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© 2012 Elsevier Srl. Tutti i diritti riservati. 562 Epidemiologia I tassi di prevalenza e incidenza globali dello scompenso cardiaco (SC) stanno raggiungendo proporzioni epidemiche, come evidenziato dall’aumento inarrestabile del numero di ospedalizzazioni per SC, dal numero crescente di decessi ascrivibili allo SC e dai costi vertiginosi associati all’assistenza dei pazienti con SC. A livello mondiale, lo SC interessa quasi 23 milioni di persone. Negli Stati Uniti esso colpisce circa 4,7 milioni di individui (l’1,5-2% della popolazione totale) con circa 550.000 casi incidentali di SC diagnosticati ogni anno. La preva- lenza stimata dello SC sintomatico nella popolazione generale europea è simile a quella degli Stati Uniti e varia dallo 0,4 al 2%. 1 La prevalenza di SC segue un andamento esponenziale, aumentando con l’età, e ri- guarda il 6-10% degli individui di età superiore ai 65 anni ( Fig. 28.1). I dati derivati dal Framingham Heart Study suggeriscono che l’inciden- za complessiva di SC è diminuita tra le donne ma non tra gli uomini. 2 Tuttavia, malgrado l’incidenza relativa di SC sia inferiore nelle donne rispetto agli uomini, le donne costituiscono almeno la metà dei casi di SC a causa della loro aspettativa di vita più lunga. In Nord America e in Europa, il rischio per un quarantenne di sviluppare lo SC nel corso della vita è di circa uno su cinque. Si ritiene che la prevalenza com- plessiva dello SC sia in crescita; ciò è in parte dovuto al fatto che le attuali terapie per le patologie cardiache, quali l’infarto miocardico, la cardiopatia valvolare e le aritmie, consentono ai pazienti di sopravvi- vere più a lungo. Si conosce molto poco in merito alla prevalenza o al rischio di sviluppare SC nei Paesi emergenti a causa della mancanza di studi basati sulla popolazione di questi Paesi. 3 Sebbene una volta si pensasse che lo SC si manifestasse principalmente nel quadro di una frazione di eiezione ventricolare sinistra (FEVS) depressa, gli studi epidemiologici hanno dimostrato che circa il 50% dei pazienti che sviluppano SC ha una frazione di eiezione (FE) normale o conservata (FE >40-50%). Di conseguenza, i pazienti con SC sono attualmente classificati in due gruppi: (1) SC con FE ridotta (depressa), definito comunemente scompenso sistolico; (2) SC con FE conservata, definito comunemente scompenso diastolico. L’epidemiologia dello SC con FE normale è trattata nel Capitolo 30. In base ai rischi attribuibili alla popolazione, l’ipertensione influisce più di ogni altra cosa sullo sviluppo dello SC ed è responsabile del 39% degli eventi di SC nell’uomo e del 59% nella donna. Nonostante la pre- valenza molto inferiore nella popolazione (3-10%), anche l’infarto mio- cardico ha un rischio attribuibile elevato nell’uomo (34%) e nella don- na (13%). La cardiopatia valvolare è responsabile solo del 7-8% degli SC ( Tab. 28.1). Anche la dislipidemia caratterizzata da un elevato rappor- to colesterolo totale/colesterolo legato alle lipoproteine ad alta densità (HDL), mentre il colesterolo totale da solo non rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo di SC. Alcuni studi tratti dal Framingham Study hanno suggerito che l’obe- sità è un potenziale fattore di rischio per lo sviluppo di SC nell’uomo e nella donna ( Fig. 28.2); 4 ciononostante, i pazienti obesi con SC sem- brano avere una prognosi clinica più favorevole. In pazienti con SC, l’associazione tra l’obesità, un tradizionale fattore di rischio cardiova- scolare, e una prognosi migliore (epidemiologia inversa) è stata defini- ta come paradosso dell’obesità. Fattori eziologici Come mostrato nella Tabella 28.2, qualsiasi condizione che causi un’alterazione strutturale o funzionale del VS può predisporre un pazien- te allo sviluppo dello SC. Sebbene la causa di SC nei pazienti con FE conservata sia diversa da quella del paziente con FE depressa (Cap. 30), esiste una notevole sovrapposizione tra le cause di queste due condi- zioni. Nei Paesi industrializzati, la coronaropatia (CAD) è diventata la causa prevalente nell’uomo e nella donna ed è responsabile del 60-75% dei casi di SC. L’ipertensione contribuisce allo sviluppo dello SC nel 75% dei pazienti, compresa la maggior parte dei pazienti con CAD, ed entrambe le patologie concorrono ad aumentare il rischio di SC. La malattia reumatica continua a essere una causa importante di SC in Africa e in Asia, specialmente tra i giovani, mentre l’ipertensione è una causa importante di SC nella popolazione africana e afroamericana. La malattia di Chagas è ancora una causa significativa di SC in Sud Ame- rica. 3 L’anemia è, non a caso, un frequente fattore concomitante dello SC in molti Paesi in via di sviluppo. A mano a mano che questi Paesi progrediscono dal punto di vista socioeconomico, l’epidemiologia dello SC diventa simile a quella dell’Europa Occidentale e del Nord America e la CAD si afferma come la causa più comune di SC. Benché il contributo del diabete mellito nello sviluppo dello SC non sia ben chiaro, il diabete accelera l’aterosclerosi ed è spesso associato a iper- tensione. Nel 20-30% dei casi di SC con FE depressa non è nota l’esatta base eziologica. Se la causa è sconosciuta, si dice che questi pazienti hanno una cardiomiopatia non ischemica, dilatativa o idiopatica (Cap. 68). Una cardiomiopatia dilatativa può anche essere causata da un’infezione virale pregressa (Cap. 70) o dall’esposizione a tossine (ad es. alcol [Cap. 73] o uso di farmaci chemioterapici [Cap. 90]). Benché l’eccessi- vo consumo di alcolici possa favorire la cardiomiopatia, il consumo di alcol in sé non è associato a un aumento del rischio di SC e può proteg- gere dallo sviluppo di SC se avviene con moderazione. 5 Inoltre è sempre più chiaro che un numero notevole di casi di cardiomiopatia dilatativa EPIDEMIOLOGIA, 562 FATTORI EZIOLOGICI, 562 PROGNOSI, 563 Insufficienza renale, 566 APPROCCIO AL PAZIENTE, 566 Stadi dello scompenso cardiaco, 566 TRATTAMENTO DI PAZIENTI CON SCOMPENSO CARDIACO SINTOMATICO E ASINTOMATICO, 568 Disfunzione ventricolare sinistra transitoria, 568 Definizione della strategia appropriata, 569 Misure generali, 569 Trattamento dell’eccesso di liquidi, 571 Prevenire la progressione della malattia, 577 Trattamento dei pazienti che restano sintomatici, 583 Trattamento della malattia aterosclerotica, 584 Popolazioni particolari, 584 Terapia anticoagulante e antiaggregante, 585 Trattamento delle aritmie cardiache, 585 Terapia strumentale, 586 Disturbi respiratori del sonno, 586 Gestione della malattia, 587 Pazienti con scompenso cardiaco terminale refrattario (stadio D), 587 PROSPETTIVE FUTURE, 587 BIBLIOGRAFIA, 587 LINEE GUIDA, 588 Trattamento dello scompenso cardiaco nei pazienti con frazione di eiezione ridotta Douglas L. Mann CAPITOLO 28

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Epidemiologia I tassi di prevalenza e incidenza globali dello scompenso cardiaco (SC) stanno raggiungendo proporzioni epidemiche, come evidenziato dall’aumento inarrestabile del numero di ospedalizzazioni per SC, dal numero crescente di decessi ascrivibili allo SC e dai costi vertiginosi associati all’assistenza dei pazienti con SC. A livello mondiale, lo SC interessa quasi 23 milioni di persone. Negli Stati Uniti esso colpisce circa 4,7 milioni di individui (l’1,5-2% della popolazione totale) con circa 550.000 casi incidentali di SC diagnosticati ogni anno. La preva-lenza stimata dello SC sintomatico nella popolazione generale europea è simile a quella degli Stati Uniti e varia dallo 0,4 al 2%. 1 La prevalenza di SC segue un andamento esponenziale, aumentando con l’età, e ri-guarda il 6-10% degli individui di età superiore ai 65 anni ( Fig. 28.1 ). I dati derivati dal Framingham Heart Study suggeriscono che l’inciden-za complessiva di SC è diminuita tra le donne ma non tra gli uomini. 2 Tuttavia, malgrado l’incidenza relativa di SC sia inferiore nelle donne rispetto agli uomini, le donne costituiscono almeno la metà dei casi di SC a causa della loro aspettativa di vita più lunga. In Nord America e in Europa, il rischio per un quarantenne di sviluppare lo SC nel corso della vita è di circa uno su cinque. Si ritiene che la prevalenza com-plessiva dello SC sia in crescita; ciò è in parte dovuto al fatto che le attuali terapie per le patologie cardiache, quali l’infarto miocardico, la cardiopatia valvolare e le aritmie, consentono ai pazienti di sopravvi-vere più a lungo. Si conosce molto poco in merito alla prevalenza o al rischio di sviluppare SC nei Paesi emergenti a causa della mancanza di studi basati sulla popolazione di questi Paesi. 3 Sebbene una volta si pensasse che lo SC si manifestasse principalmente nel quadro di una frazione di eiezione ventricolare sinistra (FEVS) depressa, gli studi epidemiologici hanno dimostrato che circa il 50% dei pazienti che sviluppano SC ha una frazione di eiezione (FE) normale o conservata (FE > 40-50%). Di conseguenza, i pazienti con SC sono attualmente classifi cati in due gruppi: (1) SC con FE ridotta (depressa), defi nito comunemente scompenso sistolico; (2) SC con FE conservata, defi nito comunemente scompenso diastolico. L’epidemiologia dello SC con FE normale è trattata nel Capitolo 30 .

In base ai rischi attribuibili alla popolazione, l’ipertensione infl uisce più di ogni altra cosa sullo sviluppo dello SC ed è responsabile del 39% degli eventi di SC nell’uomo e del 59% nella donna. Nonostante la pre-valenza molto inferiore nella popolazione (3-10%), anche l’infarto mio-cardico ha un rischio attribuibile elevato nell’uomo (34%) e nella don-na (13%). La cardiopatia valvolare è responsabile solo del 7-8% degli SC ( Tab. 28.1 ). Anche la dislipidemia caratterizzata da un elevato rappor-to colesterolo totale/colesterolo legato alle lipoproteine ad alta densità

(HDL), mentre il colesterolo totale da solo non rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo di SC.

Alcuni studi tratti dal Framingham Study hanno suggerito che l’obe-sità è un potenziale fattore di rischio per lo sviluppo di SC nell’uomo e nella donna ( Fig. 28.2 ); 4 ciononostante, i pazienti obesi con SC sem-brano avere una prognosi clinica più favorevole. In pazienti con SC, l’associazione tra l’obesità, un tradizionale fattore di rischio cardiova-scolare, e una prognosi migliore (epidemiologia inversa) è stata defi ni-ta come paradosso dell’obesità .

Fattori eziologici Come mostrato nella Tabella 28.2 , qualsiasi condizione che causi un’alterazione strutturale o funzionale del VS può predisporre un pazien-te allo sviluppo dello SC. Sebbene la causa di SC nei pazienti con FE conservata sia diversa da quella del paziente con FE depressa ( Cap. 30 ), esiste una notevole sovrapposizione tra le cause di queste due condi-zioni. Nei Paesi industrializzati, la coronaropatia (CAD) è diventata la causa prevalente nell’uomo e nella donna ed è responsabile del 60-75% dei casi di SC. L’ipertensione contribuisce allo sviluppo dello SC nel 75% dei pazienti, compresa la maggior parte dei pazienti con CAD, ed entrambe le patologie concorrono ad aumentare il rischio di SC. La malattia reumatica continua a essere una causa importante di SC in Africa e in Asia, specialmente tra i giovani, mentre l’ipertensione è una causa importante di SC nella popolazione africana e afroamericana. La malattia di Chagas è ancora una causa signifi cativa di SC in Sud Ame-rica. 3 L’anemia è, non a caso, un frequente fattore concomitante dello SC in molti Paesi in via di sviluppo. A mano a mano che questi Paesi progrediscono dal punto di vista socioeconomico, l’epidemiologia dello SC diventa simile a quella dell’Europa Occidentale e del Nord America e la CAD si afferma come la causa più comune di SC. Benché il contributo del diabete mellito nello sviluppo dello SC non sia ben chiaro, il diabete accelera l’aterosclerosi ed è spesso associato a iper-tensione.

Nel 20-30% dei casi di SC con FE depressa non è nota l’esatta base eziologica. Se la causa è sconosciuta, si dice che questi pazienti hanno una cardiomiopatia non ischemica, dilatativa o idiopatica ( Cap. 68 ). Una cardiomiopatia dilatativa può anche essere causata da un’infezione virale pregressa ( Cap. 70 ) o dall’esposizione a tossine (ad es. alcol [ Cap. 73 ] o uso di farmaci chemioterapici [ Cap. 90 ]). Benché l’eccessi-vo consumo di alcolici possa favorire la cardiomiopatia, il consumo di alcol in sé non è associato a un aumento del rischio di SC e può proteg-gere dallo sviluppo di SC se avviene con moderazione. 5 Inoltre è sempre più chiaro che un numero notevole di casi di cardiomiopatia dilatativa

EPIDEMIOLOGIA, 562

FATTORI EZIOLOGICI, 562

PROGNOSI, 563 Insuffi cienza renale, 566

APPROCCIO AL PAZIENTE, 566 Stadi dello scompenso cardiaco, 566

TRATTAMENTO DI PAZIENTI CON SCOMPENSO CARDIACO SINTOMATICO E ASINTOMATICO, 568 Disfunzione ventricolare sinistra transitoria, 568

Defi nizione della strategia appropriata, 569 Misure generali, 569 Trattamento dell’eccesso di liquidi, 571 Prevenire la progressione della malattia, 577 Trattamento dei pazienti che restano

sintomatici, 583 Trattamento della malattia aterosclerotica, 584 Popolazioni particolari, 584 Terapia anticoagulante e antiaggregante, 585 Trattamento delle aritmie cardiache, 585

Terapia strumentale, 586 Disturbi respiratori del sonno, 586 Gestione della malattia, 587 Pazienti con scompenso cardiaco terminale refrattario

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è secondario a difetti genetici specifi ci, in particolare quelli del citosche-letro ( Capp. 8 e 68 ). Gran parte delle forme di cardiomiopatia dilatativa familiare è ereditata con modalità autosomica dominante. Finora sono state individuate le mutazioni dei geni che codifi cano per le proteine citoscheletriche (desmina, miosina cardiaca, vinculina) e per quelle della membrana nucleare (lamina). La cardiomiopatia dilatativa è inoltre associata alle distrofi e di Duchenne, di Becker e alla distrofi a muscolare dei cingoli. Le condizioni che determinano una gittata car-diaca elevata (ad es. fi stola arterovenosa, anemia) sono di rado respon-sabili dello sviluppo di SC in un cuore normale. Tuttavia, in presenza di una cardiopatia strutturale sottostante, queste condizioni spesso con-ducono all’insuffi cienza cardiaca congestizia conclamata.

Prognosi Nonostante diversi rapporti suggeriscano che la mortalità dei pazienti con SC sia in miglioramento, il tasso di mortalità complessivo rimane più elevato rispetto a quello di molti tumori, compresi quelli che inte-ressano la vescica urinaria, la mammella, l’utero e la prostata. Nel Fra-mingham Study, la sopravvivenza mediana è risultata di 1,7 anni per gli uomini e di 3,2 anni per le donne e solo il 25% degli uomini e il 38% delle donne sono sopravvissuti 5 anni. Alcuni studi europei hanno confermato una prognosi a lungo termine similmente sfavorevole ( Fig. 28.3 ). 1 Alcuni dati più recenti derivati dal Framingham Study hanno esaminato le tendenze a lungo termine nella sopravvivenza dei

pazienti con SC e hanno mostrato un aumento della sopravvivenza nell’uomo e nella donna, con un calo complessivo della mortalità del 12% circa a decennio dal 1950 al 1999. 2 Inoltre, alcuni rapporti prove-nienti da Scozia, Svezia e Gran Bretagna hanno suggerito che i tassi di sopravvivenza possono migliorare dopo la dimissione dall’ospedale. 1,6 È da notare che la mortalità da SC negli studi epidemiologici è sostan-zialmente più elevata rispetto a quella riferita dagli studi clinici sullo SC che comprendono le terapie farmacologiche e/o strumentali: in questi studi, i dati relativi alla mortalità sono ingannevolmente bassi, perché i pazienti arruolati sono più giovani e stabili e tendono a essere seguiti più attentamente dal punto di vista clinico.

Il ruolo del sesso nella prognosi dello SC rimane un aspetto contro-verso relativamente agli esiti della patologia. Ciononostante, i dati glo-bali suggeriscono che le donne con SC hanno una prognosi complessi-va migliore rispetto agli uomini. 2 Le donne sembrano avere tuttavia un grado maggiore di incapacità funzionale a parità di grado di disfunzione del VS e presentano una maggiore prevalenza di SC con FE normale ( Cap. 30 ). L’impatto della razza sull’esito della malattia è controverso: sono stati segnalati tassi di mortalità più elevati tra i neri in alcuni studi, ma non in tutti. Negli Stati Uniti, lo SC colpisce circa il 3% dei neri, men-tre nella popolazione generale la prevalenza si aggira intorno al 2%. 7 Nei neri lo SC si manifesta a un’età più precoce e, al momento della diagno-

TABELLA 28.2 Cause dello scompenso cardiaco cronico

Cardiomiopatia Coronaropatia

Infarto miocardico * Ischemia miocardica *

Sovraccarico pressorio cronico Ipertensione * Valvulopatia ostruttiva *

Sovraccarico di volume cronico Rigurgito valvolare Shunt intracardiaco (sinistro-destro) Shunt extracardiaco

Cardiomiopatia dilatativa non ischemica Patologie familiari o genetiche Patologie infi ltrative * Lesioni tossiche o indotte da farmaci Malattia metabolica * Agenti virali o altri agenti infettivi

Disturbi della frequenza e del ritmo Bradiaritmie croniche Tachiaritmie croniche

Cardiopatia polmonare Cuore polmonare Vasculopatie polmonari

Stati ad alta gittata Disturbi metabolici

Tireotossicosi Disturbi nutrizionali (beriberi)

Richieste eccessive di fl usso arterioso Shunt arterovenoso sistemico Anemia cronica

* Indica condizioni che possono causare lo SC anche in presenza di una FE conservata.

TABELLA 28.1 Fattori di rischio dello scompenso cardiaco: Framingham Off spring and Cohort Study *

PARAMETRO

Fattore di rischio e fattore età: hazard ratio corretto Prevalenza (%)

Rischio attribuibile alla popolazione (%)

UOMINI DONNE UOMINI DONNE UOMINI DONNE

Pressione arteriosa elevata ( ≥ 140/90 mmHg) 2,1 3,4 60 62 39 59

Infarto miocardico 6,3 6,0 10 3 34 13

Angina 1,4 1,7 11 9 5 5

Diabete 1,8 3,7 8 5 6 12

Ipertrofi a ventricolare sinistra 2,2 2,9 4 3 4 5

Cardiopatia valvolare 2,5 2,1 5 8 7 8

* Soggetti nella fascia di età 40-89 anni; follow-up a 18 anni. Da Levy D, Larson MG, Vasan RS, et al: The progression from hypertension to congestive heart failure. JAMA 275:1557, 1996.

MaschiFemmine

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FIGURA 28.1 Tassi di prevalenza dello scompenso cardiaco per sesso ed età nello studio United States, 1988-1994–the Third National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES III). Negli uomini (azzurro), la prevalenza aumentava da 18 casi/1.000 negli individui di età tra i 45 e i 54 anni a 98 casi/1.000 negli indi-vidui di età pari o superiore ai 75 anni. Nelle donne (viola), la prevalenza aumentava da 13 casi/1.000 negli individui di età tra i 45 e i 54 anni a 97 casi/1.000 negli indi-vidui di età pari o superiore ai 75 anni. (Da American Heart Association: Heart Disease and Stroke Statistics–2003 Update. Dallas, American Heart Association, 2002.)

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si, essi presentano una disfunzione del VS più avanzata e una classe New York Heart Association (NYHA) peggiore. Malgrado si ignorino le ragio-ni di queste differenze, alcune diversità nell’eziologia dello SC potreb-bero spiegare in parte queste osservazioni. Nel registro degli Studies on Left Ventricular Dysfunction (SOLVD), il 73% dei bianchi presentava una coronaropatia alla base del proprio SC rispetto a 36% soltanto dei parte-cipanti neri. All’opposto, il 32% dei neri nel registro SOLVD aveva un SC attribuito a ipertensione, mentre solo il 4% dei bianchi presentava l’iper-tensione come causa primaria. Dai confronti presenti nel registro SOLVD risulta che la mortalità cardiovascolare e quella totale non erano diver-se nelle coorti di razza bianca e di razza nera, sebbene la coorte dei neri fosse più giovane e avesse una percentuale di donne più elevata rispetto al gruppo dei bianchi. 8 Anche alcuni fattori socioeconomici aggiuntivi potrebbero avere infl uenzato gli esiti nei pazienti neri, come ad esempio la localizzazione geografi ca e l’accesso all’assistenza medi-ca. L’età è uno dei fattori predittivi più solidi e coerenti dell’esito avver-so dello SC (si veda il paragrafo “Popolazioni particolari”). 2

Molti altri fattori sono stati associati all’aumento della mortalità nei pazienti con SC ( Tab. 28.3 ). La maggior parte di quelli elencati come fattori predittivi di esito ha superato almeno l’analisi univariata e molti di essi si sono affermati in modo indipendente quando sono state uti-lizzate le tecniche di analisi multifattoriale. Ciononostante, è straordi-nariamente diffi cile determinare quale sia la variabile prognostica più importante per prevedere l’esito del singolo paziente negli studi clinici o, soprattutto, durante la gestione quotidiana del paziente. A questo scopo è stato sviluppato e validato un modello multivariato per preve-dere la prognosi dello SC. Il Seattle Heart Failure Model è stato ottenuto studiando retrospettivamente i fattori predittivi di sopravvivenza nei pazienti con SC inclusi negli studi clinici. 9 Questo modello offre una stima accurata della sopravvivenza a 1, 2 e 3 anni utilizzando caratteri-stiche cliniche, farmacologiche, relative ai dispositivi e alle indagini strumentali facilmente reperibili ed è accessibile gratuitamente da parte di tutti gli operatori sanitari come programma interattivo via in-ternet ( http://depts.washington.edu/shfm ).

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Soggettiobesi

Soggettisovrappeso

Soggettisovrappeso

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FIGURA 28.2 Incidenza cumulativa dello scompenso cardiaco nelle donne ( A ) e negli uomini ( B ) in base all’indice di massa corporea (BMI) alla visita basale. Il BMI era 18,5-24,9 nei soggetti normali, 25,0-29,9 nei soggetti sovrappeso e pari o superiore a 30,0 nei soggetti obesi. (Modifi cata da Kenchaiah S, Evans JC, Levy D, et al: Obesity and the risk of heart failure. N Engl J Med 347:305, 2002.)

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MESI DI FOLLOW-UP

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VescicaurinariaIMIntestino

ProstataInsufficienzacardiacaPolmoneB

FIGURA 28.3 Sopravvivenza nei pazienti con SC rispetto ai pazienti neoplastici. Viene mostrata la sopravvivenza a 5 anni dal primo ricovero negli ospedali scozzesi nel 1991 in seguito a SC, IM e ai quattro tipi più comuni di neoplasie specifi che per le donne ( A ) e per gli uomini ( B ). (Modifi cata da Stewart S, MacIntyre K, Hole DJ, et al: More ‘malignant’ than cancer? Five-year survival following a fi rst admission for heart failure. Eur J Heart Fail 3:315, 2001.)

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Biomarcatori e prognosi L’osservazione che nello SC vengono attivati i sistemi renina-angioten-sina-aldosterone, adrenergico e infi ammatorio ( Cap. 25 ) ha indotto i ricercatori a esaminare le relazioni tra una serie di misurazioni biochi-miche e gli esiti clinici (si vedano Tab. 28.3 e Cap. 26 ). Sono state se-gnalate forti correlazioni inverse tra la sopravvivenza e i livelli plasma-tici di noradrenalina, renina, arginina vasopressina, aldosterone, pep-tidi natriuretici atriali (ANP) e cerebrali (BNP) ed endotelina-1, nonché di marcatori dell’infi ammazione quali il fattore di necrosi tumorale (TNF) e i recettori del TNF, la proteina C reattiva e la velocità di eritro-sedimentazione. I marcatori dello stress ossidativo, come la lipoprotei-na ossidata a bassa densità e l’acido urico nel siero, sono stati anch’es-si associati al peggioramento del quadro clinico e delle possibilità di sopravvivenza nei pazienti con SC cronico. I livelli di troponina T e I cardiaca, sensibili marcatori di danno dei miociti, possono risultare elevati nei pazienti con SC non ischemico ed essere predittivi di esiti cardiaci avversi. Inoltre, l’associazione tra bassi valori di emoglobina ed ematocrito e gli esiti avversi dello SC è riconosciuta da lungo tempo, ma ha raccolto notevole attenzione dopo che alcuni studi hanno illu-strato un valore prognostico indipendente dell’anemia nei pazienti con SC e FE ridotta o normale. 10

Le stime pubblicate sulla prevalenza dell’anemia nei pazienti con SC va-riano ampiamente, con un intervallo del 4-50% a seconda della popola-zione oggetto di studio e della defi nizione di anemia adottata. 10 In gene-rale, la prevalenza dell’anemia è notevolmente maggiore nei pazienti con malattia in stadio avanzato. Inoltre, la gravità dell’anemia può contribuire ad aumentare la gravità dello SC. Diversi rapporti relativi a database os-servazionali e popolazioni di studi clinici hanno dimostrato una relazione

tra bassi livelli di emoglobina e una riduzione della sopravvivenza dei pazienti, anche se non è chiaro se l’anemia sia una causa della riduzione della sopravvivenza o semplicemente un marcatore di malattia in stadio più avanzato. La causa sottostante dell’anemia è probabilmente multifat-toriale e comprende, come possibili spiegazioni, una sensibilità ridotta ai recettori dell’eritropoietina, la presenza di un inibitore dell’emopoiesi e/o un deficit nell’apporto di ferro per l’eritropoiesi. Le possibili terapie dell’anemia sono l’uso di trasfusioni di eritrociti e il trattamento con ana-loghi dell’eritropoietina per aumentare la produzione di eritrociti, nonché la somministrazione di ferro per via endovenosa.

Al momento attuale, il ruolo delle trasfusioni di sangue nei pazienti con malattia cardiovascolare è controverso. Benché per questi pazienti sia generalmente accettata una soglia di trasfusione che consenta di mante-nere l’ematocrito al di sopra del 30%, tale pratica clinica si basa più sull’opi-nione degli esperti che su un’evidenza diretta che documenti l’effi cacia di questa forma terapeutica. Considerati i rischi e i costi di una trasfusione di globuli rossi, i benefi ci minimi delle trasfusioni di sangue nei pazienti con anemia cronica e il vantaggio poco chiaro nei pazienti con SC, l’uso routinario della trasfusione di sangue non può essere raccomandato per trattare l’anemia che si verifi ca nei pazienti con SC stabile. In uno studio in doppio cieco randomizzato in pazienti con SC di classe funzionale NYHA II (FEVS < 40%) o III (FEVS < 45%) con carenza di ferro, 11 il ferro per via endovenosa (carbossimaltosio ferrico) ha migliorato i sintomi (odds ratio per il miglioramento 2,51; intervallo di confi denza [IC] al 95%, 1,75-3,61) e la classe funzionale NYHA (endpoint primari), e la qualità della vita (endpoint secondario) in confronto ai pazienti trattati con placebo ( Fig. 28.4 ). La dose totale di ferro necessaria per la ricostituzione è stata calcolata alla visita basale; il carbossimaltosio ferrico è stato sommini-strato ai pazienti per via endovenosa fi no alla ricostituzione delle riserve di ferro e successivamente ogni 4 settimane durante la fase di manteni-mento dello studio (per un totale di 24 settimane di terapia). Si noti che molti studi di piccole dimensioni hanno suggerito che per il trattamento

TABELLA 28.3 Variabili prognostiche nei pazienti con scompenso cardiaco

Aspetti demografi ci Sesso Razza Età Causa dello scompenso cardiaco CAD CMDI Cardiopatia valvolare Miocardite Ipertrofi a Alcol Antracicline Amiloidosi Emocromatosi Fattori genetici Comorbilità Diabete Ipertensione sistemica Ipertensione polmonare Apnea notturna Obesità, cachessia (massa corporea) Insuffi cienza renale Anomalie epatiche BPCO Valutazione clinica Classe NYHA (sintomi) Sincope Angina pectoris Disfunzione sistolica vs diastolica Emodinamica FEVS FEVD PAP PCWP IC PAP-PCWP Emodinamica sotto sforzo

Test da sforzo Valutazione del metabolismo Risposta della PA Risposta della frequenza cardiaca Marcia di 6 min Vo 2 di picco Soglia anaerobica VE/Vco 2 Pendenza del consumo di ossigeno Fattori metabolici Livello di sodio sierico Disfunzione tiroidea Anemia Acidosi, alcalosi Rx torace Congestione Rapporto cardiotoracico Elettrocardiogramma (ECG) Ritmo (fi brillazione atriale o aritmie) Voltaggio Ampiezza del QRS Intervallo QT ECG signal-averaged (alternanza dell’onda T) Variabilità della FC Biomarcatori NA, PRA, AVP, aldosterone ANP, BNP, endotelina-1 TNF, IL-1, IL-6, IL-10, PCR, VES Troponina cardiaca, ematocrito Biopsia endomiocardica Stati infi ammatori Grado di fi brosi Grado di disordine cellulare Processi infi ltrativi

ANP = peptide natriuretico atriale; AVP = arginina vasopressina; BNP = peptide natriuretico cerebrale; BPCO = broncopneumopatia cronica ostruttiva; CAD = coronaropatia; CMDI = cardiomiopatia dilatativa idiopatica; FEVD = frazione di eiezione ventricolare destra; FEVS = frazione di eiezione ventricolare sinistra; IC = indice cardiaco; IL = interleuchina; NA = noradrenalina; NYHA = New York Heart Association; PA = pressione arteriosa; PAP = pressione arteriosa polmonare; PAP-PCWP = gradiente attraverso il polmone; PCR = proteina C reattiva; PCWP = pressione di incuneamento capillare polmonare; PRA = attività reninica plasmatica; TNF = fattore di necrosi tumorale; VES = velocità di eritrosedimentazione.

Modifi cata da Young JB: The prognosis of heart failure. In Mann DL (ed): Heart Failure: A Companion to Braunwald’s Heart Disease. Philadelphia, Elsevier, 2004, pp 489-506.

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dell’anemia lieve nello SC si può trarre benefi cio dall’uso degli analoghi dell’eritropoietina. 10 Tuttavia si teme che questa strategia possa far aumentare gli eventi tromboembolici. Il trattamento dei pazienti con SC anemici con la darbepoetina � , un analogo dell’eritropoietina, è attual-mente oggetto di ulteriore indagine in un esteso studio internazionale: Reduction of Events with Darbepoetin in Heart Failure (RED-HF; codice identifi cativo ClinicalTrials.gov NCT00358215).

Insuffi cienza renale L’insuffi cienza renale è associata a una prognosi più sfavorevole nei pazienti con SC; tuttavia non è chiaro se l’insuffi cienza renale sia semplicemente un marcatore dello SC in peggioramento o se tra le due condizioni vi sia un nesso causale. Sebbene sia più comune nei pazienti ricoverati per SC, l’insuffi cienza renale è presente almeno in certa misura in circa la metà dei pazienti stabili ambulatoriali affetti da SC. I pazienti con ipoperfusione renale o nefropatia intrinseca mostrano una risposta ridotta ai diuretici e agli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina ( Angiotensin-Converting Enzyme Inhibitor , ACEI) e presentano un rischio maggiore di effetti avversi durante il trattamento con la digitale. In una recente metanalisi, la maggior parte dei pazienti con SC presentava un certo grado di insuf-fi cienza renale. Questi pazienti rappresentavano un gruppo ad alto rischio, con un rischio relativo di mortalità aumentato di quasi il 50% rispetto a pazienti con funzione renale normale. 12 Risultati simili si sono osservati nel Second Prospective Randomized Study of Ibopa-mine on Mortality and Effi cacy, in cui una ridotta funzione renale costituiva un fattore predittivo di mortalità più forte rispetto alla ridu-zione della funzione del VS e alla classe NYHA in pazienti con SC avanzata ( Fig. 28.5 ). 13 Pertanto, l’insuffi cienza renale si sta afferman-do come un forte fattore predittivo indipendente di esiti avversi nei pa-zienti con SC.

Approccio al paziente

Stadi dello scompenso cardiaco LO SC deve essere visto come un processo continuo costituito da quat-tro stadi interconnessi ( Fig. 28.6 ). 14 Lo stadio A comprende i pazienti che presentano un rischio elevato di sviluppare lo SC ma non hanno una cardiopatia strutturale o sintomi di SC (ad es. pazienti con diabete o ipertensione). Lo stadio B comprende i pazienti che hanno una car-diopatia strutturale ma non presentano sintomi di SC (ad es. pazienti con infarto miocardico [IM] pregresso e disfunzione VS asintomatica). Lo stadio C comprende i pazienti che hanno una cardiopatia struttura-le e hanno sviluppato i sintomi dello SC (ad es. pazienti con IM pregres-so che presentano dispnea e astenia). Lo stadio D comprende i pazienti

con SC refrattario che richiede interventi speciali (ad es. pazienti con SC refrattario in attesa di trapianto cardiaco). Nella Figura 28.7 è pre-sentato un algoritmo semplifi cato per l’approccio ai pazienti con SC. La diagnosi e la valutazione clinica dei pazienti con SC e FE ridotta sono trattate nel dettaglio nel Capitolo 26 , mentre la diagnosi e il tratta-mento dei pazienti con SC con FE normale o conservata sono discussi nel dettaglio nel Capitolo 30 .

PAZIENTI AD ALTO RISCHIO DI SVILUPPARE LO SCOMPENSO CARDIACO (STADIO A) . Nei pazienti ad alto rischio di sviluppare lo SC è necessario compiere ogni tentativo per prevenirne l’insorgenza, utilizzando le linee guida standard della pratica clinica per trattare le condizioni prevenibili note per causare lo SC, tra cui l’ipertensione ( Cap. 45 ), l’iperlipidemia ( Cap. 49 ) e il diabete ( Cap. 64 ). A questo pro-posito, gli ACEI sono particolarmente utili per prevenire lo SC nei pazien-ti che hanno un’anamnesi positiva per aterosclerosi vascolare, diabete mellito o ipertensione con fattori di rischio cardiovascolare associati.

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AUTOVALUTAZIONE GLOBALERIFERITA DAL PAZIENTE

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294150

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IC a

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SETTIMANE DALLA RANDOMIZZAZIONE

CLASSE FUNZIONALE NYHA

N. di pazientiFCMPlacebo

P <0,001 P <0,001 P <0,001

FIGURA 28.4 Eff etto del trattamento con ferro (carbossimaltosio ferrico) per via endovenosa sui sintomi e sullo stato funzionale dei pazienti. A. Eff etto del car-bossimaltosio ferrico ( Ferric CarboxyMaltose , FCM) sull’autovalutazione globale riferita dal paziente e sullo stato funzionale NYHA ( B ). I dati nei riquadri ( A ) e ( B ) sono presentati come odds ratio per il gruppo FCM rispetto al gruppo placebo e come appartenenti a una categoria di autovalutazione migliore o peggiore o a una classe funzionale migliore o peggiore. Ai pazienti che venivano ricoverati in ciascun momento temporale era assegnata la valutazione “molto peggio”, o classe NYHA IV. I pazienti deceduti prima della settimana 24 sono stati classifi cati come “deceduti” (nel riquadro [ B ], corrispondente alla classe NYHA V). (Modifi cata da Anker SD, Comin CJ, Filippatos G, et al: Ferric carboxymaltose in patients with heart failure and iron defi ciency. N Engl J Med 361:2436, 2009.)

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classe NYHA

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IV

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III/IV III >76 76-5958-44

<44

GFR (mL/min)

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FIGURA 28.5 Eff etto della funzione renale sulla prognosi dei pazienti con SC. Questo istogramma tridimensionale mostra il rischio di mortalità (asse verticale) in relazione alla classe NYHA decrescente (asse orizzontale) e ai quartili decrescenti della velocità di fi ltrazione glomerulare (GFR; asse diagonale). (Da Hillege HL, Girbes AR, de Kam PJ, et al: Renal function, neurohormonal activation, and survival in patients with chronic heart failure. Circulation 102:203, 2000.)

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Sospetta disfunzionedel VS in base ai segni

Sospetta insufficienza cardiacain base a sintomi e segni

Valutare la presenza di una cardiopatia medianteECG, radiografia o peptidi natriuretici (ove disponibili)

Test anomali

Test anomali

Diagnostica per immagini:ecocardiografia (angiografia

nucleare o RM ove disponibile)

Valutare cause, grado, fattori scatenantie tipo di disfunzione cardiaca

Sceglierela terapia

Normale insufficienza cardiacao disfunzione del VS

improbabile

Normale scompenso cardiacoo disfunzione del VS

improbabile

Esami diagnostici aggiuntivi,ove appropriato

(ad es. coronarografia)

FIGURA 28.7 Rapporti tra disfunzione cardiaca, SC sintomatico e SC asintomatico in seguito al trattamento appropriato. (Da Swedberg K, Cleland J, Dargie H, et al: Guidelines for the diagnosis and treatment of chronic heart failure: Executive summary [update 2005]: The Task Force for the Diagnosis and Treatment of Chronic Heart Failure of the European Society of Cardiology. Eur Heart J 26:1115, 2005.)

Ridurre i fattori di rischio, istruire il paziente e i familiari

Trattare ipertensione, diabete, dislipidemia; ACE-inibitori o ARB in alcuni pazienti

ACE-inibitori o ARB in tutti i pazienti; β-bloccanti in pazienti selezionati

ACE-inibitori e β-bloccanti in tutti i pazienti

Restrizione del sodio nella dieta, diuretici e digossina

Resincronizzazione cardiaca in presenza di blocco di branca

Stadio CMalattia

strutturale,sintomi

pregressio in atto

Stadio BCardiopatiastrutturale,

nessunsintomo

Stadio ARischioelevato,nessunsintomo

Rivascolarizzazione, intervento chirurgico sulla valvola mitrale

Considerare il team multidisciplinare

Antagonista dell’aldosterone, nesiritide

Inotropi

VAD, trapianto

Curepalliative

Stadio DSintomi

refrattari cherichiedono

un interventospeciale

FIGURA 28.6 Stadi dello scompenso cardiaco e opzioni di trattamento dello scompenso cardiaco sistolico. I pazienti con SC di stadio A sono esposti a un rischio elevato di SC ma non presentano cardiopatia strutturale o sintomi di SC. Questo gruppo comprende pazienti con ipertensione, diabete, coronaropatia, pregressa esposizione a farmaci cardiotossici o anamnesi familiare positiva per cardiomiopatia. I pazienti con SC di stadio B presentano una cardiopatia strutturale ma non hanno sintomi di SC. Questo gruppo comprende i pazienti con ipertrofi a ventricolare sinistra, infarto miocardico pregresso, disfunzione sistolica ventricolare sinistra o cardiopatia valvolare; tutti questi pazienti sono considerati portatori di sintomi di classe New York Heart Association (NYHA) I. I pazienti con scompenso cardiaco di stadio C hanno una cardiopatia strutturale nota e sintomi in atto o pregressi di SC. I loro sintomi possono essere considerati come appartenenti alla classe NYHA I, II, III o IV. I pazienti con SC di stadio D hanno sintomi refrattari di SC a riposo nonostante la terapia medica massimale, sono ospedalizzati e richiedono interventi specializzati o cure palliative. Tutti questi pazienti sono considerati aventi sintomi di classe NYHA IV. VAD = dispositivo di assistenza ventricolare. (Da Jessup M, Brozena S: Heart failure. N Engl J Med 348:2007, 2003.)

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SCREENING DELLA POPOLAZIONE . Attualmente, le informazioni disponi-bili a supporto dello screening di ampie popolazioni per individuare lo SC non diagnosticato e/o la disfunzione del VS asintomatica sono limitate. Uno studio ha suggerito che livelli elevati di BNP ( Cap. 26 ) possono essere utiliz-zati come strategia economicamente vantaggiosa per eff ettuare lo scree-ning degli individui asintomatici di età superiore ai 60 anni con una FE infe-riore al 40%. 15

Tuttavia, lo screening di intere popolazioni per la valutazione del BNP non è raccomandato al momento attuale. I pazienti che sono a rischio molto elevato di sviluppare una cardiomiopatia (ad es. coloro che hanno una forte familiarità per cardiomiopatia o sono sottoposti a interventi cardiotossici; Cap. 90 ) sono il target appropriato per uno screening più aggressivo, quale l’ecocardiografi a bidimensionale, per valutare la fun-zione del VS. Tuttavia, la valutazione periodica di routine della funzione del VS in altri pazienti non è attualmente raccomandata. Nell’ambito di studi basati sulla popolazione sono stati sviluppati diversi sistemi sofi sti-cati di punteggio clinico per lo screening dello SC, compresi i Framing-ham Criteria, in cui lo screening dello SC si basa su criteri clinici, e la National Health and Nutrition Survey (NHANES), che utilizza i sintomi autoriferiti per identifi care i pazienti con SC ( Tab. 28.4 ).

Come è stato osservato nel Capitolo 26 , di solito sono necessarie indagini strumentali aggiuntive per formulare la diagnosi di SC in via defi nitiva quando si utilizzano tali metodiche.

Trattamento di pazienti con scompenso cardiaco sintomatico e asintomatico

Disfunzione ventricolare sinistra transitoria Come è stato osservato nel Capitolo 25 , la sindrome clinica dell’HF con FE ridotta inizia dopo che un evento indice iniziale produce un calo

della performance di eiezione cardiaca. È importante tuttavia ricono-scere che la disfunzione del VS si può sviluppare transitoriamente in vari quadri clinici differenti, che non causano invariabilmente lo svi-luppo della sindrome clinica dello SC. La Figura 28.8 illustra la rela-zione importante tra la disfunzione del VS (transitoria e prolungata) e la sindrome clinica dello SC (asintomatico e sintomatico). La disfunzio-ne del VS con edema polmonare può svilupparsi in modo acuto nei pazienti con struttura e funzione del VS precedentemente normali. Ciò si verifi ca più comunemente nel postoperatorio dopo un intervento di cardiochirurgia, nel quadro di una grave lesione cerebrale o dopo un’infezione sistemica.

Il meccanismo fi siopatologico generale coinvolto è una forma di “stor-dimento” funzionale del miocardio ( Cap. 52 ) o l’attivazione di citochine proinfi ammatorie in grado di sopprimere la funzione del VS ( Cap. 25 ). Anche lo stress emotivo può scatenare una grave disfunzione reversibile del VS che è accompagnata da dolore toracico, edema polmonare e shock cardiogeno in pazienti senza coronaropatia (sindrome di tako-tsubo).

In questo quadro clinico si ritiene che la disfunzione del VS sia se-condaria agli effetti deleteri delle catecolamine che conseguono all’au-mento della stimolazione simpatica. 16 È anche importante sottolineare che la disfunzione del VS indotta dall’esercizio, in genere dovuta a ischemia miocardica, può provocare sintomi causando un aumento della pressione di riempimento del VS e un calo della gittata cardiaca in assenza di disfunzione VS rilevabile a riposo. Se la disfunzione del VS persiste in seguito alla lesione cardiaca iniziale, i pazienti possono ri-manere asintomatici per un periodo che varia da alcuni mesi ad alcu-ni anni; tuttavia, il peso dell’evidenza clinica ed epidemiologica sugge-risce che a un certo punto in questi pazienti si verifi cherà la transizione a SC sintomatico conclamato.

TABELLA 28.4 Criteri diagnostici dello scompenso cardiaco negli studi di popolazione

Criteri Framingham

CRITERI MAGGIORI CRITERI MINORI CRITERI MAGGIORI O MINORI

Dispnea od ortopnea parossistica notturna Distensione delle vene del collo Rantoli Cardiomegalia Edema polmonare acuto Galoppo S 3 Pressione venosa aumentata, > 16 cm H 2 O Refl usso epatogiugulare

Edema perimalleolare Tosse notturna Dispnea da sforzo Epatomegalia Versamento pleurico Capacità vitale ridotta di un terzo rispetto alla capacità massima Tachicardia (frequenza > 120 battiti/min)

Calo ponderale > 4,5 kg in 5 giorni in risposta al trattamento

Criteri NHANES

CATEGORIA CRITERI PUNTI

Anamnesi Dispnea • Il paziente presenta dispnea quando cammina velocemente

in piano o lungo una leggera salita? 1

• Il paziente presenta dispnea quando cammina in piano? 1 • Il paziente si ferma per respirare quando cammina all’andatura

abituale? 2

• Il paziente si ferma per respirare dopo aver camminato in pianura per circa 90 metri?

2

Esame obiettivo Frequenza cardiaca • 91-110 battiti/min 1 • > 110 battiti/min 2Pressione venosa giugulare > 6 cm H 2 O da sola 1Più epatomegalia o edema 2Rantoli: crepitii basali 1Crepitii: più che crepitii basali 2

Radiografi a toracica Ridistribuzione del fl usso nei campi polmonari superiori 1Edema polmonare interstiziale 2Edema interstiziale più liquido pleurico 3Liquido alveolare più liquido pleurico 3

Per formulare la diagnosi di SC utilizzando i criteri Framingham, è necessaria la compresenza di almeno due criteri maggiori o di un criterio maggiore associato a due criteri minori. I criteri minori sono accettabili solo se non possono essere attribuiti a un’altra condizione medica (ad es. ipertensione polmonare, pneumopatia cronica, cirrosi, ascite, sindrome nefrotica). Criteri NHANES: diagnosi di SC se il punteggio è ≥ 3 punti.

Modifi cata da Ho KK, Pinsky JL, Kannel WB et al: The epidemiology of heart failure: The Framingham Study. J Am Coll Cardiol 22:6A, 1993; and Schocken DD, Arrieta MI, Leaverton PE, et al: Prevalence and mortality rate of congestive heart failure in the United States. J Am Coll Cardiol 20:301, 1992.

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Defi nizione della strategia appropriata I principali obiettivi del trattamento sono: ridurre i sintomi, prolungare la sopravvivenza, migliorare la qualità della vita e impedire la progres-sione della malattia. Come esposto in seguito, l’attuale armamentario terapeutico costituito da farmaci, dispositivi e tecniche chirurgiche per il trattamento dei pazienti con FE ridotta consente al personale sanita-rio di raggiungere ciascuno di questi obiettivi nella grande maggioran-za dei pazienti. Come mostrato nella Tabella 28.5 , una volta che i pa-zienti hanno sviluppato una cardiopatia strutturale (stadi B-D), la scel-ta della terapia per i pazienti con SC e FE ridotta dipende dalla loro classifi cazione funzionale NYHA ( Cap. 26 e Tab. 26.3 ). Malgrado questo sistema di classifi cazione sia notoriamente soggettivo e presenti un’am-pia variabilità tra i diversi osservatori, esso ha resistito nel tempo e continua a essere diffusamente applicato ai pazienti con SC. Nei pazien-ti che hanno sviluppato disfunzione sistolica del VS, ma che rimangono asintomatici (classe I), l’obiettivo deve essere quello di rallentare la progressione della malattia bloccando i sistemi neurormonali che causano il rimodellamento cardiaco ( Cap. 25 ). Nei pazienti che hanno sviluppato i sintomi (classi II-IV), l’obiettivo primario consiste nel dimi-nuire la ritenzione idrica, limitare l’invalidità e ridurre il rischio di un’ul-teriore progressione della malattia e di morte. Come si spiegherà in

seguito, questi obiettivi richiedono in genere una strategia che associ i diuretici (per con-trollare la ritenzione idrosalina) a interventi neurormonali (per minimizzare il rimodella-mento cardiaco).

Misure generali L’identifi cazione e la correzione della/e con-dizione/i responsabile/i delle anomalie cardia-che strutturali e/o funzionali sono di importan-za cruciale (si veda Tab. 28.2 ), nella misura in cui alcune condizioni che provocano tali ano-malie del VS sono potenzialmente trattabili e/o reversibili. Inoltre, i medici devono tendere a ricercare e trattare aggressivamente le comor-bilità come l’ipertensione e il diabete, che si ritiene siano alla base della cardiopatia strut-turale. Oltre a ricercare le cause reversibili e le comorbilità che contribuiscono allo svilup-po dello SC, è ugualmente importante identi-fi care i fattori che ne provocano il peggiora-mento nei pazienti stabili ( Tab. 28.6 ). Tra le cause più comuni di scompenso acuto in un

paziente precedentemente stabile vi sono gli errori alimentari e la riduzione inappropriata della terapia per lo SC, dovuta alla negligenza del paziente nell’assumere i farmaci o alla sospensione di una farmaco-terapia effi cace da parte del medico (ad es. timore dell’iperazotemia). Ai pazienti con SC si deve consigliare di smettere di fumare e di limita-re il consumo giornaliero di alcolici a due drink standard per l’uomo e a uno per la donna. I pazienti per i quali si sospetti una cardiomiopatia indotta dall’alcol devono astenersi dal consumo di alcolici a tempo in-determinato. Le temperature estreme e lo sforzo fi sico eccessivo devono essere evitati. Alcuni farmaci hanno la caratteristica di peggiorare lo SC e devono essere anch’essi evitati. Ad esempio, i farmaci antinfi amma-tori non steroidei (FANS), compresi gli inibitori della ciclossigenasi 2 (COX-2), non sono raccomandati nei pazienti con SC cronico perché il rischio di insuffi cienza renale e di ritenzione idrica aumenta in modo marcato nel quadro di una funzione renale ridotta e/o con l’uso degli ACEI. È necessario consigliare ai pazienti di pesarsi regolarmente per monitorare l’aumento di peso e di avvisare un operatore sanitario o aggiustare la propria dose di diuretico in caso di un aumento di peso improvviso e inaspettato superiore a 1,5-2 kg nel giro di 3 giorni. Benché non vi siano evidenze documentate degli effetti dell’immunizzazione, questi pazienti presentano un rischio elevato di sviluppare la polmoni-te pneumococcica e l’infl uenza. Pertanto i medici devono considerare

TABELLA 28.5 Terapia farmacologica e strumentale nei pazienti con scompenso cardiaco cronico

INDICAZIONE ACEI ARB DIURETICO �

BLOCCANTEANTAGONISTI

DELL’ALDOSTERONEGLICOSIDI CARDIACI CRT ICD

Disfunzione VS asintomatica (NYHA I)

Indicato Se ACEI- intollerante

Non indicato Indicato post-IM *

IM recente Con fi brillazione atriale

Non indicato Non indicato

SC sintomatico (NYHA II)

Indicato Indicato con o senza ACEI

Indicato in presenza di ritenzione di liquidi

Indicato IM recente 1. Con fi brillazione atriale

2. Se in miglioramento da uno SC più grave in ritmo sinusale

Non indicato Indicato

SC in peggioramento (NYHA III, IV)

Indicato Indicato con o senza ACEI

Indicato, combinazione di diuretici

Indicato (sotto la cura di uno specialista)

Indicato Indicato Indicato se QRS > 0,12 ms †

Indicato

SC terminale (NYHA IV)

Indicato Indicato con o senza ACEI

Indicato, combinazione di diuretici

Indicato (sotto la cura di uno specialista)

Indicato Indicato Indicato se QRS > 0,12 ms †

Non indicato

* Rappresenta l’opinione degli esperti. † I pazienti devono essere in ritmo sinusale. Modifi cata da Swedberg K, Cleland J, Dargie H, et al: Guidelines for the diagnosis and treatment of chronic heart failure: Executive summary (update 2005): The Task Force for the Diagnosis and

Treatment of Chronic Heart Failure of the European Society of Cardiology. Eur Heart J 26:1115, 2005.

Disfunzione cardiacacorretta o risolta

Disfunzionecardiaca

Nessunsintomo

Sintomipersistenti

Sintomiattenuati

Insufficienzacardiaca

Terapia

La terapia non puòessere interrotta

senza temereuna recidiva dei sintomi

Disfunzionesistolica

Sintomi

Disfunzionecardiaca

asintomatica

Soggettinormali

La terapia può essereinterrotta senza

temere una recidivadei sintomi

Insufficienzacardiaca

transitoria

FIGURA 28.8 Algoritmo per la diagnosi dello scompenso cardiaco o della disfunzione del VS. (Da Swedberg K, Cleland J, Dargie H, et al: Guidelines for the diagnosis and treatment of chronic heart failure: Executive summary [update 2005]: The Task Force for the Diagnosis and Treatment of Chronic Heart Failure of the European Society of Cardiology. Eur Heart J 26:1115, 2005.)

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570l’eventualità di raccomandare la vaccinazione antinfl uenzale e antip-neumococcica ai loro pazienti con SC per prevenire le infezioni delle vie respiratorie. È egualmente importante informare il paziente e i suoi familiari sullo SC e sull’importanza di una dieta corretta e dell’aderenza al regime medico. La supervisione della cura domiciliare tramite infer-mieri specializzati o medici di ambulatorio specializzati nello SC è ri-sultata utile, particolarmente nei pazienti con malattia in stadio avan-zato (si veda il paragrafo “Gestione della malattia”).

ATTIVITÀ FISICA . L’attività fi sica impegnativa non è raccomandata nello SC, anche se si è visto che una modesta attività fi sica abituale è benefi ca per pazienti selezionati con SC di classe NYHA I-III. Lo studio HF-ACTION 17 (A Controlled Trial Investigating Outcomes of exercise traiNing) è un esteso studio controllato randomizzato, multicentrico, il cui endpoint primario era un endpoint composito di mortalità per tutte le cause e ospedalizzazione per tutte le cause. Gli endpoint secondari comprendevano la mortalità per tutte le cause, l’ospedalizzazione per tutte le cause e l’endpoint composito di mortalità cardiovascolare o ospedalizzazione cardiovascolare. Questo studio non ha mostrato un miglioramento signifi cativo della mortalità per tutte le cause o dell’ospe-

dalizzazione per tutte le cause (hazard ratio [HR] 0,93; IC al 95%, 0,84-1,02; P = 0,13) in pazienti sottoposti a un programma di preparazione fi sica della durata di 12 settimane (tre volte a settimana) seguito da un allenamento automonitorato a casa su tappeto rotante o cyclette di 25-30 minuti per 5 giorni a settimana ( Fig. 28.9A ). Inoltre non vi è stata alcuna differenza nella mortalità per tutte le cause (HR 0,96; IC al 95%, 0,79-1,17; P = 0,70; si veda Fig. 28.9B ). Tuttavia è stata riscontrata una tendenza verso la riduzione della mortalità cardiovascolare o delle ospedalizzazioni per SC (HR 0,87; IC al 95%, 0,74-0,99; P = 0,06) e la qualità della vita è notevolmente migliorata nel gruppo che svolgeva l’allenamento fi sico. Per i pazienti euvolemici, l’esercizio isotonico re-golare, come camminare o l’uso di una cyclette con ergometro, può essere utile come terapia aggiuntiva per migliorare le condizioni clini-che, previa esecuzione della prova da sforzo per verifi care l’idoneità all’allenamento fi sico (pazienti che non sviluppano ischemia o aritmie signifi cative). L’esercizio fi sico non è raccomandato, tuttavia, nei pa-zienti con SC e FE ridotta che hanno subito un evento cardiovascolare o una procedura importante nelle ultime 6 settimane, nei pazienti con dispositivi cardiaci che limitano la capacità di raggiungere le frequenze cardiache target e nei pazienti che presentano aritmia o ischemia signi-fi cativa durante la prova da sforzo cardiopolmonare alla visita basale.

DIETA . La restrizione alimentare di sodio (2-3 g/die) è raccomandata per tutti i pazienti affetti dalla sindrome clinica costituita dallo SC e da una FE conservata o depressa. Può essere presa in considerazione un’ulteriore restrizione ( < 2 g/die) in caso di SC da moderato a grave. La restrizione di liquidi non è di solito necessaria, a meno che il pazien-te non presenti iponatriemia ( < 130 mEq/litro), che si può sviluppare a causa dell’attivazione del sistema renina-angiotensina, della secrezione eccessiva di arginina vasopressina (AVP) oppure della perdita eccessi-va di sodio rispetto all’acqua, dovuta all’uso precedente di diuretici. Tale restrizione ( < 2 litri/die) deve essere considerata nei pazienti ipo-natriemici ( < 130 mEq/litro) o nei pazienti in cui risulta diffi cile control-lare la ritenzione idrica nonostante le dosi elevate di diuretici e la restri-zione di sodio. L’integrazione calorica è raccomandata nei pazienti con SC avanzato e calo ponderale non volontario o deperimento muscola-re (cachessia cardiaca); per questi pazienti non sono tuttavia raccoman-dati gli steroidi anabolizzanti perché possono causare problemi di ri-tenzione di liquidi. La misurazione del bilancio di azoto, dell’apporto calorico e del livello di prealbumina può essere utile per stabilire una corretta integrazione nutrizionale. L’uso di integratori alimentari (nutra-ceutici) deve essere evitato nel trattamento dello SC sintomatico a causa della mancanza di evidenze sui loro benefi ci e delle possibili interazioni signifi cative con le terapie effi caci per l’HF ( Cap. 33 ).

TABELLA 28.6 Potenziali fattori scatenanti

dello scompenso acuto nei pazienti con scompenso cardiaco cronico

Errori alimentari Riduzione inappropriata della terapia per lo SC Ischemia miocardica, infarto Aritmie (tachicardia, bradicardia) Infezione Anemia Assunzione di farmaci che peggiorano i sintomi dello SC

Calcio-antagonisti (verapamil, diltiazem) β-bloccanti Farmaci antinfi ammatori non steroidei Tiazolidinedioni Farmaci antiaritmici (tutti i farmaci di classe I, sotalolo [classe III]) Anticorpi anti-TNF

Consumo di alcolici Gravidanza Peggioramento dell’ipertensione Insuffi cienza valvolare acuta

Da Mann DL: Heart failure and cor pulmonale. In Kasper DL, Braunwald E, Fauci AS, Hauser SL, et al (eds): Harrison’s Principles of Internal Medicine. 17th ed. New York, McGraw-Hill, 2007, p 1448.

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0,50,60,7

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651656

337352

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TEMPO DALLA RANDOMIZZAZIONE, y

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MORTALITÀ PER TUTTELE CAUSE O OSPEDALIZZAZIONE

PER TUTTE LE CAUSE

N. a rischioTerapia usualeAllenamento fisico

HR, 0,93 (IC al 95%, 0,84-1,02);P = 0,13

Terapia usualeAllenamento fisico

0,0

0,40,30,20,1

0,5

0,60,7

0,8

0 1 2 3

1.1721.159

1.0671.084

760758

455444

TAS

SO

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OR

TALI

TEMPO DALLA RANDOMIZZAZIONE, y

MORTALITÀ PER TUTTE LE CAUSE

N. a rischioTerapia usualeAllenamento fisico

HR, 0,96 (IC al 95%, 0,79-1,17);P = 0,70

B

FIGURA 28.9 Analisi di Kaplan-Meier degli eff etti dell’esercizio fi sico vs la terapia usuale su morbilità e mortalità dello SC. A. Tempo all’ospedalizzazione per tutte le cause e alla mortalità per tutte le cause e tempo alla mortalità per tutte le cause ( B ) nello studio HF-ACTION. (Da O’Connor CM, Whellan DJ, Lee KL, et al: Effi cacy and safety of exercise training in patients with chronic heart failure: HF-ACTION randomized controlled trial. JAMA 301:1439, 2009.)

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Trattamento dell’eccesso di liquidi Molte manifestazioni cliniche derivano dall’eccessiva ritenzione idrosa-lina, che provoca un’espansione inopportuna del volume dello spazio vascolare ed extravascolare. Benché sia la digitale sia gli ACEI a basso dosaggio aumentino la secrezione urinaria di sodio, pochi pazienti con SC e sovraccarico di volume possono mantenere un equilibrio salino corretto senza usare i diuretici. I tentativi di sostituire gli ACEI con i diu-retici hanno mostrato di provocare edema polmonare e congestione periferica. In alcuni studi clinici a breve termine, la terapia diuretica ha determinato la riduzione della pressione venosa giugulare, dell’edema periferico e del peso corporeo; tutti questi risultati sono stati osservati entro pochi giorni dall’inizio della terapia. In studi a medio termine si è visto che i diuretici migliorano la funzione cardiaca, i sintomi e la tolle-ranza all’attività fi sica dei pazienti con SC. 18 A oggi non sono stati condot-ti studi a lungo termine sulla terapia diuretica nello SC, pertanto gli effet-ti di questi farmaci su morbilità e mortalità non sono ben chiari. Malgra-do le analisi retrospettive degli studi clinici abbiano suggerito che l’uso dei diuretici è associato a una prognosi clinica più sfavorevole, 19 una metanalisi 18 ha indicato che il trattamento con tali farmaci produce una riduzione signifi cativa della mortalità (odds ratio [OR] 0,24; IC al 95%, 0,07-0,83; P = 0,02) e dello SC in peggioramento (OR 0,07; IC al 95%, 0,01-0,52; P = 0,01). Considerata però la natura retrospettiva della rassegna, questa analisi non può essere usata come evidenza formale al fi ne di raccomandare l’uso dei diuretici per ridurre la mortalità dovuta a SC.

Sono diversi gli schemi di classifi cazione proposti per i diuretici in base al loro meccanismo di azione, alla sede anatomica su cui agiscono all’interno del nefrone e alla forma di diuresi che inducono (diuresi di soluti vs diuresi di acqua). La classifi cazione più comune utilizza le ca-ratteristiche chimiche (ad es. diuretico tiazidico), il sito di azione (ad es. diuretico dell’ansa) o gli esiti clinici (ad es. diuretico risparmiatore di potassio). I diuretici dell’ansa aumentano la secrezione di sodio fi no al 20-25% del carico di sodio fi ltrato, aumentano la clearance dell’acqua libera e mantengono la propria effi cacia, a meno che la funzione renale non sia gravemente compromessa. I diuretici tiazidici, invece, aumenta-no l’escrezione frazionata di sodio soltanto del 5-10% del carico fi ltrato,

tendono a ridurre la clearance dell’acqua libera e perdono di effi cacia nei pazienti con funzione renale ridotta (clearance della creatinina infe-riore a 40 mL/min). Di conseguenza, i diuretici dell’ansa si sono afferma-ti come i farmaci di elezione per il trattamento dei pazienti con SC. I diuretici che inducono diuresi idrica (acquaretici) sono la demecloci-clina, il litio e gli antagonisti dei recettori della vasopressina V 2 ; ognuno di questi farmaci inibisce l’azione dell’AVP sul dotto collettore mediante meccanismi diversi, aumentando così la clearance dell’acqua libera. I farmaci che provocano la diuresi di soluti sono suddivisi in due tipi: i diuretici osmotici, ossia soluti non riassorbibili che trattengono per osmo-si l’acqua e gli altri soluti nel lume tubulare, e i farmaci che inibiscono selettivamente i canali ionici dell’epitelio tubulare, che costituiscono la maggioranza dei diuretici potenti e clinicamente utili. Le classi dei diu-retici e i membri delle singole classi sono elencati nella Tabella 28.7 , mentre i siti di azione sono illustrati nella Figura 28.10 .

DIURETICI DELL’ANSA . I farmaci classifi cati come diuretici dell’an-sa, tra cui furosemide, bumetanide e torasemide, agiscono inibendo reversibilmente il simporto (cotrasporto) di Na + -K + -2Cl − sulla membra-na apicale delle cellule epiteliali nel tratto ascendente spesso dell’ansa di Henle (si veda Fig. 28.10 ). Poiché furosemide, bumetanide e torase-mide sono ampiamente legate alle proteine plasmatiche, il trasporto di queste sostanze al tubulo mediante filtrazione è limitato. Tuttavia, questi farmaci sono secreti in modo effi ciente dal sistema di trasporto degli acidi organici nel tubulo prossimale e in questo modo hanno accesso ai loro siti di legame sul cotrasportatore di Na + -K + -2Cl − nella membrana luminale del tratto ascendente. Pertanto, l’efficacia dei diuretici dell’ansa dipende da un fl usso plasmatico renale e una secre-zione nel tubulo prossimale suffi cienti a trasportare queste sostanze al loro sito di azione. Il probenecid sposta verso destra la curva concen-trazione plasmatica-risposta per la furosemide, inibendo competitiva-mente l’escrezione di furosemide da parte del sistema di trasporto degli acidi organici. La biodisponibilità della furosemide varia dal 40 al 70% della dose orale, mentre la biodisponibilità orale di bumetanide e tora-semide supera l’80%. Di conseguenza, questi farmaci potrebbero essere più effi caci per i pazienti con SC avanzato o SC destro, anche se a un

TABELLA 28.7 Diuretici per trattare la ritenzione di liquidi nello scompenso cardiaco cronico

FARMACODOSAGGIO GIORNALIERO INIZIALE

DOSAGGIO MASSIMO GIORNALIERO TOTALE DURATA DI AZIONE ORE

Diuretici dell’ansa * Bumetanide** 0,5-1,0 mg qd o bid 10 mg 4-6 Furosemide 20-40 mg qd o bid 600 mg 6-8 Torasemide 10-20 mg qd 200 mg 12-16 Acido etacrinico 25-50 mg qd o bid 200 mg 6

Diuretici tiazidici † Clorotiazide 250-500 mg qd o bid 1.000 mg 6-12 Clortalidone 12,5-25 mg qd 100 mg 24-72 Idroclorotiazide 25 mg qd o bid 200 mg 6-12 Indapamide 2,5 mg qd 5 mg 36 Metolazone 2,5-5 mg qd 20 mg 12-24

Diuretici risparmiatori di potassio Amiloride 12,5-25 mg qd 20 mg 24 Triamterene 50-75 mg bid 200 mg 7-9

Antagonisti dell’AVP Satavaptan** 25 mg qd 50 mg qd NS Tolvaptan 15 mg qd 60 mg qd NS Lixivaptan** 125 mg qd 250 mg bid NS Conivaptan** (ev) dose di carico 20 mg ev, seguita da infusione

continua ev di 20 mg/dieinfusione ev 40 mg/die 7-9

Blocco sequenziale del nefrone Metolazone 2,5-10 mg qd più un diuretico dell’ansa Idroclorotiazide 25-100 mg qd o bid più un diuretico dell’ansa Clorotiazide (ev) 500-1.000 mg qd più un diuretico dell’ansa

NOTA: Se non diversamente indicato, tutte le dosi si riferiscono ai diuretici orali; bid = bis in die (due volte al giorno); qid = quarter in die (quattro volte al giorno). * Dosi equivalenti: 40 mg di furosemide = 1 mg di bumetanide = 20 mg di torsemide = 50 mg di acido etacrinico; **non disponibile in Italia. † Non usare se la fi ltrazione glomerulare stimata fosse < 30 mL/min o con gli inibitori del citocromo 3A4. Modifi cata da Hunt SA, Abraham WT, Chin MH, et al: ACC/AHA 2005 Guideline Update for the Diagnosis and Management of Chronic Heart Failure in the Adult: a report of the American

College of Cardiology/American Heart Association Task Force on Practice Guidelines. Circulation 112:e154, 2005. NS = non specifi cato.

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costo considerevolmente maggiore. I farmaci appartenenti a una secon-da classe funzionale dei diuretici dell’ansa (ad es. l’acido etacrinico) mostrano un’azione più lenta e hanno una reversibilità ritardata o solo parziale. L’acido etacrinico può essere usato con sicurezza nei pazien-ti con SC allergici ai sulfamidici.

MECCANISMI DI AZIONE . Si ritiene che i diuretici dell’ansa migliorino i sin-

tomi di congestione attraverso numerosi meccanismi. In primo luogo, queste sostanze si legano e inibiscono in modo reversibile l’azione del cotrasportatore di Na + ,K + -2Cl − , prevenendo in questo modo il trasporto del sodio nel tratto ascendente spesso dell’ansa di Henle. L’inibizione di questa proteina di trasporto di membrana ha anche l’eff etto di inibire il riassorbimento di Ca 2 + e Mg 2 + abolendo la diff erenza di potenziale transe-piteliale, che è la forza di conduzione per l’assorbimento di questi cationi. Inibendo la concentrazione di soluti nell’interstizio midollare, questi farma-ci riducono inoltre la forza di conduzione del riassorbimento di acqua nel dotto collettore, anche in presenza di AVP ( Capp. 25 e 27 ). Il minore rias-sorbimento di acqua da parte del dotto collettore determina la produzione di urina, che è quasi isotonica con il plasma. L’aumento del trasporto di Na + e acqua ai segmenti distali del nefrone incrementa anche marcatamente l’escrezione di K + , soprattutto se i livelli di aldosterone sono elevati.

I diuretici dell’ansa presentano inoltre svariati eff etti caratteristici sulla pressione intracardiaca e sull’emodinamica sistemica. La furosemide agisce da venodilatatore e riduce la pressione atriale destra e la pressione capillare di incuneamento polmonare nel giro di pochi minuti se somministrata per via endovenosa (0,5-1,0 mg/kg). Dati simili, benché non altrettanto ampi, sono stati raccolti per la bumetanide e la torasemide. Questo miglioramen-to iniziale dell’emodinamica può essere secondario al rilascio delle prosta-glandine vasodilatatrici, per quanto gli studi su animali e sull’uomo abbiano dimostrato che le azioni venodilatatorie della furosemide siano inibite dall’indometacina. Vi sono state inoltre segnalazioni di una crescita acuta della resistenza vascolare sistemica in risposta ai diuretici dell’ansa, cosa che è stata attribuita all’attivazione transitoria del sistema renina-angiotensina (RAS) a livello sistemico o intravascolare. La crescita potenzialmente dele-teria del postcarico del VS ribadisce l’importanza di iniziare la terapia di vasodilatazione insieme ai diuretici nei pazienti con edema polmonare acuto e pressione arteriosa adeguata ( Cap. 27 ).

DIURETICI TIAZIDICI E TIAZIDICO-SIMILI . I benzotiadiazidici, noti anche come diuretici tiazidici, sono stati la prima classe di farma-ci sintetizzati per bloccare il trasportatore di Na + -Cl − nel nefrone dista-

le. Successivamente, i farmaci con proprietà farmacologiche simili so-no divenuti noti come diuretici tia-zidico-simili, anche se tecnicamente non sono derivati benzotiadiazinici. Poiché i diuretici tiazidici e tiazidi-co-simili prevengono la diluizione massima delle urine, essi riducono la capacità del rene di aumentare la clearance dell’acqua libera e posso-no pertanto contribuire allo svilup-po dell’iponatriemia. I tiazidici au-mentano il riassorbimento di Ca 2 + nel nefrone distale (si veda Fig. 28.10 ) con vari meccanismi, provo-cando a volte un lieve aumento dei livelli sierici del Ca 2 + . Al contrario, il riassorbimento di Mg 2 + diminuisce e l’uso protratto può causare un’ipo-magnesiemia. Un maggior rilascio di cloruro di sodio e liquidi nel dotto collettore incrementa direttamente la secrezione di K + e H + da questo segmento del nefrone e può provo-care un’ipokaliemia clinicamente rilevante.

MECCANISMI DI AZIONE . Il sito di azio-

ne di questi farmaci a livello del tu-bulo contorto distale è stato identifi -cato nel cotrasportatore di Na + -Cl − del tubulo contorto distale. Questo cotrasportatore condivide circa il

50% di omologia aminoacidica con il cotrasportatore di Na + -K + -/2Cl − del tratto ascendente dell’ansa di Henle; ciononostante è insensibile agli ef-fetti della furosemide. Questo cotrasportatore (o le sue isoforme) è pre-sente anche sulle cellule dei vasi e su molti tipi di cellule in altri organi e tessuti e può favorire alcune azioni di questi farmaci, come quella anti-pertensiva. Analogamente ai diuretici dell’ansa, l’effi cacia dei diuretici tiazidici dipende almeno in parte dalla secrezione nel tubulo prossimale per trasportare queste sostanze al loro sito di azione. Tuttavia, diversa-mente da questi, il legame alle proteine plasmatiche varia notevolmente tra i diuretici tiazidici; di conseguenza, questo parametro determinerà il contributo della fi ltrazione glomerulare al rilascio nel tubulo di uno spe-cifi co diuretico.

ANTAGONISTI DEI RECETTORI DEI MINERALCORTICOIDI . I mineralcorticoidi come l’aldosterone causano la ritenzione di sale e acqua e aumentano l’escrezione di K + e H + legandosi a specifi ci recet-tori dei mineralcorticoidi. I primi studi indicavano che lo spironolatto-ne blocca gli effetti dei mineralcorticoidi e ciò ha portato successiva-mente allo sviluppo di specifi ci antagonisti dei recettori dei mineral-corticoidi. Lo spironolattone e l’eplerenone sono antagonisti recettoria-li sintetici dei mineralcorticoidi che agiscono sul nefrone distale per inibire l’escrezione di Na + -K + nel sito di azione dell’aldosterone (si veda Fig. 28.10 ). Lo spironolattone ha effetti antiandrogeni e simil-progestinici, che possono causare ginecomastia o impotenza nell’uomo e irregolarità mestruale nella donna. Per superare questi effetti indesi-derati è stato sviluppato l’eplerenone, sostituendo il gruppo tioacetilico 17- � dello spironolattone con un gruppo carbometossilico. Grazie a questa modifi ca, l’eplerenone ha una maggiore selettività per il recet-tore dei mineralcorticoidi che per i recettori steroidei e presenta mino-ri effetti indesiderati di tipo ormonale rispetto allo spironolattone. Inol-tre si distingue da quest’ultimo per l’emivita più breve e per il fatto che non ha alcun metabolita attivo. Benché siano entrambi diuretici debo-li, gli studi clinici hanno mostrato che questi farmaci hanno effetti marcati sulla morbilità e mortalità cardiovascolare ( Fig. 28.11 ) grazie alla loro capacità di contrastare gli effetti deleteri dell’aldosterone sul sistema cardiovascolare ( Cap. 25 ). Di conseguenza, questi farmaci sono somministrati ai pazienti più per la loro capacità di contrastare il siste-ma renina-angiotensina-aldosterone (si veda il paragrafo “Antagonisti dell’aldosterone”) che per le loro proprietà diuretiche.

Trattoascendente

Tubulo contorto prossimale

Ansa di Henle

Dotto collettore

Antagonista dei recettoridei mineralcorticoidi

Antagonisti dell’AVP

Diureticidell’ansa

Tiazidici

Trattoascendente

Gradientedel NaCl

NaCl

H2O

H2O

Na+

Na+

Na+

K+

K+

NaHCO3 NaCl

Trattodiscendente

Glomerulo

Inibitoridell’anidrasicarbonica

Corticale

Midollare

Tubulo contorto distale prossimale

FIGURA 28.10 Siti di azione dei diuretici nel rene. AVP = arginina vasopressina. (Da Bristow MR, Linas S, Port DJ: Drugs in the treatment of heart failure. In Zipes DP, Libby P, Bonow RO, Braunwald E [eds]: Braunwald’s Heart Disease. 7th ed. Philadel-phia, Elsevier, 2004, p 573.)

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MECCANISMI DI AZIONE . Lo spironolattone (si veda Tab. 28.7 ) e il suo meta-bolita attivo canrenone sono inibitori competitivi del legame dell’aldostero-ne ai recettori dei mineralcorticoidi o di tipo I in molti tessuti, comprese le cellule epiteliali del tubulo contorto distale e del dotto collettore. Questi re-cettori citosolici sono fattori di trascrizione ligando-dipendenti, che una volta legati al ligando (ad es. l’aldosterone) si spostano nel nucleo cellulare, dove si legano a elementi di risposta ormonale presenti nel promotore di alcuni geni, molti dei quali sono coinvolti nella fi brosi, nell’infi ammazione e nella calcifi cazione vascolare e miocardica. Le prime evidenze che gli anta-gonisti dell’aldosterone potessero produrre eff etti clinici vantaggiosi sono state fornite dal Randomized Aldactone Evaluation Study (RALES) 20 che ha valutato lo spironolattone (25 mg/die iniziali, titolati a 50 mg/die secondo l’andamento dello SC) contro placebo in pazienti con SC di classe NYHA III o IV con una FEVS inferiore al 35%, in terapia con un ACEI, un diuretico dell’an-sa e, nella maggior parte dei casi, la digossina. L’endpoint primario era la mortalità per tutte le cause. Come si osserva nella Figura 28.11A , lo spirono-lattone ha prodotto una riduzione del 30% della mortalità totale in confron-to al placebo ( P = 0,001); questo fatto è stato attribuito a un rischio inferiore

di morte da defi cit progressivo di pompa e di morte improvvisa. La frequen-za dell’ospedalizzazione dovuta a peggioramento è risultata più bassa del 35% nel gruppo dello spironolattone rispetto al gruppo placebo. Inoltre i pazienti che hanno assunto lo spironolattone hanno avuto un miglioramen-to signifi cativo della classe funzionale NYHA ( P < 0,001). Sebbene i meccani-smi responsabili degli eff etti benefi ci del farmaco non siano stati chiariti, quelli maggiormente imputati sono la prevenzione sia del rimodellamento della matrice extracellulare ( Cap. 25 ) sia dell’ipokaliemia. Nel RALES, i livelli sierici di potassio erano 0,3 mEq/litro più alti nel gruppo trattato con lo spi-ronolattone rispetto a quello trattato con il placebo ( P = 0,001); ciò potrebbe aver svolto un ruolo importante nel ridurre le morti improvvise o anche le morti da defi cit di pompa. Nonostante lo spironolattone fosse stato ben tollerato nel RALES, è stata segnalata ginecomastia nel 10% degli uomini sottoposti alla terapia con lo spironolattone rispetto all’1% degli uomini sottoposti a placebo ( P < 0,001). In questo studio, l’incidenza dell’iperkaliemia grave è stata minima in entrambi i gruppi di pazienti; tuttavia vi sono state numerose segnalazioni successive di iperkaliemia grave. Oltre allo studio RALES, che era limitato a pazienti con SC di classe NYHA III e IV, un’analisi retrospettiva di una coorte di pazienti con SC da lieve a moderato ha sugge-rito una tendenza favorevole verso un miglioramento della mortalità quando lo spironolattone era aggiunto al regime terapeutico standard dello SC.

La seconda linea di evidenza che gli antagonisti dell’aldosterone potes-sero produrre un benefi cio clinico importante a prescindere dai loro eff etti diuretici è derivata dall’Eplerenone Post-Acute Myocardial Infarction Heart Failure Effi cacy and Survival Study (EPHESUS; si veda Fig. 28.11B ), uno studio in doppio cieco, controllato con placebo, che ha valutato l’eff etto dell’eplerenone sulla morbilità e sulla mortalità dei pazienti con IM acuto (IMA) complicato da disfunzione del VS e SC. I pazienti sono stati randomiz-zati all’eplerenone (25 mg/die iniziali, titolati a un massimo di 50 mg/die) o al placebo in aggiunta alla terapia medica ottimale. Gli endpoint primari sono stati la morte per qualsiasi causa e la morte per cause cardiovascolari o l’ospedalizzazione per SC, IMA, ictus o aritmia ventricolare. Come mostrato nella Figura 28.11B , vi è stata una diminuzione signifi cativa della morte per tutte le cause nei pazienti randomizzati a ricevere l’eplerenone (rischio relativo [RR], 0,83; IC al 95%, 0,72-0,94; P = 0,005). La percentuale dell’altro endpoint primario, morte per cause cardiovascolari o ricovero per eventi cardiovascolari, è stata ridotta dall’eplerenone (RR 0,85; IC al 95%, 0,75-0,96; P = 0,006), così come l’endpoint secondario di morte per qualsiasi causa o ricovero per qualsiasi motivo. Vi è stata inoltre una riduzione della percen-tuale di morti improvvise dovute a cause cardiache. 21 Il ruolo dell’eplere-none nello SC lieve (classe NYHA II) è attualmente oggetto di analisi prospettica nello studio Eplerenone in Mild Patients Hospitalization and Survival Study in Heart Failure (EMPHASIS-HF; codice identifi cativo Clinical-Trials.gov NCT00232180). Questo studio è stato interrotto prematuramente il 27 maggio 2010 perché aveva raggiunto i suoi endpoint primari, ossia la morte cardiovascolare e l’ospedalizzazione per SC.

DIURETICI RISPARMIATORI DI POTASSIO . Il triamterene e l’ami-loride sono defi niti diuretici risparmiatori di potassio. Questi farmaci hanno in comune la proprietà di causare un lieve aumento dell’escre-zione di cloruro di sodio e di avere effetti antikaliuretici. Il triamterene è un derivato della pirazinoilguanidina, mentre l’amiloride è una pteri-dina. Entrambi i farmaci sono basi organiche che sono trasportate nel tubulo prossimale, dove bloccano il riassorbimento del Na + nella por-zione terminale del tubulo distale e del dotto collettore. Tuttavia, poiché la ritenzione di Na + nello SC si verifi ca in siti più prossimali all’interno del nefrone, né l’amiloride né il triamterene sono effi caci per il raggiun-gimento di un bilancio negativo netto di Na + quando somministrati in monoterapia nei pazienti con SC. Entrambi sembrano avere un mec-canismo di azione simile. Evidenze considerevoli indicano che l’ami-loride blocca i canali del Na + nella membrana luminale delle cellule principali della porzione terminale del tubulo distale e del dotto col-lettore, entrando forse in competizione con il Na + per le aree con cari-ca negativa all’interno del poro del canale del Na + . Il blocco dei cana-li del Na + provoca l’iperpolarizzazione della membrana luminale del tubulo, che riduce il gradiente elettrochimico che fornisce la forza di conduzione per la secrezione del K + nel lume. L’amiloride e i suoi congeneri inibiscono inoltre l’antiporto Na + -H + nelle cellule epiteliali renali e in molti altri tipi di cellule, ma solo a concentrazioni più eleva-te di quelle impiegate in clinica.

INIBITORI DELL’ANIDRASI CARBONICA . L’anidrasi carbonica è un metalloenzima zinco-dipendente che svolge un ruolo essenziale nel riassorbimento di NaHCO 3 e nella secrezione di acidi nel tubulo prossi-male. Nonostante siano diuretici deboli, gli inibitori dell’anidrasi carbo-

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FIGURA 28.11 Analisi di Kaplan-Meier della probabilità di sopravvivenza dei pazienti nei gruppi placebo e di trattamento dello studio RALES ( A ) con lo spiro-nolattone, e analisi della probabilità di mortalità dei pazienti nei gruppi placebo e di trattamento dello studio EPHESUS ( B ) che utilizza l’eplerenone. (Modifi cata da Pitt B, Zannad F, Remme WJ, et al: The eff ect of spironolactone on morbidity and mortality in patients with severe heart failure. N Engl J Med 341:709, 1999; and Pitt B, Remme W, Zannad F, et al: Eplerenone, a selective aldosterone blocker, in patients with left ventricular dysfunction after myocardial infarction. N Engl J Med 348:1309, 2003.)

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nica (si veda Tab. 28.7 ) come l’acetazolamide hanno un’azione inibente potente, che provoca il blocco quasi totale del riassorbimento di NaHCO 3 nel tubulo prossimale. L’uso di questi farmaci nei pazienti con SC è limi-tato a una somministrazione temporanea al fi ne di correggere l’alcalosi metabolica che si verifi ca come fenomeno di “contrazione”, in risposta alla somministrazione di altri diuretici. Quando usati ripetutamente, essi possono causare acidosi metabolica nonché grave ipokaliemia.

ANTAGONISTI DELLA VASOPRESSINA . Nel Capitolo 25 si è visto che l’aumento dei livelli circolanti dell’ormone ipofi sario AVP contribu-isce alla crescita delle resistenze vascolari sistemiche e al bilancio idrico positivo nei pazienti con SC. Gli effetti dell’AVP sulle cellule sono mediati dalle interazioni con tre tipi di recettori, V 1a , V 2a e V 2 . Gli anta-gonisti V 1a -selettivi bloccano gli effetti vasocostrittori dell’AVP nelle cellule muscolari lisce dei vasi periferici, mentre gli antagonisti recet-toriali V 2 -selettivi inibiscono il reclutamento dei canali per l’acqua ac-quaporina-dipendenti nelle membrane apicali delle cellule epiteliali del dotto collettore, riducendo così la capacità di quest’ultimo di riassorbi-re acqua ( Fig. 28.12 ). La combinazione degli antagonisti V 1a /V 2 fa di-minuire le resistenze vascolari sistemiche e previene l’iponatriemia da diluizione che si verifi ca nei pazienti con SC. 22

Gli antagonisti dell’AVP, i vaptani (si veda Tab. 28.7 ), sono stati sviluppati per bloccare i recettori V 2 (ad es. tolvaptan, lixivaptan, satavaptan) seletti-vamente o per bloccare non selettivamente entrambi i recettori V 1a e V 2 (ad es. conivaptan). Tutti i quattro antagonisti dell’AVP aumentano il volume urinario, riducono l’osmolarità delle urine e non hanno eff etti sull’escrezio-ne di sodio nelle 24 ore ( Cap. 27 ). 22 La terapia a lungo termine con l’anta-gonista della vasopressina V 2 -selettivo tolvaptan non ha migliorato la mortalità, ma è sembrata sicura nei pazienti con SC in stadio avanzato ( Cap. 27 ). 23 Attualmente sono due gli antagonisti della vasopressina (conivaptan e tolvaptan) approvati dalla Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti per il trattamento dell’iponatriemia ipervolemica ed euvolemi-ca clinicamente signifi cativa (Na + sierico ≤ 125 mEq/litro), che è sintomati-ca e resistente alla correzione mediante la restrizione di liquidi. Tuttavia, nessuno di questi farmaci è approvato per il trattamento dello SC. Il loro utilizzo è appropriato dopo che si sono tentate le misure tradizionali per trattare l’iponatriemia, compresi la restrizione idrica e l’uso massimale delle terapie mediche quali gli ACEI o i bloccanti del recettore dell’angio-

tensina (ARB), che bloccano o riducono l’angiotensina II. Il lixivaptan è in corso di valutazione in uno studio di fase II condotto su pazienti con SC ipervolemici (codice identifi cativo ClinicalTrials.gov: NCT01055912).

TERAPIA DIURETICA DELLO SCOMPENSO CARDIACO . I pazien-ti con evidenza di sovraccarico di volume o anamnesi positiva per la ritenzione di liquidi devono essere trattati con un diuretico al fi ne di ridurre la sintomatologia. Nei pazienti sintomatici, i diuretici devono essere sempre usati in associazione agli antagonisti neurormonali, noti per prevenire la progressione della malattia (si veda oltre, Tab. 28.9 ). Quando i pazienti presentano sintomi da moderati a gravi o insuffi cien-za renale, in genere è necessario un diuretico dell’ansa. I diuretici devo-no essere iniziati a basse dosi (si veda Tab. 28.7 ) e quindi titolati verso l’alto per alleviare i segni e i sintomi del sovraccarico di liquidi. La tipica dose iniziale di furosemide per i pazienti con SC sistolico e funzione renale normale corrisponde a 40 mg, benché spesso siano necessarie dosi di 80-160 mg per ottenere una diuresi adeguata. A causa della ripi-da curva dose-risposta e della soglia di effi cacia dei diuretici dell’ansa ( Fig. 28.13 ), è fondamentale trovare una dose adeguata di tali farmaci che determini una risposta diuretica netta. Un metodo comunemente usato per trovare la dose appropriata consiste nel raddoppiare la dose fi no a ottenere l’effetto desiderato o fi no a raggiungere la dose massima di diuretico. Una volta che i pazienti hanno raggiunto una diuresi ade-guata, è importante documentare il loro peso secco e accertarsi che essi si pesino ogni giorno per mantenere il proprio peso secco.

Malgrado la furosemide sia il diuretico dell’ansa più comunemente usato, la sua biodisponibilità orale è circa del 40-79%. Pertanto, la bu-metanide o la torasemide potrebbero essere preferibili a causa della loro maggiore biodisponibilità. Fatta eccezione per la torasemide, i diuretici dell’ansa di uso comune hanno un’azione breve ( < 3 ore); per questo motivo, devono essere generalmente somministrati almeno due volte al giorno. Alcuni pazienti possono sviluppare ipotensione o ipe-razotemia durante la terapia diuretica; nonostante la rapidità della diuresi debba essere rallentata in questi pazienti, è necessario prose-guire la terapia a un dosaggio inferiore fi nché il paziente non diventa euvolemico, in quanto il sovraccarico di volume potrebbe compromet-tere l’effi cacia di alcuni antagonisti neurormonali. La somministrazio-ne endovenosa di diuretici può essere necessaria per ridurre la conge-stione in acuto (si vedano Fig. 25.13B e Cap. 27 ) e può essere effettua-ta con sicurezza nel contesto ambulatoriale. Una volta ottenuto l’effet-to diuretico con i diuretici dell’ansa ad azione rapida, l’aumento della frequenza di somministrazione a due o anche tre volte al giorno accre-scerà la diuresi con alterazioni fi siologiche inferiori rispetto a dosi singole più elevate. Quando la congestione è risolta, il trattamento con i diuretici viene continuato per prevenire la recidiva della ritenzione di sodio e acqua e mantenere il peso secco ideale del paziente.

COMPLICANZE DOVUTE ALL’USO DEI DIURETICI . I pazienti con SC sottoposti a terapia diuretica devono essere monitorati per le complicanze che possono derivare dall’assunzione continuativa di diuretici. Le complicanze principali sono le anomalie metaboliche ed elettrolitiche, l’ipovolemia e il peggioramento dell’azotemia. L’inter-vallo della rivalutazione deve essere personalizzato in base alla gravi-tà della patologia e alla funzione renale sottostante, all’uso concomi-tante di farmaci come gli ACEI, gli ARB e gli antagonisti dell’aldoste-rone, all’anamnesi relativa a pregressi squilibri elettrolitici e/o alla necessità di una diuresi più aggressiva.

Anomalie metaboliche ed elettrolitiche

L’uso dei diuretici può determinare l’ipokaliemia, la quale può predi-sporre il paziente a un’aritmia cardiaca signifi cativa. Le perdite renali di potassio dovute all’uso dei diuretici possono anche essere acutizza-te dall’aumento dei livelli circolanti di aldosterone osservato nei pa-zienti con SC avanzato, nonché dagli aumenti marcati del rilascio di Na + a livello del nefrone distale, conseguenti all’uso dei diuretici dell’an-sa o ad azione distale. Anche la quantità di sale assunta con gli alimen-ti può contribuire all’entità della perdita di K + con i diuretici.

In mancanza di linee guida codifi cate in merito al livello di mantenimento del K + sierico nei pazienti con SC, molti medici esperti di SC consigliano di mantenere il livello di K + sierico tra 4,0 e 5,0 mEq/litro, poiché questi

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FIGURA 28.12 Meccanismo di azione degli antagonisti della vasopressina. Il legame dell’AVP ai recettori V 2 stimola la sintesi delle proteine dei canali dell’ac-qua acquaporina-2 (AQP) e favorisce il loro trasporto alla superfi cie apicale. Sulla membrana cellulare, l’acquaporina-2 consente il riassorbimento selettivo dell’ac-qua libera lungo il gradiente osmotico midollare, diminuendo infi ne l’osmolarità sierica e aumentando il bilancio idrico. Gli antagonisti V 2 agiscono impedendo il legame tra l’AVP e il relativo recettore. (Modifi cata da deGoma EM, Vagelos RH, Fowler MB, Ashley EA: Emerging therapies for the management of decompensated heart failure: From bench to bedside. J Am Coll Cardiol 48:2397, 2006.)

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pazienti sono spesso sottoposti a terapie farmacologiche che possono facilmente provocare eff etti proaritmici in presenza di ipokaliemia (ad es. digossina, antiaritmici di tipo III, � -agonisti, inibitori della fosfodiesterasi). L’ipokaliemia può essere prevenuta aumentando l’assunzione orale di KCl. La normale assunzione quotidiana di K + con l’alimentazione è di circa 40-80 mEq; per aumentarla del 50% sono dunque necessari 20-40 mEq di K + al giorno. Tuttavia, in presenza di alcalosi, iperaldosteronismo o caren-za di Mg 2 + , l’ipokaliemia non risponde all’incremento dell’apporto di KCl con la dieta ed è quindi necessaria un’integrazione più aggressiva. In questo caso deve essere utilizzata, ove possibile, l’integrazione orale di potassio sotto forma di compresse a rilascio prolungato o concentrato liquido di KCl. Il potassio per via endovenosa è potenzialmente rischioso

e deve essere evitato tranne che per le emergenze. Ove appropriato, l’uso di un antagonista dei recettori dell’aldosterone può anch’esso prevenire lo sviluppo dell’ipokaliemia.

L’uso degli antagonisti dei recettori dell’aldosterone è spesso associa-to allo sviluppo di iperkaliemia potenzialmente letale, in particolare se assunti in associazione con gli ACEI e/o gli ARB. 24 L’integrazione di potassio viene in genere interrotta dopo l’inizio della terapia con gli antagonisti dell’aldosterone e ai pazienti deve essere raccomandato di evitare gli alimenti con un contenuto elevato di potassio. Tuttavia, i pa-zienti che hanno dovuto assumere notevoli quantità di potassio posso-no avere bisogno di continuare ad assumerlo, anche se a un dosaggio inferiore, soprattutto quando episodi pregressi di ipokaliemia sono stati associati ad aritmie ventricolari. I diuretici possono essere associati a una serie di altre alterazioni metaboliche ed elettrolitiche, tra cui ipona-triemia, ipomagnesiemia, alcalosi metabolica, iperglicemia, iperlipidemia e iperuricemia. L’iponatriemia di solito si osserva nei pazienti con SC con un grado molto elevato di attivazione del RAS e/o livelli elevati di AVP. Anche l’uso aggressivo dei diuretici può provocare questa alterazio-ne. L’iponatriemia può essere generalmente trattata mediante una restri-zione di acqua più rigorosa. Sia i diuretici dell’ansa sia i tiazidici posso-no causare l’ipomagnesiemia, che può aggravare la debolezza musco-lare e le aritmie cardiache. L’integrazione di magnesio deve essere somministrata per i segni e i sintomi di ipomagnesiemia (ad es. aritmie, crampi muscolari) e può essere prescritta di routine, con benefi ci incer-ti, a tutti i soggetti che assumono dosi elevate di diuretici o necessitano di grandi quantità di integratori di K + . L’iperglicemia e/o l’iperlipidemia di modesta entità prodotte dai diuretici tiazidici non sono di solito cli-nicamente rilevanti e i livelli ematici di lipidi e glucosio sono facilmen-te controllati applicando le linee guida standard. L’alcalosi metabolica può essere trattata aumentando l’integrazione di KCl, riducendo le dosi di diuretico o con l’uso temporaneo dell’acetazolamide.

Ipotensione e iperazotemia

L’uso eccessivo dei diuretici può causare la diminuzione della pressio-ne arteriosa e della tolleranza allo sforzo, nonché l’aumento dell’astenia e il peggioramento della funzione renale. Normalmente i sintomi ipoten-sivi si risolvono dopo la riduzione della dose o della frequenza di som-ministrazione dei diuretici nei pazienti ipovolemici. Tuttavia, in gran parte dei casi, l’uso dei diuretici è associato alla diminuzione della pressione arteriosa e/o a una lieve iperazotemia, che non provocano sintomi nel paziente. In questo caso non è necessario ridurre la dose di diuretico, soprattutto se il paziente è edematoso. In alcuni pazienti con SC cronico avanzato, concentrazioni ematiche elevate di azoto ureico ematico (BUN) e creatinina possono essere necessarie per tenere sotto controllo i sintomi di congestione.

Attivazione neurormonale

I diuretici possono aumentare l’attivazione dei sistemi neurormonali endogeni nei pazienti con SC, che può causare la progressione della malattia, a meno che i pazienti non siano sottoposti contemporanea-mente al trattamento con un antagonista neurormonale (ad es. un ACEI o un � -bloccante).

Ototossicità

L’ototossicità, che è più frequente con l’acido etacrinico che con gli altri diuretici dell’ansa, si può manifestare con tinnito, riduzione dell’udito e sordità. La riduzione dell’udito e la sordità sono solitamente, anche se non invariabilmente, reversibili. L’ototossicità si verifi ca più frequente-mente con la somministrazione endovenosa rapida e meno frequente-mente con la somministrazione orale.

RESISTENZA AI DIURETICI E TRATTAMENTO . Una delle limita-zioni intrinseche dei diuretici è che essi provocano la perdita di acqua tramite l’escrezione di soluti a spese della fi ltrazione glomerulare, che a sua volta attiva una serie di meccanismi omeostatici che alla fi ne li-mitano la loro effi cacia. Negli individui normali, l’entità della natriure-si che segue una determinata dose di diuretico diminuisce nel tempo a causa del cosiddetto fenomeno di “frenata” ( Fig. 28.14 ). Gli studi hanno dimostrato che il calo della natriuresi tempo-dipendente per

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FIGURA 28.13 Curve dose-risposta per i diuretici dell’ansa. A. Escrezione frazio-nata di Na (FE Na ) come funzione della concentrazione di diuretico dell’ansa. Rispetto ai pazienti normali, gli individui con insuffi cienza renale cronica ( Chronic Renal Failure , CRF) mostrano uno spostamento a destra della curva a causa della secre-zione ridotta di diuretico. La risposta massimale è conservata quando è espressa come FE Na , ma non quando è espressa come escrezione assoluta di Na. I pazienti con SC mostrano uno spostamento a destra e verso il basso, anche quando la risposta è espressa come FE Na ; essi sono pertanto relativamente resistenti ai diuretici. SCC = scompenso cardiaco cronico. B. Confronto della risposta a dosi orali ed endovena di diuretici dell’ansa nei soggetti normali e nei pazienti con SC. La fi gura illustra la biodisponibilità dei diuretici per i pazienti normali e per quelli con SC. È indicata la soglia natriuretica necessaria per produrre una diuresi nei soggetti normali (linea tratteggiata) e nei pazienti con SC (linea continua). In un individuo normale, una dose orale può essere effi cace tanto quanto una dose per via endo-venosa, poiché la biodisponibilità dei diuretici (area sotto la curva) sopra la soglia natriuretica è pressoché uguale per i diuretici orali o endovena. Tuttavia, se la soglia natriuretica di un paziente con SC aumentasse, la dose orale potrebbe non deter-minare un livello sierico abbastanza elevato da indurre una natriuresi signifi cativa. (Modifi cata da Ellison DH: Diuretic therapy and resistance in congestive heart failure. Cardiology 96:132, 2001.)

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una determinata dose di diuretico dipende fondamentalmente dalla riduzione del volume di liquidi extracellulari, che porta all’aumento del riassorbimento di soluti e liquidi nel tubulo prossimale. In aggiunta, la contrazione del volume extracellulare può causare la stimolazione dei nervi simpatici efferenti, che riduce l’escrezione urinaria di Na + diminuendo il fl usso ematico renale, stimolando il rilascio di renina (e quindi di aldosterone), che a sua volta stimola il riassorbimento di Na + lungo il nefrone ( Cap. 25 ). È inoltre possibile che l’entità dell’effetto natriuretico di potenti diuretici dell’ansa diminuisca nei pazienti con SC, in particolare con il progredire di tale patologia. Benché la biodi-sponibilità di questi diuretici non risulti generalmente ridotta nello SC, il ritardo potenziale della loro velocità di assorbimento può causare un picco farmacologico nel lume tubulare del tratto ascendente dell’ansa di Henle, insuffi ciente a indurre la natriuresi massima (si veda Fig. 28.13 ). L’uso di formulazioni per via endovenosa può ovviare questo problema ( Cap. 27 ), benché, anche con questo tipo di somministrazione, si sia osservato uno spostamento a destra della curva dose-risposta tra la concentrazione di diuretico nel lume tubulare e il suo effetto natriure-tico nel quadro dello SC (si veda Fig. 28.13A ); inoltre, l’effetto massimo ( ceiling ) è minore. Questo spostamento a destra è stato defi nito “resi-stenza ai diuretici” ed è probabilmente causato da diversi fattori, oltre al fenomeno di “frenata” descritto in precedenza. In primo luogo, la maggior parte dei diuretici dell’ansa, a eccezione del torasemide, è ad azione rapida. Di conseguenza, dopo un periodo di natriuresi, la con-centrazione di diuretico nel plasma e nel liquido tubulare diminuisce al di sotto della soglia diuretica. In questo caso, il riassorbimento rena-le di Na + non è più inibito e subentra un periodo di antinatriuresi o di ritenzione postdiuretica di NaCl. Se l’assunzione di NaCl è da modera-ta a eccessiva, la ritenzione postdiuretica di NaCl può superare la na-triuresi iniziale dei pazienti e causare un’attivazione esagerata del si-stema nervoso adrenergico e del RAS. Tale osservazione costituisce il razionale della somministrazione dei diuretici ad azione rapida diver-se volte al giorno per ottenere una consistente perdita giornaliera di sale e acqua. In secondo luogo, con l’avanzare dello SC si verifi ca una perdita della responsività ai peptidi natriuretici endogeni ( Cap. 25 ). In terzo luogo, i diuretici aumentano il rilascio di soluti ai segmenti dista-li del nefrone, determinando ipertrofi a e iperplasia delle cellule epite-

liali. Benché non siano ancora ben chiari i segnali indotti dai diuretici che avviano le modifi cazioni della struttura e della funzione del nefro-ne distale, la somministrazione cronica dei diuretici dell’ansa aumen-ta l’attività della Na + ,K + -ATPasi nel dotto collettore distale e nel tubulo collettore corticale, che fa aumentare di tre volte la capacità di riassor-bimento dei soluti del rene.

Nel pazienti affetti da SC, un peggioramento improvviso della funzione cardiaca e/o renale o la mancata compliance dei pazienti al regime terapeu-tico a base di diuretici o alla dieta può causare la resistenza ai diuretici. A parte queste cause più ovvie, è importante interrogare il paziente sull’uso concomitante di farmaci che infl uenzano negativamente la funzione renale (ad es. FANS e inibitori della COX; si veda Tab. 28.6 ). Anche i tiazolidinedioni (TZD) insulino-sensibilizzanti sono stati associati all’aumento della ritenzio-ne idrica nei pazienti con SC, sebbene non si conosca il signifi cato clinico di questo risultato. È stato suggerito che queste sostanze attivino l’espressione del recettore � attivato dal proliferatore nel dotto collettore renale, che au-menta l’espressione dei canali del Na + epiteliali della superfi cie cellulare. Inoltre, alcuni studi condotti su individui sani hanno mostrato che il piogli-tazone stimola l’attività reninica plasmatica, che potrebbe concorrere ad aumentare la ritenzione di Na + . Raramente, farmaci come il probenecid o concentrazioni plasmatiche elevate di alcuni antibiotici possono competere con i trasportatori di ioni organici nel tubulo prossimale, responsabili del trasferimento di gran parte dei diuretici dal ricircolo nel lume tubulare. L’uso di dosi sempre maggiori di vasodilatatori, con o senza una marcata riduzio-ne del volume intravascolare conseguente alla terapia diuretica concomi-tante, può abbassare la pressione di perfusione renale al di sotto del livello necessario per mantenere la normale autoregolazione e la fi ltrazione glo-merulare nei pazienti con stenosi dell’arteria renale dovuta a malattia atero-sclerotica. Di conseguenza, può verifi carsi la diminuzione del fl usso ematico renale, malgrado l’aumento della gittata cardiaca, che riduce in tal modo l’effi cacia dei diuretici.

Un paziente con SC può essere considerato resistente ai diuretici quando dosi moderate di un diuretico dell’ansa non consentono di ottenere la riduzione desiderata del volume di liquidi extracellulari. Nel contesto ambulatoriale, un metodo comune ed effi cace di trattare il paziente resistente ai diuretici consiste nel somministrare due classi di diuretici contemporaneamente. L’aggiunta di un diuretico del tubulo prossimale o del tubulo collettore distale a un regime terapeutico

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FIGURA 28.14 Eff etti dei diuretici sull’escrezione urinaria di Na e sul volume dei liquidi extracellulari ( ExtraCellular Fluid , ECF). A. Eff etti di un diuretico dell’ansa sull’escrezione urinaria di Na (U Na V). Le barre rappresentano periodi di 6 ore di bilancio del Na prima e dopo le dosi di un diuretico dell’ansa (D). La linea tratteggiata indica l’assunzione di Na con la dieta. La parte ombreggiata delle barre indica la quantità di Na con la quale l’escrezione supera l’assunzione durante la natriuresi. L’area ombreggiata continua al di sotto della linea tratteggiata indica l’entità del bilancio positivo di Na dopo che l’eff etto diuretico si è esaurito. Il bilancio netto di Na nelle 24 ore è la diff erenza tra l’area ombreggiata sotto la linea tratteggiata (ritenzione postdiuretica di NaCl) e la parte ombreggiata all’interno delle barre (natri-uresi indotta dai diuretici). L’adattamento cronico è indicato dalla riduzione progressiva degli eff etti natriuretici di picco (il fenomeno di “frenata”) ed è rispecchiato dal ritorno al bilancio neutro. B. Nel riquadro è mostrato l’eff etto di un diuretico sul peso corporeo, preso come indice del volume di ECF. Si noti che lo stato sta-zionario viene raggiunto nel giro di 6-8 giorni malgrado la somministrazione continua di diuretici. (Modifi cata da Ellison DH: Diuretic therapy and resistance in congestive heart failure. Cardiology 96:132, 2001.)

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577a base di diuretici dell’ansa è spesso eccezionalmente effi cace. Come regola generale, quando si aggiunge una seconda classe di diuretici, la dose del diuretico dell’ansa non deve essere modifi cata, poiché l’anda-mento della curva dose-risposta di quest’ultimo non è influenzato dall’aggiunta di altri diuretici; il diuretico dell’ansa deve essere sommi-nistrato a una dose che ne mantenga l’effi cacia. Si è visto che la com-binazione di diuretici dell’ansa e del tubulo collettore distale è effi cace grazie a diversi meccanismi. 25 Uno consiste nel fatto che i diuretici del tubulo collettore distale hanno emivite più lunghe rispetto ai diuretici dell’ansa e possono pertanto attenuare la ritenzione postdiuretica di NaCl. Un secondo meccanismo, con cui i diuretici del tubulo collettore distale potenziano gli effetti dei diuretici dell’ansa, consiste nell’inibire il trasporto di Na + lungo il tubulo prossimale, in quanto molti dei diure-tici tiazidici inibiscono anche l’anidrasi carbonica, e il trasporto di NaCl lungo il tubulo renale distale, che potrebbe annullare gli effetti di aumentato riassorbimento di soluti delle cellule epiteliali distali iper-trofi che e iperplastiche.

La scelta del diuretico del tubulo collettore distale da usare come secondo diuretico è soggettiva. Molti medici scelgono il metolazone perché la sua emivita è più lunga di quella di altri diuretici della stessa classe e perché ha mostrato di mantenere la propria effi cacia anche in presenza di una bassa velocità di fi ltrazione glomerulare. Tuttavia, i confronti diretti tra il metolazone e numerosi tiazidici tradizionali han-no mostrato poca differenza di effi cacia natriuretica quando sono in-seriti in un regime terapeutico a base di diuretici dell’ansa in pazienti con SC. 25 I diuretici del tubulo collettore distale possono essere aggiun-ti al dosaggio massimo (50-100 mg/die di idroclorotiazide o 2,5-10 mg/die di metolazone; si veda Tab. 28.7 ), qualora sia necessaria una risposta rapida ed effi cace. Un approccio del genere tuttavia causerà probabil-mente una deplezione eccessiva di liquidi ed elettroliti, se i pazienti non sono monitorati con estrema attenzione. Un approccio ragionevo-le alla terapia combinata consiste nel raggiungimento del controllo del sovraccarico idrico aggiungendo inizialmente dosi massime di un diuretico del tubulo collettore distale su base giornaliera e diminuendo successivamente il dosaggio a tre volte a settimana per evitare una diuresi eccessiva. Una strategia alternativa nei pazienti ospedalizzati è somministrare la stessa dose parenterale giornaliera di un diuretico dell’ansa mediante infusione endovenosa continua, provocando una natriuresi sostenuta a causa della presenza continua di livelli elevati di farmaco all’interno del lume tubulare ( Cap. 27 ) ed evitando il riassor-bimento postdiuretico ( rebound ) di Na + (si veda Fig. 28.14B ). Questo metodo richiede l’uso di una pompa per infusione costante, ma con-sente un controllo più preciso dell’effetto natriuretico ottenuto nel tempo, in particolare nei pazienti sotto stretto monitoraggio; esso inoltre limita il rischio di una riduzione troppo rapida del volume intravasco-lare e di ipotensione, nonché il rischio di ototossicità nei pazienti che assumono dosi elevate di diuretici dell’ansa in bolo per via endoveno-sa. Abitualmente, l’infusione continua di furosemide inizia con un bolo endovena di 20-40 mg, seguito da un’infusione continua di 5-10 mg/ora per un paziente che debba ricevere 200 mg di furosemide orale al giorno suddivisi in più dosi. L’utilità della furosemide ev in bolo rispet-to all’infusione continua è stata valutata nello studio di fase IV DOSE (Diuretic Optimal Strategy Evaluation in Acute Heart Failure; codice identifi cativo ClinicalTrials.gov NCT00577135) sponsorizzato dal Natio-nal Heart, Lung and Blood Institute (NHLBI). Dai risultati provvisori di tale studio sembra che la somministrazione di dosi elevate ev ogni 12 ore verso l’infusione ev continua si equivalga ( Cap. 27 ).

Un’altra causa frequente di resistenza ai diuretici nel quadro dello SC avanzato è lo sviluppo della sindrome cardiorenale, clinicamente riconosciuta come la riduzione della funzione renale che limita la diuresi nei pazienti con sovraccarico di volume clinicamente concla-mato. 26 Nello SC avanzato la sindrome cardiorenale spesso è presente nei pazienti che sono ripetutamente ricoverati per SC e nei quali è diffi cile ottenere una diuresi adeguata a causa degli indici di funziona-lità renale in peggioramento. Di solito questa riduzione della funzione renale viene considerata prerenale; tuttavia, né la gittata cardiaca né la pressione di perfusione renale, se misurate con attenzione, sono risul-tate ridotte nei pazienti in terapia diuretica che sviluppano la sindrome cardiorenale. È importante sottolineare che gli indici di peggioramento della funzione renale contribuiscono a prolungare le degenze in ospe-

dale e sono predittivi di percentuali maggiori di riospedalizzazione precoce e morte (si veda Fig. 28.5 ). I meccanismi alla base della sindro-me cardiorenale e il suo trattamento sono ancora poco conosciuti.

TERAPIE STRUMENTALI PER IL TRATTAMENTO DELL’ECCESSO DI LIQUIDI . L’impiego di metodi meccanici per la rimozione dei liqui-di, come l’ultrafi ltrazione extracorporea, può essere necessario per con-trollare adeguatamente la ritenzione idrica, soprattutto nei pazienti che sviluppano resistenza e/o sono refrattari alla terapia diuretica ( Cap. 27 ). L’ultrafi ltrazione (UF) extracorporea rimuove isotonicamente il sale e l’acqua, facendo passare il sangue del paziente attraverso un fi ltro alta-mente permeabile mediante un circuito extracorporeo con modalità arterovenosa o venovenosa. Metodi extracorporei alternativi sono l’emo-fi ltrazione continua, l’emodialisi continua e l’emodiafi ltrazione continua. Con l’UF lenta continua, il volume dei liquidi intravascolari rimane sta-bile mentre i liquidi passano dallo spazio extravascolare a quello intra-vascolare e l’azione deleteria dei sistemi neurormonali non viene attiva-ta. Si è visto che l’UF riduce le pressioni atriale destra e di incuneamento polmonare e aumenta la gittata cardiaca, la diuresi e la natriuresi senza modifi care la frequenza cardiaca, la pressione sistolica, la funzione rena-le, gli elettroliti o il volume intravascolare. 27

Lo studio Relief for Acutely Fluid-Overloaded Patients with Decompensated Congestive Heart Failure (RAPID-CHF), il primo studio controllato randomiz-zato dell’UF nell’insuffi cienza cardiaca acuta scompensata, ha arruolato 40 pazienti che sono stati randomizzati al trattamento abituale (diuretici) o a una UF singola di 8 ore (mediante un dispositivo brevettato) in aggiunta al trattamento abituale. 27 L’endpoint primario era la perdita di peso a 24 ore dall’arruolamento. La rimozione dei liquidi dopo 24 ore è risultata circa due volte maggiore nel gruppo dell’UF. Lo studio multicentrico Ultrafi ltration versus IV Diuretics for Patients Hospitalized for Acute Decompensated Congestive Heart Failure (UNLOAD) ha confrontato la sicurezza e l’effi cacia a lungo termine della terapia con ultrafi ltrazione (mediante un dispositivo brevettato) rispetto ai diuretici per via endovenosa su 200 pazienti che erano valutati all’ingresso e a intervalli fi no a 90 giorni. 28 L’endpoint primario dello studio consisteva nel calo ponderale totale e nella variazione del punteggio di dispnea durante le prime 48 ore dalla randomizzazione. Ben-ché i due trattamenti fossero simili in quanto a capacità di migliorare la di-spnea, l’UF è risultata associata a una perdita di liquidi notevolmente mag-giore nelle 48 ore e a un tasso di riospedalizzazione più basso nei 90 giorni successivi. L’uso dell’UF nei pazienti che sviluppano la sindrome cardiore-nale è attualmente oggetto di indagine nello studio CARRESS (Cardiorenal Rescue Study in Acute Decompensated HF; codice identifi cativo Clinical-Trials.gov NCT00608491) sponsorizzato dall’NHLBI.

Considerati i costi dell’UF e la necessità di un accesso venoso e di un supporto infermieristico per implementarla, questo tipo di interven-to dovrà essere oggetto di ulteriori indagini per stabilire il suo ruolo nel trattamento del sovraccarico di volume nei pazienti con SC. In aggiun-ta ai metodi extracorporei per la riduzione del sovraccarico di volume, la dialisi peritoneale può essere un’alternativa praticabile per il tratta-mento a breve termine dei sintomi congestivi refrattari nei pazienti in cui non sia possibile ottenere un accesso vascolare o per i quali non siano disponibili terapie extracorporee appropriate.

Prevenire la progressione della malattia I farmaci che interferiscono con l’attivazione eccessiva del sistema re-nina-angiotensina-aldosterone e il sistema nervoso adrenergico posso-no alleviare i sintomi dello SC con FE ridotta stabilizzando e/o inver-tendo il rimodellamento cardiaco ( Cap. 25 ; Tab. 28.8 ). A questo pro-posito, gli ACEI, gli ARB e i � -bloccanti si sono distinti come i capisaldi della moderna terapia dello SC nei pazienti con FE ridotta.

INIBITORI DELL’ENZIMA DI CONVERSIONE DELL’ANGIOTEN-SINA . Le evidenze a sostegno dell’uso degli ACEI nei pazienti sinto-matici e asintomatici con FE ridotta ( < 40%) sono schiaccianti. Questi farmaci interferiscono con il RAS inibendo l’enzima che è responsabi-le della conversione dell’angiotensina I ad angiotensina II ( Cap. 25 ). Essi però inibiscono anche la chininasi II e possono quindi causare la sovraregolazione della bradichinina, che potrebbe aumentare ulteriormente gli effetti della soppressione dell’angiotensina. Gli ACEI

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stabilizzano il rimodellamento del VS, migliorano i sintomi dei pazienti, evitano l’ospedalizzazione e prolungano la vita. Poiché la ritenzione di liquidi può attenuare gli effetti degli ACEI, è preferibile ottimizzare per prima cosa la dose del diuretico e poi iniziare la terapia con un ACEI. Può essere tuttavia necessario ridurre la dose di diuretico durante l’avvio della terapia per prevenire l’ipotensione sintomatica. Gli ACEI devono essere introdotti a basse dosi, le quali, se ben tollerate, possono essere seguite da incrementi del dosaggio. La titolazione in genere si ottiene raddoppiando il dosaggio ogni 3-5 giorni. La dose di ACE-inibi-tore deve essere aumentata fi nché le dosi utilizzate non siano simili a quelle la cui effi cacia è stata dimostrata negli studi clinici (si veda Tab. 28.8 ). Dosi elevate sono più effi caci per prevenire l’ospedalizzazione. Nei pazienti stabili è accettabile aggiungere una terapia con � -bloccan-ti prima che le dosi massime di ACEI siano raggiunte. È necessario va-lutare la pressione arteriosa (compresi i cambiamenti posturali), la funzione renale e il livello di potassio entro 1-2 settimane dall’inizio degli ACEI, soprattutto nei pazienti con iperazotemia, ipotensione, ipo-natriemia o diabete mellito preesistenti, oppure in quelli che assumono integratori di potassio. La sospensione improvvisa del trattamento con ACEI può provocare un peggioramento del quadro clinico e deve per-tanto essere evitata, qualora non vi siano complicanze potenzialmente letali (ad es. angioedema, iperkaliemia).

L’effi cacia degli ACEI è stata ampiamente dimostrata negli studi clinici su pazienti con disfunzione del VS sia asintomatica sia sintomatica ( Fig. 28.15 ). 29,30 Questi studi hanno reclutato pazienti di diverso tipo, comprese le donne e gli anziani, nonché pazienti con disfunzione del VS dovuta a un’ampia gamma di cause e con diversi livelli di gravità. La con-cordanza dei dati degli studi SOLVD Prevention Trial, Survival and Ventri-cular Enlargement (SAVE) e Trandolapril Cardiac Evaluation (TRACE) ha dimostrato che i pazienti asintomatici con disfunzione del VS avranno

minori probabilità di sviluppare lo SC sintomatico e meno ospedalizzazio-ni se trattati con un ACEI. Inoltre, questi farmaci si sono di conseguenza dimostrati effi caci nei pazienti con disfunzione del VS sintomatica. Come illustrato nella Tabella 28.9 , tutti gli studi sullo SC cronico controllati con placebo hanno dimostrato una riduzione della mortalità. Oltretutto, il benefi cio maggiore si ottiene nei pazienti con le forme più gravi di SC. I pazienti con SC di classe NYHA IV inclusi nel Cooperative North Scandina-vian Enalapril Survival Study (CONSENSUS I) hanno avuto una dimensione dell’eff etto molto più ampia rispetto al SOLVD Treatment Trial, che a sua volta ha avuto una dimensione dell’eff etto superiore al SOLVD Prevention Trial. Benché siano stati condotti soltanto tre studi di mortalità controllati con placebo su pazienti con SC cronico, i dati cumulativi suggeriscono che gli ACEI riducono la mortalità in modo direttamente proporzionale al grado di gravità dello SC cronico. Lo studio Vasodilator in Heart Failure II (V-HeFT-II) ha fornito le evidenze a sostegno del fatto che gli ACEI miglio-rano la storia naturale dello SC tramite meccanismi diversi dalla vasodila-tazione, in quanto individui trattati con enalapril hanno avuto una morta-lità inferiore rispetto a individui trattati con una combinazione vasodila-tatrice di idralazina più isosorbide dinitrato, che non inibisce direttamen-te i sistemi neurormonali. Malgrado l’enalapril sia l’unico ACEI a essere stato utilizzato in studi di mortalità placebo-controllati relativi allo SC, come mostrato nella Tabella 28.9 , alcuni ACEI si sono dimostrati più o meno egualmente efficaci se somministrati oralmente entro la prima settimana dall’evento ischemico in studi sull’IM. Gli ACEI migliorano mar-catamente la sopravvivenza nei pazienti con segni o sintomi di SC dopo un IM e, oltre ad avere questi eff etti sulla mortalità, migliorano lo stato funzionale dei pazienti con SC. Al contrario, essi hanno scarsi eff etti posi-tivi sulla tolleranza allo sforzo fi sico. Nel loro complesso, queste osserva-zioni consentono di giungere alla conclusione che gli eff etti degli ACEI sulla storia naturale dello SC cronico, sulla disfunzione del VS post-IM o sui pazienti ad alto rischio di sviluppare lo SC rappresentano un eff etto di classe di questi farmaci. Nondimeno, occorre sottolineare che i pazienti con pressione arteriosa bassa ( < 90 mmHg sistolica) o funzione renale ri-dotta (livello di creatinina sierica > 2,5 mg/mL) non sono stati arruolati e/o rappresentano una piccola percentuale dei pazienti che hanno partecipa-to a questi studi. Pertanto, l’effi cacia degli ACEI in quest’ultima popolazio-ne è meno chiaramente stabilita.

Complicanze dell’uso degli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina

La maggior parte degli effetti avversi degli ACEI è legata alla soppres-sione del RAS. Le diminuzione della pressione arteriosa e la lieve ipe-razotemia spesso osservate nel periodo iniziale della terapia sono in genere ben tollerate e non richiedono la riduzione della dose di ACEI. Tuttavia, se l’ipotensione fosse accompagnata da capogiri o se la di-sfunzione renale si aggravasse, potrebbe essere necessario diminuire la dose del diuretico in mancanza di una ritenzione idrica signifi cativa o, in alternativa, diminuire la dose dell’ACEI se quest’ultima fosse presen-te. Anche la ritenzione di potassio potrebbe diventare un problema se il paziente stesse assumendo integratori di potassio o un diuretico ri-sparmiatore di potassio. Se essa non rispondesse a queste misure, po-trebbe essere necessario ridurre la dose di ACEI. Gli effetti collaterali degli ACEI che sono legati al potenziamento delle chinine comprendo-no tosse non produttiva (10-15% dei pazienti) e angioedema (1% dei pazienti). Nei pazienti che non tollerano gli ACEI a causa della tosse o dell’angioedema, la seconda linea di terapia raccomandata è costituita dagli ARB. I pazienti intolleranti agli ACEI a causa dell’iperkaliemia o dell’insuffi cienza renale avranno probabilmente gli stessi effetti indesi-derati assumendo gli ARB. Per questi ultimi pazienti occorre prendere in considerazione la combinazione di idralazina (non più disponibile in Italia; NdC) e di un nitrato per via orale (si veda Tab. 28.8 ).

BLOCCANTI DEL RECETTORE DELL’ANGIOTENSINA . Gli ARB sono ben tollerati dai pazienti intolleranti agli ACEI a causa dell’insor-gere di tosse, rash cutaneo e angioedema e pertanto devono essere usati nei pazienti sintomatici e asintomatici con una FE inferiore al 40% che sono ACE-intolleranti per ragioni diverse dall’iperkaliemia o dall’in-suffi cienza renale (si veda Tab. 28.9 ). Sia gli ACEI sia gli ARB inibiscono il RAS, ma con meccanismi diversi. Mentre gli ACEI inibiscono l’enzima responsabile della conversione dell’angiotensina I ad angiotensina II, gli ARB bloccano gli effetti dell’angiotensina II sul recettore di tipo 1 dell’angiotensina, il sottotipo recettoriale che è all’origine di quasi tutti gli effetti biologici avversi, riconducibili all’angiotensina II, sul

TABELLA 28.8 Farmaci per la prevenzione e il trattamento dello scompenso cardiaco cronico

FARMACI DOSAGGIO INIZIALE DOSAGGIO MASSIMO

Inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensinaCaptopril 6,25 mg tid 50 mg tidEnalapril 2,5 mg bid 10 mg bidLisinopril 2,5-5,0 mg qd 20 mg qdRamipril 1,25-2,5 mg qd 10 mg qdFosinopril 5-10 mg qd 40 mg qdQuinapril 5 bid 40 mg bidTrandolapril 0,5 mg qd 4 mg qd

Bloccanti del recettore dell’angiotensinaValsartan 40 mg bid 160 mg bidCandesartan 4-8 mg qd 32 mg qdLosartan 12,5-25 mg qd 50 mg qd

� -bloccantiCarvedilolo 3,125 mg bid 25 mg bid (50 mg bid con

peso corporeo > 85 kg)Carvedilolo-CR 10 mg qd 80 mg qdBisoprololo 1,25 mg bid 10 mg qdMetoprololo

succinato CR12,5-25 mg qd 200 mg qd

Antagonisti dell’aldosteroneSpironolattone 12,5-25 mg qd 25-50 mg qdEplerenone 25 mg qd 50 mg qd

Altri farmaciCombinazione

di idralazina/isosorbide dinitrato

10-25 mg/10 mg tid 75 mg/40 mg tid

Dose fi ssa di idralazina/isosorbide dinitrato

37,5 mg/20 mg (una compressa) tid

75 mg/40 mg (due compresse) tid

Digossina * 0,125 mg qd ≤ 0,375 mg/die †

* Il dosaggio deve essere basato sul peso corporeo ideale, l’età e la funzione renale. † Il livello minimo deve essere 0,5-1 ng/mL, benché non siano stati stabiliti livelli assoluti. Modifi cata da Mann DL: Heart failure and cor pulmonale. In Kasper DL, Braunwald E, Fauci

AS, Hauser SL, et al (eds): Harrison’s Principles of Internal Medicine. 17th ed. New York, McGraw-Hill, 2007, p 1449.

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rimodellamento cardiaco ( Cap. 25 ). Attualmente i medici dispongono di ARB approvati per il trattamento dell’ipertensione. Tre di essi (losar-tan, valsartan e candesartan) sono stati valutati ampiamente nel quadro dello SC (si veda Tab. 28.8 ). Alcuni studi clinici hanno dimostrato che gli ARB hanno un’efficacia pari a quella degli ACEI nell’invertire il processo di rimodellamento del VS, migliorare la sintomatologia, pre-venire l’ospedalizzazione e prolungare la vita. Inoltre, molti studi hanno mostrato che si ottiene un benefi cio terapeutico aggiuntivo associando un ARB a un ACEI nei pazienti con SC cronico. Gli ARB devono essere introdotti alle dosi iniziali indicate nella Tabella 28.8 , che possono es-sere titolate verso l’alto ogni 3-5 giorni raddoppiandone la dose. Come nel caso degli ACEI, è necessario rivalutare la pressione arteriosa, la funzione renale e il livello di potassio entro 1-2 settimane dall’inizio della terapia e monitorare attentamente tali valori in seguito agli aggiu-stamenti del dosaggio.

In alcuni studi di pazienti sintomatici aff etti da SC e intolleranti agli ACEI, i dati clinici globali indicano che gli ARB sono effi caci tanto quanto gli ACEI nel ridurre la morbilità e la mortalità dello SC. 30 Il candesartan ha ridotto in modo signifi cativo la mortalità per tutte le cause, la morte cardiovascolare e/o i ricoveri ospedalieri nello studio Candesartan Heart Failure: Assessment

of Reduction in Mortality and Morbidity (CHARM-Alternative Trial; Fig. 28.16A ). 31 È importante sottolineare che il candesartan ha ridotto la mortalità per tutte le cause indipendentemente dalla terapia di base con ACEI o � -bloccanti. Risultati simili sono stati osservati con il valsartan nel piccolo sottogruppo di pazienti che non assumevano un ACEI nel Valsar-tan Heart Failure Trial (Val-HeFT). 32 Un confronto diretto tra ACEI e ARB è stato condotto nel Heart Failure Survival Study (ELITE-II), il quale ha evi-denziato che il losartan non era associato a un miglioramento della sopravvivenza di pazienti anziani con SC rispetto al captopril, ma era di gran lunga meglio tollerato. Due studi hanno confrontato gli ARB con gli ACEI in pazienti post-IM che hanno sviluppato la disfunzione VS o segni di SC. Il confronto diretto tra losartan e captopril ha indicato che il primo non è effi cace quanto il secondo rispetto alla mortalità per tutte le cause, mentre il valsartan non si è dimostrato inferiore al captopril sulla mortalità per tutte le cause nell’ambito del Valsartan in Acute Myocardial Infarction Trial (VALIANT). 33 La combinazione di captopril e valsartan non ha determinato un’ulteriore riduzione della mortalità nello studio VALIANT, nonostante il numero di eventi avversi sia diminuito. Quando sono stati somministrati in aggiunta agli ACEI in coorti generali di pazienti con SC sintomatico, gli ARB hanno mostrato di avere un modesto eff etto posi-tivo nello studio CHARM-Added (si veda Fig. 28.16B ). 34 Tuttavia, l’ag-giunta di valsartan agli ACEI non ha prodotto alcun vantaggio sulla mortalità nello studio Val-HeFT, sebbene l’endpoint combinato di mor-talità e morbilità sia stato notevolmente inferiore (13,2%) con il valsartan che con il placebo a causa della riduzione del numero di pazienti ricove-rati per SC. 32 La questione dell’antagonismo del recettore dell’angioten-sina ad alte dosi vs a basse dosi sui risultati clinici è stata valutata nello studio Heart Failure Endpoint Evaluation of Angiotensin II Antagonist Losartan (HEAAL). 35 Esso ha mostrato che l’uso di losartan a dosi elevate non era associato a una riduzione signifi cativa dell’endpoint primario di morte per tutte le cause o ricovero per scompenso cardiaco (HR 0,94; IC al 95%, 0,84-1,04; P = 0,24) se confrontato con il losartan a basso dosag-gio, ma era associato a una notevole diminuzione dei ricoveri per SC (HR 0,94; IC al 95%, 0,84-1,04; P = 0,24). Ciò suggerisce che la titolazione verso l’alto degli ARB potrebbe apportare benefi ci clinici.

Benché una metanalisi abbia indicato che gli ARB e gli ACEI han-no effetti simili sulla mortalità per tutte le cause e sulle ospedalizza-zioni per SC 36 e benché gli ARB possano essere presi in considera-zione come terapia iniziale al posto degli ACEI in seguito a un IM, l’opinione generale è che gli ACEI rimangono la terapia di prima linea per il trattamento dello SC, mentre gli ARB sono raccomandati per i pazienti ACEI-intolleranti ( Linee guida del Capitolo 30 ).

Complicanze dell’uso dei bloccanti del recettore dell’angiotensina

Gli ACEI e gli ARB hanno effetti simili su pressione arteriosa, fun-zione renale e livelli di potassio, pertanto saranno simili anche i problemi legati all’ipotensione sintomatica, all’iperazotemia e all’iperkaliemia. Anche l’angioedema è stato segnalato in alcuni pazienti che assumevano un ARB, sebbene meno frequentemente rispetto a coloro che assumevano un ACEI. Per i pazienti intolle-ranti sia agli ACEI sia agli ARB, l’uso combinato di idralazina e

isosorbide dinitrato può essere considerato come opzione terapeutica (si veda Tab. 28.8 ). Tuttavia, l’aderenza a questo tipo di terapia è gene-ralmente scarsa, a causa del numero elevato di compresse necessarie e dell’alta incidenza di reazioni avverse.

INIBITORI DELLA RENINA . L’aliskiren è un inibitore orale della renina attiva che sembra sopprimere il RAS a un livello simile a quello degli ACE-inibitori. Questo farmaco è un inibitore non peptidico che lega il sito attivo (tasca idrofobica di legame S1/S3) della renina, impe-dendo la conversione dell’angiotensinogeno ad angiotensina I (si veda Fig. 25.4 ). Lo studio Aliskiren Observation of Heart Failure Treatment (ALOFT) ha valutato l’aliskiren in aggiunta a un ACEI in pazienti con scompenso cardiaco di classe NYHA II-IV. L’endpoint primario era la variazione tra il valore basale e il valore dopo 3 mesi del pro-BNP N-terminale (NT-proBNP). Nello studio, l’NT-proBNP era notevolmente ( P < 0,01) inferiore nei pazienti randomizzati all’aliskiren rispetto a quelli con il placebo. 37 L’aliskiren è attualmente in corso di esame in uno studio di fase III che valuterà l’effi cacia e la sicurezza del farmaco sia in monoterapia, sia in combinazione con l’enalapril in confronto alla monoterapia con enalapril per quanto riguarda la morte cardiova-

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Numero a rischio

TEMPO DALLA RANDOMIZZAZIONE (anni)

ACEIPlacebo

2.9952.971

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0 1 2 3 4 5

FIGURA 28.15 Metanalisi sugli ACE-inibitori in pazienti con SC e FE ridotta. A. Curve di Kaplan-Meier della mortalità tra pazienti con SC e FE ridotta trattati con un ACEI in seguito a IM acuto (tre studi). B. Curve di Kaplan-Meier della mortalità di pazienti con SC e FE ridotta trattati con un ACEI in cinque studi clinici, compresi gli studi postinfartuali. I benefi ci degli ACEI sono stati osservati in fase precoce e si sono mantenuti nel lungo termine. (Modifi cata da Flather MD, Yusuf S, Kober L, et al: Long-term ACE-inhibitor therapy in patients with heart failure or left ventricular dysfunction: A systematic overview of data from individual patients. Lancet 355:1575, 2000.)

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scolare e le ospedalizzazioni per scompenso cardiaco in pazienti con SC di classe NYHA II-IV; tale studio è denominato ATMOSPHERE (Effi -cacy and Safety of Aliskiren and Aliskiren/Enalapril Combination on Morbi-mortality in Patients With Chronic Heart Failure; codice identifi -cativo ClinicalTrials.gov NCT00853658).

BLOCCANTI DEI RECETTORI � -ADRENERGICI . La terapia a base di � -bloccanti rappresenta un importante passo avanti nel trattamento dei pazienti con SC e una FE depressa. I � -bloccanti interferiscono con gli effetti nocivi dell’attivazione prolungata del sistema nervoso, antago-nizzando in modo competitivo uno o più recettori adrenergici ( � 1 , � 1 e � 2 ). Anche se il blocco di tutti e tre i recettori porta una serie di vantag-gi potenziali, gli effetti deleteri dell’attivazione del sistema simpatico sono in gran parte mediati dal recettore � 1 -adrenergico. 38 Se sommini-strati in combinazione agli ACEI, i � -bloccanti invertono il processo di rimodellamento del VS, migliorano la sintomatologia, evitano l’ospeda-lizzazione e prolungano la vita. Pertanto essi sono indicati per i pazien-ti con SC sintomatico o asintomatico e FE ridotta ( < 40%). Sono tre i � -bloccanti che si sono dimostrati effi caci al fi ne di ridurre il rischio di morte nei pazienti con SC cronico: il bisoprololo e il metoprololo suc-cinato a rilascio prolungato bloccano entrambi competitivamente il recettore � 1 -adrenergico, mentre il carvedilolo blocca competitivamen-te i recettori � 1 -, � 1 - e � 2 -adrenergici. Così come gli ACEI, i � -bloccanti

devono essere introdotti a basse dosi (si veda Tab. 28.8 ), seguite da in-crementi graduali qualora queste ultime fossero ben tollerate. La dose di � -bloccante deve essere aumentata finché le dosi utilizzate non siano simili a quelle la cui effi cacia è stata dimostrata negli studi clini-ci. Tuttavia, diversamente dagli ACEI, che possono essere titolati verso l’alto piuttosto rapidamente, la titolazione della dose di � -bloccante deve procedere a intervalli non inferiori alle 2 settimane, poiché l’inizio e/o l’incremento del dosaggio di questi farmaci può far aumentare la ritenzione dei liquidi a causa della brusca sospensione del supporto adrenergico al cuore e alla circolazione. È dunque importante ottimiz-zare la dose di diuretico prima di iniziare la terapia � -bloccante. L’au-mento della ritenzione di liquidi, ove si verifi chi, avviene solitamente entro 3-5 giorni dall’inizio della terapia e si manifesta con l’incremento del peso corporeo e/o con sintomi di peggioramento dello SC; in gene-re può essere trattato aumentando la dose di diuretico. Non è necessa-rio che i pazienti stiano assumendo dosi elevate di ACEI per prendere in considerazione il trattamento degli stessi con un � -bloccante, poiché la maggior parte dei pazienti arruolati negli studi su tali farmaci non assumeva dosi elevate di ACEI. Inoltre, nei soggetti che assumono un ACEI a basse dosi, l’aggiunta di un � -bloccante induce un miglioramen-to dei sintomi e una riduzione del rischio di morte maggiori di quelli che si otterrebbero aumentando la dose di ACEI. Si è visto che i � -bloccanti possono essere iniziati con sicurezza prima della dimissione

TABELLA 28.9 Tassi di mortalità in studi controllati con placebo *

NOME DELLO STUDIO FARMACO CLASSE NYHA

N. DI PAZIENTI IN STUDIO

MORTALITÀ CON PLACEBO A 12 MESI %

DIMENSIONE DELL’EFFETTO A 12 MESI %

VALORE DI P A 12 MESI FOLLOWUP

COMPLETO

ACEISCCONSENSUS-1 Enalapril IV 253 52 ↓ 31 0,01(0,0003)SOLVD-Rx Enalapril I-III 2.569 15 ↓ 21 0,02 (0,004)SOLVD-Asx Enalapril I, II 4.228 5 0 0,82 (0,30)

Post-IMSAVE Captopril — 2.231 12 ↓ 18 0,11 (0,02)AIRE Ramipril — 1.986 20 ↓ 22 0,01 (0,002)TRACE Trandolapril — 1.749 26 ↓ 16 0,046 (0,001)

ARBSCVAL-HeFT Valsartan II-IV 5.010 9 0 NS (0,80)CHARM-Alternative Candesartan II-IV 2.028 8 ↓ 14 NSCHARM-Added Candesartan II-IV 2.548 8 ↓ 12 NS

Antagonisti dell’aldosteroneSCRALES Spironolattone III, IV 1.663 24 ↓ 25 NS ( < 0,001)

Post-IMEPHESUS Eplerenone I 6.632 12 ↓ 15 NS (0,005)

� -bloccantiSCCIBIS-I Bisoprololo III, IV 641 21 ↓ 20 † NS (0,22)U.S. Carvedilol Carvedilolo II, III 1.094 8 ↓ 66 † NS ( < 0,001)ANZ-Carvedilol Carvedilolo I-III 415 NS NS NS ( > 0,1)CIBIS-II Bisoprololo III, IV 2.647 12 ↓ 34 † NS (0,001)MERIT-HF Metoprololo CR II-IV 3.991 10 ↓ 35 † NS (0,006)BEST Bucindololo** III, IV 2.708 23 ↓ 10 † NS (0,16)COPERNICUS Carvedilolo Grave 2.289 28 ↓ 38 † NS (0,0001)

Post-IMCAPRICORN Carvedilolo I 1.959 ↓ 23 † NS (0,03)BEAT Bucindololo I 343 NS ↓ 12 † NS (0,06)

NOTA: I tassi di mortalità a 12 mesi sono stati tratti dalle curve di sopravvivenza quando i dati non erano direttamente disponibili nel materiale pubblicato. * Condotti su pazienti con SC cronico (FE < 40%) o pazienti con IMA o a rischio di SC; **non disponibile in Italia. † Dimensione dell’eff etto alla conclusione dello studio. Modifi cata da Bristow MR, Linas S, Port DJ: Drugs in the treatment of heart failure. In Zipes DP, Libby P , Bonow RO, Braunwald E (eds): Braunwald’s Heart Disease. 7th ed. Philadelphia, Elsevier,

2004, p 573. AIRE = Acute Infarction Ramipril Effi cacy; BEAT = Bucindolol Evaluation in Acute Myocardial Infarction Trial; BEST = Beta Blocker Evaluation of Survival Trial; CAPRICORN = Carvedilol Post-Infarct

Survival Control in Left Ventricular Dysfunction; CHARM = Candesartan in Heart Failure—Assessment of Reduction in Mortality and Morbidity; CIBIS = Cardiac Insuffi ciency Bisoprolol Study; CONSENSUS = Cooperative North Scandinavian Enalapril Survival Study; COPERNICUS = Carvedilol Prospective Randomized Cumulative Survival; EPHESUS = Eplerenone Post-Acute Myocardial Infarction Heart Failure Effi cacy and Survival Study; MERIT-HF = Metoprolol CR/XL Randomized Interventional Trial in Congestive Heart Failure; NS = non specifi cato; RALES = Randomized Aldactone Evaluation Study; SAVE = Survival and Ventricular Enlargement; SOLVD = Studies of Left Ventricular Dysfunction; TRACE = Trandolapril Cardiac Evaluation; Val-HeFT = Valsartan Heart Failure Trial.

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anche in pazienti ricoverati per SC, a condizione che l’individuo sia stabile e non richieda la terapia dello SC per via endovenosa. Contra-riamente ai primi rapporti, i risultati globali degli studi clinici suggeri-scono che la terapia � -bloccante è ben tollerata dalla grande maggio-ranza dei pazienti con SC ( > 85%), compresi quelli con patologie con-comitanti quali diabete mellito, broncopneumopatia cronica ostruttiva e vasculopatia periferica. Esiste nondimeno un sottogruppo di pazienti (10-15%) che rimane intollerante ai � -bloccanti a causa del peggiora-mento della ritenzione di liquidi o dell’ipotensione sintomatica.

Il primo studio clinico multicentrico con un � -bloccante contro placebo è stato lo studio Metoprolol in Dilated Cardiomyopathy (MDC), che ha utiliz-zato la preparazione tartrato a breve durata di azione, con dose target di 50 mg 3 volte/die nei pazienti con SC sintomatico e cardiomiopatia dilata-tiva idiopatica. Il metoprololo tartrato, a una dose media di 108 mg/die, ha ridotto la prevalenza dell’endpoint primario di morte o necessità di tra-pianto cardiaco del 34%, che tuttavia non era molto signifi cativa dal punto di vista statistico ( P = 0,058). Il benefi cio era interamente dovuto alla ridu-zione della sola componente di morbilità dell’endpoint primario da parte del metoprololo, senza modifi cazioni favorevoli nella componente morta-lità. In seguito fu sviluppata una formulazione più effi cace di metoprololo, il metoprololo succinato CR/XL, che possiede un profi lo farmacologico migliore del metoprololo tartrato dovuto al rilascio controllato e all’emivita più lunga. Nello studio Metoprolol CR/XL Randomized Intervention Trial in

Congestive Heart Failure (MERIT-HF), il metoprololo CR/XL ha ottenuto una riduzione signifi cativa del rischio relativo con la riduzione del 34% della mortalità in soggetti con SC da lieve a moderato e disfunzione sistolica da moderata a grave se confrontata con il gruppo placebo ( Fig. 28.17 ). 30 È importante sottolineare che il metoprololo CR/XL ha ridotto la mortalità

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CC

Tempo (anni)

HR 0,77(IC al 95%, 0,67-0,89),P = 0,0004 HR corretto 0,70, P <0,0001

Placebo

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Candesartan

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OS

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PE

R S

CC

Tempo (anni)

HR 0,85(IC al 95%, 0,75-0,96),P = 0,011HR corretto 0,85, P <0,010

PlaceboCandesartan

0 1,0 2,0 3,00,5 1,5 2,5 3,5

FIGURA 28.16 Eff etto del candesartan su mortalità cardiovascolare o ricovero ospedaliero per scompenso cardiaco cronico (SCC) nello studio CHARM-Alternative ( A ) e nello studio CHARM-Added ( B ). Sono descritti due gruppi di pazienti rando-mizzati al trattamento con candesartan o al placebo: pazienti che assumevano un ACEI ( A ) e pazienti che non assumevano un ACEI ( B ). La dimensione dell’eff etto del candesartan è risultata ridotta nel gruppo di pazienti che assumevano un ACEI. (Modifi cata da Granger CB, McMurray JJ, Yusuf S, et al: Eff ects of candesartan in patients with chronic heart failure and reduced left-ventricular systolic function intolerant to angiotensin-converting-enzyme inhibitors: The CHARM-Alternative trial. Lancet 362:772, 2003; and McMurray JJ, Ostergren J, Swedberg K, et al: Eff ects of candesartan in patients with chronic heart failure and reduced left-ventricular systolic function taking angioten-sin-converting-enzyme inhibitors: The CHARM-Added trial. Lancet 362:767, 2003.)

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RTA

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A (

%)

FOLLOW-UP (mesi)↓ 34% della mortalità

EFFETTO DEL β-BLOCCO SULLA MORTALITÀ NELLO SCC

MERIT-HF

PlaceboMetoprololo CR/XL

P = 0,0062 (corretto)P = 0,00009 (nominale)n = 3.991

SO

PR

AV

VIV

EN

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(%

di p

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COPERNICUS

PlaceboCarvedilolo

n = 2.289P = 0,00013 (non corretto)P = 0,0014 (corretto)

PR

OB

AB

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I SO

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AV

VIV

EN

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TEMPO (giorni)↓ 34% della mortalità

CIBIS II

PlaceboBisoprololo

n = 2.647 P = 0,00006

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MESI↓ 35% della mortalità

FIGURA 28.17 Analisi di Kaplan-Meier della probabilità di sopravvivenza tra i pazienti nei gruppi placebo e β-bloccante negli studi MERIT-HF (in alto), CIBIS II (al centro) e COPERNICUS (in basso). SCC = scompenso cardiaco cronico. (Da The Cardiac Insuffi ciency Bisoprolol Study II [CIBIS-II]: A randomised trial. Lancet 353:9, 1999; Eff ect of metoprolol CR/XL in chronic heart failure: Metoprolol CR/XL Randomised Intervention Trial in Congestive Heart Failure [MERIT-HF]. Lancet 353:2001, 1999; and Packer M, Coats AJ, Fowler MB, et al: Eff ect of carvedilol on survival in severe chronic heart failure. N Engl J Med 344:1651, 2001.)

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582sia per morte improvvisa, sia per defi cit progressivo di pompa. Inoltre, la mortalità era ridotta nella maggior parte dei sottogruppi di popolazione, compresi i soggetti più giovani vs i più anziani, l’eziologia ischemica vs la non ischemica e la frazione di eiezione più bassa vs la più alta.

Il bisoprololo è un bloccante selettivo dei recettori � 1 di seconda gene-razione, con un’affi nità circa 120 volte maggiore per i recettori umani � 1 rispetto ai � 2 . Il primo studio clinico eseguito con il bisoprololo è stato il Cardiac Insuffi ciency Bisoprolol Study I (CIBIS-I), che ha esaminato gli eff etti del bisoprololo sulla mortalità nei pazienti sintomatici con cardiomiopatia ischemica o non ischemica. Il CIBIS-I ha mostrato una riduzione del rischio di mortalità del 20% statisticamente non signifi cativa ( P = 0,22) a 2 anni di follow-up. Poiché la dimensione del campione del CIBIS-I era basata su una non realisticamente elevata frequenza attesa di eventi sfavorevoli nel gruppo di controllo, è stato successivamente condotto uno studio di fol-low-up con una più prudente stima dell’eff etto previsto e della dimensione del campione. Nel CIBIS-II, il bisoprololo ha ridotto la mortalità per tutte le cause del 32% (11,8% vs 17,3%; P = 0,002), la morte cardiaca improvvisa del 45% (3,6% vs 6,4%; P = 0,001), le ospedalizzazioni per SC del 30% (11,9% bisoprololo vs 17,6% placebo; P < 0,001) e le ospedalizzazioni per tutte le cause del 15% (33,6% vs 39,6%; P = 0,002; si veda Fig. 28.17 ). Lo studio clinico CIBIS-III ha aff rontato un interrogativo importante, ovvero se la stra-tegia di trattamento iniziale con il � -bloccante bisoprololo non sia inferiore a quella che consiste nell’iniziare il trattamento dapprima con un ACEI (enalapril) in pazienti con diagnosi recente di SC da lieve a moderato. Le due strategie sono state confrontate in cieco in rapporto all’endpoint pri-mario combinato di mortalità o ospedalizzazione per tutte le cause e in rapporto a ciascun componente dell’endpoint primario preso singolar-mente. Nell’analisi per-protocol dell’endpoint primario (l’approccio più conservativo relativamente alla non inferiorità), la morte o la riospedalizza-zione si è verifi cata nel 32,4% della strategia con bisoprololo iniziale e nel 33,1% della strategia con enalapril iniziale (HR 0,97; IC al 95%, 0,78-1,21; P = 0,046 per non inferiorità), che non ha soddisfatto i criteri di non infe-riorità specifi cati in precedenza di un hazard ratio di 1,17. Tuttavia, quando i dati sono stati utilizzati nell’analisi intent-to-treat, il bisoprololo si è dimo-strato non inferiore all’enalapril (HR 0,94; IC al 95%, 0,77-1,16; P = 0,019 per non inferiorità). Benché lo studio CIBIS-III non abbia fornito un’evidenza netta che giustifi casse l’inizio della terapia con un � -bloccante come primo farmaco, il profi lo di sicurezza complessivo delle due strategie è risultato simile. Le linee guida attuali continuano a raccomandare di iniziare in primo luogo con un ACEI, seguito dall’aggiunta successiva di un � -bloccante.

Dei tre � -bloccanti approvati per il trattamento dello SC, quello che è stato studiato in modo più esteso è il carvedilolo (si veda Tab. 28.9 ). Lo U.S. Trials Program di fase III, composto da quattro trial diff erenti condotti da una singola Steering and Data and Safety Monitoring Committee, è stato interrotto prematuramente a causa di una riduzione del 65% altamente signifi cativa ( P < 0,0001) della mortalità con il carvedilolo in tutti e quattro gli studi. A questo è seguito un secondo studio, l’Australia-New Zealand Heart Failure Research Collaborative Group Carvedilol Trial (ANZ-Carvedi-lol), che ha mostrato un miglioramento signifi cativo della FEVS ( P < 0,0001) e una riduzione signifi cativa ( P = 0,0015) dell’indice del volume telediasto-lico del VS nel gruppo trattato con carvedilolo a 12 mesi, così come una riduzione signifi cativa del rischio relativo del 26% nell’endpoint composito clinico di morte od ospedalizzazione per il gruppo trattato con carvedilolo a 19 mesi. Anche le percentuali di ospedalizzazione sono state notevol-mente più basse per i pazienti trattati con carvedilolo (48%) rispetto al placebo (58%). Lo studio Carvedilol Prospective Randomized Cumulative Survival (COPERNICUS) ha esteso questi benefi ci ai pazienti con SC in stadio più avanzato. I pazienti COPERNICUS con SC avanzato dovevano essere clinicamente euvolemici e avere una FEVS inferiore al 25%. Confron-tato con placebo, il carvedilolo ha ridotto il rischio di mortalità a 12 mesi del 38% (si veda Tab. 28.9 ) e il rischio relativo di morte o di ospedalizzazione per SC del 31% (si veda Fig. 28.17 ). Il carvedilolo è stato inoltre valutato in uno studio post-IM nel quale i pazienti dovevano presentare la disfunzione del VS. Il Carvedilol Post-Infarct Survival Controlled Evaluation (CAPRI-CORN) è uno studio clinico randomizzato, controllato con placebo, dise-gnato per esaminare l’effi cacia a lungo termine del carvedilolo su morbilità e mortalità nei pazienti con disfunzione del VS post-IM precedentemente trattata con gli ACEI. 39 Sebbene il carvedilolo non abbia ridotto l’endpoint primario prespecifi cato di mortalità e ospedalizzazione per eventi cardio-vascolari, esso ha diminuito la mortalità totale del 23% ( P = 0,03), la mor-talità cardiovascolare del 25% ( P < 0,05) e il numero di infarti miocardici non fatali del 41% ( P = 0,014). Infi ne, nello studio Carvedilol or Metoprolol European Trial (COMET), il carvedilolo (dose target, 25 mg due volte al giorno) è stato confrontato con il metoprololo tartrato a rilascio immediato (dose target, 50 mg due volte al giorno) in relazione all’endpoint primario di mortalità per tutte le cause. Nel COMET, il carvedilolo era associato a una riduzione signifi cativa del 33% della mortalità per tutte le cause se con-frontato con il metoprololo tartrato (33,9% vs 39,5%; HR 0,83; IC al 95%,

0,74-0,93; P = 0,0017). 40 In base ai risultati dello studio COMET, il metopro-lolo tartrato ad azione rapida non è raccomandato per il trattamento dello SC. I risultati di questo studio sottolineano l’importanza di usare le dosi e le formulazioni di � -bloccanti che si sono dimostrate effi caci negli studi clinici. Non sono stati condotti studi per accertare se i benefi ci in termini di sopravvivenza del carvedilolo siano superiori a quelli del metoprololo succinato CR/XL quando entrambi sono usati alle dosi target appropriate.

Non tutti gli studi con i � -bloccanti hanno avuto un successo globale e questo indica che gli eff etti di tali farmaci non devono essere necessa-riamente considerati in generale come un eff etto di classe. Gli studi ini-ziali sulla prima generazione di recettori non specifi ci � 1 e � 2 senza proprietà vasodilatatrici ausiliarie (ad es. il propranololo) hanno avuto come esito il peggioramento signifi cativo dello SC e la morte. Lo studio clinico Beta blocker Evaluation of Survival Trial (BEST) ha valutato un farmaco � -bloccante di terza generazione, il bucindololo, che è un bloc-cante � 1 e � 2 completamente non selettivo che blocca in certa misura il recettore � 1 . In questo studio il bucindololo ha prodotto una riduzione del 10% statisticamente non signifi cativa ( P = 0,10) della mortalità totale, eterogenea rispetto alla razza. Ciò vale a dire che il 76% dei soggetti dello studio BEST che non erano di razza nera ha avuto una riduzione del 19% statisticamente signifi cativa ( P = 0,01) della mortalità, mentre il 24% dei neri ha evidenziato una tendenza non signifi cativa all’aumento (del 17%) della mortalità ( P interazione < 0,05). La risposta diff erenziale del bucin-dilolo nei pazienti bianchi sembrerebbe essere secondaria a un polimor-fi smo (arginina 389) del recettore � 1 -adrenergico ( Cap. 33 ). 41 Il bucindololo non è al momento approvato per l’uso clinico.

Inoltre, non tutte le strategie antiadrenergiche sono vantaggiose per i pazienti con SC. Ad esempio, la moxonidina è un antagonista del recet-tore dell’imidazolina con una potente azione di riduzione dell’attività adrenergica. Nello studio Moxonidine in Heart Failure (MOXCON), la moxonidina SR o il placebo sono stati titolati fi no al raggiungimento della dose target di 1,5 mg 2 volte/die. 42 Questo studio è stato interrotto pre-maturamente a causa di un aumento precoce del tasso di mortalità ( ∼ 50%) e di eventi avversi nel gruppo della moxonidina SR in confronto al placebo. L’analisi dei livelli di noradrenalina (NA) ha mostrato che essi erano signifi cativamente inferiori nel braccio di trattamento della moxo-nidina; questo indica che l’inibizione (sospensione) generalizzata del sistema simpatico può essere nociva nei pazienti con SC. Il nebivololo è un antagonista selettivo dei recettori � 1 , non ancora approvato per il trattamento dello SC, con proprietà vasodilatatrici ausiliarie che sono mediate, almeno in parte, dall’ossido nitrico. Nello Study of Eff ects of Nebivolol Intervention on Outcomes and Rehospitalization in Seniors with Heart Failure (SENIORS), il nebivololo ha ridotto signifi cativamente (HR 0,86; IC al 95%, 0,74-0,99; P < 0,04) l’esito composito di morte od ospedalizzazioni per eventi cardiovascolari nei pazienti anziani rispetto al placebo ( P < 0,04) con una FE nota ≤ 35% o un ricovero precedente per SC entro 1 anno (il 35% aveva una FE > 35%). 43 In un’analisi per sot-togruppi prespecifi cati, gli eff etti del nebivololo vs placebo sulla morta-lità o sulle ospedalizzazioni per eventi cardiovascolari sono risultati di entità simile nei pazienti con SC e FE sia ridotta, sia conservata.

Effetti collaterali dei � -bloccanti

Gli effetti avversi dei � -bloccanti sono generalmente legati alle compli-canze prevedibili che derivano dall’interferenza con il sistema nervoso adrenergico. Queste reazioni si verifi cano solitamente diversi giorni dopo l’inizio della terapia e normalmente rispondono all’aggiustamento dei farmaci concomitanti (si veda il paragrafo “Bloccanti dei recettori � -adrenergici”). Il problema della ritenzione dei liquidi è già stato affron-tato. Il trattamento con i � -bloccanti può essere associato a sensazioni di astenia generalizzata o debolezza. Nella maggioranza dei casi, l’au-mento dell’astenia si risolve spontaneamente nel giro di alcune settima-ne o mesi; tuttavia, in alcuni pazienti può essere abbastanza grave da dover limitare la dose di � -bloccante o anche sospendere o ridurre la terapia. La terapia con i � -bloccanti può causare bradicardia e/o aumen-tare il blocco cardiaco. Inoltre questi farmaci (in particolare quelli che bloccano il recettore � 1 ) possono avere effetti collaterali di tipo vasodi-latatorio. Di conseguenza, la dose del � -bloccante deve essere diminuita qualora la frequenza cardiaca scendesse al di sotto dei 50 battiti al mi-nuto e/o si sviluppasse un blocco cardiaco di secondo o terzo grado o ipotensione sintomatica. I � -bloccanti non sono raccomandati per i pazienti con asma e broncospasmo attivo.

ANTAGONISTI DELL’ALDOSTERONE . Benché classificati come diuretici risparmiatori di potassio, i farmaci che inibiscono gli effetti dell’aldosterone (ad es. lo spironolattone) producono benefi ci che

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583sono indipendenti dagli effetti di questi farmaci sul bilancio sali-no (si veda Fig. 28.11 ). Gli ACEI possono ridurre momentaneamen-te la secrezione di aldosterone, ma con la terapia cronica l’aldo-sterone torna rapidamente un livello simile a quello precedente l’inizio degli ACEI. La somministrazione di un antagonista dell’al-dosterone è raccomandata nei pazienti con SC di classe NYHA III (in precedenza classe IV) o IV che presentano una FE depressa ( < 35%) e sono sottoposti alla terapia standard, che include i diuretici, gli ACEI e i � -bloccanti. 30 È possibile che le indicazioni per l’uso degli antagonisti dell’aldosterone saranno estese quando saranno pubblicati i risultati dello studio EMPHASIS-HF. La dose di tali farmaci deve essere aumentata fi nché le dosi utilizzate non siano simili a quelle la cui effi cacia è stata dimostrata negli studi clinici (si veda Tab. 28.8 ). Lo spironolattone deve essere sommini-strato alla dose iniziale di 12,5-25 mg/die o, talvolta, a giorni alter-ni. L’eplerenone è stato utilizzato dopo un IM in uno studio con dosi di 25 mg/die, aumentate a 50 mg/die (si veda Tab. 28.9 ). Come già sottolineato, l’integrazione di potassio viene in genere interrot-ta dopo l’inizio della terapia con gli antagonisti dell’aldosterone e ai pazienti deve essere raccomandato di evitare gli alimenti con un contenuto elevato di potassio. I livelli di potassio e la funzione renale devono essere ricontrollati entro 3 giorni e nuovamente a 1 settimana dall’inizio dell’assunzione del farmaco. Il monitorag-gio successivo è regolato in base alla stabilità clinica generale della funzione renale e della condizione dei liquidi, ma deve es-sere eseguito almeno una volta al mese per i primi 6 mesi.

Effetti collaterali degli antagonisti dell’aldosterone

Il problema principale dell’uso degli antagonisti dell’aldosterone è lo sviluppo di un’iperkaliemia potenzialmente letale, che tende a verifi carsi soprattutto nei pazienti che assumono integratori di potassio o sono affetti da insufficienza renale. Gli antagonisti dell’aldosterone non sono raccomandati in presenza di un livello di creatinina sierica superiore a 2,5 mg/dL (o la clearance della creatinina è < 30 mL/min) o di un livello di potassio sierico mag-giore di 5,5 mmol/litro. Il peggioramento della funzione renale deve portare a considerare l’interruzione della terapia a causa del rischio potenziale di iperkaliemia. Nel 10-15% dei pazienti che usano lo spironolattone può svilupparsi una ginecomastia dolo-rosa; in questo caso esso può essere sostituito dall’eplerenone.

Trattamento dei pazienti che restano sintomatici Come si è già osservato, la combinazione di un ACEI (o un ARB) e un � -bloccante deve costituire la terapia di base standard per i pazienti con SC e FEVS ridotta. La terapia farmacologica addizionale (polifarmacote-rapia) o la terapia strumentale (si veda il paragrafo “Terapia strumentale”) deve essere presa in considerazione nei pazienti con sintomi persistenti o peggioramento progressivo nonostante la terapia ottimizzata con un ACEI e un � -bloccante ( Fig. 28.18 ; si veda Tab. 28.9 ). I farmaci che possono essere considerati come facenti parte della terapia addizionale sono un ARB (classi NYHA II-IV), lo spironolattone (classi NYHA III-IV), la combinazione di idralazina e isosorbide dinitrato (classi NYHA III-IV) o la digitale. 30 La scelta ottimale in merito alla terapia farmacologica addizionale, al fi ne di migliorare ulteriormente la prognosi dei pazienti, non è stata stabilita con certezza. Pertanto, la scelta di un farmaco spe-cifi co sarà infl uenzata dalle considerazioni cliniche, comprese la funzio-ne renale, la concentrazione di potassio sierico, la pressione arteriosa e la razza (si veda il paragrafo “Razza”). La tripla combinazione di un ACE-inibitore, un ARB e un antagonista dell’aldosterone non è raccomandata a causa del rischio di iperkaliemia. La digossina è raccomandata per i pazienti con disfunzione sistolica del VS sintomatica e fi brillazione atria-le concomitante; inoltre, essa deve essere presa in considerazione per i pazienti che presentano segni o sintomi di SC mentre sono sottoposti alla terapia standard a base di ACEI e � -bloccanti.

GLICOSIDI CARDIACI . La digossina e la digitossina sono i glicosidi cardiaci utilizzati con maggiore frequenza. Poiché la digossina è usata molto comunemente ed è l’unico glicoside a essere stato valutato in

studi clinici controllati con placebo, non vi è ragione per prescrivere altri glicosidi cardiaci per il trattamento dei pazienti con SC cronico. Questa sostanza esplica i suoi effetti inibendo la pompa Na + ,K + -ATPasi nelle membrane cellulari, compresa la pompa Na + , K + -ATPasi del sar-colemma dei miociti cardiaci ( Cap. 25 ). L’inibizione della pompa Na + ,K + -ATPasi determina l’aumento del calcio intracellulare e quindi della contrattilità cardiaca, il che fa supporre che i benefi ci della digos-sina siano secondari alle sue proprietà inotrope. Tuttavia, il meccanismo più probabile con cui la digossina agisce nei pazienti con SC consiste nel sensibilizzare l’attività della Na + ,K + -ATPasi nei nervi vagali afferenti, causando un aumento del tono vagale che compensa la maggiore atti-vazione del sistema adrenergico nello SC avanzato. La digossina inibisce inoltre l’attività della Na + ,K + -ATPasi nel rene e può pertanto attenuare il riassorbimento di sodio nel tubulo renale. La terapia con questo far-maco viene comunemente iniziata e mantenuta a una dose di 0,125-0,25 mg/die. Per la maggior parte dei pazienti, la dose deve essere 0,125 mg/die e il livello di digossina sierica deve essere inferiore a 1,0 ng/mL, soprattutto nei pazienti anziani, in quelli con funzione rena-le ridotta e in quelli con scarsa massa magra. Dosi più elevate (ad es. digossina > 0,25 mg/die) sono utilizzate raramente e/o non sono rac-comandate per il trattamento dei pazienti con SC in ritmo sinusale o per coloro che presentano fi brillazione atriale. Ulteriori dettagli sulla digitale, comprese le informazioni sul meccanismo di azione, la farma-cocinetica e le interazioni con altri farmaci di uso comune, sono con-tenuti nel supplemento online (si veda il supplemento sulla digitale nel sito internet).

Sebbene i medici utilizzino i glicosidi cardiaci per trattare i pazienti con SC cronico da oltre 200 anni, il dibattito circa l’effi cacia di questi farmaci in questa popolazione di pazienti è ancora acceso. Studi su scala ridotta o media condotti negli anni Settanta e Ottanta hanno fornito risultati con-

Diagnosi di SC confermata

Valutare la ritenzione di liquidi

Ritenzione di liquidi

Diuretico

ICD se classeNYHA II o III

CRT se classe NYHAIII-IV e QRS >120 ms†

(*ARB se ACEI-intollerante)

ACE-inibitore*

NYHA I-IV

Sintomipersistenti

o popolazioniparticolari

β-bloccante

ARB Antagonistadell’aldosterone

Idralazina/isosorbideDigossina

Nessuna ritenzione di liquidi

Valutare le comorbilitàValutare i fattori scatenanti

FIGURA 28.18 Algoritmo di trattamento per i pazienti con scompenso cardiaco cronico e FE ridotta. Una volta formulata la diagnosi clinica di SC, è importante trattare la ritenzione di liquidi del paziente prima di iniziare la terapia con un ACEI (o un ARB se il paziente fosse intollerante agli ACEI). I β-bloccanti devono essere iniziati dopo che la ritenzione di liquidi è stata trattata e/o l’ACEI è stato titolato verso l’alto. Se il paziente rimane sintomatico, è possibile aggiungere un ARB o un antagonista dell’aldosterone o la digossina (terapia tripla). La combinazione a dose fi ssa di idralazina e isosorbide dini-trato deve essere aggiunta a un ACEI e a un β-bloccante nei pazienti afroamericani con SC di classe NYHA II-IV. La terapia strumentale deve essere considerata in aggiunta alla terapia farmacologica nei pazienti idonei. † I Centers for Medicare & Medicaid Services (CMS) hanno ampliato la copertura di defi brillatori CRT ( CRT-Defi brillators , CRT-D) fi no a comprendere i pazienti con blocco di branca sinistra con un QRS ≥ 130 ms, una FE ≤ 30% e uno scompenso cardiaco ischemico o non ischemico lieve (classe NYHA II) o uno scompenso cardiaco ischemico asintomatico (classe NYHA I). Le linee guida aggiornate riporteranno probabilmente le indicazioni ampliate dei CMS per l’uso dei CRT-D. (Modifi -cata da Mann DL: Heart failure and cor pulmonale. In Kasper DL, Braunwald E, Fauci AS, et al: Harrison’s Principles of Internal Medicine. 17th ed. New York, McGraw-Hill, 2007, p 1450.)

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584traddittori. Tuttavia, nei primi anni Novanta, due studi relativamente estesi sulla sospensione della somministrazione di digossina, il Randomi-zed Assessment of Digoxin and Inhibitors of Angiotensin-Converting Enzyme (RADIANCE) e il Prospective Randomized Study of Ventricular Function and Effi cacy of Digoxin (PROVED), hanno dimostrato il benefi cio clinico della somministrazione del farmaco. 44 In questi studi, il peggiora-mento dello SC e le ospedalizzazioni per SC si sono verifi cati più frequen-temente nei pazienti a cui era stato sospeso il trattamento con digossina rispetto a pazienti mantenuti con un regime terapeutico digossinico.

Tuttavia, questi studi sono di diffi cile interpretazione per quanto riguarda l’effi cacia di un certo farmaco, pertanto è stato condotto lo studio Digoxin Investigator Group (DIG) per esaminare in modo prospet-tico il ruolo della digitale nello SC cronico. Benché questo studio abbia mostrato che la digossina ha un eff etto neutro sull’endpoint primario di mortalità, essa ha ridotto le ospedalizzazioni e ha infl uito positivamente sugli endpoint combinati di mortalità od ospedalizzazione dovuta al peggioramento dello SC. I dati hanno evidenziato un forte trend ( P = 0,06) verso la diminuzione dei decessi dovuti a una progressione dell’insuffi -cienza di pompa, bilanciato da un aumento dei decessi per arresto car-diaco improvviso o non dovuti a defi cit di pompa ( P = 0,04). Una delle scoperte più importanti che emergevano dal DIG era rappresentata dalla diretta correlazione tra mortalità e livello sierico di digossina. 44 Negli uomini arruolati nel trial DIG, livelli compresi tra 0,6 e 0,8 ng/mL erano associati a una riduzione della mortalità; questo dato indica che i livelli minimi di digitale dovrebbero essere mantenuti tra 0,5 e 1,0 ng/mL. Vi sono inoltre evidenze del fatto che la digossina è potenzialmente dannosa nelle donne. In un’analisi multivariata post hoc dello studio DIG, la digossina era associata a un rischio signifi cativamente più alto (23%) di morte per qualsiasi causa nelle donne, ma non negli uomini, forse a causa del peso corporeo relativamente basso delle donne, alle quali erano prescritte dosi di digossina basate su un nomogramma anziché sui livelli minimi. 45 Lo studio DIG è stato condotto prima della diff usione dell’uso dei � -bloccanti e non è disponibile alcuno studio esteso sulla digossina in aggiunta alla terapia con ACEI e � -bloccanti.

Complicanze dell’uso della digossina

I principali effetti avversi della digossina sono i seguenti: (1) aritmie cardiache, compreso il blocco cardiaco (specialmente nei pazienti anziani) e ritmi cardiaci ectopici e da rientro; (2) problemi neurologici quali disturbi della vista, disorientamento e confusione; (3) sintomi gastrointestinali quali anoressia, nausea e vomito. Come si è già osser-vato, questi effetti collaterali possono essere in genere minimizzati mantenendo livelli minimi di 0,5-1,0 ng/mL. Nei pazienti con SC, la tossicità digitalica conclamata tende a emergere in presenza di con-centrazioni sieriche superiori a 2,0 ng/mL; tuttavia, la tossicità digitalica può verifi carsi con livelli inferiori di digossina, in particolare se coesiste un’ipocalcemia o un’ipomagnesiemia. La somministrazione orale di potassio è spesso utile per i ritmi ectopici atriali, giunzionali AV o ven-tricolari, anche quando il livello di potassio sierico è nell’intervallo di normalità, a meno che non sia presente anche un blocco AV di grado elevato. Tuttavia, i livelli di K + sierico devono essere monitorati attenta-mente per evitare l’iperkaliemia, specialmente nei pazienti con insuffi -cienza renale o in quelli che assumono gli antagonisti del recettore dell’aldosterone. La tossicità della digossina, potenzialmente letale, può essere neutralizzata dall’immunoterapia antidigossina usando frammen-ti Fab purificati (per ulteriori dettagli si veda il sito internet). L’uso concomitante di chinidina, verapamil, spironolattone, fl ecainide, pro-pafenone e/o amiodarone può aumentare i livelli di digossina sierica e può aumentare il rischio di reazioni avverse (si veda il sito internet). I pazienti con blocco cardiaco avanzato non devono assumere la digi-tale, a meno che non sia stato loro impiantato un pacemaker.

ACIDI GRASSI POLINSATURI N-3 (omega-3) . Esiste un ampio nu-mero di evidenze sperimentali a sostegno del fatto che gli acidi grassi polinsaturi n-3 ( n-3 PolyUnsaturated Fatty Acid , n-3 PUFA; acidi grassi omega-3) hanno effetti benefi ci sull’infi ammazione (riduzione dell’at-tivazione endoteliale e produzione di citochine proinfi ammatorie), sull’aggregazione piastrinica, sul tono neurovegetativo, sulla pressione arteriosa, sulla frequenza cardiaca e sulla funzione del VS. Lo studio clinico GISSI-HF (Gruppo Italiano per lo Studio della Sopravvivenza nell’Insuffi cienza Cardiaca-Heart Failure) ha mostrato che la sommini-strazione a lungo termine di 1 g/die di acidi grassi omega-3 produce una riduzione statisticamente signifi cativa sia della mortalità per tutte le

cause (HR corretto 0,91; IC al 95,5% 0,83-0,99; P = 0,041) sia di mortalità per tutte le cause e ricoveri per eventi cardiovascolari (HR corretto 0,92; IC al 99%, 0,85-0,99; P = 0,009) in tutti i sottogruppi prestabiliti, compresi i pazienti con SC e cardiomiopatia non ischemica. 46 Sebbene gli acidi grassi omega-3 non siano raccomandati dalle attuali linee guida, si può prendere in considerazione il loro impiego nei pazienti che rimangono sintomatici nonostante la terapia medica ottimale.

Trattamento della malattia aterosclerotica La valutazione clinica della patologia cardiovascolare ateroscleroti-ca nei pazienti con SC è discussa nel Capitolo 26 . Nei pazienti con IM pregresso e SC senza angina si è visto che l’uso degli ACEI e dei � -bloccanti riduce il rischio di reinfarto e morte. L’acido acetilsalicili-co ha mostrato di ridurre il rischio di eventi ischemici importanti nei pazienti senza SC, ma il suo ruolo nei pazienti con SC non è stato an-cora stabilito con chiarezza. 30 Studi precedenti hanno suggerito che l’uso dell’acido acetilsalicilico può attenuare gli effetti positivi degli ACEI nei pazienti con SC. Per queste ragioni, il ruolo dell’acido acetil-salicilico nella prevenzione degli eventi ischemici nei pazienti con SC cronico rimane controverso. Gli antiaggreganti piastrinici alternativi (ad es. clopidogrel) possono non interagire negativamente con gli ACEI e avere effetti maggiori nel prevenire gli eventi clinici; tuttavia, non è stata dimostrata la loro capacità di infl uire favorevolmente sulla prognosi dello SC. Benché alcuni medici raccomandino l’uso della rivascolarizzazione coronarica nei pazienti con SC e CAD che non presentano sintomi di angina, non è dimostrato che essa migliori la funzione cardiaca o la sintomatologia o prevenga il reinfarto o la morte nei pazienti con SC senza angina. Si è visto invece che l’innesto di un bypass aortocoronarico migliora i sintomi e la sopravvivenza dei pazienti con FE lievemente ridotta e angina, sebbene i pazienti con SC conclamato o una funzione ventricolare marcatamente ridotta siano in genere esclusi da questi studi. A tale scopo è in corso uno studio clinico sovvenzionato dai National Institutes of Health per va-lutare l’utilità della rivascolarizzazione chirurgica in questi pazienti ( Cap. 31 ). Mentre i risultati degli studi clinici randomizzati sono in via di valutazione, è ragionevole prendere in considerazione la rivascola-rizzazione coronarica con intervento di bypass coronarico o interven-to coronarico percutaneo nei pazienti con SC che presentano angina e un’anatomia coronarica compatibile o per coloro che hanno eviden-za dimostrabile di vitalità miocardica in aree di coronaropatia ostrut-tiva signifi cativa e/o presenza di ischemia inducibile. 30 Il trattamento chirurgico dei pazienti con CAD e SC è affrontato nel Capitolo 31 .

Popolazioni particolari DONNE . Sebbene le donne costituiscano una percentuale signifi cati-va degli individui affetti dall’epidemia crescente di scompenso cardia-co, esse sono scarsamente rappresentate negli studi clinici ( Cap. 81 ). Le donne affette da scompenso cardiaco sono probabilmente più anziane (si veda Fig. 28.1 ), hanno una EF conservata ( Cap. 30 ) e la causa del loro SC non è ischemica. Nonostante gli studi clinici abbiano dimostra-to un miglioramento della prognosi nei pazienti con SC e FE ridotta, essi hanno arruolato principalmente uomini e spesso non sono stati statisticamente adeguati per individuare un beneficio nelle donne. Nondimeno, alcune analisi combinate di numerosi studi clinici retro-spettivi su larga scala con i � -bloccanti e gli ACEI hanno indicato che questi farmaci producono vantaggi simili, in termini di sopravvivenza, nelle donne con disfunzione sistolica così come negli uomini. 47 Inoltre, alcuni studi hanno suggerito che gli ARB potrebbero aumentare la so-pravvivenza nelle donne più degli ACEI.

RAZZA . I dati epidemiologici (si veda il paragrafo “Epidemiologia”) e quelli derivati dagli studi clinici hanno messo in evidenza potenziali aree problematiche per quanto riguarda la valutazione e il trattamento dello SC nei neri ( Cap. 2 ). Un’analisi retrospettiva, il Vasodilator in Heart Failure Trial I (V-HeFT I), ha suggerito che la mortalità complessiva e le ospedalizzazioni per SC si riducono signifi cativamente nei pazienti di razza nera che sono sottoposti a una terapia combinata a base di idra-lazina e isosorbide, mentre i pazienti bianchi non mostrano effetti dovuti

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585a tale trattamento rispetto al placebo. Invece, nello studio V-HeFT II, solo i pazienti di razza bianca hanno evidenziato una riduzione signi-fi cativa della mortalità in seguito alla terapia con un ACEI (enalapril) in confronto al trattamento con idralazina e isosorbide, mentre i pazien-ti neri non hanno tratto alcun beneficio apparente dagli ACEI. 7 Per analizzare il ruolo della terapia con idralazina più isosorbide negli in-dividui di razza nera, l’African-American Heart Failure Trial (A-HeFT) ha confrontato l’uso associato di una formulazione brevettata di isosor-bide dinitrato e idralazina con un regime terapeutico standard per lo SC costituito da ACEI, � -bloccanti e diuretici in soggetti di razza nera con SC di classe NYHA III o IV. 48 L’endpoint primario era un punteggio composito formato dai valori ponderati per la morte per qualsiasi causa, una prima ospedalizzazione per SC e il cambiamento della qualità della vita. Lo studio è stato interrotto anzitempo perché si era verifi cata una riduzione signifi cativa del 43% del tasso di mortalità per qualsiasi causa (si veda Fig. 2.6 ) e una riduzione relativa signifi cativa del 33% del tasso di prima ospedalizzazione per SC. Il meccanismo alla base dell’effetto benefi co della terapia con idralazina e isosorbide può essere legato alla migliore biodisponibilità dell’ossido nitrico; tuttavia, il gruppo della terapia combinata ha avuto anch’esso un effetto lieve (ma signifi cativo) di abbassamento della pressione arteriosa. L’effetto di questa combinazione di isosorbide dinitrato e idralazina in altri pazienti con SC sottoposti alla terapia standard non è noto, poiché la popolazione presa in esame nello studio A-HeFT era limitata ai sogget-ti di razza nera. Non vi è ragione tuttavia di ritenere che questo benefi -cio sia limitato a questa popolazione. I risultati dello studio A-HeFT in-dicano che l’aggiunta di isosorbide dinitrato e idralazina al regime te-rapeutico standard per lo SC, costituito da ACEI e � -bloccanti, è ragio-nevole e può essere effi cace nei soggetti di razza nera con SC di classe funzionale NYHA III o IV (si veda Fig. 28.18 ). La branca emergente della medicina genomica ha iniziato a suggerire che varianti importanti dell’espressione di particolari polimorfi smi di singoli nucleotidi ad alto rischio possono evidenziarsi in gruppi razziali specifi ci e possono for-nire una base fi siologica alle differenze riscontrate nella storia naturale dello SC e nella responsività ai farmaci ( Capp. 10 e 33 ).

PAZIENTI ANZIANI . Come si è osservato, la prevalenza dello SC aumenta con l’età (si veda Fig. 28.1 ) ed esso è la ragione più comune di ospedalizzazione nei pazienti anziani ( Cap. 80 ). È importante sotto-lineare che, in questo tipo di pazienti, lo SC può manifestarsi in modi diversi. Nonostante essi presentino comunemente i sintomi classici della dispnea e dell’astenia, è più facile che lamentino sintomi atipici, quali alterazione dello stato mentale, depressione o riduzione delle funzioni fi siche. 49 L’approccio terapeutico dello SC con FE ridotta nei pazienti anziani deve essere, in linea di principio, identico a quello dei pazienti giovani rispetto alla scelta della terapia farmacologica. Tuttavia, l’alterazione delle proprietà farmacocinetiche e farmacodinamiche dei farmaci cardiovascolari nei pazienti anziani può rendere necessaria un’applicazione più prudente di queste terapie, con riduzione dei do-saggi ove necessario. Altri fattori complicanti possono essere l’attenua-zione della funzione dei barocettori e l’alterazione ortostatica della pressione arteriosa, che rendono diffi cile l’utilizzo di dosi target di al-cuni antagonisti neurormonali. I programmi multidisciplinari relativi allo SC sono riusciti a diminuire la percentuale di ricoveri ripetuti e la morbilità a essi associata nei pazienti anziani (si veda il paragrafo “Gestione della malattia”).

PAZIENTI NEOPLASTICI . I pazienti affetti da una neoplasia sono particolarmente predisposti a sviluppare lo SC a causa degli effetti cardiotossici di molti farmaci chemioterapici oncologici. Il trattamento di questi pazienti è discusso nel Capitolo 90 .

Terapia anticoagulante e antiaggregante Nei pazienti con SC, il rischio di eventi tromboembolici arteriosi o ve-nosi è più elevato. Negli studi clinici sullo SC, la percentuale di ictus varia dall’1,3 al 2,4%/anno. Si ritiene che la funzione ridotta del VS fa-vorisca la stasi relativa del sangue nelle camere cardiache dilatate, fa-cendo aumentare il rischio che si formino dei trombi. Il trattamento con il warfarin (International Normalized Ratio [INR] target = 2,0-3,0) è

raccomandato per tutti i pazienti con SC e fi brillazione atriale cronica o parossistica e anamnesi positiva per emboli sistemici o polmonari, compresi l’ictus e l’attacco ischemico transitorio. I pazienti con cardio-miopatia ischemica sintomatica o asintomatica e recente IM anteriore esteso documentato, o IM recente con trombo del VS documentato, devono essere trattati con il warfarin (INR target = 2,0-3,0) per i primi 3 mesi successivi all’evento, a meno che non vi siano controindicazioni. In assenza di queste indicazioni, la strategia ottimale per prevenire l’ictus nei soggetti con SC è meno certa.

In un’analisi retrospettiva nell’ambito degli studi SOLVD, il warfarin è stato associato a una riduzione degli eventi cardiovascolari e della mortalità, ma in altre analisi retrospettive non si è osservata alcuna diff erenza con la terapia antiaggregante o anticoagulante. A oggi sono stati pubblicati due studi retrospettivi randomizzati sull’anticoagulazione nello SC; tuttavia, entrambi erano troppo sottodimensionati per poter mostrare una diff e-renza degli esiti clinici. Il Warfarin/Aspirin Study in Heart Failure (WASH) non ha evidenziato diff erenze negli esiti primari combinati di morte, IM o ictus in pazienti con SC che erano stati randomizzati all’assunzione di warfarin (INR target = 2,5), di acido acetilsalicilico 300 mg o a nessuna terapia. 50 Nello studio Warfarin and Antiplatelet Therapy in Chronic Heart Failure (WATCH), i pazienti con scompenso cardiaco sintomatico e FE ridotta sono stati randomizzati al trattamento con acido acetilsalicilico, 162 mg/die, clopidogrel, 75 mg/die o al trattamento in aperto con warfa-rin per il raggiungimento di un INR di 2,5-3. 50 Non vi sono state diff erenze nella misura dell’esito primario di morte, IM non fatale o ictus non fatale, sebbene il warfarin fosse associato a un numero inferiore di ictus non fatali rispetto all’acido acetilsalicilico o al clopidogrel. Per aff rontare più effi cacemente questa importante questione, il National Institutes of Neu-rological Disorders and Stroke (NINDS) sta conducendo lo studio WARCEF (Warfarin Versus Aspirin in Reduced Cardiac Ejection Fraction; codice identifi cativo ClinicalTrials.gov NCT00041938) al fi ne di determinare se vi siano diff erenze tra il warfarin (INR = 2,5-3) e l’acido acetilsalicilico (325 mg) in relazione alla sopravvivenza libera da eventi per l’endpoint composito di mortalità per tutte le cause e ictus oppure solo ictus (ischemico o emor-ragico). Al momento attuale, in assenza di dati certi, la decisione di anti-coagulare deve essere presa su base individuale nei pazienti con cardio-miopatia dilatativa e FE ≤ 35%. L’acido acetilsalicilico è al momento la terapia raccomandata per i pazienti con SC e cardiopatia ischemica al fi ne di prevenire l’IM e la morte. Sono tuttavia preferibili dosaggi bassi (75 o 81 mg), poiché si teme che dosi più elevate possano indurre un peggio-ramento dello SC, come osservato in precedenza.

Trattamento delle aritmie cardiache Il trattamento delle aritmie atriali è discusso dettagliatamente nei Capi-toli 39 e 40 . In breve, la fi brillazione atriale si verifi ca nel 15-30% dei pazienti con SC ed è una causa frequente di scompenso cardiaco (si veda Tab. 28.6 ). La maggior parte dei farmaci antiaritmici, a eccezione di amiodarone e dofetilide, ha effetti inotropi negativi e proaritmici. L’amiodarone è un antiaritmico di classe III con effetti inotropi negativi e/o proaritmici scarsi o nulli; inoltre è effi cace contro le aritmie sopra-ventricolari. È il farmaco di elezione per ristabilire e mantenere il ritmo sinusale e può aumentare la riuscita della cardioversione elettrica nei pazienti con SC. L’amiodarone innalza il livello di fenitoina e digossina e prolunga l’INR nei pazienti che assumono il warfarin. Pertanto, spesso è necessario ridurre la dose di tali farmaci anche del 50% quando si inizia la terapia con l’amiodarone. Il rischio di eventi avversi, quali iper-tiroidismo, ipotiroidismo, fi brosi polmonare ed epatite, è relativamente esiguo, in particolare se le dosi di amiodarone utilizzate sono basse (100-200 mg/die). Il dronedarone è un nuovo farmaco antiaritmico che riduce l’incidenza di fi brillazione e fl utter atriali e ha effetti elettrofi sio-logici simili a quelli dell’amiodarone, ma non contiene iodio, pertanto non causa reazioni avverse a esso correlate. Benché il dronedarone sia risultato notevolmente più effi cace del placebo nel mantenere il ritmo sinusale in diversi studi, lo studio ANDROMEDA (European Trial of Dronedarone in Moderate to Severe Congestive Heart Failure) è stato interrotto prematuramente perché la mortalità era raddoppiata (HR 2,13; IC al 95%, 1,07-4,25; P = 0,167) tra i pazienti con SC trattati con questo farmaco. 51 L’eccessiva mortalità era legata soprattutto al peggioramento dello scompenso cardiaco. Come conseguenza di questo studio, il dro-nedarone è controindicato nei pazienti con SC di classe IV o in quelli con SC di classe II o III che di recente hanno avuto un peggioramento

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586dello scompenso cardiaco. A causa dei possibili effetti proaritmici dei farmaci antiaritmici nei pazienti con disfunzione del VS, è preferibile trattare le aritmie ventricolari mediante l’uso di defi brillatori impianta-bili (ICD), da soli o in associazione con amiodarone ( Cap. 29 ).

Terapia strumentale RESINCRONIZZAZIONE CARDIACA . La terapia di resincronizza-zione cardiaca ( Cardiac Resynchronization Therapy , CRT) è trattata nel dettaglio nei Capitoli 29 e 38 . Quando la CRT viene aggiunta alla terapia medica ottimale nei pazienti con ritmo sinusale, si ottiene una diminu-zione signifi cativa delle morti e delle ospedalizzazioni, l’inversione del rimodellamento del VS e l’aumento della qualità della vita e della ca-pacità di esercizio fi sico. 52 È opportuno considerare l’impianto di un dispositivo di stimolazione biventricolare nei pazienti con SC di classe NYHA III o IV e FE depressa ( < 30-35%) che sono già sottoposti alla te-rapia di base ottimale, composta da un ACEI, un ARB, un � -bloccante o un antagonista dell’aldosterone da assumere per diversi mesi (si veda Fig. 28.18 ).

DEFIBRILLATORI IMPIANTABILI . Informazioni dettagliate sugli ICD sono contenute nei Capitoli 29, 38 e 41 . Brevemente, si è visto che l’impianto profi lattico di un ICD nei pazienti con SC da lieve a mode-rato (classe NYHA II o III) riduce l’incidenza di morte cardiaca improv-visa nei pazienti con cardiomiopatia ischemica o non ischemica. Di conseguenza, è opportuno considerare l’impianto di un ICD nei pazien-ti con SC di classe NYHA II o III e FE ridotta ( < 30-35%) che sono già sottoposti alla terapia di base ottimale, composta da un ACEI, un ARB, un � -bloccante o un antagonista dell’aldosterone da assumere per di-versi mesi, e che hanno un’aspettativa di vita in buono stato funzionale superiore a 1 anno (si veda Fig. 28.18 ).

Disturbi respiratori del sonno Il tema dei disturbi del sonno nella patologia cardiovascolare è tratta-to dettagliatamente nel Capitolo 79 . I pazienti con SC e FE ridotta ( < 40%) presentano con frequenza disturbi respiratori del sonno; circa il 40% soffre di apnea centrale del sonno ( Central Sleep Apnea , CSA), denominata comunemente respiro di Cheyne-Stokes ( Cap. 26 ), mentre un altro 10% presenta l’apnea ostruttiva del sonno ( Obstructive Sleep Apnea , OSA). La CSA associata al respiro di Cheyne-Stokes è una forma di respirazione periodica, in cui l’apnea e l’ipopnea centrali si alter-nano a periodi di iperventilazione caratterizzati da un andamento crescente-decrescente del volume corrente. I fattori di rischio per lo sviluppo della CSA nei pazienti con SC sono il sesso maschile, un’età superiore ai 60 anni, la presenza di fi brillazione atriale e l’ipocapnia. 53 La Figura 28.19 illustra i meccanismi che si suppone siano alla base delle oscillazioni periodiche della ventilazione nel quadro dello SC. Il signifi cato clinico principale della CSA nello SC è che essa è associa-ta a un aumento della mortalità; non è chiaro se ciò sia dovuto al fatto che il respiro di Cheyne-Stokes che accompagna la CSA è un rifl esso dello stadio avanzato della malattia, caratterizzato da funzione ridotta del VS, o se la sua presenza costituisca un infl usso avverso aggiuntivo e separato sugli esiti. Ciononostante, le analisi multivariate hanno in-dicato che la CSA rimane un fattore di rischio indipendente di morte o trapianto cardiaco, anche dopo la verifi ca dei fattori di rischio po-tenzialmente confondenti. I possibili meccanismi alla base degli esiti avversi nei pazienti con SC e CSA possono essere attribuiti alla mar-cata attivazione neurormonale, in particolare della noradrenalina. Alcuni studi hanno suggerito che i respiri di Cheyne-Stokes possono essere risolti trattando lo SC in modo appropriato. Tuttavia, se il pa-ziente continuasse a presentare sintomi collegati a disturbi respiratori del sonno (diffi coltà dell’induzione o del mantenimento del sonno), nonostante l’ottimizzazione delle terapie per lo SC (si veda Fig. 28.19 ),

PaO2

PaCO2

IperventilazioneRecettoripolmonari

di irritazione

Edemapolmonare

Insufficienza VS Gittata cardiaca Pressione di riempimento del VS

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Postcarico VS Fabbisogno di O2 del miocardio

Vasocostrizione PA

Recettoripolmonari

di stiramento

Chemo-cettori

Statodi eccitabilità

SNA

Apneacentrale

PaCO2

Apporto di O2al miocardio

FIGURA 28.19 Fisiopatologia della CSA e del respiro di Cheyne-Stokes nello SC. Lo SC determina l’aumento della pressione di riempimento cardiaco. La conge-stione polmonare che ne deriva attiva i recettori vagali polmonari di irritazione, che stimolano l’iperventilazione e l’ipocapnia. Stimolazioni sovrapposte causano ulteriori aumenti improvvisi della ventilazione e spingono la pressione parziale dell’anidride carbonica nel sangue arterioso (PaCO 2 ) al di sotto della soglia per la ven-tilazione, scatenando un’apnea centrale. Le CSA sono mantenute dallo stato di eccitabilità ricorrente che deriva dall’ipossia indotta dall’apnea e dalla crescente dif-fi coltà a respirare durante la fase di ventilazione a causa della congestione polmonare e della ridotta compliance polmonare. L’aumento dell’attività del sistema simpatico causa l’aumento della pressione arteriosa (PA) e della frequenza cardiaca (FC), così come della richiesta miocardica di ossigeno (O 2 ) in presenza di apporto ridotto. PaO 2 = pressione parziale dell’ossigeno nel sangue arterioso; SNA = attività del sistema nervoso simpatico. (Modifi cata da Bradley TD, Floras JS: Sleep apnea and heart failure. Part II: Central sleep apnea. Circulation 107:1822, 2003.)

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587egli dovrebbe essere sottoposto a uno studio completo del sonno durante la notte (polisonnografi a).

Allo stato attuale, non vi è un consenso unanime su come e se la CSA debba essere trattata. Poiché la CSA è in certa misura una manifestazione dello SC avanzato, il primo passo è ottimizzare la terapia farmacologica, che comprende una terapia diuretica aggressiva per ridurre la pressione di riempimento cardiaco e l’uso di ACEI, ARB e � -bloccanti, che possono at-tenuare la gravità della CSA. In alcuni casi, tuttavia, l’alcalosi metabolica che deriva dall’uso dei diuretici può predisporre alla CSA riducendo la diff eren-za tra il livello di PaCO 2 circolante e la soglia di PaCO 2 necessaria perché si sviluppi l’apnea. 53 Si è osservato che l’impiego di ossigeno durante la not-te e di dispositivi che forniscono pressione positiva continua nelle vie aeree allevia la CSA, elimina l’ipossia correlata all’apnea, riduce i livelli di noradre-nalina notturna e induce un miglioramento funzionale e della sintomato-logia nei pazienti con SC, se l’utilizzo è limitato nel tempo (fi no a 1 mese). Tuttavia, non sono stati valutati gli eff etti dell’ossigeno supplementare sugli endpoint cardiovascolari per periodi più prolungati. Benché non vi sia un’evidenza diretta che indichi che il trattamento dei disturbi respiratori del sonno previene lo sviluppo dello SC, la ventilazione a pressione positi-va continua delle vie aeree (CPAP) per trattare la disfunzione del VS accer-tata si è dimostrata effi cace per migliorare la struttura e la funzione del VS nei pazienti con sindrome respiratoria da OSA o CSA. Nonostante il miglio-ramento con la CPAP sia stato misurato oggettivamente, questa modalità di trattamento non ha portato a un prolungamento della vita nello studio Canadian Continuous Positive Airway Pressure for Patients with Central Sleep Apnea and Heart Failure (CANPAP). 54 Nel CANPAP, pazienti con SC e apnea centrale del sonno sono stati randomizzati a ricevere o non ricevere la CPAP per un periodo medio di 2 anni. Lo studio è stato interrotto pre-maturamente dopo avere osservato che il tasso di eventi relativo a morte o trapianto era troppo basso per individuare una diff erenza basata sul tasso di eventi atteso, utilizzato per determinare le dimensioni del campio-ne dello studio. Nessuna diff erenza è stata rilevata nell’endpoint primario di morte o trapianto ( P = 0,54), né vi era una diff erenza signifi cativa nella frequenza di ospedalizzazioni tra gruppi (0,56 vs 0,61 ospedalizzazioni/pazienti anno; P = 0,45). Saranno necessari studi aggiuntivi per valutare l’effi cacia di questi tipi di interventi nei pazienti con SC.

Gestione della malattia Nonostante le prove scientifi che convincenti a sostegno del fatto che gli ACEI, gli ARB, i � -bloccanti e gli antagonisti dell’aldosterone ridu-cono le ospedalizzazioni e la mortalità dei pazienti con SC, queste te-rapie che prolungano la vita continuano a essere sottoutilizzate al di fuori dell’ambiente decisamente artifi ciale delle sperimentazioni clini-che. Numerosi studi in una serie di contesti clinici differenti hanno documentato che una percentuale signifi cativa di pazienti con SC non è sottoposta a trattamento con terapie raccomandate dalle linee guida e basate sulle evidenze. 55 La mancata erogazione della terapia medica ottimale ai pazienti con SC è quasi certamente multifattoriale, come per altre complesse condizioni croniche caratterizzate da morbilità e mortalità consistenti. Inoltre, a causa del fatto che molti pazienti con SC sono anziani e spesso hanno diverse patologie concomitanti, il compito del personale sanitario è particolarmente arduo. La terapia ottimale dello SC prevede i seguenti elementi: (1) una rete di operato-ri sanitari, addestrati per l’erogazione del trattamento e degli interven-ti relativi allo SC, formata da infermieri, case manager , medici, farma-cisti, assistenti sociali, dietisti, fi sioterapisti, psicologi e tecnici informa-tici specializzati; (2) un metodo di comunicazione delle informazioni al paziente, che comprende l’educazione del paziente, dei suoi fami-liari e di coloro che lo assistono, la gestione dei farmaci, il supporto di altri pazienti o qualche forma di assistenza nel periodo postacuto; (3) un metodo per garantire che il paziente riceva e comprenda le infor-mazioni; (4) un sistema per incoraggiare l’aderenza al regime terapeu-tico raccomandato e la compliance del paziente. Alcuni studi hanno mostrato che molte delle diffi coltà del fornire l’assistenza ottimale ai pazienti con SC possono essere superate mediante un approccio clini-co integrato e specifi co per lo SC, che si avvale di assistenza medica e infermieristica supplementare per fornire le cure necessarie e assicu-rare la loro implementazione. 56 Anche le strategie tecnologicamente avanzate che usano il telemonitoraggio a basso costo appaiono pro-mettenti in termini di miglioramento della gestione e della prognosi dello SC ( Cap. 29 ), 57 e mettono in evidenza l’importanza della gestione

di gruppo nell’assistenza a questi pazienti complessi. Si è osservato che un approccio allo SC che preveda una gestione della malattia riduce le ospedalizzazioni e aumenta la percentuale dei pazienti che riceve la terapia ideale raccomandata dalle linee guida. 58 Studi recenti hanno dimostrato che i programmi di gestione della malattia non devono essere necessariamente limitati all’ambiente ambulatoriale; i sistemi di gestione della malattia in ambiente ospedaliero possono migliorare l’assistenza medica e l’educazione dei pazienti ricoverati e accelerare l’uso di terapie raccomandate e basate sulle evidenze somministran-dole prima della dimissione dall’ospedale. 30 Benché queste strategie possano migliorare la sopravvivenza, non è stabilito se esse abbiano necessariamente un migliore rapporto costo-effi cacia. Di conseguenza, il problema principale dei programmi di gestione della malattia sarà determinare come sostenere il personale aggiuntivo necessario per implementare questo modello assistenziale.

Pazienti con scompenso cardiaco terminale refrattario (stadio D) I pazienti con SC causato da FEVS ridotta rispondono generalmente bene ai trattamenti farmacologici e non farmacologici basati sulle evidenze e godono di una buona qualità della vita e di un signifi cativo prolungamento della stessa. Tuttavia, per ragioni che non sono chiare, alcuni pazienti non migliorano o presentano una rapida recidiva dei sintomi, nonostante le terapie mediche e strumentali ottimali. Questi soggetti rappresentano lo stadio più avanzato dello SC (stadio D) e devono essere sottoposti a strategie terapeutiche specializzate, quali il supporto circolatorio meccanico ( Cap. 32 ), la terapia inotropa endo-venosa continua, la valutazione per il trapianto cardiaco ( Cap. 31 ) o le cure palliative. Tuttavia, prima che al paziente sia diagnosticato lo SC refrattario, i medici devono individuare ogni condizione concomitante (si veda Tab. 28.6 ) e garantire che siano state utilizzate in modo ottima-le tutte le strategie mediche convenzionali (si veda Fig. 28.18 ). In man-canza di possibili ulteriori terapie, è necessario affrontare il tema della prognosi e delle opzioni di assistenza palliativa ( Cap. 34 ).

Prospettive future Come già osservato, la terapia con ACEI, ARB, antagonisti dell’aldosterone, � -bloccanti e i dispositivi cardiaci hanno migliorato in modo sostanziale la qualità e la durata della vita dei pazienti con SC e FE ridotta. Purtroppo, la possibilità di aumentare ulteriormente l’antagonismo dei sistemi neu-rormonali e citochinici sembra essere limitata, in quanto gli studi che hanno tentato di aggiungere l’inibizione neurormonale e citochinica alla terapia di base con ACE-inibizione e � -blocco non hanno avuto per la maggior parte esiti positivi. Questi insuccessi riguardano alcuni parti-colari antagonisti dell’endotelina, antagonisti del fattore di necrosi tumo-rale e inibitori dell’endopeptidasi neutra, il che indica i limiti potenziali delle strategie inibitorie neurormonali e segnala con forza la necessità di approcci diversi nello sviluppo dei farmaci. Gli approcci attualmente in corso riguardano nuove piccole molecole, la terapia di sostituzione cellulare ( Cap. 11 ) e la terapia genica ( Cap. 33 ), accompagnati da un apprezzamento crescente per il ruolo della farmacogenetica ( Capp. 10 e 33 ). L’ulteriore affi namento della tecnologia dei dispositivi e la selezione appropriata dei pazienti può fare in modo che le terapie strumentali, soprattutto la CRT, siano estese a pazienti più idonei. È pro-babile che una o più terapie aventi come obiettivo i meccanismi disadat-tativi e/o il rimodellamento cardiaco porterà presto a risultati positivi.

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LINEE GUIDA DOUGLAS L. MANN Trattamento dello scompenso cardiaco nei pazienti con frazione di eiezione ridotta

trattamento dello scompenso cardiaco cronico sono state pubblicate nel 2008. 8 Rispecchiando il crescente interesse per l’importanza della preven-zione dello scompenso cardiaco, le attuali linee guida ACC/AHA classifi -cano i pazienti in quattro stadi: Stadio A: i pazienti sono a rischio elevato di sviluppare lo scompenso

cardiaco ma non hanno alterazioni strutturali del cuore Stadio B: i pazienti hanno un’alterazione strutturale del cuore ma non

hanno sviluppato sintomi di scompenso cardiaco Stadio C: i pazienti presentano sintomi pregressi o in atto di scompenso

cardiaco associato a una sottostante patologia cardiaca strutturale

Le linee guida per la valutazione e il trattamento dello scompenso cardiaco sono state pubblicate nel 2005 1 da un gruppo di lavoro nato dalla collabo-razione tra l’American College of Cardiology e l’American Heart Association (ACC/AHA) e sono state successivamente aggiornate nel 2009. 2 Queste linee guida hanno sostituito sia precedenti raccomandazioni pubblicate dall’ACC/AHA nel 2001 3 e nel 1995 4 sia le linee guida della Agency for Health Care Policy and Research del 1994 5 e della Heart Failure Society of America del 1999. 6 La Heart Failure Society ha pubblicato nuove linee guida nel 2006, 7 completamente revisionate nel 2010. Le linee guida più recenti della European Society of Cardiology (ESC) per la diagnosi e il

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Stadio D: i pazienti sono allo stadio terminale e richiedono strategie di trattamento specializzate, come il supporto circolatorio meccanico, infusioni continue di inotropi, trapianto cardiaco o cure palliative L’utilità del sistema a quattro stadi è che raccomanda interventi per i

pazienti asintomatici con l’obiettivo di prevenire i segni o i sintomi dello scompenso cardiaco. La tradizionale classifi cazione in classi funzionali della New York Heart Association (NYHA), invece, misura principalmen-te la gravità dei sintomi dei pazienti che sono allo stadio C o D. La Figu-ra 28L.1 riassume le raccomandazioni guida per la terapia di ogni singo-lo stadio.

Come nelle altre linee guida ACC/AHA, queste raccomandazioni clas-sifi cano gli interventi in una delle tre classi seguenti, inclusi i due livelli del gruppo intermedio: classe I: condizioni per cui vi sono evidenze e/o consenso unanime sul

fatto che una determinata procedura/terapia è utile ed effi cace classe II: condizioni per le quali le evidenze riguardo l’utilità/effi cacia della

procedura/terapia sono confl ittuali e/o vigono pareri discordanti

classe IIa: il peso dell’evidenza/opinione comune è a favore dell’utilità/effi cacia

classe IIb: l’utilità/effi cacia non è ben stabilita dall’evidenza e dall’opi-nione comune

classe III: condizioni per le quali vi sono evidenze e/o consenso unanime circa il fatto che una procedura o terapia non sia utile o effi cace e in alcuni casi possa risultare nociva Le linee guida ACC/AHA hanno inoltre adottato una convenzione per

classifi care i livelli di evidenza sui quali sono state basate le raccomanda-zioni. Le raccomandazioni di livello A si basano sui dati raccolti da più studi clinici randomizzati; le raccomandazioni di livello B derivano da un unico studio randomizzato o da studi non randomizzati; le raccomandazio-ni di livello C si basano sul consenso degli esperti. Le linee guida sottoline-ano che la forza dell’evidenza non rifl ette necessariamente la forza della raccomandazione. Un trattamento può essere controverso malgrado sia stato valutato in studi clinici controllati; al contrario, una forte raccoman-dazione può essere supportata solo da dati storici o da nessun dato.

A RISCHIO DI SCOMPENSO CARDIACO SCOMPENSO CARDIACO

Stadio AAd alto rischio di SC

ma senza una cardiopatiastrutturale o sintomi di SC

Stadio BCardiopatia strutturale

ma senza segnio sintomi di SC

Stadio CCardiopatia strutturalecon sintomi pregressi

o in atto di SC

Stadio DSC refrattarioche richiede

interventi specializzati

Obiettivi• Trattare l’ipertensione• Incentivare la cessazione del fumo di sigaretta• Trattare le dislipidemie• Incentivare l’esercizio fisico regolare• Scoraggiare l’assunzione di alcolici e l’uso di droghe• Controllare la sindrome metabolica

• Tutte le misure dello stadio A

• Tutte le misure degli stadi A e B• Restrizione alimentare di sodio

• Misure appropriate degli stadi A, B e C• Decisione circa il livello di cura appropriato

FarmaciACEI o ARB nei pazienti

appropriati (si vedail testo) per vasculopatia

o diabete

Obiettivi Obiettivi Obiettivi

• Cure palliative terminali• Misure straordinarie – trapianto cardiaco – uso cronico di inotropi – supporto meccanico permanente – chirurgia o farmaci sperimentali

Opzioni

TERAPIA TERAPIA TERAPIA TERAPIA

Ad es. pazienti con:• IM pregresso• rimodellamento del VS, comprese IVS e FE bassa• valvulopatia asintomatica

Ad es. pazienti con:• ipertensione• aterosclerosi• diabete• obesità• sindrome metabolica oPazienti• che fanno uso di cardiotossine• con familiarità per cardiomiopatia

• cardiopatia strutturale accertata e• dispnea e astenia, ridotta tolleranza all’esercizio fisico

Ad es. pazienti con: Ad es. pazienti consintomi marcati

a riposo nonostantela terapia medica

massimale(ad es. coloro che

vengono ricoverati inmodo ricorrente o chenon possono esseredimessi dall’ospedale

con sicurezzasenza interventispecializzati)

Sintomirefrattari

di SCa riposo

Cardiopatiastrutturale

Sviluppodi

sintomidi SC

Farmaci• ACEI o ARB nei pazienti appropriati (si veda il testo)• β-bloccanti nei pazienti appropriati (si veda il testo)

Farmaci di uso comune• Diuretici per la ritenzione idrica• ACEI• β-bloccanti

Farmaci in pazientiselezionati

• Antagonista dell’aldosterone• ARB• Digitale• Idralazina, isosorbide

Dispositivi in pazientiselezionati

• Stimolazione biventricolare• Defibrillatori impiantabili

FIGURA 28L.1 Fasi evolutive dello scompenso cardiaco (SC) e terapia raccomandata per stadio. ACEI = inibitore dell’enzima di conversione dell’angiotensina; ARB = bloccante del recettore dell’angiotensina II; FE = frazione di eiezione; IM = infarto miocardico; IVS = ipertrofi a ventricolare sinistra; VS = ventricolo sinistro. (Da Hunt SA, Baker DW, Chin MH, et al: ACC/AHA guidelines for the evaluation and management of chronic heart failure in the adult: Executive summary. A report of the American College of Cardiology/American Heart Association Task Force on Practice Guidelines [Committee to Revise the 1995 Guidelines for the Evaluation and Management of Heart Failure]. J Am Coll Cardiol 104:2996, 2001.)

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590 VALUTAZIONE INIZIALE DEL PAZIENTE Le linee guida ACC/AHA stabiliscono che l’anamnesi completa e l’esame obiettivo devono essere il primo passo nella valutazione dei pazienti con scompenso cardiaco ( Tab. 28L.1 ). Questa valutazione può fornire infor-mazioni circa la causa dello scompenso cardiaco e la presenza o l’assenza di anomalie strutturali cardiovascolari. Altre questioni da affrontare inclu-dono l’anamnesi positiva o negativa per il diabete, le febbre reumatica, le radiazioni al torace o l’esposizione a farmaci cardiotossici e l’uso o l’abuso di alcolici, droghe o terapie alternative. Inoltre deve essere valutato lo stato funzionale ed emodinamico del paziente per determinare la prognosi e guidare il trattamento.

Le linee guida raccomandano che la valutazione iniziale comprenda un esame emocromocitometrico completo, l’analisi delle urine, gli elettroliti sierici e le concentrazioni di calcio e magnesio, la funzione renale ed epatica,

la glicemia a digiuno e il livello di HbA1c, il profi lo lipidico, i test di funzio-nalità tiroidea, una radiografi a del torace, un elettrocardiogramma a 12 de-rivazioni, un ecocardiogramma bidimensionale con Doppler e una corona-rografi a nei pazienti con angina o ischemia signifi cativa (a eccezione dei pazienti non candidati alla rivascolarizzazione).

La misurazione del livello di ferritina sierica e della saturazione della transferrina è stata considerata potenzialmente utile per la scoperta dell’emo-cromatosi, poiché questa condizione è una causa trattabile di scompenso cardiaco. Anche lo screening per l’HIV, la dispnea notturna, le malattie del tessuto connettivo, l’amiloidosi o il feocromocitoma è ragionevole in pazien-ti selezionati.

Le linee guida aggiornate tengono conto dei recenti studi condotti sul peptide natriuretico di tipo B (BNP). Nelle linee guida del 2009, la ACC/AHA è a favore del suo utilizzo in urgenza sia quando la diagnosi di

TABELLA 28L.1 Linee guida ACC/AHA per la valutazione iniziale e seriata dello scompenso cardiaco

CLASSE INDICAZIONELIVELLO

DI EVIDENZA *

Linee guida ACC/AHA per la valutazione iniziale dei pazienti con scompenso cardiaco

I (indicato) 1. Accurata anamnesi ed esame obiettivo per identifi care disordini cardiaci e non cardiaci o comportamenti che possono causare lo scompenso cardiaco o accelerare lo sviluppo o la progressione dello scompenso cardiaco

C

2. Anamnesi accurata dell’uso attuale o pregresso di alcolici, droghe, terapie standard o “alternative” pregresse o in atto e farmaci chemioterapici

C

3. Valutazione iniziale della capacità del paziente di compiere le attività di routine e ricreative del vivere quotidiano C 4. L’esame iniziale deve comprendere la valutazione della volemia, le variazioni della pressione ortostatica, la misura

del peso e dell’altezza e il calcolo dell’indice di massa corporea C

5. Le indagini di laboratorio iniziali devono comprendere l’esame emocromocitometrico completo, l’analisi delle urine, gli elettroliti sierici (compresi calcio e magnesio), l’azoto ureico, la creatinina sierica, la glicemia a digiuno (emoglobina glicata), il profi lo lipidico, i test di funzionalità epatica e l’ormone tireotropo

C

6. Iniziale ECG a 12 derivazioni e radiografi a del torace (in proiezione postero-anteriore e laterale) C 7. Iniziale ecocardiogramma bidimensionale con Doppler per valutare la dimensione e la frazione di eiezione

del ventricolo sinistro, lo spessore della parete e la funzione valvolare; la ventricolografi a con radionuclidi può essere eseguita per valutare la frazione di eiezione e i volumi del ventricolo sinistro

C

8. Coronarografi a nei pazienti con angina o ischemia signifi cativa, tranne coloro che non sono candidati alla rivascolarizzazione

B

IIa (buone evidenze a sostegno)

1. Coronarografi a nei pazienti con dolore toracico che non hanno avuto valutazioni della loro anatomia coronarica e che non hanno controindicazioni alla rivascolarizzazione coronarica

C

2. Coronarografi a nei pazienti con coronaropatia accertata o sospetta ma senza angina, tranne quelli che non sono candidati alla rivascolarizzazione

C

3. Imaging non invasivo per individuare l’ischemia e la vitalità in pazienti con malattia coronarica accertata e senza angina, tranne coloro che non sono candidati alla rivascolarizzazione

B

4. Test da sforzo massimale con o senza misurazione dello scambio dei gas respiratori e/o della saturazione dell’ossigeno ematico per capire se lo scompenso cardiaco è la causa della limitazione dell’attività fi sica quando la responsabilità dello scompenso cardiaco è incerta

C

5. Test da sforzo massimale con misurazione dello scambio dei gas respiratori per identifi care i pazienti ad alto rischio che sono candidati al trapianto cardiaco o ad altri trattamenti avanzati

B

6. Screening per l’emocromatosi, la dispnea notturna o l’HIV in pazienti selezionati C 7. Analisi per la ricerca di malattie reumatiche, amiloidosi o feocromocitoma nei pazienti per i quali esiste il sospetto

clinico di tali patologie C

8. Biopsia endomiocardica nei pazienti per i quali si sospetti una diagnosi specifi ca che potrebbe infl uenzare la terapia C 9. Misurazione del peptide natriuretico di tipo B in urgenza sia quando la diagnosi clinica di scompenso cardiaco

è incerta, sia in fase di valutazione prognostica A

IIb (deboli evidenze a sostegno)

1. Imaging non invasivo per defi nire la probabilità di malattia coronarica in pazienti con disfunzione ventricolare sinistra C 2. Monitoraggio Holter nei pazienti con anamnesi positiva per infarto miocardico che sono presi in considerazione

per lo studio elettrofi siologico atto a documentare inducibilità di tachicardia ventricolare C

III (non indicato) 1. Valutazione di routine con biopsia endomiocardica C 2. Uso routinario dell’ECG signal-averaged C 3. Misurazione di routine dei livelli circolanti di neurormoni (ad es. noradrenalina o endotelina) C

Linee guida ACC/AHA per la valutazione clinica seriata dei pazienti con scompenso cardiaco

I (indicato) 1. Valutare in ciascuna visita la capacità del paziente di compiere le attività di routine e ricreative del vivere quotidiano C 2. Valutare in ciascuna visita la volemia e il peso del paziente C 3. Informarsi a ogni visita sul consumo abituale di alcolici, tabacco, droghe, “terapie alternative” e farmaci chemioterapici,

così come sull’assunzione di cibo e sodio C

IIa (buone evidenze a sostegno)

1. Ripetere le misurazioni della frazione di eiezione e del rimodellamento strutturale nei pazienti che presentano una variazione dello stato clinico, che hanno avuto o si sono ripresi da un evento clinico o che sono stati sottoposti a un trattamento che può avere avuto un eff etto signifi cativo sulla funzione cardiaca

C

IIb (deboli evidenze a sostegno)

1. La misurazione seriata del peptide natriuretico di tipo B per guidare la terapia non è ben stabilita C

* Si veda il testo delle linee guida per la defi nizione delle categorie del livello di evidenza.

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591scompenso cardiaco è incerta sia per la stratifi cazione del rischio, ma non raccomanda l’uso del BNP per guidare la terapia. Per valutare la funzione ventricolare sinistra e per rilevare una sottostante malattia miocardica, val-volare o pericardica, l’ecocardiografi a è considerata un test iniziale più affi -dabile della ventricolografi a con radionuclidi o della risonanza magnetica.

In queste linee guida è stata prestata particolare attenzione allo screening per la valutazione della coronaropatia nei pazienti con scompenso cardiaco, a testimonianza della frequente coesistenza di queste condizioni e del bene-fi cio in termini di sopravvivenza della rivascolarizzazione di pazienti con grave coronaropatia e disfunzione ventricolare sinistra. La coronarografi a è stata raccomandata (indicazione di classe I) per i pazienti con angina o ischemia signifi cativa e scompenso cardiaco, tranne nel caso in cui non siano candidati alla rivascolarizzazione. Per i pazienti con dolore toracico e scom-penso cardiaco, le linee guida sostengono l’utilità di saltare la fase dei test non invasivi e procedere direttamente alla coronarografi a (indicazione di classe IIa). In assenza di dolore toracico, le linee guida considerano la coronarogra-fi a “ragionevole” al fi ne di escludere la diagnosi di malattia coronarica. Il test da sforzo massimale è raccomandato per determinare se lo scompenso car-diaco è la causa della limitazione dell’attività fi sica o per identifi care i pazien-ti ad alto rischio con scompenso cardiaco che possono essere candidati al trapianto cardiaco o ad altre terapie avanzate.

Le linee guida sostengono solo debolmente sia le indagini non invasive per defi nire la probabilità di una coronaropatia in pazienti con scompenso cardiaco e disfunzione ventricolare sinistra, sia il monitoraggio Holter nei pazienti con anamnesi positiva per infarto miocardico che potrebbero es-sere soggetti a tachicardia ventricolare.

L’uso routinario della biopsia endomiocardica o dell’ECG signal-averaged e la misurazione di routine dei livelli circolanti di neurormoni, come la noradrenalina e l’endotelina, non sono raccomandati.

VALUTAZIONE CONTINUA DEI PAZIENTI CON SCOMPENSO CARDIACO Le linee guida supportano la valutazione di routine dello stato funzionale e della volemia nei pazienti con scompenso cardiaco, insieme alla valuta-zione dei comportamenti e delle abitudini potenzialmente nocivi (si veda Tab. 28L.1 ). Esse scoraggiano la misurazione seriata di routine della frazio-ne di eiezione a intervalli regolari e raccomandano invece che la frazione di eiezione venga rivalutata se i pazienti hanno presentato una modifi cazione della condizione clinica, si sono ripresi dopo un evento clinico signifi cativo o hanno ricevuto un trattamento che possa infl uenzare la funzione ventri-colare sinistra. Rimane incerto il valore delle misurazioni seriate del BNP.

TRATTAMENTO DI PAZIENTI AD ALTO RISCHIO DI SVILUPPARE SCOMPENSO CARDIACO STADIO A Le linee guida ACC/AHA offrono forti raccomandazioni (classe I) per il controllo dei fattori di rischio per coronaropatia e altre cause di cardiomio-patie, compresa l’ipertensione, l’iperlipidemia, il diabete, l’abuso di alcolici,

il fumo di sigaretta, la tachicardia sopraventricolare e le patologie della ti-roide ( Tab. 28L.2 ). I pazienti a rischio di scompenso cardiaco devono es-sere inoltre valutati spesso per accertare che non stiano sviluppando questa condizione, in particolare gli individui con forte familiarità per cardiomio-patie e quelli che ricevono terapie cardiotossiche. Occorre prestare atten-zione alle misure di prevenzione secondaria nei pazienti con malattia va-scolare aterosclerotica. Le linee guida suggeriscono una bassa soglia per l’uso degli ACE-inibitori o dei bloccanti del recettore dell’angiotensina II (classe IIa). Il gruppo di lavoro ACC/AHA raccomanda di consigliare ai pazienti di non usare esclusivamente gli integratori alimentari per preveni-re lo sviluppo dello scompenso cardiaco.

TRATTAMENTO DEI PAZIENTI CON DISFUNZIONE VENTRICOLARE SINISTRA CHE NON HANNO SVILUPPATO SINTOMI STADIO B In questa popolazione, il fi ne della terapia è ridurre il rischio di ulteriori danni al ventricolo sinistro e di minimizzare la velocità di progressione della disfunzione ventricolare sinistra. Le stesse modifi che dei fattori di ri-schio consigliate per i pazienti in stadio A sono raccomandate anche per i pazienti in stadio B ( Tab. 28L.3 ). Come per quasi tutti i pazienti con scom-penso cardiaco, non è stata trovata alcuna evidenza che avvalori l’uso degli integratori alimentari.

In assenza di controindicazioni, sono raccomandati i � -bloccanti e gli ACE-inibitori (oppure i bloccanti del recettore dell’angiotensina [ARB]) per tutti i pazienti con anamnesi positiva per infarto miocardico, indipendente-mente dalla frazione di eiezione, e per tutti i pazienti con ridotta frazione di eiezione, indipendentemente dall’anamnesi positiva per infarto miocardico.

Viceversa, le linee guida scoraggiano l’uso della digossina e dei calcio-antagonisti con azione inotropa negativa in questa popolazione.

Le linee guida appoggiano l’uso della rivascolarizzazione coronarica nei pazienti idonei così come della chirurgia per correggere le valvulopatie nei pazienti con stenosi o rigurgito valvolare emodinamicamente signifi cativi che determinano lo scompenso cardiaco.

Esse indicano che l’impianto di un ICD (defi brillatore impiantabile) è ragionevole nei pazienti con cardiomiopatia ischemica che hanno avuto un infarto miocardico recente ( > 40 giorni), hanno una frazione di eiezione ventricolare sinistra ridotta e un’aspettativa di vita ragionevole, in buono stato funzionale, superiore a 1 anno. È meno raccomandato l’inserimento di un ICD in pazienti simili con cardiomiopatia non ischemica; tuttavia, lo studio MADIT-CRT (Multicenter Automatic Defi brillator Implantation Trial with Cardiac Resynchronization Therapy), recentemente concluso, ha di-mostrato esiti favorevoli in pazienti con scompenso cardiaco di classe NYHA I (frazione di eiezione < 30%) e una durata del QRS prolungata ( > 130 millisecondi) che sono stati sottoposti all’impianto di un ICD con terapia di resincronizzazione cardiaca (CRT). Questo risultato potrebbe indurre a rafforzare, all’interno di linee guida successive, la raccomandazione dell’uso di ICD/CRT in pazienti con scompenso cardiaco meno sintomatico. 9

TABELLA 28L.2 Linee guida ACC/AHA per il trattamento di pazienti ad alto rischio di sviluppare scompenso cardiaco (stadio A)

CLASSE INDICAZIONELIVELLO

DI EVIDENZA *

I (indicato) 1. Controllo dell’ipertensione sistolica e diastolica in accordo con le linee guida attuali A 2. Trattamento delle dislipidemie, in accordo con le linee guida attuali A 3. Controllo della glicemia nei pazienti con diabete mellito, in accordo con le linee guida attuali C 4. Eliminazione dei comportamenti del paziente che possono aumentare il rischio di scompenso cardiaco

(ad es. fumo, consumo di alcolici e uso di droghe) C

5. Controllo della frequenza ventricolare o ripristino del ritmo sinusale nei pazienti con tachiaritmie sopraventricolari B 6. Trattamento delle patologie della tiroide, in accordo con le linee guida attuali C 7. Valutazione periodica dei segni e dei sintomi di scompenso cardiaco nei pazienti ad alto rischio C 8. Osservanza delle linee guida attuali per la prevenzione secondaria nei pazienti con aterosclerosi vascolare nota C 9. Valutazione non invasiva della funzione ventricolare sinistra in pazienti con una forte familiarità

per cardiomiopatie o in quelli che sono sottoposti a terapie cardiotossiche C

IIa (buone evidenze a sostegno)

1. ACE-inibizione in pazienti con anamnesi positiva per aterosclerosi vascolare, diabete mellito o ipertensione e fattori di rischio cardiovascolare associati

A

2. Bloccanti del recettore dell’angiotensina II in pazienti con anamnesi positiva per aterosclerosi vascolare, diabete mellito o ipertensione e fattori di rischio cardiovascolare associati

C

III (non indicato) 1. Uso di integratori nutrizionali per prevenire lo sviluppo di malattia cardiaca strutturale C

* Si veda il testo delle linee guida per la defi nizione delle categorie del livello di evidenza.

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TRATTAMENTO DI PAZIENTI CON DISFUNZIONE VENTRICOLARE SINISTRA E SINTOMI IN ATTO O PREGRESSI STADIO C L’approccio raccomandato per prevenire o minimizzare la progressione della disfunzione ventricolare sinistra nei pazienti in stadio A e B è suppor-tato anche per i pazienti in stadio C che hanno o hanno avuto sintomi ascrivibili alla disfunzione ventricolare sinistra ( Tab. 28L.4 ). Tuttavia, in contrasto con le raccomandazioni per i pazienti in stadio B, le linee guida sostengono l’uso di una moderata restrizione di sodio e la determinazione giornaliera del peso corporeo.

L’esercizio fi sico è raccomandato per i pazienti in stadio C; raccomanda-zioni più dettagliate sono contenute nello Scientifi c Statement on Exercise and Heart Failure dell’AHA, pubblicato nel 2003. 10 Le linee guida aggior-nate tengono conto inoltre dei risultati del recente studio HF-ACTION, nel quale l’allenamento fi sico non ha avuto un impatto favorevole sulla morta-lità globale o sui ricoveri per scompenso cardiaco (si veda Fig. 28.9 ). La prova da sforzo massimale con o senza la misurazione degli scambi gassosi, per agevolare la stesura di un adeguato programma di esercizio fi sico, è di-ventata, da raccomandazione di classe I, un’indicazione di classe IIa.

Le linee guida ACC/AHA aggiornate nel 2009 raccomandano l’uso dei � -bloccanti (bisoprololo, carvedilolo e metoprololo succinato a rilascio controllato) e degli ACE-inibitori (sostituiti dagli ARB nei pazienti che non tollerano gli ACE-inibitori) per tutti i pazienti in stadio C, in assenza di controindicazioni, e l’uso dei diuretici per pazienti con sovraccarico di li-quidi. L’aggiunta di un antagonista dell’aldosterone è raccomandata in pazienti selezionati che possono essere monitorati attentamente per verifi -care che la funzione renale sia preservata e che la concentrazione di potas-sio sia normale. L’uso dell’idralazina è stato raccomandato nei pazienti intolleranti sia agli ACE-inibitori sia agli ARB. Nelle linee guida aggiorna-te è inserita una nuova raccomandazione di classe I circa l’uso di idralazina e isosorbide negli afroamericani che continuano a presentare sintomi no-nostante la terapia ottimale.

Le raccomandazioni circa l’uso di un ICD sono state semplifi cate nell’ag-giornamento 2009 delle linee guida ACC/AHA e sono state armonizzate con le linee guida Device-Based Therapy emesse da ACC/AHA/Heart Rhythm Society nel 2008. 11,12 Le raccomandazioni di classe I appoggiano l’uso degli ICD nella cardiomiopatia dilatativa non ischemica, nella cardio-miopatia ischemica almeno 40 giorni dopo un infarto miocardico, in caso di frazione di eiezione ventricolare sinistra < 35% (prima era 30%) e nei

sintomi di classe NYHA II-III nonostante la terapia medica ottimale. Come nelle linee guida ACC/AHA del 2005, le raccomandazioni di classe I so-stengono l’uso degli ICD nei pazienti in stadio C con anamnesi positiva per arresto cardiaco, fi brillazione ventricolare o tachicardia ventricolare emo-dinamicamente destabilizzante. Le linee guida relative alla selezione dei pazienti per la CRT sono state pubblicate nel 2005. 13

La CRT è un’indicazione di classe I nei pazienti con una frazione di eiezione ventricolare sinistra < 35% che presentano ritmo sinusale e appar-tengono alla classe funzionale NYHA III o alla classe ambulatoriale IV nonostante la terapia medica ottimale.

L’aggiornamento ACC/AHA del 2009 considera inoltre la CRT ragio-nevole (classe IIa) nei pazienti con scompenso cardiaco di classe NYHA III-IV con una frazione di eiezione < 35% che sono in fi brillazione atriale o che dipendono spesso dalla stimolazione del pacemaker ventricolare. Come esposto nel Capitolo 29 , i Centers for Medicare and Medicaid Servi-ces (CMS) hanno ampliato la copertura di defi brillatori CRT (CRT-D) fi no a comprendere i pazienti con blocco di branca sinistra con un QRS ≥ 130 ms, una FE ≤ 30% e uno scompenso cardiaco ischemico o non ischemico lieve (classe NYHA II) o uno scompenso cardiaco ischemico asintomatico (clas-se NYHA I). Ci si attende che le linee guida della pratica clinica conterran-no, nei successivi aggiornamenti, le indicazioni ampliate dei CMS per l’uso del CRT-D.

Le linee guida offrono un supporto qualifi cato (classe IIa) all’uso degli ARB al posto degli ACE-inibitori come terapia di prima scelta, specialmen-te nei pazienti che stanno già assumendo un ARB per un’altra indicazione. La terapia con digitale rappresenta un approccio ragionevole per diminuire i ricoveri tra i pazienti sintomatici.

Le linee guida scoraggiano esplicitamente l’uso routinario della combi-nazione di un ACE-inibitore, un ARB e un antagonista dell’aldosterone, dei calcio-antagonisti, dell’infusione a lungo termine di farmaci inotropi posi-tivi (eccetto che come palliativi nei pazienti con malattia terminale; si veda Tab. 28L.10 ), di integratori alimentari come terapia e di terapie ormonali diverse da quelle necessarie per sopperire alle carenze.

TRATTAMENTO DI PAZIENTI CON SCOMPENSO CARDIACO REFRATTARIO TERMINALE STADIO D Le linee guida ACC/AHA sottolineano l’importanza di una meticolosa applicazione delle misure classifi cate come raccomandazioni di classe I per pazienti negli stadi A, B e C (si vedano Tabb. 28L.2-28L.4 ) e considerano

TABELLA 28L.3 Linee guida ACC/AHA per il trattamento della disfunzione ventricolare sinistra sistolica asintomatica (stadio B)

CLASSE INDICAZIONELIVELLO

DI EVIDENZA *

I (indicato) 1. Applicare tutte le raccomandazioni di classe I per lo stadio A A, B, C 2. � -blocco e ACE-inibizione in tutti i pazienti con anamnesi recente o remota di infarto miocardico

indipendentemente dalla frazione di eiezione o dalla presenza di scompenso cardiaco A

3. � -blocco in tutti i pazienti con anamnesi negativa per infarto miocardico che hanno una frazione di eiezione ventricolare sinistra ridotta ma nessun sintomo di scompenso cardiaco

C

4. ACE-inibizione in pazienti con ridotta frazione di eiezione, sia che abbiano o non abbiano presentato un infarto miocardico

A

5. Bloccanti del recettore dell’angiotensina II (ARB) per pazienti che hanno avuto un infarto miocardico senza scompenso cardiaco, ma con bassa frazione di eiezione ventricolare sinistra e che sono intolleranti agli ACE-inibitori

B

6. Trattare i pazienti che hanno avuto un infarto miocardico in accordo con le linee guida attuali C 7. Raccomandare la rivascolarizzazione coronarica in accordo con le linee guida attuali A 8. Sostituzione o riparazione valvolare in pazienti con stenosi o rigurgito valvolare emodinamicamente signifi cativo B

IIa (buone evidenze a sostegno)

1. ACE-inibizione o ARB in pazienti con ipertensione e ipertrofi a ventricolare sinistra B 2. ARB in pazienti con frazione di eiezione ridotta che sono intolleranti agli ACE-inibitori C 3. Posizionamento di un ICD in pazienti con cardiomiopatia ischemica che hanno avuto un infarto miocardico

da almeno 40 giorni, hanno una frazione di eiezione ventricolare sinistra ≤ 30%, sono di classe funzionale NYHA I, sono sottoposti a terapia medica cronica ottimale e hanno una ragionevole aspettativa di vita in buono stato funzionale di oltre 1 anno

A

III (non indicato) 1. Uso della digossina in pazienti con frazione di eiezione bassa, ritmo sinusale e anamnesi negativa per sintomi di scompenso cardiaco (il rischio di un danno non è bilanciato da un benefi cio noto)

C

2. Uso di integratori alimentari per trattare cardiopatie strutturali o prevenire lo sviluppo di sintomi da scompenso cardiaco

C

3. I calcio-antagonisti con eff etti inotropi negativi possono essere nocivi nei pazienti asintomatici con bassa frazione di eiezione ventricolare sinistra dopo un infarto miocardico

C

* Si veda il testo delle linee guida per la defi nizione delle categorie del livello di evidenza.

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questi pazienti candidati per strategie di trattamento specializzato, come la valutazione per il trapianto cardiaco, un supporto circolatorio meccanico, una terapia inotropa endovenosa continua o le cure palliative ( Tab. 28L.5 ). Le linee guida promuovono inoltre l’uso di un approccio di gruppo alla gestione di questi pazienti, come i programmi diagnostici-terapeutici-assi-stenziali per lo scompenso cardiaco. Informazioni dettagliate sulle compo-nenti di questi programmi sono state fornite nello Scientific Statement dell’AHA pubblicato nel 2000. 14

Le linee guida contengono espliciti avvertimenti sull’impiego degli ACE-inibitori e dei � -bloccanti in questa popolazione. Nonostante l’uso di questi farmaci sia supportato, le linee guida stabiliscono che “il tratta-mento con entrambi questi tipi di farmaci non deve essere iniziato in pa-zienti con pressione arteriosa sistolica inferiore a 80 mmHg o che presen-tino segni di ipoperfusione periferica. Inoltre, i pazienti non devono ini-ziare una terapia � -bloccante se hanno una signifi cativa ritenzione idrica o se sono stati di recente sottoposti a trattamento con un farmaco inotro-po positivo per via endovenosa”. Quando si utilizzano questi farmaci, è necessario prescrivere inizialmente dosi molto basse e i pazienti devono essere monitorati attentamente per un’eventuale intolleranza. Le linee guida sottolineano che lo spironolattone si è dimostrato utile nei pazien-

ti con scompenso cardiaco avanzato, ma evidenziano il fatto che questi dati sono derivati da pazienti con funzione renale preservata e che lo spironolattone può indurre iperkaliemia in pazienti con alterata funzione renale.

In base all’aggiornamento del 2009, esistono evidenze limitate a sup-porto del posizionamento di un catetere arterioso polmonare per guidare la terapia o della riparazione o sostituzione della valvola mitrale per tratta-re il rigurgito mitralico grave.

Le linee guida ACC/AHA riconoscono il valore di un supporto inotropo continuo per via endovenosa per alcuni pazienti che richiedono una stra-tegia “ponte” in attesa di un trapianto cardiaco o che non possono altrimen-ti essere dimessi dall’ospedale. Tuttavia, le linee guida scoraggiano in ma-niera chiara l’uso routinario dell’infusione endovenosa intermittente di farmaci inotropi. Similmente, le linee guida non hanno incoraggiato l’uso della ventricolectomia sinistra parziale.

Le linee guida includono inoltre un riassunto delle indicazioni al tra-pianto cardiaco ( Tab. 28L.6 ). Queste indicazioni sottolineano chiaramen-te che una bassa frazione di eiezione ventricolare sinistra e uno stato fun-zionale depresso sono indicazioni insuffi cienti in assenza della dimostra-zione di un consumo di ossigeno massimo inferiore a 15 mL/kg/min.

TABELLA 28L.4 Linee guida ACC/AHA per il trattamento della disfunzione ventricolare sinistra sistolica sintomatica (stadio C)

CLASSE INDICAZIONELIVELLO

DI EVIDENZA *

I (indicato) 1. Applicare tutte le raccomandazioni di classe I per lo stadio A A, B, C 2. Diuretici e restrizione di sodio nei pazienti che hanno evidenza di ritenzione idrica C 3. ACE-inibizione in tutti i pazienti, a meno di controindicazioni A 4. � -blocco con uno dei tre farmaci per i quali la riduzione della mortalità è stata dimostrata (bisoprololo, carvedilolo

e metoprololo succinato a rilascio controllato) in tutti i pazienti, a meno di controindicazioni A

5. Bloccanti del recettore dell’angiotensina II approvati per il trattamento dello scompenso cardiaco (candesartan o valsartan) nei pazienti che non tollerano gli ACE-inibitori

A

6. Evitare o sospendere i farmaci noti per avere eff etti avversi sullo scompenso cardiaco (ad es. i farmaci antinfi ammatori non steroidei, la maggior parte dei farmaci antiaritmici e la maggior parte dei calcio-antagonisti)

B

7. Esercizio fi sico come terapia aggiuntiva per migliorare lo stato clinico dei pazienti ambulatoriali B 8. Inserimento di un defi brillatore impiantabile (ICD) come prevenzione secondaria per prolungare la sopravvivenza

dei pazienti con anamnesi positiva per arresto cardiaco, fi brillazione ventricolare o tachicardia ventricolare condizionante instabilità emodinamica

A

9. Terapia con ICD per prevenire la morte cardiaca improvvisa in pazienti con cardiopatia ischemica che hanno avuto un infarto miocardico da almeno 40 giorni, hanno una frazione di eiezione ventricolare sinistra ≤ 35%, presentano sintomi di classe funzionale NYHA II o III mentre sono sottoposti a terapia medica cronica ottimale e hanno un’aspettativa di vita in buono stato funzionale di oltre 1 anno

A

10. Terapia con ICD per prevenire la morte cardiaca improvvisa in pazienti con cardiomiopatia non ischemica che hanno avuto un infarto miocardico da almeno 40 giorni, hanno una frazione di eiezione ventricolare sinistra ≤ 35%, presentano sintomi di classe funzionale NYHA II o III mentre sono sottoposti a terapia medica cronica ottimale e hanno un’aspettativa di vita in buono stato funzionale di oltre 1 anno

B

11. Terapia di resincronizzazione cardiaca in pazienti con dissincronia cardiaca (durata del QRS > 0,12 ms) e frazione di eiezione ventricolare sinistra ≤ 35% che presentano ritmo sinusale e sono di classe funzionale NYHA III o classe ambulatoriale IV nonostante la terapia medica ottimale, a meno di controindicazioni

A

12. Aggiunta di un antagonista dell’aldosterone in pazienti selezionati che possono essere attentamente monitorati per verifi care che la funzione renale sia preservata e che la concentrazione di potassio sia normale; la creatinina deve essere ≤ 2,5 mg/dL nell’uomo o ≤ 2,0 mg/dL nella donna e il potassio deve essere ≤ 5,0 mEq/L.

B

IIa (buone evidenze a sostegno)

1. Gli ARB sono un’alternativa ragionevole agli ACE-inibitori come terapia di prima scelta, specialmente nei pazienti che li stanno già assumendo per altre indicazioni

A

2. Digitale per ridurre il numero dei ricoveri per scompenso cardiaco B 3. Aggiunta di una combinazione di idralazina e un nitrato nei pazienti che presentano sintomi persistenti malgrado

stiano già assumendo un ACE-inibitore e un � -bloccante A

4. Nei pazienti con dissincronia cardiaca (durata del QRS > 0,12 ms), frazione di eiezione ventricolare sinistra ≤ 35% e fi brillazione atriale, la terapia di resincronizzazione cardiaca con o senza un ICD è ragionevole per il trattamento di pazienti di classe funzionale NYHA III o di classe ambulatoriale IV sottoposti a terapia medica ottimale

B

IIb (deboli evidenze a sostegno)

1. Una combinazione di idralazina e un nitrato nei pazienti che non possono assumere un ACE-inibitore o un ARB a causa di intolleranza al farmaco, ipotensione o insuffi cienza renale

C

2. Aggiunta di un ARB nei pazienti con sintomi persistenti che sono già sottoposti alla terapia convenzionale B

III (non indicato) 1. Combinazione di routine di un ACE-inibitore, un ARB e un antagonista dell’aldosterone C 2. Uso routinario dei calcio-antagonisti A 3. L’uso a lungo termine di un’infusione di un farmaco inotropo positivo può essere nocivo e non è raccomandato,

tranne che come terapia palliativa nei pazienti terminali che non possono essere stabilizzati con la terapia medica standard

C

4. Uso di integratori alimentari come trattamento dello scompenso cardiaco C 5. Le terapie ormonali diverse da quelle necessarie per sopperire alle carenze possono essere dannose C

* Si veda il testo delle linee guida per la defi nizione delle categorie del livello di evidenza.

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PAZIENTI RICOVERATI L’aggiunta più signifi cativa alle linee guida ACC/AHA nell’aggiornamento del 2009 è l’inclusione di nuove raccomandazioni specifiche relative ai pazienti ricoverati in ospedale ( Tab. 28L.7 ). Una serie di nuove indicazio-ni di classe I riguarda la diagnosi di scompenso cardiaco, l’uso del BNP e del pro-BNP N-terminale (NT-proBNP), il riconoscimento delle sindromi coronariche acute, il riconoscimento dei potenziali fattori scatenanti, l’uso di ossigeno supplementare, l’uso di farmaci inotropi e pressori per via en-dovenosa nei pazienti con evidenza clinica di ipotensione con ipoperfusio-ne, l’uso di cateteri arteriosi polmonari e il passaggio dai diuretici endove-na a quelli orali; tuttavia, il livello di evidenza a supporto di ciascuna di queste raccomandazioni è basato sul consenso o sull’utilizzo standard della terapia (ossia, livello C). Raccomandazioni di classe I più forti (livello di evidenza B) sono offerte per l’uso dei diuretici endovena per deconge-stionare i pazienti, l’inizio della terapia con ACE-inibitori/ARB e � -bloc-canti prima della dimissione dall’ospedale e l’adozione di sistemi di cura specifi ci dopo la dimissione.

Le linee guida aggiornate forniscono un sostegno qualifi cato (classe IIa) all’uso della cateterizzazione e della rivascolarizzazione in urgenza, all’uso dei vasodilatatori (nitroglicerina, nitroprussiato, nesiritide per via endove-nosa), al monitoraggio emodinamico invasivo e all’ultrafi ltrazione. Un’in-dicazione che gode di minor consenso (classe IIb) è data all’uso dei farma-ci inotropi (dopamina, dobutamina o milrinone) nei pazienti con disfun-

zione ventricolare sinistra grave, ipotensione ed evidenza di gittata cardiaca ridotta. Al contrario, l’uso dei farmaci inotropi nei pazienti senza evidenza di ridotta perfusione di organo, così come l’uso routinario del monitoraggio emodinamico invasivo, non sono raccomandati (indicazione di classe III).

PARTICOLARI POPOLAZIONI E PATOLOGIE CONCOMITANTI Le linee guida ACC/AHA avallano la presa in considerazione dei bisogni specifi ci dei singoli pazienti e delle concomitanti condizioni mediche. I me-dici devono sapere che, nonostante lo scompenso cardiaco sia tradizional-mente considerato una patologia maschile, le donne, in particolare quelle anziane, costituiscono la maggioranza della popolazione globale con scom-penso cardiaco. Le donne tuttavia non sono state incluse, negli studi più ampi, in numero suffi ciente a consentire conclusioni in merito all’effi cacia dei trattamenti oggetto di studio. Oltre a ciò, le donne, le minoranze etniche e gli anziani hanno meno probabilità di ricevere gli interventi supportati dagli studi medici e, tra i vari sottogruppi di pazienti, esistono differenze nella storia naturale dello scompenso cardiaco e nella risposta al trattamento.

I pazienti appartenenti a minoranze etniche ad alto rischio, come i neri, o a gruppi sottorappresentati negli studi clinici dovrebbero ricevere lo stesso screening e la stessa terapia clinica della popolazione generale, in assenza di evidenza specifi ca del contrario. Come già sottolineato, l’aggior-namento del 2009 raccomanda l’aggiunta di una dose fi ssa di isosorbide dinitrato e idralazina a un regime posologico standard per lo scompenso cardiaco, che comprenda gli ACE-inibitori e i � -bloccanti, per migliorare la

TABELLA 28L.5 Linee guida ACC/AHA per il trattamento di pazienti con scompenso cardiaco terminale (stadio D)

CLASSE INDICAZIONELIVELLO

DI EVIDENZA *

I (indicato) 1. Identifi cazione e controllo meticolosi della ritenzione idrica B 2. Riferimento per il trapianto cardiaco nei pazienti idonei B 3. Riferimento a un programma di gestione dello scompenso cardiaco con esperienza nel trattamento

dello scompenso cardiaco refrattario A

4. Discussione delle opzioni di terapia terminale con il paziente e i suoi familiari quando i sintomi gravi persistono nonostante l’applicazione di tutte le terapie raccomandate

C

5. Off rire ai pazienti con defi brillatori impiantabili e malattia terminale la possibilità di disattivare la defi brillazione C

IIa (buone evidenze a sostegno)

1. Considerare un dispositivo di assistenza del ventricolo sinistro come terapia permanente o “di destinazione” in pazienti altamente selezionati con scompenso cardiaco terminale refrattario e una mortalità stimata a 1 anno > 50% con la terapia medica

B

IIb (deboli evidenze a sostegno)

1. Posizionamento di un catetere in arteria polmonare per guidare la terapia nei pazienti con gravi sintomi persistenti

C

2. La correzione o la sostituzione della valvola mitrale non è stabilita in caso di grave rigurgito mitralico secondario C 3. L’infusione endovenosa in continuo di un farmaco inotropo positivo può essere presa in considerazione

come trattamento palliativo C

III (non indicato) 1. La ventricolectomia sinistra parziale non è raccomandata nei pazienti con cardiomiopatia non ischemica C 2. L’uso routinario di infusioni intermittenti di agenti inotropi positivi non è raccomandato A

* Si veda il testo delle linee guida per la defi nizione delle categorie del livello di evidenza.

TABELLA 28L.6 Linee guida ACC/AHA: indicazioni per il trapianto cardiaco

Indicazioni assolutePer una compromissione emodinamica dovuta a scompenso cardiaco Shock cardiogeno refrattario Documentata dipendenza da un supporto inotropo endovenoso per mantenere un’adeguata perfusione di organo Picco V ̇ o 2 < 10 mL/kg/min con raggiungimento di un metabolismo anaerobico Gravi sintomi di ischemia che limitano notevolmente l’attività di routine e non sono passibili di intervento di bypass chirurgico o di intervento

coronarico percutaneo Ricorrenti aritmie ventricolari sintomatiche refrattarie a tutte le modalità terapeutiche

Indicazioni relativePicco V ̇ o 2 11-14 mL/kg/min (o 55% del predetto) e importante limitazione delle attività quotidiane del paziente Ricorrenti crisi di ischemia instabile non passibili di altri interventi Ricorrente instabilità del bilancio idrico/funzione renale non dovuta a mancata compliance del paziente al regime terapeutico

Indicazioni insuffi cientiBassa frazione di eiezione ventricolare sinistra Anamnesi positiva per sintomi di scompenso cardiaco di classe funzionale III o IV Picco V ̇ o 2 > 15 mL/kg/min (e > 55% del predetto) senza altre indicazioni

V ̇ o 2 = consumo di ossigeno nell’unità di tempo per kg di peso corporeo.

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prognosi dei pazienti afroamericani che hanno uno scompenso cardiaco di classe funzionale NYHA III o IV (indicazione di classe IIa che è diventata di classe I). Le linee guida riconoscono che anche altri gruppi di pazienti potrebbero trarne benefi cio, ma questa ipotesi non è stata verifi cata.

Raccomandazioni cliniche precise per il trattamento di pazienti con patologie concomitanti ( Tab. 28L.8 ) enfatizzano l’importanza di un trat-tamento accurato dell’ipertensione, della cardiopatia ischemica, dell’anti-coagulazione e delle aritmie sopraventricolari e ventricolari. L’uso della digitale, soprattutto in associazione con un � -bloccante, per controllare la velocità di risposta ventricolare nei pazienti con fibrillazione atriale e dell’amiodarone per diminuire la recidiva di aritmie atriali e la probabilità di una scarica dell’ICD è considerato ragionevole. Le linee guida del 2009 suggeriscono che il verapamil e il diltiazem, nonostante possano sopprime-re effi cacemente la risposta ventricolare durante lo sforzo fi sico, dovrebbe-ro essere evitati a causa della loro tendenza a deprimere la funzione ventri-colare sinistra e a peggiorare lo scompenso cardiaco.

Non vi sono evidenze suffi cienti per raccomandare o sconsigliare l’uso delle attuali strategie per ripristinare e mantenere il ritmo sinusale nei pa-zienti con fi brillazione atriale, l’utilità dell’anticoagulazione nei pazienti senza fi brillazione atriale o un infarto miocardico pregresso, o il migliora-mento dell’eritropoiesi nei pazienti anemici.

Le linee guida non appoggiano l’uso routinario dei farmaci antiaritmici di classe I o III, a eccezione dell’amiodarone, o l’uso degli antiaritmici per il trattamento primario delle aritmie ventricolari asintomatiche.

DISFUNZIONE DIASTOLICA Le raccomandazioni per il trattamento dei pazienti con scompenso cardia-co in assenza di disfunzione sistolica del ventricolo sinistro rifl ettono la mancanza di dati conclusivi circa terapie effi caci e non sono state modifi ca-te nell’aggiornamento delle linee guida ACC/AHA del 2009. Le principali strategie sono il controllo dell’ipertensione, il controllo della frequenza ventricolare nei pazienti con fi brillazione atriale e l’uso di diuretici per

TABELLA 28L.7 Raccomandazioni ACC/AHA per i pazienti ricoverati

CLASSE INDICAZIONELIVELLO

DI EVIDENZA *

I (indicato) 1. Valutare l’adeguatezza della perfusione sistemica, la volemia, il ruolo dei fattori scatenanti e/o delle comorbilità e se lo scompenso cardiaco sia associato a frazione di eiezione preservata

C

2. Misurazione del peptide natriuretico di tipo B (BNP) o del pro-BNP N-terminale (NT-proBNP) per valutare la dispnea se non è noto il contributo dello scompenso cardiaco

A

3. Le sindromi coronariche acute che accelerano il ricovero per scompenso cardiaco devono essere valutate e trattate immediatamente

C

4. Identifi care i potenziali fattori scatenanti dello scompenso cardiaco acuto C 5. L’ossigenoterapia deve essere somministrata per alleviare i sintomi legati all’ipossiemia C 6. Migliorare rapidamente la perfusione sistemica nei pazienti che presentano rapido scompenso e ipoperfusione

associati a una ridotta produzione di urina e ad altre manifestazioni di shock C

7. Trattamento del sovraccarico di liquidi signifi cativo con diuretici dell’ansa per via endovenosa; la dose di diuretico deve essere titolata per alleviare i sintomi e ridurre il volume di liquidi extracellulari in eccesso

B, C

8. Monitorare gli eff etti della terapia mediante l’attenta misurazione dell’assunzione e della produzione di liquidi, dei segni vitali, del peso corporeo e dei sintomi di ipoperfusione sistemica e congestione

C

9. Intensifi care il regime terapeutico a base di diuretici (aumento della dose, aggiunta di un secondo diuretico, infusione continua) quando la diuresi è inadeguata a migliorare la congestione

C

10. Somministrare farmaci inotropi o vasopressori per via endovenosa per mantenere la perfusione sistemica e preservare la performance di organo nei pazienti con manifestazione clinica di ipotensione associata a ipoperfusione e pressioni di riempimento cardiaco elevate

C

11. Monitoraggio emodinamico intensivo per guidare la terapia nei pazienti in distress respiratorio o con manifestazioni cliniche di perfusione ridotta, qualora la valutazione clinica non consenta di determinare le pressioni di riempimento

C

12. I farmaci devono essere armonizzati e aggiustati in modo appropriato al momento del ricovero e alla dimissione dall’ospedale

C

13. Terapia di mantenimento con farmaci orali noti per indurre un miglioramento degli esiti (ACE-inibitori o ARB o � -bloccanti) in assenza di instabilità emodinamica o controindicazioni

C

14. Inizio del trattamento con terapie orali note per indurre un miglioramento degli esiti (ACE-inibitori o ARB o � -bloccanti) nei pazienti stabili prima della dimissione

B

15. Durante il passaggio dalla terapia diuretica orale a quella endovenosa, il paziente deve essere attentamente monitorato per l’ipotensione ortostatica e clinostatica, il peggioramento della funzione renale e i segni o i sintomi di scompenso cardiaco

C

16. Si raccomanda fortemente di fornire ai pazienti e ai loro accompagnatori esaustive istruzioni scritte al momento della dimissione

C

17. Uso dei sistemi di cura post dimissione, se disponibili, per agevolare la transizione a un effi cace trattamento ambulatoriale

B

IIa (buone evidenze a sostegno)

1. Cateterismo cardiaco e rivascolarizzazione in urgenza nei pazienti con scompenso cardiaco acuto e ischemia miocardica acuta sospetta o accertata dovuta a coronaropatia occlusiva, quando sono presenti i segni e i sintomi di un’inadeguata perfusione sistemica ed esiste la probabilità che la rivascolarizzazione prolunghi la sopravvivenza in modo signifi cativo

C

2. Nitroglicerina, nitroprussiato o nesiritide per via endovenosa nei pazienti con evidenza di sovraccarico di liquidi gravemente sintomatico in assenza di ipotensione sistemica

C

3. Ultrafi ltrazione nei pazienti con congestione refrattaria che non risponde alla terapia medica B

IIb (deboli evidenze a sostegno)

1. Farmaci inotropi per via endovenosa (dopamina, dobutamina o milrinone) nei pazienti che presentano grave disfunzione sistolica documentata, ipotensione ed evidenza di gittata cardiaca ridotta, con o senza congestione, per mantenere la perfusione sistemica e preservare la performance di organo

C

III (non indicato)

1. Uso di inotropi per via parenterale nei pazienti normotesi con scompenso cardiaco acuto senza evidenza di una ridotta perfusione di organo

B

2. Uso routinario del monitoraggio emodinamico invasivo nei pazienti normotesi con scompenso cardiaco acuto e congestione con risposta sintomatica ai diuretici e ai vasodilatatori

B

* Si veda il testo delle linee guida per la defi nizione delle categorie del livello di evidenza.

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controllare la congestione polmonare e l’edema periferico ( Tab. 28L.9 ). Poiché l’ischemia miocardica può causare disfunzione diastolica, le linee guida appoggiano la presa in considerazione dell’impiego della rivascola-rizzazione coronarica nei pazienti con coronaropatia (indicazione di classe IIa). Le possibili terapie utili sono il ripristino e il mantenimento del ritmo sinusale nei pazienti con fi brillazione atriale e l’uso dei � -bloccanti, degli ACE-inibitori, degli ARB o dei calcio-antagonisti per ridurre al minimo i sintomi nei pazienti con ipertensione controllata.

CURE TERMINALI Nonostante i progressi significativi nella diagnosi e nel trattamento dello scompenso cardiaco, circa la metà degli individui muore entro 5 anni dalla diagnosi. Per molti pazienti, il passaggio dal periodo di intervento aggressivo a quello della terapia palliativa è repentino. È importante, per tutte le persone coinvolte, che le problematiche della fase terminale siano affrontate relativa-mente presto nel corso dello scompenso cardiaco, prima che il paziente non

sia più in grado di prendere parte al processo decisionale ( Tab. 28L.10 ). Le linee guida raccomandano di discutere le preferenze terapeutiche e il testamen-to biologico, che possono essere più diffi cili da formulare che nei pazienti af-fetti da cancro o da altre patologie. Lo scompenso cardiaco può essere caratte-rizzato da periodi di buona qualità della vita anche dopo il ricovero in terapia intensiva o in prossimità della morte. È necessario discutere, oltre che della rianimazione, della possibilità di disattivare un ICD.

Le terapie palliative, un tempo a disposizione principalmente dei ma-lati di cancro, si stanno estendendo ai malati terminali di scompenso car-diaco. In questi pazienti, la terapia terminale può prevedere l’uso di diure-tici e di farmaci inotropi positivi per via endovenosa, come pure di antido-lorifi ci.

Le linee guida scoraggiano esplicitamente l’esecuzione di procedure aggressive, come l’intubazione e l’impianto di un ICD, negli ultimi giorni di vita dei pazienti con gravi sintomi terminali, per i quali non si prevedono miglioramenti clinici.

TABELLA 28L.8 Linee guida ACC/AHA per il trattamento di patologie concomitanti in pazienti con scompenso cardiaco

CLASSE INDICAZIONELIVELLO

DI EVIDENZA *

I (indicato) 1. Applicare tutte le altre raccomandazioni in assenza di specifi che eccezioni C 2. Controllo dell’ipertensione sistolica e diastolica e del diabete mellito in accordo con le linee guida C 3. Nitrati e � -bloccanti per il trattamento dell’angina B 4. Rivascolarizzazione coronarica, in accordo con le linee guida, nei pazienti che presentano sia angina

sia scompenso cardiaco A

5. Anticoagulanti nei pazienti con scompenso cardiaco che presentano fi brillazione atriale parossistica o cronica o un evento tromboembolico pregresso

A

6. � -blocco (o amiodarone, se i � -bloccanti sono controindicati o non tollerati) per controllare la velocità della risposta ventricolare nei pazienti con fi brillazione atriale

A

7. Trattare i pazienti con coronaropatia e scompenso cardiaco in accordo con le linee guida raccomandate per l’angina cronica stabile

C

8. Farmaci antiaggreganti per la prevenzione dell’infarto miocardico e della morte nei pazienti con scompenso cardiaco che hanno una coronaropatia sottostante

B

IIa (buone evidenze a sostegno)

1. Digitale per controllare la velocità di risposta ventricolare in pazienti con scompenso cardiaco e fi brillazione atriale

A

2. Amiodarone per diminuire la recidiva di aritmie atriali e la recidiva di scarica dell’ICD per le aritmie ventricolari

C

IIb (deboli evidenze a sostegno)

1. Le attuali strategie per ristabilire e mantenere il ritmo sinusale nei pazienti con scompenso cardiaco e fi brillazione atriale non sono ben stabilite

C

2. L’anticoagulazione nei pazienti con scompenso cardiaco che non presentano fi brillazione atriale o un evento tromboembolico pregresso non è ben stabilita

B

3. L’incremento dell’eritropoiesi nei pazienti con scompenso cardiaco e anemia non è stabilito C

III (non indicato) 1. I farmaci antiaritmici di classe I o III non sono raccomandati per la prevenzione delle aritmie ventricolari A 2. La terapia antiaritmica non è indicata per il trattamento primario delle aritmie ventricolari asintomatiche

o per prolungare la sopravvivenza A

* Si veda il testo delle linee guida per la defi nizione delle categorie del livello di evidenza.

TABELLA 28L.9 Linee guida ACC/AHA per il trattamento dei pazienti con scompenso cardiaco e frazione di eiezione ventricolare sinistra normale

CLASSE INDICAZIONELIVELLO

DI EVIDENZA *

I (indicato) 1. Controllo dell’ipertensione sistolica e diastolica in accordo con le linee guida pubblicate A 2. Controllo della frequenza ventricolare nei pazienti con fi brillazione atriale C 3. Diuretici per controllare la congestione polmonare e l’edema periferico C

IIa (buone evidenze a sostegno)

1. Rivascolarizzazione coronarica nei pazienti con coronaropatia nei quali si ritenga che un’ischemia miocardica sintomatica o inducibile abbia un eff etto avverso sulla funzione cardiaca

C

IIb (deboli evidenze a sostegno)

1. Ripristino e mantenimento del ritmo sinusale nei pazienti con fi brillazione atriale

C

2. L’uso di � -bloccanti, ACE-inibitori, ARB o calcio-antagonisti può ridurre al minimo i sintomi di scompenso cardiaco

C

3. L’uso della digitale per ridurre al minimo i sintomi non è ben stabilito C

* Si veda il testo delle linee guida per la defi nizione delle categorie del livello di evidenza.

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TABELLA 28L.10 Linee guida ACC/AHA sulla terapia terminale per i pazienti con scompenso cardiaco

CLASSE INDICAZIONELIVELLO

DI EVIDENZA *

I (indicato) 1. Formazione continua del paziente e dei suoi familiari in merito alla prognosi di capacità funzionale e di sopravvivenza C 2. Formazione del paziente e dei familiari in merito alle opzioni di formulazione e implementazione del testamento

biologico e al ruolo delle cure palliative fornite dai servizi di assistenza domiciliare e ospedaliera, con rivalutazione dello stato clinico in evoluzione

C

3. Discussione circa la possibilità di disattivare un defi brillatore impiantabile C 4. Garantire la continuità della terapia medica dall’ambito ospedaliero a quello ambulatoriale C 5. La terapia palliativa terminale deve contenere le componenti standard dell’assistenza ai malati terminali e non deve

escludere l’uso di inotropi e di diuretici endovena C

6. Esaminare i processi terminali in atto e lavorare per il miglioramento delle terapie palliative e dell’assistenza al malato terminale

C

III (non indicato) 1. Procedure aggressive messe in atto negli ultimi giorni di vita (compresa l’intubazione e l’impianto di un defi brillatore in pazienti con sintomi della classe funzionale NYHA IV per i quali non è previsto un miglioramento clinico derivante dai trattamenti disponibili)

* Si veda il testo delle linee guida per la defi nizione delle categorie del livello di evidenza.

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