5%
del totale dei residenti con un massimo nel Nord‐est del paese (9,1%). Inoltre i bambini nati da genitori
stranieri nel 2008 rappresentavano il 12,6% del totale dei nati in Italia.
Brescia, essendo una città industriale ambita dalla mano d’opera straniera, rappresenta la città con la più
alta concentrazione di stranieri, in alcuni comuni l’incidenza relativa raggiunge circa il 22%!
Presso la nostra unità operativa di Otorinolaringoiatria pediatrica di Brescia sono stati operati, da gennaio
2002 a dicembre 2010, 71 bambini affetti da sordità neurosensoriale bilaterale.
Di questi, 25 bambini (35%) erano stranieri appartenenti a 12 paesi di provenienza: Romania 6, Albania 4,
Pakistan 2, India 2, Bangladesh 2, Ucraina 2, Egitto 2, Argentina 1, Brasile 1, Marocco 1, Senegal 1, Tunisia 1.
Le abilità percettive uditive e le capacità comunicative pre e post operatorie di questi bambini sono state
investigate utilizzando vari questionari: TAU (test per le abilità uditive), MAIS (Meaningful Auditory
Integration Scale], MUSS (Meaningful Use of Speech Scale), LIPr (Linstening In Progress, revised).
Nel corso di questi anni la nostra esperienza con i bambini stranieri ha rivelato due problemi: il primo è nel
come poter coinvolgere i genitori attivamente nella riabilitazione dei bambini e il secondo è la scelta del
codice linguistico da adottare (lingua madre, lingua italiana, più lingue etc).
Non tutti i genitori sono in grado di fornire sufficiente collaborazione durante la riabilitazione. In alcune
etnie gli aspetti religioso‐culturali impediscono la frequenza della madre presso le strutture riabilitative
quindi i bimbi sono accompagnati dal padre che poi non si occupa a casa degli aspetti riabilitativi e di
gestione pratica del bambino e non passa le consegne correttamente alla mamma.
Inoltre, per alcuni bambini, la frequenza alle attività di recupero dell’udito e del linguaggio non è costante,
specialmente in estate quando i genitori si recano alla loro patria e portando con se la famiglia restano
lontani alcuni mesi. Secondo recenti studi, il bilinguismo non è una controindicazione nei bambini portatori
di impianto cocleare (I C). L’I C offre una alta fedeltà del suono e perciò non va considerato un fattore
limitante al bambino che va introdotto al mondo bilinguale.
La nostra strategia è stata quella di adottare un doppio codice linguistico. I bambini vengono seguiti dai
logopedisti con la lingua italiana e a casa viene adottata la lingua madre dei genitori. L’importante è
sottoporre questi bambini in età precocissima ad una buona riabilitazione uditiva.
Nella nostra esperienza, i tempi nell’apprendimento del linguaggio nei bambini stranieri sono più lunghi, il
rendimento è fluttuante e la memoria verbale è scarsa a causa del modello linguistico familiare.
Quasi sempre la nostra lingua viene appresa come seconda lingua. Il bambino straniero rispetto a quello
italiano necessita di un maggior impegno logopedico con un percorso più lungo e con risultati soddisfacenti
dopo circa 18 mesi dall’intervento di impianto cocleare.
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Napoli, 17‐19 novembre 2011 Presidente: Nicola Mansi
L'IMPIANTOCOCLEARENELLEMALFORMAZIONICOCLEO‐VESTIBOLARIR.Bovo, S.Ghiselli , C.Faccioli, P.Trevisi, A.Benatti, A.Martini (Clinica ORL ‐Padova)
I primi impianti cocleari in bambini con malformazioni dell’orecchio interno furono eseguiti alla fine degli
anni ’80. In quest’arco di tempo i diversi aspetti chirurgici, ovvero tecniche, caratteristiche dell’array,
prevenzione e rimedi delle complicanze, sono stati ampiamente descritti.
All’opposto i dati della letteratura sui risultati funzionali (prestazioni linguistiche e percettive in questi
bambini) sono contraddittori e non sempre di aiuto nella fase di selezione di questi candidati.
Si tratta peraltro di candidati numerosi in quanto le malformazioni dell’orecchio interno sono presenti nel
20% dei bambini con sordità profonda.
Nella maggior parte di queste malformazioni è indicata l’applicazione di un impianto cocleare in quanto è
possibile il corretto inserimento di un numero di elettrodi adeguato al raggiungimento di un
riconoscimento di parole in set aperto. Scopo del presente lavoro è presentare la nostra esperienza su oltre
500 bambini impiantati dei quali 36 (7,2%) avevano malformazioni dell’orecchio interno.
I risultati funzionali saranno discussi e confrontati con quelli di bambini impiantati senza malformazioni.
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Napoli, 17‐19 novembre 2011 Presidente: Nicola Mansi
ILPROBLEMADELLESCELTETERAPEUTICHENEIPAZIENTIPEDIATRICINF2E.Zanoletti,R.Bovo, D.Accordi, E.Davella, A.Mazzoni C.Faccioli, , A.Martini (Clinica ORLPadova)
La neurofibromatosi tipo 2 è una patologia che pone a tutt’oggi non solo problemi di impostazione
terapeutica, ma veri e propri dilemmi che si confrontano con pazienti giovani, a volte membri della
medesima famiglia, afflitti da tumori benigni che condizionano la qualità e la aspettativa di vita.
La bilateralità del neurinoma dell’ottavo nervo cranico è la condizione più frequente che permette la
diagnosi di NF2, e argomenta discussioni che non possono non tenere conto della storia naturale della
patologia.
Neurinoma bilaterale nella NF2 significa ineluttabile sordità bilaterale, che si raggiunge in breve tempo dalla
diagnosi, e evolutività della neoplasia che pur benigna va trattata.
Talvolta la scelta terapeutica meno invasiva (osservazione, radioterapia) nel paziente giovane rischia di
rinviare il problema solo di pochi anni, e un atteggiamento di prevenzione delle conseguenze invalidanti
della patologia può diventare uno dei criteri con i quali si impostano le moderne scelte terapeutiche.
Con questo dibattito in atto abbiamo cercato di rispondere ai problemi di impostazione terapeutica che si
sono posti in alcuni pazienti NF2 giunti alla nostra osservazione (Ospedale‐Università di Padova,
Otochirurgia).
Nella nostra presentazione verranno discussi alcuni casi clinici in cui si evidenzia come la scelta di adottare
una strategia terapeutica di lungimiranza nel giovane paziente NF2, con chirurgia di conservazione e
riabilitazione dell’udito sia una proposta dibattuta, coraggiosa, ma che risponde alla esigenza di ostacolare
e prevenire l’ineluttabilità della anacusia bilaterale con la cui prospettiva il paziente NF2 è costretto
altrimenti a convivere.
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Napoli, 17‐19 novembre 2011 Presidente: Nicola Mansi
LAVERTIGINENELL’INFANZIA:NOSTRAESPERIENZAN.Cerchiai, J.Dallan, S.Sellari Franceschini, A.P.Casani (Pisa)
Mentre durante la gestazione la reattività vestibolare è bloccata per impedire adeguamenti del SNC ai
movimenti materni, alla nascita il sistema vestibolare è pressoché simile a quello del soggetto adulto e la
sua maturità è fondamentale per lo sviluppo degli altri sistemi motori.
Il sintomo vertigine è, nell’infanzia, molto meno frequente che nell’età adulta e spesso si traduce in
manifestazioni quali: paura, attaccamento a oggetti o persone, cadute ricorrenti, perdita del controllo
posturale, ritardo delle funzioni motorie, difficoltà a camminare al buio, difficoltà alla visione o rifiuto delle
attività motorie. Le forme di vertigine possono essere: isolate o associate a ipoacusia (sindromiche e non),
oggettive o aspecifiche (dizziness). La nostra casistica comprende un totale di 30 bambini (16 maschi e 14
femmine), in un’età compresa fra 4 e 16 anni (età media 12,3 anni) con storia di sintomatologia vertiginosa.
In seguito ad indagini anamnestiche mirate è stato possibile riconoscere in questi episodi sia una
sintomatologia vertiginosa di tipo soggettivo (sensazione soggettiva di instabilità posturale o cinetosi) sia di
tipo oggettivo (di durata variabile da qualche secondo a qualche ora) associata sia a sintomatologia di tipo
neurovegetativo (pallore, nausea e vomito), di tipo uditivo (fullness, acufeni, ipoacusia) che di tipo
neurologico (diplopia, cefalea). Dei 30 pazienti, 19 (63,3%) non mostravano familiarità per nessuna
patologia di interesse otoneurologico, mentre 11 (36,6%) presentavano invece una familiarità per
manifestazioni di tipo emicranico. Il 40% dei pazienti (12 su 30) non presentava patologie associate. Il
restante 60% risultava invece affetto da altre patologie, fra le quali Artrite Reumatoide, emicrania o altri tipi
di cefalea, spasmofilia, disturbo da attacchi di panico, cardiopatia di natura valvolare, disfunzione a carico
dell’articolazione temporo‐mandibolare. In due pazienti l’indagine anamnestica mostrava una storia di
convulsioni febbrili. Un soggetto aveva subito un trauma cranico. I pazienti sono stati sottoposti ad un
completo esame otoneurologico (audiometria, ricerca del nistagmo spontaneo, di posizione e di
posizionamento, Head Shaking Test, esame della oculomotricità, bilancio vestibolare calorico, studio dei
potenziali evocati vestibolari e stabilometria statica). L’audiometria tonale liminare risultò normale nel
76.6% dei casi; Il test calorico ha mostrato alterazioni nella metà dei pazienti, mentre il restante 50%
evidenziava una risposta simmetrica dei due labirinti. In alcuni pazienti abbiamo ritenuto opportuno
approfondire l’indagine clinica mediante una valutazione presso altri specialisti (oculista, neurologo) e
mediante l’esecuzione di un esame di imaging (RMN encefalo). In 8 pazienti è stata richiesta una
valutazione neurologica, che solo in 2 casi ha mostrato segni di coinvolgimento del SNC: in un caso il
neurologo ha posto il sospetto diagnostico di torcicollo parossistico infantile, mentre nell’altro ha
riscontrato la presenza di segni cerebellari. Per quanto riguarda le indagini RMN, esse non hanno mostrato
nessuna alterazione di segnale a livello encefalico che potesse rappresentare la causa del disturbo preso in
esame. Per ogni paziente studiato, in seguito agli accertamenti diagnostico‐strumentali eseguiti, è stata
formulata, una diagnosi plausibile. Nella maggioranza dei casi, all’origine del disturbo riportato, riteniamo ci
possa essere stata una manifestazione di origine emicranica o un disturbo su base psicogena. In 6 pazienti
riteniamo probabile un’origine emicranica, in 4 un’origine psicogena, in 5 riteniamo possibili entrambe
queste cause. In 2 casi si è posta diagnosi di Malattia di Menière, in 5 di Vertigine Posizionale Parossistica.
In 7 pazienti siamo stati in grado di dimostrare un deficit labirintico monolaterale. In un caso è stata posta
diagnosi di Torcicollo Parossistico Infantile.
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Napoli, 17‐19 novembre 2011 Presidente: Nicola Mansi
L'ANESTESIAINOTOCHIRURGIAPEDIATRICAT.Sellaroli°°, A.M.Varricchio°, A.della Volpe°, I.Diomaiuto° °S.C. di ORL ‐ A.O.Santobono Pausilipon di Napoli °S.C. di Anestesiologia ‐A.O.Santobono Pausilipon di Napoli
L'anestesia nella chirurgia dell'orecchio in età pediatrica assume una rilevanza particolare per le
metodologie da porre in essere per soddisfare sia le specifiche esigenze chirurgiche, quali la riduzione del
flusso sanguigno nell'orecchio medio, un campo operatorio esangue, un monitoraggio accurato del nervo
faciale, sia per la richiesta di sicurezza per il bambino quali la corretta condotta anestesiologica ed il
monitoraggio completo.
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MISCELLANEA–VIDEO Studio dell’attività farmacologica di uno spray nasale innovativo nelle rinopatie allergiche
A.Caruso, L.Ferrara, D.Naviglio (Napoli)
Trattamento della rinosinusite acuta in età pediatrica con “cucurbitacine”in spray nasale
G.V.D’Agostino, G.Cinquegrana, A.Buonocore (A.O.Santobono Pausilipon – Napoli)
Voluminosa cisti della vallecola glosso‐epiglottica in piccola neonata: gestione e trattamento chirurgico (VIDEO)
A.Piccinini, A.Ghidini, F.Mattioli, L.Presutti (U.O.C. di ORL – Policlinico di Modena)
Vantaggi della tecnica oto‐endoscopica nelle patologie dell’orecchio medio (VIDEO)
N.Nader, L.Redaelli di Zinis, S.Magili, M.Berlucchi, D.Zanetti (Spedali Civili ‐ Brescia)
Un approccio alternativo nella rimozione difficoltosa dei corpi estranei inalati in età pediatrica (VIDEO)
C.Cutrone, B.Pedruzzi, G.Tava, M.Sari, T.Volo, S.Narne, A.Martini (Clinica ORL ‐ Padova)
Sovraglottoplastica endoscopica (VIDEO)
F.Mattioli, A.Ghidini, A.Piccinini, L.Presutti (U.O.C. di ORL – Policlinico di Modena)
Preservazione “DELL’UDITO RESIDUO” nella chirurgia dell’impianto cocleare in età pediatrica
A.della Volpe, A.M.Varricchio, N.Mansi (A.O.Santobono Pausilipon – Napoli)
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STUDIODELL’ATTIVITÀFARMACOLOGICADIUNOSPRAYNASALEINNOVATIVONELLERINOPATIEALLERGICHEA.Caruso, L.Ferrara, D.Naviglio (Napoli)
La rinite allergica è una malattia cronica causata dal contatto con un allergene, che si manifesta con una
infiammazione della mucosa nasale caratterizzata da diversi sintomi che alterano la qualità della vita.
A seconda della gravità dei sintomi,generalmente vengono prescritti degli spray nasale a base di cortisone,
antistaminici ed antileucotrienici. Questi rimedi, quando sono utilizzati per lunghi periodi di tempo, non
sono privi di effetti collaterali indesiderabili,soprattutto nei giovani pazienti.
In questo lavoro viene presentato uno spray nasale innovativo a base di succo di limone, componente
principale del preparato, impiegando una metodica innovativa di estrazione solido‐liquido, il Naviglio
Estrattore® o Estrattore Rapido Solido‐Liquido Dinamico.
Altri componenti dello Spray nasale sono l’Aloe vera, la propoli ed oli essenziali. Il succo di limone è un
antisettico e battericida naturale, come noto dalla letteratura; esso giova nelle infiammazioni del distretto
ORL Altro componente è il succo di Aloe, che ha azione antiallergica di alta efficacia in molti casi. La è la
WSEP‐70® in acqua con attività infiammatoria; olio essenziale di Niaoulj costituisce un efficace presidio nel
trattamento delle affezioni delle vie respiratorie ,per le sue proprietà battericida, immunostimolante,
mucolitica e balsamica. L’olio essenziale di Ravensara costituisce un ottimo rimedio nelle affezioni delle vie
respiratorie, in particolare per le sinusiti, rinofaringiti, bronchiti, tosse e pertosse.
L’efficacia del prodotto è stata testata su 10 bambini età media 5 anni, eseguendo un prelievo citologico
nasale, mediante nasalscraping®, colorando poi il prelevato con la metodica di May‐Grumwald Giemsa per
evidenziare le variazioni morfologiche dell’epitelio nasale prima e dopo terapia.
Dalle osservazioni risulta che l’effetto antiflogistico dello spray a base di limone trova una sicura
dimostrazione come coadiuvante nella riduzione delle componenti infiammatorie osservate al
rinocitogramma.
[1] Naviglio D.,Pizzolongo F.,Romano R.,Ferrara L.,Santini A. An innovative solid‐liquid extraction technology: use of the
Naviglio Extractor for the production of lemon liquor. African Journal of Food Science,2007 1, 42‐50.
[2] Gelardi M, Fiorella ML, Russo C, Fiorella R, Ciprandi G. Role of nasal cytology Int J Immunopathol Pharmacol. 2010
Jan‐Mar;23(1 Suppl):45‐9 .
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Napoli, 17‐19 novembre 2011 Presidente: Nicola Mansi
TRATTAMENTODELLARINOSINUSITEACUTAINETÀPEDIATRICACON“CUCURBITACINE”INSPRAYNASALEG.V. D'Agostino, G. Cinquegrana, A. Buonocore S.C. di ORL ‐A.O. Santobono‐Pausilipon di Napoli
Per questo studio sono stati selezionati 50 pazienti, di cui 30 maschi e 20 femmine , di età compresa tra 5 e
14 anni , tutti affetti da rinosinusite acuta o sub‐acuta , diagnosticata mediante controllo endoscopico e T.C.
dei seni paranasali senza mdc.
Nella fase acuta, sono stati tutti trattati , per una durata di dieci giorni , con terapia antibiotica associata a
corticosteroidi , per via orale , e con uno spray nasale a base di cucurbitacine .
Alla risoluzione della fase acuta , i pazienti sono stati sottoposti a controllo endoscopico e da studio della
clearance muco‐ciliare.
L'E.O. mostrava assenza di secrezione mucopurulenta a carico del C.O.M. con scomparsa dei sintomi e dei
segni di flogosi rinosinusale ma si osservava un aumento del tempo di trasporto muco‐ciliare 15‐18 minuti
(nel bambino il tempo di trasferimento è pari a 8'‐10' minuti ).
Pertanto si è proseguito con l'applicazione dello spray nasale con cucurbitacine per ulteriori 15 giorni in 25
soggetti ed un spray nasale di soluz. fisiologica isotonica nei restanti 25 soggetti.
Alla fine del trattamento i 50 soggetti sono stati di nuovo sottoposti a controllo endoscopico e del trasporto
muco‐ciliare : in tutti i soggetti si è riscontrata una normalizzazione del quadro obbiettivo endoscopico con
scomparsa della sintomatologia acuta; tuttavia nel 77% del gruppo trattato con cucurbitacine si è avuto una
normalizzazione anche del trasporto muco ciliare rispetto al 32% dei soggetti del gruppo trattato con
sol.fisiologica
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Napoli, 17‐19 novembre 2011 Presidente: Nicola Mansi
VOLUMINOSACISTIDELLAVALLECOLAGLOSSO‐EPIGLOTTICAINPICCOLANEONATA:GESTIONEETRATTAMENTOCHIRURGICO(VIDEO)A.Piccinini, A.Ghidini, F.Mattioli, L.Presutti (U.O.C. di ORL – Policlinico di Modena)
A seguito di difficoltà respiratoria ingravescente ed episodi di desaturazione fin dalla nascita che hanno
reso necessario l'intubazione e il ricovero della piccola paziente presso l'Unità di Neonatologia, è stata
riscontrata una voluminosa lesione a livello della parete laterale sinistra dell'orofaringe in corrispondenza
della vallecola glosso‐epiglottica.
La RM con mdc documentava la natura cistica della lesione , evidenziando l'obliterazione pressochè
completa del lume faringeo con dislocazione controlaterale del complesso ipofaringo‐laringeo.
Il video che presentiamo mostra l'intervento chirurgico eseguito sulla piccola neonata: con ottica rigida in
sospensione laringea si è eseguita ampia marsupializzazione della cisti con laser CO2, ottenendo una
efficacie ricanalizzazione delle vie aeree che ha permesso l'estubazione della paziente.
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VANTAGGIDELLATECNICAOTO‐ENDOSCOPICANELLEPATOLOGIEDELL’ORECCHIOMEDIO(VIDEO)N.Nader, L.Redaelli di Zinis, S.Magili, M.Berlucchi, D.Zanetti (Spedali Civili ‐Brescia)
Le tecniche chirurgiche otoendoscopiche in via di sviluppo negli ultimi anni hanno dato la possibilità di
rivalutare alcuni approcci consolidati per via microscopica.
Negli ultimi 2 anni, presso la Divisione di Otorinolaringoiatria Pediatrica Spedali Civili di Brescia, la modalità
di posizionamento dei drenaggi transtimpanici è passata alla via otoendoscopica con risultati soddisfacenti
per quanto riguarda il tempo operatorio e i risultati dell’intervento.
Nelle miringoplastiche con perforazioni dei quadranti anteriori che necessitano approcci retro‐auricolari
con l’ausilio del microscopio, si sta passando gradualmente alla via transcanalare grazie all’approccio sia
combinato, endoscopico e microscopico, sia puramente endoscopico. La scelta dell’approccio è
condizionata dalla sede e dalla ampiezza della perforazione.
Nelle patologie che necessitano un trattamento che prevede una mastoidectomia, l’otoendoscopia trova
spazio nel controllare zone nascoste al microscopio. In tali casi l’endoscopia può consentire di evitare la
conversione di una tecnica chiusa a una tecnica aperta.
Gradualmente, presso la nostra Divisione, l’ausilio della tecnica otoendoscopica sta permettendo approcci
sempre meno invasivi nella chirurgia dell’orecchio medio in età pediatrica.
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Napoli, 17‐19 novembre 2011 Presidente: Nicola Mansi
UNAPPROCCIOALTERNATIVONELLARIMOZIONEDIFFICOLTOSADEICORPIESTRANEIINALATIINETÀPEDIATRICA(VIDEO)C.Cutrone, B.Pedruzzi, G.Tava, M.Sari, T.Volo, S.Narne, A.Martini (Clinica ORL ‐ Padova)
L’inalazione di corpi estranei in età pediatrica è un evento poco comune, ma molto insidioso ed in alcuni
casi mortale, che richiede una diagnosi precoce ed un trattamento tempestivo. Un’accurata anamnesi,
l’esame obiettivo e l’esame radiologico del torace (in inspirio ed in espirio) sono fondamentali, in quanto
possono aiutare il medico nella programmazione del successivo iter diagnostico‐terapeutico. In letteratura,
il trattamento gold standard per la diagnosi e per la rimozione del corpo estraneo inalato è la tracheo‐
broncoscopia rigida in anestesia generale.
Dalla nostra pluriennale esperienza si evince che in casi anamnesticamente e/o clinicamente e/o
radiologicamente dubbi, prima di sottoporre i pazienti a una tracheo‐broncoscopia rigida in anestesia
generale per escludere completamente la presenza di un corpo estraneo inalato, è utile effettuare una
broncoscopia flessibile in sedazione e anestesia locale, risparmiando al paziente i rischi annessi ad una
tracheo‐broncoscopia rigida in anestesia generale.
Nelle situazioni più complesse, come nei casi in cui piccoli frammenti di corpo estraneo siano situati troppo
distalmente a livello bronchiale e/o frammenti sferici incuneati, e in quei casi in cui non si riesca a
rimuovere il corpo estraneo con gli usuali strumenti da broncoscopia rigida, dal Dicembre 2008 al Settmbre
2011 abbiamo sperimentato con successo in 4 pazienti (età media: 18 mesi; range: 8‐28 mesi) l’utilizzo del
catetere di Fogarty (calibro 2‐3 Fr).
In broncoscopia rigida viene individuato il corpo estraneo bronchiale. Il catetere di Fogarty viene introdotto
nel broncoscopio rigido e portato distalmente rispetto al corpo estraneo, tra questo e la mucosa
bronchiale.
Successivamente e delicatamente il palloncino del catetere viene gonfiato con soluzione fisiologica.
Una trazione delicata viene applicata al catetere che viene quindi retratto lentamente, trascinando con sé il
corpo estraneo sino all’interno del broncoscopio rigido, che viene rimosso consensualmente.
Al termine della manovra si esegue un controllo broncoscopico per verificare la completa rimozione del
corpo estraneo.
In tutte queste situazioni è però fondamentale una lunga esperienza nella gestione delle emergenze delle
vie aeree, una ottima manualità nell’utilizzo di broncoscopi flessibili e rigidi nei pazienti pediatrici, una
stretta collaborazione con l’anestesista, e una perfetta coordinazione con l’equipe infermieristica, per non
incorrere nelle possibili complicanze e diminuire il tasso di morbidità e mortalità correlate a tali manovre.
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SOVRAGLOTTOPLASTICAENDOSCOPICA(VIDEO)F.Mattioli, A.Ghidini, A.Piccinini, L.Presutti (U.O.C. di ORL – Policlinico di Modena)
Presentiamo un caso di una piccola paziente di 4 mesi presentatasi in pronto soccorso pediatrico per
ricorrenti episodi dispnoici.Alla fibrolaringoscopia in sedazione e respiro spontaneo si è rilevata una
marcata malacia dell'epiglottide,di aspetto a omega, che durante gli atti inspiratori viene risucchiata
nell'aditus laringeo; tale fenomeno è anche facilitato dalla presenza di un'aderenza tra il margine libero
dell'epiglottide destro e plica ariepiglottica omolaterale.
Il piano glottico appare indenne così come le strutture tracheobronchiali fino alla carena. In
microlaringoscopia si esegue sovraglottoplastica con sezione delle aderenze mucose ari‐epiglottiche con
tecnica LASER cO2 a destra e con forbici a sinistra.
Si esegue successivamente scarificazione con LASER della plica glosso‐epiglottica mediana e
posizionamento di colla di fibrina nella zona scarificata.
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PRESERVAZIONE“DELL’UDITORESIDUO”NELLACHIRURGIADELL’IMPIANTOCOCLEAREINETÀPEDIATRICAA.della Volpe°°, A.M. Varricchio°, N. Mansi° S.C. di Otorinolaringoiatria ‐ A.O.Santobono Pausilipon di Napoli SSD di Chirurgia Protesica della Sordità ‐ A.O.Santobono Pausilipon di Napoli
La preservazione dell’ udito è realizzabile nei pazienti in età pediatrica sottoposti ad intervento chirurgico di
applicazione di IC, anche utilizzando elettrodi di lunghezza standard.
Infatti nei pazienti pediatrici affetti da ipoacusia neurosensoriale, grave e profonda, il rischio di forme
progressive è più alto che negli adulti.
L’impiego di tecniche chirurgiche meticolose e con ridotto traumatismo cocleare, sono utili nella
conservazione dell’ udito residuo.
La tecnica “Soft surgery” proposta da Lehnhardt ed altre varianti come “shorter insertion depths”, “off‐
stylet technique,” e modifiche nell’angolo di inserimento dell’ elettrodo, sono utilizzate nella chirurgia dell’
impianto cocleare.
Anche l’impiego di “curved burr” per praticare la Cocleostomia, potrebbe essere utile nel ridurre il
traumatismo chirurgico.
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RINOLOGIA
La poliposi nasale nella Fibrosi Cistica: personale management terapeutico
M.Mesolella, E. Cantone, I.Ferranti, A. Pianese, G. Di Lorenzo, V.Raia, M.Iengo (Clinica ORL Federico II ‐ Napoli)
Uno strano caso di atresia coanale
E.Sitzia, M.L.Tropiano, S.Bottero, F.M.Tucci, G.C.de Vincentiis (Osp. Bambino Gesù ‐ Roma)
Valutazione postchirurgica della funzionalità nasale in pazienti pediatrici affetti da lesioni sellari e parasellari trattate con approccio endoscopico tran sfenoidale
P.Schiavo, F. Messina, A.M.Saibene, G.Scottà (Clinica ORL – Osp. S.Paolo ‐ Milano)
Atresia Coanale: nostra esperienza dal 1985 ad ogg
M.Sari, C.Cutrone, B.Pedruzzi, G.Tava, T.Volo, S.Narne, A.Martini (Clinica ORL ‐ Padova)
Le stenosi congenite delle vie lacrimali: diagnosi e trattamento
M.Berlucchi, P.Rossi Brunori, S.Stefini, P.Nicolai (Spedali Civili – Brescia)
Endoscopia nasale nei pazienti con sospetta rinite allergica
F.Brocchetti, F.Ameli, M.A.Tosca, A.Signori, G.Ciprandi (Ist.Giannina Gaslini ‐ Genova)
Comparazione tra sintomi ed endoscopia nasale in bambini con ostruzione nasale
F.Ameli, F. Brocchetti, M.A.Tosca, G.Ciprandi (Ist. Giannina Giannini ‐ Genova)
Il trattamento chirurgico dell’atresia coanale: revisione della nostra casistica
V.Savastano, S.Bertin, A.T.Benincasa, C.Di Nota, T.Vittori, F.Zardo (UOD ORL Pediatrica Università Sapienza ‐ Roma)
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LAPOLIPOSINASALENELLAFIBROSICISTICA:PERSONALEMANAGEMENTTERAPEUTICOM.Mesolella, E. Cantone, I.Ferranti, A. Pianese, G. Di Lorenzo, V.Raia, M.Iengo (Clinica ORLFederico II ‐Napoli)
La fibrosi cistica è la più frequente malattia ereditaria a esito letale nella popolazione bianca; essa si verifica
in circa 1/3.300 nati vivi di razza bianca, 1/15.300 di razza nera e 1/32.000 di razza asiatico‐americana; il
30% dei pazienti è costituito da adulti.
Circa il 3% della popolazione bianca è portatore del gene della FC, che si trasmette con modalità
autosomica recessiva. Il gene responsabile è stato localizzato a livello di 250.000 paia di basi del DNA
genomico sul braccio lungo del cromosoma 7. Esso codifica per una proteina associata alla membrana detta
proteina regolatrice transmembrana della fibrosi cistica (Cystic Fibrosis Transmembrane Regulator, CFTR).
La mutazione genetica più comune, DF508, determina l'assenza di un residuo fenilalaninico nella posizione
508 della proteina CFTR e si riscontra in circa il 70% degli alleli della FC; più di 600 mutazioni meno
frequenti danno luogo al rimanente 30%.
Sebbene la funzione precisa della CFTR sia sconosciuta, essa sembra far parte di un canale del cloro AMPc‐
dipendente e sembra che regoli il trasporto di Cl e Na attraverso le membrane epiteliali. Gli eterozigoti
possono mostrare lievi anomalie del trasporto epiteliale ma sono asintomatici. Il 50% dei pazienti si
presenta anche con sintomi respiratori, di solito tosse e respiro sibilante insieme a infezioni polmonari
ricorrenti o croniche. L'interessamento delle vie respiratorie superiori si manifesta con sinusite cronica o
ricorrente e poliposi nasale (7%).
Gli Autori presentano una casistica relativa a 38 pazienti affetti da poliposi nasale sottoposti ad intervento
chirurgico per la relativa exeresi confrontando le varie tecniche operatorie utilizzate nel corso degli anni e
le migliori opzioni terapeutiche somministrate per evitare eventuali recidive.
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UNOSTRANOCASODIATRESIACOANALEEmanuela Sitzia, MariaLuisa Tropiano, Sergio Bottero, Filippo Maria Tucci, Roberto Masi, Giovanni Carlo De Vincentiis Unità operativa di Otorinolaringoiatria ‐Ospedale Pediatrico del Bambino Gesù
Gli autori riportano il caso clinico di un neonato giunto alla loro osservazione per atresia coanale dx e
stenosi serrata della fossa nasale sn. Il paziente seguito presso la patologia neonatale veniva alimentato per
gavage e presentava distress respiratorio.
Il bambino veniva sottoposto all’età di due mesi a canalizzazione coanale ,previo abbattimento della placca
atresica dx e calibrazione della fossa nasale sn, oltre che stenting trans‐coanale mantenuto in sede per tre
settimane. Ai successivi controlli endoscopici si rilevava un progressivo restringimento delle fosse nasali a
livello del terzo medio delle stesse, ed una vivace riproduzione del tessuto di granulazione a livello coanale.
Il quadro clinico generale si caratterizzava, durante il decorso, per la presenza di una condizione di
pseudoipoparatiroidismo ad eziologia ignota; oltre che una condizione anemica di marcata entità, non
giustificata dalle perdite ematiche intra‐operatorie, e tale da imporre trattamenti ripetuti con
emocomponenti.
A sei mesi di vita la comparsa di paresi del VII n.c. di sn ad insorgenza improvvisa consentiva dopo adeguato
neuro‐imaging, il corretto inquadramento clinico nell’ambito di una osteopetrosi .
Gli Autori riportano il caso, stante la bassa incidenza della patologia, per sottolineare come gli insuccessi
chirurgici, talvolta, sottendono realtà cliniche più complesse, che rimangono misconosciute fino alla
comparsa di nuova sintomatologia.
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VALUTAZIONEPOSTCHIRURGICADELLAFUNZIONALITÀNASALEINPAZIENTIPEDIATRICIAFFETTIDALESIONISELLARIEPARASELLARITRATTATECONAPPROCCIOENDOSCOPICOTRANSFENOIDALEP.Schiavo, F. Messina, A.M.Saibene, G.Scottà (Clinica ORL – Osp. S.Paolo ‐Milano)
Le neoformazioni sellari e parasellari in età pediatrica, pur essendo in assoluto patologie relativamente
rare, rappresentano un’importante quota dei tumori intracranici.
I rapporti di contiguità con strutture anatomiche di fondamentale importanza, la localizzazione intracranica
e la frequente tendenza all’accrescimento locale rendono complesso il trattamento di queste lesioni; ciò ha
condotto allo sviluppo di vari approcci terapeutici.
Pur non avendo raggiunto ancora oggi un consenso unanime sul trattamento ottimale di tali lesioni, negli
ultimi anni la chirurgia endoscopica trans sfenoidale si è affermata come tecnica di riferimento per gli
ottimi risultati in termini di radicalità e per la minor invasività rispetto alla via trans cranica. Malgrado ciò
l’aggressività sulle strutture nasali può essere anche molto rilevante, principalmente per gli approcci
“estesi”.
L’esperienza degli Autori in tale ambito si riferisce a 21 pazienti operati tra il luglio 1999 e il luglio 2011. I
tumori asportati sono stati 14 adenomi ipofisari (11 microadenomi e 3 macroadenomi), 1 cisti della tasca di
Rathke, 1 cordoma del clivus e 5 craniofaringiomi. Gli interventi sono stati eseguiti presso l'Istituto
Neurologico “C. Besta” (12 casi), l'Istituto Ortopedico “Galeazzi” (7 casi) e l'Istituto Clinico “Humanitas” (2
casi) da un team chirurgico costituito da un neurochirurgo e da un otorinolaringoiatra.
Gli Autori si prefiggono lo scopo di valutare gli effetti della chirurgia endoscopica trans sfenoidale sulla
funzionalità nasale di pazienti operati in età pediatrica.
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ATRESIACOANALE:NOSTRAESPERIENZADAL1985ADOGGM.Sari, C.Cutrone, B.Pedruzzi, G.Tava, T.Volo, S.Narne, A.Martini (Clinica ORL ‐ Padova)
L’atresia coanale è una malformazione congenita rara che può essere associata o meno ad altre
malformazioni. Si può presentare come unilaterale o bilaterale.
L’atresia coanale bilaterale costituisce un’emergenza in ambito neonatologico. Dal punto di vista istologico
si può classificare come: ossea, membranosa o mista (ossea‐membranosa).
Nel sospetto clinico di atresia coanale sono fondamentali dal punto di vista diagnostico l’esame
endoscopico, l’esame radiologico TC senza mezzo di contrasto, per definire la natura della malformazione
stessa e la presenza di malformazioni associate.
Nel nostro studio abbiamo rianalizzato la casistica raccolta dalla nostra struttura dal 1985 ad oggi. Sono
stati trattati per atresia coanale 101 pazienti, 58 femmine e 43 maschi, di età tra 1 giorno e 11 mesi. In tutti
i casi i pazienti sono stati sottoposti a videoendoscopia nasale, nel 67% dei casi la malformazione era
bilaterale. All’esame TC è stata riscontrata un’atresia di tipo osseo nel 29,2% dei casi, di tipo misto
(membranoso‐osseo) nel restante 70,8%. Nel 23,2% dei casi i pazienti presentavano altre anomalie
associate.
Tutti i pazienti sono stati trattati con un approccio trans‐nasale in anestesia generale e sotto controllo
videoendoscopico.
Il trattamento è consistito in un approccio chirurgico, posizionamento di stent coanali ed eventuali
successive dilatazioni. In alcuni casi per stabilizzare la pervietà coanale ci siamo avvalsi dell’ausilio di laser a
diodi.
Abbiamo considerato come risultato soddisfacente una pervietà coanale stabile di almeno 4 mm.
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LESTENOSICONGENITEDELLEVIELACRIMALI:DIAGNOSIETRATTAMENTOM.Berlucchi, P.Rossi Brunori, S.Stefini, P.Nicolai (Spedali Civili – Brescia)
Introduzione: La stenosi congenita delle vie lacrimali (SCVL) è una patologia relativamente frequente
interessando circa il 6% dei neonati. Anche se, nella maggior parte dei casi, la risoluzione del quadro clinico
avviene spontaneamente o dopo l’uso di procedure non invasive, una piccola percentuale di questi pazienti
(1‐2%) sarà sottoposta a interventi più invasivi quali l’intubazione delle vie lacrimali e/o la
dacriocistorinostomia (DCR).
Gli autori descrivono la propria esperienza e analizzano l’algoritmo diagnostico‐terapeutico di questa
patologia.
Materiali e metodi: Tra il Settembre 1997 e il Dicembre 2010, 65 bambini sono stati ricoverati per SCVL
presso l’U.D. di Otorinolaringoiatria Pediatrica, Spedali Civili, Brescia. Il work‐up diagnostico pre‐operatorio
ha incluso una valutazione oftalmologica e una endoscopia nasale e, successivamente, una dacriocistografia
e una TAC del massiccio‐facciale qualora le procedure conservative fossero fallite. Quest’ultime erano
costituite dal sondaggio e lavaggio delle vie lacrimali.
Nel caso di persistenza del quadro clinico ostruttivo, i bambini furono sottoposti a una DCR transnasale per
via endoscopica.
Risultati: Un totale di 83 vie lacrimali ostruite sono state osservate e trattate. Diciotto bambini sono stati
sottoposti a una dacriocistografia e una TAC del massiccio‐facciale. In 23 sistemi lacrimali è stata eseguita
una DCR. Per l’osservazione di una ri‐stenosi, una DCR di revisione è stata realizzata in 3 pazienti.
Ad oggi (range follow‐up: 9 mesi – 13 anni), tutti i pazienti sono asintomatici.
Conclusioni: Le procedure conservative sono le prime metodiche terapeutiche da eseguire nei pazienti
affetti da SCVL. Qualora queste fallissero, la DCR transnasale per via endoscopica può essere considerata
una valida alternativa chirurgica agli approcci tradizionali.
Questo trattamento chirurgico è poco invasivo, ripetibile, efficace e ben tollerato.
L’utilizzo di un valido algoritmo diagnostico‐terapeutico per le SCVL e una stretta collaborazione con
l’oftalmologo sono fondamentali per ottenere buoni risultati.
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ENDOSCOPIANASALENEIPAZIENTICONSOSPETTARINITEALLERGICAF.Brocchetti, F.Ameli, M.A.Tosca, A.Signori, G.Ciprandi (Ist.Giannina Gaslini ‐Genova)
Obiettivo: E' stata investigata una popolazione di bambini affetti da ostruzione nasale con sospetto di rinite
allergica mediante l'endoscopia nasale per valutare se esistono dei segni predittivi che possano far
ipotizzare una componente allergica.
E'stata presa in considerazione una coorte di pazienti pediatrici di 176 bambini di cui 99 maschi, con un'età
media di 7,5 anni, giunti alla prima visita specialistica otorinolaringoiatrica per disturbi respiratori nasali con
sospetta rinite allergica, eseguita presso gli ambulatori di due s specialisti otorinolaringoiatri, ( A.F. e F. B.).
Ad ogni soggetto veniva praticata un'endoscopia e un PRICK test.
L'esame endoscopico veniva effettuato con una fibra ottica rigida di 2,7 mm con angolo di visione di 30° ,
previa anestesia locale e decongestione della mucosa nasale con vasocostrittore. Per ogni paziente veniva
segnalato il colore delle mucose, la presenza di contatto tra il turbinato medio e la parete laterale del naso ,
il contatto del turbinato inferiore con chiusura del meato inferiore.
Dagli accertamenti allergologici praticati sono emersi i seguenti dati: che su 176 pazienti studiati con
ostruzione nasale e sospetto di allergia , 142 erano risultati allergici.
Dall'analisi statistica si evinceva che il contatto tra turbinato inferiore e medio con la parete laterale era
significativa come segno predittivo di un allergia nasale ( OR 5,38 e 3,42 ), mentre età, sesso e il pallore del
turbinato medio e di quello inferiore non risultavano predittivi per una diagnosi di rinite allergica.
Conclusione: Questo studio dimostra che alcuni segni riscontrabili nell'endoscopia possono essere
considerati predittivi di rinite allergica; quali il contato tra turbinato medio ed inferiore con parete laterale
del naso mentre invece il pallore degli stessi non era riscontrabile con la stessa frequenza in tutti i pazienti
allergici.
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COMPARAZIONETRASINTOMIEDENDOSCOPIANASALEINBAMBINICONOSTRUZIONENASALEF.Ameli, F. Brocchetti, M.A.Tosca, G.Ciprandi (Ist. Giannina Giannini ‐Genova)
Obiettivo: L’ostruzione nasale è un sintomo molto comune nell’età pediatrica. Può essere frequentemente
osservata nei bambini affetti da rinite allergica e/o ipertrofia adenoidea.
Il giudizio del grado di ostruzione soggettivo è spesso difficile. L’ostruzione nella rinite allergica è stato
proposto come sintomo chiave. La rilevanza clinica dell’ostruzione nasale nella rinite allergica deriva anche
dalla dimostrazione che la severità dell’ostruzione è significativamente correlata con i parametrici clinici,
immunologici e spirometrici.
Lo scopo dello studio è comparare l’uso di una misurazione tramite scala soggettiva a faccette utilizzata in
genere per la valutazione del dolore (FRS), interrogando sia i bambini che i loro genitori, e tramite scala
analogica visiva semplificata (sVAS) con i dati ottenuti tramite endoscopia nasale in bambini con ostruzione
nasale.
Metodo: sono stati studiati 121 bambini (75 maschi, età media 7.5 anni)reclutati dagli specialisti ORL con
visita ORL completa corredata da endoscopia naso‐faringea (valutazione porzione ant, porzione post e
rinofaringe).
I bambini e i genitori hanno quantificato il grado di ostruzione nasale tramite FRS e sVAS. L’associazione tra
tutte le variabili è stata studiata con coefficiente di correlazione per ranghi di Spearman e modelli di
regressione logistica univariata. Risultati: è stata osservata una moderata correlazione tra FRS, sVAS e
ostruzione nasale nel segmento anteriore (r = 0,51 per FRS; r = 0,52 per sVAS), una forte correlazione nel
segmento posteriore (r = 0,60 per FRS, r = 0,62 per sVAS) in confronto all’endoscopia nasale. Inoltre la
percezione di ostruzione dei genitori non correlava con i parametri obbiettivi.
Conclusioni: la percezione di ostruzione da parte dei bambini attraverso una scala visiva a faccette (FRS) e
ancor meglio una scala visiva analogica semplificata a 4 punti ha una buona correlazione con i riscontri
endoscopici sia nella regione anteriore che in quella posteriore nasale.
La percezione dei genitori invece non correla con i dati endoscopici, probabilmente per la giustificata
apprensione per le condizioni di patologia dei propri bambini.
Lo studio suggerisce quindi che l’utilizzo della FRS e/o sVAS per il giudizio soggettivo di ostruzione nasale
nei bambini può essere usata nella pratica clinica per differenziare i pazienti meritevoli di indagine
endoscopica o per monitorare l’andamento dei diversi programmi terapeutici
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ILTRATTAMENTOCHIRURGICODELL’ATRESIACOANALE:REVISIONEDELLANOSTRACASISTICAV.Savastano, S.Bertin, A.T.Benincasa, C.Di Nota, T.Vittori, F.Zardo (UOD ORL Pediatrica Università Sapienza ‐Roma)
CONTENUTI ABSTRACT OBIETTIVI Aggiornare i dati sull’efficacia del trattamento endoscopico dell’atresia
coanale.
MATERIALI Nel nostro studio presentiamo 16 casi con età compresa tra 4 giorni e 4 anni (età media 8,3
mesi , età mediana 2,5 mesi ) di cui 5 maschi e 11 femmine, 3 pazienti con atresia monolaterale e 11
bilaterale. La diagnosi è stata effettuata mediante endoscopia e confermata mediante TC.
L’intervento chirurgico è stato effettuato con tecnica endoscopica (ottiche rigide STORZ 0° 2,7 mm e
strumentario miniaturizzato dedicato).
Gli step chirurgici prevedevano:
1. Incisione e scollamento sottoperiosteo della mucosa della porzione posteriore del setto e della
superficie atresica omolaterale dal bordo dell’apofisi pterigoidea sino ad un piano passante per il
margine inferiore del turbinato medio. Nei casi bilaterali la procedura è stata eseguita anche
controlateralmente;
2. Rimozione del terzo posteriore del vomere e del piatto atresico ,con rispetto della mucosa della
faccia faringea dell’atresia e del setto;
3. Confezionamento dei lembi con la mucosa precedentemente preservata ;
4. Ribaltamento dei lembi a coprire la superficie ossea esposta;
5. Leggero tamponamento con Merocel ®. Rimozione del tampone in sedazione in 3^ ‐5^ giornata .
Il follow –up medio è di 33,56 valore mediano 41, mesi range 12 gg – 60 mesi.
RIASSUNTO Nessuna complicanza intra o post‐ operatoria con ospedalizzazione media di 8,36 gg (mediana
4 gg)rispetto ai precedenti dati presentati nel 2009. L’allungamento del tempo medio della degenza è
dovuto a processi flogistici preoperatori in 2 pazienti rispettivamente di 20 e 17 giorni.
La valutazione dell’esito chirurgico è stata effettuata con ottica rigida durante lo stamponamento e con
fibrolaringoscopio flessibile nel Follow –up. Questa tecnica si è dimostrata soddisfacente ed al momento
nessun paziente ha evidenziato recidiva.
CONCLUSIONI: Questa tecnica chirurgica offre buona visualizzazione del piano atresico ; semplice
confezionamento dei lembi; ridotto sanguinamento e traumatismo della mucosa; nessun limite di età ;
buoni risultati funzionali.
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FARINGO‐LARINGOLOGIA Gestione dell’adenotonsillectomia nella Sindrome di Prader Willi: proposta di un protocollo clinico
chirurgico multidisciplinare
A.Enrico, G.C.Pecorari, J.Nadalin, A.Corrias, C.Giordano (Osp.Regina Margherita‐S.Anna Torino)
Possibilità e limiti dell’ecografia nelle tumefazioni del collo in età pediatrica
F.Esposito, S.Capece, G.Caliendo, M.Giugliano, P.oresta, G.Ripa (A.O. Santobono – Napoli)
Trattamento chirurgico delle linfoadenopatie laterocervicali dell’infanzia
A.Bajraktari, S.Sellari Franceschini (Pisa)
Linfoadenopatie cervicali nel bambino: studio su 144 casi
T.Bazzana, C.Smussi, M.Piccioni, B.Gily, F.Pittiani, S.Stefini (Spedali Civili – Brescia)
L’esame istologico dopo adenoidectomia e/o tonsillectomia: analisi retrospettiva di 5064 pazienti in età pediatrica
A.Schreiber, S.Stefini, C.Smussi, S.Fisogni (Spedali Civili ‐ Brescia)
Complicanze emorragiche e fattori di rischio nella tonsillectomia: l’esperienza dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù su 8417 casi
P.M.Bianchi, G.Andriani, M.Carretti, P.Partipilo, S.Bottero (Osp. Bambino Gesù ‐ Roma)
Aspetti clinici e chirurgici della sindrome FPAPA
D.L.Grasso, G.Pelos, A.degrassi, A.Tommasini, E.Orzan (IRCCS Burlo Garofalo ‐ Trieste)
Il ruolo complementare della broncoscopia flessibile nell’inalazione di corpi estranei in età pediatrica
C.Cutrone, B.Pedruzzi, E.Emanuelli, G.Tava, M.Sari, T.Volo, S.Narne, A.Martini (Clinica ORL Padova)
Cisti sottoglottiche acquisite nell’infanzia: presentazione di due casi
G.Peretti, C.Smussi, T.Bazzana, S.Stefini (Spedali Civili ‐ Brescia)
Patologia di confine in ORL: incidenti di percorso in odontostomatologia
M.L.Tropiano, S.Bottero, F.M.Tucci, P.Partipilo, G.C. DE Vincentiis, E.Sitzia (Osp. Bambin Gesù – Roma)
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GESTIONEDELL’ADENOTONSILLECTOMIANELLASINDROMEDIPRADERWILLI:PROPOSTADIUNPROTOCOLLOCLINICOCHIRURGICOMULTIDISCIPLINAREA.Enrico, G.C.Pecorari, J.Nadalin, A.Corrias, C.Giordano (Osp.Regina Margherita‐S.Anna Torino)
OBIETTIVI SPECIFICI: Le Malattie Rare, quali la Sindrome di Prader Willi (PW), comportano una competenza
specifica ed una gestione adeguata multidisciplinare, che prevede anche la figura dell’otorinolaringoiatra.
Nel nostro presidio ospedaliero infantile Regina Margherita non è infatti infrequente l’invio alla nostra
attenzione, da parte dei colleghi endocrinologi, di piccoli pazienti PW, candidati all’adenotonsillectomia, in
quanto osas positivi e predestinati alla terapia con ormone della crescita (GH); per ottemperare alla
migliore gestione dell’adenotonsillectomia in questi pazienti ad alta criticità, suscettibili di complicazioni
varie, talvolta letali, abbiamo elaborato un protocollo clinico e chirurgico multidisciplinare.
MATERIALI E METODI: Il nostro protocollo gestionale dell’adenotonsillectomia è stato approntato sulla
base delle caratteristiche cliniche di tali pazienti e in relazione alla nostra competenza ed esperienza
specialistica otorinolaringoiatrica pediatrica.
Durante il triennio 2009‐2011 abbiamo sottoposto a bonifica adenotonsillare 9 pazienti affetti da PW (5
maschi e 4 femmine, età media 5 anni); dal loro trattamento medico chirurgico è andato plasmandosi il
nostro percorso gestionale, che alla fine si è concretizzato in un protocollo standardizzato.
La sindrome di PW è una malattia genetica rara, colpisce 1 su 15.000‐25.00 nati vivi,di entrambi i sessi, di
tutte le razze; individuata nel 1956 da Andrea Prader e Heinrich Willi, è caratterizzata dall’alterazione del
cromosoma 15. Il soggetto PW, oltre ad avere turbe intellettive e comportamentali, possiede tratti somatici
peculiari: dolicocefalia, diametro bifrontale ristretto, occhi a mandorla, bocca piccola; inoltre è dotato di
una ipotonia marcata, con conseguente laringomalacia (vie aeree piu’ piccole perché più flaccide ed
anatomicamente più ridotte), scarso riflesso della tosse, reflusso gastroesofageo, limitate abilità di parola e
linguaggio e deficit di forza e coordinazione motoria.
All’ipotonia sono strettamente correlati la massa muscolare ridotta, l’aumento del grasso corporeo e la
carenza del GH (statura bassa, mani e piedi piccoli, pubertà tardiva ed incompleta).
Altre stigmate cliniche sono: obesità, diabete mellito tipo II, ipertensione, turbe cardiache, apnee centrali
ed ostruttive periferiche del sonno; queste ultime sono primariamente ascrivibili all’ipertrofia
adenotonsillare.
Le cause di morte del PW sono principalmente amputabili all’obesità, all’ostruzione respiratoria e alle
complicazioni cardiache.
Anche l’assunzione del GH è stato messo in relazione con il decesso di taluni pazienti. Il trattamento con GH
serve ad aumentare la massa muscolare e migliorare l’ipotonia, ma può anche causare peggioramento
dell’ipertrofia adenotonsillare nei PW osas positivi; ne consegue che la bonifica adenotonsillare deve
precedere di almeno 6‐8 settimane l’inizio della terapia con il GH.
Il nostro protocollo dell’adenotonsillectomia prevede 3 fasi temporali:
1) “pre intervento”: collaborare con gli endocrinologi per impostare esami e consulenze internistiche,
quali visita pneumologica, cardiologica, diabetologica e polisonnografia; illustrare ai colleghi
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anestesisti le problematiche legate alla sindrome, quali deficienza del GH (vie respiratorie più
piccole), ipotonia (possibili crisi dispnoiche dopo l’estubazione), reazioni avverse a farmaci
(specialmente sedativi), problemi comportamentali (possibili interazioni tra psicofarmaci e
anestestici), elevata soglia del dolore, temperatura corporea instabile (rischio di ipertermia
maligna), salivazione spessa, ricerca del cibo (stomaco vuoto?), obesità (complicazioni polmonari,
cardiache, accesso endovenoso difficoltoso) ed edemi non riconosciuti (da valutare
somministrazione di diuretici).
2) “peri intervento”: concertare con l’anestesista la via di intubazione preferibile.
3) “post intervento”: in collaborazione con lo staff infermieristico, prestare attenzione alle seguenti
caratteristiche cliniche: elevata soglia del dolore (rischio di mascheramento infezioni o lesioni),
temperatura corporea anomala (febbre assente nonostante infezione), reazione inusuale a farmaci
(per es antibiotici), rischio di intossicazione da acqua (per os ma anche ev: somministrare diuretici),
fame eccessiva con rischio di caduta precoce delle escare, ferite e cicatrici da autolesionismo (nella
sede della flebo e della cavità orale), facilità agli edemi (ugula, epiglottide) con possibile dispnea
orofaringea.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Attraverso l’elaborazione e l’applicazione del nostro protocollo clinico
chirurgico è stato possibile garantire una sicura presa in carico multidisciplinare dei 9 piccoli pazienti
affetti da PW; la scrupolosa cura nella preparazione e nell’esecuzione dell’intervento, oltre che la
premurosa attenzione nel post operatorio, non ha prodotto alcun tipo di complicazione né dal punto di
vista otorinolaringoiatrico (sanguinamento), né dal punto di vista anestesiologico ed internistico.
Anche i risultati endocrinologici si sono dimostrati validi, in quanto è stato possibile sottoporre i piccoli
PW al trattamento con il GH nei tempi prestabiliti di 6‐8 settimane dopo l’intervento.
A tutt’ora i pazienti non hanno più manifestato episodi di apnea e stanno proseguendo la terapia
ormonale con beneficio.
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POSSIBILITÀELIMITIDELL’ECOGRAFIANELLETUMEFAZIONIDELCOLLOINETÀPEDIATRICAF.Esposito, S.Capece, G.Caliendo, M.Giugliano, P.oresta, G.Ripa (A.O. Santobono – Napoli)
Le cosidette “tuemfazioni” del collo sono una condizione patologica frequente in età pediatrica. In tale
evenienza l’ecografia è indagine di prima istanza nell’intraprendere l’iter diagnostico.
La metodica permette di effettuare, generalmente, una prima grande divisioni fra lesioni di tipo cisto e di
tipo solido. L’ecografia ci permette di diagnosticare la sede della lesione ed i suoi rapporti anatomici. Inoltre
grazie al power color‐doppler otteniamo un preciso studio della vascolarizzazione della lesione.
In questo modo la diagnostica ultrasonografica può essere utile nel percorso che porta ad una corretta
diagnostica differenziale.
Lo studio ecografico è propedeutico anche ad un’eventuale esecuzione di prelievo citologico qualora si
ritenesse necessario. Non bisogna, tuttavia, misconoscere i limiti della metodica soprattutto per quel che
riguarda gli esatti e completi rapporti anatomici con le strutture circostanti, soprattutto in previsione di un
possibile intervento chirurgico, e la necessità, quindi, di ricorrere ad esami di imaging supplementari come
la Risonanza Magnetica.
Scopo del nostro lavoro è quello di descrivere i diversi aspetti ecografici con cui possono presentarsi le
tumefazioni del collo in età pediatrica, valutare il valore di alcuni segni specifici come indicatori benignità o
malignità nell’esperienza di un unico centro.
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TRATTAMENTOCHIRURGICODELLELINFOADENOPATIELATEROCERVICALIDELL’INFANZIAA.Bajraktari, S.Sellari Franceschini (Pisa)
Le linfoadenopatie laterocervicali di natura infettiva, possono presentarsi in forma acuta, subacuta o
cronica in relazione all'agente infettivo.
In base all'entità della reazione flogistica e all'evoluzione temporale si osservano diversi quadri clinici, ove è
possibile che si verifichi una suppurazione con presenza o meno della fistolizzazione, che richiede quasi
sempre un trattamento chirurgico.
Le linfoadenopatie subacute e croniche si sviluppano progressivamente nel corso di qualche settimana,
persistono per mesi e possono comportare problemi diagnostici e quindi terapeutici; per tale motivo
diventa di fondamentale importanza la raccolta dell’anamnesi e l’esame clinico. Tra queste distinguiamo
forme batteriche, parassitosi, adenopatie HIV correlate, malattia di Kikuchi‐Fujimoto, adenopatie da
micobatteri tubercolari (frequente la localizzazione bilaterale a differenza delle forme da NTM), adenopatie
da micobatteri atipici o non tubercolari.
Da novembre 2004 a maggio 2011 sono giunti alla nostra osservazione 40 bambini, di cui 13 maschi e 27
femmine. La distribuzione per sesso ed età è sovrapponibile a quella riportata in letteratura con una
prevalenza del sesso femminile. Il range d’età si estendeva dai 4 ai 164 mesi. Solitamente si presentavano
come pacchetto linfonodale monolaterale. La sede più frequente era la regione sottomandibolare, seguita
dalla regione laterocervicale e parotidea.
Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad una terapia antibiotica empirica che non ha dato grande beneficio.
La diagnosi si è basata su una buona raccolta anamnestica, esami di laboratorio, ricerche virologiche,
batteriologiche, parassitarie, intradermoreazione di Mantoux, ecografia collo, eventuale FNAB e
trattamento chirurgico.
Nelle linfoadenopatie che non tendono alla guarigione spontanea è indicato l’intervento chirurgico. Il
“timing” e le modalità di trattamento sono legate all’entità della reazione flogistica e all’evoluzione
temporale. Infatti, la terapia chirurgica deve essere personalizzata e la scelta si basa in particolare su due
fattori: obiettività e rischio di lesione del nervo faciale.
Considerando la letteratura e basandoci sulla nostra esperienza si conferma che l’escissione chirurgica sia in
termini di resezione completa che di curettage delle lesioni rappresenta il “gold standard”della terapia delle
infezioni da NTM, specialmente durante la fase iniziale dell’infezione che comporta una ridotta incidenza di
complicazioni chirurgiche. Il trattamento chirurgico va misurato sull'entità e sul grado di evolutività della
patologia, tenendo presente che occorre evitare rischi di lesioni, soprattutto delle formazioni nervose (VII‐
XI n.c.)
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LINFOADENOPATIECERVICALINELBAMBINO:STUDIOSU144CASIT.Bazzana, C.Smussi, M.Piccioni, B.Gily, F.Pittiani, S.Stefini (Spedali Civili – Brescia)
Viene presentata la casistica di bambini affetti da linfoadenopatie cervicali ricoverati dal Gennaio 2005 al
Maggio 2011 presso l'Unità Operativa di ORL pediatrica dell'Azienda Spedali Civili di Brescia.
Si mettono in evidenza l’eziologia riscontrata, l’inquadramento diagnostico seguito e la terapia chirurgica
mininvasiva (drenaggio mediante agoaspirazione) o cervicotomica attuate.
Si tratta di 144 casi di bambini ricoverati per tumefazione cervicale linfonodale (il 57% dei bambini
ricoverati per tumefazione cervicale), in 36 casi è stata precisata l’eziologia batterica piogenica
(Staphylococcus Aureus, Streptococcus Pyogenes), in 9 da Bartonella , 7 casi ad eziologia mista (batterica e
virale), 7 virali, 14 micobatteriosi atipiche, 4 TBC linfonodali, 2 casi di granulomatosi cronica, 1
toxoplasmosi, 3 linfomi di Hodgkin, 2 metastasi da ca papillare della tiroide.
L’iter diagnostico‐terapeutico segue l’algoritmo studiato e verificato negli anni. Si sottolinea come nelle
forme di linfoadeniti batteriche suppurate con colliquazione la terapia medica sia stata curativa nel 19 %
dei casi (10 su 51) e il drenaggio agoaspirativo in anestesia locale si sia rivelato risolutivo nel 72% dei casi
(38 su 51). Solo 3 bambini con linfoadeniti suppurate persistenti sono stati operati.
La chirurgia cervicotomica è invece ancora indicata nella gran parte delle micobatteriosi atipiche.
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L’ESAMEISTOLOGICODOPOADENOIDECTOMIAE/OTONSILLECTOMIA:ANALISIRETROSPETTIVADI5064PAZIENTIINETÀPEDIATRICAA.Schreiber, S.Stefini, C.Smussi, S.Fisogni (Spedali Civili ‐Brescia)
La necessità dell’esame istologico dopo adenoidectomia e/o tonsillectomia è controversa e non esistono a
oggi linee guida a riguardo.
L’esame istologico di routine in queste procedure chirurgiche è gravato da elevati costi ma solleva il
chirurgo da rischi medico‐legali conseguenti alla possibilità di tumori occulti non diagnosticati.
In letteratura numerose casistiche mostrano un rischio trascurabile di tumori occulti dopo adenoidectomia
e/o tonsillectomia sia in popolazioni in età pediatrica sia in età adulta.
Lo scopo del presente studio è quello di contribuire alla letteratura scientifica con la nostra esperienza e
valutare l’utilità dell’esame istologico in pazienti di età pediatrica sottoposti ad adenoidectomia e/o
tonsillectomia per ipertrofia infiammatoria adenotonsillare.
Sono stati selezionati retrospettivamente 5064 pazienti trattati tra gennaio 1995 e dicembre 2009 presso il
reparto pediatrico di otorinolaringoiatria degli Spedali Civili di Brescia. Duemilaseicentosettantasette (53%)
sono stati sottoposti ad adenoidectomia, 793 (16%) a tonsillectomia e 1594 (31%) ad adenotonsillectomia.
Duemilanovecentotredici (58%) erano maschi e 2151 (42%) erano femmine, l’età media era 6,3 anni (range
1‐15 anni).
Sono stati inclusi pazienti in età pediatrica sottoposti ad intervento di adenoidectomia e/o tonsillectomia
per tonsilliti ricorrenti, sindrome delle apnee notturne o otite media ricorrente.
Sono stati esclusi i pazienti sottoposti ad intervento chirurgico a scopo diagnostico per lesioni
adenotonsillari sospette per neoplasia.
Nessun paziente (0/5064) ha presentato all’esame istologico definitivo neoplasie benigne o maligne
occulte.
L’esame istologico di routine dopo adenoidectomia e/o tonsillectomia può essere evitato quando non vi sia
un sospetto preoperatorio di lesioni neoplastiche riducendo considerevolmente la spesa sanitaria
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COMPLICANZEEMORRAGICHEEFATTORIDIRISCHIONELLATONSILLECTOMIA:L’ESPERIENZADELL’OSPEDALEPEDIATRICOBAMBINOGESÙSU8417CASIP.M.Bianchi, G.Andriani, M.Carretti, P.Partipilo, S.Bottero (Osp. Bambino Gesù ‐ Roma)
La tonsillectomia continua ad essere tra gli interventi eseguiti con maggior frequenza in età pediatrica;
nonostante ciò esiste una estrema eterogeneità nella pratica medica e nella formazione degli specialisti e
manca univocità di vedute su quale metodica chirurgica sia da preferire per ridurre durata dell’intervento,
sanguinamento intra‐operatorio e morbosità post‐operatoria.
In Italia si stima una media nazionale di emorragie primarie del 4.23% (SNLG 2008), con sensibili differenze
regionali dei tassi di incidenza delle complicanze emorragiche.
Queste macroscopiche difformità possono essere giustificate da errori di codifica, da eventuali
comportamenti opportunistici nella compilazione delle SDO, dalle differenti definizioni di emorragia post‐
operatoria, oppure dalla non uniformità delle tecniche chirurgiche utilizzate. Infatti alla tonsillectomia per
dissezione “a freddo”, conosciuta da circa un secolo, si sono aggiunte, negli ultimi anni, numerose
metodiche, dette “a caldo”, che permettono di asportare le tonsille effettuando simultaneamente
l’emostasi.
La superiorità di un trattamento rispetto all’altro non è stata ancora chiaramente e definitivamente
dimostrata e non esistono dati certi che provino quale metodica, in età pediatrica, garantisca il massimo
beneficio al paziente utilizzando al minimo le risorse economiche, organizzative e professionali.
Gli AA descrivono la loro esperienza su 8417 casi in età pediatrica operati dal 2002 al 2010 utilizzando la
tecnica di dissezione “a freddo” con emostasi eseguita mediante lacci riassorbibili, riportano un tasso di
incidenza di emorragie primarie dell’1.05% e secondarie dello 0.12% e identificano quali possibili fattori di
rischio emorragico l’età del paziente e la durata del digiuno pre‐operatorio.
Gli AA, inoltre, espongono i dati preliminari di un trial clinico controllato randomizzato in cieco su efficacia
ed efficienza delle metodiche di tonsillectomia il cui obiettivo principale è ottenere stime di sicurezza ed
efficacia terapeutica, calcolate in relazione al rischio di emorragia post‐operatoria, che permettano di
stabilire quale metodica di tonsillectomia ‐ tra chirurgia mediante dissezione a freddo e radiofrequenze
(ablazione plasma mediata ‐ Coblation) – sia il tipo di trattamento chirurgico che garantisca il minor rischio
di complicanze e la minore morbosità post‐operatoria.
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ASPETTICLINICIECHIRURGICIDELLASINDROMEFPAPAD.L.Grasso, G.Pelos, A.degrassi, A.Tommasini, E.Orzan (IRCCS Burlo Garofalo ‐ Trieste)
La sindrome PFAPA ( Periodic Fever, Adenite, Pharingitis e aphtous stomatitis) è una entità clinica di
etiopatogenesi ancora ignota, identificata per la prima volta da Marshalls (1987) e caratterizzata da febbre
periodica, adenite cervicale, faringite e stomatite aftosa.
L’epoca di insorgenza è tipicamente prima dei 5 anni. Gli accessi febbrili durano di solito dai 3 giorni a 1
settimana, mentre tra le crisi i pazienti risultano asintomatici per periodi variabili e la malattia
normalmente si autolimita dopo circa 4 anni dal primo attacco, indipendentemente dalla terapia adottata.
La diagnosi è di esclusione ed è supportata dalla responsività del paziente al trattamento con
corticosteroidi, che di solito tendono ad interrompere la sintomatologia.
La tonsillectomia, seppur riportata come frequentemente associata a risoluzione della malattia, rimane
ancora oggi una soluzione dibattuta per la mancanza di un ampia casistica.
METODI: Abbiamo raccolto i dati clinici e genetici di 102 pazienti con febbre periodica ai quali sono stati
applicati i correnti criteri diagnostici per la PFAPA e verificata la responsività alla terapia cortisonica.
RISULTATI: Tutti i soggetti sono risultati negativi alla ricerca delle mutazioni MVK, TNFRSF1A e MEFV.
I risultati ottenuti dall’analisi dei dati clinici evidenzia che i pazienti affetti da PFAPA raramente presentano
associati sintomi quali dolore addominale e diarrea, vomito, rash cutanei e artralgia. Tali sintomi sono
invece caratteristici delle febbri periodiche monogeniche quali ad esempio il deficit di Mevalonato‐Kinasi o
la febbre familiare mediterranea.
I pazienti con PFAPA presentano quadri variabili di faringite che vanno dalla semplice iperemia dei pilastri
tonsillari anteriori alla faringotonsillite essudativa.
La tonsillectomia si è rivelata efficace nella quasi totalità dei pazienti con diagnosi clinica PFAPA, con
risoluzione della sintomatologia in 97 pazienti, allungamento dell’intervallo intercrisi in 4 pazienti, mentre
solo in un paziente la sintomatologia è rimasta inalterata.
CONCLUSIONI: La sindrome PFAPA rappresenta una entità clinica facilmente identificabile dal punto di
clinico, data la peculiarità dei sintomi presentati dai pazienti affetti.
L’assenza di sintomi gastrointestinali, dei rash cutanei e delle artralgie la rende nettamente distinguibile
dalle altre febbri periodiche monogeniche.
La tonsillectomia si è rivelata l’opzione terapeutica maggiormente valida nel “decapitare” precocemente la
malattia con indice rischio /beneficio nettamente a favore dell’opzione chirurgica
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ILRUOLOCOMPLEMENTAREDELLABRONCOSCOPIAFLESSIBILENELL’INALAZIONEDICORPIESTRANEIINETÀPEDIATRICAC.Cutrone, B.Pedruzzi, E.Emanuelli , G.Tava, M.Sari, T.Volo, S.Narne, A.Martini (Clinica ORL‐Padova)
L’inalazione di corpi estranei in età pediatrica è una condizione non frequente, ma molto pericolosa ed in
alcuni casi mortale, che richiede una diagnosi precoce ed un trattamento tempestivo.
Un’accurata anamnesi, l’esame obiettivo e l’esame radiologico del torace (in inspirio ed in espirio) sono
fondamentali, in quanto aiutano il medico nella programmazione del successivo iter diagnostico‐
terapeutico. In letteratura, il trattamento gold standard per la diagnosi e per la rimozione del corpo
estraneo inalato è la tracheo‐broncoscopia rigida in anestesia generale.
Riesaminando la nostra casistica pediatrica di tracheo‐broncoscopie effettuate per sospetta inalazione di
corpi estranei dal Luglio 1986 al Dicembre 2010, abbiamo studiato 310 pazienti, 184 (59,4%) maschi e 126
femmine (40,6%), di età compresa tra 1 mese e 14 anni (età media 2,7 anni).
Dal Luglio 1986 al Dicembre 2008 sono state effettuate solo tracheo‐broncoscopie rigide. Dal Gennaio 2009
al Dicembre 2010, invece, prima di effettuare una broncoscopia rigida nei pazienti con anamnesi e/o
obiettività dubbie, abbiamo effettuato una broncoscopia flessibile in sedazione e anestesia locale allo scopo
di escludere la presenza del corpo estraneo.
Delle 310 tracheo‐broncoscopie effettuate, abbiamo riscontrato che 104 (33,5%) casi sono risultati negativi
per la presenza di corpi estranei a livello dell’albero respiratorio, mentre i restanti 206 (66,5%) casi sono
risultati positivi ed i pazienti sono quindi stati sottoposti a rimozione del corpo estraneo in tracheo‐
broncoscopia rigida.
Le tracheo‐broncoscopie flessibili effettuate sono state 30 (9,7%). In 14 (40%) casi non è stato rilevato alcun
corpo estraneo nell’albero tracheo‐bronchiale e quindi si è concluso l’iter diagnostico‐terapeutico, evitando
al paziente il rischio di una tracheo‐broncoscopia rigida in anestesia generale.
Abbiamo quindi concluso che in casi dubbi, prima di sottoporre i pazienti a una tracheo‐broncoscopia
rigida in anestesia generale per escludere completamente la presenza di un corpo estraneo inalato, è utile
effettuare una broncoscopia flessibile in sedazione e anestesia locale. È però fondamentale una lunga
esperienza nella gestione delle emergenze delle vie aeree e una stretta collaborazione tra l’anestesista, per
non incorrere nelle possibili complicanze e diminuire il tasso di morbidità e mortalità correlate a tali
manovre.
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Napoli, 17‐19 novembre 2011 Presidente: Nicola Mansi
CISTISOTTOGLOTTICHEACQUISITENELL’INFANZIA:PRESENTAZIONEDIDUECASIG.Peretti , C.Smussi, T.Bazzana, S.Stefini (Spedali Civili ‐Brescia)
CISTI SOTTOGLOTTICHE ACQUISITE NELL’ INFANZIA PRESENTAZIONE DI DUE CASI PERETTI G., SMUSSI C.,
BAZZANA T., STEFINI S. LE CISTI SOTTOGLOTTICHE (CSG) SONO UNA RARA CAUSA DI OSTRUZIONE DELLA
VIA AEREA . L’AUMENTO DELLA LORO INCIDENZA NEGLI ULTIMI ANNI PUO’ ESSERE RICONDUCIBILE
ALL’INCREMENTO DELLA SOPRAVVIVENZA DEI PRETERMINE, ALLA PROLUNGATA INTUBAZIONE ED ALLA
MAGGIOR ACCURATEZZA DIAGNOSTICA, SIA ENDOSCOPICA CHE RADIOLOGICA. I TRATTAMENTI
TERAPEUTICI VARIANO DALLA SEMPLICE ASPIRAZIONE – INCISIONE – MARSUPIALIZZAZIONE, ALLA
ESCISSIONE EN BLOC (CON LASER CO2 – MICROSTRUMENTAZIONE A FREDDO – MICRODEBRIDER).
VENGONO QUI DESCRITTI L’INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO ED IL TRATTAMENTO TRANSORALE CON
LASER CO2, DI DUE CASI DI BAMBINI, RISPETTIVAMENTE DI TRE E SEI MESI, AFFETTI DA CSG POST ‐
INTUBAZIONE E L’ANALISI DEI RISULTATI.
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PATOLOGIADICONFINEINORL:INCIDENTIDIPERCORSOINODONTOSTOMATOLOGIAM.L.Tropiano, S.Bottero, F.M.Tucci, P.Partipilo, G.C. DE Vincentiis, E.Sitzia (Osp. BambinoGesù – Roma)
Gli autori riportano il caso clinico di una bambina di otto anni venuta alla loro osservazione per una
persistente condizione di flogosi broncopneumonica destra, stante il trattamento antibiotico e
corticosteroideo sostenuto da più di un mese.
All’accettazione la paziente presenta tosse produttiva, non associata a rialzo febbrile, con indici di flogosi
modicamente incrementati; dal rilievo anamnestico risulta che la sintomatologia ha avuto inizio dopo una
visita odontoiatrica, nella quale lo specialista, ha incontrato una notevole difficoltà collaborativa della
bambina, nel rimuovere un molare deciduo cariato.
I genitori riferiscono l’insorgenza di un accesso di tosse associato a vomito durante l’estrazione; per
giustificare il quale, l’odostomatologo avrebbe addotto come motivazione l’ingestione del dente. La
bambina veniva pertanto rinviata al proprio domicilio senza indicazione alcuna da seguire.
Trascorsi tre giorni da tale evento, cominciava a presentarsi tosse produttiva associata a broncospasmo,
che richiedeva rapido consulto da parte del curante; questi, in seguito al reperto auscultatorio, poneva
diagnosi di broncopolmonite con associato weezing ed iniziava idoneo trattamento farmacologico.
Solo dopo un mese di insuccesso terapeutico, la bambina è stata sottoposta ad esame radiologico del
torace, che ha consentito di evidenziare, nel bronco intermedio di destra, una formazione radioapaca,
assimilabile per la sua morfologia, ad elemento dentario.
Trasportata immediatamente presso il nostro Ospedale, è stata sottoposta ad esame tracheobroncoscopico
d’urgenza che ha permesso di rimuovere il corpo estraneo “misconosciuto”.
L’inalazione di un elemento dentario, relativamente frequente negli anziani, è condizione estremamente
rara in età pediatrica; gli autori riportano il caso, data la sua eccezionalità, ma non unicità; riferendo di
analogo incidente intercorso anni prima, per il quale il collega odontoiatra accompagnava presso il nostro
pronto soccorso, un paziente in cui si era verificata l’accidentale inalazione dell’ago utilizzato per
l’effettuazione di cura canalare.