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    STORIA DELLA FILOSOFIAdi Nicola AbbagnanoVOLUME TERZO CAPITOLO QUARTO: Fichtel. La vita. Johann Gottlieb Fichte nacque aRammenau il 19 maggio 1762 da famigliapoverissima. Comp i suoi studi di teologiaa Jena e a Lipsia lottandocon la miseria. Fece poi il precettore in case privatein Germania e aZurigo, dove conobbe Johanna Rahn che in seguito divenne sua moglie (1793). Nel 1790, Fichte ritorn a Lipsia; e qui venne per la primavolta in contatto con la filosofia di Kant che decise della suaformazione filosofica. La "scoperta" di Kant." Io vivo in un mondo nuovo, scriveva entusiasticamente in unalettera,dacch ho letto la Critica della ragion pratica. Principi che credevoinconfutabili mi sono stati smentiti; cose che io non credevo potesseromai essere dimostrate, per esempio il concetto dell'assoluta libert,del dovere eccetera, mi sono state dimostrate ed io mi sento perci assai pi contento. inconcepibile quale rispetto per l'umanit, qualeforza, ci d questo sistema". L'anno dopo, il 1791, Fichtesi reca a Knigsberg per far leggere a Kantil manoscritto della sua prima opera,Ricerca di una critica di ognirivelazione. Lo scritto composto interamente nellospirito delkantismo, sicch quando comparve anonimo nel 1792 fu scambiato per unoscritto di Kant; e Kant intervenne a rivelare il vero nome dell'autore. Ma nellostesso 1791, mentre a Danzica Fichte attendeva a stendere unadifesa degli editti del governo prussiano che limitavano la libert distampa e istituivano la censura, gli fu rifiutato il nullaosta per lastampa della sua Ricerca; e mesi dopo furifiutata anche la pubblicazionedella seconda parte della Religione entro i limiti della ragione di Kant. Indignato, Fichte pass immediatamente dalla difesa delregime paternalistico alla difesa della libert; e pubblicava anonimauna Rivendicaz

    ione della libert di pensiero (1793). Nel 1794 Fichte divenne professore a Jena evi rimase fino al 1799. Appartengono a questo periodo le opere cui dovuta limportanza storicadella sua speculazione (Dottrina della scienza, Dottrina morale,Dottrina del diritto) . La polemica sull'ateismo. Nel 1799 scoppi la cosiddetta "polemica sull'ateismo" che doveva condurreall'allontanamento di Fichte dalla cattedra. In seguito ad un articolo pubblicato nel "Giornale filosofico" di JenaSul fondamento della nostra credenza nel governo divino del mondo (1798),il quale identificava Dio con l'ordine morale nel mondo,Fichte fu accusato di ateismo in unlibello anonimo. Il governoprussiano proib il giornale e chiese al governo di Weimar di punireFichte e il direttore del giornale, Forberg, con la minaccia che inmancanza avrebbe proibito ai suoi sudditi la frequenza dell'Universit diJena. Ilgoverno di Weimar avrebbe voluto che il Senato accademicoformulasse un rimprovero almeno formale contro il direttore delgiornale. Ma Fichte venuto a conoscenza

    di questo progetto scriveva il22 marzo 1799 una lettera altezzosa a un membro del governo, avvertendo chese il rimprovero fosse stato formulato si sarebbe congedato dall'Universitae aggiungendo la minaccia che in questo caso anche altri professoriavrebbero lasciato con lui l'Universit. In seguito a questa lettera ilgoverno di Jena col parere favorevole di Goethe (che si dice abbia dettoin questa occasione: "Un astro tramonta, un altro ne nasce"), invit Fichtea dare le dimissioni nonostante che nel frattempo egli avesse lanciato unAppello al pubblico e nonostante una petizione degli studenti in suo favore. Gli professori rimasero al loro posto. Il periodo berlinese. Allontanatosi da Jena, Fichte si rec a Berlino dove strinse rapporti con iromantici Friedrich Schiegel, Schieiermacher, Tieck. Nominato professorea Erlangen nel 1805, si rec a Knigsberg al momento dell'invasionenapoleonica e di l ritorn a Berlino dove pronunci, mentre la citt eraancora occupatdalle truppe francesi, i Discorsi alla nazionetedesca (1807-1808): nei quali ad

    ditava, come mezzo di risollevamentodella nazione germanica dalla servit politica, una nuova forma dieducazione e affermava il primato del popolo tedesco. In seguito fuprofessore a Berlino e rettore di quella Universit. Mor il29 gennaio 1814 per una febbre infettiva contagiatagli dalla moglie, chel'aveva contratta curandoi soldati feriti. La caratteristica della personalit di Fichte costituita dallaforzacon cui egli sent l'esigenza dell'azione morale. Fichte stesso dicedi s: " Ioho una sola passione, un solo bisogno, un solo sentimento pienodi me stesso: agire fuori di me. Pi agisco, pi mi sento felice". Nella seconda fase, all'esigenzadell'azione morale si sostituisce quelladella fede religiosa; e la dottrina della scienza vien fatta servire agiustificare la fede. Ma da un capo all'altro dell

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    ienza, il filosofo intendeappunto dire che l'Io , nello stesso tempo, attivit agente (Tat) eprodotto dell'azione stessa (Handlung). Si noti come Fichte, con questo basilare principio, non faccia cheportare alla sua massima espressione metafisica la visione rinascimentalee moderna dell'uomo come "libero e sovrano arteficedi se stesso", ovverocome essere che costruisce o inventa se medesimo tramite la propria libert. Come vedremo, questo concetto tende a ritornare, anche indipendentementedall'idealismo, in gran parte delle filosofie posteriori, sino ai giorninostri. Goethe lo ha reso con i versi del Faust (Libro 1, 5. 1237):"In principio era l'azione"."L'Io pone se stesso". Il primo principio della Dottrina della scienza stabilisce quindi che"l'Io pone se stesso", chiarendo come il concetto diIo in generale siidentfichi con quello di un'attivit auto-creatrice ed infinita."L'Io pone il non-io". Il secondo stabilisce che "l'Io pone il non-io", ovvero che l'Io non solopone se stesso, ma oppone anche a se stesso qualcosa che, in quanto gli eopposto, un non-io (oggetto, mondo, natura). Tale non-io tuttaviapostodall'Io ed quindi nell'Io. Questo secondo principio, osservaFichte, non , a rigore, deducibile dal primo "poich la formadell'opporre cos poco compresa nella formadel porre, che le anzipiuttosto opposta". Ci non toglie, come appare chiaro dall'ultima partedella Dottrina della scienza, che "questo fatto deve accadere, affinchuna coscienza reale sia possibile". Infatti, che senso avrebbe un Iosenza un non-io, cio un soggetto senza oggetto, un'attivit senza unostacolo, un positivo senza un negativo? (per i testi di Fichte cfr. ilGlossario)."L'Io oppone nell'Io all'Io divisibile un non-io divisibile". Il terzo principio mostra come l'Io, avendo posto il non-io, si trovi adessere limitato da esso, esattamente come quest'ultimo risulta limitatodall'Io. In altri termini, con il terzo principio perveniam

    o allasituazione concreta del mondo, nella quale abbiamo una molteplicit diio finiti che hanno di fronte a s una molteplicit di oggetti a lorovolta finiti. E poichFichte usa l'aggettivo "divisibile" per denominareil molteplice e il finito egliesprime il principio in questione con laseguente formula: "L'Io oppone nell'Ioall'io divisibile un non-iodivisibile ".4.1. Chiarificazioni. Questi tre principi delineano i capisaldi dell'intera dottrina di Fichte,perch stabiliscono:a) l'esistenza di un Io infinito, attivit assolutamente libera e creatrice;b) l'esistenza di un io finito (perch limitato dal non-io), cio di unsoggetto empirico (l'uomocome intelligenza o ragione);c) la realt di un non-io, cio dell'oggetto (mondo o natura), che sioppone all'io finito, ma ricompreso nell'Io infinito, dal quale posto. Nello stesso tempo essi costituiscono il nerbo della deduzione idealisticadel mondo, ossia di quella spiegazione della realt alla luce dell'Io, checontrapponendosi all'antica metafisica dell'essere o dell'oggetto mettecapo ad una nuova

    metafisica dello spirito e del soggetto. Realt logica e non cronologica. Per facilitare la comprensione del processo descritto bene aggiungeretalune note:1) I tre principi non vanno interpretati in modo cronologico, bens logico,in quanto Fichte, con essi, non intende dire che prima esista l'Io infinito,poi l'io che poneil non-io ed infine l'io finito, ma semplicemente cheesiste un Io che, per poteressere tale, deve presupporre di fronte a seil non-io, trovandosi in tal modo ad esistere concretamente sotto formadi io finito. Allora Fichte avrebbe delineato tutto questo processoteorico, che si serve di un armamentario linguistico astruso, unicamenteper arrivare a dire ci che anche l'uomo comune e la filosofia tradizionalesanno da sempre, ossia che la scena del mondo composta da unamolteplicitdi io o di individui finiti che hanno dinanzi a s unamolteplicit di oggetti, che nel loro insieme costituiscono la Natura? Inverit, con la sua deduzione, Fichte havoluto mettere bene in luce comela natura non sia una realt autonoma, che preced

    e lo spirito, maqualcosa che esiste soltanto come momento dialettico della vitadell'Io, equindi per l'Io e nell'Io. L'Io finito e infinito al tempo stesso.2) In virt di questa dottrina, l'Io, per Fichte, risulta finito einfinito al tempo stesso: finito perch limitato dal non-io, infinitoperch quest'ultimo, cio la natura,esiste solo in relazione all'Io edentro l'Io, costituendo il polo dialettico o il " materiale"indispensabile della sua attivit.3) L'Io "infinito" o "puro" di cuiparla Fichte non qualcosa di diversodall'insieme degli io finiti nei quali essosi realizza, esattamente comel'umanit non qualcosa di diverso dai vari individuiche la compongono,anche se l'Io infinito perdura nel tempo, mentre i singoli iofinitinascono e muoiono. Rapporti fra l'Io infinito e gli io finiti.4) L'Io inf

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    lla semplice sensazionealle pi alte speculazioni del filosofo, mediante una progressivainteriorizzazione dell'oggetto, che alla fine si rivela opera del soggetto. Fichte denomina questo processo di graduale riconquista conoscitivadell'oggetto "storia prammatica dello spirito umano", e lo articola insensazione (in cui l'io empirico avverte fuori di s l'oggetto, come undato che gli si oppone), in intuizione (in cui si ha la distinzione frasoggetto-oggetto ed il coordinamento delmateriale sensibile tramitelo spazio e il tempo), in intelletto (che fissa la molteplicit fluttuantedelle percezioni spazio-temporali mediante rapporti categoriali stabili),in giudizio (che fissa e articola a propria volta la sintesi intellettiva:"se nell'intelletto non c' nulla non c' giudizio; se non c' giudizio,nell'intelletto non c' nulla per l'intelletto, non c' pensiero delpensato come tale"), inragione (che essendo la facolt di "astrarre daogni oggetto in generale", rappresenta il massimo livello conoscitivoraggiungibile dal soggetto).8. La dottrina morale.8.1. Il "primato" della ragion pratica. La conoscenza presuppone l'esistenzadi un io (finito) che ha dinanzi a sun non-io (finito), ma non spiega il "perch"di tale situazione. In altritermini, perch l'Io pone il non-io, realizzandosi come io conoscentefinito?L'io pratico costituisce la ragion d'essere dell'io teoretico. Il motivo, risponde Fichte in coerenza con le premesse del sistema, dinatura pratica. L'Io pone il non-io ed esiste come attivit conoscente soloper poter agire: "Noi agiamo, scrive il filosofo, perch conosciamo, maconosciamo perch siamo destinati ad agire". Detto altrimenti: l'io praticocostituisce la ragione stessadell'io teoretico. In tal modo, Fichte ritienedi avere posto su solide basi il primato della ragion pratica sulla ragionteoretica enunciato da Kant. Da ci la denominazione di idealismo eticodato al pensiero di Fichte, che si pu sintetizzare n

    ella doppia tesisecondo cui noi esistiamo per agire e il mondo esiste solo cometeatrodella nostra azione: " Il mio mondo oggetto e sfera dei miei doveri eassolutamente niente altro". Caratteri dell'agire morale. Ma che cosa significa "agire"? E in che senso l'agire assume un aspetto"morale"? La risposta a queste due domande discende da quanto si dettosinora. Agire significa imporre al non-io la legge dell'Io, ossia foggiarenoi stessi e il mondo alla luce di liberi progetti razionali. Il caratteremorale dell'agire consiste nel fatto che esso assume la forma del "dovere",ovvero di un imperativo volto a far trionfare lo spirito sullamateria, siamediante la sottomissione dei nostri impulsi alla ragione, sia tramite laplasmazione della realt esterna secondo il nostro volere. Tutto ci fornisce la spiegazione definitiva del perch l'Io abbia "bisogno"del non-io. Spiegazione che possiamo globalmente sintetizzare inquesto modo. Per realizzare se stesso, l'Io, che costituzionalmentelibert, deve agire ed agire moralmente. Ma, come Kant av

    eva insegnato, nonc' attivit morale l dove non c' sforzo; e non c' sforzo l dove un ostacolo da vincere. Il non-io come condizione della moralit dell'Io. Tale ostacolo la materla, l'impulso sensibile, il non-io. La posizionedel non-io quindila condizione indispensabile affinch l'Io sirealizzi come attivit morale. Ma realizzarsi come attivit moralesignifica trionfare sul limite costituito dal non-io, tramite un processodi autoliberazione dell'Io dai propri ostacoli. Processo grazie al qualel'Io mira a farsi "infinito", cio libero da impedimenti esterni. Ovviamente, l'infinit dell'Io, come gi sappiamo, non mai una realtaconclusa, ma un compito incessante: " L'io non pu mai diventareindipendente fino a che dev'essere Io;lo scopo finale dell'essererazionale si trova necessariamente nell'infinito ed tale che non losi pu raggiungere mai sebbene ci si debba incessantemente avvicinaread esso...". In tal modo, Fichte ha riconosciuto nell'ideale etico il vero significatodell'infinit dell'Io. L'Io infinito (sia pure tramite un processo essostes

    so infinito) poich si rende tale, svincolandosi dagli oggetti cheesso stesso pone. E pone questi oggetti perch senza di essi non potrebberealizzarsi come attivit elibert.8.2. La "missione" sociale dell'uomo e del dotto. Secondo Fichte, il dovere morale pu essere realizzato dall'io finitosolo insieme agli altri io finiti. Anzi, nell'ultima parte del Sistemadella dottrina morale (1798), egli arriva a "dedurre" filosoficamentel'esistenza degli altri io in base al principio per cui la sollecitazionee l'invito al dovere possono venire soltanto da esseri fuori dime, chesiano, come me, nature intelligenti. Ora, ammessa l'esistenza di altriesseri intelligenti, io sono obbligato a riconoscere ad essi lo stessoscopo della mia esistenza, cio la libert. In tal modo, ogni io finitorisulta costretto non solo

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    ondo sensibile, cio le azioni,ed implica perci una costrizione esterna, che la moralit esclude. Invirt dei rapporti di diritto, l'io pone a se stesso una sfera di libert,che la sfera delle sue possibili azioni esterne, e si distingue da tuttiglialtri io, che hanno ognuna la propria sfera. In questo atto esso si ponecome persona o individuo. Ora la persona individuale non pu agire nelmondo se il suo corpo non libero da ogni costrizione, se non pu disporreper i suoi scopi di un certonumero di cose e se non garantita laconservazione della sua esistenza corporea.I diritti originari enaturali dell'individuo sono perci tre: la libert, la propriet e laconservazione. Ma questi diritti non possono essergli garantiti se non dauna forza superiore, che non pu essere esercitata da un individuo, masoltanto dalla collettivit degli individui, cio dallo Stato. Lo Stato,dunque, non elimina il diritto naturale, ma lo realizza e garantisce. Le idee dello Stato commerciale chiuso. Questa prospettiva individualistica, che avvicina Fichte allo schemapolitico liberale, trova una sua integrazione, e al tempo stessoparziale correzione, nello Stato commerciale chiuso (1800), opera nellaquale il filosofo afferma che loStato non deve limitarsi soltanto allatutela dei diritti originari, ma deve anche rendere impossibile la povert,garantendo a tutti i cittadini lavoro e benessere. Polemizzando contro illiberismo e il mercantilismo e difendendo il principiosecondo cui nelloStato secondo ragione tutti devono essere subordinati al tuttosociale epartecipare con giustizia ai suoi beni, Fichte perviene ad una forma distatalismo socialistico (perch basato su di una regolamentazione stataledella vita pubblica) ed autarchico (perch autosufficiente sulpiano economico). Il socialismo statalistico di Fichte non implica, propriamente,comunismo, ossia eliminazione della propriet privata dei mezzi diproduzione. Egli ritiene infatti che gli str

    umenti di lavoro (che dallasua ottica ancora prevalentemente agricolo-artigianale si identificanocon forze produttive quali zappe o forconi, martelli, fucine eccetera)debbono appartenere a chi li usa. Per cui, mentre in Loche il diritto allavoro derivato dal diritto di propriet, in Fichte il diritto allapropriet fatto saturire dal dovere etico al lavoro.(Cfr. K. SChilling,Geschichte der sozialen Ideen, Stuttgart, 1965 (traduzione italiana pressoGarzanti, MIlano, 1965)LO statalismo socialistico ed autarchico. Dopo aver "dedotto" le varie classi sociali degli agricoltori e deilavoratori dell'industria mineraria (i produttori di base dellaricchezza), degli artigiani, degli operai e degli imprenditori(i trasformatori della ricchezza) e dei commercianti, degli insegnanti,dei soldati e dei funzionari (i diffusori della ricchezza materiale espirituale, i loro difensori e gliamministratori della vita socio-politica),Fichte dichiara che lo Stato ha il compito di sorvegliare l'interaproduzione e distribuzione dei beni, fissando ad ese

    mpio il numero degliartigiani e dei commercianti, in modo tale che il loro numero siamatematicamente proporzionato alla quantit dei beni prodotti, eprogrammandogli orari e i salari di lavoro, i prezzi delle merci eccetera. Per svolgere il suo compito in tutta libert ed efficienza, regolandosecondo giustizia la distribuzione dei redditi e dei prodotti, lo Statodeve organizzarsi come un tutto chiuso,senza contatti con l'estero,sostituendo in tal modo l'economia liberale di mercato ed il commerciomondiale con un'economia pianificata e con l'isolamento deglistati. Tale "chiusura commerciale" risulta possibile quando lo Stato ha, neisuoi confini, tutto ci che occorre per la fabbricazione dei prodottinecessari; l ovequesto manchi, lo Stato pu avocare a s il commercioestero e farne un monopolio. Questa autarchia, che abolisce ognicontatto dei cittadini con l'estero (fatta eccezione per gli intellettualie per gli artisti, per motivi culturali) ha pure il vantaggio, secondoFichte, di evitare gli scontri fra gli stati, che nascono sempr

    e dacontrapposti interessi commerciali. In questo scritto si rispecchia, sia pure in forma filosofico-utopistica,un'esigenza storica reale, consistente nella necessit, da parte delloStato moderno, di un intervento attivo nella vita sociale,volto adevitare povert, disoccupazione ed ingiustizie. In questo senso l'operafichtiana, che risulta un'ibrida mescolanza di individualismo e distatalismo, esprime un'inconsapevole ed irrisolta sovrapposizione di dueconcezioni dello Stato: quella liberale classica e quella socialista. Ese questa ultima, date le condizioni storiche, rischia senz'altro diassumere una fisionomia utopistica, senza presa sulla realt e suicontemporanei (che accolsero con freddezza e disinteresse le propostefichtiane), la prima rischia di essere oggettivamente sacrificata sull'al

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    taredel "superiore interesse" della comunit.9.2. Lo Stato-Nazione e la celebrazione della miissione civilizzatrice dellaGermania. La fase "nazionalistica". La battaglia di Jena e l'occupazione napoleonica della Prussia contribuisconoa far s che la filosofia politica di Fichte si evolva in sensonazionalistico, concretizzandosi (nell'inverno 1807-1808) nei celebriDiscorsi alla nazione tedesca, " una delle opere pi singolari che sianoapparse sulla scena filosofica... in cui variamente si intrecciano elementidi scienza politica, filosofia della storia, pensieroreligioso, teoriadell'educazione, dottrina morale, filosofia del diritto e dellasociet... uno dei capolavori della letteratura tedesca per la limpidezzadell'espressione, l'impeto oratorio, il vigore del ragionamento, lo slancioprorompente del pensiero, l'efficacia della convinzione e della persuasione"(L. Pareyson, Introduzione a Fichte, in Grande antologia filosofica,Volume 17, pagina 875.)In breve: uno dei documenti intellettuali pi rilevanti della storia dellaGermania moderna. Il tema fondamentale dei Discorsi, che ne vel la pericolosit aglioccupanti, l'educazione. Fichte ritiene infatti che il mondo modernorichieda una nuova azionepedagogica, capace di mettersi al servizio nongi di una lite, ma della maggioranza del popolo e della nazione, e ditrasformare alle radici la struttura psichica,e anche fisica, delle persone. La missione del popolo tedesco. Tuttavia i Discorsi passano ben presto dal piano pedagogico aquello nazionalistico, in quanto Fichte argomenta che soltanto il popolotedesco risulta adatto a promuovere la "nuova educazione", in virt di cioche egli chiama "il carattere fondamentale" e che identifica nella lingua. Infatti i tedeschi sono gli unici ad aver mantenuto la loro lingua, che sindall'inizio si posta come espressione della vita concreta e della culturadel popolo, a differenza, ad esempio, della Francia e dell'Italia, n

    ellequali i mutamenti linguistici e la formazione dei dialetti neolatini hannoprovocato una scissione fra popolo, lingua e cultura. Per questo, itedeschi, il cui sangue non commisto a quello di altre stirpi, sonol'incarnazione dell'Urvolk,cio di un popolo "primitivo" rimasto integro epuro, e sono gli unici a potersi considerare un popolo, anzi come il popoloper eccellenza (tant' vero che egli fa notare come deutsch, preso nel suosenso letterale, significhi originariamente "volgare" o "popolare"). Di conseguenza, i tedeschi sono anche gli unici ad avere una patria, nelsenso pi alto del termine, e a costituire un'unit organica, che, al di ladei vari stati e di tutte le barriere politiche, si identifica con larealt profonda della nazione. A questo punto il discorso di Fichte si fadecisamente patriottico, auspicando, almeno esplicitamente, non gi lalotta contro lo straniero (non si dimentichi la censura prussiana,preoccupata di una ritorsione dei francesi!), bens l'avvento di una nuovagenerazione di tedeschi, educati e rinnovati secon

    do principi trattidal grande pedagogista G. Enrico Pestalozzi (1746-1827). Tuttavia,incanalando nuovamente il discorso patriottico in senso nazionalistico,Fichte proclama che solo la Germania, sede della Riforma protestante diLutero ("il tedesco per eccellenza") e patria di Leibniz e di Kant, nonchepicentro della nuovaarte romantica e della nuova filosofia idealistica,risulta la nazione spiritualmente "eletta" a realizzare"l'umanit fra gli uomini", divenendo, per gli altri popoli, ci che ilvero filosofo per il prossimo: "sale della terra" e forza trainante:"Il genio straniero sparpaglier fiori nei sentieri battutidall'antichit... lo spirito tedesco, al contrario, aprir nuove miniere,far penetrare la luce del giorno negli abissi e far saltare enormimassi di pensiero, di cui le et future si serviranno per costruire leloro dimore. Il genio straniero sar... l'ape che, accorta e industriosa,bottina il miele... Ma lo spirito tedesco sar l'aquila che, con alapossente, eleva il suo corpo pesante e, con un volo vigoroso elungamente esercitato,

    sale sempre pi in alto per avvicinarsi al sole,la cui contemplazione la incanta". (J. G. Fichte, Renden an die deutscheNation, Berlino 1807-1808, discorso 5 (traduzione italiana, Discorsi allanazione tedesca, a cura di Barbara Allason, Utet, Torino, 1942,pagine 104-105). E tale "missione" di guida e di esempio, da parte della Germania,risulta cos importante, sostiene il filosofo nella Conclusione,che seessa fallisse l'umanit intera perirebbe: "Non vi sono vie di uscita: sevoicadete, l'umanit intera cade con voi, senza speranza di riscattofuturo". (J. G. Fichte, Discorsi alla nazione tedesca, opera citata, 14,pagina 269)Si osservi, per controbilanciare quanto si detto:1) come il "primato" che Fichte assegna al popolo germanico non sia ditipo politico-militare, ma piuttosto di tipo "spiritual

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    europei che alui si sono richiamati, ha fatto s che Fichte abbia finito per essereconsiderato soltanto in funzione di Hegel, e che di lui si sia preso inconsiderazione quasi esclusivamente la prima filosofia, riducendone ilsistema religiosoa tendenziale ripresa di schemi metafisici di naturarealistica e dogmatica. Tuttavia a cominciare dalla pubblicazione, acura del figlio Immanuel Hermann Fichte,degli inediti (1834-1835) edelle opere complete (1845-1846), anche la sua filosofia religiosa hacominciato ad attirare l'attenzione degli studiosi: dapprima deirappresentanti dello stesso "teismo speculativo tedesco" di Fichtejunior (1797-1871) e di Christian Hermann Weisse (1801-1866), che si sonorichiamati a Fichtein funzione anti-hegeliana (Cfr. M. Ravera, Studi sulteismo speculativo tedesco,Mursia, Milano 1974, nel quale si afferma cheuna delle caratteristiche del discorso del cosiddetto Fichte junior "il richiamo, in funzione anti-hegeliana, dei temi dominanti l'ultima fasedell'opera paterna, da lui profondamente studiata edassimilata"capitolo 1, pagina 22), e in seguito degli interpreti novecenteschi,soprattutto di quelli che hanno scorto in essa il travagliato ma coerenteesito del filosofare fichtiano (Fra i contributi in questo sensoricordiamo soprattutto quello del gi citato L. Pareyson, il maggiorstudioso italiano di Fichte, che nellasua monografia del 1950 (e rieditarecentemente, vedi le Indicazioni bibliografiche) si battuto contro latesi tradizionale di un Fichte continuatore di Kant e anticipatore diHegel, e contro la tesi della presenza, in Fichte, di due filosofietotalmente contrapposte e prive di motivi comuni. Uno dei nuclei dellapresentazione pareysoniana consiste nell'immagine di Fichte come pensatoreche, pur all'interno di una "filosofia del finito", avrebbe tenuto fermo,sin dall'inizio, la presenza dell'Assoluto, dapprima prospettato comeidealit etica e in seguito come re

    alt ontologica. Di conseguenza,secondo Pareyson, la nuova filosofia religiosa nonsi configurerebbe comeuna "negazione" o una "smentita" della prima, ma come un"approfondimento"e "arricchimento" della medesima: "tutto lo sforzo di Fichte consisteranel trovare il modo di affermare l'assoluto evitando a un tempol'assolutizzazione del finito" (Fichte, Edizioni di Filosofia, Torino 1950,volume 1, pagina 135). Fichte e il neoidealismo. Alcuni fra i temi pi caratteristici del primoFichte, soprattutto laconcezione dello spirito come attivit autocreatrice ed eticitaintrinseca, tornano invece, in tutta la loro pregnanza, nel neoidealismodi Giovanni Gentile (e seguaci), il quale, a torto o a ragione, eapparso talora comeuna sorta di "Fichte redivivus", per la sua capacitadi recuperare in modo originale, al di l della stessa dialettica diHegel, la dialettica fichtiana di io e non-io, di atto e di fatto. Icritici hanno scorto tracce fichtiane anche ne L'Essere e il nulla diJean Paul Sartre, il cui esistenzialismo coscienzialistico, sebbe

    neorientato in senso anti-idealistico, appare dualisticamente strutturatosecondola coppia del per s (= la coscienza come libert e poteresignificante) e dell'in s(= il dato opaco che riceve senso e valore invirt della coscienza). Fichte come rappresentante tipico della concezione moderna dell'uomo. In realt, come dimostrail caso di Sartre (e di altri che potrebberoessere citati), la presenza di Fichte nella filosofia successiva, al dil dell'influsso diretto su questo o quel pensatore idealista,spiritualista o coscienzialista, va ricercata soprattutto nella suavisione attivistica ed etica dell'esistenza, che fa di lui ilrappresentante tipico della concezione moderna dell'uomo, ossia di quellainterpretazione del vivere come impegno, sforzo, missione, dover-essere,libert e movimento, che tipica, ancor oggi, dell'Occidente. Indicazioni bibliograficheE. Severino, Per un rinnovamento nell'interpretazione della filosofiafichtiana, La Scuola, Brescia 1960. P.Salvucci, Dialettica e immaginazione in Fichte, Argalia, Urbino 1963. G. Duso,

    Contraddizione e dialettica nella formazione del primo Fichte,Argalia, Urbino 1974. C. Cesa, Fichte e il primo idealismo, Sansoni, Firenze 1975. L. Pareyson, Fichte, Ed. di Filosofia, Torino 1950; nuova edizione Mursia,Milano 1976. F. Moiso, Natura e cultura nel giovane Fichte, Mursia, Milano 1979. C. Luporini, Fichtee la destinazione del dotto, in Filosofi vecchi enuovi, Editori Riuniti, Roma 1981. M. Ivaldo, Fichte. L'assoluto e l'immagine, Studium, Roma 1983. G. Di Tommaso, Dottrina della scienza e genesi della filosofia dellastoria nel primo Fichte,Japarade, L'Aquila 1986. R. Lauth, La filosofia trascendentale di J. G. Fichte,traduzione italiana,Guida, Napoli 1986. N. Ivaldo, I principi del sapere. La visione trascendentale di Fichte,Bibliopolis, Napoli 1987. Glossario e riepilogo:-

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    sofo.2) Con il concetto di intuizione intellettuale Fichte attribuisce all'uomoquell'intuito creatore che Kant attribuiva solo a Dio.- Per Io Fichte intende ilprincipio assolutamente primo, assolutamenteincondizionato, di tutto l'umano sapere (F. D. S., sezione 1, paragrafo 1),ovvero un'attivit autocreatrice (vedi), libera (vedi), assoluta (vedi)ed infinita (vedi). In Fichte assistiamo quindi ad una sorta dienfatizzazione metafisica dell'Io, che da semplice condizione del conoscere(com'era l'Io penso di Kant) diviene la fonte del reale, cio Dio.- L'Io un'attivit autocreatrice poich esso, a differenza delle cose,che sono quello che sono, pone o crea se stesso: "Ci il cui essere (o lacui essenza) consiste puramente nel porsi come esistente, l'Io comesoggetto assoluto" (F. D. S.,sezione 1, paragrafo 1), "L'Io quel che essosi pone" (ivi, 1, 9). Questa prerogativa dell'Io viene illustrata daFichte con il concetto di Tathandlung (vedi).- Tathandlung un termine caratteristico che usa Fichte per alludere alfatto che l'Io , nello stesso tempo, attivit agente (Tat) e il prodottodell'azione stessa (Handlung), ovvero chel'Io ci che egli stesso sicrea o produce (esse sequitur agere: noi siamo quel che ci facciamo)."L'Io pone se stesso ed in forza di questo puro porsi per se stesso (...)Esso , in pari tempo, l'agente e il prodotto dell'azione; ci che eattivo eci che prodotto dell'attivit, (F. D. S, 1, 6).- In quanto attivit auto-creatrice,l'Io risulta strutturalmente libert."L'assoluta attivit, scrive Fichte, la si chiama anche libert. Lalibert la rappresentazione sensibile dell'auto-attivit".- In qunto attivit creatrice ed auto-creatrice, l'io , per definizione,un essere assoluto, ovvero un ente in-condizionato ed in-finito che nondipende da altro, ma da cuitutto il resto dipende.- In quanto assoluto, l'Io infinito. Infatti, tutto ci che esiste esistesoltanto nell'Io e per l'Io, il quale, di conseguenza, ha tutto d

    entro dis e nulla fuori di s: "In quanto assoluto l'Io infinito eillimitato. Essopone tutto ci che ; e ci che esso non pone, non (per esso; e fuori di esso non c na)... Quindi, in questo riguardo,l'Io abbraccia in s tutta la realt... (F. D. S.,3, 5; 2).- L'Io detto anche, con linguaggio kantiano, Io puro, poich esso siidentifica con un'attivit scevra (= pura) da condizionamenti empirici.- I principi della Dottrina della scienza, ossia le cosiddette"proposizioni fondamentali (Grundstze) della deduzione fichtiana, sonotre. La prima afferma che "l'Io pone se stesso" (das Ich setzt sich selbsf). La seconda che "l'Io pone un non-io" (das Ich setzt ein Nicht-Ich). Laterza che "l'Io oppone nell'Io ad un io divisibile un non-io divisibile"(das Ich setzt im Ich dem teilbaren Ich ein teilbares Nicht-Ich entgegen). In altri termini, la prima proposizione stabilisce come il concetto diIoin generale si identifichi con quello di un'attivit auto-creatrice (vedi)ed infinita (vedi). La seconda stabilisce che l'Io non solo pone se stesso,ma oppone a

    nche a se stesso qualcosa che, in quanto gli opposto enon-io (vedi). Tale non-io tuttavia posto dall'Io ed quindi nell'Io. Il terzo principio mostra come l'Io,avendo posto il non-io, si trovi adessere limitato da esso, ovvero ad esistere sotto forma di un io"divisibile" (= molteplice e finito) avente di fronte a s altrettantioggetti divisibili. N. B. Il secondo principio, osserva Fichte, non risulta, a rigore,deducibile dal primo "poich la forma dell'opporre cos poco compresanella forma del porre, che le anzi piuttosto opposta" (Fondamentidell'intera D. S.,1,2). Il che un modo per dire che il finito non risultadeducibile dall'infinito, ossia che "fra l'assoluto e il finito v' unintervallo, uno iato, una soluzionedi continuit" (L. Pareyson). Tuttoci non toglie, come risulta chiaro soprattutto dalla terza ed ultima partedella Dottrina della scienza che il non-io funzioni da"urto"indispensabile per mettere in moto l'attivit dell'Io e si configuriquindicome condizione necessaria affinch vi sia un soggetto reale:"l'attivit dell'Io pro

    cedente all'infinito deve essere urtata in un puntoqualunque e respinta in se stessa (...). Che questo accada, come fatto,non si pu assolutamente dedurre dall'Io, come pi volte statoricordato; ma si pu certamente dimostrare che questo fatto deveaccadere, affinch una coscienza reale sia possibile" (Fondamentidell'intera D.S., 3, 5,2). In altri termini, pur essendo indeducibile,in assoluto, dall'equazione Io = Io, il non-io risulta indispensabile perspiegare l'esistenza di una coscienza concreta, la quale postulanecessariamente la struttura bipolare soggetto-oggetto, attivit-ostacolo,posizione-opposizione: "quell'opposto non fa se non mettere in movimentol'Io per l'azione, e senza tale primo motore al di fuori di esso, l'Io nonavrebbe mai agito; e poich la sua esistenza non consiste se nonnell'at

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    tivit, non sarebbe neppure esistito" (ivi).- Non-io. Con questo termine Fichte intende il mondo oggettivo in quanto eposto dall'Io ma opposto all'Io: "Nulla posto originariamente trannel'Io; questo soltanto posto assolutamente. Perci soltantoall'Io si puopporre assolutamente. Ma ci che opposto all'Io = Non-io"(Fondamentidell'intera D. S., 1, 2, 9). N. B. "Non-io", "oggetto", "ostacolo", "natura", "materia", eccetera inFichte sono tutti termini equivalenti. In concreto, il non-io si identificacon la natura interna (il nostro corpo e i nostri impulsi) ed esterna(le cose prive di ragione).- L'io finito o "divisibile" o "empirico" l'Io, il quale, avendo postoil non-io, si trova ad essere limitato da esso, cio ad esistereconcretamente sotto forma di un individuo condizionato dalla natura(interna ed esterna) e per il quale la purezza (vedi) dell'Io assolutorappresenta solo unideale o una missione (vedi la voce seguente).- Il rapporto fra l'Io infinito egli io finiti pu essere descrittodicendo che l'Io non tanto la sostanza o la radice metafisica degli iofiniti, quanto la loro meta ideale. Anzi, l'infinito, perl'uomo, pi checonsistere in un'essenza gi data, si configura come dover-essere emissione. Tanto pi che l'Io infinito coincide con un Io assolutamentelibero, ossiacon uno spirito scevro di ostacoli e di limiti. Situazioneche per l'uomo rappresenta una semplice aspirazione. Di conseguenza, direche l'Io infinito la missioneo il dover-essere dell'io finito significadire che l'uomo uno sforzo infinito (vedi) verso la libert, ovvero unalotta inesauribile contro il limite. Infatti, sel'uomo riuscisse davveroa vincere tutti i suoi ostacoli, si annullerebbe come Io, cio comeattivit.- Dialettica. Con questo termine, tipico di Hegel, si intende ilprincipio - gi presente in Fichte sin dalla Dottrina della scienza del1794 - della struttura triadica della vita spirituale (tesi - antitesi -sintesi) e il conc

    etto di una "sintesi degli opposti per mezzo delladeterminazione reciproca" (F.D. S., 2, 4). Gli opposti o i contrari di cuiparlava Fichte erano l'Io (la tesi)ed il non-io (l'antitesi) e lasintesi loro reciproca determinazione.- Il dogmatismo, secondo Fichte, quella posizione filosofica che consistenel partire dallacosa in s e dall'oggetto per poi spiegare, su questabase, l'Io o il soggetto. Invirt delle sue premesse, l'idealismo, che euna forma di realismo in gnoseologia edi naturalismo in metafisica,finisce sempre per sfociare nel determinismo e nelfatalismo: "ognidogmatico conseguente per necessit fatalista (...) nega del tuttoquell'autonomia dell'Io, su cui l'idealista costruisce, e fa dell'Ionient'altroche un prodotto delle cose, un accidente del mondo: ildogmatico conseguente pernecessit anche materialista (Primaintroduzione alla D. S.).- L'idealismo, secondo Fichte, quella posizione filosofica che consistenel partire dall'Io e dal soggetto per poi spiegare, su questa base, lacosa o l'oggetto: "Il contrasto tra l'i

    dealista e il dogmatico consistepropriamente in ci: se l'autonomia dell'io debbaessere sacrificata aquella della cosa o viceversa" (Prima introduzione alla D. S.); "l'essenzadella filosofia critica consiste in ci, che un Io assoluto viene postocome assolutamente incondizionato e non determinabile da nulla di pialto" (Fondamenti dell'intera D. S., 1, 3, D,7); " Nel sistema critico lacosa ci che postonell'Io; nel dogmatico, ci in cui l'Io stesso eposto" (ivi). N. B. La difesa della autonomia e incondizionatezza dell'Io fa s chel'idealismo si configuri, per definizione, come una dottrina della libert.- La scelta fra idealismo e dogmatismo secondo Fichte dipende da come si ecome uomini, ossia da un'opzione etica di fondo, in quanto l'individuofiacco e inerte sar spontaneamente portato al dogmatismoe alnaturalismo, mentre l'individuo solerte e attivo sar spontaneamenteportato all'idealismo: "La ragione ultima della differenza fra idealista edogmatico (...)la differenza del loro interesse. L'interesse supremo,principio di ogni altro in

    teresse, quello che abbiamo per noi stessi. Il che vale anche per il filosofo (...). La scelta di una filosofiadipende da quel che si come uomo, perch un sistemafilosofico non eun'inerte suppellettile, che si pu lasciare o prendere a piacere, ma eanimato dallo spirito dell'uomo che l'ha. Un carattere fiacco di natura oinfiacchito e piegato dalle frivolezze, dal lusso raffinato e dallaservit spirituale, non potr mai elevarsi all'idealismo".(Primaintroduzione alla D. S.).- Per conoscenza Fichte intende l'azione del non-io sull'io. Egli siproclama realista e idealista al tempo stesso: realista perch ammetteun'influenza del non-io sull'io;idealista perch ritiene che il non-io siaun prodotto dell'Io. Prendendo le distanze sia dall'idealismo dogmatico(che vanifica l'oggetto), sia dal realismo dogmat

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    ico (che vanifica ilsoggetto), Fichte scrive: "La dottrina della scienza dunquerealistica. Essa mostra che assolutamente impossibile spiegare la coscienza dellenature finite se non si ammette l'esistenza di una forza indipendente daesse, affatto opposta a loro, e dalla quale quelle nature dipendono perci che riguarda la loro esistenza empirica (...). Tuttavia, malgrado ilsuo realismo, questa scienza non trascendente, ma resta trascendentalenelle sue pi intime profondit. Essa spiega certo ogni coscienza conqualcosa, presente indipendentemente da ogni coscienza; ma anche inquesta spiegazione non dimentica di conformarsi alle sue proprieleggi;ed appena essa vi riflette su, quel termine indipendente diventa dinuovoun prodotto della sua propria facolt di pensare, quindi qualcosadi dipendente dall'Io, in quanto deve esistere per l'Io (nel concettodell'Io)"; "Questo fatto, che lo spirito finito deve necessariamente porreal di fuori di s qualcosa di assoluto (una cosa in s), e tuttavia,dall'altro canto, riconoscere che questo qualcosaesiste solo per esso( un noumeno necessario), quel circolo che lo spirito puoinfinitamente ingrandire, ma dal quale non pu mai uscire. Un sistemache non bada punto a questo circolo un idealismo dogmatico, poichpropriamente solo il circolo indicato ci limita e ci rende esserifiniti; un sistema che immagini di esserne uscito un dogmatismotrascendentale realistico. La dottrina della scienza tiene precisamenteil mezzo tra i due sistemi ed un idealismo critico che si potrebbechiamareun real-idealismo, o un ideal-realismo... "(Fondamentidell'intera D. S., 3, 5,2).- Per immaginazione produttiva Fichte intende l'atto inconscio attraversocuil'Io pone, o crea, il non-io, ovvero il mondo oggettivo di cui l'iofinito ha coscienza: "ogni realt - ogni realt per noi, si capisce, comedel resto non pu intendersi altrimenti in un sistema di filosofiatrascendentale non prodotta se non dall'

    immaginazione" (Fondamentidell'intera D. S., 2, 4, E, 3, 13), "nella riflessionenaturale, oppostaa quella artificiale della filosofia trascendentale (...) nonsi puoindietreggiare se non fino all'intelletto, e in questo si trova poi,certamente, qualcosa di dato alla riflessione, come materia dellarappresentazione; madel modo come ci sia venuto nell'intelletto, non si coscienti. Da qui la nostra salda convinzione della realt delle cosefuori di noi e senza alcun intervento nostro, perch non siamo coscientidella facolt che le produce. Se nella riflessione comune noi fossimocoscienti, come certo possiamo esserlo nella riflessione filosofica, chele cose esterne vengono nell'intelletto solo per mezzo dell'immaginazione,allora vorremmo di nuovo spiegare tutto come illusione, e per questaseconda opinione avremmo torto non meno che per la prima, (ivi, Deduzionedella rappresentazione, 3).- La morale, per Fichte, consiste nell'azione dell'Io sul non-io e assumela forma di un dovere volto a far trionfare, al di l di ogni ostacolo,lo spirito

    sulla materia. Dovere che esprime il senso di quello sforzo(vedi) che l'Io: "Ilmio mondo oggetto e sfera dei miei doveri, eassolutamente niente altro..." (Lamissione dell'uomo).- Lo sforzo (Streben), che Fichte definisce un concetto importantissimoper la parte pratica della dottrina della scienza, coincide con l'essenzastessa dell'uomo, inteso come compito infinito di auto-liberazione dell'Iodai propri ostacoli: "L'io infinito, ma solo per il suo sforzo; esso sisforza di essere infinito. Ma nel concetto stesso dello sforzo giacompresa la finit..." (Fondamenti, 3, 5, 2). N. B. In altri termini, Fichte riconosce nell'ideale etico ilverosignificato dell'infinit dell'Io. L'Io infinito (sia pure tramite unprocessoesso stesso infinito) poich si rende tale, svincolandosi daglioggetti che esso stesso pone. E pone questi oggetti perch senza di essinon potrebbe realizzarsi come attivit e libert.- Primato della ragion pratica. Con questa espressione Kant avevadesignato il fatto che la morale ci d, sotto forma di postulati, cioche la scie

    nza ci nega (la libert, l'immortalit e Dio). Fichte intendeinvece, con essa, il fatto che la conoscenza e l'oggetto della conoscenzaesistono solo in funzione dell'agire: "La ragione non pu essere neppureteoretica, se non pratica" (Fondamenti),"Tu non esisti per contemplaree osservare oziosamente te stesso o per meditaremalinconicamente le tuesacrosante sensazioni; no, tu esisti per agire; il tuo agire e soltantoil tuo agire determina il tuo valore" (La missione dell'uomo), "Noi agiamoperch conosciamo, ma conosciamo perch siamo destinati ad agire; laragion pratica la radice di ogni ragione" (ivi). N. B. Di conseguenza, il criticismo etico di Kant diviene, con Fichte, unaforma di moralismo metafisico che vede nell'azione la ragion d'essere e loscopo ultimo dell'universo.- Il pensiero del primo

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    Fichte stato denominato idealismo soggettivo edetico in quanto fa dell'Io o delsoggetto il principio da cui tutto deveessere dedotto e concepisce l'azione morale come la chiave diinterpretazione della realt (= moralismo).- Secondo Fichte ilfine dell'uomo in societ quello di farsi liberi edi rendere liberi gli altri, invista della completa unificazione econcordia di tutti gli individui: " uno degliimpulsi fondamentalidell'uomo quello di poter riconoscere fuori di s esseri razionali similia lui (...). Luomo destinato a vivere in societ, deve vivere insociet;se vivesse isolato non sarebbe uomo compiutamente..." (Lamissione del dotto), "la missione della nostra schiatta quella di unirsiin un corpo unico, completamente noto a se stesso in tutte le sue parti eprogredito ovunque allo stesso modo"(La missione dell'uomo).- La missione del dotto, in quanto educatore e maestro dell'umanit, equella di additare i fini essenziali del vivere insieme e di segnalare imezzi idonei per il loro conseguimento, in vista del perfezionamentoprogressivo della specie.- In conclusione, il compito supremo dell'uomo (come singolo, come esseresociale e come dotto) quello di avvicinarsi indefinitamente allaperfezione: "Il fine ultimo dell'uomo quello di sottomettere ogni cosairrazionale e dominare libero secondo la sola sua legge, fine che non eaffatto raggiungibile e tale deve eternamente rimanere se l'uomo non devecessare di essere uomo per diventare Dio. Dallo stesso concetto di uomoricaviamo che il suo fine irraggiungibilee la via che porta ad essoinfinita. Non dunque il raggiungimento di questo finela missionedell'uomo. Ma egli pu e deve perpetuamente avvicinarsi ad esso e questoinfinito avvicinarsi al fine la sua missione di uomo, cio di essererazionale eppur finito, sensibile eppur libero. Quel pieno accordo conse stesso si chiama perfezione nel pi alto significato della parola; laperfezione dunque il pi alto e ir

    raggiungibile fine dell'uomo e ilperfezionamento all'infinito la sua missione. Egli esiste per diveniresempre migliore e per rendere tale tutto ci che materialmente emoralmente lo circonda; di conseguenza per divenire sempre pi felice"(La missione del dotto).