100 anni della lega delle autonomie locali

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Novant’anni di riformismo per la democrazia e lo sviluppo delle comunità locali Dalla Lega dei comuni socialisti a Legautonomie Oscar Gaspari Prefazione Linda Lanzillotta Postfazione Oriano Giovanelli Dalla Lega dei comuni socialisti a Legautonomie Oscar Gaspari La storia della Lega delle Autonomie è la storia di una concezione moderna del ruolo del comune, quella di un ente locale vicino ai cittadini, che favorisce la crescita economica, coniugando sviluppo e sostenibilità. La particolare capacità di una lettura politica degli eventi, non limitata all’ambi- to tecnico ed istituzionale, unita alla possibilità di esprimere le esigenze di tutte le istituzioni locali, hanno caratterizzato il suo ruolo di promozione e sostegno di tutto il movimento per le autonomie locali Con questo libro la Lega delle autonomie, celebra in modo non retorico i suoi primi novant’anni: una storia a volte drammatica, a volte esaltante che mostra agli amministratori le radici del loro impegno civile e democratico nel governo delle comunità locali. Oscar Gaspari lavora presso la Scuola superiore della pubblica amministrazione locale.Tra le pubblicazioni più importanti: L’Italia dei municipi. Il movimento comunale in età liberale (1879-1906), Donzelli, Roma 1998; Patrizia Dogliani e Oscar Gaspari (a cura di), L’Europa dei comuni. Origini e sviluppo del movimento comunale europeo dalla fine dell’Ottocento al secondo dopoguerra, Donzelli, Roma 2003

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Page 1: 100 ANNI DELLA LEGA DELLE AUTONOMIE LOCALI

Novant’anni di riformismo per la democraziae lo sviluppo delle comunità locali

Dalla Lega dei comuni socialisti a Legautonomie

Oscar Gaspari

Prefazione Linda Lanzillotta

Postfazione Oriano Giovanelli

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La storia della Lega delle Autonomie è la storia di una concezione modernadel ruolo del comune, quella di un ente locale vicino ai cittadini, che favoriscela crescita economica, coniugando sviluppo e sostenibilità.

La particolare capacità di una lettura politica degli eventi, non limitata all’ambi-to tecnico ed istituzionale, unita alla possibilità di esprimere le esigenze di tuttele istituzioni locali, hanno caratterizzato il suo ruolo di promozione e sostegnodi tutto il movimento per le autonomie locali

Con questo libro la Lega delle autonomie, celebra in modo non retorico i suoiprimi novant’anni: una storia a volte drammatica, a volte esaltante che mostraagli amministratori le radici del loro impegno civile e democratico nel governodelle comunità locali.

Oscar Gaspari lavora presso la Scuola superiore della pubblica amministrazione locale.Tra le pubblicazioni piùimportanti: L’Italia dei municipi. Il movimento comunale in età liberale (1879-1906), Donzelli, Roma 1998;Patrizia Dogliani e Oscar Gaspari (a cura di), L’Europa dei comuni. Origini e sviluppo del movimento comunaleeuropeo dalla fine dell’Ottocento al secondo dopoguerra, Donzelli, Roma 2003

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Novant’anni di riformismo per la democraziae lo sviluppo delle comunità locali

Dalla Lega dei comuni socialisti a Legautonomie

Oscar Gaspari

Prefazione Linda Lanzillotta

Postfazione Oriano Giovanelli

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Avvertenza

Quando Legautonomie mi ha chiesto di scrivere la storia dell’organizzazio-ne ho capito di dover combattere una sfida. Una sfida rispetto ai tempi e ri-spetto alle fonti. Per uno storico il tempo è sempre breve, e le fonti, spesso, nonsono mai sufficienti: in questo caso la situazione era drammatica rispetto ad en-trambi i termini. Di archivi, infatti, la Lega non ne ha, ci sono solo le riviste.Tipico di un’organizzazione che ha risolto problemi quotidiani per decenni, ri-solto uno si doveva passare in fretta ad un altro; non c’era tempo per gli archi-vi. La sfida, come ho già scritto, era quella far passare i fatti dalle pagine deiquotidiani, in questo caso delle riviste, a quelle della storia. Altri, se lo vorran-no, faranno sicuramente meglio di me, spero aiutati anche da questo libro, cheè, in primo luogo, un volume per ricordare al movimento per le autonomie lo-cali di oggi di oggi un passato il cui ricordo rischia di essere sopraffatto dagli af-fanni della ricerca di soluzioni ai problemi quotidiani.

Ringraziamenti

Il primo ringraziamento va a Loreto Del Cimmuto, direttore di Legautono-mie, e a Moreno Gentili, vicedirettore, che non solo hanno voluto questa ri-cerca, ma mi hanno spinto ed aiutato a farla nel miglior modo possibile. Il se-condo va a Bruno Puglielli, l’editore, che mi ha sostenuto, aiutato ed è statobuon consulente. Non posso dimenticare poi Corrado Corghi, che mi ha affi-dato i documenti raccolti nel corso della sua ricerca, con fiducia che spero dinon aver deluso.

O. G.

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SOMMARIO

Prefazione di Linda Lanzillotta 5

Premessa 9

PARTE I - Dalle origini nel Periodo Liberale alla fine durante l’ascesa del Fascismo

1. Gli albori del movimento per le autonomie locali alla fine dell’‘800: dall’associazionismo dei lavoratori a quello delle autonomie locali 13

2. Il movimento socialista e l’affermazione della maggioranza liberalee cattolica nell’Anci 22

3. La nascita della lega dei Comuni socialisti nel 1916 31

4. L’attività della lega nel periodo liberale 43

5. L’avvento del fascismo, le fratture nel Psi e la fine della lega 53

PARTE II - Durante la Repubblica, negli anni dello scontro

1. La rinascita della lega: le ragioni della fondazione della lega dei comu-ni democratici 73

2. La lega dei comuni democratici negli anni della contrapposizione edello scontro 100

PARTE III - Dagli anni del Centro-Sinistra ad oggi

1. Gli anni del centro-sinistra 165

2. Gli anni ‘80 191

3. Gli anni ’90: le riforme 208

Postfazione di Oriano Giovanelli 219

Indice dei nomi 225

Indice analitico 231

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PREFAZIONEQuasi un secolo di storia

La storia delle autonomie locali in Italia è una storia di partecipazione e diamministrazione, di riforme e di democrazia. Una storia che affonda le sue radicinell’inizio del secolo scorso e lo attraversa tutto, per consegnare al nuovo millen-nio i suoi frutti più freschi: gli esiti della riforma del sistema della elezione diret-ta del sindaco, sicuramente la più riuscita tra le riforme istituzionali di cui tantosi è discusso nell’ultimo quindicennio. Una riforma che ha portato con sè forti in-novazioni nei contenuti e negli strumenti dell’amministrazione pubblica e la for-mazione di una nuova classe dirigente riformista e pragmatica. Se questi fenome-ni e queste tendenze hanno caratterizzato l’ultima stagione politica e ci consento-no di guardare con fiducia all’immediato futuro, è proprio in virtù della forza chenegli anni il sistema delle autonomie locali ha consolidato: una forza derivante dal-la stessa loro posizione, una posizione di frontiera rispetto alle esigenze, ai bisogni,alle richieste e alle proteste dei cittadini che le obbliga a comprendere, interpreta-re, rispondere ai bisogni immediati e, allo stesso tempo, raccordare queste rispostead una prospettiva più ampia e più lunga. Ma anche un’esperienza, quella delle au-tonomie locali, che ha radici profonde nella nostra storia municipale e che da talestoria ricava una tradizione ricca, maturata attraverso un’arco storico sicuramenteassai più lungo e complesso di quello vissuto dal sistema regionale disegnato dal-la Costituzione del ’48 e concretamente avviato solo da pochi decenni.

È su questa ossatura che possiamo oggi contare per dare attuazione al titoloV della Costituzione e costruire un sistema trasparente, efficiente e moderno,capace di adeguarsi alle esigenze nuove che le comunità locali esprimono nel-l’era della globalizzazione. Una dimensione globale che per essere affrontatasenza rimanerne sopraffatti richiede economie locali forti e coese, capaci di farvalere le proprie specificità, la propria integrazione, la propria identità cultura-le. Oggi più che mai, quanto più si espande lo spazio entro il quale i singoli cit-tadini e le imprese sono chiamati a operare e confrontarsi, tanto più i sistemilocali hanno bisogno di forza e di capacità competitiva. È questa la sfida del di-segno federalista ed autonomista : quella di riuscire ad essere un moltiplicatoredella crescita economica e culturale , fattori di consolidamento della coesionesociale, e di saper dare risposte alle nuove domande che le comunità localiesprimono senza produrre degenerazioni burocratiche.

Il laboratorio degli anni ‘90

La legge 81, nel 1993, introducendo la elezione diretta del sindaco ha rap-presentato senza dubbio una svolta radicale. Una rivoluzione paragonabile aquella che diede il via al movimento della autonomie locali, quando le riforme

PREFAZIONE 5

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crispine cominciarono a sganciare comuni e province dal corpo amministrati-vo del governo centrale. Da allora, si è man mano sedimentata una tradizione;ma soprattutto si è costruita una cultura dell’amministrare: la posizione dei sin-daci, in prima linea rispetto alle istanze e al controllo della popolazione, e lamole crescente dei problemi che i governi locali si sono trovati a dover risolve-re, hanno fatto crescere questa cultura. Nel bene e nel

male, con luci ed ombre ma sempre con una più marcata vicinanza – o al-meno una minore lontananza - tra la politica e le persone, tra il dire e il fare.Se dal punto di vista costituzionale questo fa delle autonomie locali lo schele-tro del nostro sistema, dal punto di vista politico ne fa i laboratori più prontiad accogliere ed elaborare le novità. Come è successo appunto nel ’93, con l’in-troduzione dell’elezione diretta del sindaco e del presidente della provincia . Lanovità sostanziale era nel fatto che per la prima volta si instaurava un rapportodi responsabilità diretta tra eletti ed elettori: al sindaco, al presidente della pro-vincia si poteva finalmente chiedere conto, fisicamente, dell’attuazione del pro-gramma e, in generale, di tutto ciò che non funzionava nella città. Da allora,sono cambiate non solo la percezione del ruolo del primo cittadino, la sua po-polarità, la sua visibilità: ma anche i suoi poteri, la possibilità di dare un’im-pronta politica al proprio mandato e innovare concretamente gli strumenti e gliobiettivi nel governo delle città. E questo elemento, quello della responsabilitàpolitica, della accountability degli eletti, è stato ciò che l’opinione pubblica harichiesto da allora alle leggi elettorali.

È da qui, peraltro, dalla responsabilità diretta del sindaco nei confronti deicittadini e, dunque, dalla necessità di dare risposte adeguate e tempestive chenasce la spinta all’innovazione amministrativa.

Così, è a livello delle autonomie locali che si sperimentano, nel corso deglianni Novanta, soluzioni innovative che saranno poi estesee all’amministrazio-ne centrale segnando una stagione di profondi cambiamenti nell’amministra-zione italiana. Ed è sempre nel sistema delle autonomie che si definiscono nuo-vi strumenti di finanza locale e di gestione amministrativa per ottimizzare la ge-stione amministrativa e contabile per conciliare le esigenze del risanamento fi-nanziario imposto dall’esigenza dell’Italia di allinearsi agli standard europei equelle, altrettanto urgenti, di modernizzare le nostre città, di fronteggiare le sfi-de ambientali, di gestire i contraccolpi della globalizzazione.

Grandi cambiamenti sociali ed economici cui una nuova generazione di am-ministratori ha saputo rispondere con nuovi paradigmi : una gestione dellaproprietà pubblica che, abbandonata la logica della rendita fondiaria, divenivala leva di grandi operazioni di riqualificazione urbana e di riconversione pro-duttiva ed economica dei territori; una trasformazione degli assetti delle azien-de municipalizzate traghettate dalla logica del monopolio e dell’organizzazioneburocratica a quella dell’organizzazione d’impresa e del mercato; l’introduzio-ne di criteri privatistici nel reclutamento e nella valutazione dei dirigenti e l’a-dozione di modelli organizzativi volti a premiare professionalità e qualità, a va-lorizzare i talenti interni e immettere risorse esterne. Sfide necessarie, affronta-te con esiti alterni come è logico che avvenga in una fase di così profondi cam-biamenti. Sfide ancora da giocare : ma che certo hanno formato sul campo

6 PREFAZIONE

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una nuova generazione di politici-amministratori, resi più forti dall’investiturapopolare, ma proprio per questo anche più esposti al controllo e al giudizio de-mocratico.

La sfida dell’oggi

Per tutti questi motivi le autonomie locali sono state un laboratorio, anzitanti laboratori, dell’innovazione politica e amministrativa. A questo punto sirende necessaria una riflessione sull’insieme del sistema e sui connotati nel no-stro federalismo, dunque sul modo per dare attuazione al titolo V della Costi-tuzione. Il ruolo delle autonomie locali è infatti cresciuto anche tra i conflitti:quello politico con il governo centrale ha caratterizzato l’ultima fase, nella qua-le senza dare alcun impulso né strumenti concreti al federalismo fiscale il go-verno di centro-destra si è limitato a scaricare in periferia – sulle regioni e suicomuni – i problemi economici che non riusciva a risolvere al centro. Quellafase si è finalmente chiusa, e il sistema delle autonomie locali può tornare acontare su un approccio cooperativo con il governo per la ricerca della soluzio-ne dei problemi comuni. Ma c’è anche un’altra riflessione da approfondire:quella che riguarda i rapporti tra i diversi livelli del governo regionale e locale,e i cerchi concentrici da tracciare da comuni a province a regioni in un disegnocostituzionale saggio, equilibrato ed efficiente che valorizzi il ruolo di elabora-zione politica delle regioni senza comprimere l’autonomia del sistema locale.Per questo le regioni dovranno poter sviluppare politiche di innovazione e perla competitività evitando però di incorrere nella tentazione di rosicchiare spa-zio, ruolo e competenze a scapito dei comuni e delle province ovvero la molti-plicazione e sovrapposizione di compiti analoghi. È un rischio che potrebbe es-sere indotto dalla affinità dei sistemi elettorali che potrebbe indurre una qual-che confusione tra livelli politici, organizzativi e amministrativi; ma è un ri-schio da evitare poichè si tradurrebbe in un fattore di inefficienza del sistema,di tensioni e conflitti tra livelli di governo, in un danno per gli interessi dei cit-tadini e delle imprese.

La sfida attuale allora è quella di costruire un moderno ed equilibrato siste-ma di governo multilevel. Evitare il paradosso di un nuovo centralismo – sta-volta di stampo regionalistico – e dare a ciascun livello di governo chiarezza sulproprio ruolo. Alle regioni è stata attribuita una missione importante in termi-ni di legislazione, programmazione, indirizzo: aggiungere a questa compiti digestione ed erogazione diretta dei servizi sarebbe sbagliato e depriverebbe il pa-trimonio di competenze delle autonomie locali. Non sarebbe certo questo ilmodo migliore per realizzare il federalismo e la sua aspirazione originaria: cheè quella di valorizzare le peculiarità, i talenti e le istanze democratiche presentinei territori avvicinando quanto più possibile l’amministrazione ai cittadini perrendere le risposte adeguate, proporzionate e coerenti con i bisogni che il citta-dino esprime. Allo stesso tempo va detto che la missione delle regioni, così de-finita, per esplicarsi pienamente e compiutamente ha bisogno di svolgersi en-tro una rete che la connetta e la coordini con tutte le regioni e con il governo

PREFAZIONE 7

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centrale; e che a nessun livello questo disegno federalista può davvero essere at-tuato se non è accompagnato dal federalismo fiscale. Il compimento di questodisegno, la chiarezza dei compiti e dei livelli di governo, la attuazione del dise-gno costituzionale sono peraltro la premessa necessaria perché dai territori edelle loro risorse riparta un circolo virtuoso, si innesti una crescita democrati-ca ed economica.

Il riformismo delle città

L’innovazione portata dai laboratori delle città nel nostro sistema politico èstata il frutto di tanti fattori, dalla tradizione secolare delle autonomie locali, alnuovo sistema elettorale, alle singole soggettività messe in campo dalle personeche sono state protagoniste di questa stagione. Il riformismo spesso cercato afatica nelle teorie si è visto in pratica, anche nelle sue contraddizioni, nei con-flitti con resistenze corporative, nelle battute d’arresto. Si è dovuto fare le os-sa sul campo, pragmaticamente. E su questo campo si è formata una classe po-litica e dirigente nuova, negli stessi anni nei quali la crisi dei partiti pesanti – laloro sparizione, o la loro radicale trasformazione – liberava energie ma lasciavaanche un vuoto. Nella crisi dei partiti e negli anni nei quali si è rischiato chequesta si trasformasse in anti-politica, le autonomie locali hanno anche costi-tuito un vivaio di nuova classe dirigente per il centrosinistra. Non è un casodunque che da queste posizioni “di frontiera” siano maturate anche le scelte piùconvinte e coerenti a favore di una radicale innovazione politica, una spintaverso la costruzione di soggetti politici che sappiano guardare in modo nuovoai temi che il nuovo secolo e il nuovo millennio ci pongono e che proprio nel-le città emergono in tutta la loro forza: i temi dei mutamenti climatici, delletrasfromazioni demografiche legate all’invecchiamento e ai grandi flussi migra-tori messi in moto dalla globalizzazione, il multiculturalismo. I temi, insomma,di fronte ai quali appaiono non più sufficienti gli strumenti e i paradigmi di let-tura e di interpretazione offerti dalle pur nobili tradizioni politiche del Nove-cento.

Linda LanzillottaMinistro per gli Affari regionali

e le autonomie locali

8 PREFAZIONE

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PREMESSA

1. Il movimento per le autonomie locali: un ruolo politico-istituzionale e tecnico-amministrativo

La Lega dei comuni socialisti, progenitrice dell’attuale Lega delle autonomielocali, venne fondata nel 1916 per fornire supporto politico-istituzionale e tec-nico-amministrativo alle amministrazioni locali guidate dal Partito socialistaitaliano (Psi) già aderenti all’Associazione dei comuni italiani (Anci)1 ed all’U-nione delle province d’Italia (Upi). Per ricostruire la storia della Lega è quindinecessario fare riferimento alla storia di Anci ed Upi, costituite, rispettivamen-te, nel 1901 e nel 1908, ma non solo e non tanto perché ne precedettero la na-scita. Le tre organizzazioni, infatti, devono essere considerate le principali arti-colazioni di un unico movimento per le autonomie locali diretto ad affermare ilruolo fondamentale di comuni, province e degli altri enti locali nella Nazione.

Furono gli stessi interpreti di questa storia ad utilizzare per primi il termine“movimento” riferendosi alla realtà dei comuni, i più importanti ed attivi tra leautonomie locali. Il socialista riformista Giovanni Montemartini, dopo aver ac-cennato al panorama comunale internazionale, scriveva nel 1902: “Anche inItalia abbiamo una primavera nella vita municipale […] La espressione massi-ma di questo movimento si ha nella Associazione dei Comuni italiani”2.

Luigi Sturzo, tra i protagonisti di queste vicende, scriveva nel 1949 che: “Lacampagna per le autonomie locali fu fatta principalmente dall’associazione na-zionale dei comuni italiani […] Faceva riscontro a questa associazione quelladelle provincie, che anch’essa sosteneva, nel suo ambito, i principii di autono-mia amministrativa […] La campagna era serrata contro l’accentramento bu-rocratico e contro l’ingerenza politica nella vita amministrativa locale. Tutti ipartiti, compresi i liberali, partecipavano alla campagna dei comuni e delle pro-vincie”3.

Il sacerdote di Caltagirone scriveva di una “campagna [...] contro l’accen-tramento burocratico” e “contro l’ingerenza politica” evidenziando così i dueambiti dell’impegno delle organizzazioni del movimento in favore delle ammi-nistrazioni locali: uno tecnico-amministrativo ed uno politico-istituzionale. In se-condo luogo Sturzo evidenziava l’unitarietà come caratteristica essenziale di

PREMESSA 9

1 Per definire l’Associazione dei comuni italiani si è preferito utilizzare la sigla Anci, cheidentifica l’attuale Associazione nazionale dei comuni italiani ricostituita nel 1946, per eviden-ziare la continuità della storia dell’Associazione prima e dopo il fascismo, una scelta compiutaper primo da Gabriele De Rosa, La nascita dell’Associazione dei comuni, Roma, Edizioni cinquelune, 1962, ora in Roberto Ruffilli, Maria Serena Piretti (a cura di), Per la storia dell’Anci, Ro-ma, Anci, 1986, pp. 9-21.

2 G. Montemartini, La municipalizzazione dei publici servigi, Milano, Società editrice libra-ria, 1902, pp. 372-3.

3 Luigi Sturzo, La regione nella nazione (1949), Opera Omnia di Luigi Sturzo, Prima serie,Opere, vol. XI, Zanichelli, Bologna, 1974, pp. 11-2; i corsivi sono redazionali.

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quella che definiva, indifferentemente, la “campagna per le autonomie locali” ola “campagna dei comuni e delle provincie”.

Caratteristica fondamentale del movimento era quindi l’unitarietà, che si ba-sava su una rivendicazione di autonomia nei confronti del potere centrale cosìforte, talvolta, da superare i confini dell’appartenenza degli amministratori e deitecnici delle amministrazioni locali ai vari partiti. Unitarietà che, però, non im-pediva contrasti anche forti tra le diverse organizzazioni, in particolare tra lemaggiori, Anci e Lega e tra Anci ed Upi. I contrasti non potevano essere spie-gati solo con la diversità delle aree politiche di riferimento - tra l’altro margina-le tra Anci ed Upi - ma anche con l’esistenza di una sorta di concorrenzialità trale diverse strutture in entrambi gli ambiti delle rispettive attività, sia politico-isti-tuzionale, sia tecnico-amministrativa. Quella che può essere definita come verae propria rivalità tra le organizzazioni veniva alla luce, in particolare, a partiredagli anni ’80, via via che veniva superata la fase di contrapposizione ideologicatra l’Anci, vicina alle forze politiche al governo e la Lega, vicina a quelle dell’op-posizione. Sarebbe divenuta allora evidente, rispetto a tutte le altre organizzazio-ni, “la tentazione ricorrente di fare da sé dell’Anci, spinta dalla maggior forza de-gli enti e dal maggior numero degli amministratori rappresentati”4.

2. Dalla natura politica e dalla trasversalità le capacità di stimolodella Lega

La Lega si caratterizzava rispetto alle altre organizzazioni per alcune caratteristi-che essenziali di tipo sia politico, sia tecnico. Dal punto di vista politico si caratte-rizzava per essere rivolta alle amministrazioni guidate dalla sinistra e per difenderequelle stesse amministrazioni dai soprusi del Ministero dell’interno che le colpiva-no in misura assolutamente superiore a quella cui pure erano soggette tutte le au-tonomie locali. Dal punto di vista tecnico la Lega si distingueva per il fatto di asso-ciare vari tipi di autonomie locali: comuni, province e, in seguito, comunità mon-tane ed anche regioni. La caratterizzazione politica e, quindi, la particolare capaci-tà di una lettura articolata e complessa degli eventi non limitata all’ambito giuridi-co-istituzionale unita alla possibilità di esprimere posizioni che fossero espressionedei diversi tipi di autonomia locale e, dal secondo dopoguerra anche delle regioni,favorirono quel ruolo di stimolo nei confronti di tutto il movimento e di tutte leorganizzazioni che ha caratterizzato le vicende della Lega fino ad oggi.

Questa storia della Lega, quindi, non verrà letta esclusivamente alla luce del-la storia dei movimenti e dei partiti politici, diversamente da quanto è accadu-to nella ricerca di Corrado Corghi, del 19795, e nelle opere, di impostazione si-

10 PREMESSA

4 Oscar Gaspari, L’Italia delle Province. Breve storia dell’Unione delle Province d’Italia dal1908 ai nostri giorni, Roma, Upi Editoria e servizi, 2004, pp. 203-4.

5 Corrado Corghi, La Lega per le autonomie locali dalle origini al fascismo. Contributo per unaricerca storica sull’associazionismo dei poteri locali in Italia, Roma, Edizioni delle Autonomie,1979, bozza di stampa non corretta; la ricerca è stata poi pubblicata nel 1984, a puntate, nel-la rivista “Calendario del popolo” (CdP), citato di seguito.

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mile, dedicate all’Anci ed ai politici cattolici nelle istituzioni locali, prima fratutte quella di Gabriele De Rosa, del 1962, per finire con quella di Chiara-monte, del 20046. Verranno così messe in evidenza le vicende politico-istitu-zionali e quelle tecnico-amministrative relative al movimento per le autonomielocali che invece, nelle citate ricerche, sono state sostanzialmente trascurate. So-lo assumendo questo particolare punto di vista, infatti, è possibile comprende-re pienamente le peculiarità della storia di un’organizzazione come la Lega che,altrimenti, verrebbe considerata come una mera appendice del Psi nel periodoliberale e fascista, e del Partito socialista e di quello comunista nel periodo re-pubblicano, e non si comprenderebbe la continuità del suo ruolo anche all’in-domani della crisi dei partiti politici di massa avvenuta alla fine del ‘900. Unalettura della storia della Lega impostata soprattutto sul piano politico, può spie-gare come mai le vicende della Lega non abbiano fino ad ora sollevato l’inte-resse dovuto ad un’organizzazione che ormai da novant’anni è tra i protagoni-sti della scena politico-istituzionale italiana.

PREMESSA 11

6 Gabriele De Rosa, La nascita dell’Associazione dei comuni, Roma, Edizioni cinque lune,1962; Lorenzo Bedeschi, Socialisti e cattolici nei comuni dall’unità al fascismo, Roma, EdizioniLega per le autonomie e i poteri locali, 1973; Mario Belardinelli, Movimento cattolico e que-stione comunale dopo l’unità, Roma, Edizioni Studium, 1979; Roberto Ruffilli, Alle origini del-l’Associazione nazionale dei comuni italiani, in Ruffilli, Piretti (a cura di), Per la storia dell’Anci,cit., pp. 23-35; Umberto Chiaramonte, Luigi Sturzo nell’Anci, Soveria Mannelli, Rubbettino,2004.

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PARTE IDALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE ALLA

FINE DURANTE L’ASCESA DEL FASCISMO

1. Gli albori del movimento per le autonomie locali alla finedell’‘800: dall’associazionismo dei lavoratori a quello delleautonomie locali

Negli ultimi decenni della seconda metà dell’‘800 si svilupparono e si in-trecciarono richieste di riforma sociale e politico-istituzionale che accompa-gnarono le grandi trasformazioni economiche e sociali di quel periodo. In que-gli anni maturarono sia le prime iniziative legate ai nascenti movimenti politi-ci socialista e cattolico, sia quelle del movimento per le autonomie locali, arti-colato nel movimento dei comuni ed in quello delle province. Non è possibilecomprendere pienamente l’evoluzione della legislazione e dell’attività ammini-strativa degli enti locali senza fare riferimento a questo intreccio tra attività po-litico-sociale e politico-istituzionale, di cui la Lega è stata senza dubbio l’esem-pio più evidente. Si trattò però di intreccio e non di identificazione tra due di-stinte attività l’una, propria di partiti e sindacati prevalentemente nel campopolitico e sociale, e l’altra, quella della Lega, nell’ambito del movimento per leautonomie locali, in gran parte nella realtà amministrativa e delle istituzioni.

Comuni e province nell’Italia unita, non appena ne ebbero la possibilità, siorganizzarono per sostenere i propri interessi di istituzioni, in riferimento ed innome dei cittadini, sia sul piano nazionale, sia su quello internazionale. La que-stione fondamentale era – ed è - in primo luogo, quella finanziaria, sulla basedel fatto che essendo limitate le possibilità di tassare i cittadini, era evidente chemaggiori erano le risorse che andavano allo Stato, meno erano quelle che ri-manevano a comuni e province e viceversa.

I due congressi dei sindaci che si svolsero a Torino nel 1879 e nel 1884, pro-mossi dal sindaco liberale Luigi Ferraris, possono essere considerate le primemanifestazioni di quello che si sarebbe sviluppato in seguito in un vero e pro-prio movimento comunale7. Ma fu la riforma del 1888 voluta da Francesco

7 Di questi eventi Elisabetta Colombo sottolinea il carattere esclusivamente tecnico-finan-ziario, l’assoluta lontananza “dalla carica eversiva propria delle battaglie di fine secolo”, eviden-ziata anche dal fatto che i sindaci partecipanti fossero di nomina regia e, in conclusione, la so-stanziale estraneità di questi congressi al movimento per le autonomie locali proprie del perio-do a cavallo tra ‘800 e ‘900. Pur senza sottovalutare questi dati, è però possibile rinvenire al-

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Crispi - che concesse ai comuni con più di 10.000 abitanti ed alle province l’e-lezione del sindaco e del presidente della deputazione provinciale da parte deirispettivi consigli8 - a rendere possibile la trasformazione delle sporadiche pro-teste di comuni e province, singole ed organizzate, in un vero e proprio movi-mento per le autonomie locali. Se prima di allora un sindaco nominato con de-creto regio solo eccezionalmente avrebbe potuto promuovere o favorire mani-festazioni di autonomia da parte del proprio comune, per la provincia era pres-soché impossibile esprimere posizioni non conformi alle direttive del governo.Secondo la legge comunale e provinciale del 1865, infatti, era il prefetto a ca-po dell’amministrazione provinciale.

Ancora una volta in modo simile a quanto era accaduto ai lavoratori - ma inmisura e, soprattutto, con una diversa natura, in quanto istituzioni regolati daleggi - comuni e province poterono associarsi non solo quando ne avvertironola necessità, ma anche quando le leggi diedero loro, non certo libertà e diritticivili, come ai lavoratori, ma una sufficiente autonomia

Fu proprio qualche anno dopo la riforma crispina che il radicale e massone9

Francesco Fazi, sindaco di Foligno, promosse quattro incontri che si tennero trail 1892 ed il 1894 a Perugia, Ancona, Forlì e Roma, a cui parteciparono fino aduemila sindaci di tutta Italia. Le ragioni di queste proteste erano soprattuttoeconomiche. Ecco come Corghi sintetizza la situazione della finanza locale, lacui pessima condizione è stata confermata anche da più recenti e specifiche ri-cerche10:“Gli enti locali vennero spremuti all’osso con le leggi che vanno dal 1865 al1870 riservando ad essi il compito di assicurare allo stato il raggiungimento delpareggio contabile delle proprie finanze (Quintino Sella): così province e co-muni pagarono spese non di loro spettanza, mentre lo stato avocò a sé beni eimposte degli enti locali […] condannati al progressivo indebitamento”11.

14 PARTE I

cuni elementi di importante continuità con le successive vicende del movimento per le auto-nomie locali considerato nel suo complesso. La continuità era nel ruolo fondamentale esercita-to nel movimento dalla città di Torino, nell’attenzione ai provvedimenti finanziari e nell’estre-mo realismo, nella stessa ossequiosità dei toni, nell’estrema riluttanza a costituire un’organizza-zione permanente, caratteristiche che erano proprie in particolare dell’ala moderata del movi-mento per le autonomie locali, qual era, ad esempio, quello delle province; Elisabetta Colom-bo, Le “conferenze tributarie” dei sindaci, 1879-1884, in “Storia, Amministrazione, Costituzio-ne. Annale dell’Istituto per la scienza dell’amministrazione pubblica” (Annale Isap) 7/1999, pp.121-156; su questi eventi cfr. Fernanda Mazzanti Pepe, Il movimento per le autonomie locali e ildecentramento amministrativo nell’ultimo decennio dell’Ottocento, in Annale Isap 6/1998, pp.127-166.

8 Su questo argomento si veda, in particolare, Archivio ISAP 6. Le riforme crispine, Milano,1990, 4 voll. L’elettività dei sindaci dei comuni minori veniva concessa nel 1896 dal governodi Antonio Starabba, marchese di Rudinì.

9 Sull’importantissimo ruolo della massoneria nelle iniziative di Fazi e, successivamente, nel-la fondazione dell’Anci, cfr. Oscar Gaspari, L’Italia dei municipi. Il movimento comunale in etàliberale (1879-1906), Roma, Donzelli, 1998, pp. 74-81.

10 Il riferimento è, in particolare, all’opera di Gianni Marongiu, Storia dei tributi degli entilocali (1861-2000), Padova, Cedam, 2002, pp. 73-135.

11 Corrado Corghi, La Lega per le autonomie locali dalle origini al fascismo (1). L’inizio dellalotta per la conquista dei comuni, CdP, feb. 1984, p. 9919.

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1.1. I lavoratori alla conquista dei comuni

Non fu un caso che ad intervenire a quelle assemblee fossero soprattutto sin-daci della sinistra e, in particolare, socialisti. La mobilitazione di questa partepolitica rispetto ai comuni era di antica data, scrive ancora Corghi:“Grande merito storico di Andrea Costa (sarà il primo deputato socialista elet-to nel 1882) fu di aver affermato per primo, con fermezza e passionalità roma-gnola, la necessità della conquista dei comuni da parte dei lavoratori. Il primopasso in questa linea è la fondazione, nel 1881, del Partito socialista rivoluzio-nario di Romagna”12.

La riforma elettorale politica promossa dal governo Depretis nel 1882, al-largò il suffragio dal 2 al 7% della popolazione e permise l’elezione a deputatodi Costa, il quale ebbe il “merito indiscusso” di aver condotto “il socialismo ro-magnolo e non solo romagnolo a riconoscere il principio della partecipazionealle elezioni in genere, alle amministrative in ispece”13. “Impadronirsi dei Co-muni mediante viva partecipazione alle elezioni amministrative, e trasformarea vantaggio del popolo e dell’autonomia comunale l’attuale ordinamento am-ministrativo, affidando alle associazioni operaie i lavori comunali e l’eserciziodelle proprietà del comune ed impegnando, all’occorrenza, la lotta contro loStato”, era questo il programma del partito di Andrea Costa nel 188114. In que-ste righe sono delineate le caratteristiche fondamentali del programma sociali-sta per i comuni che giustificava la partecipazione alle elezioni locali vista allo-ra, in particolare dagli anarchici, come un vero e proprio tradimento della lot-ta rivoluzionaria. Il programma dei socialisti, una volta arrivati al governo deicomuni, avrebbe dovuto permettere un’amministrazione volta al vantaggio del-le classi popolari ed alla promozione dell’autonomia comunale; all’instaurazio-ne di un rapporto privilegiato con le organizzazioni dei lavoratori; un’ammini-strazione, infine, che gestisse le risorse del comune a beneficio dei lavoratori eche si impegnasse nella lotta contro lo Stato liberale.

L’interesse dei socialisti per le amministrazioni locali assunse consistenza edimensione nazionale nel quarto congresso del Partito dei lavoratori italiani chesi svolse a Bologna nel 1888. Nell’assemblea, Costa, deputato di Imola, e i suoicompagni, riuscirono ad affermare la loro linea rispetto alla “forte componen-te astensionistica a quell’epoca di matrice prevalentemente anarchica”, una li-nea che venne fatta propria dal programma del Partito dei lavoratori italiani(dal 1895 Partito socialista italiano), nato a Genova nel 1892, che prevedeva:“una lotta più ampia intesa a conquistare i poteri pubblici per trasformarli dastrumento che è oggi di oppressione e sfruttamento, in strumento per l’espro-priazione economica e politica della classe dominante” 15.

DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE 15

12 Ibidem.13 Ettore Rotelli, L’autonomia comunale nel socialismo di Andrea Costa, in idem, Costituzio-

ne e amministrazione nell’Italia unita, Bologna, Il Mulino, 1981, p. 147.14 Gastone Manacorda, Il movimento operaio attraverso i suoi congressi. Dalle origini alla for-

mazione del Partito Socialista (1853-1892), Roma, Rinascita, 1953, p. 345.15 Corghi, La Lega per le autonomie locali dalle origini al fascismo (1)..., cit., pp. 9919-20.

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1.2. Adattare il programma socialista alla realtà dell’istituzione locale

La riforma del 1882, ricorda Ettore Rotelli, mise “in moto una dinamica po-litico-istituzionale difficilmente arrestabile”: sei anni dopo arrivò la riforma cri-spina. La campagna elettorale per le elezioni del 1889, le prime dopo la rifor-ma, videro riaffiorare nella sinistra “tutte le suggestioni del socialismo anarchi-co” ma, alla fine, passò la tesi di un “programma minimo” da realizzare una vol-ta conquistato il comune16. Sotto la formula “programma minimo” i socialistidel primo ‘900 raggruppavano gli obiettivi principali che le loro amministra-zioni avrebbero dovuto perseguire. Secondo quanto stabilito nel congresso diParma del 1895, ai primi posti vi erano: il passaggio al comune dei servizi pub-blici, come gas, acqua potabile, tranvie, linee elettriche e, quindi, la riformadelle imposte comunali, l’abolizione delle spese di lusso, l’aggiudicazione dei la-vori pubblici alle cooperative di lavoro, la giornata di lavoro di otto ore per i la-voratori comunali17.

Tenendo conto dei limiti imposti dalla legislazione in vigore nei comuni,nonostante venisse definito minimo, a ben vedere, si trattava di un programmateorico ben difficilmente realizzabile18, ma il principio dell’adattamento delprogetto rivoluzionario alla concreta realtà dell’istituzione locale era passato. Ecosì, una volta conquistato Imola ed altri comuni romagnoli nel 1889, insiemea tanti altri municipi come Verona, Catania, Venezia e Genova, i socialisti siprepararono alla realizzazione di misure dirette allo sviluppo della realtà localeper il miglioramento delle condizioni dei cittadini più poveri, dei lavoratoriproletari. Scriveva Andrea Costa: “l’amministrazione sarà migliorata, curata laproprietà generale, maggiormente diffusa l’istruzione, diminuiti ed equamenteripartiti gli aggravi, sollevate le condizioni di coloro che dal comune dipendo-no, gittati i germi di un avvenire migliore economico e sociale”19.

Spesso, però, l’adattamento del programma socialista alla situazione ammi-nistrativa non sarebbe stato considerato sufficiente dall’autorità di governo. Loscioglimento del consiglio comunale di Imola nel 1898, infatti, fu quasi certa-mente collegato “all’avvento di un’amministrazione dichiaratamente socialistae, in ogni caso, alle scelte concrete che questa aveva compiuto”20. Iniziavano daallora le prime esperienze di scioglimenti dei consigli comunali, misura che tan-to avrebbe colpito le amministrazioni socialiste nel periodo liberale.

Sin dal loro primo affacciarsi nelle istituzioni locali i socialisti avrebbero co-sì dovuto risolvere da una parte, la questione dell’adattamento del loro pro-gramma teorico alle concrete ed effettive possibilità dell’amministrazione loca-

16 PARTE I

16 Rotelli, L’autonomia comunale nel socialismo di Andrea Costa…, cit., pp. 148-153.17 Corghi, La Lega per le autonomie locali dalle origini al fascismo (1)..., cit., p. 9924; su que-

sto argomento e, più in generale, sulla nascita di un progetto socialista per gli enti locali cfr. Er-nesto Ragionieri, La formazione del programma amministrativo socialista in Italia, in Politica eamministrazione nella storia dell’Italia unita, Roma, Editori Riuniti, pp. 199-264.

18 Rotelli, L’autonomia comunale nel socialismo di Andrea Costa…, cit., p. 153.19 Andrea Costa agli amici, in “La Lega Democratica”, n. 42, 20 ottobre 1889; riportato da

Rotelli, L’autonomia comunale nel socialismo di Andrea Costa..., cit., pp. 154-5.20 Rotelli, L’autonomia comunale nel socialismo di Andrea Costa..., cit., p. 161.

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le e, dall’altra, la questione del rapporto con l’autorità di governo. La mobilita-zione unitaria, lo stesso strumento proposto ai lavoratori per il miglioramentodelle loro condizioni, fu il principale mezzo per difendere i comuni individua-to dai socialisti, insieme a tutta la sinistra, radicale e repubblicana. Fu in que-sta logica che sindaci, amministratori e consiglieri comunali della sinistra par-teciparono all’iniziativa di Francesco Fazi.

1.3. I primi convegni dei sindaci eletti dai consigli

I protagonisti principali delle assemblee organizzate dal sindaco di Folignofurono i municipi piccoli e medi che sono, ancora oggi, i più forti sostenitoridell’associazionismo delle istituzioni locali. Le ragioni del loro attivismo risie-devano principalmente nel fatto che, a differenza delle grandi città, essi nonavevano mezzi ed influenza politica tali da sperare di vedere soddisfatte le pro-prie esigenze. Era evidente che solo attraverso un’azione collettiva i comuni pic-coli e medi avevano qualche possibilità di ottenere dei risultati positivi. Vi è poiun’altro dato della mobilitazione di Fazi che deve essere sottolineato in quantocaratteristica basilare del movimento comunale: il protagonismo dei comunidel centro e del nord, aree dove le tradizioni storiche di autonomia locale era-no senza dubbio più forti e che coincidevano, in gran parte, con le aree di mag-gior forza dei partiti della sinistra.

Verso la fine della mobilitazione promossa da Fazi, nel 1894, si sviluppò an-che l’intesa con alcuni studiosi lombardi e veneti, tra cui il più conosciuto edattivo era il milanese Giovanni Casnati21.

Furono questi studiosi ad organizzare i convegni successivi, i primi a Mila-no nel 1894 ed a Verona nel 1895, ai quali contribuirono attivamente le am-ministrazioni provinciali delle due regioni, in particolare quello del 1895 fu di-retto dal sindaco di Verona, il radicale Augusto Caperle, e dal presidente delladeputazione provinciale veronese, Luigi Dorigo. All’attività dei comitati regio-nali lombardo e veneto si aggiunse nel 1896 quella del comitato regionale pie-montese e in un’assemblea del comitato lombardo svoltasi nel 1897, a Milano,nacque l’idea di tenere il primo congresso nazionale delle province, che si svol-se dal 20 al 24 ottobre 1898 a Torino22. Furono “il diffuso regionalismo” di fi-ne ‘800 ed alcune norme giudicate lesive delle province a spingere le ammini-strazioni provinciali al congresso nazionale23, proprio come disposizioni repu-tate dannose alle finanze comunali avevano indotto qualche anno prima i co-muni a mobilitarsi intorno al sindaco di Foligno.

DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE 17

21 Roberto Ruffilli, La questione regionale dall’unificazione alla dittatura (1862-1942), Bo-logna, Il Mulino, 1971, pp. 114-118

22 Sull’assemblea cfr. Atti del primo congresso nazionale delle rappresentanze provinciali di To-rino. 20-24 ottobre 1898, 2 voll., Torino 1899, ristampa a cura dell’Unione delle province d’I-talia 1908-1983, Roma. Da notare che sempre Torino aveva ospitato 19 anni prima, nel 1879,la prima riunione dei municipi italiani, a conferma della prossimità del movimento dei comu-ni e di quello delle province.

23 Mazzanti Pepe, Il movimento per le autonomie locali e il decentramento..., cit., pp. 143-157.

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Già alla fine dell’’800 erano così delineate gran parte delle principali carat-teristiche del movimento per le autonomie locali: il primato del movimento co-munale su quello delle province, la forte capacità di mobilitazione dei comunipiccoli e medi, la tensione del movimento comunale verso l’unità. Infatti, perquanto in questo periodo fosse palese la leadership dei partiti popolari - ed inparticolare dei radicali - rispetto alle altre formazioni politiche, amministratoridella sinistra ed amministratori liberali - e poi anche cattolici - si trovarono e sisarebbero trovati uno accanto all’altro per rivendicare maggiore autonomia emaggiori risorse dal governo.

Finita la crisi politico-istituzionale di fine secolo, con manifestazioni e mortiin tutta Italia ed il fallimento della svolta politica autoritaria tentata dal governodel generale Luigi Pelloux, il movimento dei comuni riprese nel 1900 attraver-so due iniziative distinte e concorrenti: la prima, avviata dai grandi comuni li-berali del nord e della Toscana, con Verona e Firenze in testa; la seconda pro-mossa da socialisti, repubblicani e radicali, partita da Parma e Milano, che ri-sultò vincente. Quest’ultima iniziativa, infatti, si estese ai comuni piccoli e me-di di tutta Italia e, nel 1901, diede vita all’Associazione dei comuni italiani.

1.4. La fondazione dell’Anci

Il congresso di fondazione dell’Anci si svolse nel ridotto del Regio Teatro diParma dal 17 al 19 ottobre del 1901. Il sindaco di Milano, il radicale Giusep-pe Mussi, inaugurò il congresso chiedendo allo Stato il “legale sviluppo della no-stra vita, sgravii delle nostre finanze”. L’azione dei comuni sarebbe dovuta essere“lenta e pacifica”24. Il dibattito congressuale si aprì sul nome da dare all’orga-nizzazione dei comuni. Il consigliere comunale socialista parmense FerdinandoLaghi, promotore della prima delibera che aveva dato il via alla nascita del-l’Anci, chiese l’adozione del termine lega invece di quello di associazione che erastato proposto nella bozza in discussione al congresso, ma il suo parere vennebocciato. Il termine lega ricordava troppo le leghe socialiste dei lavoratori eavrebbe potuto allontanare ancor più i moderati, già poco presenti a Parma.

La discussione si riaccese sulla scelta della sede dell’Associazione, questa vol-ta prevalse la posizione sostenuta dai socialisti, che avevano chiesto Milano per-ché amministrata dai partiti popolari, ed era appoggiati dai radicali perché ilsindaco Mussi apparteneva alle loro file. Da allora e per 15 anni, fino al 1916,il capoluogo lombardo avrebbe ospitato la sede dell’Anci, anche quando l’am-ministrazione comunale passò sotto il controllo di una maggioranza liberalemoderata. L’assemblea dei sindaci di Parma, quindi, elesse il consiglio direttivoche risultò composto da 15 membri, il quale poi a sua volta indicò come pre-sidente Mussi, e due vicepresidenti, Giovanni Mariotti, radicale, sindaco diParma e Antonino Martino, repubblicano, sindaco di Messina. Il socialistariformista Emilio Caldara fu nominato segretario dell’Associazione e direttoredell’organo ufficiale “L’Autonomia comunale”. L’Associazione fondata a Parma

18 PARTE I

24 Il Congresso di Parma, “L’Autonomia comunale”, (AC) 20 mar. 1901, n. 1, p. 2.

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era controllata da una maggioranza politica di sinistra all’interno della quale,però, le frange più estremiste, seppure rappresentate nel consiglio direttivo, nonottennero alcun ruolo di rilievo nell’organizzazione.

Con la fondazione dell’Anci il principio dell’associazionismo, che socialisti,radicali e repubblicani avevano per primi promosso tra i lavoratori, passava al-le istituzioni locali grazie a quegli stessi movimenti politici. Anche l’idea dichiamare l’organizzazione dei comuni lega - oltre che esigenze politiche propa-gandistiche - evidenziava il fatto che il principio dell’associazionismo delle au-tonomie locali derivava da quello delle leghe dei lavoratori. E fu proprio il cam-biamento del nome da lega in associazione, insieme all’approvazione di uno sta-tuto più moderato rispetto a quello proposto inizialmente, a sollevare i primidubbi sull’utilità dell’Anci in una parte importante del Psi.

Il commento più significativo, in questo senso, apparve appena dopo il con-gresso di Parma nella “Critica sociale”. In un articolo firmato con lo pseudoni-mo “Il Federalista” Salvemini presentò il progetto di uno “Statuto della Fede-razione Nazionale fra i Comuni italiani per la conquista dell’autonomia” cheavrebbe dovuto “tutelare i Comuni, giuridicamente e moralmente dalle illegalisopraffazioni del potere centrale”, promuovere la modifica della legge comuna-le e provinciale, la riforma fiscale e l’abolizione di province e prefetture sosti-tuendole con consorzi di municipi. La Federazione doveva essere formata daFederazioni locali di non meno di 20 comuni che avrebbero poi costituito laFederazione nazionale ed eletto il consiglio federale. Salvemini consideravaquesta prospettiva realizzabile solo attraverso l’alleanza dei socialisti con gli al-tri partiti popolari25 per costruire un movimento comunale che sarebbe stato“principio di rinnovamento completo di tutta la vita pubblica italiana” per con-quistare, con l’autonomia comunale, l’indipendenza dalla ingerenza governati-va e quindi segnare la fine della corruzione elettorale. I comuni autonomi, aquesto punto, avrebbero sentito “il bisogno di associarsi fra loro in federazioniregionali” e l’Italia sarebbe diventata uno Stato federale26.

Era palese la disparità tra il progetto dell’esponente socialista e, più in gene-rale, tra il modello combattivo di organizzazione proposto dai socialisti e quel-lo che sarebbe stato sostenuto a Parma dai radicali Mussi e Mariotti, che pro-spettavano un organismo non estremista ed aperto al contributo di tutti i co-muni. Mentre Mariotti colloquiava amichevolmente con il prefetto per tran-

DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE 19

25 Pur sottolineando la necessità di un’alleanza tra i partiti popolari, Salvemini non rispar-miò critiche ai possibili alleati, in particolare ai repubblicani, che considerò come i veri re-sponsabili del cambiamento del nome dell’organizzazione comunale da Lega in Associazione, escrisse, ironicamente, se non sarebbe stato meglio fare una “Confraternita di Comuni” per fa-vorire l’adesione di un maggior numero di municipi.

26 Il Federalista, L’Autonomia Comunale e il prossimo Congresso di Parma, in “Critica socia-le”, 11 ott. 1901, ora in Ruffilli, Piretti (a cura di), Per la storia dell’Anci…, cit., pp. 190-9. L’i-dea generale del progetto salveminiano, sembra riecheggiare il progetto di Andrea Costa del1879 che individuò nei comuni “l’organizzazione politica della società, non [restava], infatti, aldi sopra dei Comuni che la loro federazione [...] uno Stato inteso come federazione di Comu-ni”, (Rotelli, L’autonomia comunale nel socialismo di Andrea Costa…, cit., pp.142-3), l’impo-stazione di Costa aveva però forti toni anarchici che non erano evidenti in quella di Salvemini.

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quillizzarlo rispetto alla natura del congresso parmense27 - evidenziando fin daquel momento la priorità della prospettiva del dialogo con le istituzioni nazio-nali, propria della storia dell’Anci – Salvemini elaborava un progetto che ten-deva alla riforma democratica e federalista dello Stato.

1.5. La primavera municipale in Italia

La nascita dell’Anci, seguita due anni dopo dall’approvazione della legge sul-le aziende municipalizzate (29 marzo 1903, n. 103), annunciava la primaveramunicipale in Italia28. È questa la definizione particolarmente efficace del socia-lista riformista Giovanni Montemartini29 il quale, dopo aver accennato al pa-norama comunale internazionale, scriveva nel 1902: “Anche in Italia abbiamouna primavera nella vita municipale […] La espressione massima di questo mo-vimento si ha nella Associazione dei Comuni italiani”30. Il fondatore del Parti-to popolare, Luigi Sturzo, scriveva nel 1949 di un “movimento municipalistache culminò nell’Associazione dei comuni italiani, [che] datava dalla fine del-l’ottocento”31. Nell’Anci ebbero la possibilità di lavorare uno accanto all’altro iprotagonisti del movimento comunale, il complesso di tecnici, amministratori epolitici di diverso orientamento politico e cultura che, sia sul piano nazionale,sia su quello internazionale32, aveva l’obiettivo di affermare la centralità delle

20 PARTE I

27 Dai rapporti del prefetto di Parma, Pietro Veyrat, risaltava l’opera tranquillizzatrice diMariotti, con il quale il funzionario parrebbe proprio aver avuto diversi colloqui. Altrettantoimportante fu la funzione svolta del prefetto presso il Ministero dell’interno. Veyrat apparvequasi come un vero e proprio rappresentante delle richieste dei comuni presso la sede centrale,in certi momenti sembrò addirittura farsi personalmente garante delle assicurazioni di Mariot-ti. In questi contatti il sindaco parmense, sottolineando il proprio ruolo di moderatore, cercòdi minimizzare la pericolosità politica del congresso del quale anticipava quella che sarebbe do-vuta essere una tra le principali richieste, di carattere squisitamente finanziario, a dimostrazio-ne del carattere legale della manifestazione; Archivio Centrale dello Stato, (Acs), Fondo Mini-stero dell’interno (Min. Int.), Comuni, b. 460, fasc. 15900.11, lettere del prefetto di Parma alMinistro dell’interno del 2, 4 e 21 ott. 1901.

28 Ancora nel 1910 sulla prima pagina de l’“Avanti!”, Giovanni Zibordi firmava un articolointitolato Primavera di vita municipale, 8 set. 1910.

29 Cfr. La cultura delle riforme in Italia fra Otto e Novecento: i Montemartini. Atti del Semi-nario nazionale, Pavia 15 dicembre 1984, Pavia, Amministrazione provinciale, 1986; Vito Gal-lotta (a cura di), Cultura e lavoro nell’età giolittiana, Napoli, Guida, 1989.

30 Giovanni Montemartini, La municipalizzazione dei publici servigi, Milano, Società edi-trice libraria, 1902, pp. 372-3.

31 L. Sturzo, Unità o centralismo statale?, “Il Mondo”,12 mag.1949 in idem, Politica di que-sti anni. Consensi e critiche (Dall’aprile 1948 al dicembre 1949), Bologna, Zanichelli, 1955,p.213.

32 Per un’analisi del movimento comunale italiano e dei primi anni dell’Associazione nazio-nale dei comuni italiani cfr. Gaspari, L’Italia dei municipi..., cit.; sul movimento comunale in-ternazionale cfr. Oscar Gaspari, Alle origini del movimento comunale europeo: dall’Union Inter-nationale des Villes al Consiglio dei comuni d’Europa (1913-1953), “Memoria e ricerca”, n.10,dic. 1997, 147-163; idem, Cities against States? Hopes, Dreams and Shortcomings of the EuropeanMunicipal Movement 1900–1960, “Contemporary European History”,vol. 11, n.4, nov. 2002,pp. 597-621.

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funzioni e dei problemi delle città presso le istituzioni e l’opinione pubblica permeglio rispondere ai crescenti bisogni dei cittadini.

In particolare nell’organizzazione lavorarono insieme - oltre a liberali, radi-cali e repubblicani - i protagonisti della storia politico-istituzionale italiana del‘900: gli esponenti del movimento socialista e di quello cattolico33, storici op-positori dello Stato liberale che, nella battaglia per l’autonomia comunale, tro-varono un eccezionale luogo di collaborazione e di confronto.

Fu nella gestione della strategia dei comuni italiani di fronte allo Stato libe-rale che il municipalismo sociale cattolico e il socialismo municipale socialistariuscirono per alcuni anni a trovare una sintesi. I due movimenti avevano vi-sioni sostanzialmente divergenti su materie molto importanti, basti pensare al-l’educazione ed all’assistenza, che i socialisti volevano laica ed i cattolici inten-devano fortemente permeata da valori religiosi e con possibilità di interventi di-retti di istituzioni religiose. Furono comunque, secondo Aimo:“le amministrazioni socialiste e popolari le autentiche protagoniste [della] rina-scita comunale [..] le anticipatrici di politiche pubbliche, di forte impatto socia-le e di rilevo simbolico, che saranno poi seguite e imitate dallo stesso Stato cen-trale e che hanno fatto parlare di un vero e proprio ‘diritto comunale’ […] dal-le aziende municipalizzate al sostegno alle cooperative, dalla costruzione di casepopolari alla predisposizione di doposcuola per i bambini poveri, dall’aperturadi mercati rionali alla realizzazione di spacci comunali, dall’istituzione degli Uf-fici del lavoro alla tutela del patrimonio artistico, dalla prevalenza della tassa difamiglia sui dazi consumo alla limitazione delle spese di lusso e così via”34.

È bene però precisare fin d’ora che non tutti i cattolici, né tutti i socialistifurono egualmente impegnati nel movimento per le autonomie locali. Nei cat-tolici, alla fine dell’età giolittiana:“l’originaria spinta propulsiva del municipalismo cattolico si attenua e […]vengono alla luce le sue due anime contrapposte: quella più strumentale, chefaceva della bandiera dell’autonomismo un mezzo per sostenere e rinvigorire lapolemica ideale contro il liberalismo, e quella più laica e lineare, che di tale bat-taglia dottrinale si serviva come di una tappa importante per una democratiz-zazione complessiva della macchina statale”.

Per quanto riguarda i socialisti, i settori più moderati e riformisti formularono:“programmi che, pur mantenendo sullo sfondo l’ideale del superamento delloStato borghese e capitalista, indicano gli obiettivi e i mezzi per consentire allaclasse operaia (e ai ceti subalterni) di utilizzare a proprio vantaggio le istituzio-ni esistenti […, ma] la nuova strategia non troverà unanime accoglienza e le fra-zioni rivoluzionarie e anarchiche non mancheranno di criticarla”35, e soprattut-to, è il caso di sottolinearlo, di boicottarla.

DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE 21

33 Su questo argomento, oltre al citato Bedeschi si vedano Corrado Corghi, La Lega per leautonomie locali dalle origini al fascismo (2). L’Associazione dei comuni e i cattolici, CdP, mar.1984, pp. 9996-10002; e Mario Belardinelli, Movimento cattolico e questione comunale dopo l’U-nità, Roma, Edizioni Studium, 1979.

34 Piero Aimo, Stato e poteri locali in Italia (1848-1995), Roma, Carocci 1998, p. 92.35 Aimo,Stato e poteri locali in Italia..., cit., pp. 89-90.

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2. Il movimento socialista e l’affermazione della maggioranzaliberale e cattolica nell’Anci

Il secondo congresso dell’Anci si svolse dal 9 all’11 novembre 1902 a Mes-sina. Tra i protagonisti vi fu Sturzo, sacerdote e consigliere comunale di Calta-girone36 che, due anni dopo, nel congresso di Napoli del 1904, venne eletto nelconsiglio direttivo dell’Anci insieme al cattolico parmense Giuseppe Micheli, diParma. Fu quello il primo successo dell’alleanza tra cattolici e liberali diretta asostituire la coalizione di socialisti, repubblicani e radicali alla testa dell’Anci.

Nel 1905 si tenne a Firenze un congresso straordinario dell’associazione nelquale il sindaco della città, Ippolito Niccolini, sottolineò l’unità dei comuni ita-liani in difesa della propria autonomia al di là delle distinzioni politiche e dellacollocazione geografica. Si poneva così fine, idealmente, alla divisione che per an-ni aveva separato i comuni italiani tra grandi moderati e piccoli e medi comunipiù battaglieri. Proprio il comune di Firenze nel 1900, infatti, aveva ospitato unariunione di grandi comuni del Nord e della Toscana, guidati dai liberali, a cui sisarebbero contrapposti i comuni piccoli e medi della sinistra che avrebbero datovita all’Anci. Il congresso straordinario, dedicato al problema della eliminazionedai bilanci comunali delle spese di competenza dello Stato - come quelle per l’ar-redamento dei tribunali e per l’alloggio delle truppe - nel disegno di alcuni mem-bri socialisti della direzione, avrebbe dovuto promuovere le dimissioni dei consi-glieri comunali, una sorta di sciopero nazionale dei comuni contro il Governo.

La nuova maggioranza di sindaci liberali e cattolici affermatasi per la primavolta proprio in quell’occasione, riuscì però a far passare la linea che prevedevala mobilitazione dei sindaci per spingere il Parlamento ad approvare un apposi-to disegno di legge presentato da alcuni senatori vicini all’Anci. La scelta risultòvincente e, due anni dopo, venne varata la legge 24 marzo 1907, n. 116, che pre-vedeva il graduale passaggio dai comuni allo Stato di tutte le spese di compe-tenza statale; l’organo ufficiale dell’Associazione la definì “la nostra legge”37.

2.1. L’autonomia comunale dal terreno politico a quello istituzionale etecnico-amministrativo

Nel 1906, al congresso di Torino, una coalizione di liberali e di cattolici gui-dati da Sturzo ottenne la maggioranza dei seggi nel consiglio direttivo. Da al-lora il presidente dell’Associazione fu sempre un liberale e le più importanti ini-

22 PARTE I

36 Su Sturzo consigliere comunale e, dal 1905, pro-sindaco, cfr. Umberto Chiaramonte, Ilmunicipalismo di Luigi Sturzo pro-sindaco di Caltagirone (1899-1920), presentazione di Ga-briele De Rosa, Brescia, Morcelliana, 1992; idem, Luigi Sturzo e il governo locale, Soveria Man-nelli, Rubbettino, 2002.

37 La nostra legge, AC, n. 4-5, apr.-mag. 1907, p. 100. Sulla questione delle spese dello Sta-to caricate sui bilanci degli enti locali è particolarmente interessante il saggio di Vittorio Italia,La provincia quale destinataria di oneri a favore dello Stato, in Antonio Amorth, (a cura di), Leprovince. L’ordinamento comunale e provinciale, 2, ISAP, Atti del congresso celebrativo del cente-nario delle leggi amministrative di unificazione, Vicenza, Neri Pozza Editore, 1968, pp. 119-138.

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ziative dell’Anci abbandonarono il terreno più propriamente politico per con-centrarsi su questioni di carattere tecnico, finanziario ed istituzionale. In parti-colare, l’obiettivo prioritario della maggioranza moderata affermatasi a partiredal congresso di Firenze diveniva quello di garantire ai comuni più risorse dagestire con la maggiore autonomia possibile.

Nel campo istituzionale l’Anci sostenne il progetto del Consiglio superiore deicomuni, prima proposta di un organismo istituzionale per regolare i rapporti traStato e comuni38, presentata alla Camera nel marzo del 1906 da Pietro Niccolini,componente del consiglio direttivo dell’Anci. L’ex sindaco di Ferrara presentava laproposta nel corso del dibattito sul disegno di legge per la revisione dell’istituto del-lo scioglimento dei consigli comunali. Questo potere, che il Ministero dell’internoavrebbe dovuto utilizzare solo in casi eccezionali, nel periodo giolittiano veniva im-piegato con larghezza, in particolare per favorire l’elezione dei candidati del Gover-no nelle consultazioni politiche nazionali39. L’Anci proponeva che per lo sciogli-mento derivante da problemi di ordine pubblico vi dovesse essere “un unico re-sponsabile, il ministro, unico giudice il Parlamento. Negli altri due casi (cioè viola-zione di legge e disordine finanziario) niente Consiglio di Stato, niente Consigliodei Ministri, ma un magistrato speciale; il Consiglio superiore dei Comuni”40.

L’ideatore del progetto fu Emanuele Greppi, presidente dell’Anci, un libera-le conservatore - come Niccolini -, assessore alle finanze e, dal 1911, sindacodel comune di Milano. Il modello di Greppi era quello del Consiglio superio-re del lavoro: comuni e Governo dovevano avere pari dignità, proprio come ac-cadeva nelle relazioni tra padroni e lavoratori. Il concetto, esplicitamente mu-tuato dall’ideologia socialista, era rivoluzionario rispetto al modo in cui eranoimpostati i rapporti centro-periferia nell’Italia del primo ‘900, basati sulla sub-ordinazione degli enti locali all’Esecutivo, e sottolineava la forza, anche pressoi liberali, del modello di azione politica sostenuto dal movimento socialista. Laproposta venne più volte discussa, approvata e rivista nel corso della storia del-l’Associazione per tutto il periodo liberale.

2.2. Le nuove organizzazioni del movimento per le autonomie locali

2.2.1. L’Unione delle province d’Italia, l’Unione statistica delle città italiane ela Federazione delle aziende municipalizzate italiane

La fondazione dell’Anci nel 1901 stimolò la nascita di altre organizzazionila principale delle quali fu l’Unione delle province d’Italia. Dopo il citato ap-puntamento di Torino del 1898, si svolse un secondo congresso nazionale, il 15

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38 Su questo argomento cfr. Oscar Gaspari, I precedenti della Conferenza Stato-Città e Auto-nomie locali, in “Amministrare”, n. 1, 1998, pp. 129-146.

39 La letteratura su questo tema è ampia, si rimanda, tra gli ultimi contributi, a GiovanniSchininà, Le città meridionali in età giolittiana. Istituzioni statali e governo locale, Acireale-Ro-ma, Bonanno, 2002.

40 L’intervento è pubblicato in L’opera dell’Associazione dei Comuni nel Parlamento, “Rivistamunicipale”, n. 3, mar. 1906, pp. 55-67.

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maggio 1905 a Napoli, ma solo in occasione della terza assemblea nazionale,tenutasi a Roma il 23-25 marzo 190841, le province riuscirono a costituire lapropria organizzazione, vincendo i timori della maggioranza degli amministra-tori provinciali, grazie anche al beneplacito del Presidente del Consiglio, Gio-vanni Giolitti42. Il relativo ritardo nella nascita dell’Upi - che, oltretutto, per ilminor numero e la maggiore omogeneità politica delle province rispetto ai co-muni avrebbe dovuto avere, almeno teoricamente, più possibilità di essere fon-data per prima - mette in risalto il fatto che il principio dell’associazionismo eraconsiderato tout court eversivo. Una circostanza riaffermata dal fatto che l’Upinacque come organizzazione temporanea delle province e divenne definitiva so-lo nel 1912, ad un quinquennio dalla fondazione43.

L’Unione, idealmente, andava ad occupare l’ala più moderata del movimen-to per le autonomie locali, composta com’era, in grandissima maggioranza, daamministrazioni liberali e comunque con forti tendenze conservatrici. Il rico-noscimento dato da Giolitti all’Upi, però, evidenziava anche il tentativo del go-verno di controbilanciare l’Anci con una moderatissima organizzazione delleprovince. L’Associazione dei comuni, infatti, nonostante fosse guidata da unamaggioranza formata da liberali e cattolici di Sturzo, appoggiati dai socialisti ri-formisti, era purtuttavia considerata pericolosa. Ma l’Upi, nata anche con l’o-biettivo di bilanciare in senso moderato l’azione dell’Anci, non solo si sarebbeben presto alleata con l’organizzazione dei comuni ma il suo segretario, Anni-bale Gilardoni, sarebbe diventato nel primo dopoguerra uno dei massimi espo-nenti del Ppi del periodo liberale44.

Fu comunque nell’ambito del movimento comunale che il principio dell’as-sociazionismo ebbe maggiore successo. Dopo l’Anci, per l’azione in ambito po-litico-istituzionale, vennero sviluppate organizzazioni di tipo tecnico-ammini-strativo affinché coadiuvassero le giunte nella loro attività di governo. La primaorganizzazione di questo tipo fu l’Unione statistica delle città italiane (Usci)45

che organizzò stabilmente, nel 1907, il comitato di comuni che gestiva la pub-blicazione dell’Annuario statistico delle città italiane, promosso in un convegnodi sindaci svoltosi qualche giorno prima dell’apertura del congresso straordina-rio di Firenze del 1905. L’Unione, ispirata e animata dallo statistico fiorentino

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41 Atti della prima assemblea generale dell’Unione delle Provincie d’Italia..., cit., Sulla storiadell’Upi cfr. Gaspari, L’Italia delle Province…, cit.

42 Giolitti diede udienza ai rappresentanti delle province il giorno dopo la conclusione deilavori dell’assemblea di Roma, il 26 marzo, al termine dell’incontro si dichiarava: “lieto dellacostituzione dell’Associazione la quale, mantenendo continuamente in contatto fra loro le sin-gole amministrazioni, non solo aiuterà la tutela degli interessi comuni, ma sarà di grande van-taggio per lo svolgimento ed il miglioramento di quei servizi che sono pure tanta parte della vi-ta sociale”; Atti della prima assemblea generale dell’Unione delle Provincie..., cit. pp. 190-1.

43 V Assemblea generale dell’Upi, “Bollettino dell’Unione delle Provincie d’Italia”, ott. 1912,pp. 321-327.

44 Oscar Gaspari, La riforma della finanza locale negli scritti di Annibale Gilardoni, Roma,Gaffi, 2005.

45 Oscar Gaspari, L’Unione statistica delle città italiane (1905-1948), in “Ricerche storiche”,numero monografico La città che cambia. Infrastrutture e servizi tecnici a rete in Italia fra ‘800e ‘900, n. 3, set.-dic. 2000, pp. 465-490.

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Ugo Giusti46 e voluta dal sindaco Ippolito Niccolini, per gli intensi rapporti conistituzioni scientifiche ed omologhi organismi europei, fu senza dubbio la strut-tura che, all’interno del movimento comunale italiano, ebbe i maggiori e i piùintensi contatti internazionali47.

Un’altra organizzazione nata a seguito della fondazione dell’Anci fu la Fede-razione delle aziende municipalizzate italiane, antenata dell’attuale Confservi-zi, promossa a Brescia nel 1909 e costituita nel congresso di Verona del 1910.Tra i promotori vi fu l’ingegnere Giuseppe Orefici, presidente dell’Azienda deiservizi municipali di Brescia, fratello di Girolamo Orefici, sindaco della città evicepresidente dell’Anci, delegato alla questione delle aziende municipali perl’Associazione dei comuni. Protagonista dei primi anni di vita della Federazio-ne48 fu Giovanni Montemartini, uno dei maggiori esperti di municipalizzazio-ni in Europa.

2.3. L’esigenza di una associazione “che si muovesse più agilmente e conspirito pugnace”

Così, nel 1909, Emilio Caldara riassumeva i risultati dei primi anni dell’at-tività dell’Anci ed il ruolo delle organizzazioni ad essa vicine: “né è cosa da po-co il diffondersi del principio della associazione in tutte le manifestazioni dellavita locale, dai Consorzi intercomunali volontari, all’Unione delle Provincie eall’Unione statistica delle città italiane, dal Consorzio dei comuni che hannomunicipalizzato le affissioni alla Federazione di tutte le Aziende Municipalizza-te [...] L’Associazione non può dare tutto quello che i Comuni, anche giusta-mente, desiderano. Essa è circoscritta ne’ suoi scopi statutari [...] Perciò accan-to ad essa sono sorte, ad esempio l’Unione statistica delle città italiane e la Fe-derazione delle Aziende municipalizzate, le quali hanno opportunamente ap-plicato il principio dell’associazione permanente ad altri determinati scopi cheinteressano la vita dei Comuni”49.

Il giudizio complessivamente positivo sull’opera dell’Anci del riformistaCaldara, segretario dell’organizzazione, veniva meglio articolato dai consigliericomunali e provinciali socialisti riuniti a congresso a Firenze nel settembre del1910. In quell’occasione l’assemblea reclamò una più decisa azione dell’Anciper il miglioramento delle condizioni politico-istituzionali dei comuni. Lotta

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46 Su questo personaggio, fondamentale nella storia dell’Anci, cfr. Oscar Gaspari, Ugo Giu-sti (1873-1953), “Economia pubblica”, 1999, n. 1, pp. 79-116.

47 Cfr. Oscar Gaspari, L’Unione statistica delle città italiane (1905-1948), in “Ricerche stori-che”, numero monografico La città che cambia. Infrastrutture e servizi tecnici a rete in Italia fra‘800 e ‘900, n. 3, set.-dic. 2000, pp. 465-490.

48 Cfr. Oscar Gaspari, Dal monopolio, alla municipalizzazione, alla liberalizzazione dei servi-zi pubblici: le tappe di un processo di sviluppo nel quadro della storia del movimento comunale, inSeconda Conferenza dei servizi pubblici locali. L’innovazione al servizio dei cittadini, Milano 3-5ott. 2000, Book relatori, dattiloscritto, pp. 42-52.

49 Emilio Caldara, La vita e le opere dell’Associazione dei comuni italiani, AC, n. 24, 15 dic.1909, p. 5.

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istituzionale e lotta sociale si ricongiungevano poi nella richiesta del suffragiouniversale amministrativo (anche se solo maschile) avanzata da Silvio Caperle50,una richiesta che ben difficilmente l’Anci a maggioranza liberale e cattolicaavrebbe potuto far propria.

Carlo Corsi, da parte sua, sottolineava la poca combattività dell’Anci, madopo aver accennato all’idea di una Lega, più decisa, sottolineava piuttosto lanecessità di una maggiore partecipazione dei socialisti all’Anci per imprimereun’azione più risoluta:“Per me la tattica seguita dall’Associazione che volle informare la propria vitaad una azione spesse volte troppo quieta, e non abbastanza battagliera e vivaceed altre volte troppo slegata, frammentaria, indecisa, può avere sviato moltesimpatie, specie di fronte ai partiti più pronti a muovere in battaglia ordinatacontro le ingiuste sopraffazioni statali. Di qui la domanda se fosse stata o fosseper l’avvenire più utile una forma separata di associazione, una vera e propriaLega dei comuni che si muovesse più agilmente e con spirito pugnace, sia pureaccanto all’Associazione dei comuni”.

Ma aggiungeva subito:“Io sono fra quelli che credono che l’Associazione dei comuni italiani possacompiere una funzione utile, solo che i consociati abbiano una coscienza pro-fonda dei loro doveri, e l’entusiasmo delle parole traducano nelle opere. Credoche solo un’Associazione universale dei comuni italiani – da cui non può in av-venire dissociarsi un Consiglio superiore dei comuni – possa molto tentare an-che nell’ambiente italiano saturo di statolatria, e in mezzo al popolo italianoche fino ad oggi fu quasi insensibile ad ogni questione di libertà e di autono-mia comunale.

Il partito socialista deve compiere anche in questa Associazione opera di pe-netrazione che potrà portare anche a migliorarne lo statuto, a perfezionarne lefunzioni direttive, imprimendo un’azione più energica a tutto l’organismo e,chiamando a raccolta quanti più comuni possa, potrà riuscire a vivificarne leenergie, portando un contributo sincero di studio e di lotta, e ravvivandone leforze con la stampa, con l’opera parlamentare, con i comizi, con l’educazionecostante dell’anima popolare, volgendo la pubblica opinione – risolutamente –alla difesa delle nostre amministrazioni comunali”51.

2.4. Il “comune moderno” nella strategia di cattolici e socialisti

Corsi denunciava il moderatismo dell’Anci ma, nello stesso tempo, ne sot-tolineava l’importanza che le veniva al suo carattere “universale” e citava qualeesempio positivo di questa impostazione il più importante progetto ideato dal-l’Anci fino a quel momento: il Consiglio superiore dei comuni. “Un’azione più

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50 Silvio Caperle, Il suffragio universale amministrativo. La tesi sentimentale, “Avanti!”, 6 set.1910, p.2.

51 Congresso dei consiglieri comunali e provinciali socialisti (Firenze 8-10 settembre 1910), Car-lo Corsi, L’Associazione dei comuni italiani e i comuni socialisti, “Avanti!” 8 set. 1910, pp. 4-5.

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energica” dell’Anci, sottolineava Corsi, doveva essere promossa attraverso unamaggiore partecipazione delle amministrazioni del Psi nell’organizzazione, inmodo simile a quanto aveva fatto Sturzo nel 1903 quando il sacerdote chieseuna maggiore presenza dei cattolici nell’Associazione e, ottenutala, riuscì a vin-cere, grazie all’alleanza con i liberali, la maggioranza socialista, radicale e re-pubblicana52. Era sul concreto terreno della battaglia politica democratica chesi doveva vincere la sfida per ottenere che l’Anci fosse “più energica”. Vi è poiun’altra similitudine tra i concetti espressi da Corsi e quelli di Sturzo. Quandoil socialista parla di un “ambiente italiano saturo di statolatria” e del “popoloitaliano che fino ad oggi fu quasi insensibile ad ogni questione di libertà e diautonomia comunale”, quando evidenzia la necessità che “i consociati abbianouna coscienza profonda dei loro doveri” riecheggia un commento di Sturzo alV congresso dell’Anci svoltosi a Torino nel 1905 dove questi aveva denunciato:“l’abitudine mentale formata dalla tradizione liberale-centralistica […, e] la for-ma concreta di istituti soverchiatori, di sopraffazioni statali, di interessi politi-ci, [che impedisce] la visione netta ed esatta del Comune moderno, libero nel-la sua funzione specifica e unito a tutta la nazione nella sua stabilità civile e po-litica”53.

In occasione dell’appuntamento di Firenze il socialista Giovanni Zibordi feceun’altra importantissima riflessione, l’abitudine centralistica non valeva solo perle istituzioni ma anche per i partiti. Solo i socialisti potevano essere in grado difare una riflessione simile, visto che avevano un proprio partito già dal 1892:“Ora i congressi nazionali del partito, benché rechino alla ribalta di frequentegli esempi di un localismo malinteso e protervo, che vorrebbe generalizzare ericavare leggi universe dal caso particolare, palesano però soprattutto la ten-denza ch’io dirò per brevità statalista, per la quale i socialisti convenuti da ogniparte d’Italia si affannano e si appuntano a discutere l’azione del Governo e l’at-teggiamento del gruppo parlamentare rispetto ad esso, e a ciò danno un’im-portanza sproporzionata, quasi per abitudine di fede nella provvidenza; mentrecon altrettanto ed analogo accanimento discutono e criticano l’opera degli or-gani centrali del Partito, ad essi imputando e cercando responsabilità e colpeche in buona parte andrebbero distribuite alla periferia”54.

La complementarietà dei concetti espressi dai socialisti Corsi e Zibordi a Fi-renze e quelli del cattolico Sturzo, la sottolineatura dell’importanza di una mag-giore presenza di amministratori socialisti in un’organizzazione a maggioranzamoderata, sottolinea la convergenza di socialisti e cattolici nell’Anci, descrittada Aimo come:

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52 Lettera di Sturzo a Meda del 1° dic. 1903, pubblicata in nota nella ristampa de Il pro-gramma municipale dei cattolici italiani, pubblicata nella rivista La Croce di Costantino, ora inLuigi Sturzo, “La Croce di Costantino”. Primi scritti politici e pagine inedite sull’azione cattolicae sulle autonomie comunali, a cura di Gabriele De Rosa, Roma, Edizioni di Storia e Letteratu-ra, 1958, pp. 270-1. Sull’impegno di Sturzo nell’Anci cfr. Oscar Gaspari, I primi anni di Stur-zo nell’Associazione dei comuni italiani, in “Sociologia”, n.2, 1997, pp. 143-163.

53 Luigi Sturzo, Il V Congresso dei Comuni Italiani, “Rivista municipale”, n.5-6, mag.-giu.1906, p.134.

54 Zibordi, Primavera di vita municipale…, cit.

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“Luogo di incontro e di elaborazione di strategie unitarie tanto più rilevante sesi tiene conto che in esso confluiscono i delegati di forze politiche antagonisteche non riusciranno, sul piano propriamente politico-parlamentare, a trovaremomenti di accordo stabili e significativi”55.

La collaborazione tra diverse forze politiche nell’Anci non solo non impedì laconcorrenza tra le diverse formazioni ma, è possibile dire, ne esaltò la ricercaprogettuale in vista del raggiungimento dell’obiettivo: la promozione dell’auto-nomia comunale. Un’autonomia che era difficile da raggiungere anche a causadella “tendenza […] statalista”, come la definisce Zibordi, o della “abitudinementale formata dalla tradizione liberale-centralistica”, descritta da Sturzo.

Secondo questa visione, che accomunò le parti migliori del movimento so-cialista e di quello cattolico, la battaglia per l’autonomia doveva essere unitariae concorrente, doveva essere a tutto campo, all’interno delle istituzioni, dei par-titi e delle mentalità degli individui. Solo così si sarebbe potuta avere “la visio-ne netta ed esatta del Comune moderno”, secondo le parole del cattolico Stur-zo che - a dimostrazione dell’affinità tra l’impegno dei cattolici e di quello deisocialisti nei comuni - utilizza un’espressione così tipicamente socialista, “Co-mune moderno”, da divenire titolo della rivista fondata nel 1911 a Torino dalriformista Giulio Casalini, la rivista che sarebbe diventata in seguito organo uf-ficiale della Lega dei comuni socialisti56.

La contestazione da parte dei socialisti della strategia “troppo quieta, e nonabbastanza battagliera” seguita dalla maggioranza moderata dell’Anci nonescludeva la possibilità, o meglio, la necessità, di un’azione unitaria di tutti i co-muni. Fin dall’inizio della riflessione, che si sarebbe fatta via via più profonda,sul tipo di rapporto che gli enti locali guidati dai “partiti più pronti a muoverein battaglia ordinata contro le ingiuste sopraffazioni statali” dovevano avere conl’Associazione, i socialisti riformisti, come Corsi, prefiguravano la possibilitàche la loro organizzazione si muovesse “accanto all’Associazione dei comuni”.La coscienza che solo un’azione complessivamente unitaria del movimento co-munale avrebbe potuto ottenere qualcosa dallo Stato e dal governo nazionalenon sarebbe mai venuta meno nei riformisti del movimento socialista.

2.5. L’evoluzione dell’Anci

Il XIII congresso dell’Associazione dei comuni italiani, svoltosi a Roma dal28 febbraio al 1° marzo 1915, pose le basi per una trasformazione decisiva del-l’organizzazione che avrebbe accresciuto il proprio protagonismo sulla scenapolitico-istituzionale, anche attraverso lo sviluppo dell’attività di assistenza tec-nico-amministrativa in favore dei comuni.

Nel congresso venne ribadita anche la decisione del trasferimento della sededell’Anci da Milano a Roma - decisione già deliberata nel 1907 a Bologna nel

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55 Aimo, Stato e poteri locali in Italia…, cit., p. 83.56 Sulla rivista e sul suo direttore cfr. Federico Lucarini, Scienze comunali e pratiche di go-

verno in Italia (1890-1915), Milano, Giuffrè, 2003, pp. 234-9.

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VI congresso nazionale57 - e realizzata alla fine del 1916. Ormai, con il passaredel tempo e con il progressivo aumento delle competenze dell’amministrazio-ne centrale - che con Giolitti vedeva aumentare progressivamente l’interventodello Stato nella società - era diventato indispensabile per l’associazione stabi-lirsi nella capitale, sia per seguire le pratiche dei municipi presso i ministeri, siaper i crescenti contatti con il governo58. L’Anci aveva già aperto nel 1914 a Ro-ma una propria segreteria che, come annunciava il presidente Emanuele Grep-pi in una apposita circolare, era “ospitata in appositi locali, cortesemente offer-ti dal Comune di Roma nel palazzo di via dei Barbieri n.6”.

Oltre a questa sede:“Per le pratiche riguardanti in special modo i lavori pubblici, i mutui ad es-

si inerenti e, in genere, l’applicazione dei provvedimenti già emanati dal Go-verno o che potranno venire decretati in seguito per fronteggiare il grave feno-meno della disoccupazione e l’attuale crisi dei consumi, l’Associazione dei Co-muni ha istituito, d’accordo con la Lega nazionale delle cooperative e con il suoComitato Parlamentare, un altro apposito ufficio, al quale le suddette determi-nate pratiche saranno affidate per la loro più immediata risoluzione”59.

2.5.1. La collaborazione dell’Anci di Sturzo con Lega delle cooperative,riformisti e radicali

Come spiegava Sturzo in un intervento al consiglio direttivo dell’Anci, la colla-borazione tra Lega delle cooperative ed Associazione era stata da lui avviata dopo lascoperta che “la Lega delle Cooperative aveva preso l’iniziativa, attraverso il suo co-mitato parlamentare, di assistere i comuni per le pratiche inerenti ai lavori pubbli-ci straordinari, resi necessari per alleviare la disoccupazione”60. Sottolineava poi inseguito Sturzo nella relazione al congresso di Roma che: “Il contatto tra l’Associa-zione dei Comuni e la Lega delle Cooperative è certamente utile anche per le orga-nizzazioni operaie. Ma l’opera più interessante, in cui sono stati uniti gli sforzi deidue enti rappresentativi, è stata quella spiegata presso il Governo”61. Lega delle co-operative ed Anci parteciparono così ad un Comitato parlamentare per i lavori pub-blici - promosso dal Presidente del consiglio Antonio Salandra - in qualità di parla-mentari, insieme all’industriale Giovanni Agnelli, riformisti socialisti, tra i quali Bis-

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57 Resoconto del VI congresso nazionale dell’Associazione dei Comuni tenutosi a Bologna nei gior-ni 23, 24 e 25 maggio 1907, AC, n. 6-7, giu.-lug. 1907, pp. 168-9.

58 Dario Franco, Istituzione della Segreteria di Roma e provvedimenti relativi. (Relazione alXIII Congresso dell’Associazionedei Comuni Italiani), AC, n. 2, 28 feb. 1915, pp. 1-2.

59 La segreteria romana dell’Associazione dei Comuni, AC, n.11, 30 nov. 1914, p.1.60 Atti dell’Associazione. Seduta del 7 dicembre in Roma, AC, n. 12, 31 dic. 1914, p. 10.61 Luigi Sturzo e Dario Franco relatori, Sull’opera dell’Associazione dei comuni italiani per i prov-

vedimenti straordinari relativi alla disoccupazione ed all’approvvigionamento del grano, AC, n. 3, 31mar. 1915, p. 10. Secondo la ricerca di Chiaramonte: “dopo alcuni mesi, però, l’Associazione deiComuni disdisse il contratto e organizzò un ufficio tutto proprio a Roma, in via dei Barbieri 6,evidentemente per evitare la subalternità ai socialisti”, Chiaramonte, Luigi Sturzo nell’Anci…, So-veria Mannelli, Rubbettino, 2004, p. 202. In realtà l’ufficio di via dei Barbieri era aperto da tem-po, come annunciato nella citata circolare di Greppi pubblicata nel novembre 1914.

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solati, Merloni, Sichel, cattolici, Meda e radicali, Ruini, e ancora Vergnanini, per laLega delle cooperative, e quindi Greppi, Caldara, Franco e Sturzo per l’Anci62.

Fu quindi, quasi certamente, anche per via di una vera e propria competi-zione sull’attività di assistenza ai comuni nel periodo bellico che l’Anci decisedi aprire una propria segreteria a Roma e, successivamente, di trasferire da Mi-lano e Roma la propria sede. Una competizione che spingeva alla collaborazio-ne l’Anci di Sturzo e la Lega delle cooperative, una tra le più importanti strut-ture del movimento socialista, molto vicina ai riformisti. Era sul terreno dellaconsulenza amministrativa ai comuni, a beneficio delle cooperative e degli ope-rai, che si concretizzava quella collaborazione tra cattolici e socialisti riformistiche, in quegli anni, non si sarebbe mai evoluta in accordi parlamentari. Unacollaborazione che sembrava quasi essere sancita dalla contemporanea nominaa vicepresidenti - a seguito del XIII congresso dell’Associazione - di Sturzo, pro-sindaco di Caltagirone e di Caldara63 sindaco di Milano, eletto nel 1914 nelquadro del complessivo successo del Psi nelle elezioni amministrative64.

In quegli stessi mesi l’intesa tra cattolici e riformisti si allargò, idealmente, anchead un’altra formazione politica di sinistra, quella dei radicali, attraverso un suo im-portante esponente, già assessore nella giunta comunale di Roma guidata dal radi-cale Ernesto Nathan65 e sostenuta dalla sinistra: Meuccio Ruini. Nel XIII congres-so Ruini, chiamato a partecipare dal collega parlamentare Filippo Meda, cattolico ecomponente del consiglio direttivo dell’Anci, scriveva la relazione “Un ufficio tec-nico contabile per le opere comunali”, che poneva le basi per una successiva evolu-zione dell’Anci66. L’esponente radicale facendo riferimento alla propria esperienza dialto funzionario del Ministero dei lavori pubblici nella gestione delle leggi specialiper la Calabria, suggerì la costituzione di appositi uffici per assistere i municipi, inquanto le difficoltà nel pagare e nel reperire tecnici preparati e gli ostacoli burocra-tici rendevano in effetti impossibile ai comuni sia progettare le opere pubbliche, siaottenere dallo Stato i finanziamenti in loro favore previsti dalla legge67.

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62 Su questa attività Chiaramonte, Luigi Sturzo e l’Anci…, cit., pp. 221-5. Sull’apertura diun ufficio di assistenza ai comuni della Lega in collaborazione con l’Anci cfr. Renato Zanghe-ri, Giuseppe Galasso, Valerio Castronovo, Storia del movimento cooperativo in Italia. La LegaNazionale delle cooperative e Mutue 1886-1986, Torino, Einaudi, 1987, pp. 365-7.

63 Atti dell’Associazione. Sedute del consiglio direttivo. Seduta del I marzo 1915, AC, n. 3, 31mar. 1915, p. 15. Lo stesso consiglio direttivo eleggeva anche il presidente, senatore Piero Luc-ca - sindaco di Vercelli, liberale moderato - e un terzo vicepresidente il liberale Dario Franco.

64 Cfr. Maurizio Punzo, La giunta Caldara: l’amministrazione comunale di Milano negli an-ni 1914-1920, Milano, Cariplo, Laterza, 1986.

65 Sull’esperienza dell’amministrazione di Nathan cfr. Giuseppe Barbalace, Riforme e gover-no municipale a Roma in età giolittiana, Napoli, Liguori, 1994.

66 La relazione, scritta da Ruini era però firmata anche da Meda, su richiesta personale diSturzo che, evidentemente, non voleva - o forse non poteva -, almeno ufficialmente, far inter-venire da solo come relatore ad un congresso dell’Anci una personalità estranea all’organizza-zione. Da sottolineare il fatto che il sacerdote Sturzo non aveva alcun problema a far fare ed afare esporre la relazione ad un radicale e noto massone; sulla vicenda Meuccio Ruini, Profili distoria. Rievocazioni, studi, ricordi, Milano, Giuffrè, 1973, p. 275.

67 Deputati Ruini e Meda, relatori, Per istituire un ufficio tecnico-contabile per le opere comu-nali, AC, n. 2, 28 feb. 1915, pp. 2-4.

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L’entrata in guerra dell’Italia rese impossibile la realizzazione a breve termi-ne di quel progetto, ma il seme era gettato. Fu nel primo dopoguerra che ebbefinalmente realizzazione il progetto proposto da Ruini per la creazione di uffi-ci di assistenza tecnica ai comuni dell’Anci. Nel 1919 venne aperto il Segreta-riato per la montagna. L’ufficio - che può essere considerato precursore dell’at-tuale Unione dei comuni e delle comunità montane (Uncem) - forniva assi-stenza tecnica ed amministrativa ai comuni montani per la gestione delle terre,dei pascoli e delle foreste municipali68. Sempre nel 1919, su pressione dell’An-ci e per iniziativa del Ministro per i lavori pubblici, nasceva il secondo ufficiodi assistenza proposto da Ruini nel 1915, quello per i comuni di pianura: l’I-stituto nazionale per le opere pubbliche dei comuni, istituito con decreto region. 1628 del 2 settembre69.

Nel congresso del 1915 l’Anci riaffermò il passaggio da una politica di op-posizione e di resistenza che cercava di modificare il sistema centralista agendodall’esterno, attraverso manifestazioni e proteste, ad una politica di pressione edi condizionamento che agiva soprattutto dall’interno. Una politica di riforme,quindi, che si delineò nell’Anci attraverso la definizione di nuovi uffici, la col-laborazione tra istituzioni, organizzazioni ed uffici elaborati dal movimento co-munale e dal movimento dei lavoratori, grazie al concorso di esponenti di ri-lievo della sinistra riformista socialista e radicale e del movimento cattolico.

3. La nascita della Lega dei comuni socialisti nel 1916

3.1. Il congresso degli amministratori locali socialisti a Bologna: 16-17gennaio 1916

Il 16 gennaio 1916, nel liceo musicale Rossini di Bologna, dopo i saluti dirito, intervenne il segretario del Psi Costantino Lazzari che mise in risalto co-me la concreta opera svolta nei comuni avesse smentito il “vecchio ritornello

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68 L’organizzazione, presieduta da un tecnico di grande fama come Arrigo Serpieri, soprav-visse anche alla scomparsa dell’Anci e continuò nella propria azione in favore dei comuni mon-tani fino allo scioglimento voluto dal fascismo nel 1936. Rifondato nel 1946 come ente para-statale per volontà del Ministero dell’agricoltura, ormai senza più alcun legame con i comuni,venne sciolto nel 1965; cfr. Oscar Gaspari, Il segretariato per la montagna (1919-1965). Ruini,Serpieri e Sturzo per la bonifica d’alta quota, Comitato consultivo montagna, Presidenza delconsiglio dei ministri, Dipartimento per l’informazione e l’editoria, Roma, 1994. Sull’evolu-zione normativa dell’ente, soppresso con D.P.R. del 31 mar. 1965 (GU 149/1965), cfr. Gli En-ti pubblici italiani. Anagrafe, legislazione e giurisprudenza dal 1861 al 1970, introduzione di Al-berto Mortara, Ciriec, Milano, Franco Angeli, 1972, p. 883.

69 Il compito dell’ente era quello di “assumere in sostituzione e nell’interesse degli Enti lo-cali l’esecuzione delle opere pubbliche di competenza dei Comuni e dei Consorzi e portar lo-ro, se richiesta, assistenza nei lavori da essi intrapresi”; Sala XLIII. Associazione dei comuni ita-liani, in Prima mostra italiana di attività municipale, Vercelli MCMXXIV. Catalogo generale con50 illustrazioni, Milano, 1924, p. 308. L’Istituto, soggetto a vari riordinamenti legislativi ed in-fine commissariato, venne soppresso con D.M. del 12 dic. 1941 (G.U. n. 89/1941), cfr. GliEnti pubblici italiani…, cit. pp. 748-9.

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[...] che nei comuni non si fa politica”dimostrando che era possibile fare nei co-muni “la nostra politica: la politica socialista”. La prima relazione fu di Calda-ra, Riforma tributaria e finanze locali nella quale l’avvocato riformista sottolineòcome il peso eccessivo della tassazione statale rendeva praticamente impossibi-le ai comuni qualsiasi ulteriore imposizione. Proprio quando era più intensal’opera di assistenza in favore dei cittadini la più importante risorsa finanziariacomunale, il dazio consumo, si era andata riducendo per il calo dei consumidella popolazione: i proventi del dazio, affermava Caldara, erano scesi da 19 a14 milioni. Da qui la proposta di lasciare al Governo le imposte personali e diaffidare ai comuni quelle relative ai beni immobili. Intanto, continuava il sin-daco, allo Stato non si dovevano chiedere favori ma mezzi per governare e se imezzi disponibili fossero stati insufficienti, non ci si sarebbe dovuti fermarenemmeno di fronte alla possibilità di emettere nuova carta moneta70.

Alla relazione di Caldara succedeva un dibattito molto interessante nel cor-so del quale ebbe modo di mettersi in luce Giacomo Matteotti che, in primoluogo, si dichiarava contrario al criterio di coprire i disavanzi con debiti. Conil suo intervento l’esponente socialista poneva la questione dei piccoli comuni,la maggioranza nel Paese e quelli nei quali viveva gran parte della popolazionenazionale. La relazione del notissimo sindaco di Milano, sosteneva implicita-mente il socialista polesano, si basava sostanzialmente sulle necessità di ungrande comune. Matteotti non chiedeva misure eccezionali come l’emissione dicarta moneta, ma il sostegno del Psi a proposte meno impegnative ma adeguatealle necessità di bilancio dei piccoli comuni che lui ben conosceva come am-ministratore e come sindaco. Chiedeva, ad esempio, che una percentuale deiprestiti di guerra ottenuti dallo Stato venisse destinata ai comuni, chiedeva l’a-bolizione del limite della sovrimposta fondiaria e sui fabbricati: “i comuni de-vono essere liberi di gravare di più dove lo credono possibile”; chiedeva l’au-mento delle tasse per esercizi commerciali e rivendite. Infine, pur associandosialla richiesta di Antonio Graziadei affinché che lo Stato avocasse a sé spese chegravavano sui comuni, esigeva però che a questi ultimi rimanessero le spese perla scuola71. In questa richiesta il socialista Matteotti – naturalmente senza ri-chiamarsi al leader popolare - coincideva perfettamente con il cattolico Sturzo,anch’egli contrario ad affidare lo Stato l’istruzione elementare72.

Il risultato dello scontro delle due diverse concezioni della finanza locale eraun voto finale dell’assemblea nel quale alle richieste per la complessiva riformadella finanza locale e della politica finanziaria nazionale seguivano le proposteavanzate da Matteotti specificamente per i piccoli comuni73.

Il congresso discuteva, quindi, la relazione sulla Politica dei consumi di Fran-

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70 Direzione del Partito socialista italiano, II Congresso nazionale delle amministrazioni co-munali e provinciali socialiste Bologna 16-17 gennaio 1916. Resoconto stenografico, Biella, Tipo-grafia Cooperativa Biellese, 1916, pp. 13-4; 22-9.

71 Ivi, pp. 32-7.72 Sturzo sostenne questa posizione, come posizione ufficiale dell’Anci, nel XII congresso di

Milano svoltosi nel gennaio 1913; Chiaramonte, Luigi Sturzo nell’Anci…, cit., pp. 167-171.73 Le finanze locali e la riforma tributaria, “Avanti!”, 17 gen. 1916, pp. 1-2.

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cesco Zanardi, sindaco di Bologna il quale, come si vedrà oltre, proprio sulfronte del sostegno ai consumi stava realizzando un’esperienza di grande im-portanza. Nel dibattito vennero proposte misure di sostegno ai consumi, tra lequali anche l’abolizione dei dazi comunali che, pur costituendo la principale ri-sorsa finanziaria dei municipi, gravavano sulla popolazione e frenavano il com-mercio. Vennero poi presentate misure per favorire acquisti collettivi, la costi-tuzione di spacci cooperativi e comunali, aziende municipalizzate e proposte dicooperazione. Nel voto approvato dall’assemblea venne suggerita l’istituzionedi un Consiglio superiore dei consumi a livello nazionale, la limitazione deiprezzi, la produzione e distribuzione diretta ai cittadini di prodotti di vario ti-po da parte dei comuni, la promozione di associazioni di consumatori, l’affi-damento alla provincia compiti di produzione e distribuzione che i comuninon erano in grado svolgere74.

Il giorno successivo, il 17 gennaio, l’assemblea affrontava il tema dell’occu-pazione. I comuni avrebbero dovuto promuovere “casse di disoccupazione”, uf-fici di collocamento, avviare lavori comunali, anche affidandoli a cooperative dilavoro; venne approvato anche un emendamento di Alessandro Schiavi per lanazionalizzazione delle forze idrauliche75. Viste le gravi difficoltà dei comuni so-cialisti nell’avere finanziamenti dalla Cassa depositi e prestiti, aggravatesi pervia della guerra, venne deciso di incaricare un’apposita commissione, nomina-ta dalla direzione del Psi, per studiare la realizzazione di un’“Istituto nazionaleper il credito agli enti locali”76. Vennero rivolte aspre critiche all’attività diGiunte provinciali amministrative e prefetti che ostacolavano l’azione dei co-muni socialisti77; venne ricordata la presenza socialista nelle amministrazionidel Sud, dove: “Un manipolo di compagni resiste da anni con fermezza ed ar-dore nelle poche disperse amministrazioni vessate da prefetti e da delegati, adessi occorre il doveroso sussidio dei nostri deputati e di tutto il partito”78. Perquanto riguarda l’attività di assistenza e beneficenza venne dichiarato compitoessenziale dei comuni l’aiuto e la tutela delle vittime della guerra, anche attra-verso la costituzione di un ufficio medico legale per i diritti delle vittime79.

3.2. Il distacco degli amministratori socialisti dall’Anci

Il congresso affrontò anche il problema del rapporto tra socialisti ed Anci ela possibilità di costituire un’autonoma organizzazione di comuni e province.L’idea di un’organizzazione dei comuni socialisti, come si è visto, maturava daanni nel movimento comunale italiano, ma nei tempi di questa decisione furo-no decisivi alcuni importanti eventi nazionali ed internazionali. Nelle elezioni

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74 La politica dei consumi, “Avanti!”, 17 gen. 1916, p. 2.75 La ripresa economica dopo la guerra, “Avanti!”, 18 gen. 1916, p.1.76 Il credito agli enti locali, “Avanti!”, 18 gen. 1916, p.1.77 L’autonomia comunale, “Avanti!”, 18 gen. 1916, pp.1-2.78 Per il mezzogiorno d’Italia, “Avanti!”, 18 gen. 1916, p.2.79 Gli ultimi argomenti trattati dal congresso, “Avanti!”, 18 gen. 1916, p. 2.

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amministrative del 1914, le prime dopo la riforma del 1912 che aveva conces-so il suffragio universale maschile, si accrebbe il contrasto tra i socialisti e i cat-tolici, alleati con i liberali attraverso il patto Gentiloni. I socialisti conquistaro-no la maggioranza a Milano e Bologna, mentre i cattolici avanzarono a Roma,Genova, Torino, Ancona, Napoli, Firenze. La prevalenza delle tendenze massi-maliste su quelle rappresentate dai riformisti avvenuta nel XIV congresso delPsi - che si svolse ad Ancona il 26-29 aprile 1914 - veniva rafforzata ulterior-mente dallo scoppio del primo conflitto mondiale. L’entrata in guerra dell’Ita-lia, nel 1915 approfondì, fino a renderla insanabile, la frattura tra i socialisti, inmaggioranza contrari alla guerra, e le altre formazioni politiche.

3.2.1. I socialisti e la questione dei rapporti con lo Stato

Fu l’anno seguente, nel 1916, che i consiglieri comunali e provinciali socia-listi tennero a Bologna il proprio congresso. Secondo Corghi l’appuntamentodi Bologna venne promosso: “per creare un organismo di lotta dopo che l’As-sociazione dei comuni era ormai saldamente ancorata a Sturzo”80. La realtà èche l’ipotesi della scissione non era prioritaria, almeno in un primo tempo, especialmente per i riformisti. Questi parevano sostenere piuttosto l’idea che ilpartito, dopo il successo elettorale, dovesse intraprendere un’azione più decisa,ma senza rotture traumatiche. Nell’interpretazione di Carlo Treves con il con-gresso di Bologna si riprendeva da capo un tentativo che, con l’Anci, era abor-tito fin dall’inizio, la rivoluzione dei sindaci, la rivoluzione delle riforme:“Una volta a noi venne fatto di scrivere, e quel pensiero ci torna sempre allamente, che la rivoluzione in Italia l’avrebbero un dì fatta i sindaci. Era il tem-po della fondazione, per opera dell’on. Mussi, della Lega dei Comuni […] Mala Lega dal suono bellicoso si è trasformata in una pacifica Associazione dei co-muni. E i sindaci della rivoluzione si trovano a convegno non a Legnano ma aBologna. La rivoluzione che essi agitano è la riforma. Date ai Comuni un ubiconsistam finanziario così solido e autonomo, che renda sicura la loro vita, lasottragga alla inquieta fluttuazione dei redditi nel vertiginoso vortice delle vi-cende interne ed esterne al comune […] le masse si stringono intorno al Co-mune come ad un prolungamento del compiuto sistema delle proprie organiz-zazioni. Ecco il fatto rivoluzionario se l’azione è riformista, è legale […] Eccoinfatti il Comune integratore dei Sindacati nella lotta per la resistenza, per il sa-lario elevato […] Ecco infatti il Comune integratore delle Cooperative nellalotta per la vita a buon mercato […] Bononia docet. Il nostro Zanardi illustracon la predica savia dell’esempio”81.

Scriveva Zibordi da parte sua commentando il congresso:“Quando lo Stato borghese fa la ‘politica della civiltà’, cura le scuole, i lavori,

34 PARTE I

80 Corrado Corghi, La Lega per le autonomie locali dalle origini al fascismo (3). La fondazio-ne della Lega dei comuni socialisti, CdP, apr. 1984, p. 10073.

81 Carlo Treves, Stato e comune (Per il convegno amministrativo di Bologna), “Critica sociale”,16-31 gen. 1916, pp. 17-9.

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la produzione, allora gli atteggiamenti e i rapporti del Partito socialista e degliAmministratori socialisti, rispetto ad esso, non possono essere logicamente glistessi che si assumono quando lo Stato fa la politica della guerra. È esso che sistacca da noi, più che non siamo noi a staccarci da esso”82.

Ma, proseguiva Zibordi, l’opposizione allo Stato, lo Stato della “politica del-la guerra”, non voleva dire “sdegnosa secessione sull’Aventino”, lo stesso valevaanche per l’Anci, che non poteva essere abbandonata per un malinteso senti-mento di repulsione, senza prima aver ben chiaro cosa fare:

“Questi rilievi su una psicologia palesatasi anche in questo campo dei rap-porti fra Comuni socialisti e Stato borghese[…] mi vengono suggeriti da quelmovimento, iniziatosi a Bologna per invito della Direzione del partito, e pro-pagatosi poi in molti luoghi, con una febbre, con una vera voluttà di intransi-genza, di resezione chirurgica, di taglio violento col passato, per la formazionedi una Lega dei comuni socialisti – sacrosantissima e utilissima cosa - e per lauscita in massa dalla Associazione dei Comuni, come se fosse una città infetta dacolera, un postribolo di coscienze, un luogo di perdizione e di vizio! Fosse pu-re, tale Associazione, una cosa superflua e anodina, è del pari superfluo questoeccesso di indignazione, e questa fretta repentina di uscirne”83.

3.2.2. Il dibattito tra riformisti e massimalisti e l’uscita dall’Anci

La vittoria dei socialisti nelle elezioni locali ed il successo delle posizionimassimaliste al congresso di Ancona aveva dato forza sia alle posizioni dei ri-formisti, ben radicati negli enti locali, sia a quelle dei massimalisti, più forti nelpartito, che chiedevano una decisa politica antistatale dei comuni socialisti.Paradossalmente, la Lega dei comuni socialisti nasceva sulla base di due esigen-ze totalmente distinte: quella dei riformisti di rafforzare l’autonomia dei co-muni socialisti, che amministravano in nome dei bisogni della classe operaia edei cittadini più deboli collaborando con le istituzioni nazionali, e quella deimassimalisti che, in ossequio al mito della rivoluzione, si opponevano a qual-siasi apertura e collaborazione.

Entrambe le posizioni potevano affermare di fare riferimento alla politicasocialista per gli enti locali elaborata a partire dal programma di Andrea Costa,che prevedeva sia un’amministrazione volta al vantaggio delle classi popolari edalla promozione dell’autonomia comunale, sia l’impegno nella lotta contro loStato liberale. Di fatto, però, nella concreta elaborazione di quel programmaera stata indubbiamente privilegiata la prima parte, e non poteva essere altri-menti, pena lo scioglimento del consiglio, come ben sapevano da tempo i sin-daci socialisti. Così era stato nelle più importanti amministrazioni comunali apartecipazione socialista nel periodo giolittiano, come nel caso di quella del sin-daco radicale di Roma, Nathan, dove era stato assessore Montemartini, esper-

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82 Giovanni Zibordi, Moto centrifugo e centripeto nelle necessità della situazione di guerra, enell’atmosfera di intransigenza da essa creata, “Critica sociale”, 1-15 mag. 1916, pp. 133-4.

83 Ibidem

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to della “municipalizzazione industriale [che] rappresenta una fase della secola-re lotta tra la classe dei produttori e la classe dei consumatori”84, come in quel-le a maggioranza socialista che stavano amministrando proprio in quegli stessigiorni a Milano e a Bologna.

È stato Punzo, nella sua storia dell’amministrazione socialista di Milano delsindaco Caldara ad interpretare per primo la successione degli avvenimentiche diede origine alla costituzione della Lega85. La proposta di indire un con-vegno nazionale dei comuni socialisti era scaturita nel corso di una riunionedelle amministrazioni socialiste della provincia di Milano svoltasi a Monza il3 ottobre 1915, a seguito della quale la direzione del Psi deliberò la convoca-zione di una commissione di sindaci socialisti diretta alla preparazione diun’assemblea di tutte le amministrazioni socialiste “allo scopo di rendere piùomogenea l’azione comunale del Partito, inspirata a carattere socialista e clas-sista”86.

Nella sua ricerca Punzo ha sottolineato fortemente il carattere riformistadel convegno di Bologna e, in effetti, dall’andamento del dibattito, risultaevidente che l’ostilità nutrita da gran parte degli amministratori rispetto al-l’Anci di Sturzo travolse, letteralmente, l’impostazione data dalla relazionedei fratelli Marangoni alla questione dell’organizzazione autonoma dei co-muni socialisti discussa il 17 gennaio. La relazione di Cesare e Guido Ma-rangoni su Organi e mezzi per fornire ai corpi locali amministrati dai socialistiuna consulenza tecnica e politica, sostanzialmente moderata nella sostanza,presentava un dettagliato progetto87 di costituzione di una “Federazione deicomuni e delle provincie socialiste”, per “le grandi città [che] hanno dei bi-sogni che sono sconosciuti ai piccoli comuni; [e per] i comuni di campagna[che] hanno esigenze che non sono dei comuni di città”88. A questa si con-trappose, nel corso del relativo dibattito, un ordine del giorno di Attilio Lol-li che recava: “Il congresso costituendo la Federazione dei comuni socialisti,dichiara che i comuni stessi dovranno uscire dall’attuale Associazione dei co-muni italiani”.

Il voto di Lolli venne approvato dopo un dibattito nel quale venne aspra-mente contestato il comportamento tenuto dal sindaco di Milano Caldara neiprimi mesi della guerra, vennero fatti duri commenti sull’Anci e deciso il cam-

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84 Montemartini, La municipalizzazione dei publici servigi..., cit., p. 92.85 Punzo, La giunta Caldara…, cit., pp. 164-7.86 Alberto Malatesta, I socialisti italiani durante la guerra, Milano, A. Mondadori, 1926, pp.

90-1. Secondo Chiaramonte l’idea del convegno sarebbe venuta a seguito di un altro congres-so di amministratori socialisti, quelli della provincia di Reggio Emilia, Il Convegno degli ammi-nistratori socialisti a Reggio Emilia, “Avanti!”, 30 nov. 1915, Chiaramonte, Luigi Sturzo nell’An-ci…, cit., pp. 195-6. L’ipotesi che il convegno di Milano sia il vero precursore del successivoconvegno di Bologna è però avvalorata sia dal fatto che questo precede l’incontro di ReggioEmilia (3 ottobre rispetto al 28 novembre), sia che sia stata sostenuta per primo da Malatestanel 1926.

87 La relazione, infatti, suggeriva l’articolazione interna della Federazione e l’ammontare del-le quote associative.

88 Direzione del Partito socialista italiano, II Congresso nazionale delle amministrazioni co-munali e provinciali socialiste..., cit., pp. 253-9.

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biamento del nome della nuova organizzazione da Federazione a Lega dei co-muni socialisti89.

L’ostilità manifestata dal congresso di Bologna verso l’Anci venne poi sfrut-tata dalla direzione del Psi per mettere in difficoltà i riformisti presenti al ver-tice dell’Associazione con la richiesta ufficiale dell’abbandono repentino da par-te delle amministrazioni socialiste, fatta in gennaio, in vista dell’adesione allaLega90, che sarebbe stata fondata nel marzo successivo.

3.2.3. La risposta dell’Anci

Il 21 febbraio, ad circa un mese dal voto della direzione del Psi a Bologna,il consiglio direttivo dell’Anci, riunito a Milano, con la partecipazione dellacomponente socialista al completo91, discuteva e votava un ordine nel giornoche così si concludeva:“all’infuori di ogni contingenza politica l’Associazione deve continuare a svol-gere il proprio programma sulla base del proprio statuto, facendo appello comeper il passato all’adesione di tutti i Comuni e affidamento sulla collaborazionedi tutti gli uomini che ne abbiano temporaneamente il governo: convinta dicompiere in tal modo operazione utile alla rivendicazione e alla protezione del‘diritto comunale’ nell’interesse di tutti i partiti”92.

3.2.4. Caldara: Anci e Lega due organizzazioni con vocazioni diverse e unobiettivo comune

Caldara, dal 1914 primo sindaco socialista di Milano e dal 1901 segretariodell’Anci, difese l’Associazione dei comuni. Il giorno seguente alla sua parteci-pazione al consiglio direttivo di Milano - una presenza per altro stigmatizzata

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89 Lolli, illustrando la sua proposta di voto affermava, tra l’altro, “ci siamo imbrancati inmezzo ad una associazione nella quale fanno il bello e il brutto tempo uomini come don Stur-zo, come Meda ed i più emeriti rappresentanti del conservatorismo italiano”, chiedeva che lanuova associazione si chiamasse “Lega dei comuni socialisti e [di] uscire in massa dall’attualeAssociazione dei comuni italiani”. Cesare Marangoni, rispondendo a Lolli, si dichiarava “inprincipio d’accordo, ma [la scelta] mi sembra pericolosa a priori” per gli impegni presi dai co-muni con l’Anci e “oltre che pericoloso potrebbe anche essere poco simpatico uscire così exabrupto”, dichiarava quindi preferibile rimandare la decisione alla Federazione dei comuni so-cialisti, o ad un referendum da indire tra gli stessi comuni. Rispetto all’inopportunità dell’u-scita dall’Anci, l’altro relatore, Guido Marangoni ricordava che Caldara era vicepresidente del-l’Associazione e Sichel era membro del consiglio direttivo; ivi, pp. 259-273.

90 La direzione del partito riunita a Bologna, “Avanti!”, 21 gen. 1916; Malatesta, I socialistiitaliani…, cit., pp. 95-6

91 Con Caldara, faceva parte della minoranza socialista presente nel consiglio direttivo del-l’Anci nominato a seguito del XIII congresso svoltosi a Roma nel 1915, oltre ai citati Giulio Ca-salini deputato e consigliere comunale a Torino; Luigi Sabatini, sindaco di Albano laziale e TullioZanella, sindaco di Verona; anche Adelmo Sichel, deputato e assessore comunale a Guastalla.

92 Associazione dei comuni italiani. La riunione del consiglio direttivo in Milano 21-22 febbraio1916, AC, n. 2, 29 feb. 1916, p.1.

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dall”Avanti!” che pure aveva deciso di riportare la delibera93 - Caldara espressela necessità di discutere la deliberazione del Partito, ricordando la diversa natu-ra delle due organizzazioni, “una con determinati fini politici [la Lega], l’altracome strumento tecnico di difesa e di studio [l’Anci]”, ricordando - o forse me-glio rivendicando – la propria qualità di vicepresidente dell’Anci e l’opera cheda quindici anni prestava nell’organizzazione. Un’organizzazione che, tra l’al-tro, avrebbe dovuto lasciare proprio all’indomani della sentenza del Consigliodi Stato che radiava dal bilancio comunale milanese il contributo all’Anci94.

Il giorno dopo la pubblicazione della lettera di Caldara il quotidiano del Psipubblicava la notizia che la giunta comunale di Bologna, guidata da Zanardi,aveva votato l’abbandono dell’Anci95. La presa di posizione della giunta bolo-gnese bilanciava ne l’“Avanti!” le ragioni del riformista Caldara ma, diversa-mente da quella che sosteneva il sindaco di Milano, la maggioranza il sindacodi Bologna era massimalista96 e molto probailmente quel voto non rispecchia-va la posizione politica del primo cittadino della città felsinea.

Una successiva circolare della direzione firmata dal segretario CostantinoLazzari ricordò, nuovamente, a tutti i sindaci socialisti l’obbligo di uscire dal-l’Anci e di iscriversi alla Lega97. Secondo Punzo si trattava di una scelta formal-mente conforme alle proposte presentate dai riformisti ad Ancona, di fatto ave-va un significato contrario:“Non si poteva negare, in effetti, una coerenza esteriore tra questa decisione equella adottata due anni prima al congresso nazionale di Ancona, quando erastata deliberata, su proposta di Caldara, la tattica intransigente nelle elezioni am-ministrative. Si trattava però, palesemente, di due modi diversi ed anzi antiteti-ci di concepire il principio dell’intransigenza, inteso da alcuni [i riformisti] co-me autonomia del partito socialista da ogni gruppo politico, senza però esclu-dere convergenze e collaborazioni; da altri [i massimalisti] come netta chiusuraad ogni dialogo e come netta contrapposizione a tutti gli altri partiti”98.

L’uscita dall’Anci dei comuni socialisti adempiva alla volontà espressa dagliamministratori socialisti a Bologna99, ma non impedì la collaborazione tra la Le-ga e l’Anci. Come dimostrava il discorso sulle finanze comunali del deputatoAdelmo Sichel alla Camera, pubblicato con un certo rilievo nel numero del di-cembre 1915 dalla rivista dell’Anci. Nell’intervento parlamentare l’esponente ri-

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93 L’Associazione dei comuni e il congresso socialista di Bologna, “Avanti!”, 22 feb. 1916.94 Associazione o Lega dei comuni? Una lettera di Emilio Caldara, “Avanti!”, 23 feb. 1916.95 La giunta municipale di Bologna e l’Associazione dei Comuni, “Avanti!”, 24 feb. 1916.96 Paola Furlan, L’amministrazione socialista Zanardi a Bologna, in Maurizio Degl’Innocen-

ti (a cura di), Le sinistre e il governo locale in Europa dalla fine dell’800 alla seconda guerra mon-diale, Pisa, Nistri-Lischi, 1984, pp. 134-145. Sulla sindacatura di Zanardi cfr. Nazario SauroOnofri, La grande guerra nella città rossa. Socialismo e reazione a Bologna dal 1914 al 1918, Mi-lano, Edizioni Del Gallo, 1966.

97 La Lega dei comuni socialisti, “Avanti!”, 13 mar. 1916.98 Punzo, La giunta Caldara…, cit., p. 165.99 Diversamente da quello che sostiene Punzo, secondo il quale era stata la direzione del Psi

“interpretando per altro un voto espresso dallo stesso congresso” a decidere la scissione dal-l’Anci; ibidem.

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formista dichiarava che le sue affermazioni non erano eco della volontà delle so-le amministrazioni socialiste ma di tutti i comuni e, a tale proposito, presentavaun ordine del giorno “d’accordo con i miei colleghi del Consiglio direttivo del-la Lega dei Comuni, insieme col collega Meda, che mi ha ceduto l’incarico”100.

Era evidente, comunque, che la nascita della Lega nei termini in cui fu deci-sa a Bologna – nonostante le accelerazioni imposte dalla direzione del Psi, sot-tolineate da Punzo - incontrò il plauso di molti amministratori che ormai da an-ni non si riconoscevano nell’Anci, quegli stessi che avevano votato a Bologna lamozione Lolli. Esemplare, a questo proposito, il caso di Sesto Fiorentino narra-to da Ragionieri. Il consiglio comunale a maggioranza socialista della cittadinavotava il distacco dall’Anci nel 1905, anno di inizio della svolta moderata del-l’organizzazione, perché “non dà alcun affidamento di poter conseguire lo sco-po pel quale venne costituita”, e fino alla costituzione della Lega, nel 1916, nonfece più parte di alcuna associazione nazionale101. Secondo i dati dell’Anci eranocirca 300 i municipi che abbandonarono l’organizzazione, soprattutto del nord,tra questi i più importanti erano Milano, Bologna, Alessandria e Monza102.

3.3. Statuto e rivista della Lega

Il 23 maggio 1916 la direzione del Psi ed il Comitato direttivo della Legaapprovarono lo statuto della Lega dei comuni socialisti. Lo statuto, quindi, nonvenne votato in un congresso di amministratori ma dalla dirigenza del Psi, qua-si a sottolineare l’esistenza di quella subordinazione ai vertici nazionali del par-tito, quella “tendenza [….] statalista”103 criticata da Zibordi nel 1910. Per quan-to riguarda il funzionamento, organo dirigente della Lega era la Commissioneesecutiva, di cinque membri, composta dal segretario dell’organizzazione e daaltri quattro eletti nel seno del Comitato direttivo. La Commissione, almenofino a tutto il 1918, era composta da Antonino Campanozzi, segretario; Co-stantino Lazzari, per la direzione del Psi; Giovanni Merloni, per il gruppo par-lamentare socialista; Luigi Sabatini, sindaco di Albano laziale, rappresentantedei piccoli comuni; Francesco Zanardi, sindaco di Bologna. La Lega aveva se-de a Roma in via del Seminario 87104, l’organo ufficiale era il mensile “Il co-mune moderno”, una delle migliori riviste di amministrazione locale del primo‘900, dove “con maggiore coerenza”, scrive Lucarini, “si faceva prassi quotidia-

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100 Il discorso dell’on. Sichel sulle finanze comunali, AC, n. 12, 31 dic. 1915.101 Archivio comunale di Sesto Fiorentino, Atti del consiglio comunale, vol. 79, p. 332; cita-

to da Ernesto Ragionieri, Un comune socialista: Sesto Fiorentino, Roma, Editori Riuniti, 1953,pp. 134-5.

102 L’”Associazione dei Comuni” e la “Lega Socialista” in una intervista della “Settimana socia-le” col Vice-Presidente Sturzo, in AC, n. 5, 31 mag. 1916, p. 3.

103 Zibordi, Primavera di vita municipale…, cit. Chiaramonte sottolinea molto polemica-mente la circostanza; Chiaramonte, Luigi Sturzo nell’Anci…, cit., p. 210.

104 Statuto della Lega dei comuni socialisti, “Almanacco socialista italiano 1917”, AntoninoCampanozzi, Il primo anno di esistenza della Lega dei comuni socialisti, idem 1918, pp. 211-7;L’Assemblea generale delle amministrazioni socialiste, idem 1919, pp. 263-270.

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na l’idea […] di una stretta collaborazione tra le fasce più motivate della buro-crazia, gli amministratori elettivi e i detentori di ‘saperi’ specialistici che avevaanimato le redazioni delle riviste locali a partire dalla fine dell’Ottocento”105. Lanotizia che il foglio era divenuto organo ufficiale della Lega venne però pub-blicata solo nel dicembre 1920106:“La rivista sta per subire una profonda trasformazione, che le permetterà di as-solvere il compito per cui era stata creata […] diverrà l’organo ufficiale, la rivistatecnica della Lega dei comuni socialisti, che ha assunto grande importanza, dopole elezioni amministrative e la conquista di circa un terzo dei comuni italiani”. Lapubblicazione, ci teneva a ricordarlo l’editoriale, sarebbe rimasta sostanzialmentela stessa, ma “Arricchita di elementi valorosi, la nostra redazione potrà dare unaidea davvero compiuta di quello che è il movimento comunale in Italia e fuori”107.

Per quanto riguarda l’attività, il secondo articolo dello Statuto della Lega re-citava:“Scopo della Lega è quello di coordinare le funzioni amministrative e politichedel partito socialista in seno alle province, ai comuni e a tutti gli enti pubblici,per promuoverne ed unificarne l’azione; di organizzare una efficace ed attiva con-sulenza tecnica, legale ed amministrativa, di facilitare i rapporti e di difendere gliinteressi degli enti pubblici locali di fronte agli enti tutori locali e centrali”108.

Se la “consulenza tecnica, legale ed amministrativa” e la difesa degli interessi“degli enti pubblici locali di fronte agli enti tutori locali e centrali” erano comu-ni all’Anci, quello che differenziava fondamentalmente le due organizzazioni erala qualificazione politica della Lega e la subordinazione al partito, rispetto adun’Associazione che era stata costituita a Parma sulla base di una sostanziale neu-tralità politica per favorire l’adesione del maggior numero possibile di comuni.

3.3.1. Le critiche di Sturzo ed il dolore di Caldara

Nelle pagine della rivista dell’Anci la scissione venne condannata senza appellodal vicepresidente Sturzo secondo il quale la decisione era dovuta a motivi del tut-to interni al Psi che niente avevano a che vedere con l’attività dell’Associazione:

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105 Lucarini, Scienze comunali e pratiche di governo in Italia…, cit., p. 239.106 La collaborazione del periodico con la Lega risaliva però al 1916, quando entravano nel-

la redazione Merloni e Campanozzi esponenti dell’organizzazione socialista e animatori dellarivista “Politica e finanza locale” che si fondeva con “Il comune moderno”; Giulio Casalini, No-vità in famiglia, “Il comune moderno”, (Icm), lug.-ago. 1916, p. 193; Lucarini, Scienze comu-nali e pratiche di governo in Italia…, cit., p. 237.

107“Il comune moderno” nel 1921. La nostra trasformazione, Icm, ott.-nov. 1920, pp. 293-4;dal gennaio 1921 la rivista venne pubblicata dalla Società editrice dell’ “Avanti!”.

108 Il Comitato direttivo, ai sensi dell’art. 4, era composto: “di due membri rappresentanti i con-sigli provinciali; di due rappresentanti i comuni di non oltre 5.000 abitanti; di due rappresentantii comuni fra i 5.000 e i 25.000 abitanti; di due rappresentanti i comuni fra i 25.000 e i 100.000abitanti; di un rappresentanti per ognuno dei comuni di oltre 100.000 abitanti; di un rappresen-tante del gruppo parlamentare socialista; di un rappresentante della Direzione del partito socialistaitaliano”; Statuto della Lega dei comuni socialisti, “Almanacco socialista italiano 1917”, pp. 151-4,ora in Corghi, La Lega per le autonomie locali dalle origini al fascismo (3)…, cit., p. 10075.

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“Mai si sono accennati irriducibili dissensi interni e tutta l’opera svolta fin quiè stata sempre ottenuta con la collaborazione intiera di tutti i partiti. I sociali-sti sono dunque stati indotti a staccarsi unicamente per un criterio di parte […,la Lega] non mancherà di voti e di memoriali: e per fare più e meglio dell’As-sociazione dei comuni, userà paroloni più grossi e tinte più calde. Ma quantoalla resistenza sarà bene vedere fin dove le amministrazioni comunali socialistepotranno fare a meno della Legge e delle Prefetture, e fin dove vorranno pro-vocare le crisi municipali per protesta e per lotta […] L’idea delle libertà co-munali deve farsi strada penetrando nella coscienza civile del Paese, non con lavoce tronfia del comizio, né con l’ubriacatura della rivolta, ma col perseveran-te lavoro intellettuale e morale presso amministrazioni e governanti, presso elet-tori e studiosi”109.

Caldara non poté fare a meno di manifestare il proprio dolore per la rottu-ra con un’organizzazione che aveva contribuito a formare e nella quale aveva la-vorato per 14 anni come segretario e per un anno come vicepresidente. Nellaconclusione della sua lettera d’addio pubblicata su “L’autonomia comunale”sottolineava il tentativo suo e dei colleghi riformisti affinché l’appartenenza al-la Lega non fosse incompatibile con quella all’Anci e, nonostante l’insuccesso,ribadiva l’idea di un’azione unitaria di Lega ed Anci rispetto alle materie piùimportanti:“Coi colleghi Casalini, Sabatini e Zanella ho curato con lealtà ed amore le pra-tiche intese a rendere compatibile la partecipazione dei Comuni socialisti, tan-to alla loro istituenda organizzazione, quanto all’Associazione generale dei co-muni italiani, e conseguentemente la nostra permanenza nel consiglio direttivodi questa […] Mi conforta il pensiero che ancora potremo trovarci accanto, seurgerà difendere la libertà ed i vitali interessi dei nostri Comuni”110.

Molto simile era la lettera di Sichel che, come Caldara, sperava nella futuracollaborazione tra le due organizzazioni:“mi auguro che possiamo ancora, dall’una e dall’altra riva, trovarci vicini, perdifendere assieme le libertà e le autonomie comunali”111.

3.3.2. Le interpretazioni della nascita della Lega dei comuni socialisti

Il giudizio sulla nascita della Lega dei comuni socialisti è stato, fino ad og-gi, sostanzialmente viziato dalla mancanza di elementi di giudizio. Come si èvisto, la decisione di far nascere la Lega non derivava dalla semplice constata-zione di un’eccessiva moderazione dell’Anci, ma era frutto, piuttosto, di una

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109 L’”Associazione dei Comuni” e la “Lega Socialista” in una intervista della “Settimana socia-le” col Vice-Presidente Sturzo, in AC, n. 5, 31 mag. 1916, p. 4; nella stessa intervista Sturzo af-fermava che l’Anci associava circa 3000 comuni.

110 Lettera di Emilio Caldara, datata Milano 14 mar. 1916, pubblicata in AC, n. 5, 31 mag.1916, p. 1.

111 Lettera di Adelmo Sichel, datata Guastalla, 24 mar. 1916, pubblicata in AC, n. 5, 31mag. 1916, p. 1

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decisione politica assunta all’interno del Psi sulla base di opposti intendimentidi riformisti e massimalisti.

Secondo Bedeschi il congresso di Bologna del 1916 venne voluto dai socia-listi “per approntare un adeguato strumento di lotta dopo che l’Associazionedei comuni era passata ormai nelle mani dei cattolici guidati da Sturzo”112. Ga-briele De Rosa, storico del movimento cattolico e biografo di Sturzo, il primoa scrivere della storia dell’Anci, ha in qualche modo giustificato la scissione evi-denziando una sorta di affievolimento dell’impulso originario dell’organizzazio-ne: “L’Associazione, conseguito il primo successo sulla più importante rivendi-cazione della liberazione dei bilanci comunali dalle spese di competenza delloStato113, continuò a battersi per altri importanti obiettivi, ma sempre con mino-re incisività”114.

Sulla base di questa stessa motivazione Michele Lanzetta, in occasione delsessantesimo anniversario della fondazione dell’Anci avvenuto nel 1961, hascritto nella rivista della Lega dei comuni democratici: “i socialisti divennero polemici verso la Associazione Comuni Italiani sino adopporle, come proprio organismo di lotta, la Lega dei comuni socialisti, nonper intransigenza massimalistica […] chiedevano soltanto che l’Associazionenon deviasse dai suoi fini originari, fosse più presente, dinamica ed assumessenei confronti dell’autorità tutoria e dei governi un atteggiamento di adeguataenergia, e perciò di lotta per la conquista dell’autonomia comunale; e ciò dopoche era stato sperimentato invano ogni altro metodo […] Nei suoi 25 anni diesistenza furono fatti degli studi, anche pregevoli e fu ottenuta qualche rifor-ma; ma nessuno può smentire che i risultati della sua azione – d’ordine emi-nentemente tecnico mentre il problema delle autonomie era eminentementepolitico, e più ristretta e centralizzata che non generale, articolata e periferica -furono complessivamente modesti ed inadeguati, come conseguenza di unacondotta, se non sempre di supina remissività, indubbiamente troppo spessodebole [...] la condotta dell’Associazione, preoccupata di non apparire intransi-gente e di distinguersi per un suo proprio modo di essere al di fuori e al di so-pra della mischia, fu più di remora che non di aiuto rispetto alle campagne svi-luppate dalla Lega e dalle varie correnti politiche interessate all’autonomia co-munale, compresa quella cattolica”. In sostanza, la vita dell’Anci era “semprepiù lontana dagli scopi fondamentali dei suoi ideatori”115.

Il giudizio di Lanzetta sulla nascita della Lega era chiaro: non erano stati isocialisti a lasciare l’Anci, era stata piuttosto la maggioranza moderata liberalee cattolica ad abbandonare i fini originari per i quali l’associazione era statacreata nel 1901 - su forte impulso della sinistra - obbligando così i socialisti adallontanarsi da questa.

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112 Bedeschi, Socialisti e cattolici nei comuni dall’unità al fascismo…, cit., p. 140. 113 Il riferimento è alla citata legge 24 marzo 1907, n. 116.114 Gabriele De Rosa, La nascita dell’Associazione dei comuni, Roma, Edizioni cinque lune,

1962, ora in Ruffilli, Piretti (a cura di), Per la storia dell’Anci…, cit., p. 19, il corsivo è reda-zionale.

115 Michele Lanzetta, I sessantanni dell’Anci, “Il comune democratico” (Icd), n. 9, 1961.

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Un giudizio altrettanto impietoso di quello di Lanzetta sui risultati dell’o-pera dell’Anci è stato espresso dallo storico Lucarini che, a questo proposito, ci-ta il fatto che in Italia i comuni non erano in grado di finanziare autonoma-mente le proprie opere pubbliche ma erano costretti a richiedere le somme ne-cessarie dalla Cassa depositi e prestiti previa autorizzazione dello Stato116. Attri-buire quasi solo alle colpe dell’Anci la mancanza di incisività delle proprie ini-ziative e della poca o inesistente autonomia politica, o finanziaria, dei comuniitaliani vuol dire sopravvalutare le possibilità di reale incidenza dell’attività del-l’Associazione sul complesso sistema politico-istituzionale nazionale, tradizio-nalmente centralistico.

Diverso è il caso dell’opera di Umberto Chiaramonte, nella quale le vicen-de che portarono allo “strappo” della Lega sono ricostruite con minuziosità117.L’autore segue fin nei dettagli la scissione ma senza avvertire la complessità de-gli avvenimenti che avevano preceduto e seguito il congresso Bologna del 1916,gia segnalati da Punzo. Inoltre, preoccupato di dimostrare un inesistente pri-mato dei cattolici in materia di politica locale e facendo propria la condannadella separazione socialista espressa ufficialmente dalla direzione liberale e cat-tolica dell’Anci, Chiaramonte non ha registrato la continuità, nei fatti, dellacollaborazione tra l’Associazione ed i riformisti testimoniata, per esempio, dalcitato intervento alla Camera del socialista Sichel118. Ma più che di primato deicattolici e di imitazione dei socialisti119 sarebbe stato il caso, invece, di registra-re la sostanziale convergenza degli uni e degli altri sulla questione fondamenta-le del diritto all’autonomia dei comuni. Una sostanziale convergenza che avevapermesso a cattolici e riformisti di collaborare per quindici anni e che avrebbepermesso ancora ad amministratori e politici delle due parti di lavorare fiancoa fianco nell’interesse del movimento per le autonomie locali.

4. L’attività della Lega nel periodo liberale

4.1. La mobilitazione bellica e i comuni socialisti

Durante gli anni della guerra, la necessità di organizzare lo sforzo bellicomobilitando tutte le forze disponibili, obbligò il governo nazionale ad appog-giarsi anche ai comuni amministrati dai socialisti i quali si rafforzarono, insie-me alla loro Lega. Scrive Bedeschi “Il congelamento dei consigli comunali du-

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116 Federico Lucarini, Immagini ambivalenti e realtà in movimento. I comuni urbani in Italiadalla fine dell’Ottocento alla Grande Guerra (1894-1914), in Angelo Varni e Guido Melis (a cu-ra di),L’impiegato allo specchio, Torino, Rosenberg e Sellier, 2002, p. 154 e 174.

117 Chiaramonte, Luigi Sturzo nell’Anci…, cit., pp. 193-213.118 Il discorso dell’on. Sichel sulle finanze comunali, AC, n. 12, 31 dic. 1915.119 Chiaramonte, per esempio, scrive di imitazione dei socialisti, di dejà vu, tra gli argomenti

discussi a Bologna e quelli elaborati dall’Anci (Luigi Sturzo nell’Anci…, cit., p. 195 e 199), co-me se i socialisti che avevano contribuito a fondare l’Associazione e a delinearne la politica perquindici anni fossero stati semplicemente degli incompetenti capaci solo di ripetere i discorsidi altri politici.

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rante i quattro anni di guerra permetteva alla Lega non solo di consolidarsi or-ganizzativamente, ma di dimostrarsi uno strumento utilissimo sia come colle-gamento che come azione unificatrice della politica socialista municipale”120.

In un articolo apparso nella “Critica sociale” del novembre 1916 il segreta-rio, Campanozzi, illustrava i primissimi risultati dell’azione della Lega. Favori-ta dalla necessità del Governo di mobilitare tutte le istituzioni a sostegno dellosforzo bellico: “col decreto luogotenenziale del 2 agosto, le principali propostedella Lega dei comuni vennero accolte […] e furono create la Commissionecentrale, il servizio temporaneo degli approvvigionamenti e le commissioniconsultive provinciali, furono autorizzati gli enti pubblici locali a contribuire alcapitale di fondazione degli enti autonomi per i consumi”. Alla Commissionecentrale per gli approvvigionamenti “che tante speranze aveva suscitato”, ven-nero chiamati, insieme ai “più genuini rappresentanti degli agrari, degli indu-striali e dei commercianti, Francesco Zanardi, sindaco di Bologna e membroautorevole del Comitato della Lega dei comuni socialisti, Antonio Vergnanini,segretario generale della Lega nazionale delle cooperative e l’on. Carlo Pucci,per la associazione veterinaria italiana: non come ostaggi naturalmente, del Par-tito socialista, ma come garanzia della serietà dei propositi che animavano ilGoverno”. Il successo dell’attività della Commissione era però molto limitato,visto che aveva subito promosso ricerche e censimenti ma le misure adottatenon solo non riuscirono a frenare i prezzi, obiettivo fondamentale della Com-missione, ma turbarono il mercato121.

Insomma, nello stesso tempo la guerra favorì il coinvolgimento dei comunisocialisti nella gestione del potere amministrativo dello Stato, ma questo nondette alcuna garanzia riguardo al successo delle misure da loro proposte:“L’ostacolo principale è derivato dalle eccezionali condizioni in cui oggi si svol-ge la vita nazionale in rapporto alle funzioni accentratrici dello Stato, le qualihan trasformato i liberi comuni in organi esecutivi della politica di guerra intutti i campi dell’attività locale: per cui si sono andati assottigliando, con l’in-cremento delle funzioni statali e con lo squilibrio permanente dei bilanci, queiresidui di libertà e di autonomia, che erano il necessario presupposto del for-marsi e svilupparsi dell’Associazione”122.

Campanozzi non lo scriveva, ma all’importante Commissione centrale pergli approvvigionamenti partecipavano oltre alla Lega, anche l’Associazione deicomuni123 e l’Upi124. Anci, Upi e Lega, parteciparono poi congiuntamente an-che ad un altro organismo creato durante il periodo bellico, nel 1918, la Com-missione reale per la riforma degli ordinamenti amministrativi e tributari dei

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120 Bedeschi, Socialisti e cattolici nei comuni dall’unità al fascismo…, cit., p. 141.121 Antonino Campanozzi, I problemi economici della guerra al convegno socialista di Roma,

“Critica sociale”, 1-15 nov. 1916, pp. 283-6.122 Campanozzi, Il primo anno di esistenza della Lega dei comuni socialisti…, cit., p. 211.123 Archivio storico comunale di Parma, (ArSCPr), anno 1923, Amministrazione comuna-

le 1, fasc. Diverse, Associazione dei comuni italiani. XIV Congresso Nazionale dei Comuni, Par-ma 19-20-21 Novembre 1921. Relazione morale e finanziaria Marzo 1915 – Ottobre 1921, Ro-ma, p. 33.

124 Provincie e approvvigionamenti locali, “Rivista delle provincie” (Rdp) set. 1916, pp. 261-4.

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comuni e delle province125. La Commissione, presieduta dal senatore RaffaelePerla, contava tra i suoi componenti: per la Lega il sindaco di Bologna, Zanar-di; per l’Anci il presidente e i due vicepresidenti, rispettivamente senatore Pie-ro Lucca, Dario Franco e Luigi Sturzo; per l’Upi il presidente ed il segretario,conte Vettor Giusti del Giardino ed Annibale Gilardoni; e ancora il deputatoCarlo Schanzer, Luigi Einaudi, e vari dirigenti dell’amministrazione centraledello Stato, tra i quali Alberto Pironti, direttore generale dell’Amministrazionecivile presso il Ministero dell’interno126. Le organizzazioni del movimento perle autonomie, quindi, parteciparono a pieno titolo e da protagoniste allo svi-luppo della pubblica amministrazione nazionale nel periodo bellico, sottoli-neata dalla storiografia127, contribuendone alla trasformazione.

4.2. I principali settori di intervento

Per quanto riguarda le attività di tipo tecnico-amministrativo, oltre a parte-cipare a Commissioni governative, la Lega promosse, nel 1917, specifiche atti-vità di studio al proprio interno affidate ad apposite Commissioni speciali confunzioni di supporto all’attività del Comitato esecutivo:- per la politica tributaria, a cui parteciparono, Caldara, Matteotti, Graziadei,

Sichel, Merloni;- per la politica dei consumi, con Zanardi, Vergnanini, Ernesto Pistoja, Enrico

Dugoni, Giuseppe Pucci; - per la politica scolastica; con Virgilio Broccoli, Augusto Mammucari, Giu-

seppe Soglia;- per la politica agraria, con Massimo Samoggia, Luigi Montemartini, Mario

Casalini, Luigi Sabatini, Giuseppe Parpagnoli;- per l’assistenza e beneficenza, con Cesare Marangoni, Luigi Minguzzi, Fran-

cesco Betti, Fabrizio Maffi, Francesco Panizzi;- per l’assistenza sanitaria e igienica, con Giulio Casalini, Umberto Brunelli e

Giuseppe Portalupi;- per lo studio delle riforme concernenti le province, composta dai presidenti del-

le deputazioni provinciali di Ferrara, Aroldo Angelini; di Bologna, Guada-gnino; di Mantova, Menotti Luppi; di Reggio Emilia, Mazzoli e, inoltre,Claudio Treves;

- per la difesa dell’autonomia degli enti locali, con Filippo Turati, Caldara,Emanuele Modigliani, Sichel e Campanozzi;Per la politica del lavoro funzionava da Commissione speciale il Comitato ese-

cutivo della Lega riunito con il Comitato esecutivo della Confederazione del la-voro. La Lega istituì anche un Ufficio di consulenza amministrativa e legale per glienti locali di cui fecero parte il segretario, Campanozzi e vari avvocati romani.

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125 Costituita con il decreto luogotenenziale 18 aprile 1918, n. 511.126 L’attività legislativa nei riguardi dei comuni, AC, mar.-mag. 1918, p. 11.127 Per tutti cfr. Guido Melis, Storia dell’amministrazione italiana 1861-1993, Bologna, Il

Mulino, 1996, pp. 69-277.

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L’azione della Lega si sviluppò anche in Parlamento attraverso gli interventidei deputati socialisti che promuovevano ed appoggiavano provvedimenti a fa-vore degli enti locali, come quello – già ricordato - che aveva dato vita allaCommissione centrale per gli approvvigionamenti. Ma l’organizzazione era an-che impegnata anche nella preparazione di riunioni con il Gruppo parlamen-tare e la direzione del Psi, coadiuvate da convegni di sindaci, in materia finan-ze locali, assistenza e beneficenza, pensioni di guerra, politica scolastica e agra-ria, assistenza sanitaria ed igiene. Vi era stato anche un “importante colloquiotra il Comitato esecutivo della Lega e il Ministro dell’interno”. Alcuni specificiprovvedimenti finanziari venivano definiti frutto proprio di questa attività,quali il decreto luogotenenziale 31 agosto 1916, che istituiva, tra l’altro, il con-tributo straordinario per l’assistenza civile, e i decreti 21 dicembre 1916 e 26luglio 1917, che concedevano mutui di favore anche per il finanziamento de-gli enti autonomi di consumo e per l’indennità di caro-viveri agli impiegati esalariati degli enti locali:“provvidenze certamente inadeguate di fronte al fabbisogno dei bilanci comu-nali; ma che, probabilmente, non sarebbero state in parte o in tutto emanatesenza la vivace e costante pressione dei nostri comuni e della loro Lega”.

Non aveva avuto successo, invece, la proposta di creare un “Istituto na-zionale di credito che permettesse agli Enti locali di fronteggiare i bisognistraordinari e temporanei di cassa, una specie di Banca di Esercizio”. Ri-spetto all’assistenza, la Lega aveva spinto il gruppo parlamentare socialistaa presentare alla Camera un ordine del giorno per la riforma delle pensionidi guerra. Il tema era stato oggetto di un convegno il 25 ottobre 1916 trala Lega dei comuni, il gruppo parlamentare, la Lega nazionale delle coope-rative e la direzione del Psi e alcune delle proposte discusse erano poi stateaccolte dal Governo, in particolare quella relativa al riconoscimento dei fi-gli naturali.

Sempre nell’ambito dell’assistenza ai cittadini più poveri, ai proletari, Cam-panozzi evidenziava che:“alle insufficienti provvidenze del Governo centrale han supplito, con abbon-danza di mezzi e con largo spirito di solidarietà sociale, le nostre singole am-ministrazioni, grandi e piccole, che furono e sono di esempio e ammaestra-mento alle amministrazioni borghesi, così nel campo dell’assistenza come inquello dei consumi”.

In vari campi, nonostante le difficoltà del momento:“si sono gettate le basi del programma socialista, con studi e deliberati delleCommissioni speciali”.

L’obiettivo qualificante della Lega, la difesa dei comuni socialisti dagli at-tacchi delle autorità di governo, era trattato al termine della relazione:“Aggiungiamo, infine, che parte dell’attività della Lega è stata spesa non in-fruttuosamente nella difesa politica dei comuni associati, alcuni dei quali –Genzano, per esempio, Andria, Novara, Monza, ecc. – furono spesso bersagliodi rappresaglie e di persecuzioni. Sia direttamente sia a mezzo del Segretariatodel Gruppo Parlamentare, la Lega è riuscita, in più casi, a salvaguardare le li-bertà comunali e ad impedire soprusi e sopraffazioni.

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E quando un comune è stato colpito imprevedutamente, come nel caso diMonza, non ha mancato di levare la sua fiera protesta e di promuovere un’ade-guata reazione da parte delle altre amministrazioni socialiste”.

Per quanto riguarda le risorse finanziarie, nonostante le forti difficoltà di bi-lancio della Lega, causate dall’ostilità delle prefetture “che nella gran maggio-ranza dei casi hanno annullato le adesioni e le impostazioni della quota annua(mentre han lasciato passare adesioni e contributi per la Associazione dei co-muni non socialisti)”128, Campanozzi prevedeva, nel 1918, “il più lieto avveni-re per questo organismo – la Lega dei Comuni – destinato a trasformarsi, gra-do a grado, in un vero laboratorio di studi e di esperienze di amministrazionesocialista e in un poderoso strumento per la conquista dei pubblici poteri”129.

4.3. La Lega tra riformismo e massimalismo

Nei fatti, quindi, la Lega dei comuni socialisti proseguì quella politica distudio, di iniziative progettuali, di pressione politica sul governo, di collabora-zione con le organizzazioni del movimento socialista già perseguita dall’Anci ecollaborò con questa - e con l’Upi - proprio come era nelle intenzioni espresseda Caldara e Sichel al momento dell’uscita dall’Anci.

Quasi a riaffermare queste intenzioni la direzione del Psi riunita a Firenze dal23 al 27 luglio 1917 votò un ordine del giorno nel quale le amministrazioni lo-cali socialiste venivano invitate a continuare il proprio lavoro: “non per far ope-ra di collaborazione, ma per continuare a difendere, col mezzo del Comune so-cialista, i diritti e gli interessi del proletariato”130. Il 12 agosto successivo un con-vegno nazionale degli enti comunali di consumo, approvava la costituzione diuna Federazione degli enti comunali di consumo, “conferendo ad essa veste giu-ridica per le operazioni commerciali e industriali, estendendo la sua azione a tut-ta l’Italia con organismi locali, provvedendo lo Stato al suo finanziamento”131.

Ma proprio all’indomani di queste riunioni che riaffermavano l’importanzadell’opera dei comuni socialisti il segretario del Psi, Lazzari, riprese presso gliamministratori locali la campagna di intransigenza e di opposizione alla guerrarivolta, in particolare, contro i riformisti, una campagna avviata nel gennaio1917 con la richiesta dell’abbandono repentino dell’Anci. Rafforzando la ten-denza intransigente negli enti locali la direzione del Psi volle colpire la collabo-razione tra gli amministratori socialisti - soprattutto quelli di Milano e Bologna-, gli altri partiti e le istituzioni, in materia di assistenza alla popolazione pro-prio nel momento in cui questa rivelava tutta la propria importanza nei duris-simi anni della guerra. Scrive ancora Punzo:

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128 In realtà lamentale per la cancellazione delle adesioni dei comuni venivano, in quellostesso periodo, anche dall’Anci, come nel caso dell’eliminazione del contributo di Milano al-l’Associazione per il 1916, deliberata dal Consiglio di Stato, A proposito di una cancellazione,AC, n. 2, feb. 1916.

129 Campanozzi, Il primo anno di esistenza della Lega…, cit., pp. 211-7.130 Malatesta, I socialisti italiani durante la guerra..., cit., p. 155.131 ivi, p. 155-6.

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“I comuni socialisti avrebbero dovuto adottare […] un’opposizione inflessibilecontro lo sforzo bellico della nazione, capovolgendo la politica svolta fino aquel momento”132.

Scrive Malatesta: “Ai municipi socialisti la Lega dei Comuni aveva fatto co-noscere le deliberazioni prese dalla Direzione del Partito, quando, il 12 [ago-sto], Costantino Lazzari, segretario del P.S.I., inviava a tutti i sindaci socialistiuna circolare riservata e personale, che venne nelle mani del Governo, e servìpiù tardi come uno degli elementi che condussero alla condanna del Lazzari”133.

Nella circolare si chiedeva agli amministratori socialisti di scegliere tra duemisure egualmente dirompenti:“1) Provocare le destituzioni in massa, mediante una generale ed eguale moti-vazione politica. Per esempio, non voler più oltre con una illuminata operaamministrativa contribuire al prolungarsi di una guerra che si era rivelata inca-pace di risolvere alcuni dei problemi che ha posto, mentre moltiplica i disagimateriale e morali di tutta la nazione.

2) Rassegnare senza discussione ed eccezioni le dimissioni vostre e degli in-teri consigli dietro una parola d’ordine”134.

A questa, il 25 settembre, seguiva un’altra circolare nella quale si sollecitava la ri-sposta alla precedente135. L’8 ottobre 1917 il Consiglio dei Ministri varò un decretoche prevedeva in caso di dimissioni del sindaco e del conseguente scioglimento delconsiglio comunale, il pagamento in solido da parte dello stesso sindaco delle spe-se che sarebbero state necessarie per la gestione straordinaria del comune136.

La grande maggioranza degli amministratori, anche prima del provvedi-mento governativo, si espresse contro entrambi i provvedimenti suggeriti137 mail decreto bloccò qualsiasi rimanente velleità di mobilitazione. Caldara, da par-te sua, in aperto contrasto con la politica promossa dalla direzione del propriopartito, in una lettera inviata alla Lega il 13 novembre 1917 dopo la rotta del-l’esercito italiano a Caporetto (avvenuta il 24 ottobre 1917), chiese agli ammi-nistratori socialisti di restare al proprio posto138. Il divario tra i riformisti, mag-

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132 Punzo, La giunta Caldara…, cit., p. 165. 133 Malatesta, I socialisti italiani durante la guerra..., cit., p. 158; l’autore nel suo testo attri-

buisce alla circolare, erroneamente, la data del 12 settembre, sulla questione, cfr. Punzo, Lagiunta Caldara…, cit., pp. 314-5.

134 Circolare diretta dal segretario del Partito socialista italiano Costantino Lazzari ai sindacisocialisti del 12 agosto 1917 (circolare Lazzari n.1), ora in Luigi Ambrosoli, Né aderire né sabo-tare 1915-1918, Milano, Edizioni Avanti!, 1961, pp. 409- 410.

135 Circolare diretta dal segretario del Partito socialista italiano Costantino Lazzari ai sindacisocialisti del 25 settembre 1917 (circolare Lazzari n.1 bis), ora in ivi, p. 410.

136 Malatesta, I socialisti italiani durante la guerra..., cit., p. 158. A seguito di questi ed altriatti, Lazzari venne processato a Roma, insieme al vicesegretario Bombacci, il 26 febbraio 1918e condannato a due anni e undici mesi di reclusione, Bombacci a due anni e quattro mesi; ivi,pp. 165-173.

137 La notizia è tratta dall’analisi fatta da Punzo delle carte sequestrate a Costantino Lazzarie da lui consultate presso l’Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’interno, Direzione ge-nerale della Pubblica sicurezza, Divisione affari generali e riservati, A 5 G, b. 60; Punzo, Lagiunta Caldara…, cit., pp. 314-5.

138 Malatesta, I socialisti italiani durante la guerra..., cit., p. 162.

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gioritari nelle amministrazioni locali, nel sindacato e nel gruppo parlamenta-re139, ed il Psi si faceva sempre più profondo. Mentre Turati, dopo la rotta diCaporetto, ribadiva il dovere dei socialisti di difendere la Patria, i rivoluzionaricercavano ispirazione nella rivoluzione bolscevica in Russia.

4.4. La seconda Assemblea generale della Lega

Alla seconda assemblea generale della Lega, che si svolse a Bologna il 15-16settembre 1918140, oltre a 9 deputati (Morgari, Graziadei, Sichel, Bentini, Bru-nelli, Mazzoni, Treves, Todeschini e Beghi), parteciparono 80 comuni (Milanoe Bologna erano le uniche due grandi città presenti), 11 enti ed opere pie, 5amministrazioni provinciali (Bologna, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e laminoranza di quella di Venezia); aderirono 17 comuni e la Confederazione ge-nerale del lavoro.

Campanozzi nella sua relazione in primo luogo rendeva “un fervido omag-gio all’opera di Francesco Zanardi, che della Lega fu il principale animatore”,ricordava il progetto, di una “Cattedra ambulante di amministrazione, non at-tuato per mancanza di fondi, e di una Banca di esercizio per i comuni che nonpoté avere attuazione per l’opposizione del Governo”, un progetto, quest’ulti-mo, già avanzato nel 1916 con lo stesso esito. Metteva in risalto l’attività di as-sistenza dei comuni alla popolazione provata dalla guerra, ricordando in parti-colare Milano e Bologna, confermava la difficile situazione di bilancio provo-cata dall’annullamento delle delibere di versamento della quota sociale, infine,invitava “le amministrazioni a valersi dell’Ufficio di consulenza, costituito divalorosi professionisti”. Seguivano le relazioni di Sichel, sull’autonomia comu-nale; di Zanardi, su consumi e produzione; di Bonfantini, sulla politica scola-stica; di Bogiankino su tributi e bilanci e, dopo una discussione, l’assemblea vo-tava i relativi ordini del giorno.

A proposito dell’autonomia comunale, il voto impegnava i deputati sociali-sti alla presentazione di una proposta di legge di iniziativa parlamentare per lariforma della legge comunale e provinciale, anche in materia di opere pie, alladifesa delle amministrazioni locali socialiste e, infine, anche a promuovere l’as-sicurazione obbligatoria come soluzione al problema dell’assistenza sanitaria,che gravava in gran parte sui bilanci comunali. Riguardo ai consumi, il voto delcongresso era diretto a “sviluppare la coscienza di classe del proletariato inter-nazionale per l’abolizione dei dazi interni di consumo” e, in generale “una piùintima e completa fusione di sforzi per il raggiungimento di un sano equilibriotra la produzione ed il consumo”. A questi altisonanti proclami seguivano pre-cise indicazioni, quel voto doveva trovare attuazione attraverso:

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139 La Confederazione del lavoro e il gruppo parlamentare vennero criticati da Lazzari edall’”Avanti!” per l’incitamento alla difesa del paese, Malatesta, I socialisti italiani durante laguerra..., cit., pp. 160-3 e 272-3.

140 Si ricorda che appena due settimane prima, dal 1° al 4 settembre 1918, si era svolto aRoma il XV congresso del Psi.

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“cooperative libere da piccoli interessi particolaristici, e gli Enti autonomi deiconsumi […] produzione diretta attraverso organi di produzione creati conconcorso e nell’interesse di tutti i lavoratori associati”.

Relativamente alla politica scolastica si chiedeva anche nei piccoli comunil’apertura della IV classe elementare e, in generale, la promozione ed il miglio-ramento, complessivo, dell’insegnamento scolastico; rispetto a tributi e bilancisi chiedeva l’abolizione del dazio consumo e la sua sostituzione, come risorsa fi-nanziaria dei comuni, con una sovrimposta comunale su terreni, fabbricati eredditi mobiliari141.

In questo congresso sembrava fosse addirittura possibile nella Lega una sin-tesi tra gli obiettivi utopici dei massimalisti e quelli più realistici dei riformisti(purtroppo altrettanto utopici solo per la miopia e l’immobilismo della classedirigente liberale). Era il caso del voto scaturito dalla relazione del sindaco diBologna Zanardi, che iniziava con la premessa “sviluppare la coscienza di clas-se del proletariato internazionale” e proseguiva, come già ricordato, con la ri-chiesta della “abolizione dei dazi interni di consumo” per “una più intima ecompleta fusione di sforzi per il raggiungimento di un sano equilibrio tra laproduzione ed il consumo”.

4.5. Dall’utopia socialista all’amministrazione locale

4.5.1. Zanardi e l’Ente comunale di consumo

La citazione di Zanardi come esempio di traduzione dell’ideale socialista inconcrete misure amministrative e giuridiche in favore dei cittadini non è ca-suale. Proprio come non lo era stata scelta del sindaco di Bologna come relato-re in materia di consumi e produzione. Zanardi, infatti, era conosciuto come il“sindaco del pane”, l’ideatore dell’Ente autonomo dei consumi (poi ente co-munale di consumo) da lui definito: “Cittadini riuniti in libera associazione,con lo scopo di distribuire generi di largo consumo alle migliori condizioni sen-za alcun scopo speculativo”. L’ente venne finanziato inizialmente dal Comunee dalla Provincia, rispettivamente con 500.000 e 100.000 lire, nacque nell’ago-sto 1914 e, successivamente, venne riconosciuto sul piano giuridico da un ap-posito decreto luogotenenziale discusso nel 1918142. Bononia docet [Bologna in-segna], aveva scritto Treves, e lo faceva non solo in ambito politico, ma anchein quello giuridico.

Furlan definisce l’Ente autonomo dei consumi: “una vera e propria figuragiuridica creata appositamente per legittimare la funzionalità e la necessità del-l’esistenza di quelli che ormai veniva chiamati ‘i negozi Zanardi’”143. E i con-gressi dei comuni socialisti, l’organizzazione della Lega, erano l’occasione perdiffondere il modello dell’ente autonomo dei consumi in tutta Italia.

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141 L’Assemblea generale delle amministrazioni socialiste…, cit.142 Malatesta, I socialisti italiani durante la guerra..., cit., pp. 119-124.143 Furlan, L’amministrazione socialista Zanardi…, cit., p. 143.

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Quello della creazione dell’ente autonomo dei consumi è un esempio, con-creto, di quello che Rugge ha scritto in merito al fatto che i comuni con le pro-prie azioni, “imponevano un’articolazione delle funzioni amministrative”144. Lafelice espressione di Cassese su “la forza creatrice del diritto esistente in perife-ria”145 - che riprende un concetto di Giannini che definisce i comuni del Cen-tro-Nord del primo ‘900 come “i più operosi creatori di istituti giuridici”146 - èla migliore definizione e, insieme a quello di Giannini, il maggiore riconosci-mento dell’originale sforzo di elaborazione giuridica, politica e culturale dei co-muni italiani e della società locale italiana del primo ‘900147.

Fu la concreta, straordinaria esperienza di amministrazioni comunali comequelle di Bologna e di Milano, che dette forza al progetto riformista. Il librici-no di Caldara sulla sua esperienza di Sindaco di guerra a Milano fornisce l’e-sempio di cosa erano in grado di fare le amministrazioni socialiste per aiutare icittadini negli anni della prima guerra mondiale. All’assistenza ai lavoratori ita-liani che tornavano in Patria allo scoppio del conflitto, ancor prima dell’entra-ta in guerra dell’Italia, successe quella ai profughi dai territori italiani invasi dal-le truppe nemiche, sempre più numerosi dopo la rotta di Caporetto. A questasi aggiunse l’oculata gestione dell’approvvigionamento dei generi alimentaricontro la borsa nera degli speculatori, anche oltrepassando i limiti delle com-petenze ufficiali. Ricordava Caldara, infatti, che la decisione del prefetto disciogliere il consiglio comunale di Monza ebbe origine dal proposito del sinda-co di istituire la tessera per lo zucchero.

Era in pieno periodo di guerra che la “utopia del divenire socialista [era]stata per qualche tempo, tangibile realtà. Una organizzazione adeguata ha po-

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144 Fabio Rugge, La “città che sale”: il problema del governo municipale di inizio secolo, in Ma-riapia Bigaran (a cura di), Istituzioni e borghesie locali nell’Italia liberale, Milano, Franco Ange-li 1986, pp. 57-8.

145 Sabino Cassese, Prospettive degli studi di storia locale, in Bigaran, (a cura di), Istituzioni eborghesie locali…, cit., pp.33-4.

146 Massimo Severo Giannini,I comuni, in idem (a cura di), Atti del congresso celebrativo delcentenario delle leggi amministrative di unificazione. L’ordinamento comunale e provinciale, vol. I,I comuni, pubblicazioni dell’Isap, Vicenza, Neri Pozza, 1967, p.35. Ecco cosa scrive Gianniniin proposito: “fu così che i Comuni, soprattutto quelli dell’Italia settentrionale e centrale, fu-rono, almeno agli inizi di questo secolo, i più operosi creatori di istituti giuridici. Vi furono re-golamenti comunali di edilizia, i quali contenevano delle prescrizioni che erano più avanzate diquelle della legge urbanistica del 1942; erano in vigore regolamenti di polizia rurale, sull’usodelle acque e sull’uso dei pascoli comunali, i quali certamente contenevano norme più appro-priate di quelle che non fossero state poi emanate nelle leggi statali sulle acque pubbliche e su-gli usi civici; istituti come i pubblici macelli, i mercati generali, i mercati speciali, i depositi ge-nerali, i vivai e i semenzai pubblici, le scuole di riabilitazione per i minorati, le cattedre di istru-zione agraria, i preventori e gli ambulatori, alcuni istituti assistenziali per gli anziani o per per-sone socialmente sottoprotette, ebbero tutti la loro origine in iniziative comunali [...] il primoperiodo della nostra storia unitaria ha visto un vero e proprio ‘diritto comunalÈ, che ha costi-tuito un’anticipazione di legislazione statale, sopravvenuta sempre tardi, e non sempre bene [...]Tale processo espansivo è continuo e costante, e l’esempio forse più vistoso lo abbiamo nel cam-po delle municipalizzazioni [...] oggi [1967] il diritto comunale trova inaridite le proprie sor-genti”, ivi, pp. 34-6.

147 Su questo argomento cfr. Gaspari, L’Italia dei municipi…, cit., pp. 83-93.

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tuto disciplinare i mercati più vasti e sensibili: quello del grano, ad esempio”.All’attività annonaria, che sembrava segnare il successo dell’economia pianifi-cata rispetto a quella di mercato, si aggiungeva quella della gestione dei servi-zi pubblici vecchi e nuovi. Il comune assumeva la gestione delle tramvie urba-ne, ma preparava anche la difesa contro le incursioni aeree e portava a compi-mento opere pubbliche importanti, come la metropolitana e il canale naviga-bile da Milano al Po. Nel contempo si cercava di ridurre la burocrazia, si ge-stivano servizi in accordo con le autorità militari e, alla fine del conflitto, l’in-ternazionalismo proletario faceva valere le proprie ragioni su quelle della guer-ra, sulla logica dei vinti e dei vincitori. Così lo stesso Comitato di assistenzache univa comuni e organizzazioni operaie nello sforzo per il soccorso ai bam-bini italiani profughi dell’area del Piave, predisponeva l’assistenza ai bambinidella città di Vienna: “circa 2.300 bambini viennesi vennero sottratti alla mi-seria, migliorandone indirettamente anche le condizioni di quelli rimasti e sal-vandone dalla morte (in base alle tavole di mortalità allora accertate) circa200”148.

4.5.2. La repressione prefettizia

Erano però nulle le possibilità che la concreta esperienza dei comuni socia-listi si traducesse in un ampliamento dell’autonomia comunale e, quindi, inleggi dello Stato che riconoscessero e promuovessero più in generale l’attivitàdei comuni. Nel clima di scontro sociale e di incertezza politica del primo do-poguerra le istituzioni più vicine ai bisogni ed alle esigenze dei cittadini eranole prime a pagare le conseguenze dei provvedimenti dei prefetti, come testimo-niano le parole di Lazzari al XVI congresso del partito dell’ottobre 1919. Ri-guardo alla situazione dei comuni socialisti ed alla Lega, definita “organo sussi-diario del Partito”, il segretario del Psi affermava che:“Parecchi comuni, alcuni importanti come ad esempio Massa, sono stati can-cellati dalla lista dei comuni socialisti dalla violenza della amministrazioni go-vernative locali […] Le difficoltà della vita amministrativa sono diventate gran-di, immense e noi dobbiamo davvero riconoscenza ed ammirazione per il co-raggio e lo spirito illuminato col quale i nostri compagni sindaci hanno affron-tato le responsabilità delle loro situazioni”149.

Coraggio e spirito illuminato dei compagni sindaci non bastarono a bloccarené i provvedimenti di scioglimento dei consigli e di commissariamento deglienti decisi dai prefetti, né le violenze dei fascisti, o la ristrettezza dei bilanci co-munali, proprio come non bastò l’azione congiunta di Lega e parlamentari so-cialisti a far sì che i sindaci socialisti rimanessero in carica, nemmeno quello di

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148 Emilio Caldara, Impressioni di un sindaco in guerra, Milano, Librerie editrici “La cultu-ra”, 1924.

149 Partito socialista italiano (Direzione del), Resoconto stenografico del XVI congresso nazio-nale del Partito Socialista Italiano. Bologna 5-6-7-8 ottobre 1919, Roma, Edizione della direzio-ne del Psi, Milano Avanti!, 1920, pp. 50-1.

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Massa, Francesco Betti150, membro del Comitato direttivo della Lega sin dallacostituzione151.

A queste difficoltà, di carattere politico-istituzionale, si aggiunsero poi quel-le dovute all’evoluzione della situazione politica nazionale ed a quella del par-tito e del movimento socialista.

5. L’avvento del fascismo, le fratture nel Psi e la fine della Lega

5.1. L’assalto fascista allo Stato comincia dai comuni socialisti: Bologna e Milano

Nel 1919, il 23 marzo, vennero fondati i Fasci di combattimento e a parti-re dall’autunno del 1920, in un crescendo impressionate, la violenza fascista siabbatté sul partito, sulle organizzazioni e sulle amministrazioni locali socialiste.Il 15 aprile 1919 le squadre fasciste attaccarono la redazione milanesedell’”Avanti!”, ma “il fatto di sangue più drammatico che aprì la nuova stagio-ne di scontro civile avvenne a Bologna il 21 novembre 1920 nel palazzo co-munale d’Accursio e nella sottostante piazza centrale: il bilancio fu di novemorti e cinquanta feriti tra la folla”152. Il 21 novembre era la data dell’insedia-mento della seconda amministrazione comunale socialista. Il nuovo sindaco, ilmassimalista Enio Gnudi, eletto all’indomani delle elezioni amministrative -due anni dopo la fine dell’amministrazione Zanardi, decaduto perché designa-to alla Camera nel 1919 - rimase in carica appena due ore153. Era solo l’inizio:Bononia docet. La frase di Treves che metteva in risalto il ruolo pionieristico diBologna nell’attività dei comuni italiani valeva anche nei durissimi anni dellaviolenza fascista.

Meno di due anni dopo, nell’agosto del 1922, i fascisti assaltavano il comu-ne di Milano, il fatto ebbe un impatto fortissimo sulla Lega. Così scriveva Za-nardi in quei giorni:“Seguiamo attentamente lo svolgersi degli avvenimenti che riguardano il Co-mune di Milano, poiché ad essi è subordinata la vita della nostra Lega.

Quando il Direttorio del Gruppo Parlamentare e buona parte del Consigliodirettivo della Lega dei Comuni erano favorevoli ad abbandonare le ammini-strazioni Comunali e Provinciali per parte dei nostri compagni, l’interventodelle organizzazioni politiche ed economiche della vostra città ci ha consigliatodi soprassedere da ogni deliberazione.

La Direzione del Partito Socialista, poi, ha invitato i compagni a rimanereal loro posto, ma tale deliberazione potrebbe essere revocata se il governo scio-gliesse il Comune di Milano.

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150 Ibidem.151 Statuto della Lega dei comuni socialisti…, cit.152 Patrizia Dogliani, L’Italia fascista (1922-1940), Milano, Sansoni, 1999, p. 19.153 L’eccidio di Palazzo d’Accursio avvenne a seguito dell’uccisione del consigliere della mi-

noranza nazionalista, Giulio Giordani, a cui seguì l’aggressione fascista in piazza del Nettunocontro i cittadini accorsi a festeggiare l’elezione del nuovo sindaco.

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Per questo ti preghiamo di volerci tenere informati intorno alla vostra situa-zione; noi dal canto nostro facciamo quotidianamente vive pratiche per cono-scere gli intendimenti del Governo Centrale; fino ad oggi non ci è stato possi-bile conoscere esattamente il pensiero del Ministro dell’Interno, da noi già in-terrogato.

Le nostre impressioni sono queste: che i fascisti vogliono ad ogni costo loscioglimento del Consiglio sotto la minaccia di nuove e più decisive azioni, checolpiscano lo Stato.

La nostra opera è aiutata autorevolmente dai compagni On.li Caldara, Gon-zales, Turati, Treves; sarà nostra cura tenerti informati di tutto quanto accadein merito alla importante questione”154.

5.2. Comuni e province tentano di resistere alla violenza fascista

Questa lettera firmata da Zanardi su carta intestata “Lega dei Comuni So-cialisti”155 è molto importante perché testimonia l’impegno dell’organizzazionein favore dei comuni socialisti e il ruolo decisivo svolto dalla città di Milanonella decisione degli amministratori del Psi di resistere all’assalto fascista alle au-tonomie locali. A guidare l’amministrazione comunale milanese non c’era piùil riformista Caldara ma Angelo Filippetti, già assessore anziano della giuntaprecedente, “amministratore esperto e politicamente non identificabile con imassimalisti più estremi”, non a caso con lui c’erano quattro assessori dellagiunta Caldara. Ogni sforzo fu però inutile. Il “prefetto Lusignoli […] legaliz-zò il sopruso [fascista] dichiarando lo scioglimento dell’amministrazione socia-lista”156.“La marcia su Roma [iniziò] da Milano”, ha scritto Rotelli157.

Il susseguirsi del decreto prefettizio di scioglimento alla violenza fascista eranormale in quegli anni, si trattava di “una sorta di ‘divisione dei compiti’ cheaveva portato tra il 1921 e il 1922 allo scardinamento di tutte le amministra-zioni comunali in alcune province dell’Italia settentrionale”158, dove più forteera stato il successo dei socialisti – e dei popolari - nelle elezioni amministrati-ve dell’autunno del 1920. 2.022 comuni e 26 consigli provinciali erano nellemani delle amministrazioni socialiste, 1.613 comuni e 10 province in quelle dei

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154 Lettera di Francesco Zanardi ad Alessandro Schiavi, Roma 10 ago. 1922; Archivio di Sta-to di Forlì, Fondo Alessandro Schiavi, b. 9, f. 60; pubblicata in Alessandro Schiavi, Carteggi.Tomo primo: 1892-1926, a cura di Carlo De Maria, Manduria-Bari-Roma, Piero Lacaita Edi-tore, 2003, pp. 489-490.

155 Più precisamente: “Lega dei Comuni Socialisti. Segreteria. Roma. Via Panetteria, 15”156 Punzo, La giunta Caldara…, cit., p. 209.157 Ettore Rotelli, Le trasformazioni dell’ordinamento comunale e provinciale durante il regime

fascista, in Idem, L’alternativa delle autonomie. Istituzioni locali e tendenze politiche dell’Italia mo-derna, Milano, Feltrinelli, 1978, p. 181.

158 Luigi Ponziani, Fascismo e autonomie locali, in Marco Palla (a cura di), Lo Stato fascista,Milano, La Nuova Italia, 2001, p. 329; sullo stesso argomento cfr., dello stesso autore, Il fasci-smo dei prefetti. Amministrazione e politica nell’Italia meridionale (1922-1926), Catanzaro, Me-ridiana libri, 1995.

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popolari di Sturzo159. Scrive lo storico Aimo: “fra i principali ostacoli che il fa-scismo incontrò agli esordi, per il raggiungimento dei propri obiettivi di do-minio politico, vi fu certamente il diffuso, radicato e articolato tessuto degli en-ti municipali alla cui guida erano saldamente insediati – nella maggior parte deicasi – gli esponenti del Partito popolare e della Sinistra, nonché i rappresentantidelle vecchie élites liberali”160, e fu un ostacolo che il fascismo decise di toglieredi mezzo per primo.

5.3. Le divisioni all’interno della Lega e la fondazione del Partito comunista

Gli sviluppi della situazione interna al Partito socialista non contribuironocerto a dare forza agli enti locali amministrati dai socialisti. Dal 15 al 21 gen-naio 1921 si svolse a Livorno il XVII congresso nazionale del Psi nel corso delquale la corrente dei comunisti decise il distacco dal partito e il 22 gennaio i se-cessionisti fondarono il Partito comunista d’Italia (Pci).

A seguito del congresso costitutivo il Pci emanò una direttiva che avrebbeavuto conseguenze molto gravi sulle amministrazioni locali a maggioranza so-cialista e, quindi, anche sulla Lega. La posizione del nuovo partito sul tema fusostanzialmente identica a quella dei massimalisti del Psi i quali nutrirono sem-pre una sostanziale diffidenza verso le amministrazioni locali, aggravata, in que-sto caso, dalla necessità del nuovo partito di riaffermare la propria identità ri-spetto al vecchio Partito socialista con la rottura della collaborazione in qual-siasi sede.

Innanzitutto il ruolo dei consiglieri e degli amministratori comunisti era con-siderato in termini estremamente limitati: “il Partito comunista non s’illude enon vuole far credere che gli organismi dell’amministrazione locale possano mi-nimamente servire per l’esplicazione di un qualsiasi programma comunista”, laloro presenza doveva solo servire a “impedire che la classe borghese si serva di es-se per tutelare i propri interessi e rafforzare i propri privilegi”. Il dato essenzialeera l’affermazione dell’identità e dell’autonomia politica, a tutti i costi. Era sullabase di questa necessità che i comunisti, secondo la direzione, potevano rimane-re nelle giunte comunali e nelle deputazioni provinciali solo se ne avevano il con-trollo assoluto e, in tal caso, avrebbero dovuto far dimettere tutti gli assessori so-cialisti. Nell’eventualità, invece, che i comunisti non avessero avuto la maggio-ranza nelle amministrazioni avrebbero dovuto dimettersi, senza alcuno scrupolo:“Se l’applicazione della tattica suesposta porterà in molte amministrazioni a cri-si e ad impossibilità di funzionamento di questo non devono preoccuparsi i co-munisti, per i quali soprattutto necessita differenziarsi dai socialisti, che dopol’esito del Congresso di Livorno […] pensano che noi nella pratica annullere-mo quello storico avvenimento per non turbare il normale andamento dei la-vori amministrativi”.

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159 Giorgio Candeloro, Storia dell’Italia moderna, vol. VIII, La prima guerra mondiale, il do-poguerra, l’avvento del fascismo, Milano, Feltrinelli 1979, pp. 335-6.

160 Aimo, Stato e poteri locali in Italia…, cit., p. 105.

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Per quanto riguarda la Lega:“I comuni e le province comuniste, che hanno già inviato la loro adesione allaLega dei comuni socialisti, rinunciano per ora ad ogni distacco e non dichiari-no le loro dimissioni.

I comuni e le province comuniste che ancora non avessero inviato la loroadesione, sospendano per ora ogni deliberazione in proposito. È necessario pri-ma di prendere una definitiva risoluzione in proposito, attendere lo svolgi-mento ed i risultati del congresso che la Lega ha convocato per gli ultimi gior-ni del marzo prossimo a Rimini”161.

5.4. La linea intransigente contro il Psi

Il Pci, però, aveva fretta e non avrebbe aspettato il III congresso della Legaper decidere il da farsi. La necessità della contrapposizione netta con il vecchioPsi era assoluta. Per questo:“Il C.E. [Comitato Esecutivo] del Partito comunista d’Italia, esaminata la po-sizione dei comuni comunisti nei riguardi dell’imminente Congresso dei co-muni socialisti, ed i rapporti svoltisi tra quest’organismo ed i comuni comuni-sti di alcune province, che ne sono stati allontanati, riservandosi di dare ulte-riori istruzioni sull’argomento dell’assistenza e consulenza tecnico-legale ai co-muni che sono nelle mani del Partito, invita i comuni comunisti a non interve-nire al congresso di Rimini”162.

Questo richiamo avrebbe avuto riflessi rilevanti nelle province a più fortepresenza comunista, come quella torinese. In un convegno svoltosi il 9 aprile1922 a Torino, Angelo Tasca sostenne che “la conquista di oltre 2.000 comunida parte del P.S. [Partito Socialista] sia stata più dannosa che utile al proleta-riato”; Signorini fece presente “la necessità di costituire un Ufficio di consu-lenza legale per le amministrazioni rette da comunisti” e l’assemblea dette man-dato all’esecutivo federale di istituirlo163. A Milano, il 18 febbraio 1921, tre as-sessori si dimisero dalla giunta Filippetti “in seguito alla scissione comunista,cui aderirono 16 consiglieri”164.

Giunte comunali e deputazioni provinciali a maggioranza mista socialista ecomunista si spaccavano e correvano il rischio di non essere in grado di ammi-nistrare proprio quando avrebbero dovuto essere più compatte, per difendersinon solo dalla terribile violenza delle squadre fasciste ma anche dai decreti discioglimento dei prefetti. Ufficialmente, infatti, quelle giunte e quelle deputa-zioni potevano essere sciolte con una giustificazione oggettiva, perché non era-

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161 Tattica dei comunisti nelle amministrazioni locali, in Partito comunista d’Italia, Manifestied altri documenti politici (21 gennaio – 31 dicembre 1921), Libreria editrice del P.C. d’Italia,Roma (s.d.); Milano, Feltrinelli reprint, 1966, pp. 30-3.

162 Ivi, pp. 39-40; il corsivo è redazionale.163 Il convegno dei rappresentanti comunisti delle amministrazioni comunali e provinciale di To-

rino, “Il comune moderno”, apr. 1922, pp. 127-8.164 Punzo, La giunta Caldara…, cit., p. 352.

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no in grado di amministrare, coprendo così agevolmente la vera motivazione:assecondare la violenza squadrista.

La Lega iniziò ad indebolirsi al proprio interno proprio quando era più for-te una delle ragioni fondamentali per la quale era nata: la necessità del suo in-tervento in difesa delle amministrazioni locali socialiste. Lo aveva scritto Amil-care Locatelli prima del congresso del Psi del 1921:“I lavoratori che in uno sforzo meraviglioso di compattezza hanno conquistatiquasi tremila comuni e venticinque province non vogliono scissioni. La scis-sione per essi è un’eresia. […] la grande maggioranza dei comuni d’Italia vuolel’unità del partito perché non siano dispersi in pochi giorni , i frutti fecondi chenella battaglia elettorale ultima abbiano raccolti”165.

5.5. Il terzo ed ultimo congresso della Lega dei comuni socialisti

A meno di tre mesi dall’appuntamento di Livorno, dal 3 al 6 aprile 1921 sisvolse a Rimini il III ed ultimo congresso della Lega dei comuni socialisti.

In occasione dell’apertura del congresso l’”Avanti!” pubblicò in seconda pa-gina un articolo firmato Gema, pseudonimo di Giacomo Matteotti. Il deputa-to riformista sottolineava il valore della concretezza dei congressi degli ammi-nistratori, rispetto alle “discussioni epiche o dei discorsi emozionanti a lungometraggio” di altri consessi; ricordava la difficilissima situazione delle finanzecomunali dopo gli anni della guerra e la necessità di non coprire i debiti del bi-lancio ordinario con prestiti; denunciava la violenza fascista contro gli enti lo-cali e proclamava la necessità di resistere:“La violenza che insanguina le vie d’Italia ha preso come bersaglio favorito leamministrazioni comunali socialiste, dimostrando ancora una volta, se ce n’erabisogno, che non tanto gli eccessi violenti di alcuni socialisti, si vogliono ritor-cere, quanto più distruggere l’opera costruttiva ed evolutiva del socialismo, chelede l’interesse privato e capitalistico […] se abbandoniamo la nostra opera, lavittoria avversaria è completa, il terrorismo diviene l’arma normale di lotta po-litica, la nazione regredisce a condizioni politiche ed economiche incredibili”166.

Zanardi, nella sua veste di deputato, iniziò la relazione salutando, innanzi-tutto, i compagni sindaci e amministratori vittime dei fascisti, per primo il sin-daco di Ferrara, Bogiankino, “in carcere per un reato che non ha commesso” ericordò che “solo per divergenze politiche si [erano] perduti due grossi comu-ni: Firenze e Torino”. Il “sindaco del pane” annunciò l’adesione alla Lega di1900 comuni ma ricordò anche che sedici province su venticinque non aveva-no ancora risposto all’appello. Il problema, però, era che quasi nessun ente lo-cale riusciva a pagare la quota per colpa della autorità tutorie, così, era il parti-to a garantire la sopravvivenza della Lega ed erano praticamente solo i riformi-sti a combattere in Parlamento per gli amministratori:

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165 Amilcare Locatelli, Nei comuni conquistati. Il pensiero sul Congresso, “Avanti!”, 16 gen.1921, p. 2.

166 Gema, Il comune conquistato al socialismo. Il nostro congresso, “Avanti!”, 3 apr. 1921, p. 2.

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“La Lega vive perché la direzione del Partito socialista ha anticipato dei fondi.I deputati del Parlamento poco hanno fatto finora per la Lega. Molto hanno la-vorato Matteotti, Casalini, Donati e qualche altro ma nel complesso il Gruppoparlamentare non ha ancora potuto esplicare un’opera molto efficace”167.

Baratono per la direzione del Psi, incitò gli amministratori alla formazionedi Leghe regionali a cui avrebbero dovuto far capo anche le organizzazioni diassistenza, gli enti per l’acquisto e la distribuzione dei viveri. Era indispensabi-le, a suo avviso, riorganizzare la Lega, il fascismo veniva visto come un ostaco-lo passeggero, utile a fortificare l’incrollabile fede nella rivoluzione finale: “Chi sa che la reazione fascista non ci abbia fatto bene! Opera di riorganizza-zione dunque, e quest’opera si può fare soprattutto nei comuni. Per prepararela rivoluzione alle volte può valere il parlare, ma alle volte vale di più il tacere eil fare (Applausi calorosi)”168.

L’assemblea discusse poi sul tema Per l’autonomia, intervennero Filippetti,nuovo sindaco socialista di Milano, poi Casalini. Anche Matteotti, nelle con-clusioni, sottolineò il possibile effetto positivo che avrebbe potuto avere la bu-fera fascista che, schiantando i rami secchi, avrebbe fortificato la pianta del so-cialismo169. Nemmeno lui, in quei giorni, sembrava aver avvertito il pericolomortale costituito dal fascismo.

Fu poi la volta della discussione su Abitazioni affitti e case popolari, argo-mento per il quale era relatore Alessandro Schiavi, presidente dell’Istituto perle case popolari di Milano, ex collaboratore del sindaco Caldara170.

5.5.1. La questione dei tributi locali posta da Matteotti

Nella giornata del 4 aprile gli amministratori dibatterono de I tributi locali. Irelatori furono Menotti Luppi e Matteotti, il quale, tra l’altro - ribadendo il con-cetto espresso nell’articolo pubblicato nell’”Avanti!” - sottolineò l’importanza dinon finanziare con mutui la spesa ordinaria dei comuni. Dichiarò, quindi, di es-sere contrario alla suddivisione netta delle risorse finanziarie tra Stato e comuniconcedendo al primo le imposte sulle persone, ed ai secondi quelle sugli immo-bili. I comuni, sottolineò Matteotti “debbono vivere con tutta la ricchezza pri-vata e non con una sola parte di essa”. Il suo progetto prevedeva per i comunidue imposte, mobiliare ed immobiliare, ed una terza, la tassa di famiglia, che le“riassuma per ogni famiglia progressivamente […] bisogna tassare indipenden-temente dallo Stato con un sistema che non colpisca il produttore ma l’inter-mediario” e, infine, l’abolizione del dazio consumo. Al termine della discussio-ne venne annunciato all’assemblea che i comuni rappresentati erano 700171. Se-

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167 Magnifica affermazione del comune socialista a Rimini. La prima giornata. L’opera svoltadalla Lega, “Avanti!” 5 apr. 1921, p.1.

168 La prima giornata. Il discorso Baratono per la direzione del Partito, “Avanti!” 5 apr. 1921, p.1169 La prima giornata. Per l’autonomia, “Avanti!” 5 apr. 1921, p.1170 La prima giornata. Abitazioni affitti e case popolari, “Avanti!” 5 apr. 1921, p.1171 La seconda giornata. I tributi locali, “Avanti!” 5 apr. 1921, p.1

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guì la discussione sul progetto de La banca socialista per i comuni, argomentodel quale era relatore Baratono172.

Alla fine della giornata l’assemblea congressuale affrontò il tema del rappor-to con lo Stato, durante la quale passò l’idea, sostenuta dai riformisti e dal se-gretario del Psi, Giovanni Bacci, anche alla luce della scissione comunista di Li-vorno, di non opporsi frontalmente allo Stato, dimettendosi in massa, comepure era stato proposto, ma di resistere alla testa delle amministrazioni173.

I lavori del 5 aprile iniziarono con la discussione del Problema scolastico, a cuiseguì quella sui rapporti tra comuni, province ed i loro dipendenti. In partico-lare, rispetto a questo argomento, è da ricordare la proposta dell’assemblea checonsiderò la questione della semplificazione della burocrazia non come una scel-ta del vertice politico, ma inquadrandola nei rapporti tra amministrazione e di-pendenti, coinvolgendo quindi i lavoratori nello sforzo della riforma della pub-blica amministrazione locale in vista del miglioramento dei servizi ai cittadini:“ritiene infine che la Lega dei comuni debba curare la semplificazione dei ser-vizi, per la speditezza dei medesimi e risanamento della burocrazia, stato civile,liste elettorali, contabilità, anagrafe, ecc. ciò che possa condurre alla elimina-zione di circa la metà del personale con maggiore speditezza dei servizi stessi”174.

E fu guardando all’efficienza del servizio offerto ai cittadini che il 6 aprile,il congresso, relativamente ai cambiamenti di circoscrizione territoriale dei co-muni, approvò una mozione nella quale si chiese ai municipi, sostanzialmente,di riflettere prima di chiedere la modifica dei rispettivi confini:“reputando massimamente utile la riunione in Consorzi sia in generale che perparticolari scopi e servigi, invita i Comuni e frazioni che richiedono mutamentidi circoscrizione, a soprassedere in questo periodo di tempo e quindi a sotto-porre la questione alla Lega dei Comuni”.

Da ricordare, sempre nel quadro dei lavori, la riunione dei delegati delle am-ministrazioni provinciali presieduta dall’avv. Levi, presidente della deputazione diMilano, nel corso della quale venne approvata la “costituzione di una sezione in-dipendente per le Province della Lega dei comuni con segretario speciale”. Infine:“Quanto ai rapporti con le altre province non socialiste, si accetta la propostaMatteotti di intervenire nelle riunioni singole che trattino interessi generali,sentita la Lega dei Comuni. Non si potrà aderire all’Unione delle Province cheha un fine, come lo dimostra l’ordine del giorno approvato all’ultimo congres-so essenzialmente politico”.

Diversamente da quello che avevano cercato di fare con l’Anci, i riformistinon solo promuovevano un’autonoma organizzazione di amministrazioni so-cialiste ma chiedevano anche l’uscita dall’Upi. Probabilmente, visto il ben di-

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172 La seconda giornata. Il finanziamento per i comuni. La banca socialista, “Avanti!” 5 apr.1921, p. 1.

173 Il Comune socialista di fronte allo Stato borghese. La seduta notturna del 4, “Avanti!”, 6 apr.1921, p. 1.

174 I lavori della terza giornata. Il problema scolastico. Rapporti tra enti locali e loro dipenden-ti, “Avanti!”, 6 apr. 1921, p. 1; Il congresso dei comuni socialisti termina i lavori. La seduta not-turna del cinque, “Avanti!”, 7 apr. 1921, p. 2.

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verso peso dell’associazione delle province rispetto a quella dei comuni, l’ab-bandono delle giunte vicine al Psi avrebbe privato l’Upi di gran parte della pro-pria forza e, quindi, politicamente, non vi sarebbe stato alcun vantaggio nelladoppia militanza, che sarebbe stata invece molto utile nell’Anci, per continua-re ad influenzare le decisioni di un’organizzazione che, anche dopo la spacca-tura, era rimasta viva e vitale.

Nel corso dell’ultima giornata dei lavori vennero approvate diverse altre mo-zioni, sulle casse di risparmio, sulla politica sanitaria, una di queste era intito-lata Tutti al loro posto, approvata all’unanimità, nella quale:“Il Congresso invia l’espressione della propria solidarietà e della propria simpa-tia a tutti i compagni delle Amministrazioni colpite dalla violenza di gruppi odi minoranze faziose armate dal capitalismo più retrivo e incivile. Si astiene daogni illusoria denuncia e protesta presso gli organi governativi […] ed invita icompagni a restare ad ogni costo al loro posto, esempio di fortezza e di rico-struzione per l’immancabile domani nell’ideale socialista”175.

5.5.2. La reazione degli agrari

Ma la “solidarietà” e la “simpatia” non erano sufficienti a difendere “i com-pagni” dalla violenza fascista. Forse era “illusoria” qualsiasi “denuncia e prote-sta presso gli organi governativi”, ma Giacomo Matteotti denunciò e protestòcomunque, e con grande forza, come fece alla Camera dei Deputati il 27 luglio1921, nonostante le interruzioni ed il dileggio dei deputati fascisti. Matteottidenunciò la violenza delle squadre fasciste che picchiavano e uccidevano gliamministratori socialisti al pari di quella dello Stato che ne approfittava persciogliere i consigli comunali che avevano espresso quelle amministrazioni. Do-po aver fatto un lungo e particolareggiato resoconto delle terribili violenze cuierano stati oggetto i comuni socialisti il deputato indicò apertamente i man-danti e la vera ragione delle violenze contro le amministrazioni del Psi, gli agra-ri e la loro volontà di non pagare e tasse:“Lo scioglimento dei consigli comunali è avvenuto senza che si parlasse di que-ste violenze, e voi vi attaccate ai discorsi-programma pronunziati da alcuni deicomponenti dei Consigli! Ora, io domando, onorevole Teso, se risulta a caricodi nessuno di quei consigli comunali alcuna illegalità vera e propria, e voluta-mente da noi preparata.

È vano ricorrere a qualche parola più o meno accesa di qualcuno di partenostra, quando quelle amministrazioni effettivamente camminavano secondouna linea precisa nella quale non vi era posto per l’illegalità […] La maggio-ranza socialista del comune di Rovigo offerse (e qui vi è qualche deputato cheme ne può fare testimonianza) i garofani bianchi ai consiglieri di minoranza.Questi sono i costumi civili della nostra provincia.

Le indennità [agli amministratori, contestate dai deputati fascisti] eranoquelle, e anzi inferiori, a quelle del progetto votato in Parlamento. E i sussi-

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175 L’ultima giornata, “Avanti!”, 7 apr. 1922.

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di stessi consentiti dall’onorevole Giolitti per circolare ai prefetti. In veritàc’erano solamente le tasse! E quello fu l’argomento che ha scatenato la vio-lenza degli agrari. I nostri consigli comunali non si adattavano a seguire la po-litica balorda del governo che fa debiti per pagare le spese ordinarie, ma io hoinsegnato ai miei comuni a pagare le spese ordinarie con le ordinarie entra-te”176.

Ecco quello che aveva scatenato la violenza contro le giunte comunali so-cialiste, non la paura del mito della rivoluzione proletaria, ma la concreta pra-tica amministrativa – propagandata nei congressi ed insegnata in particolare daMatteotti – che prevedeva il pagamento delle spese ordinarie con le entrate or-dinarie garantite da tasse ed imposte a carico delle classi agiate. Le spese ordi-narie, come aveva scritto ne l’Avanti!, non dovevano essere pagate con prestitiche tra l’altro, era molto difficile reperire, perché: “ai Comuni beniamini si con-tinuano le concessioni di prestiti. Ma tutte le Casse, e specialmente le locali, sichiudono inesorabilmente ai Comuni socialisti”177.

5.5.3. I sindaci socialisti “finanziano” i propri comuni: l’esempio di Zanardie Matteotti

E che cosa significasse non avere risorse per sindaci e amministratori socia-listi lo sapevano bene uomini come Matteotti e Zanardi. Alla fine del 1914,nell’avviare l’iniziativa che, successivamente, avrebbe dato vita agli Enti comu-nali di consumo, il sindaco di Bologna, il “sindaco del pane”, decise di apriredegli spacci municipali dove vendere generi alimentari, combustibili per usodomestico e tessuti a basso prezzo per la popolazione più povera, i “negozi Za-nardi”. Per aprirli il sindaco sotto la sua personale responsabilità, “aveva usatosoldi del Comune per finanziare un’iniziativa che aveva un preciso carattere pri-vato. In quell’operazione Zanardi rischiò tutto: la sua onorabilità e anche la suaflorida azienda farmaceutica. Egli sapeva che se i suoi ‘negozi’ avessero fatto fal-limento avrebbe dovuto ritirasi a vita privata dopo avere pagato di persona idanni provocati alla municipalità”178.

Matteotti, nella sua attività di sindaco e di amministratore in alcuni comu-ni del Polesine “colpiva la ricchezza e aiutava di tasca propria i comuni”. Nelgennaio del 1913 prestava senza interessi, come sindaco, 12.000 lire al comu-ne di Villamarzana, somma che doveva essere restituita in 4 rate da 3.000 lire;nel 1914, come assessore, si dichiarava pronto ad assumere su di sé la spesa di900 lire per istituire una scuola nel comune di Fratta Polesine179.

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176 Atti della Camera. Discussioni, tornata del 27 lug. 1921, pp. 746-7.177 Gema, Il comune conquistato al socialismo…., cit.178 Onofri, La grande guerra nella città rossa..., cit., p. 158.179 Fondazione Pietro Nenni, Giacomo Matteotti, Ricerca documentaria di Gianna Granati,

Città di Castello, 2005, pp. 157-8.

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5.6. Il XIX Congresso nazionale del Psi, l’espulsione dei riformisti e la finedella Lega

Dal 1° al 4 ottobre 1922 si svolse a Roma il XIX Congresso nazionale delPsi. La sera del 3 ottobre, con una maggioranza di circa 3.000 voti (32.106 con-tro 29.119) la mozione dei massimalisti prevalse su quella degli unitari, votatadai riformisti i quali, di conseguenza, vennero espulsi dal partito180. Il pome-riggio seguente, il 4 ottobre, il congresso approvò, a grande maggioranza, unordine del giorno sul tema “Comuni e amministrazioni locali” nel quale erascritto:“Le amministrazioni ancora tenute dai socialisti in comunione con elementi rifor-misti devono dimettersi. Alla direzione del Partito è riservato di decidere il con-trario circa particolari eccezioni”181.

Quella stessa mattina, i riformisti capeggiati da Filippo Turati, fondarono ilPartito socialista unitario, tra gli aderenti vi erano due tra i massimi esponentidella Lega Matteotti e Caldara; la loro presa di posizione rispetto agli enti lo-cali era diversa: bisognava sostenere le amministrazioni locali socialiste. Sinda-ci ed assessori socialisti dovevano essere aiutati a rimanere al loro posto, comeaveva deliberato la Lega l’anno precedente. Sul tema “Comuni e province” par-larono, tra gli altri, Zanardi e Matteotti e venne approvato l’ordine del giornoproposto da Modigliani:“La Costituente, nell’intesa che il prossimo congresso del Partito socialista ita-liano unitario prenda più precise direttive in ordine alla conquista ed alla ge-stione delle amministrazioni locali, non ravvisa nella scissione una ragione diper sé sufficiente ad indurre i compagni a dimettersi dalle amministrazioni lo-cali, ed in ordine alle prossime elezioni amministrative, demanda ogni decisio-ne alle Federazioni provinciali, fermo il diritto della Direzione a mettere il pro-prio veto a manifestazioni incompatibili con le direttive del partito”182.

5.6.1. Lo scioglimento della Lega

Mentre i riformisti ribadirono il loro sostegno alle giunte socialiste i massi-malisti del Psi decisero esattamente il contrario. La direzione del partito riuni-tasi il 6 ottobre, dopo la fine del congresso, “presenti i compagni: Buffoni, Cor-si, Fioritto, Garruccio, Lo Sardo, Marzi, Ribaldi, Serrati, Valeri per la Federa-zione giovanile socialista”, votò, tra le altre, le seguenti decisioni:“Lega dei comuni socialistiLa direzione delibera di dichiarare sciolta la Lega dei comuni socialisti e costi-tuire presso la sua sede un ufficio di assistenza e consulenza amministrativa.

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180 Le due mozioni in votazione, “Avanti!”, 4 ott. 1922, p. 2; sul congresso cfr. Franco Pedo-ne (a cura di), Il Partito socialista italiano nei suoi congressi. Volume III, 1917-1926, Milano, Edi-zioni Avanti!, 1963, pp. 238-246.

181 Le amministrazioni locali, “Avanti!”, 5 ott. 1922, pp.1-2.182 Il congresso dei social-democratici, “Avanti!”, 5 ott. 1922, p. 2

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Le elezioni amministrativeLa direzione del Partito socialista italiano, in ordine alla questione delle elezio-ni amministrative ora indette in molte province, riafferma il dovere dei sociali-sti di partecipare alla lotta elettorale per la conquista degli Enti locali.Le modalità per la partecipazione saranno determinate volta per volta dalla Di-rezione, secondo le condizioni del luogo e della lotta”183.

Il successivo congresso, il XX, che si svolse a Milano dal 15 al 17 aprile1923, si concentrò soprattutto sui rapporti con la III Internazionale e sul futu-ro del partito, che si decise di mantenere in vita nonostante l’Internazionalespingesse alla fusione con il Pci. Per quanto riguarda le amministrazioni locali,la mozione del comitato di difesa socialista che era stata approvata dal Con-gresso (5.361 voti contro 3.968) non le citava nemmeno184. Il “programma mi-nimo” che aveva permesso la fioritura delle amministrazioni locali socialiste erastato dimenticato dal Psi proprio mentre le squadre fasciste stavano compien-do la loro opera distruttiva nei confronti di comuni e province socialiste.

I comunisti avevano lasciato la Lega nel 1921 per aprire propri uffici di con-sulenza perché erano convinti che i propri aderenti fossero troppo pochi perpoter influenzare l’organizzazione. Il Psi, forte della propria maggioranza al-l’interno del movimento socialista, decise di chiudere la Lega dopo la scissioneriformista, quasi certamente, perché la ritenne un’organizzazione controllata daaderenti al Partito socialista unitario e volle togliere, così, uno strumento cheriteneva potesse essere utilizzato dai rivali.

Così Ragionieri commenta la situazione del movimento socialista in queglianni:“Mentre dalla base operaia e popolare saliva una forte spinta unitaria e si espri-meva una decisa e disperata volontà di lotta contro il fascismo, i partiti e gli or-ganismi costituiti del movimento operaio italiano non seppero raccogliere que-ste indicazioni e con la loro condotta contribuirono a indebolire la capacità diresistenza popolare, facilitando la vittoria fascista”185.

L’Anci non mancò l’occasione di sottolineare il legame tra il Psi e la Lega, acui addebitò la fine dell’organizzazione dei comuni:

“Lo scioglimento della Lega dei comuni socialisti, che giunge a pochi gior-ni di distanza del Congresso di Roma, dove la scissione del partito fu solenne-mente proclamata, è un fatto che merita speciale rilievo, perché conferma an-cora una volta l’errore commesso dal partito socialista quando – in un mo-mento in cui il socialismo sembrava arbitro dei destini d’Italia – esso preteseche le Amministrazioni rosse ritirassero la propria adesione all’Associazione deiComuni Italiani e affidassero la difesa degli interessi municipali ad una orga-nizzazione di partito.

La necessità in cui il partito socialista si è trovato di sciogliere la Lega difronte alla scissione della sua compagine, dimostra chiaramente come soltanto

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183 Riunioni della direzione del Partito, “Avanti!”, 7 ott. 1922, p.1; il corsivo è redazionale.184 Pedone (a cura di), Il Partito socialista italiano nei suoi congressi. Volume III, cit., pp. 259-277.185 Ernesto Ragionieri, La storia politica e sociale, in Storia d’Italia, IV, t. 3, Dall’Unità a og-

gi, Torino, Einaudi, 1976, pp. 2116-7.

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una organizzazione apolitica possa far opera di efficace tutela di fronte alle al-terne vicende dei partiti”186.

Nell’ultimo numero de “Il Comune moderno. Rivista degli enti locali. Or-gano della Lega dei Comuni Socialisti”, stampato a Torino e datato ottobre-dicembre 1922, il direttore, Casalini, annunciò la cessazione delle pubblica-zioni della rivista. Ufficialmente la chiusura era dovuta alle cattive condizionidi salute del direttore, tra le righe, invece, si poteva leggere una chiara denun-cia della violenza fascista: “meglio non scrivere che dare alla penna una flessi-bilità ripugnante”187. Nessun accenno, invece, alla decisione del Psi di chiude-re la Lega, forse perché sarebbe stato troppo doloroso ricordare che lo stessopartito che aveva dato vita alla Lega, anche per proteggere e difendere i co-muni socialisti, decise di chiuderla quando più forte sarebbe stata la sua ne-cessità.

Rovesciando sui massimalisti l’accusa che nel 1953 Ragionieri riferiva ai so-cialdemocratici dell’Italia liberale, è possibile affermare che con la chiusura del-la Lega si manifestava palesemente la sottovalutazione, costante in tutto il mas-simalismo italiano, del problema del comune e della conquista del comune daparte della classe operaia188. Non riconoscere comuni e province come pilastrodella democrazia dell’Italia del primo dopoguerra fu un errore gravissimo daparte dei massimalisti. Scrive Aimo:“Come è avvenuto per il municipalismo di marca cattolica, la crisi del model-lo giolittiano e i travagli del primo dopoguerra condurranno ad un declino delsocialismo municipale, che subirà pure gli effetti negativi della rinnovata e an-cor più lacerante, contrapposizione, nel movimento operaio, fra le correnti ri-formatrici e quelle massimalistiche. Di queste divisioni approfitterà il nascente fa-scismo, che utilizzerà lo squadrismo e la violenza per colpire e sradicare le ammi-nistrazioni locali in mano alle Sinistre(e ai popolari)”189.

5.6.2. Un bilancio della “rinascita comunale”

Si chiudeva con il fascismo un periodo iniziato nel 1901, un periodo digrande speranza, e non solo per le autonomie locali, definito da Aimo della “ri-nascita comunale”:“Risale appunto a questo periodo (ottobre 1901) la fondazione dell’Associazio-ne dei Comuni italiani, che rannoda, dunque, tante periferie disperse, ne assu-me, per così dire, la rappresentanza “sindacale” e diventa un interlocutore peril potere statale. Luogo di incontro e di elaborazione di strategie unitarie tantopiù rilevante se si tiene conto che in esso confluiscono i delegati di forze poli-

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186 Il comune e i partiti politici, AC, n. 5, nov. 1920, p. 1.187 g.c. (Giulio Casalini), Commiato, Icm, , ott.-nov.-dic., 1922, p. 273.188 La frase originaria di Ragionieri è: “si manifestava palesemente la sottovalutazione, costan-

te in tutta la socialdemocrazia italiana, del problema dello stato e della conquista dello stato da par-te della classe operaia”, Ragionieri, Sesto Fiorentino..., cit., pp. 110-1; il corsivo è redazionale.

189 Aimo, Stato e poteri locali in Italia…, cit. pp. 90-1.

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tiche antagonistiche che non riusciranno, sul piano propriamente politico-par-lamentare, a trovare momenti di accordo stabili e significativi”.

Una stagione che non solo non si era interrotta con la nascita della Lega ma cheproprio con la nascita della Lega aveva avuto un ulteriore impulso, una ulterioresollecitazione progettuale, come avevano dimostrato, ad esempio, l’attività del co-mune di Bologna e le proposte discusse nei congressi della Lega. Aimo sottolineain senso sfavorevole il fatto che “l’affiliazione partitica toccherà, certamente, anchequeste forme di aggregazione volontaria e spontanea [il riferimento è all’Anci] (sipensi ad esempio alla Lega dei Comuni socialisti, del 1916) ma l’elemento conso-ciativo e collaborativo sarà comunque prevalente”190. Di per sé la costituzione del-la Lega non deve essere considerato un fatto negativo, solo per il fatto che l’orga-nizzazione, diversamente, dall’Anci, fosse legata ad un partito. Proprio perché le-gata ad un partito con una lunga storia di attenzione verso gli enti locali, con unaforte identità ed un altrettanto forte senso di appartenenza come il Psi, infatti, laLega fu in grado di attrarre e di coinvolgere in un’azione collettiva amministrazio-ni locali che non avrebbero accettato di far parte di alcun altra associazione. Se nonl’avessero ostacolata le fortissime divisioni interne, che corrispondevano a quelleesistenti nello stesso Psi, la Lega sarebbe stata in condizione di mobilitare le orga-nizzazioni del movimento dei lavoratori ed il forte gruppo parlamentare socialistacome quasi certamente mai sarebbe stato in grado di fare l’Anci, né rispetto ai sin-dacati, né rispetto ai propri parlamentari di riferimento.

Nella visione dei riformisti la Lega non prevedeva l’incompatibilità con l’a-desione all’Anci e anche quando su decisione dell’assemblea costitutiva del 1916– ed il contributo determinante di Lazzari – l’incompatibilità venne infine sta-bilita, la dirigenza riformista dell’organizzazione si mosse, nei fatti, in coordina-mento con l’Associazione dei comuni. Pur separata dall’Anci la Lega era prota-gonista del movimento per le autonomie locali, andandone ad occupare quellapuò essere definita l’ala sinistra, accanto all’Associazione dei comuni di Sturzo,al centro, ed all’ala destra, dove poteva essere collocata la meno forte Upi.

Grazie anche al prestigio di uomini come Caldara la Lega non venne trasci-nata in operazioni velleitarie come quelle adombrate dalle circolari Lazzari del1917, garantendo così alle amministrazioni locali socialiste una rete di comuni-cazione e di contatti sulla base della quale promuovere iniziative a vantaggio deicomuni non solo di tipo politico-istituzionale, come quelle svolte in Parlamen-to, ma anche dirette a sviluppare attività a beneficio dei cittadini come, ad esem-pio, quella che dette vita nel 1917 alla Federazione degli enti comunali di con-sumo191.

5.7. La fine dell’Anci e dell’Upi

Se la fine della Lega fu causata dalla miopia dei dirigenti del Psi quella del-l’Anci si verificò, nei termini che verranno descritti, per la debolezza della diri-

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190 Aimo, Stato e poteri locali in Italia…, cit. p. 83.191 Malatesta, I socialisti italiani durante la guerra..., cit., p. 155-6.

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genza liberale e cattolica che lasciò ai fascisti la libertà di decidere i termini del-la fine dell’Associazione.

Dalla seconda metà del 1923 gli uomini in camicia nera entrarono nell’An-ci sostituendo gli amministratori democratici come Luigi Sturzo, rimasto nel-l’Associazione anche dopo la fondazione del Partito popolare italiano nel 1919.I più famosi tra i nuovi dirigenti furono Roberto Farinacci e Cesare Rossi, con-siglieri comunali rispettivamente a Cremona e a Milano192. Rossi poi, nell’otto-bre del 1923, divenne vicepresidente dell’organizzazione insieme ad un altro fa-scista Giuseppe Puca, sindaco di Castellamare Adriatico193, in sostituzione diSturzo e Fortunato Buzzi194, decaduti perché non rieletti nei rispetti consigli co-munali. In quegli stessi giorni, l’8 ottobre 1923, il presidente del consiglio Be-nito Mussolini incontrava la direzione dell’Anci195.

Qualche mese dopo, nel febbraio del 1924, la vecchia Anci e l’organizzazione fa-scista degli enti locali, la Confederazione nazionale degli enti autarchici (Cnea), co-stituita appena l’anno precedente196, stabilirono un “Patto d’intesa”197. Circa un an-no più tardi però, il “Patto”, secondo le affermazioni della dirigenza dell’Anci, ven-ne “improvvisamente denunciato” dall’organizzazione fascista198. Per la Cnea, era“tramontata ogni possibilità d’intesa fra la Confederazione Nazionale degli Enti Au-tarchici e l’Associazione dei Comuni Italiani”199. Il 5 gennaio 1926 il consiglio di-rettivo dell’Associazione annunciava che nella precedente riunione del 15 dicembre:

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192 A questo proposito il consiglio direttivo dell’Anci aveva rilevato, fin dal dicembre del1922, “come fosse avvenuta una rinnovazione di molte amministrazioni comunali e come nuo-ve correnti politiche si fossero inserite nel ritmo della vita comunale italiana”; Integrazione delConsiglio direttivo dell’Associazione dei comuni, AC, n. 9, set. 1923, p. 1.

193 Riunione del Consiglio direttivo dell’Associazione dei Comuni Italiani, AC, n. 10, ott.1923, p. 2.

194 Sturzo, Buzzi e Dario Franco, erano stati nominati vicepresidenti a seguito del congres-so del XVI congresso dell’Anci svoltosi a Parma nel novembre 1921, Il XIV Congresso naziona-le dei comuni, AC, lug. 1922, p. 2. Dario Franco rimase in carica anche negli anni successivi, afianco dei due vicepresidenti fascisti.

195 Importanti dichiarazioni di S.E. Mussolini ai rappresentanti dell’Associazione dei ComuniItaliani, AC, n. 10, ott. 1923, p. 1.

196 Fu il fascista ferrarese Giuseppe Ghedini, ragioniere del Ministero dell’interno, ad idea-re nel 1922, nella provincia di Ferrara, una Federazione provinciale dei comuni fascisti di cuidivenne segretario. Sul modello di quella Federazione, sempre a Ferrara, l’anno seguente vennecostituita la Cnea, di cui Ghedini sarebbe stato segretario fino al febbraio 1926, data della suamorte. Nel dicembre del 1924 il Gran Consiglio del fascismo ed il direttorio del PNF dichia-rarono la Confederazione “organo ufficiale del Partito Nazionale Fascista”; Giuseppe Ghedini,Rdp feb. 1926, pp. 34-5. L’organo cambiò la propria denominazione da Confederazione na-zionale in Confederazione generale a partire dal novembre del 1926; Confederazione generaledegli enti autarchici, Federazione nazionale delle provincie, Rdp nov.-dic. 1926, pp 309-313.

197 Un patto d’intesa fra l’Associazione dei comuni e la Confederazione fra le federazioni pro-vinciali degli enti autarchici locali, AC, feb. 1924.

198 Associazione dei comuni italiani, Relazione morale e finanziaria. Novembre 1921-dicembre1925 (approvata dal Consiglio direttivo nella seduta del 15 dicembre 1925), Roma, 1925, p. 7.

199 ArSCPr, Anno 1925, Amministrazione comunale 1, fasc. Amministrazione comunale.Abbonamenti. Anno 1925, Confederazione Nazionale degli Enti Autarchici, Federazione provin-ciale di Parma; Oggetto: Rapporti fra la Confederazione Enti Autarchici e l’Associazione dei Co-muni Italiani, s.d., (febbraio 1925).

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“per evitare una dispersione di energie, [decise di] addivenire alla fusione delledue organizzazioni previa revoca della qualità di Ente morale, riconosciuta al-l’Associazione […] In dipendenza di tale deliberato, l’Associazione dei Comu-ni Italiani ha cessato, con il 31 dicembre 1925, ogni attività ed esaurita la li-quidazione della sua gestione quale Ente, verrà successivamente fusa nella Con-federazione Nazionale degli Enti autarchici”200.

Questa, in breve, la successione degli avvenimenti che portò alla fine del-l’Associazione dei comuni.

5.7.1. L’inutile tentativo dell’Anci di ingraziarsi il fascismo. La clandestinitàistituzionale dell’Upi

Scorrendo i documenti ufficiali si ha modo di giudicare quanto ingloriosafu questa fine. Il resoconto della riunione del 15 dicembre 1925 iniziava con ilrichiamo all’inesistente merito di essersi opposta ad un – in realtà mai avvenu-to - tentativo socialista di appropriarsi dell’Associazione “che aveva vittoriosa-mente resistito nel 1916 al tentativo di conquista compiuto dai rappresentantidei Comuni socialisti, i quali tendevano a farne un organo del loro partito”.

Tradendo nella sostanza la tradizione moderata dell’Associazione e tramu-tandola in accondiscendenza verso il più forte, la direzione ricordava la propriaadesione naturale al fascismo. L’Anci, dopo avere vinto i socialisti, “veniva a tro-varsi naturalmente inserita nel nuovo movimento nazionale, pur senz’assumereatteggiamenti contrari alle precise disposizioni statutarie e senza cambiare so-stanzialmente il proprio ordinamento”. E così, sempre rispettando lo statuto,“sorta la Confederazione degli Enti Autarchici, quale organo eminentementerappresentativo di Amministrazioni locali fasciste, la Presidenza dell’Associa-zione si trovò facilmente d’accordo con i dirigenti di essa” e firmò il Patto poidenunciato dalla Cnea.

La relazione continuava ancora per molte pagine con un’interessante descri-zione dell’ampia e meritoria attività tecnico-amministrativa svolta in favore deicomuni, e si concludeva con l’annuncio da parte della dirigenza dell’Anci, in-spiegato e inspiegabile - se non con la denuncia della sopraffazione fascista -della possibilità della propria fine:“Se quindi una nuova situazione di cose, per quanto estranea alla sua azione eai fini che ha sempre perseguiti, vorrà che l’Associazione cessi di esistere, noi ac-cetteremo con rammarico questa necessità, ma anche con profondo orgoglio,con l’orgoglio che ci deriva dal fatto di consegnare ad altri una istituzione cheaveva acquistato simpatie ovunque”201.

DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE 67

200 Acs, Fondo Presidenza del consiglio dei ministri (Pcm), anno 1926, b. 909, fasc.3.18.205, Associazione dei comuni italiani, Roma, 5 gen. 1926; Oggetto: Relazione morale e fi-nanziaria – Fusione dell’Associazione dei comuni italiani con la Confederazione degli Enti Autar-chici.

201 Associazione dei comuni italiani, Relazione morale e finanziaria. Novembre 1921-dicem-bre 1925…, cit., pp. 6 e 40.

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Nella cronaca ufficiale della riunione del 15 dicembre 1925 inviata ai co-muni non v’era traccia di alcuna decisione suicida da parte della direzione, chesi era limitata ad esprimere solamente il timore della propria fine. Molto pro-babilmente la scomparsa dell’Anci era già stata decretata, ma i dirigenti spera-vano ancora nel successo delle pressioni che qualche personalità fascista del-l’Anci stava facendo sul governo e sullo stesso Mussolini, sottolineando l’utili-tà di continuare l’attività dell’organizzazione anche nel nuovo regime politi-co202. Quelle pressioni, però, furono inutili e il 5 gennaio 1926 la direzione fucostretta ad annunciare, con data retroattiva, il suicidio dell’Anci.

Della vecchia dirigenza liberale, rimasta dopo l’uscita dei cattolici, c’eranoancora il presidente Teofilo Rossi di Montelera e il vicepresidente Franco, forsetroppo poco per pensare a dichiarazioni più decise, sta di fatto che: “la vecchiae gloriosa Associazione dei comuni, con la sua rivista ‘L’Autonomia comunale’”,scrive Rotelli, “aveva abbandonato la scena […] e lo aveva fatto senza sbattere laporta consentendo, così, alla Confederazione fascista di autominarsene erede”203.

Il giudizio di Rotelli è duro ma, complessivamente, giustificato. È vero chela fine dell’Anci avvenne quasi per soffocamento, in forma lenta e progressiva,è vero che fu la natura democratica dell’organizzazione a permettere l’insedia-mento di una nuova maggioranza di amministratori affermatasi non con il vo-to ma con la violenza. L’Anci, però, tra la fine del 1920 e l’inizio del 1923avrebbe avuto il tempo per denunciare la violenza fascista contro i comuni manon lo fece - almeno a giudicare dalla pur non esaustiva documentazione dis-ponibile204 - per una malintesa moderazione politica, o forse per opportunismo.Non è improbabile, infatti, che la direzione dell’Anci almeno in un primo tem-po, avesse creduto che quella violenza sarebbe stata limitata alle amministra-zioni socialiste, quando poi fu la volta delle amministrazioni cattoliche i libe-rali pensarono che almeno loro sarebbero potuti rimanere, dopo fu troppo tar-di: nel disegno della dittatura la cancellazione dell’autonomia locale e delle li-bertà civili e politiche dei cittadini andavano di pari passo205.

Il fascismo non si accontentò della fine dell’Anci che, non a caso, svanì allavigilia dell’emanazione delle leggi che nel 1926 sostituirono i sindaci con i po-destà206, mentre quel che rimaneva dell’Upi venne fatto sparire, almeno uffi-

68 PARTE I

202 Cfr. Acs, Pcm, anno 1925, fasc. 3.18.1455, Copia della lettera dell’Associazione dei comu-ni italiani – Sezione provinciale Como – Varese – Lecco, Como 9 aprile 1925, allegata all’appun-to inviato dall’On. Conte Pier Gaetano Venino al on. conte Giacomo Suardo, Sottosegretariodi stato alla Presidenza del consiglio, Milano 13 apr. 1925.

203 Rotelli, Le trasformazioni dell’ordinamento comunale e provinciale durante il periodo fasci-sta…, cit., p. 180.

204 Non esistendo un archivio storico dell’Anci relativo al primo ‘900, si è fatto riferimentoalle pagine dell’organo ufficiale dell’organizzazione, “L’Autonomia comunale” che, dopo unnumero datato gen.-ott. 1919, riapparve nel luglio del 1922 fino al novembre 1925.

205 Sul collegamento tra la soppressione delle libertà individuali e dell’autonomia degli entilocali durante il fascismo, esiziale in particolare per le minoranze etniche e linguistiche situatein Italia, cfr. Sandro Fontana, Il fascismo e le autonomie locali, in, idem (a cura di), Il fascismo ele autonomie locali, Bologna, Il Mulino, 1973, pp. 9-19.

206 Le leggi 4 feb. 1926, n. 237 e 3 set. 1926, n. 1910, diedero vita ai podestà, la prima neicomuni fino a 5.000 abitanti, la seconda in tutti gli altri.

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cialmente, alla fine del 1928207 proprio nei giorni in cui i presidenti delle de-putazioni provinciali vennero cambiati con i presidi208, sia gli uni che gli altri dinomina governativa. Sempre nel 1928, infatti, scomparve anche la Confedera-zione degli enti autarchici, pur essendo questa una “‘creazione eminentementefascista’ [che] si collocava in modo organico all’interno del Partito e del regimee professava un’adesione assoluta alla ideologia ufficiale”. Rotelli evidenzia ilfatto che la Confederazione “costituì un elemento dialettico di un certo rilie-vo”209 all’interno del regime, ma, evidentemente, non fu certo questo a contri-buire alla sua sopravvivenza.

Il fascismo dopo aver cancellato l’Anci ed aver annullato l’autonomia dicomuni e province decise di far scomparire qualsiasi tipo di organizzazione dienti locali. Il governo nazista della Germania, invece, negli stessi anni, nonchiuse ma ristrutturò a proprio piacimento le associazioni comunali naziona-li, anche per rilanciare la loro presenza nel panorama europeo ed internazio-nale come strumenti della propaganda nazista. Mentre la tradizionale auto-nomia dei comuni della Germania veniva rispettata, almeno formalmente, an-che negli anni del Terzo Reich, il tradizionale centralismo dell’Italia aveva mo-do di affermarsi pienamente attraverso la dittatura fascista, sopprimendo an-che la minima parvenza di autonomia locale. Fu in Spagna, sempre tra le dueguerre mondiali, che la tradizione di centralismo politico-istituzionale ebbemodo di manifestarsi in modo simile a quello italiano. Nella penisola iberica,infatti, il dittatore Francisco Franco, nel 1939, uscito vittorioso dalla guerracivile, soppresse l’organizzazione dei comuni spagnoli, l’Unión de MunicipiosEspañoles210.Per quanto riguarda l’organizzazione delle province, nel 1926 l’Upi divenne se-zione della Confederazione nazionale degli enti autarchici, nel 1927 Federazio-ne nazionale delle province, dal 1929 la Confederazione fascista venne sop-pressa e, con essa, anche la Federazione. Di fatto, però, l’organizzazione delleprovince continuò ad esistere e proseguì la propria attività fino al 1943 in unasorta di clandestinità istituzionale, camuffandosi come “comitato di direzione”del mensile “Rivista delle provincie”, già organo ufficiale dell’Upi, diretto daPietro Gilardoni211.

DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE 69

207 L’informazione sulla fine dell’organizzazione fascista è ricavata da una frase del presiden-te, Maurizio Maraviglia, nell’introduzione di un volume, dove scrive di “cessazione della Con-federazione”, (Partito nazionale fascista, Confederazione generale degli enti autarchici, Annua-rio statistico delle città italiane. Anno VII, Roma, 1929, p. III).

208 Con la legge 27 dic. 1928, n. 2962.209 Rotelli, Le trasformazioni dell’ordinamento comunale e provinciale durante il periodo fasci-

sta…, cit., p. 180.210 Joan-Anton Sánchez de Juan, Il movimento di riforma municipale in Spagna e i rapporti

con le reti intermunicipali europee (1900-1936), in Patrizia Dogliani e Oscar Gaspari (a cura di),L’Europa dei comuni. Origini e sviluppo del movimento comunale europeo dalla fine dell’Ottocen-to al secondo dopoguerra, Roma, Donzelli, 2003, pp. 123-148.

211 Pietro Gilardoni era figlio di Annibale, deputato popolare aventiniano, giornalista de “IlPopolo”, collaboratore di Sturzo, allontanato dalla segreteria dell’Upi nel 1924 su esplicita ri-chiesta del Ministro delle finanze Alberto De Stefani Gaspari, L’Italia delle Province…, cit., pp.78-88; 104-113.

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Nulla meglio di questa vicenda evidenzia la forza del movimento per le au-tonomie locali nella storia politico-istituzionale italiana, che riuscì in qualchemodo a conservare una sia pur flebile continuità persino negli anni della ditta-tura fascista.

5.8. Dalla questione comunale alla questione urbanistica, e la sconfitta deitecnici municipali

Il fascismo e la fine della democrazia, privarono il movimento per le auto-nomie locali delle proprie organizzazioni e della possibilità di un’elaborazionepolitico-istituzionale, ma alcuni singoli tecnici, appartenenti alla parte più for-te ed attiva del movimento, quello comunale, continuarono a sviluppare pro-poste di tipo scientifico e contribuirono a costituire una nuova e diversa orga-nizzazione nell’ambito della quale operare autonomamente. La fondazione del-l’Istituto nazionale di urbanistica (Inu) nel 1930, ad un lustro dalla fine del-l’Anci, sancì il passaggio dalla questione comunale alla questione urbanistica. Det-to in termini molto sintetici, durante il fascismo si definì il passaggio da unaconcezione politica complessiva della gestione del governo locale, che com-prendeva anche quella del territorio, ad un’altra di tipo tecnico-scientifico chesi occupava soprattutto, se non solo, della costruzione della città. Il collega-mento tra l’esperienza dell’Anci – e dell’Usci, per quanto riguarda la statistica -e quella dell’Inu era ben nota agli stessi protagonisti della fondazione della di-sciplina urbanistica, che lo riconobbero nella ricostruzione della storia dell’Inufatta nel 1932 nel primo numero della rivista “Urbanistica”: “In Italia si ebbe dapprima un’Associazione dei Comuni italiani, seguita dal-l’Unione statistica delle città italiane. A Milano sorse in seguito l’AssociazioneNazionale delle Abitazioni e dei Piani Regolatori, e infine, promossi dai Sinda-cati degli Architetti e degli Ingegneri, sorsero a Roma, a Torino e a Milano deiGruppi di Urbanisti […, e] quindi l’Istituto Nazionale di Urbanistica sotto lapresidenza dell’on. Prof. Arch. Alberto Calza Bini”212.

Con l’Inu, scrive Zucconi: “Si realizza l’idea, lanciata a suo tempo dall’As-sociazione nazionale dei comuni italiani, di fondare ‘un centro di studi urbani-stici e di altri studi municipali’, ma si concreta secondo modalità differenti daquelle auspicate dai municipalisti”213. Il progetto menzionato da Zucconi eraquello di Silvio Ardy, un segretario comunale collaboratore dell’Anci come unaltro protagonista della fondazione e della storia dell’Inu, Virgilio Testa, “con-siderato il fondatore del diritto urbanistico in Italia”214. Quello di Ardy era il

70 PARTE I

212 Armando Melis de Villa, Presentazione dell’Istituto nazionale di Urbanistica, “Urbanisti-ca”, n. 1, 1932, p.2.

213 Guido Zucconi, La città contesa: dagli ingegneri sanitari agli urbanisti (1885-1942), Mi-lano, Jaca Book, 1999 (I ed. 1989), p. 159.

214 Laura Besati, Contributi ad una storia dell’Inu 1930-1975, in Urbanisti italiani, Roma,Inu, 1995, p. 401; si rinvia a questo saggio anche per una breve ricostruzione delle vicende del-l’Inu.

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progetto di un Istituto italiano di urbanesimo e di alti studi municipali215, pub-blicato nel 1926, fallito anche perché “[privilegiava] il buon governo della cit-tà a discapito della rappresentazione della forma”216.

Durante il fascismo la prospettiva sostenuta dai municipalisti, come li defi-nisce Zucconi, o dei tecnici municipali, come li chiama un altro storico del-l’urbanistica, Adorno, venne “sconfitta a favore degli architetti libero professio-nisti, di cui si trova ampio riscontro nel dibattito culturale delle riviste del tem-po”. Una sconfitta, scrive ancora Adorno, che avrebbe comportato sia la “affer-mazione della figura dell’architetto come costruttore d’immagine e promotoredel consenso, rispetto al tecnico come gestore del buon governo e vestale del-l’efficienza amministrativa”, sia la “negazione dei processi democratici nelle au-tonomie locali, dello svuotamento delle loro competenze nel controllo e nellacostruzione del territorio”217.

Alla luce di questa interpretazione, l’interesse della Lega verso l’urbanistica,nel periodo repubblicano, può essere interpretata come un tentativo di ricon-durre tale questione all’interno di una visione complessiva del governo del ter-ritorio.

DALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE 71

215 Silvio Ardy, Proposta di creazione di un Istituto italiano di urbanesimo e di alti studi mu-nicipali, Vercelli, 1926.

216 Paolo Nicoloso, Gli architetti di Mussolini: scuole e sindacato, architetti e massoni, profes-sori e politici negli anni del regime, Milano, Franco Angeli, 1999, p. 69.

217 Salvo Adorno, Urbanistica fascista. Tecnici e professionisti tra storiografia e storia discipli-nare, in “Contemporanea”, n. 1, 2001, pp. 144-6. Si veda anche, sempre di Adorno, Storia, sa-peri urbani, professioni: un percorso a mo’ d’introduzione, in idem, (a cura di) Professionisti, cittàe territorio. Percorsi di ricerca tra storia dell’urbanistica e storia della città, Gangemi editore, Ro-ma, 2002, p. 21.

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PARTE IIDURANTE LA REPUBBLICA,

NEGLI ANNI DELLO SCONTRO

1. La rinascita della Lega: le ragioni della fondazione della Legadei comuni democratici

1.1. La Resistenza e la rifondazione dello Stato su basi autonomistiche

La rinascita della Lega avvenne in occasione del congresso degli ammini-stratori locali comunisti e socialisti svoltosi a Firenze il 27 dicembre 1947218. Lascelta del luogo rispondeva a precise ragioni politico-istituzionali legate alla Re-sistenza:“Se mai c’è stata nella storia unitaria una congiuntura nella quale la prospetti-va della rifondazione dello stato su basi autonomistiche, cioè della restituzionedel potere dal centro alla periferia, si sia delineata, essa si chiama Resistenza. Semai c’è stata una fase di questa nella quale la prospettiva abbia acquistato neifatti precisione di contorni istituzionali, essa va vista nella seconda metà del1944. Se mai c’è stato un luogo nel quale allora si siano poste le premesse delmutamento, esso deve essere individuato in Firenze, città e capoluogo ricono-sciuto dell’intera Toscana. Se mai c’è stato in quel contesto un soggetto politi-co, che come tale abbia apprezzato, assunto e propugnato la causa del capovol-gimento della struttura dello Stato accentrato e della sua ricostruzione dal bas-so, esso non si può che identificarlo nel Comitato toscano di liberazione na-zionale [Ctln]”219.

L’omaggio di un autorevole studioso della storia delle istituzioni locali comeEttore Rotelli al ruolo svolto in favore delle autonomie locali da Firenze – e dalCtln - negli anni della Resistenza e dell’immediato secondo dopoguerra può es-

218 Il Congresso dei comuni democratici a Firenze, “L’Amministratore democratico” (AD), dic.1947, pp. 1-3.

219 Ettore Rotelli, L’ipotesi toscana di fondazione della Repubblica, in idem, Costituzione e am-ministrazione…, cit., pp. 342-3; introduzione ai due volumi curati dallo stesso autore, La rico-struzione in Toscana dal CLN ai partiti, Bologna, Il Mulino, 1980-81, 2 voll. Sullo stesso argo-mento cfr. anche: Pier Luigi Ballini (a cura di), “La Nazione del Popolo”. Organo del ComitatoToscano di Liberazione Nazionale (11 agosto 1944-3 luglio 1946), Regione Toscana-Consiglio re-gionale, Firenze 1998; Pier Luigi Ballini, Luigi Lotti, Mario G. Rossi (a cura di), La Toscana nelsecondo dopoguerra, Milano, Franco Angeli, 1991.

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sere sufficiente, in questa sede, a spiegare perché proprio in quella città le am-ministrazioni locali della sinistra decidessero di far rinascere una propria orga-nizzazione ispirata alla Lega dei comuni socialisti: la Lega dei comuni demo-cratici. Nessun’altra città italiana, infatti, avrebbe potuto incarnare meglio diFirenze le concrete istanze di autonomia di cui erano portatrici le amministra-zioni locali della sinistra all’indomani della fine del fascismo e della secondaguerra mondiale.

Fu il Comitato toscano di liberazione nazionale a sostenere con maggior for-za e determinazione la necessità della riforma dell’istituto del prefetto, “l’aspet-to politicamente più vistoso” del progetto di decentramento che il Ctln pre-sentò al Governo, progetto che prevedeva l’attribuzione ai Cln regionali di nu-merose competenze amministrative dello Stato. Fu la Deputazione provincialedi Firenze, nell’ambito del dibattito sulla necessità di costituire l’ente Regione,a prefigurare in un ordine del giorno le competenze che si sarebbero dovute at-tribuire al nuovo istituto. In una primissima fase furono cattolici e azionisti ipiù attivi, mentre i comunisti furono più interessati all’esigenza della forma-zione dei quadri amministrativi comunali ed ai problemi del governo locale. Al-l’indomani delle elezioni locali, infatti, la grande maggioranza dei comuni to-scani venne governata da amministrazioni giunte di sinistra, con una forte pre-senza del Pci. Furono però poi quelle stesse amministrazioni a diventare eredidella battaglia del Ctln “per il rinnovamento istituzionale attraverso la difesa eil potenziamento delle autonomie locali”220.

1.1.1. Il ruolo di Firenze e della Toscana

Fu così che, all’indomani delle elezioni amministrative del 1946 - che por-tarono alla testa di gran parte delle amministrazioni locali toscane i partiti del-la sinistra, e soprattutto il Pci - prese “gradualmente forma la condizione am-ministrativa del cambiamento, ossia la concreta gestione degli enti locali, fina-lizzata alla tutela degli interessi fondamentali delle classi popolari da parte del-la maggioranza di sinistra, e al tempo stesso impostata in chiave decisamenteautonomistica, non secondo le linee di una strategia puramente antagonisticanei confronti del potere statale, ma intesa a costruire un effettivo sviluppo de-mocratico, basato sull’iniziativa dal basso e su un ampio e reale coinvolgimen-to delle masse nella condizione della cosa pubblica”221.

Nella Toscana del secondo dopoguerra, fucina di progetti di riforma istitu-zionale, ad essere al centro dell’attenzione dei partiti della sinistra, e soprattut-to dei comunisti, non furono progetti propagandistici, puramente antagonisti

74 PARTE II

220 Mario G. Rossi, Regionalismo e forze politiche in Toscana dalla Liberazione al “centro sini-stra”, in Simone Neri Serneri (a cura di), Alle origini del governo regionale. Culture, istituzioni,politiche in Toscana, Roma, Carocci, pp. 38-40; si rinvia a questo saggio ed all’intero volumeper una sintetica ed utile sintesi della questione dell’autonomia locale e regionale in Toscanadal secondo dopoguerra agli anni ’70 del ‘900.

221 Mario G. Rossi, Politica e amministrazione alle origini della Toscana “rossa”, in Ballini,Lotti, Rossi (a cura di), La Toscana nel secondo dopoguerra…, cit. pp. 432-3.

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rispetto alla politica del governo ma, soprattutto, i concreti problemi del go-verno locale e quelli della formazione degli amministratori. In questo contestofu di particolare importanza l’attività della Lega. Specie dopo il 1948, infatti:“la Lega diventa sempre più il centro promotore e coordinatore dell’iniziativadelle amministrazioni di sinistra, non tanto in opposizione alla politica gover-nativa […] quanto in funzione di una politica alternativa dei poteri locali, vol-ta a soddisfare i bisogni primari della popolazione, ad attivare e potenziare i ser-vizi pubblici essenziali, ad affermare l’effettiva autonomia della vita ammini-strativa contro le pesanti ingerenze dell’autorità statale”. Contro la Lega, quin-di, e anche contro la molto attiva Unione regionale delle province toscana, or-ganizzazione periferica dell’Upi, vennero minacciate e promosse le misure re-pressive dei prefetti222.

Nonostante le peculiari caratteristiche del periodo e della mobilitazione po-litica del secondo dopoguerra, il protagonismo del capoluogo toscano negli an-ni della Resistenza e nell’immediato dopoguerra riguardo alle riforme istituzio-nali - nell’ambito di quello dell’intera regione - non era legato solo alla realtàpolitica dei partiti della sinistra. Il ruolo di Firenze in favore dello sviluppo del-l’autonomia locale, infatti, si ricollega in modo chiaro ed evidente al tradizio-nale attivismo della città nella storia del movimento per le autonomie locali. Ilcomune di Firenze, come si è già accennato, nel primo ‘900 fu alla testa di unmovimento di grandi comuni moderati del centro e del nord che si sviluppòpoco prima di quello che avrebbe dato vita all’Anci nel 1901. Nello stesso ca-poluogo toscano, nel 1905, mosse i primi passi l’organizzazione statistica co-munale, l’Usci, che avrebbe operato con successo in Italia per più di vent’anni.Ancora a Firenze, infine, per iniziativa di quella deputazione provinciale, all’a-vanguardia nell’elaborazione del progetto di riforma regionale, si svolse nelmaggio del 1946 il congresso di rifondazione dell’Upi223.

Una volta evidenziate le motivazioni che possono spiegare la scelta della cit-tà di Firenze quale sede del congresso di fondazione della Lega dei comuni de-mocratici, rimane da chiarire perché le amministrazioni locali socialiste e co-muniste siano giunte alla decisione di costituire una propria struttura autono-ma a più di un anno dalla rifondazione dell’Upi e dell’Anci, avvenute, rispetti-vamente, nel maggio e nel settembre del 1946.

1.2. La rifondazione dell’Upi

La rinascita dell’Upi224 si svolse – quasi certamente senza alcuna consapevo-lezza da parte degli amministratori - ripercorrendo le tappe della fondazione av-venuta nel 1908, quasi a dimostrare la profondità delle radici del movimentoper le autonomie locali. La prima riunione in occasione della quale venne ma-

DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 75

222 Ivi, p. 445 e 449.223 Atti del congresso nazionale delle province in Firenze dal 5 all’8 maggio 1946, Libreria edi-

trice fiorentina, sd., sl. (ma Firenze 1946), pp. 9-12.224 Cfr. Gaspari, L’Italia delle Province…, cit., pp. 133-8.

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nifestata la volontà di far rinascere l’Unione si svolse il 6 e 7 novembre 1945 aModena, organizzata dalla locale deputazione. Sempre a Modena, su propostadalla stessa provincia, si era svolto il convegno che 38 anni prima, nel 1907,aveva posto le basi per la nascita dell’Upi. L’area tosco-emiliana confermava, co-sì, di essere alla testa di quelle realtà locali medio-grandi che sono le più sensi-bili ai temi dell’autonomia e che più hanno da guadagnare da una rappresen-tanza collettiva dei propri interessi.

Al “Convegno delle provincie delle Regione Emilia-Romagna e contermini perla trattazione di varii problemi amministrativi di particolare interesse per le pro-vincie”, promosso dalla provincia di Modena, parteciparono tutte le province del-la regione e quelle di Firenze, La Spezia e Apuania (l’attuale provincia di Massa-Carrara), con l’adesione delle amministrazioni provinciali di Mantova, Lucca e Pi-stoia. Nell’incontro vennero discussi vari argomenti e votati diversi ordini del gior-no, sia di carattere politico-istituzionale, sia amministrativo, nei quali si chiese, inparticolare, l’esonero di spese e servizi di competenza dello Stato, la costruzione diuno Stato che “si fondi sopra una larga autonomia regionale, provinciale e comu-nale che ne consenta l’auspicato decentramento burocratico ed amministrativo” e,infine, il ritorno del segretario provinciale alle dirette dipendenze della provincia225.

Il convegno venne promosso da un’amministrazione di nomina prefettizia icui membri rispecchiavano la composizione del Comitato di liberazione nazio-nale (Cln). Fu, quindi, un’amministrazione composta da esponenti di tutti ipartiti quella che indisse il convegno, anche se furono politici di sinistra e del-la DC quelli che svolsero le relazioni: Giuseppe Cerchiari, presidente, e Gaeta-no Bertelli, del Psi226, Attilio Guidelli, della Democrazia cristiana; Gino Santi-ni, del Partito d’azione227.

A richiamare la tradizione associativa delle province durante i lavori del con-vegno di Modena fu la deputazione provinciale di Firenze228. Si riproposero, co-sì, al momento della rinascita nel secondo dopoguerra, le modalità della nasci-ta dell’Upi nel 1908, che venne costituita dopo lo svolgimento di congressi na-zionali delle province.

Dal 5 al 7 maggio 1946 nella sede dell’Amministrazione provinciale di Fi-renze, si svolse il congresso nel quale venne ricostituita l’Upi: vi parteciparonocirca 150 delegati in rappresentanza di 73 province, ma tutte le province italia-ne avevano manifestato la loro adesione.

L’assemblea propose i seguenti punti “sui quali dovrebbe basarsi la riforma:1) Necessità di snellimento e di sburocratizzazione dell’apparato statale […]; 2)

76 PARTE II

225 Convegno delle provincie Emilia-Romagna e contermini, Rdp ago-set. 1945, pp. 96-108.226 La corretta denominazione del Partito socialista italiano nel secondo dopoguerra, fino al

1947, era Partito socialista di unità proletaria, Psiup. Per sottolineare però la continuità del par-tito tra periodo liberale e repubblicano si preferisce utilizzare la dizione Psi anche per l’imme-diato dopoguerra.

227 Provincia di Modena, La provincia dei cittadini. Speciale 50 anni del consiglio provincia-le, Modena, 2001, p. 7.

228 Lettera circolare della Deputazione provinciale di Firenze, 26 marzo 1946, firmata Il Pre-sidente Ezio Donatini, in: Atti del congresso nazionale delle province in Firenze dal 5 all’8 mag-gio 1946, Libreria editrice fiorentina, sd., sl. (ma Firenze 1946), pp. 9-12.

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Mantenimento delle Provincie […]; 3) Creazione dell’Ente Regione per lo svol-gimento delle funzioni di carattere regionale finora avocate alla competenzadello Stato […]; 5) Affidamento ad una Commissione di Studio del compitodi sviluppare in un organico progetto le linee fondamentali di cui al presenteordine del giorno […, e] di prendere gli opportuni contatti colla nuova As-semblea Costituente”. A Firenze la rinascita dell’Unione delle Provincie d’Italiavenne “approvata all’unanimità per acclamazione”, venne votato lo statuto enominato il Consiglio direttivo229, i cui componenti vennero proposti daun’apposita commissione che li scelse “sulla base dei seguenti criteri: rappre-sentanza, per quanto possibile, del maggior numero di regioni; rappresentanzadella tendenza contraria alla istituzione dell’Ente Regione […] rappresentanzaequamente distribuita fra Province grandi, medie e minori”230

Il Consiglio direttivo riunitosi il 7 maggio, al termine del congresso, elessecome presidente il democristiano Ezio Donatini, preside della deputazione pro-vinciale di Firenze e nominò segretario dell’Unione, Pietro Gilardoni231, cheaveva guidato l’organizzazione delle province in tutto il periodo della clandesti-nità istituzionale, fino al 1943232.

1.3. La rifondazione dell’Anci

Il “Comitato tecnico provvisorio per la ricostituzione dell’Associazione deiComuni italiani”233, presieduto da Ugo Giusti, avviò la rifondazione dell’Ancidalle pagine de “Il corriere amministrativo”234 nell’autunno del 1945, ma varie

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229 Il congresso nazionale delle province (Firenze 5, 6, 7 maggio 1946), Rdp, gen.-mar. 1946,pp. 6-32.

230 Atti del congresso nazionale delle province in Firenze dal 5 all’8 maggio 1946…, cit., pp.187-8.

231 Il congresso nazionale delle province (Firenze 5, 6, 7 maggio 1946), Rdp, gen.-mar. 1946,p. 32.

232 Gaspari, L’Italia delle Province..., cit., pp. 104-6. 233 Il comitato tecnico provvisorio, L’Associazione dei comuni italiani, CA, n. 3-4, set.-ott.

1945, p. 99. I componenti erano: Lanfranco Maroi, statistico, futuro presidente dell’Istat;Manlio Rossi Doria, antifascista, professore di economia politica agraria, membro del comita-to centrale del Partito d’Azione e, dopo lo scioglimento, iscritto al Partito socialista italiano;Alessandro Schiavi, socialista riformista, nel secondo dopoguerra aderente al partito socialde-mocratico di Giuseppe Saragat, nel periodo liberale era stato, tra l’altro, dirigente della Societàumanitaria di Milano e collaboratore del sindaco di Milano, Caldara; Renato Vicard, funzio-nario dell’Istat in pensione, segretario del comitato; Arcangelo Cirmeni, funzionario del Mini-stero dell’interno; Gino Crispo segretario comunale, facente funzioni, del comune di Roma, edEmanuele Rienzi.

234 Un accenno alla storia della rivista è in Ettore Rotelli, Le trasformazioni dell’ordinamentocomunale e provinciale durante il periodo fascista, in, idem, L’alternativa delle autonomie. Istitu-zioni locali e tendenze politiche dell’Italia moderna, Feltrinelli, Milano, 1978, p. 155. Rotelli, tragli elementi di continuità tra il periodo fascista e quello repubblicano, rispetto alla storia delleautonomie locali, sottolinea la presenza nella rivista “Il corriere amministrativo” (CA) di Ar-cangelo Cirmeni, e di Luigi Giovenco, che si erano segnalati durante la dittatura per il soste-gno alla normativa fascista.

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riunioni di comuni si svolsero già alcuni mesi prima. Furono i sindaci delle piùgrandi città del Nord ad organizzare quelle assemblee, sia per porre al governola questione di una riforma dello Stato che garantisse l’autonomia comunale,sia per risolvere i gravissimi problemi della ricostruzione235.

Il 16 luglio 1945 si riunirono a Milano insieme al sindaco della città, i pri-mi cittadini di Genova e Torino che si rividero a Genova il 6 agosto con il sin-daco di Bologna. Gli stessi sindaci si incontrarono nuovamente il 28 agosto aTorino insieme ai primi cittadini di Venezia e Verona e ancora il 18 settembresi tenne a Venezia una nuova riunione a cui parteciparono, con il sindaco del-la città lagunare, quelli di Bologna, Genova, Milano e Torino236, era quello il“IV convegno dei sindaci dell’Alta Italia”.

Non è dato sapere se nei mesi seguenti le riunioni dei sindaci “dell’Alta Ita-lia” continuassero ancora ed allo stesso ritmo, è certo però che il 5-6 gennaio1946 si svolse a Roma un convegno nazionale tra i sindaci delle città capoluogodi regione a cui parteciparono i primi cittadini di Roma, Milano, Genova, Bo-logna, Napoli, Palermo, Firenze, Trieste, Venezia, Bari, Reggio Calabria, Caglia-ri, Ancona, Perugia, Trento, L’Aquila, Potenza ed il pro-sindaco di La Spezia237.

Queste riunioni, promosse in particolare dai grandi comuni del Nord, nonsembravano prevedere l’ipotesi di un’organizzazione permanente, esattamentecome nel tentativo che precedette l’avvio dell’esperienza dell’Anci238. È chiaroche tra le due iniziative vi erano grandi differenze, di contesto storico, istitu-zionale e politico; oltre a ciò, la definizione scelta dal gruppo dei sindaci pro-motori delle prime riunioni comunali, “sindaci dell’Alta Italia”, sembrava volerrimandare ad un organo politico proprio del secondo dopoguerra, il Comitatodi liberazione nazionale alta Italia. Nonostante questo, però, può essere rinve-nuto un significativo elemento di continuità tra la storia del movimento co-munale del primo ‘900 e quella del secondo dopoguerra: entrambe le mobili-tazioni dei sindaci dei grandi comuni erano composte e guidate, in gran parte,da comuni del Nord, grandi comuni che avevano ragione di ritenere - allora co-me oggi – di essere sufficientemente forti per muoversi da soli.

La convergenza, finale, tra l’iniziativa partita dai grandi “comuni dell’AltaItalia”, poi estesasi ai grandi comuni di tutta l’Italia, e quella dedicata alla ri-fondazione dell’associazione comunale venne comunque sancito dallo svolgi-mento di un “Convegno dei sindaci delle città capoluoghi di provincia” il 4 e5 settembre a Roma, appena prima dello svolgimento dell’appuntamento chevide la rifondazione dell’Anci239.

78 PARTE II

235 Sulla rinascita dell’Anci nel secondo dopoguerra cfr. Oscar Gaspari, L’Associazione nazio-nale dei comuni italiani dalla nascita al secondo dopoguerra, in Dogliani, Gaspari, (a cura di),L’Europa dei comuni…, cit., pp. 54-62

236 ArSCPr, 1945, Carteggio, Amm. com. 5.237 Il Convegno di sindaci a Roma e l’Associazione dei comuni italiani, CA, n. 1-2, gen. 1946,

pp. 2-7.238 Gaspari, L’Italia dei municipi…, cit., pp. 29-38.239 Convegno dei sindaci delle città capoluoghi di provincia, tenuto in Roma nei giorni 4 e 5 set-

tembre 1946; in: Anci, Convegno dei sindaci. Roma 6-8 settembre 1946, CA, suppl. al n. 17 del15 set. 1946, pp. 105-130.

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1.3.1. L’assemblea istitutiva

Il “Convegno dei sindaci aderenti all’Associazione nazionale dei comuni ita-liani”, nel quale venne rifondata l’Anci, si svolse a Roma, in Campidoglio, dal6 all’8 settembre 1946240. L’assemblea si aprì alla presenza del prefetto, di auto-rità di Stato e di governo e del Comitato tecnico provvisorio. La relazione in-troduttiva fu di Ugo Giusti, che ripercorse la storia dell’associazione, seguitadall’intervento del sindaco di Roma, Filippo Andrea Doria Pamphilj, il qualeespose all’assemblea uno schema di statuto dell’Anci che richiamava in moltipunti quello in vigore nel periodo liberale. L’assemblea, però, decise di riman-dare la discussione sullo statuto ad una fase successiva, in modo tale da poteravere una bozza che fosse il risultato di un lavoro più accurato, affidato ad unComitato centrale esecutivo, la cui costituzione venne proposta dal sindaco co-munista di Torino, Giovanni Roveda. Venne così approvato una sorta di statu-to provvisorio, di 4 articoli, che permise l’esistenza dell’Anci fino a all’approva-zione dello statuto ufficiale, avvenuta nel 1949.

Gli ordini del giorno approvati dall’assemblea riguardarono: finanza locale,per la quale, nel quadro delle richieste per lo sviluppo dell’autonomia comuna-le, si chiese lo sgravio dai bilanci delle spese che non fossero di competenza deicomuni (una richiesta presentata dai comuni fin dalla fine dell’’800241); azien-de municipalizzate, per le quali si chiese un rilancio dopo la forte crisi del pe-riodo fascista; alloggi per i senza tetto, per i quali si sollecitò, come misura ur-gente, la cessione di edifici militari per uso abitativo civile; problemi turistici,affinché venisse promossa la valorizzazione del turismo attraverso la più ampiaautonomia. Venne quindi eletto un comitato centrale formato dai sindaci del-le città capoluogo di regione ed un comitato esecutivo ristretto. Alla testa delcomitato esecutivo vennero chiamati il sindaco di Roma, Doria Pamphilj, equindi Giorgio Andreoli, Achille Guerra, Enzo Nuti, Mario Paone, AdolfoQuintieri, Giulio Turchi, deputato comunista, futuro segretario della Lega deicomuni democratici; del Comitato provvisorio promotore della rinascita vi era-no Giusti, Crispo e Vicard242.

La sinistra accolse con grandi speranze la nascita dell’Anci e “Il comune de-mocratico” diede subito notizia delle prime attività dell’appena costituito Comi-tato esecutivo dell’Associazione: le richieste di interventi in favore della finanzalocale; per la riforma dei controlli sulle amministrazioni comunali; la predisposi-zione di un’inchiesta sui problemi specifici dei comuni montani e di un’altra sul

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240 Anci, Convegno dei sindaci. Roma 6-8 settembre 1946, CA, suppl. al n. 17 del 15 set.1946; ora in Anci, Convegno dei sindaci aderenti all’Associazione Nazionale dei Comuni Italianitenuto in Roma nei giorni 6, 7 e 8 settembre 1946, Empoli, Caparrini, 1946, ora in Ruffilli, Pi-retti (a cura di), Per la storia dell’Anci…, cit., pp. 229-314.

241 Gaspari, L’Italia dei municipi…, cit. pp. 151-179. Ancora nel 1957 la Lega dei comunisiciliani promuoveva un’iniziativa sulla questione, Giuseppe Cardaci, I servizi statali a carico deicomuni, Icd gen. 1957, pp. 24-5.

242 Convegno dei sindaci aderenti all’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani tenuto in Ro-ma nei giorni 6, 7 e 8 settembre 1946, in Anci, Convegno dei sindaci. Roma 6-8 settembre1946…, cit. pp. 7-102.

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problema della municipalizzazione dei servizi; gli accordi con l’Associazione na-zionale dei segretari comunali per la costituzione di una commissione mista sin-daci-segretari incaricata di fornire al governo proposte sullo stato giuridico edeconomico dei segretari “conciliando però lo stesso con il principio di autonomiadei Comuni”. La rivista rivolse quindi “a tutte le Amministrazioni comunali il piùvivo invito a sorreggerne lo sviluppo con la più incondizionata adesione”243.

1.4. Alle origini della fondazione della Lega: “Il Comune democratico” e“L’Amministratore democratico”

Nella seconda tornata delle elezioni amministrative, svoltesi il 10 novembre1946, “le sinistre ottennero un notevole successo conquistando la amministra-zioni comunali di Torino, Genova e Firenze, e poiché nella tornata primaverileavevano già conquistato quelle di Milano, Bologna e Venezia si veniva a deli-neare un quadro nel quale comunisti e socialisti, in qualche caso con la colla-borazione dei repubblicani, dirigevano tutte le maggiori città dell’Italia centro-settentrionale (con sindaci comunisti a Torino, Genova, Venezia, Bologna e Fi-renze)” migliorando “i già elevatissimi risultati conseguiti” nelle elezioni localidell’autunno del 1920244. Secondo i dati pubblicati ne “L’Amministratore de-mocratico” su 7.319 comuni esistenti più di 3.000 erano quelli amministratidai due partiti della sinistra. Nell’Italia del Nord su 57 comuni con più di30.000 abitanti 40 erano retti dalla sinistra, nel Centro erano 23 su 27. Perquanto riguarda il Sud venivano date informazioni solo sui comuni pugliesi, 6su 16 con oltre 30.000 abitanti erano guidati da sindaci comunisti245.

Gli amministratori locali comunisti e socialisti, che avevano contribuito al-la rifondazione delle principali organizzazioni del movimento per le autonomielocali, Upi ed Anci, rinnovarono le sollecitazioni ai propri amministratori adiscriversi ad esse246 e parteciparono alla definizione delle rispettive attività.

1.4.1. Il ruolo della sinistra all’interno dell’Anci

Dalla sinistra venne mantenuto vivo il dibattito sulle caratteristiche del-l’organizzazione interna dell’Anci, che si chiedeva venisse basata su sezioniprovinciali e regionali ben strutturate ed autonome247. Con questa posizione,

80 PARTE II

243 Associazione nazionale dei comuni italiani. Attività svolta fino ad oggi, “Il Comune demo-cratico” (Icd) dic 1946, p. 11.

244 Ragionieri, La storia politica e sociale…, cit. p. 2459.245 In particolare erano guidati da un sindaco comunista grandi comuni come Torino, Ge-

nova, Firenze, Bologna, Venezia, Taranto; e da un sindaco socialista: Milano, Alessandria, No-vara, Perugia; Demar, Le forze popolari al comune, AD dic. 1947, pp. 10-2.

246 Nel caso dell’Anci questa affermazione è confermata dalla pubblicazione nella rivista “IlComune democratico” di articoli elogiativi dell’attività dell’Associazione e anche di un apposi-to comunicato che esortava i sindaci ad iscrivere i propri comuni; Sindaci!, Icd gen. 1947, p. 6.

247 In margine al Convegno di Perugia, Icd ott. 1947, pp. 118-9.

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quasi certamente senza essere cosciente dei precedenti storici, la sinistra ripro-poneva la sostanza della citata proposta di Salvemini del 1901248. Ancora nel1947, se non proprio su spinta della sinistra, quanto meno con il suo fortecontributo, nel 1947, l’Anci e la Confederazione generale italiana del lavoro(Cgil) firmarono un accordo in base al quale l’Associazione, “interpretando inquesto campo le difficoltà degli amministratori e i bisogni della popolazioneche essi rappresentano, si è affiancata alla Confederazione generale del lavoroper condurre insieme la battaglia contro il carovita”249. Grazie poi alla respon-sabilità politica e gestionale delle aziende municipalizzate i comuni del secon-do dopoguerra erano in grado di incidere sul costo dei servizi alla popolazio-ne e la sinistra non mancò di sottolinearlo con decisioni favorevoli ai cittadi-ni consumatori, che avevano un importante effetto di raffreddamento deiprezzi di mercato250.

Ancora su richiesta dei partiti della sinistra, molto probabilmente, ebbe se-de a Milano, città amministrata da una giunta popolare, l’Associazione nazio-nale fra gli enti di assistenza (Anea)251 che, in due appuntamenti svoltisi sem-pre a Milano alla fine di ottobre del 1949, discusse un progetto per “la costi-tuzione di un Ministero dell’Assistenza sociale” che avrebbe dovuto avere co-me organi periferici appositi uffici provinciali e gli Enti comunali di assisten-za252. La nascita dell’Anci, comunque, non interruppe l’attività dei sindaci del-l’Alta Italia e della Toscana, maggioritariamente amministrati dalla sinistra,che si riunirono ancora nel 1947 per discutere, in particolare, della questionefinanziaria253.

Fu a Milano che vide la luce il primo nucleo della futura Lega dei comunidemocratici costituita ufficialmente alla fine del 1947. La città lombarda ri-prendeva così, nel secondo dopoguerra, quel ruolo di protagonista nella storiadel movimento per le autonomie locali che aveva già ricoperto nella storia del-l’Anci, di cui era stata promotrice insieme a Parma e di cui ospitò la sede neiprimi 15 anni.

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248 Il Federalista, L’Autonomia Comunale e il prossimo Congresso di Parma…, cit. 249 Federico Leghissa, L’Anci si è affiancata alla Cgil nella lotta contro il caro-vita, Icd ago.-

set. 1947, p. 73.250 Nel 1949 la Lega dei Comuni democratici, la Confederazione della Municipalizzazione,

il Comitato di coordinamento dei consigli di gestione aziende gas, l’Associazione nazionale in-quilini, si opponevano alla deliberazione del Cip (Comitato interministeriale prezzi) per l’au-mento delle tariffe del gas e chiedevano, in primo luogo, il blocco delle tariffe, salvo ritocchiindispensabili al pareggio del bilancio delle aziende; AD mag. 1949, p. 163.

251 L’Associazione si riuniva a Roma il 19-20 aprile 1947 (Riunione del Consiglio direttivodell’Associazione, Icd giu.-lug. 1947, pp. 65-6) e si sarebbe mobilitata successivamente per la di-fesa ed il rafforzamento degli Eca cfr. G.B. Facchini (Presidente dell’Eca di Bologna), Si vuoleabolire gli ECA?, Icd giu. 1950, p. 210.

252 Libera Venturini, L’assistenza: vecchie e nuove concezioni, Icd nov. 1949, pp. 119-120.253 Da Bologna a Firenze. Importanti convegni dei sindaci dell’Alta Italia e della Toscana, Icd

giu.-lug. 1947, p. 71.

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1.4.2. “Il Comune democratico”

Il 4 agosto 1946 venne costituito a Palazzo Marino il Centro di consulenzaai comuni democratici della provincia di Milano254, la cui rivista mensile, “Il Co-mune democratico”255, diveniva dal gennaio 1948 organo della Lega256. Nel pri-mo ‘900 la definizione ideale del comune socialista era stata quella di comunemoderno, dove l’aggettivo moderno metteva in evidenza la ricerca del progresso,dello sviluppo economico e politico a vantaggio dei cittadini lavoratori, con-trapposto al comune vecchio, arretrato e tradizionalista, arroccato nella difesa deiprivilegi di proprietari terrieri, borghesi e capitalisti. Nel secondo dopoguerral’espressione che identificava il comune socialista e comunista fu il comune de-mocratico. Lo sviluppo economico e dei servizi non aveva portato con se, mec-canicamente, il benessere dei cittadini lavoratori; il fascismo aveva dimostratoche la modernità poteva accompagnarsi alla dittatura ed alla guerra. Nel secon-do dopoguerra l’obiettivo degli amministratori della sinistra era quindi divenu-ta la democrazia che, nella realtà locale, si traduceva nel dar voce e diritti ai cit-tadini e, nella realtà istituzionale, nel dar voce e autonomia ai comuni.

Il Centro di consulenza era retto da un Consiglio direttivo - che, sentito ilsegretario del Centro, dava “le direttive generali sul lavoro da svolgere” - for-mato da sindaco e vicesindaco di Milano, il socialista del Psli Antonio Greppied il comunista Piero Montagnani257; e da vari sindaci di paesi della provincia:Amilcare Locatelli, sindaco di Binasco, il vecchio socialista che aveva difeso laLega negli anni dell’ascesa del fascismo, anche di fronte ai compagni di parti-to; Aldo Dirotti, di Casalpusterlengo; Carlo Fontana, di Magenta; CornelioZadra, di Parabiago; Carlo Grezzi, di Novate Milanese; Ezio Gasparini, vicesindaco di Legnano.

Federico Leghissa, del Pci, era segretario del Consiglio direttivo e direttoredel Centro, costituito da una Segreteria e da un Ufficio studi problemi comu-

82 PARTE II

254 Federico Leghissa, Tutti così in prefettura?, Icd dic. 1946, p. 1. 255 Il titolo del periodico, per esteso, era: “Il Comune democratico. Edito dal Centro di con-

sulenza ai Comuni democratici della provincia di Milano”.256 Dal primo numero del 1948 la rivista diveniva Il Comune democratico. Edito dalla Lega dei

comuni democratici – Milano. Come riportato in un riquadro in prima pagina “Il Comitato Di-rettivo della Lega Nazionale dei Comuni democratici ha chiesto che la nostra rivista ‘Il comunedemocratico’ divenga l’organo ufficiale della Lega stessa. Lieti di aderire a questa domanda cherappresenta un premio alla nostra fatica, invitiamo gli amici ed i compagni amministratori adintensificare con slancio la campagna degli abbonamenti”; Icd gen.-feb. 1948, p. 1.

La dicitura “Organo ufficiale della Lega sarebbe apparsa sotto la testata a partire dal luglio1948.

257 L’amministrazione comunale di Milano fu guidata dal 1945 al 1951 dal socialista Anto-nio Greppi, nominato sindaco dal Clnai alla fine della guerra. Greppi venne confermato nel-la carica all’indomani delle elezione del 7 aprile 1946 e ancora dopo la scissione del Psi del1947, pur avendo egli scelto di appartenere al Psli come la maggioranza dei consiglieri sociali-sti, un Psli che a Milano continuava a collaborare con gli altri partiti della sinistra, mentre a li-vello nazionale, partecipava ai governi a guida democristiana da cui erano stati esclusi Pci e Psi;sull’amministrazione milanese nel secondo dopoguerra cfr. Maurizio Punzo, Amministrazione epolitica a Palazzo Marino, in Gianfranco Petrillo e Adolfo Scalpelli (a cura di), Milano anniCinquanta, Milano, Franco Angeli, 1986, pp. 624-653.

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nali. Dalla Segreteria, che aveva “compiti di coordinare e dirigere tutte le atti-vità del Centro”, dipendevano l’Ufficio stampa, l’Ufficio di assistenza ammini-strativa, che aveva “il compito di rappresentanza dei Comuni presso le Autori-tà locali e centrali, e per dare l’assistenza tecnica amministrativa agli Ammini-stratori, sia nel nostro ufficio, che recandosi nei singoli Comuni a visitare i con-siglieri” e l’Ufficio di consulenza legale che esprimeva “pareri ai Comuni asso-ciati in merito a problemi di carattere giuridico, e per assisterli in ogni even-tuale controversia”258. Sempre dalla Segreteria dipendeva anche l’UfficioCo.f.e.l. (Cooperativa per la fornitura degli enti locali) che provvedeva allasomministrazione di stampati, cancelleria e ad altro materiale necessario aglistessi enti per lo svolgimento della loro attività, non solo di quella strettamen-te amministrativa259.

L’Ufficio studi problemi comunali si occupava di consulenza in materia difinanze, lavori pubblici e ricostruzione, scuola e assistenza, annona e consulen-za igienica260.

Il Centro riprendeva la migliore tradizione dell’Anci. Due uffici della strut-tura milanese, infatti, avevano la stessa denominazione e le stesse funzioni diquelli istituiti dall’Associazione dei comuni nella sua piena fioritura nei primianni ’20. Il riferimento è all’Ufficio di assistenza amministrativa, che aveva “ilcompito particolare di aiutare i Comuni nella trattazione delle loro speciali pra-tiche presso le Amministrazioni Centrali, la cui definizione troppo spesso di-pende essenzialmente da solleciti e pronti rapporti con gli Uffici governativi”;ed all’Ufficio di consulenza legale, “costituito nel 1922, con il compito di for-nire pareri ai Comuni associati sulle questioni di carattere essenzialmente lega-le e di assisterli eventualmente nelle loro contestazioni davanti alle varie magi-strature”261.

Era evidente che una struttura come il Centro di consulenza ai comuni de-mocratici della provincia di Milano andasse ad incidere sui rapporti che i co-muni avevano con organismi pubblici ed aziende di vario tipo. Il segretario delcentro, Leghissa, evidenziò diffidenze ed ostilità, in primo luogo quelle degliappaltatori delle imposte di consumo, dei fornitori dei comuni262 e, non ulti-mo, della prefettura, di cui riportava testualmente l’opinione di un anonimofunzionario che così aveva commentato l’attività del centro:“La consulenza ai Comuni, grazie alla nostra modesta competenza, possiamodarla noi stessi; possono darla i Segretari comunali. Quanto all’autonomia, è

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258 Struttura del Centro di consulenza, Icd dic. 1946, p. 14.259 Nicola Jaeger, Problemi nuovi, soluzioni nuove. La mutualità fra gli enti pubblici. Coope-

rative di consumo fra enti locali, Icd giu.-lug. 1947, pp. 54-6.260 Struttura del Centro di consulenza…, cit. 261 Sala XLIII. Associazione dei comuni italiani, in Prima mostra italiana di attività munici-

pale, Vercelli MCMXXIV. Catalogo generale con 50 illustrazioni, Milano, 1924, pp. 306-312; cfr.Gaspari, L’Associazione nazionale dei comuni italiani dalla nascita al secondo dopoguerra…, cit.,pp. 40-3.

262 Il centro, infatti, stava promuovendo la costituzione di consorzi per la gestione direttadelle imposte di consumo e di una cooperativa intercomunale per la fornitura di stampati e ma-teriale vario in uso presso uffici ed enti comunali.

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una cosa di là da venire, perché i nostri Comuni non sono maturi per autogo-vernarsi; e noi siamo qui per far rispettare la legge”.

I tempi, però, scriveva ancora Leghissa, erano ormai cambiati: “Una voltanon si usava interpellare chi sta più in basso, oggi è buona norma farlo; ogginon è ammesso sottrarsi ai più elementari principi della democrazia; ancor me-no è permesso frenare lo sviluppo di iniziative democratiche”263.

Ma gli ostacoli all’adesione dei comuni al Centro non mancavano, anche at-traverso indicazioni dirette del Presidente del Consiglio, De Gasperi, a motivo,almeno ufficialmente, della necessità di ridurre le spese degli enti locali264. Lamodestia della riforma della legge comunale e provinciale265 approvata in queimesi ricordava agli enti la loro dipendenza dal centro.

1.4.3. La volontà di cambiamento nelle pagine della rivista

Le pagine della rivista “Il Comune democratico” danno un’idea delle gran-di aspettative di cambiamento che trasparivano dall’intensa attività dei comu-ni della sinistra della provincia milanese. L’area era senza dubbio una delle piùricche e progredite di tutta l’Italia e non rispecchiava, evidentemente, la com-plessa e frastagliata realtà degli enti locali italiani di quegli anni. Forse, però,non è lontana dal vero l’ipotesi che la straordinaria volontà di cambiamento chesi manifestava attraverso la rivista era probabilmente comune alla gran partedelle amministrazioni locali, in anni nei quali l’entusiasmo seguito alla fine delfascismo e della guerra sembrava rendere possibile grandi mutamenti.

E grandi mutamenti sembravano preannunciare tutti gli articoli del mensile.C’erano notizie sulla riforma della legge comunale e provinciale266; informazioni edistruzioni su uffici ed attività comunali267; il programma di un corso di dieci con-versazioni per amministratori comunali organizzato dal Centro di consulenza aicomuni democratici della provincia di Milano268, un altro corso sarebbe stato suc-cessivamente pubblicato a dispense allegate alla rivista nel 1952 e 1953, nel qualenella “Parte I. Introduzione. Struttura generale del comune. Organi” al primo po-

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263 Leghissa, Tutti così in prefettura?..., cit.. Per un recente ed efficace esame delle iniziative e diun comune della sinistra, Modena, e delle relative risposte delle autorità governative, comparatecon quelle di un comune vicino al governo, Padova, e del ben diverso atteggiamento delle autori-tà, nel periodo a cavallo tra gli anni ‘40 e ‘50, cfr. Giovanni Taurasi, Autonomia promessa, autono-mia mancata. Governo locale e reti di potere a Modena e Padova (1945-1956), Roma, Carocci 2005.

264 Il telegramma di De Gasperi, Icd feb.-mar. 1947, pp. 17-8.265 Commento alle modifiche al T.U. della legge comunale e provinciale, Icd apr.-mag. 1947,

pp. 37-.266 Relazione allo schema di D.L.L. recante modifiche al testo Unico della Legge Comunale e

Provinciale approvato con R.D. 3 marzo 1934, n. 383 e successive modificazioni, Icd gen. 1947,pp. 1-3; F.L., Verso l’autonomia comunale, Icd gen. 1947, pp. 4-5.

267 Libera Venturini, Cenni su l’Ente Comunale di Assistenza, Icd gen. 1947, p. 7; AlbertoCoccopalmerio, Come si amministra nei piccoli e medi comuni, Icd nov.-dic. 1947, pp. 126-7,Svolgimento delle sedute alla giunta comunale, ivi, p. 127.

268 Programma di dieci conversazioni pratiche di aggiornamento e di preparazione per ammini-stratori comunali, Icd nov.-dic. 1947, p. 139.

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sto c’era “Popolo” e quindi “Consiglio, Giunta, Sindaco”269. La rivista dava poi in-formazioni sull’attività della Union Internationale des Villes270; sui piani regolato-ri cittadini271; informava gli amministratori sulla possibilità, ancora controversa, diricevere un’indennità di carica272, indispensabile per persone, come erano moltissi-me nella sinistra, che non avevano risorse economiche tali da poterle sostenerementre svolgevano l’attività di amministratori, spesso a tempo pieno.

Grandissimo spazio aveva poi la questione delle finanze comunali, sulla quale sibasava l’effettiva autonomia di comuni e province dal potere centrale e la possibili-tà di fare una vera politica in favore dei cittadini. Molto significativamente il primoparagrafo dell’articolo che annunciava un convegno di assessori alle finanze si inti-tolava Confusione di leggi e di imposte273. Erano numerosi poi gli articoli dedicati al-le modalità di accertamento dell’imposta di famiglia, l’imposta che garantiva unaimportante fonte di entrate e che permetteva ai comuni della sinistra di attuare unapolitica di redistribuzione del reddito a vantaggio dei cittadini più poveri274. E pro-prio la necessità di trarre il maggior vantaggio possibile da questa risorsa, spingevale amministrazioni locali della sinistra a costituire i Consigli tributari comunali275

che contribuivano ad accertare i redditi effettivi, specie dei maggiorenti. Questo ed altri organismi di consultazione e di partecipazione dei cittadini

all’attività dell’amministrazione locale non sorsero solo per motivi economici,ma anche per ovviare alla mancata riforma degli enti locali. L’obiettivo era, so-prattutto, quello di promuovere la partecipazione dei cittadini all’attività ed alcontrollo dell’operato comunale operando entro i margini della legislazione vi-gente e, sempre in questo ambito, nacquero anche le consulte popolari276.

1.5. Le motivazioni politiche della rinascita della Lega

L’esclusione dei partiti della sinistra dal IV Governo De Gasperi, consuma-tasi a Roma alla fine di maggio del 1947277, segnò la fine dell’unità dei partitidel Cln a livello nazionale ed ebbe ripercussioni pressoché immediate nella vi-ta dei comuni democratici.

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269 Programma del corso di lezioni per gli amministratori comunali, Icd dic. 1951, p. 381.270 VII Congresso internazionale dei comuni, Icd giu.-lug. 1947, pp. 56-9.271 Mario Venanzi, Il nuovo piano regolatore della città di Milano; Luigi Tagliolato, Piano re-

golatore dei centri minori, Icd ago.-set. 1947, pp. 78-9.272 L’indennità di carica agli amministratori, Icd feb.-mar. 1947, pp. 18-9.273 Il convegno degli assessori alle finanze, Icd dic. 1946, pp. 4-6.274 Si veda, per esempio, Piero Andreini, L’imposta di famiglia e la dimora abituale, Icd apr.-

mag. 1947, pp. 45-6.275 Luigi Santambrogio, I consigli tributari e l’imposta di famiglia nel nuovo clima democratico, Icd

gen. 1947, pp. 11-2; Costituzione dei Consigli tributari comunali, Icd ago.-set. 1947, pp. 83-4.276 Le consulte popolari ebbero origine a Milano, nel rione periferico e popolare di Affori,

nell’immediato secondo dopoguerra; Piero Montagnani, Un’esperienza democratica. Le consultepopolari, Icd ott. 1947, pp. 97-103.

277 IV Governo De Gasperi (31 mag. 1947 – 23 mag. 1948); coalizione politica: DC- Pli-Psli-Pri; l’esecutivo precedente era il III Governo De Gasperi (2 feb. 1947 – 31 mag. 1947);coalizione politica: DC-Pci-Psi.

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Il numero di giugno della rivista dei comuni milanesi si apriva con un edito-riale nel quale dopo la denuncia dell’assoluta insufficienza delle riforme per le au-tonomie locali, si richiamava la necessità dell’unione, il primo e più forte mezzodifesa che gli enti locali, fin dalla fine dell’’800, avevano mutuato dai lavoratori:“La forza democratica dei Comuni sta nella loro unione. Anche per i Comuni,il Governo di parte, che è stato costituito, può rappresentare più di un perico-lo: troppe leve sono nelle mani dell’alta burocrazia perché non si debba temereche esse potranno essere adoperate a scopi elettoralistici o di oppressione, conl’assoluta violazione dei veri interessi delle popolazioni. Ebbene, se questo si ve-rificherà, i Comuni facciano sentire la loro voce e gridino forte che è finito iltempo di Giolitti o di Mussolini e che la libertà non è stata riconquistata, conil sangue di tanti italiani, perché di essa venisse fatto scempio”278.

Al richiamo all’unità dei comuni per fini politici ne seguiva, immediata-mente, un altro. Proprio come i lavoratori, che si univano in sindacati e co-operative per tutelarsi e migliorare le proprie condizioni di vita e di lavoro, co-sì i comuni dovevano associarsi per difendersi e formare delle cooperative perincrementare la propria attività. L’esempio veniva dall’estero, dalla Germania,ma anche dall’Unione sovietica degli anni della Nep279, ora la stessa possibilitàc’era anche in Italia, grazie al codice civile del 1942. I comuni, come tutti glienti pubblici, potevano partecipare a società commerciali e, a maggior ragione,a società cooperative, l’esempio veniva dato proprio da Milano:“L’esperimento iniziatosi a Milano, con la costituzione di una apposita cooperati-va per la fornitura degli Enti locali (la CO.F.E.L.) allo scopo di fornire ai Comu-ni e ad altri Enti gli stampati, la cancelleria e quant’altro possa loro occorrere”280.

1.5.1. Le prime avvisaglie dell’offensiva di Scelba contro i comuni democratici

A qualche mese dalla fine della collaborazione nel Governo tra i partiti cheavevano fatto la Resistenza, avvenuta a Roma, a Milano si consumò un eventoche segnò la fine dell’ultima speranza di una riforma dell’amministrazione lo-cale ispirata alla Resistenza. L’episodio fu la destituzione del prefetto di Mila-no, Ettore Troilo, decisa dal Ministro dell’interno, il democristiano Mario Scel-ba, ed attuata nonostante la massiccia protesta promossa dalla sinistra281. Scel-ba, con la destituzione di Troilo, completò l’espulsione dalla carriera prefettiziadi tutte le personalità espresse nell’ambito del Cln che egli riteneva incompati-bili alla strategia di contenimento della minaccia eversiva che sarebbe potutavenire dai partiti della sinistra. Una manovra analoga a quella compiuta nel-

86 PARTE II

278 Realizzare l’autonomia attraverso l’unione dei comuni, Icd giu.-lug. 1947, pp. 53-4.279 La Nep (Nuova politica economica) venne attuata negli anni ’20 dallo Stato sovietico per

promuovere la ricostruzione nazionale dopo la guerra civile.280 Jaeger, Problemi nuovi, soluzioni nuove. La mutualità fra gli enti pubblici.., cit; Statuto del-

la Cooperativa Fornitura Enti Locali (Co.F.E.L.), Icd ott. 1947, pp. 119-120.281 Per una dettagliata cronaca di questi eventi cfr. Carlo Troilo, La guerra di Troilo. Novem-

bre 1947: l’occupazione della Prefettura di Milano, ultima trincea della Resistenza, Soveria Man-nelli, Rubbettino Editore, 2005.

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l’ambito delle forze di pubblica sicurezza, che lo aveva portato decidere la “ri-organizzazione dei servizi di polizia nell’intento di espellerne gli ex partigianiche vi erano entrati durante il governo Parri”282

Per opporsi alla destituzione decisa dal Ministro il 28 novembre 1947 unafolla di partigiani, lavoratori e militanti della sinistra, guidati dal segretario delPci della Lombardia, Giancarlo Pajetta, occupò la prefettura del capoluogolombardo. Si opposero alla destituzione anche 160 sindaci della provincia cheminacciarono le dimissioni283. Considerata dal punto di vista politico, l’occu-pazione “sembrò per un momento dare corpo ad una rilanciata ipotesi insurre-zionale”284, che era però irrealizzabile e come tale venne abbandonata.

Dal punto di vista del movimento per le autonomie locali, fu una nuova edefinitiva dimostrazione che la minaccia delle dimissioni dei sindaci e, quindi,il blocco dell’attività delle amministrazioni locali, non costituivano una minac-cia tale da influenzare in alcun modo le decisioni del governo nazionale. Laconferma della destituzione del prefetto Troilo nonostante sia la protesta popo-lare, sia le minacciate, e mai date, dimissioni dei sindaci, aveva destituito diogni fondamento non solo la prospettiva rivoluzionaria ma anche l’idea di unmovimento dei comuni basato su modalità di lotta ed iniziative politiche mo-dellate sulla falsariga di quelle seguite dal movimento dei lavoratori.

Quella che con estrema durezza gli amministratori e i politici della sinistra defi-nirono come la “offensiva reazionaria contro i comuni democratici, contro i comu-ni socialisti e comunisti in particolare”, era iniziata. Era questa “una offensiva me-no appariscente, che sfugge alla attenzione del cittadino perché non condotta an-cora con la bomba ed il pugnale tra i denti, ma non per questo meno violenta e mi-cidiale per le amministrazioni democratiche”. L’offensiva si sostanziava attraverso laconcessione di finanziamenti per lavori pubblici a comuni di un certo colore piut-tosto che di un altro, con l’annullamento di qualsiasi prospettiva di autonomia po-litica e finanziaria dei comuni285. A questo bisognava rispondere “mantenendo unostretto legame con le Sezioni di Partito e con la popolazione del Comune”286.

1.5.2. “L’amministratore democratico”

E il partito si mosse. Nell’aprile del 1947, nelle settimane che precedetterol’esclusione della sinistra dal Governo nazionale, mentre la lotta politica dive-niva via via sempre più aspra, la direzione del Partito comunista avvertì la ne-

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282 Ragionieri, La storia politica e sociale…, cit. p. 2466.283 Pietro Montagnani, I comuni nel fronte della democrazia, Icd nov.-dic. 1947, p. 121.284 Ragionieri, La storia politica e sociale…, cit. p. 2468. 285 Sulla diversità di trattamento riservato dalle autorità di governo ai comuni della sinistra

(in particolare Modena) rispetto a quelli guidati da partiti governativi (in particolare Padova),nell’ambito di una comune mortificazione dell’autonomia locale, cfr. Giovanni Taurasi, Auto-nomia promessa, autonomia mancata. Governo locale e reti di potere a Modena e Padova (1945-1956), Roma, Carocci 2005.

286 Federico Leghissa, Il comune democratico nel quadro della lotta contro la reazione, Icd nov.-dic. 1947, pp. 122-3.

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cessità di dotarsi di una rivista per i propri amministratori locali. Le ragioniche portarono a questa pubblicazione erano, ufficialmente, di carattere tecni-co: “un numero elevato di autentici lavoratori” era stato eletto nelle assembleelocali e “L’Amministratore democratico. Bollettino mensile di orientamento ed’informazione. Edito a cura del centro di consulenza per gli enti locali delP.C.I.” intendeva aiutarli “efficacemente”287. In effetti, però, già esistevano nu-merose ed affermate riviste di carattere tecnico a cominciare da “Il comune de-mocratico”, e da “Il corriere amministrativo”, che pubblicava i documenti uf-ficiali dell’Anci. Era evidente però che l’obiettivo del nuovo mensile non eradi tipo tecnico ma politico: rafforzare i legami tra il Partito comunista ed ipropri iscritti presenti nelle amministrazioni locali. A somiglianza della rivistamilanese “L’Amministratore democratico” era edito a cura di un Centro diconsulenza288; la sede della direzione e dell’amministrazione era in Via delleBotteghe Oscure, 13, Roma; la strada il cui nome avrebbe poi simboleggiatola sede nazionale del Pci.

La nuova rivista rivolgeva la propria attenzione più decisamente versoquestioni di carattere generale. Ospitava articoli di informazione sugli avve-nimenti di politica nazionale289, sui lavori della Costituente in materia di en-ti locali, sulla finanza locale, sulle riunioni di sindaci ed amministratori dipartito a livello locale e nazionale, ma non mancavano articoli su specifichequestioni di amministrazione locale e, più in generale, su problemi di go-verno.

Gli argomenti trattati erano sostanzialmente gli stessi de “Il Comune de-mocratico”, ma con una maggiore accentuazione politica. Erano molto nu-merose anche in questo periodico le notizie sulla finanza locale, in partico-lare sul risanamento della finanza di comuni e province290 e sulla gestionedell’imposta di famiglia. Erano molti poi gli articoli in difesa degli ammini-stratori della sinistra contro i soprusi del Ministero dell’Interno e sugli spe-cifici organi di consultazione dei cittadini istituiti dalle amministrazioni disinistra.

Dei Consigli tributari comunali veniva fatta la storia, illustrata l’attività, for-nito il regolamento. Erano quattro i consigli composti dai cittadini che aveva-no iniziato la loro attività a Bologna il 1° agosto 1946:, “investiti dei compitidi accertamento e di concordato per l’applicazione dell’imposta di famiglia”. Al31 dicembre 1946 i Consigli bolognesi avevano svolto 201 sedute, istruite e de-finite 687 pratiche relative a redditi di capitali e misti, 509 si erano conclusecon un concordato con il contribuente, 178 senza. I risultati erano significati-vi: i 509 contribuenti avevano dichiarato un reddito di 50.027.602 lire, ed ave-

88 PARTE II

287 Presentazione, AD apr. 1947, p. 1288 La decisione di pubblicare una rivista e di aprire un centro di consulenza per gli enti lo-

cali del Pci a Roma, a poco meno di un anno di quello di Milano, era stata presa, quasi certa-mente, nel convegno dei sindaci comunisti svoltosi a Roma nel marzo del 1947; Convegno disindaci comunisti, AD apr. 1947, pp. 4-7.

289 Cfr. Offensiva antidemocratica, AD giu.-lug. 1947, nn. 3-4, pp. 1-2.290 Autonomia finanziaria dei Comuni, AD apr. 1947, n. 1, pp. 9-10; Per il risanamento fi-

nanziario dei comuni e delle province, “AD mag. 1947, n. 2, pp. 6-8.

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vano poi concordato la denuncia di 337.008.584 lire291, con un evidente bene-ficio per le assetate casse comunali.

Il fondamento giuridico degli organismi era dato dall’art. 117 del regola-mento della Legge comunale e provinciale approvato con r.d. 12 feb. 1912 n.297 nel quale era previsto che “nella formazione della matricola delle tasse laGiunta comunale ‘può anche avvalersi dell’opera preparatoria di speciali Com-missioni da essa nominate’”, il legislatore di allora “non immaginava neppurelontanamente quale sviluppo avrebbe avuto tale norma dal 1946!”. Venivanodefiniti dalla stampa governativa “Soviets tributari”, ma la possibilità di limita-re l’evasione dall’imposta li giustificava ampiamente292.

Ai Consigli tributari si sommavano le Consulte popolari “sorte per primea Milano come organi di democrazia diretta nell’ambito della vita comunale,hanno ormai superato la fase di esperimento diventando organismi insosti-tuibili per i rapporti e i contatti diretti tra l’Amministrazione comunale e lapopolazione”. Le Consulte si sarebbero dovute costituire in ogni rione senza“un rigido schema organizzativo”. Il massimo sostenitore, Piero Montagnani,proponeva nel suo opuscolo293, che alle Consulte corrispondessero delle As-semblee popolari rionali, nelle quali i cittadini avrebbero avuto modo di ma-nifestare le proprie esigenze, anche di fronte ai singoli assessori competentiinvitati di volta in volta. Un Comitato cittadino di coordinamento avrebbepoi dovuto coordinare le richieste delle varie Consulte ed Assemblee294. Il pri-mo congresso delle Consulte popolari si svolse a Milano il 21 dicembre1947295.

Un altro esempio di promozione della partecipazione popolare democraticaal governo locale attraverso l’utilizzazione delle norme vigenti era quello del de-centramento dell’attività e dell’amministrazione comunale nei quartieri attiva-to nella città di Bologna nella seconda metà degli anni ‘50. Il comune, in que-sto caso, sfruttò l’art. 155 della legge comunale e provinciale del 1915 che pre-vedeva la possibilità per i comuni con più di 60.000 ab. della ripartizione inquartieri con facoltà del sindaco di nominare degli “aggiunti” scelti tra gli eleg-

DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 89

291 Realizzazioni dei consigli tributari municipali a Bologna, AD mag. 1947, pp. 11-2; si ve-da anche L’attività dei consigli tributari municipali a Milano, AD dic. 1947, pp. 18-9; Luigi Gi-gliotti, I consigli tributari nell’esperienza di Bologna, Milano e Genova, AD gen.-feb. 1948, pp.21-5; Luigi Gigliotti, I ricchi contro i consigli tributari, AD apr. 1948, pp. 95-7.

292 Venivano proposti anche dalla minoranza di sinistra del comune di Roma; Luigi Gi-gliotti, Le consulte tributarie di Roma, AD mar.-apr. 1949, pp. 120-1.

293 Piero Montagnani, Un’esperienza democratica: le consulte popolari, prefazione dell’on.Giancarlo Paletta, Milano, Fcm, 1947.

294 P.M., Le consulte popolari (origine ed organizzazione), AD ott.-nov. 1947, pp. 8-9; si ve-da anche Mario Osti, Le consulte popolari. (due esperienze: Milano e Napoli), AD dic. 1947, pp.8-9; Il convegno delle consulte popolari di Bologna, ad, 1948, n. 4, pp. 81-5; B. Garbagnati, Leconsulte cittadine di Torino, AD feb. 1949, pp. 65-6.

295 Erano “presenti i rappresentanti del Comune di Milano, della Deputazione provinciale,dei sindaci di Bologna Genova, Venezia, Torino, nonché quelli dei partiti politici, della Came-ra del lavoro, della Federterra, e di altre numerose associazioni partigiane e combattentistiche,economiche, sociali ed assistenziali”; Primo congresso delle Consulte popolari, Icd gen.-feb. 1948,pp. 16-18.

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gibili, con l’approvazione del prefetto296. Si trattò di un’iniziativa che si sarebbesviluppata ed estesa gradatamente fino ad arrivare alla sperimentazione dei con-sigli di quartiere e di borgata approvati in via sperimentale nel 1968 dal Mini-stero dell’interno nei comuni di Bologna, Venezia e Roma, Ministero che peròaveva “bloccato le delibere di tutte le altre città”297.

Il motto sulla copertina della rivista del Pci per gli amministratori “Il co-mune al popolo. Il popolo al comune”298, si sostanziava in una concreta prati-ca politica. L’obiettivo era quello di legare i cittadini all’amministrazione po-polare, di rafforzare i legami tra sindaco e popolazione299, per colmare il dis-tacco che si era creato nei vent’anni della dittatura. Certo era evidente che l’e-sempio dei soviet, l’appello all’esperienza rivoluzionaria sovietica, costituiva unrichiamo affascinante per gran parte del popolo della sinistra dell’immediatosecondo dopoguerra, ma era altrettanto evidente che il mito della democraziasovietica non venne mai associato – almeno nelle riviste esaminate per questaricerca - ai nuovi organi di consultazione popolare. Contemporaneamente ilPci - come anche il Partito socialista -, continuando una storica battaglia com-battuta dalla sinistra nell’Italia liberale, proseguita negli anni successivi, cer-cava di consolidare l’istituzione del sindaco attraverso il conferimento diun’indennità di funzione perché, come titolava un articolo, I sindaci non vi-vono d’aria300.

1.6. La rifondazione della Lega dei comuni

L’8 dicembre, a poco più di dieci giorni dalla cacciata del prefetto Troilo, sisvolse a Milano un congresso di comuni democratici della provincia nel qualevenne espressa la volontà di “lottare per la democrazia e per il rinnovamento delPaese, saldamente uniti non solo su scala provinciale o regionale, ma sul pianonazionale […] di inserirsi nello schieramento di tutte le forze democratiche, dicostituire cioè parte integrante del Fronte democratico popolare […] di uniresolidalmente al Comune democratico o alle minoranze all’opposizione, nellaloro azione difensiva contro le forze reazionarie locali contro lo Stato accentra-tore e contro il Governo forcaiolo, le larghe masse popolari” 301.

90 PARTE II

296 Giuseppe Dozza, Democratizzare le strutture comunali. La città suddivisa in quartieri e lanomina di “aggiunti” sindaci, Icd nov. 1957, pp. 19-20; sul decentramento comunale cfr. Pie-tro Procioni, Il cittadino e la comunità locale, Icd nov. 1964, pp. 16-25.

297 Decentramento e iniziativa popolare, Icd giu. 1968, inserto fotografico. 298 Lo stesso motto appariva nella copertina de “Il comune democratico”, probabilmente, a

partire dal marzo 1948 il “probabilmente” è dovuto al fatto che non tutte le copie consultatesono corredate di copertina, dove il motto era inserito appena sotto il titolo. Nel 1947 sotto latestata appariva la ben più innocua dicitura “Rassegna della stampa amministrativa”.

299 Rapporti fra il sindaco e la popolazione, AD mag. 1947, pp. 15-7.300 Mario Franceschelli, I sindaci non vivono d’aria, AD ago.-set. 1947, pp. 5-6.301 Cfr. La carta costitutiva del Fronte democratico popolare, Icd gen.-feb. 1948, p. 12. La car-

ta al punto 2, “sviluppo democratico”, comma b), prevedeva: “nei Comuni: l’attuazione dellaautonomia degli Enti locali e la riforma finanziaria che ne assicuri l’attività e il bilancio in con-formità delle esigenze democratiche delle popolazioni”; ibidem.

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La rivista dei comuni della provincia di Milano non lo scriveva ma era eviden-te che i fatti del 27 novembre avevano sancito la spaccatura tra gli enti locali am-ministrati da comunisti e socialisti ed il resto del movimento302. L’estromissione delprefetto Troilo dalla prefettura di Milano appariva come la trasposizione, sul pia-no locale, dell’allontanamento dei partiti della sinistra dal governo di Roma avve-nuta in ambito nazionale. La fruttuosa collaborazione che aveva permesso la ste-sura della Carta fondamentale era così cessata quasi alla vigilia dell’entrata in vi-gore della Costituzione repubblicana. “I Comuni democratici associati nella lottae per la lotta”, riportava l’ordine del giorno dell’assemblea dell’8 dicembre, dove-vano entrare nel Fronte democratico. Le parole d’ordine dei comuni milanesi, se-condo “Il comune democratico”, erano state fatte proprie dal Congresso naziona-le di Firenze da cui “sorse la ‘Lega nazionale dei comuni democratici’, la quale, ri-allacciandosi alle gloriose tradizioni socialiste, le rinverdisce le attualizza e le so-stanzia”. La necessità “di un largo, costante, organizzato legame con le masse po-polari” emersa nel corso dell’assemblea, aveva possibilità di sostanziarsi nella “ori-ginale esperienza delle ‘Consulte Popolari’ che tale legame realizzano e che, sorte aMilano, si sono impetuosamente irradiate in quasi tutto il Paese”303.

Se “Il comune democratico” di Milano metteva in risalto i precedenti milane-si nella costituzione della Lega, la rivista del Pci, di Roma, sottolineava, invece, iprecedenti romani. Il numero di ottobre-novembre 1947 de “L’Amministratoredemocratico” annunciava che, a seguito della deliberazione assunta nel “Conve-gno dei sindaci socialisti e comunisti dei comuni capoluoghi di provincia e di al-tri importanti comuni” del 14 dicembre a Roma, si sarebbe svolto alla fine di di-cembre Un grande congresso nazionale dei comuni democratici a Firenze304. Nelmensile legato al Pci traspariva la volontà di slegare la Lega dei comuni dalla real-tà di Milano e dagli eventi che si erano svolti nella città lombarda facendo appa-rire la nascita dell’organizzazione come il frutto di una meditata scelta politica le-gata all’evoluzione complessiva della situazione degli enti locali305.

1.6.1. Comuni e province di sinistra nella strategia di opposizione al governo

Molto probabilmente i fatti del 27 novembre avevano solo ratificato quan-to andavano da tempo preparando le segreterie dei partiti306 ma, comunque, fua partire da quella data che comuni e province guidate dai partiti popolari en-

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302 Deve comunque essere ricordato che Montagnani, nella relazione al congresso milanesepubblicata nella rivista, aveva sottolineato l’importanza dell’azione concorde dei 160 Comunidella provincia in occasione delle proteste di novembre e si rifaceva a quei fatti per evidenziarel’importanza del legame tra comuni e popolo; I congressi di Milano e di Firenze. Relazioni. Mon-tagnani, Icd gen.-feb. 1948, pp. 3-4.

303 Il Comune democratico, Obiettivi di lotta e di vittoria, Icd gen.-feb. 1948, pp. 1-2. 304 Un grande congresso nazionale dei comuni democratici a Firenze, AD ott.-nov. 1947, p. 1.305 Questa interpretazione della nascita della Lega è sostenuta, sostanzialmente anche da

Massimo Severo Giannini , Associazione Nazionale dei Comuni Italiani e Lega dei Comuni De-mocratici, CA, 15-31 gen. 1948, pp. 16-18.

306 Si vedano, a questo proposito, le accuse incrociate di Giulio Turchi, per la Lega, e diAchille Guerra, per l’Anci, (citati oltre più estesamente) di aver preparato la rottura dell’unità

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trarono a far parte a pieno titolo della più ampia strategia di opposizione deipartiti della sinistra al Governo, come sottolineava l’articolo che annunciava ilcongresso di Firenze: “Dopo il Congresso dei consigli di gestione e la Costi-tuente della Terra, un altro imponente schieramento di forze democratiche staper realizzarsi: quello dei Comuni Democratici […, che] si inserirà in un largo‘Fronte per la Pace, la Libertà e il Lavoro’307 in cui si raccoglieranno tutte le for-ze democratiche e popolari italiane e che troverà nei comuni l’espressione uni-taria locale”.

Alla premessa politica generale seguiva, ne “L’Amministratore democratico”,il testo della mozione approvata dai sindaci riuniti a Roma308 e, ancora, alcuniarticoli di preparazione al congresso di Firenze dai titoli molto espliciti: Lottanei comuni, lotta nel Paese; Il comune, organismo politico309.

Proprio come era avvenuto nel primo ‘900, i comuni divennero teatro del-l’aspra battaglia in corso tra le forze che sostenevano il Governo centrale equelle dell’opposizione. Ancora una volta furono i partiti della sinistra a far-si portavoce delle ragioni delle autonomie locali, per la prima volta, invece,ad appoggiare quelle del Governo nazionale fu il partito dei cattolici, insiemeai socialisti di Giuseppe Saragat. Nel secondo dopoguerra, a giocare il ruoloche un tempo toccò ai governi liberali furono la Democrazia cristiana, erededel Partito popolare italiano di Sturzo, in particolare nella persona del Mini-stro dell’interno Scelba - molto vicino al sacerdote di Caltagirone - e il Parti-to socialista dei lavoratori italiani (Psli, dal 1952 Partito socialdemocraticoitaliano, Psdi), erede dei socialisti riformisti i quali, come i cattolici di Stur-zo, furono i più strenui sostenitori dell’autonomia comunale nel periodo li-berale e fascista.

1.6.2. Continuità e differenza tra le aggressioni fasciste nel ’20 e ’21 e quelledel periodo repubblicano

L’arresto del sindaco comunista di Genzano, Mario Colacchi, era l’ultimodegli eventi che simboleggiavano la continuità tra l’aggressione ai comuni com-piuta dai fascisti del primo dopoguerra, svolta con la complicità del governo li-berale, e quella che stava compiendo il governo repubblicano nel secondo do-poguerra: “Si vogliono esautorare e liquidare queste amministrazioni, che osta-colano la libertà d’azione del governo antidemocratico. Alla stessa maniera lapensavano i fascisti nel ’20 e ’21 ed abbiamo visto quali sono state le conse-guenze”310. L’estensione del fenomeno era tale da essere denunciata dalla rivista

92 PARTE II

degli enti locali con la costituzione di organizzazioni di amministratori di partito; Giulio Tur-chi, Politica e amministrazione, Icd nov.-dic. 1948, pp. 169-172; idem, Richiamo alla realtà, ADnov. 1948, pp. 395-9; Achille Guerra, Richiamo alla realtà, CA, 30 set. 1948, n. 18.

307 Sull’adesione della Lega al Fronte della Pace, cfr. Marco De Simone, Comuni popolari eFronte della Pace, del Lavoro e della Libertà, AD dic. 1947, pp. 6-8.

308 Un grande congresso nazionale dei comuni democratici a Firenze, AD ott.-nov. 1947, p. 1.309 AD ott.-nov. 1947, pp. 2-4 e 5-7. 310 Mario Colacchi: sindaco di Genzano, AD ott.-nov. 1947, p. 22.

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del Pci come L’offensiva reazionaria contro i sindaci democratici311. L’attacco aicomuni non avveniva solo attraverso provvedimenti che colpivano i sindaci maanche con il classico strumento dello scioglimento dei consigli comunali312.

Ultimo elemento da sottolineare nella scelta della data di svolgimento delcongresso è la coincidenza con la firma della promulgazione della Legge fon-damentale da parte del Capo provvisorio dello Stato, il 27 dicembre 1947, qua-si a sottolineare il collegamento tra la nascita della Costituzione e quella diun’organizzazione votata, sin dal primo momento, ad ottenere quell’autonomialocale che pure era garantita dalle norme sui cui si sarebbe dovuto basare il nuo-vo Stato repubblicano.

Fu questo il clima nel quale si svolse l’appuntamento di Firenze nel qualevenne affrontata la questione di un’autonomia locale fortemente limitata nellarealtà e affermata, ma solo teoricamente, nella nuova Costituzione repubblica-na..

1.6.3. Il congresso di rifondazione della Lega

Il congresso di fondazione della Lega si tenne, dunque, nel capoluogo to-scano il 27 dicembre 1947, nel teatro comunale, parteciparono all’appunta-mento rappresentanti di oltre 1.500 comuni della sinistra su 3.000, le adesionivennero soprattutto dal centro-nord, dove erano più forti le Leghe provincia-li313. Alla presidenza sedevano i sindaci di Torino, Negarville; Firenze, Fabiani;Genova, Tarello; Bologna, Dozza; Arezzo, Grazi, e, quindi, gli onorevoli Scoc-cimarro, Gasparotto, Cevolotto, Carpano e Miglioli.

Nella mozione conclusiva approvata dal congresso si dava “mandato al co-mitato provvisorio della Lega dei comuni di svolgere un’immediata azione di-retta” ad ottenere:- l’autonomia, attraverso l’attuazione della Costituzione che sarebbe entrata

in vigore il successivo 1° gennaio 1948;- il risanamento dei bilanci comunali;- una più vigorosa politica di lavori pubblici, specie riguardo l’edilizia abita-

tiva.A Firenze l’assemblea votò lo stesso testo predisposto dal Comitato di ini-

ziativa per il Congresso nazionale dei comuni democratici nominato dal citatoConvegno dei sindaci socialisti e comunisti tenutosi il 14 dicembre a Roma.Nel seguito della mozione conclusiva gli amministratori e i consiglieri della si-nistra richiamavano quindi la necessità di organizzarsi in forma autonoma, co-me già avevano fatto altri settori dell’apparato del Pci e del Partito socialista,

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311 L’offensiva reazionaria contro i sindaci democratici. Reati inesistenti e funzioni del sindacoin democrazia AD dic. 1947, pp. 12-3; Giulio Turchi, Difendiamo i sindaci, AD ago.-set. 1948,pp. 267-8

312 Vincenzo Bisconti (segretario generale del comune di Ravenna), Lo scioglimento dei con-sigli comunali nella Repubblica Democratica, AD gen.-feb. 1948, pp. 16-8.

313 La Lega dei comuni democratici. (Nostra intervista col compagno Turchi, Segretario nazio-nale della Lega), AD mar. 1948, pp. 5-7.

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“organismi di questa lotta popolare [contro il governo] identica alla lotta deiComuni democratici: i Consigli di gestione, i Comitati per la rinascita del Mez-zogiorno e i Comitati per la Terra”. E concludevano con la volontà di “costi-tuire la Lega nazionale dei Comuni e degli amministratori democratici, colcompito di coordinarne e dirigerne l’azione al fine soprattutto di ottenere lapronta attuazione dei principi sanciti nella Costituzione”314.

1.7. Due organizzazioni di uno stesso movimento per le autonomie locali: leragioni di Massimo Severo Giannini

Una caratteristica fondamentale della Lega nata a Firenze nel 1947, che ladifferenziava in modo determinante da quella del periodo liberale, era la di-chiarata compatibilità con l’Anci. La Lega dei comuni democratici nacque permeglio organizzare e far valere le ragioni di province e comuni socialisti e co-munisti, non per isolare gli enti locali della sinistra dal movimento per le auto-nomie locali. Gli amministratori popolari, quindi, avrebbero continuato a farsentire la propria autorevole voce anche nell’Anci. Questo significava forse chela lezione dei riformisti dell’Italia liberale era stata appresa o era piuttosto unaennesima manifestazione della “doppiezza” della sinistra, come di tutti i partitinegli anni del secondo dopoguerra?

La risposta non è univoca e - come chiarito fin dalle premesse della ricerca- non è questa la sede per tentare una spiegazione politica di questa scelta. Se-condo Ragionieri il dato di fatto era che il Pci se non fu l’unico partito comu-nista dell’Europa occidentale ad utilizzare il prestigio politico e la forza eletto-rale derivanti dal successo nella lotta partigiana, fu però “il solo che ha saputodi qui prendere le mosse per estendere la sua presenza e la sua influenza nellasocietà e per evitare, in ogni fase della lotta politica, quell’isolamento che ha co-stituito un costante obiettivo della conservazione italiana”315.

Per quanto riguarda le vicende qui descritte, è possibile affermare che la po-litica delle alleanze sostenuta dal Pci di Togliatti non costituiva la motivazionefondamentale della tensione unitaria del movimento comunale, ma coincidevacon essa. Le ragioni dell’unità influenzavano tutta la storia del movimento co-munale ed avrebbero superato, nei fatti, quelle che avevano portato alla rottu-ra della collaborazione tra i partiti del Cln. A spiegare questo particolare pun-to di vista fu Massimo Severo Giannini. Il giurista, all’indomani della fine del-la seconda guerra mondiale, si era occupato di autonomie locali collaborandocon Adriano Olivetti alla concretizzazione del progetto olivettiano della “Co-munità”316. Aveva poi tentato nel 1946, senza successo, di vedere riconosciutedal Partito socialista le tesi del compromesso da lui elaborato tra le posizioni suee di Olivetti e quelle del Partito. Quelle tesi che, dopo la pubblicazione in for-

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314 Il Congresso dei comuni democratici a Firenze, AD dic. 1947, pp. 1-3.315 Ragionieri, La storia politica e sociale…, cit. p. 2458. 316 Adriano Olivetti, L’ ordine politico delle Comunità: garanzie di liberta in uno stato sociali-

sta, Ivrea, Nuove edizioni Ivrea, 1945.

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ma anonima in una rivista socialista317, decise di far apparire, questa volta fir-mate – Giannini, Olivetti -, nelle pagine dell’Anci nel “Corriere amministrati-vo”318. L’interesse di Giannini per gli enti locali territoriali fu secondo solo aquello per l’ordinamento giuridico, ed a questo interesse per gli enti locali, evi-denziato da Sabino Cassese319, era direttamente collegato quello, altrettanto im-portante, verso il movimento per le autonomie locali, attraverso il movimentocomunale italiano - ed internazionale320 - prima nell’Anci, e poi nella Lega. Al-l’Associazione dei comuni il professore partecipò dal 1947 - quando fu chia-mato a far parte del direttivo - al 1953; per un più breve periodo aderì anchedel Movimento di comunità fondato da Olivetti, sempre nel 1947, del quale fucomponente del comitato centrale321. La storiografia non ha però finora evi-denziato il suo ruolo nella e per la Lega, che fu degno di rilievo.

1.7.1. La compatibilità tra Anci e Lega

Sostenendo la compatibilità tra Anci e Lega nel “Corriere amministrativo”Giannini, per quanto inascoltato, diede solide basi alla posizione politica soste-nuta da tutta la sinistra nell’Italia repubblicana, e dai soli riformisti nel periodoliberale. In anni nei quali la classe dirigente al governo era convinta della nettadivisione tra politica ed amministrazione, e quella all’opposizione della preva-lenza della prima sulla seconda, Giannini sostenne compatibilità e complemen-tarietà dei due termini. Il professore evidenziò l’importanza sostanziale dell’im-pegno “tecnico” delle due organizzazioni senza per questo mettere in secondopiano la valenza “politica”. Giannini auspicò, così, un’azione combinata delledue organizzazioni in nome del raggiungimento degli obiettivi comuni. L’Anci,per il professore, era un’associazione “tecnico-politica”, che rappresentava tutti icomuni, la Lega, invece, era un’organizzazione “politico-tecnica” che mirava ad“esercitare un costante e sensibile richiamo sull’opinione pubblica delle condi-zioni di fatto che ostacolano la vita comunale, e che essa identifica in certe de-

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317 Il problema delle autonomie locali, in “Bollettino dell’Istituto di studi socialisti”, n. 3, 16feb. 1946, pp. 1-6.

318 Cfr. Davide Cadeddu, L’autonomia locale di Massimo Severo Giannini, in Annale Isap,13/2005, pp. 31-7; per la pubblicazione citata: [Adriano Olivetti, Massimo Severo Giannini],Il problema delle autonomie locali, CA, 15-28 feb. 1946, pp. 143-152.

319 Sabino Cassese, Cultura e politica del diritto amministrativo, Il Mulino, Bologna, 1971,p. 116.

320 La partecipazione del professore ai convegni Union Internationale de Villes, per l’Anci,era seria ed impegnativa, si veda a questo proposito il suo scritto Autonomia locale e autogover-no, CA, 15-30 nov. 1948, pp. 1057-73, accuratamente commentato dal già citato Cadeddu,L’autonomia locale di Massimo Severo Giannini…, cit.. Sul movimento comunale europeo ed in-ternazionale cfr. “Contemporary European History”, n. 4, nov. 2002; Patrizia Dogliani e OscarGaspari, Origini e sviluppo del movimento comunale europeo, in Idem (a cura di), L’Europa deicomuni..., cit., pp. 7-28.

321 Giannini in seguito avrebbe ricordato con amarezza i suoi anni nell’Anci, un periodo se-gnato dalle “tante inutili commissioni”; ACS, Carte M.S. Giannini, Documento sugli ordina-menti territoriali presentato da M.S. Giannini, citato da Guido Melis, Giannini e la politica, in“Rivista trimestrale di diritto pubblico”, n. 4, 2000, p. 1264.

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terminate resistenze politiche. Quindi la Lega non potrebbe esercitare le funzio-ni di rappresentanza generale che esercita l’Associazione; ma questa per sua par-te, non potrebbe svolgere quell’azione di pressione e di persuasione politica, chela Lega si assume”. Non solo tra le due organizzazioni non vi era incompatibili-tà ma, al contrario, si sarebbero potute rafforzare a vicenda. Così concludeva ilsuo articolo Giannini: “Non è da escludere anzi che le due associazioni, svol-gendo ciascuna la sua azione, si potenzino a vicenda, raggiungendo dei risultatipiù ampi di quelli che si sarebbero potuti raggiungere con una sola di esse”322.

I concetti espressi dal professore riecheggiano quelli espressi da Caldara nel1916 che aveva evidenziato non l’incompatibilità - decisa dalla direzione del Psi– ma la diversità delle due organizzazioni, nate “una con determinati fini poli-tici [la Lega], l’altra come strumento tecnico di difesa e di studio [l’Anci]”323.Una diversità che – nonostante l’imposizione ai comuni socialisti di abbando-nare l’Anci, decretato dalla direzione - non avrebbe dovuto impedire – e nonimpedì - l’azione comune delle due strutture, come avevano auspicato lo stes-so Caldara e Sichel324.

Per Giannini - che, ricorda Cassese, riteneva “l’azione politica lo spazio ne-cessario dell’impegno riformatore, per cui l’assenza da quell’area avrebbe resoimpossibile l’impegno”325 - politica ed amministrazione non solo non erano in-compatibili ma erano parte di un unico e indivisibile “impegno riformatore”.Per questo, deluso dal risultato della sua attività nel Psi, aveva deciso di impe-gnarsi nel movimento comunale.

È possibile mettere in risalto l’importanza dell’impegno di Giannini in que-sto ambito attraverso le note di Gaetano D’Auria sull’importanza fondamenta-le attribuita dal giurista all’amministrazione326 fin dal “1946, quando domina-va, in tutti gli schieramenti politici, l’incerta e contraddittoria idea – poi rifles-sa nella Costituzione – che l’amministrazione fosse il ‘braccio esecutivo’ del go-verno (ai cui comandi non si può che obbedire) e, però, con addetti ‘al servizioesclusivo della Nazione’ (quindi, svincolati da doveri di obbedienza politica opartitica). Contraddizione risolta, nei fatti, con la dominanza – tuttora perdu-rante – della politica sull’amministrazione”327. Una dominanza che anche con

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322 Massimo Severo Giannini, Associazione Nazionale dei Comuni Italiani e Lega dei Comu-ni Democratici, CA, 15-31 gen. 1948, pp. 16-18.

323 Associazione o Lega dei comuni? Una lettera di Emilio Caldara, “Avanti!”, 23 feb. 1916.324 Lettera di Emilio Caldara, datata Milano 14 mar. 1916, pubblicata in AC, n. 5, 31 mag.

1916, p. 1; Lettera di Adelmo Sichel, datata Guastalla, 24 mar. 1916, ibidem.325 Sabino Cassese, Giannini: l’uomo e il lascito scientifico, in “Rivista trimestrale di diritto

pubblico”, n. 4, 2000, p. 960. Peraltro Cassese giudica il descritto impegno di Giannini come“un errore di prospettiva proprio della sua generazione”, un errore, è possibile commentare, cheavrà forse amareggiato al vita del professore - come ricorda sempre Cassese - ma che era l’e-spressione insopprimibile della sua grandissima generosità personale.

326 Questo concetto sintetizza un’espressione ben più complessa di D’Auria, secondo il qua-le, “per Giannini, l’amministrazione, lungi dall’essere una sovrastruttura della società o dell’e-conomia, [era] – invece – parte integrante dell’assetto di rapporti che, in ogni ordinamento, siinstaura fra potere pubblico e cittadini”; Gaetano D’Auria, Giannini e la riforma amministrati-va, in “Rivista trimestrale di diritto pubblico”, n. 4, 2000, p. 1218.

327 Ibidem

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quell’articolo ne “Il corriere amministrativo” Giannini volle negare, pur perso-nalmente impegnato con la sinistra, dimostrando un’assoluta libertà di giudi-zio in un periodo di fortissima contrapposizione politica. La sua interpretazio-ne, oltretutto, non rimase confinata nell’ambito dell’interpretazione teorica.Giannini, infatti, si impegnò nell’Anci e nella Lega senza tener conto in alcunmodo del fatto che l’una fosse vicina ai partiti al governo e, l’altra, ai partiti del-l’opposizione, ai quali però lui era senza dubbio più legato.

1.7.2. La polemica tra Guerra (Anci) e Turchi (Lega)

La posizione eterodossa manifestata da Giannini venne ignorata sia dall’u-na, sia dall’altra parte. Nessun richiamo alle sue parole comparve sulle rivistedegli amministratori dei partiti della sinistra, mentre in quella dell’Anci, alcu-ni mesi dopo, venne pubblicato un articolo che esprimeva una posizione esat-tamente contraria che, questa sì, venne puntualmente contestata dal segretariodella Lega, Turchi.

Achille Guerra, dalle pagine riservate all’Anci ne “Il corriere amministrati-vo”, dopo aver ricordato la storia dell’Associazione del periodo liberale, che ave-va visto lavorare insieme il cattolico Sturzo e il massone Nathan, il riformistaCaldara ed il cattolico Meda, contestava la creazione di organizzazioni comu-nali di partito, fossero queste la Lega, vicina alla sinistra, o l’Unione nazionaleenti locali, vicina alla Democrazia Cristiana. Questo perché, in questo modo,si portava “ad incrinare, con la lotta politica, il campo della pura e semplice am-ministrazione ed entrambe vogliono trarre partito a giustificare la propria esi-stenza in contrasto od a complemento della Associazione nazionale dei comu-ni italiani da quella apoliticità, che all’Associazione medesima esse attribuisco-no come peccato originale, ma che ne è, invece, il requisito sostanziale”, rom-pendo, quindi, l’unità dei comuni in tante organizzazioni minoritarie quantierano i partiti di riferimento. Solo l’Anci, sempre secondo Guerra, grazie allapropria apoliticità, era e poteva essere in grado di rappresentare e di dar voce atutti i comuni in campo sia nazionale, sia internazionale328.

Giulio Turchi, comunista, segretario della Lega, al contrario di Guerra, riven-dicava il ruolo politico della Lega del periodo liberale, ricordava che era stata laLega e non l’Anci a portare nel 1920 in Parlamento, con Matteotti, il disegno dilegge per l’indennità ai sindaci. “Il tecnicismo – scriveva il segretario - non basta;e l’apoliticità tanto conclamata ed esaltata o è una illusione o significa soltanto ilprevalere nell’Associazione delle stesse forze che dirigono il governo”. Turchi con-testava poi il fatto che, come scriveva Guerra, l’Anci avesse avuto un qualche ruo-lo contro il fascismo, non fu certo per quello che l’Associazione era stata scioltanel 1926, ma solo perché era un ostacolo alla politica centralista della dittatura.

L’esponente comunista faceva risalire la nascita dell’Anci “apolitica” all’at-mosfera di collaborazione tra i partiti che componevano il Cln: “Ciò che ca-

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328 Achille Guerra, Richiamo alla realtà. Parole ai sindaci ed agli amministratori comunali,CA, 30 set. 1948, pp. 865-870.

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ratterizzava allora quei convegni e quelle discussioni era la facilità con la qualei sindaci socialisti, comunisti, democristiani e di altre correnti, si mettevanod’accordo”.

Una volta cessata la collaborazione tra i partiti che avevano vinto il fascismonella Resistenza l’unità nell’Anci non era più possibile, così “la Lega fu costi-tuita essenzialmente per coordinare e dirigere l’azione amministrativa e politi-ca dei comuni sul piano della lotta per la democratizzazione effettiva del Paesee in accordo con tutte le forze organizzate e operanti allo stesso fine […] la Le-ga è una delle tante manifestazioni conseguenti alla mutata situazione politicaitaliana, come lo è la costituzione dell’Unione nazionale degli enti locali”. Tral’altro, sottolineava Turchi, ben prima della costituzione della Lega si erano co-stituite le Unioni provinciali enti locali della DC, che da tempo si stava prepa-rando alla “rottura dell’unità in tutti i settori”.

Il segretario della Lega ricordava poi che non erano solo questioni tecnichequelle che riguardavano i comuni. Citava questioni di tipo tributario, il rias-setto delle finanze comunali per le quali il governo aveva accettato le propostein merito delle Confederazioni dell’Industria e non quelle dei comuni; ricor-dava l’accanimento dei prefetti contro i consigli tributari, contro la gestione di-retta delle imposte sui consumi da parte dei comuni, il divieto di pagare la quo-ta associativa all’organizzazione. In ogni caso “La Lega non ha mai invitato i co-muni ad uscire dall’Associazione […] Siamo favorevoli [all’Anci] perché con-vinti che i comuni possono muoversi su un piano unitario, su tutti i problemitecnici e anche su certi problemi politici; l’esperienza ha dimostrato e dimostrache quanto più si è vicini al popolo e più è facile trovare un comune terreno diintesa; e nessuno è tanto vicino al popolo quanto i sindaci”.

Dopo la fine dell’unità dei partiti del Cln però, ribadiva Turchi, non era piùpossibile avere una sola organizzazione comunale ma – in quella che era una chia-ra sottolineatura dell’unità del movimento per le autonomie locali - aggiungeva:“A nostro avviso l’Associazione dei Comuni Italiani dovrebbe costituirsi su ba-se federativa: Federazione delle organizzazioni provinciali, o più semplicemen-te delle organizzazioni nazionali. Io pongo il problema, non lo risolvo”.

Su questa base esprimeva l’auspicio che il prossimo congresso dell’Anci fosseadeguatamente preparato e che fosse stimolata la discussione. L’interesse del segre-tario della Lega per lo svolgimento del congresso dell’Associazione dei comuni sibasava sull’idea che un’Anci rappresentativa delle istanze di tutti i comuni non po-teva che essere di vantaggio nei rapporti con l’opinione pubblica nazionale:“Tutti debbono comprendere che i comuni, i grandi come i piccoli, sono le pie-tre angolari del nostro ordinamento democratico e che i sindaci, dal più illustreal più oscuro, sono a pari titolo artefici ineliminabili e insostituibili della rico-struzione morale e materiale del paese”329.

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329 Giulio Turchi, Politica e amministrazione, Icd nov.-dic. 1948, pp. 169-172; idem, Ri-chiamo alla realtà, AD nov. 1948, pp. 395-9. Un richiamo, in questo caso evidentemente stru-mentale, all’apoliticità delle amministrazioni locali veniva anche dalle dichiarazioni del Mini-stro dell’interno, Scelba, fatte al congresso straordinario dell’Upi in alcuni articoli pubblicatinel “Corriere della sera”, citati anche oltre; L’attualità politica, AD gen. 1949, pp. 1-2

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Turchi non ricordava l’idea di Giannini dell’importanza fondamentale del-l’amministrazione, mentre l’”apoliticità” dell’Anci sostenuta da Guerra - checoncludeva il suo articolo con un richiamo all’idea della “pura amministrazio-ne” intesa come “quell’arte, cioè, per mezzo della quale […] la ‘saggezza uma-na deve pervenire al soddisfacimento dei bisogni umani’” - corrispondeva benaltra realtà. La realtà di un’amministrazione che - parafrasando la citata affer-mazione di D’Auria – sarebbe dovuta essere al servizio esclusivo della Nazione,svincolata da doveri di obbedienza politica o partitica ma, nei fatti, era il brac-cio esecutivo del governo. Un governo che, in quegli stessi mesi, stava dura-mente colpendo comuni e province amministrati da socialisti e comunisti.

1.7.3. La convergenza sulla finanza locale

Divise da una diversa interpretazione del proprio ruolo, Lega ed Anci ri-uscivano a ritrovare l’unità d’intenti nelle concrete questioni dell’autonomia lo-cale. Non c’era nulla da stupirsi, quindi, del fatto che “Il comune moderno”pubblicasse, introducendolo come “un interessante articolo”, uno scritto inmateria di finanza locale di quello stesso Guerra che, qualche mese più tardi,come si è visto sopra, sarebbe stato aspramente contestato riguardo al suo giu-dizio sul ruolo della Lega. Le stesse conclusioni dell’articolo di Guerra - che, co-me commentava l’organo della Lega “constata con amarezza la delusione pro-vata dagli amministratori alla pubblicazione del provvedimento in esame”330 -potevano tranquillamente essere sottoscritte dalla Lega stessa: “Una ulterioreazione da parte degli amministratori degli enti locali è necessaria ed indispen-sabile affinché si possa finalmente conseguire il reale e definitivo assetto dellafinanza comunale nel quadro di un’effettiva autonomia dei Comuni e di unariforma tributaria veramente democratica”331.

La differenza maggiore era nei toni: illustrando lo stesso provvedimento dilegge commentato da Guerra la rivista scriveva “Articolo primo: una indegnapresa in giro”332. Non certo nella sostanza, come testimoniavano le risoluzioniapprovate nelle assemblee dei sindaci di quel periodo e molti articoli in mate-ria di finanza locale pubblicati nelle riviste per le autonomie locali, compreso il“Corriere amministrativo”333 ed un periodico specializzato come “L’ammini-strazione italiana”, nel quale si riprendeva anche il progetto di riforma tributa-

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330 Si trattava del decreto legislativo 26 marzo 1948, n. 261, concernente l’assetto della fi-nanza delle province e dei comuni.

331 Ecco il pensiero del prof. Achille Guerra, Icd giu. 1948, pp. 86-7.332 Assetto della finanza dei comuni, Icd giu. 1948, p. 86. 333 Sulla concordanza delle posizioni in materia di finanza locale espresse nel corso del se-

condo dopoguerra da sindaci e studiosi di diverso orientamento politico cfr. Luca Baldissara,Tecnica e politica nell’amministrazione. Saggio sulle culture amministrative e di governo munici-pale fra anni trenta e cinquanta, Bologna, Il Mulino, 1998, pp. 234-250. Non era rara, poi lapubblicazione di uno stesso articolo ne “Il corriere amministrativo” e ne “Il comune democra-tico”, come nel caso di quello redatto dal segretario della Federazione di comuni di Reggio Emi-lia, La gestione in economia delle II.CC. [imposte comunali] è veramente pregiudizievole per le fi-nanze dei Comuni?, Icd ago.-set. 1948, pp. 129-130; CA mag. 1948, pp. 412-6.

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ria di Matteotti334. La continuità dei problemi della finanza locale era assoluta,come testimoniava anche il discorso al Senato di Pietro Montagnani dell’otto-bre 1948 contro i Servizi statali addossati al Comune che riprendeva, tali e qua-li, i motivi delle prime iniziative del movimento comunale di fine ‘800 control’attribuzione di servizi pubblici dello Stato, e l’addebitamento delle relativespese, alle autonomie locali. Montagnani, partendo dalla limitazione dell’isti-tuto dell’integrazione dei bilanci ai soli comuni gravemente danneggiati dallaguerra stabilito dalla legge del 26 marzo 1948 sottolineava l’esistenza di alme-no “68 servizi di natura statale e di natura mista addossati ai Comuni e nonrimborsati ai Comuni”, servizi che per il 1947, al solo comune di Milano, co-stavano “ben 3 miliardi”335.

La continuità della questione della finanza locale dal periodo liberale a quel-lo repubblicano non deve meravigliare. La questione era sì stata affrontata dal-l’Assemblea Costituente, ma “i suggerimenti e i propositi non furono portati aesecuzione ed è comprensibile che, nei primi anni successivi alla entrata in vi-gore della Carta costituzionale, la finanza locale non fosse tra i primari obietti-vi di riforma”336.

Nell’ambito del rilancio della propria attività, all’indomani delle elezioni po-litiche del 1948, la Lega si attivò molto sulla questione che non solo era di vi-tale importanza per gli enti locali ma sulla base della quale era possibile la con-vergenza con amministratori e studiosi di diversa tendenza. L’occasione per di-mostrare il rilancio, o forse meglio, il primo avvio concreto della propria azio-ne sul piano politico-istituzionale, venne dal progetto di legge del senatore Pao-lo Fortunati, del Pci, professore ed assessore ai tributi a Bologna 337, presentatonella rivista del luglio 1948338.

2. La Lega dei comuni democratici negli anni dellacontrapposizione e dello scontro

Svanita ogni speranza di riforma degli enti locali, insieme a quella più generaledello Stato, esclusa dal governo nazionale, nei comuni e nelle province la sinistrasi preparava a difendersi dalle prevaricazioni del potere centrale e ad amministraresecondo i propri obiettivi. Ricorda Rotelli che “l’unico vero elemento essenziale di

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334 G. Albanesi, Autonomia comunale ed autonomia tributaria (Considerazioni), “L’ammini-strazione italiana”, 1946, n. 2, p. 65, ora in Baldissara, Tecnica e politica nell’amministrazione...,cit., pp. 241-2.

335 Servizi statali addossati al Comune (Dal discorso del dott. Pietro Montagnani pronunziatoal Senato il 23-10-1948), Icd ott. 1948, pp. 148-150; sullo stesso argomento Breve storia di unalegge ingiusta. La gestione finanziaria del servizio antincendi, Icd lug. 1950, p. 274.

336 Marongiu, Storia dei tributi degli enti locali…, cit., p. 286.337 Paolo Fortunati, docente di statistica all’università di Padova durante il fascismo, entra-

to nel Pci nel 1941, assessore ai tributi nella giunta comunale bolognese di Dozza dal 1946 al1956, senatore dal 1948, fu uno dei principali ispiratori della politica municipale della sinistra.

338 Paolo Fortunati, Progetto di legge per la finanza locale. Orientamenti e prospettive della po-litica tributaria, Icd lug. 1948, pp. 100-3; si veda anche, dello stesso autore, Per la libertà e l’au-tonomia dei comuni, AD ago.-set.1948, pp. 282-7.

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discontinuità fra il regime fascista e il regime repubblicano”339 immesso nella legis-lazione degli enti locali fu il principio dell’elettività delle cariche municipali, in-trodotto con il R.D. 7 gennaio 1946, n. 1. E fu grazie anche a questo solo ele-mento che gli amministratori comunisti e socialisti riuscirono, pur tra enormi dif-ficoltà, a caratterizzare le autonomie locali da essi amministrati. Gli amministrato-ri popolari, infatti, furono guidati nella loro attività dalla volontà di rispondere aibisogni dei cittadini seguendo le modalità della propria cultura politica, e vi ri-uscirono anche interpretando a proprio vantaggio norme e regolamenti della le-gislazione liberale e fascista che ancora disciplinavano l’ordinamento locale.

2.1. Il comune è un “organismo politico”

Contrariamente alla dottrina prevalente affermatasi nella giurisprudenza na-zionale a partire dalla fine dell’’800, ma in perfetta continuità con la tradizio-ne del movimento socialista, il comune, come ricordava un articolo di Monta-gnani, era considerato dalla sinistra un “organismo politico”:“noi non sottovalutiamo l’importanza della tecnica amministrativa, il ché equi-vale a conoscere le leggi e i problemi amministrativi, aver capacità di tenere de-terminati rapporti con la popolazione, e con le altre autorità, ma è grave erro-re pensare che il comune sia un organismo puramente tecnico; il comune è in-vece un organismo politico”340. Il comune, quindi, doveva “proporsi quale unodei luoghi privilegiati nella realizzazione della togliattiana strategia delle allean-ze”, e doveva “amministrare nell’interesse delle masse popolari”341.

Fu questo il quadro nel quale operò la Lega. L’editoriale del primo numerodel 1948 de “Il comune democratico”, il primo nella nuova veste di “organo uf-ficiale della Lega”, delineava gli obiettivi dell’organizzazione negli anni succes-sivi, sia sul piano politico- istituzionale, sia su quello tecnico-amministrativo,in Parlamento come nei comuni, senza alcuna soluzione di continuità: 1) adesione attiva e partecipata al Fronte popolare;2) opposizione alla violazione dell’autonomia sancita dalla Costituzione attua-

ta dal Governo;3) risolvere la questione della finanza locale;4) promuovere la ricostruzione del Paese;5) risolvere la questione degli epurati342.

2.1.1. Le funzioni e i compiti della Lega

In un successivo editoriale intitolato La Lega dei comuni democratici. Fun-zioni e compiti, si sollecitavano gli amministratori alla mobilitazione, perché

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339 Rotelli, Le trasformazioni dell’ordinamento comunale e provinciale durante il periodo fasci-sta…, cit., pp. 231-2.

340 Piero Montagnani, Il comune, organismo politico, AD ott.-nov. 1947, pp. 5-7.341 Baldissara, Tecnica e politica nell’amministrazione..., p. 87.342 Il Comune democratico, Obiettivi di lotta e di vittoria…, cit.

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“molti dei nostri comuni – in special modo i piccoli – […] inconsci della loroforza politica, [erano] su posizioni di rassegnata soggezione […] sotto lo scudi-scio prefettizio”, e si preannunciava l’adesione alla Lega di “altre forze ammini-strative (Provincie, Istituti ospitalieri, Eca, Patronati scolastici, Orfanotrofi, Ca-se di ricovero ed altri Istituti ed Enti morali similari)”.

Si offrivano, quindi, alcune informazioni sul comportamento da tenere neicomuni e sugli obiettivi immediati da perseguire. In primo luogo, anche se nonveniva specificato, per ovviare evidentemente ad equivoci rispetto alla distin-zione dei ruoli tra sindaco e segretario di partito, si chiariva che “spetta al sin-daco, quale rappresentante diretto e legittimo della sovranità popolare, dirige-re la politica del suo Comune”. Rispetto agli obiettivi, si ricordava l’apertura “diuna lotta serrata contro il Governo per costringerlo a sopprimere l’istituto delcontrollo di merito che le GPA esercitano” e per garantire ai comuni risorse suf-ficienti, concedendo o l’autofinanziamento, o maggiori finanziamenti. In ognicaso lo Stato si sarebbe dovuto accollare spese per servizi di interesse generaleche si facevano sempre più pesanti, in primo luogo quelle di spedalità343.

Sin dal primo momento furono evidentissime le difficoltà che la Lega avreb-be dovuto superare per la propria sopravvivenza come organizzazione. La pri-ma circolare, la n. 1 del 27 gennaio 1948, richiedeva ai comuni un acconto sul-la quota associativa, ma erano in molti a rispondere di non poterlo dare perl’opposizione delle rispettive Gpa, che giudicavano il contributo inammissibilein quanto considerato tra le “spese facoltative non previste dal bilancio” al ché,la rivista della Lega suggeriva alcune soluzioni pratiche344.

Ma gli amministratori comunali della sinistra non avevano bisogno solo diessere messi a conoscenza di tutte le possibili scappatoie per superare il soffo-cante controllo della Gpa, dovevano anche sapere come governare. Era per sod-disfare questa necessità che si moltiplicavano nella rivista ufficiale della Lega leinformazione di carattere tecnico-amministrativo, e veniva pubblicata la rela-zione di Piero Montagnani Il comune è un organismo politico, prima di un Pro-gramma di dieci lezioni pratiche di aggiornamento e di preparazione per ammini-stratori comunali345.

Nonostante “Il comune democratico” fosse l’organo della Lega, la prima in-tervista rilasciata dal segretario dell’organizzazione, Giulio Turchi, appariva nel-la rivista del Centro di consulenza per gli enti locali del Pci, partito con il qua-le, evidentemente, il deputato aveva un legame che veniva prima di quello con

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343 G.F., La Lega dei comuni democratici. Funzioni e compiti, AD mar. 1948, pp. 25-6.344 In un comunicato la Lega suggeriva varie soluzioni al problema, più immediate del ri-

corso in via amministrativa: il sindaco avrebbe potuto emettere un mandato di pagamento, sa-nando successivamente il provvedimento in sede di bilancio consuntivo; in caso di opposizio-ne del tesoriere all’emissione del mandato avrebbe potuto pagare attingendo ai fondi dell’eco-nomato, o da quelli a disposizione diretta sua o della giunta. In conclusione: “i ripieghi non siesauriscono a quelli sopra elencati, ne esistono altri che non possono sfuggire all’osservazionedi un buon sindaco popolare; è chiaro che qui intendiamo parlare di ripieghi leciti ed in rap-porto al fine giusto che si vuol perseguire” Comunicato della segreteria nazionale della Lega deicomuni democratici, AD mar. 1948, p. 30.

345 AD mar. 1948, pp. 37-40.

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l’organizzazione delle autonomie enti locali. Turchi tratteggiava un breve bi-lancio dell’attività della Lega in vista, soprattutto, delle elezioni politiche na-zionali del 18 aprile 1948. Per questo sottolineava l’impegno della Lega per lavittoria della sinistra e ricordava la necessità di pubblicizzare l’attività dei co-muni, contrapponendola all’immobilismo del governo centralista, e si dichia-rava fiducioso nella vittoria e nel cambiamento della direzione del Paese. Ri-guardo all’attività dell’organizzazione, a tre mesi dalla nascita, ricordava i rap-porti con il Ministro delle finanze in materia di riscossione delle imposte diconsumo, sottolineava il sostegno ad un progetto di riforma della figura dei se-gretari comunali elaborato dall’apposita commissione e bloccato dalla catego-ria346.

Una seconda intervista a Turchi, apparsa sempre ne “L’amministratore de-mocratico”347 – e diretta principalmente al Partito comunista, al quale richiede-va un maggior impegno in favore degli amministratori - veniva pubblicata an-che nella rivista della Lega. Come componente del Fronte democratico popo-lare, la Lega era partecipe della delusione della sinistra nelle elezioni politichenazionali del 18 aprile 1948 ed il suo segretario individuava le possibili re-sponsabilità dell’organizzazione riguardo alla sconfitta elettorale. In primo luo-go Turchi evidenziava l’insufficiente propaganda del lavoro fatto nei comuni.Per il futuro, molto significativamente, sottolineava la necessità di “restare alproprio posto e migliorare il proprio lavoro”, di contare sulla Lega e ricordavache “il sindaco deve essere non soltanto capo dell’amministrazione ma ancheun dirigente politico”348.

Era evidente che gli amministratori comunisti non avevano ancora capitol’importanza del proprio ruolo nei comuni e per questo era necessario sottoli-nearne la valenza politica.

2.2. La ripresa dopo i risultati del 18 aprile 1948

L’intervista di Turchi aveva, di fatto, anticipato le decisioni del Comitatoprovvisorio della Lega nazionale dei comuni democratici e del Convegno deipresidenti delle Leghe provinciali riunitisi a Roma, rispettivamente, il 24 e il 25maggio 1948. All’indomani della sconfitta elettorale del Fronte popolare,quando fu chiaro che la lotta per la vittoria della sinistra nel Paese sarebbe sta-ta lunga e difficile, venne deciso di porre le basi per il rilancio, o meglio, perl’avvio vero e proprio dell’attività della Lega sul piano nazionale.

Il Comitato provvisorio della Lega decideva di costituire quattro commissio-ni di studio su: autonomie; bilancio; ricostruzione, con particolare riguardo alle

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346 La Lega dei comuni democratici. (Nostra intervista col compagno Turchi, Segretario nazio-nale della Lega), AD mar. 1948 , pp. 5-7.

347 Giulio Turchi, Il lavoro comunale dopo le elezioni. Bilancio e prospettive, AD apr. 1948,pp. 76-8.

348 Giulio Turchi, Bilancio e prospettive del lavoro comunale dopo le elezioni, Icd apr.-mag.1948, pp. 76-8.

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case di abitazione; problemi regionali, in vista della istituzione - che si riteneva al-lora, prossima - delle regioni. Veniva quindi confermata la decisione assunta in ri-unioni precedenti che la rivista della Lega provinciale di Milano divenisse organoufficiale delle Lega nazionale. Si annunciava la prossima convocazione di un con-vegno nazionale preparato da convegni provinciali, veniva approvata, infine, labozza dello statuto della Lega, poi rimessa all’esame delle leghe provinciali.

Il convegno dei presidenti delle leghe provinciali, svoltosi il 25 maggio, co-me primo problema affrontava quello delle minacciate dimissioni di ammini-stratori della sinistra all’indomani dei risultati delle elezioni dell’aprile 1948, ri-entrate dopo “l’intervento immediato delle Leghe e quello personale di ammi-nistratori più preparati anche politicamente […] I convenuti sono stati unani-mi nell’affermare che i sindaci hanno il dovere di restare al loro posto”.

Bisognava rinsaldare i legami con consiglieri e assessori dei partiti di maggio-ranza - in particolare del Partito socialista dei lavoratori italiani349 - che avevano de-ciso di rimanere nelle giunte nonostante il parere contrario dei vertici nazionali. Eranecessario diffondere Consulte popolari e Consigli tributari, rafforzare l’organizza-zione della Lega, diffondere la rivista, si raccomandava, infine, “la costituzione diun gruppo parlamentare che si interessi particolarmente delle questioni comunali edia agli amministratori tutta l’assistenza di cui essi possono avere bisogno”350.

Fu così che la rivista “Il comune democratico” dal luglio 1948 mutò il sottoti-tolo “Edito dalla Lega dei comuni democratici” assunto dal gennaio351 in quello di“Organo ufficiale della Lega dei comuni democratici”. Il mensile aveva anche uncomitato di direzione di cui facevano parte i due segretari nazionali della Lega,l’avv. Luigi Cavalieri e l’on. Luigi Turchi352. L’editoriale di apertura del fascicolo siintitolava La nostra rivista, firmato “La Segreteria della Lega dei comuni democra-tici”, nel quale si rilanciava l’attività della Lega anche attraverso la rivista, stru-mento per la lotta politica e “di lavoro per gli amministratori degli Enti Locali” 353.

2.2.1. Lo statuto del 1948

Subito dopo veniva pubblicata la Bozza di statuto della Lega dei comuni de-mocratici. La Lega aveva la propria sede centrale a Roma (art. 1), coordinava“l’opera dei Comuni per l’attuazione delle autonomie locali riconosciute ed af-

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349 Il 9 gennaio 1947 Giuseppe Saragat usciva dal Partito socialista di unità proletaria gui-dato da Pietro Nenni, alleato del Pci nel Fronte popolare, e fondava il Partito socialista dei la-voratori italiani (Psli), poi Partito socialdemocratico italiano (Psdi).

350 Attività della lega dei comuni. Decisioni del Comitato provvisorio della Lega nazionale deicomuni democratici e conclusione del Convegno dei presidenti delle Leghe provinciali, Icd giu.1948, pp. 94-5.

351 Icd gen.-feb. 1948.352 Gli altri componenti erano i sindaci di Genova, Gelasio Adamoli; Bologna, Dozza; Pe-

scara, Italo Giovannucci; il rettore dell’Università di Siena, Mario Bracci; il deputato RiccardoLombardi ed il senatore Piero Montagnani, vice sindaco di Milano. Nel 1947, a partire dal nu-mero dell’ago.-set., il consiglio di direzione della rivista era invece composto da Antonio Grep-pi, Piero Montagnani, Vittorio Craxi, Nicola Jaeger, Amilcare Locatelli, Giuseppe de Florentiis.

353 Icd lug. 1948, pp. 97-8.

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fermate dalla Costituzione della Repubblica Italiana e per lo sviluppo in sensodemocratico delle autonomie […] rappresenta e difende gli interessi dei Co-muni nei confronti dell’Amministrazione centrale”. Rispetto agli obiettivi, lanovità più significativa rispetto allo statuto del 1916354, come anche rispetto aquello anteriore dell’Anci, era data dal fatto che l’organizzazione oltre a difen-dere i comuni, ne promuoveva lo sviluppo delle attività ma congiuntamente al-le “iniziative che – sul piano politico, sul piano economico-sociale e su quelloamministrativo – valgono ad accrescere l’educazione civica dei cittadini”. Aquesto scopo appoggiava l’istituzione “di organi popolari, quali le assemblee dipopolo, comunali e di quartiere, nelle quali gli amministratori rendano contodel loro operato e siano esaminati i problemi comunali: le Consulte Popolari[…] i Consigli Tributari”. Altra novità di rilievo era che la Lega “assiste, inol-tre, i Comuni, le Provincie, le Regioni, gli Enti Locali e i singoli amministra-tori” (art. 2).

Potevano quindi far parte della Lega non solo i comuni, ma anche provin-ce, regioni, gruppi consiliari di minoranza ed enti locali come opere pie, ospe-dali, patronati scolastici, Eca, consulte popolari e consigli tributari (art. 3).

Nello statuto della Lega del 1948, venivano collegate la difesa e la promo-zione dell’autonomia locale sul piano politico-istituzionale e tecnico-ammini-strativo, con la promozione del principio dell’autonomia sul piano sociale le-gando, quindi, istituzioni e cittadini. Nella Lega, inoltre, insieme ai più forti enumerosi comuni, che erano la “punta di diamante” del movimento per le au-tonomie locali, erano associati anche tutti gli enti e le istituzioni che facevanoparte di quel movimento: dalle province alle opere pie, fino alle regioni, la cuiistituzione, però, era ancora ben lontana.

Dal punto di vista teorico, in questo statuto trovavano posto un’istanza ba-silare del movimento per le autonomie locali, il collegamento tra le istituzionie i cittadini, e venivano poste le basi per il coordinamento delle iniziative di isti-tuzioni ed enti locali355. Mancavano all’appello solo le aziende municipalizzateche, probabilmente, già ben organizzate in una propria Confederazione356, nonavrebbero tratto alcun vantaggio dall’entrare a far parte di una struttura che eraappena ai suoi primi passi357.

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354 Da sottolineare nello statuto, rispetto a quello del 1917, la formale indipendenza del-l’organizzazione da qualsiasi partito. Il collegamento con i partiti della sinistra era nei fatti, nel-la partecipazione al Fronte democratico e nella segreteria doppia, affidata ad un comunista e adun socialista.

355 Bozza di Statuto della Lega dei comuni democratici, Icd lug. 1948, pp. 98-9.356 Cfr. Gaspari, Dal monopolio, alla municipalizzazione, alla liberalizzazione dei servizi pub-

blici…, cit.357 Questo però non voleva dire che le aziende comunali non si mobilitassero congiunta-

mente alla Lega rispetto a situazioni specifiche nelle quali erano direttamente coinvolte. Era ilcaso, ad esempio, di un aumento delle tariffe del gas deliberato dal Comitato interministerialeprezzi nel 1949, in occasione del quale la Confederazione della Municipalizzazione, la CoM,insieme alla Lega dei Comuni democratici, il Comitato di coordinamento dei consigli di ge-stione aziende gas e l’Associazione nazionale inquilini, esprimeva in un comunicato la propriaopposizione e chiedeva di non aumentare le tariffe, salvo piccoli ritocchi essenziali al pareggiodel bilancio delle aziende; AD mag. 1949, p. 163.

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2.2.2. Il successo nella difesa delle province, e della legalità, contro l’offensivadel Ministero dell’interno

L’occasione per dimostrare che la Lega dei comuni non rappresentava gli in-teressi dei soli municipi venne molto presto. La rivista dell’organizzazione, in-fatti, nel luglio del 1948 denunciava l’inizio di una offensiva contro le deputa-zioni provinciali da parte del Ministero dell’interno che aveva espresso parerefavorevole al rinnovamento delle deputazioni in carica da quattro anni, propo-sto da alcuni prefetti. Si trattava delle deputazioni nominate a partire dal 1944sulla base della composizione del Cln e che, secondo l’interpretazione della leg-ge in vigore data dai prefetti, erano ormai scadute. Il segretario della Lega, Ca-valieri, si opponeva a tale interpretazione, sostenendo l’illegittimità dei provve-dimenti di scioglimento dei prefetti, che erano stati avallati dal Ministero del-l’interno solo per l’interesse dei partiti governativi, e soprattutto della Demo-crazia cristiana, ad avere solo propri uomini nelle province358.

I tempi per le autonomie locali, però, per quanto il fenomeno degli sciogli-menti dei consigli potesse farli venire alla mente non erano certo gli stessi del-l’Italia liberale e dell’ascesa al potere del fascismo.

Qualche mese dopo la denuncia del segretario, “L’Amministratore democrati-co” annunciava che una sentenza della V sezione del Consiglio di Stato aveva so-speso, il 20 novembre 1948, l’esecuzione del decreto prefettizio di scioglimentodella deputazione provinciale di Roma che era stata quindi reintegrata nelle suefunzioni. Una sentenza simile riguardante la deputazione provinciale di Napoliera stata emessa in precedenza dalla IV sezione della stessa magistratura. Scelbaaveva disciolto le amministrazioni costituite a norma del DL 4 aprile 1944 n.111, sul modello del Cln, in quanto erano passati 4 anni, per sostituirle con al-tre che, secondo il Ministro “dovevano rispecchiare i risultati del 18 aprile”359.

Nel 1951 la rivista della Lega ricordava un’altra sentenza della IV sezione Con-siglio di Stato che, limitando l’ambito di attività del commissario prefettizio, stabi-liva che questi poteva esercitare i poteri del sindaco e della giunta, ma non quelli delconsiglio comunale360. Nello stesso anno era Massimo Severo Giannini a commen-tare positivamente un’altra sentenza del Consiglio di Stato che aveva accettato il ri-corso del comune di Rimini contro la rimozione del proprio sindaco per motivi diordine pubblico361, e non era l’ultima. Anche in diverse altre occasioni il Consigliodi Stato sembrò contestare l’interpretazione estensiva dei poteri sostitutivi del Mi-nistero dell’interno e dei prefetti riguardo alle amministrazioni locali362.

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358 Luigi Cavalieri, Eccesso di potere e illegittimità dei decreti prefettizi di scioglimento delle De-putazioni provinciali, Icd lug. 1948, pp. 107-8.

359 Velleità incostituzionali dell’On. Scelba. Le deputazioni provinciali disciolte per ordine delMinistro dell’Interno, reintegrate dal Consiglio di Stato, AD 1948, n. 12, p. 466.

360 Il Consiglio di Stato contro il governo di polizia, Icd apr. 1951, p. 156.361 Massimo Severo Giannini, La rimozione dei sindaci in una decisione del Consiglio di Sta-

to, Icd mag. 1951, pp. 196-8.362 Il Prefetto di Taranto che aveva visto annullato il proprio decreto di nomina di un com-

missario sostitutivo dell’amministrazione comunale di Taranto si rifiutò di eseguire le decisio-ni del Consiglio di Stato e annunciò il ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione per

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Non era certo un caso quindi che, alcuni anni dopo, tra il 1958 ed il 1959,il Ministro dell’interno Fernando Tambroni363, avesse deciso di non chiederepiù tale parere. La questione veniva sollevata da un’interrogazione parlamenta-re dei deputati Luzzatto, Tonetti e Targetti a circa un anno di distanza dallascomparsa dai decreti presidenziali di scioglimento dei consigli comunali e dal-le relazioni di accompagnamento del Ministro dell’interno di ogni riferimentoal parere del Consiglio di Stato. “Di per sé, quindi, – commentava l’articolo chedava notizia dell’interpellanza – la cessazione improvvisa, ed è proprio il caso didire inconsulta della consuetudine di ascoltare il Consiglio di Stato in sede con-sultiva, denuncia un indirizzo di sopraffazione”364, un indirizzo che lo stessoConsiglio di Stato non tardava a stigmatizzare duramente. Nella decisionedell’8 aprile 1960, pubblicata il 27 maggio, la IV sezione del Consiglio di Sta-to, pronunciandosi in merito alla richiesta di annullamento dei provvedimentidi scioglimento del consiglio comunale di Venezia e dell’Azienda comunale perla navigazione interna, scriveva: “Desta quindi sorpresa che l’Avvocatura delloStato citando ben dieci casi di scioglimenti di consigli comunali intervenuti ne-gli anni 1958 e 1959, dichiari che tale prassi [di chiedere il parere del Consi-glio di Stato] non sussiste”365.

Il rispetto della legge e della prassi, questo chiedeva per le autonomie localila Lega, sia al Consiglio di Stato, sia al Ministro dell’interno, proprio come ave-vano fatto Anci ed Upi negli anni dell’Italia liberale.

2.2.3. “La caccia al sindaco” dopo l’attentato a Togliatti

La caccia al sindaco, così si intitolava l’articolo di Montagnani a commentodegli arresti e delle denunce ai sindaci a seguito degli incidenti del 14 luglio1948 provocati dall’annuncio dell’attentato al segretario del Pci, Palmiro To-gliatti366. Per il segretario della Lega, Turchi, gli incidenti erano solo una scusa.Era evidente, infatti, la volontà di allontanare dai posti di responsabilità tutticoloro i quali potessero essere di ostacolo “alla politica liberticida nella quale èimpegnato il governo”. Le modalità di svolgimento della caccia potevano esse-re di due tipi: “puramente poliziesca” e “burocratico-amministrativa”. Nel pri-mo caso le prefetture prendevano a pretesto motivi di ordine pubblico comemanifestazioni e scioperi, nel secondo caso, invece, il pretesto era rappresenta-to dal fatto che “i sindaci non hanno saputo fare ciò che dovevano o per impe-

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difetto di giurisdizione del Consiglio di Stato; Mario Franceschielli, Il Prefetto di Taranto ed ilConsiglio di Stato, Icd mag. 1951, pp. 199-200.

363 Tambroni era stato in carica come Ministro dell’interno dal 6 lug. 1955 al 15 feb. 1959,con il primo Governo Segni, il primo Governo Zoli ed il secondo Governo Fanfani.

364 Si chieda il parere del Consiglio di Stato prima di sciogliere i consigli comunali, Icd apr.1959, p. 95.

365 Giurisprudenza. Consiglio di Stato (Sezione IV), Icd mag. 1960, p. 201, il corsivo è reda-zionale; per un commento Domenico Rizzo, Il Consiglio di Stato sullo scioglimento del Consigliocomunale di Venezia e dell’azienda comunale di navigazione, Icd giu. 1960, p. 242.

366 Piero Montagnani, La caccia al sindaco, Icd ago.-set. 1948, pp. 123-4.

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rizia, o per altre ragioni”. In entrambi i casi avrebbe potuto essere di grande aiu-to il supporto delle masse e specialmente della Lega, provinciale e nazionale,che poteva soccorrere i sindaci e mobilitarsi in loro favore; i sindaci, conclude-va Turchi, “debbono mantenersi strettamente legati al popolo e fra loro nelleproprie Leghe”367. Intanto il segretario difendeva in Parlamento gli amministra-tori di sinistra contro le illegalità del Ministero dell’interno e dei prefetti368.

L’organizzazione dei comuni della sinistra poteva giocare un ruolo impor-tante soprattutto nel prevenire l’imperizia “burocratico-amministrativa” degliamministratori presa a pretesto dalle prefetture per gli scioglimenti, da qui il giàcitato Programma di dieci lezioni pratiche di aggiornamento e di preparazione peramministratori comunali369, la pubblicazione di articoli e notizie relative a giuri-sprudenza e tecnica amministrativa e, soprattutto, l’impegno per la riforma delruolo dei segretari comunali, che potevano essere di grande aiuto, o al contra-rio, di grande impedimento, all’attività amministrativa delle giunte “rosse”.

2.2.4. I segretari comunali ed il rapporto con gli amministratori di sinistra

Tra le questioni più approfondite nel periodico nel secondo dopoguerra viera senza dubbio quella della riforma della figura dei segretari comunali e pro-vinciali, non solo per il ruolo essenziale da questi svolto nelle amministrazioni,ma anche per il fatto che i membri della categoria erano tra i lettori più atten-ti ed erano numerosi i loro contributi a questa come a tutte le riviste specializ-zate in problemi dell’amministrazione locale. Gli articoli sui segretari comuna-li erano piuttosto frequenti, uno tra i primi esprimeva disappunto per l’esclu-sione delle donne dal concorso per segretari comunali370, ma l’argomento piùsviluppato era senza dubbio quello della riforma della categoria371. Su questa fi-gura chiave nel funzionamento di comuni e province si scaricavano tensionimolto forti in quegli anni perché l’importanza del segretario era accresciuta dal-la circostanza che molti amministratori della sinistra non conoscevano la mac-china amministrativa. Può essere utile a comprendere meglio questa realtà – edil successivo sviluppo - un breve profilo di uno dei nuovi amministratori dellasinistra nel dopoguerra: Roberto Vighi, socialista, vice presidente dal 1946 al1951 e quindi presidente al fino al 1970 della provincia di Bologna:

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367 Giulio Turchi, Difendiamo i sindaci e la democrazia nei comuni, Icd ago.-set. 1948, pp.124-5; su questo argomento cfr. Giuseppe Sotgiu, L’attività della Lega non piace ai prefetti, eneppure l’autonomia regionale, Icd nov.-dic. 1948, p. 173.

368 Giulio Turchi, Lo stato di polizia ed i comuni, AD 1948, n. 10, pp. 352-5.369 AD mar. 1948, pp. 37-40.370 Adriana Prandi, Dal concorso sono escluse le donne. Si completi la loro emancipazione, Icd

gen. 1947, p. 12. 371 Si veda l’ordine del giorno dell’Associazione dei sindaci della provincia di Como, Rifor-

ma dello stato giuridico dei segretari comunali, Icd feb.-mar. 1947, pp. 31-2. Sulla questione del-la riforma (mancata) dei segretari comunali nel secondo dopoguerra, che vide contraria la gran-de maggioranza della categoria, cfr. Baldissara, Tecnica e politica nell’amministrazione…, cit.,pp. 148-176.

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“faceva parte della seconda generazione – per distinguerla da quella prefascista– di pubblici amministratori usciti dal seno della sinistra democratica e popo-lare. Quegli amministratori che si son fatti da soli – perché non esistevano unascuola e una cultura specifica del settore – e che sono cresciuti al contatto quo-tidiano dei problemi di quei cittadini che li avevano scelti con un voto e conuna fiducia di carattere politico e morale […, un] uomo che, nel secondo do-poguerra, aveva cominciato a imparare un nuovo ‘mestiere’ – per incarico delpartito – […, Vighi] fu tra quelli che, senza una precedente esperienza ammi-nistrativa, si gettarono con coraggio nell’impresa e imparò ‘sul campo’ il nuovomestiere di amministratore pubblico. Non fu sempre facile e non mancaronocerto critiche e scontri anche all’interno dello schieramento di sinistra. Non siresta però – come restò lui – per un ventennio alla guida di una importanteamministrazione locale, come l’Amministrazione Provinciale di Bologna, perastratta delega del partito, se, quel mestiere, non si è imparato a farlo con di-gnità, onestà e adeguatezza”372.

Le nuove amministrazioni in carica all’indomani della fine della guerra so-stennero subito una decisa opposizione di principio contro le norme fasciste che,dal 1928373, avevano privato i comuni della capacità di scegliere i propri segreta-ri - passati in uno speciale ruolo del Ministero dell’interno – e da allora impostiper nomina governativa. Fu così che nel documento conclusivo della riunionesvoltasi a Torino il 28 agosto 1945 tra i sindaci di Torino, Milano, Genova, Bo-logna, Venezia e Verona, tra le altre rivendicazioni poste al Governo, venne in-serita quella della “abolizione di tutte le disposizioni legislative emanate dal 1928in poi sullo stato giuridico ed economico dei Segretari comunali. [Si chiese] Ilritorno, quindi, alle disposizioni del TU della legge comunale e provinciale del1915, aggiornate alle odierne condizioni”374. Di tenore analogo era il voto deli-berato dal citato “Convegno delle provincie della Regione Emilia-Romagna econtermini per la trattazione di vari problemi amministrativi di particolare in-teresse per le provincie”, svoltosi sempre nel 1947, con il quale si chiese il ritor-no del segretario provinciale alle dirette dipendenze della provincia375.

Lo scontro tra le esigenze di riforma e di autonomia manifestate dai sindacie la realtà della figura del segretario che era delineata dalla normativa fascista,era tra le cause di una decisa ostilità reciproca che andava a scapito del buonandamento dell’amministrazione. Per questo la rivista si rivolgeva agli ammini-stratori, e in particolare ai sindaci, chiedendo di superare le incomprensioni,perché: “Normalizzare i rapporti tra le Amministrazioni comunali ed il loro

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372 Luigi Arbizzani, Francesco Bonazzi del Poggetto, Nazario Sauro Onofri, Contributo peruna biografia, in Roberto Vighi, Per il socialismo, l’antifascismo, le autonomie. Scelta di scritti ediscorsi dal 1914 al 1970, a cura di Luigi Arbizzani, Francesco Bonazzi del Poggetto, NazarioSauro Onofri, con un messaggio di Sandro Pertini, Provincia di Bologna, 1984; ristampa cu-rata dalla Provincia di Bologna, Bologna, Tipografia Moderna, 1997, pp. 9-11.

373 Cfr. Oscar Gaspari, I segretari comunali e provinciali durante il periodo fascista: da profes-sionisti a funzionari statali, in “Le carte e la storia”, n.1, 2004, pp. 173-190.

374 ArSCPr, Amministrazione comunale 5, 1945, “Convegno dei sindaci a Torino (28 ago.1945)”.

375 Convegno delle provincie Emilia-Romagna e contermini, Rdp ago-set. 1945, pp. 96-108.

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principale collaboratore, il Segretario, significa contribuire veramente a poten-ziare i nostri Comuni nelle loro funzioni pubbliche”376.

Anche il mensile “L’Amministratore democratico” promosse una campagnaper la riforma dello status dei segretari comunali e provinciali, in termini digrande interesse. Nella rivista si sosteneva, in sostanza, il concetto che l’esserepresidente di provincia, assessore e, soprattutto, sindaco, comportava l’impe-gno di guidare l’amministrazione locale secondo determinati indirizzi politiciche il segretario aveva il dovere di attuare nel rispetto della legalità:“Mentre compete al Sindaco l’indirizzo generale dell’Amministrazione comu-nale, essendo la espressione della sovranità popolare, al Segretario comunale in-combe il compito della buona, corretta e legale attuazione dei provvedimentidelle autorità comunali […] Sembra a noi che il miglior principio da seguire inquesta materia sia quello di rispettare reciprocamente le proprie competenze”377.

Il segretario comunale non poteva essere, semplicemente, un funzionario delMinistero dell’interno come qualsiasi altro, chiamato a svolgere in ogni luogole medesime procedure perché al servizio di un’autorità burocratica centralizza-ta uguale in ogni situazione, come aveva voluto il fascismo. Nell’Italia repub-blicana il segretario comunale - per la Lega proprio come per l’Anci -, dovevaessere al servizio dell’amministrazione locale e, in particolare per la Lega, do-veva dirigere un’attività amministrativa che soddisfacesse i bisogni dei cittadinisecondo le priorità e le modalità indicate dall’autorità politica locale. Sono ar-gomentazioni queste, che paiono rinviare sia all’enunciato della riforma dellacategoria dei segretari comunali e provinciali sia alla distinzione tra attività diindirizzo politico, propria dell’autorità politica elettiva, e quella di amministra-zione, svolta autonomamente dai dirigenti, riforme avviate a partire da quelladell’ordinamento degli enti locali del 1990378. Non è un caso che questa distin-zione venga proposta nel secondo dopoguerra proprio dalla sinistra. Nell’im-mediato secondo dopoguerra gli amministratori locali comunisti e socialistierano portatori di un disegno politico innovatore di ampio respiro. Essi non ve-nivano eletti semplicemente per gestire l’amministrazione seguendo le normema per impegnarsi a soddisfare i bisogni della collettività - ed in particolare deicittadini più poveri e più deboli – attraverso l’amministrazione, anche appog-giandone le lotte379.

Nel quadro del tentativo di riformare la categoria nel secondo dopoguerral’Anci non poteva rimanere estraneo alla formazione dei nuovi segretari comu-

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376 Aldo Tassoni, Segretari e amministratori comunali, Icd apr.-mag. 1947, pp. 41-2. 377 Mafra (Mario Franceschelli), Rapporti tra sindaci e segretari comunali: oggi e domani, AD

ago.-set. 1947, nn. 5-6, pp. 7-9.378 Si tratta, rispettivamente, del D.P.R. 4 dic. 1997, n. 465, Regolamento recante disposizio-

ni in materia di ordinamento dei segretari comunali e provinciali,a norma dell’articolo 17, comma78, della L. 15 maggio 1997, n. 127, e del D. legis.vo 3 febbraio 1993 n. 29, Razionalizzazio-ne dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia dipubblico impiego.

379 Fondamentale, a questo proposito, era l’impegno dei sindaci e delle amministrazioni co-munali in favore e in difesa dei lavoratori in sciopero; cfr. L’Osservatore, Lo sciopero dei brac-cianti ed i sindaci, Icd ago 1949, pp. 15-6.

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nali. Da qui l’organizzazione, appena prima della nascita della Lega, nel di-cembre 1947, di un Corso di preparazione agli esami di diploma di segretario co-munale, tra i cui docenti vi erano un professore del calibro di Massimo SeveroGiannini, Achille Guerra, ex direttore capo servizio del comune di Napoli ecomponente del primo comitato esecutivo dell’Anci, Dante Cosi, storico espo-nente della categoria, Renato Vicard, ex funzionario dell’Istat e segretario del-l’Anci380.

Sulle pagine de “L’Amministratore democratico”, si apriva una sorta di di-battito tra le diverse posizioni. C’era chi sosteneva che la legge dovesse definirefunzioni e responsabilità del segretario, fissare requisiti per la nomina, minimistipendiali, sanzioni disciplinari, garanzie rispetto alla stabilità dell’impiego, fe-rie, malattia e pensione ma anche che le amministrazioni potessero scegliere isegretari381. Altri chiedevano una partecipazione dell’Anci alla gestione della ca-tegoria, che doveva però rimanere alle dipendenze del Ministero dell’interno,per non essere alla mercé delle amministrazioni comunali382.

All’inizio del 1948 la Lega appoggiò il progetto di riforma della figura deisegretari comunali elaborato dalla commissione mista comuni-segretari, che erastato però bloccato dagli stessi segretari383. A questo proposito, Turchi dichiara-va che la Lega “non potrà mai accedere al principio della statizzazione sostenu-to dalla maggioranza della categoria”384. Dietro il sostegno del principio del ri-torno al legame diretto tra segretario e comune, e della fine della statizzazionevoluta dal fascismo, non c’era solo la necessità del rispetto dei principi costitu-zionali, ma anche “il buon andamento dei Comuni”. I segretari dovevano esse-re legati alla realtà dei comuni, non alla burocrazia ministeriale, perché: “l’au-

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380 Corso di preparazione agli esami di diploma di segretario comunale, AD ago.-set. 1947, nn.5-6, p. 26.

381 “ai segretari comunali sia assicurata la possibilità di carriera ed un adeguato trattamentoeconomico, che la loro stabilità d’impiego sia strenuamente difesa da ingerenze di parte; chedall’altro venga disciplinato il loro stato giuridico: tutto ciò rappresenta il minimo di quantoin linea sindacalesi possa e si debba, anzi, richiedere. Ma […] ritengo si debba riconoscere chele Amministrazioni Comunali abbiano il diritto di richiedere la possibilità di scegliere colui chedovrà essere il primo dei suoi funzionari”; L.B. Segretario comunale, La questione dei segretaricomunali, AD apr. 1948, p. 114.

382 Vincenzo Bisconti, Ancora dei segretari comunali, AD mag. 1948, p. 162.383 Nel 1946 venne costituita una commissione paritetica Anci-segretari per la riforma del-

la figura del segretario, guidata dal giurista Michele La Torre, dai sindaci di Bologna, Giusep-pe Dozza (comunista); Verona, Aldo Fedeli (socialista); Cosenza, Adolfo Quitieri (democri-stiano); dal presidente dell’associazione nazionale di categoria, Amerigo Beviglia; dal segretariodel comune di Bari, Giacomo Giacobelli e da quello della provincia di Taranto, Michele Ri-naldi. All’inizio del 1947 la Commissione approvò a maggioranza, con il voto contrario dei duesegretari Giacobelli e Rinaldi, un progetto di riforma che accoglieva gran parte delle richiestedei segretari, garantendo però agli enti locali il controllo sul segretario, tutelato dallo Stato incaso di vertenze. Tale progetto, anche per la strenua opposizione della maggioranza della cate-goria, non venne però mai tradotto in legge. Fino al 1990 rimase quindi in vigore la normati-va fascista del 1928; su questa vicenda, cfr. Baldissara Tecnica e politica nell’amministrazione...,pp. 164-187.

384 La Lega dei comuni democratici. (Nostra intervista col compagno Turchi, Segretario nazio-nale della Lega), AD mar. 1948 , pp. 5-7.

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tonomia […] si può ottenere soltanto se l’ente dispone di funzionari i quali ab-biano l’effettiva nozione delle necessità e degli interessi locali”385.

Quale fosse l’importanza della figura del segretario comunale e della sua di-pendenza dal Ministero dell’interno veniva evidenziato nel corso del III Con-gresso nazionale dei segretari comunali tenuto a Roma il 16 e 17 gennaio 1949.In quell’occasione veniva distribuito un memoriale firmato da due segretari nelquale, per sostenere l’opportunità della dipendenza dal Ministero dell’interno,si chiedeva, per evidenziare il positivo comportamento della categoria in queglianni: “in quanti casi di scioglimenti di Amministrazioni Comunali per gravi edaccertate irregolarità ed abusi (ed i relativi decreti appaiono con progressiva fre-quenza nelle Gazzette Ufficiali) la prima avvisaglia non sia partita dal modestoSegretario Comunale”386. L’orientamento filogovernativo della categoria era evi-dentemente molto forte e, in quegli anni di forti divisioni e contrapposizioniideologiche, anche la categoria dei segretari si divise, dando vita ad un Sinda-cato autonomo mentre la Sezione dei segretari legata alla Federazione naziona-le dei dipendenti degli enti locali diveniva Sindacato nazionale di categoria edaderiva alla Cgil387.

Il dibattito veniva riaperto ne “Il comune democratico”, del 1949388. Nell’e-ditoriale della rivista dell’agosto 1950 si denunciava l’annuncio di una prossi-ma legge relativa ai segretari comunali che avrebbe dovuto sancire “la posizio-ne e la figura del segretario comunale come rappresentante dello Stato nel Co-mune democratico”389. Ma anche quella speranza sarebbe andata delusa: la leg-ge che avrebbe dovuto riformare la categoria (legge del 9 agosto 1954, n. 748),infatti, non modificava lo status del segretario, che rimaneva alle dipendenze delMinistero dell’interno. Dopo anni di studi, polemiche e battaglie, come scriveBaldissara: “Con immagine abusata, si vorrebbe notare che ‘la montagna par-toriva il topolino’”390.

2.2.5. Il punto sullo stato dell’organizzazione

In un’intervista apparsa ne “L’amministratore democratico” del gennaio1949 il “compagno On. Turchi” faceva il punto sullo stato dell’organizzazione,discusso nella riunione del Comitato direttivo della Lega del 16 dicembre1948. Dopo aver segnalato la recente costituzione di almeno 12 Leghe provin-ciali, il segretario annunciava il potenziamento dell’attività politico-istituziona-le attraverso la costituzione di un “comitato ristretto” cui avrebbero partecipa-to anche dei parlamentari. Il comitato avrebbe non solo diretto la Lega ma, so-

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385 E.A., Autonomia e segretari comunali, Icd ago.-set. 1948, p. 136.386 La prima avvisaglia, Icd gen. 1949, p. 5. Una conferma indiretta della veridicità di que-

sta affermazione veniva da un successivo articolo di Federico Leghissa, La “non collaborazione”di troppi segretari comunali, ivi, pp. 6-7.

387 Ibidem.388 Leo Spalazzi, Il problema dei segretari comunali, Icd set. 1949, p. 60.389 Orizzonti, Icd ago.-set. 1950, pp. 293-4.390 Baldissara, Tecnica e politica nell’amministrazione..., cit., p. 188.

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prattutto, sarebbe intervenuto “prontamente ed energicamente tutte le volteche una delle nostre amministrazioni comunali è fatta segno a persecuzione daparte delle autorità governative”.

Il direttivo, sempre secondo Turchi, aveva deciso il rilancio dell’attività disupporto tecnico-amministrativo, sia interna alla Lega, sia esterna, verso gli am-ministratori, per i quali veniva annunciato il prossimo svolgimento di tre con-vegni dedicati agli assessori con competenze, rispettivamente, al personale391, al-le finanze e all’assistenza392, ed un quarto riservato ai problemi dei piccoli e me-di comuni393.

Riguardo all’attività in favore della popolazione il direttivo aveva deciso chei comuni della sinistra concentrassero i propri sforzi su “l’assistenza invernale ela disoccupazione”; mentre, da parte sua la Lega si sarebbe adoperata per il ri-conoscimento della partecipazione di rappresentanti dei comuni agli organismipreposti all’organizzazione dei lavori pubblici e della ricostruzione.

Il rilancio della Lega passava anche per una maggiore e più qualificata presen-za dell’organizzazione nel dibattito politico in corso e, per questo, il direttivo ave-va deciso una serie di misure, tutte evidentemente dirette a far conoscere all’opi-nione pubblica il ruolo e l’attività dell’organizzazione. Il direttivo decideva, quin-di, di attivare “un collegamento continuativo e funzionale” con le minoranze con-siliari di Roma e Napoli, due tra i maggiori e più importanti comuni italiani e “dilanciare un manifesto al Paese” per denunciare la politica reazionaria del Gover-no contro gli amministratori locali. In questo ambito era evidentemente indi-spensabile riesaminare l’attività editoriale e, a questo proposito, Turchi affermavamolto chiaramente che: “due riviste, quella del Partito e quella della Lega non so-no necessarie; esse rappresentano un dispendio di energie […] tanto l’aspetto tec-nico che quello politico debbono trovare espressione adeguata”394.

Evidentemente la coesistenza di due riviste e di due Centri di consulenza pergli enti locali distinti per le amministrazioni locali della sinistra non era più so-stenibile, almeno in termini di “dispendio di energie”, ma senza dubbio anchein termini monetari. Così, nel numero del giugno 1949 “L’Amministratore de-mocratico”: “si [congedava] dai suoi abbonati e lettori per far posto a una nuo-va rivista, di più largo respiro e di più robusta intelaiatura, che sarà la voce del-la Lega nazionale dei comuni democratici […] nella strada del progresso, dellalibertà e della pace”395.

DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 113

391 Il convegno si svolse a Firenze nei primi mesi del 1949; Convegno nazionale degli assesso-ri al personale, Icd mar.-apr. 1949, p. 64.

392 Il convegno si svolse a Genova all’inizio del 1949 alla presenza del segretario Turchi, viparteciparono una trentina tra grandi e piccoli comuni del Centro-Nord, insieme a rappresen-tanti dell’Udi e del patronato Inca della Cgil; Attività assistenziale: convegno di Genova, Icdmar.-apr. 1949, pp. 63-4.

393 Da segnalare, sempre all’inizio del 1949, lo svolgimento di convegni di amministratoridel Psi: Primo convegno degli amministratori socialisti della provincia di Milano 13 marzo 1949,Icd mar.-apr. 1949, pp. 64-6; P.N., Il Convegno degli amministratori socialisti a Napoli, ADmar.-apr. 1949, pp. 112-4.

394 L’attività della Lega dei comuni democratici, AD gen. 1949, pp. 5-6.395 Saluto ai lettori, AD giu. 1949, p. 193.

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2.3. Una sola e “nuova” rivista per la Lega nazionale dei comuni democratici

L’idea che il nuovo organo della Lega dal vecchio titolo “Il comune demo-cratico” voleva trasmettere ai propri lettori nel primo numero della nuova serie,datato agosto 1949, era, allo stesso tempo, di continuità e di novità. Due con-cetti contraddittori considerati in astratto, ma che rappresentavano una con-suetudine per i militanti dei partiti della sinistra. I socialisti ma anche, e in par-ticolare, i comunisti, si consideravano eredi della migliore tradizione socialistadel ‘900 e, quindi, lontani dalle spinte massimaliste che tanto avevano dan-neggiato le lotte comunali. Allo stesso tempo, però, i partiti della sinistra, par-tendo dalla memoria viva delle proprie radici storiche, si proponevano come ar-tefici di una nuova politica, articolata e complessa, nella quale erano organica-mente comprese le istanze di rinnovamento della società nazionale ed interna-zionale. Tra queste istanze trovavano posto anche quelle provenienti dai gover-ni locali. Così si presentava ai propri lettori la redazione della nuova rivista, or-gano di battaglia politica ed amministrativa allo stesso tempo:“Ci presentiamo a voi quali eredi e continuatori di due riviste che da ora in poinon si pubblicheranno più: ‘Il comune democratico’ e ‘L’amministratore de-mocratico’. Le due riviste non sono morte per mancanza di mezzi o per esauri-mento di compiti, come accade talvolta nel campo dell’editoria; esse hanno ce-duto il campo a questa nuova rivista dopo un ponderato e meditato esame [...]ci proponiamo di fare della rivista lo strumento, che gli amministratori comu-nali, e non soltanto essi, non hanno cessato di reclamare […] Questa nuova ri-vista è innanzitutto un foglio di opposizione: di essa faremo un mezzo di lottacontro la politica reazionaria e anticostituzionale del governo democristiano[…] La nostra rivista è un organo di battaglia. Noi ci rivolgiamo specialmenteai sindaci e agli amministratori comunali che nella lotta per l’attuazione dellaCostituzione hanno un posto di avanguardia […] La rivista oltre che un mez-zo di orientamento e di guida sarà anche strumento di lavoro quotidiano pergli amministratori; essi vi troveranno la spiegazione, il consiglio, e utili indica-zioni sui problemi pratici e concreti che essi sono chiamati a risolvere”396.

Un primo bilancio della diffusione della nuova rivista sarebbe stato propo-sto ad un anno dall’uscita del primo numero. I dati risultano di un certo inte-resse anche perché possono dare un’idea di quella che era la forza della Lega deicomuni democratici sul piano nazionale ed il suo radicamento territoriale. Latiratura de “Il comune democratico” ammontava a 4.064 copie di cui 1.436 ri-servate ai “corrispondenti fissi”, 1.206 a rivenditori e 1.422 inviate agli abbo-nati. Poco meno di 4.500 copie per una rivista di carattere politico-ammini-strativo come quella non erano poche in assoluto, ma erano invece pochissimese si pensava che i soli consiglieri comunali democratici che avrebbero dovutoleggerla erano circa 65.000, escludendo i consiglieri delle province, gli ammi-nistratori dell’Eca e delle aziende municipalizzate.

Il quadro risultava ancor più scoraggiante se si faceva un’analisi della diffu-sione regionale e provinciale. L’Emilia e la Toscana da sole, (1.163 e 567 copie),

114 PARTE II

396 Il comune democratico, Ai nostri lettori, Icd ago 1949, p. 1.

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coprivano quasi la metà delle riviste diffuse nell’Italia settentrionale e centrale(2.490 e 1.240 copie), mentre il Piemonte e la Lombardia diffondevano “unnumero di copie pari a quello di una sola provincia dell’Emilia e della Tosca-na”. Sconfortanti erano poi soprattutto i dati dell’Italia meridionale ed insula-re nella quale venivano distribuite appena 325 copie; “la nostra conclusione –concludeva l’articolo che commentava i dati evidenziati – è questa: che tutti inostri lettori, ma specialmente le organizzazioni periferiche della Lega si ado-perino a migliorare la diffusione della Rivista”397.

2.3.1. L’orizzonte internazionale della nuova rivista: per la pace e per i paesidell’Est europeo

Riguardo all’orizzonte internazionale la Lega contestava l’istituzione delConsiglio Europeo sia in quanto “strumento di parte, e di politica di parte; tan-to di parte che il paese vi sarà rappresentato solamente dalla maggioranza”, siain quanto “strumento di una più vasta politica […, apertasi ] con la ratifica delPatto Atlantico”.

Alle obiezioni che potevano venire da questa presa di posizione in materiadi politica internazionale, l’articolo rispondeva in maniera netta: “Non si pen-si che son cose che non riguardano i Comuni. La pace riguarda i Comuni. Edi Comuni hanno il dovere di far sentire la loro voce, dei loro cittadini”398. Mal’orizzonte internazionale offriva anche un modello ai politici locali della sini-stra, quello di Gheorghi Dimitrov399, dal 1914 al 1923 consigliere comunaledella città di Sofia, capitale della Bulgaria, e, dopo anni di clandestinità e di lot-ta, divenuto Capo del governo bulgaro nel 1946 e segretario generale del Par-tito comunista bulgaro l’anno successivo. Un vero e proprio eroe degli ammi-nistratori della sinistra, che veniva ricordato nel IV anniversario della morte400.

La nuova serie de “Il comune democratico” per quanto riguarda le esperien-ze amministrative all’estero faceva riferimento solo ai Paesi comunisti. Un tri-buto, allora, che era dovuto ai paesi fratelli dell’est, ed al suo capo, il “Mare-sciallo Stalin” che veniva festeggiato dalla rivista della Lega con la pubblicazio-ne dell’indirizzo di augurio per il suo 70° compleanno inviatogli dal sindacoDozza nel dicembre del 1949401. Anche l’impostazione teorica del concetto del-l’autonomia comunale era diventata ideologicamente ortodossa, tanto che venivaricordata “l’autonomia locale nel pensiero di Engels e di Lenin”402.

Ben diversi erano stati gli articoli relativi all’esperienza internazionale quan-do la rivista era gestita dalla Lega provinciale di Milano. Allora l’attenzione era

DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 115

397 La nostra rivista, Icd ago.-set. 1950, pp. 327-8. Per arrivare al dato complessivo di 4.064copie ai dati dell’Italia del nord, del centro e del sud andavano aggiunte le 9 copie riservate alTerritorio libero di Trieste, allora sotto amministrazione alleata.

398 Orizzonti, Icd ago. 1949, pp. 2-3.399 Gheorghi Dimitrov. Consigliere comunale, Icd ago. 1949, pp. 6-8.400 Nel IV anniversario della morte di Giorgio Dimitrov, Icd lug.-ago. 1953, p. 177.401 Icd dic. 1949, p. 149402 Mario Franceschelli, L’autonomia comunale, Icd gen. 1950, pp. 8-10.

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rivolta all’Europa occidentale e venivano pubblicati, ad esempio, pezzi sull’or-dinamento degli enti locali in Olanda, Svizzera403 e soprattutto Inghilterra404.Tra questi ultimi è da segnalare Lo spirito dell’amministrazione locale inglese diRalph Cooke, dove si celebrava l’esperienza inglese come quella più vicina allastorica definizione della democrazia data da Abramo Lincoln: “Government ofthe people, by the people, for the people”. “Il Self government locale – conclu-deva Cooke - è nella sentenza di Abramo Lincoln la radice stessa della pubbli-ca responsabilità, senza questa autonomia la Democrazia sarebbe soltanto unnome vuoto”405. Solo nell’ultimo numero della prima serie, quello del marzo-aprile 1949, era apparso un articolo dedicato all’Est europeo: I consigli popola-ri. Organi locali dello Stato Rumeno406. Nello scritto era evidente la somiglianzadei consigli popolari romeni con le consulte popolari proposte dalla sinistra ita-liana, sia nella denominazione, sia nelle funzioni. Quello che ancora non sape-vano i militanti italiani era che dietro nomi simili si celavano realtà politico-istituzionali completamente diverse, come erano diverse la democrazia che inItalia si andava rafforzando e la dittatura che sempre più si sarebbe affermata inRomania ed in tutti i paesi dell’Europa orientale.

La nuova direzione de “Il comune democratico”, dal punto di vista inter-nazionale, si rifaceva direttamente all’eredità de “L’Amministratore democrati-co” che, a partire dal maggio 1948407, aveva dedicato ogni mese uno spazio al-le esperienze dei comuni delle democrazie popolari dell’Europa orientale.

2.3.2. La nuova centralità delle amministrazioni comunali

Nell’articolo, Popolo e comune, il deputato socialista Guglielmo Ghislandi,cercava di motivare amministratori e consiglieri della sinistra al duro lavoro neicomuni. Persone che avevano lottato nella clandestinità durante il fascismo e,soprattutto, nella Resistenza, dovevano abituarsi al lavoro amministrativo spes-so grigio e defatigante nelle giunte ed a quello, ancora più ingrato, di consi-gliere d’opposizione. Un consigliere spesso escluso da qualsiasi decisione da un“signor Sindaco […, chiuso] coi consiglieri di maggioranza e col quasi semprecompiacente signor segretario [comunale] in una sala ristretta”. Solo il contat-to con il popolo ed il pensiero di lottare per il popolo poteva aiutare a soppor-tare queste situazioni, quello stesso popolo che si doveva coinvolgere il più pos-sibile nell’attività amministrativa e politica ed il cui voto avrebbe permesso lavittoria alle prossime elezioni408.

116 PARTE II

403 Nicola Jaeger, Il Comune svizzero, Icd lug. 1948, pp. 104-5; Piero Montagnani, Embrio-ni di Consulte popolari in Olanda, ivi, pp. 105-6.

404 Paolo Lombardi, Local Governement in Inghilterra, Icd giu. 1948, pp. 77-80; primo diuna serie di cinque articoli, l’ultimo appariva nel numero di nov.-dic. 1948, pp. 181-3.

405 Ralph Cooke, Lo spirito dell’amministrazione locale inglese, Icd mar.-apr. 1949, p. 406 Stelian Tanasesco, I consigli popolari. Organi locali dello Stato Rumeno, Icd mar.-apr. 1949,

p. 59.407 Manlio Ciufolini, Municipalità estere: Bucarest, AD mag. 1948, pp. 141-4408 Guglielmo Ghislandi, Popolo e Comune, Icd ago. 1949, pp. 4-5.

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Il risultato delle elezioni politiche del 1948, la fine dell’illusione di un rove-sciamento rapido della maggioranza democristiana aveva portato ad una riva-lutazione del ruolo delle amministrazioni locali nella strategia della sinistra.Nella prospettiva di una lunga battaglia politica per la conquista del governonazionale la presenza nelle amministrazioni e nei consigli delle istituzioni loca-li diventava essenziale. In questo quadro, il rafforzamento della Lega dei co-muni democratici era necessaria sia per il supporto tecnico-amministrativo aicompagni negli enti locali, sia per collegare la difesa in Parlamento dell’autono-mia locale e delle amministrazioni dai provvedimenti del Ministero dell’inter-no con l’attività degli amministratori nei comuni e nelle province. Il rapportodella Lega con l’Anci, infine, permetteva un utile dialogo con personalità vici-ne alla maggioranza politica al governo e, soprattutto, la possibilità metterne incrisi l’appartenenza evidenziando le difficoltà dei rapporti con il Governo el’Amministrazione centrale controllati dai loro colleghi di partito.

Il nuovo atteggiamento della sinistra accresceva l’importanza del movimen-to per le autonomie locali sulla scena polico-istituzionale, dopo anni nei qualil’unica prospettiva ritenuta utile era quella nazionale, per via della gestione deiproblemi della ricostruzione, istituzionale, economica e finanziaria della Na-zione dopo i disastri della dittatura fascista e della guerra. Nel caso della sini-stra, però, più che di recupero di importanza si trattava piuttosto di acquisizio-ne di una nuova centralità, considerato che sin dagli anni dell’Italia liberale peruna parte consistente del Partito socialista, tesa verso la prospettiva rivoluzio-naria, quello che riguardava i comuni era pur sempre un programma minimo.

Detto in altri termini, grazie alla nuova centralità delle amministrazioni lo-cali nella politica della sinistra non ci sarebbero più state minacce di dimissio-ni in massa di sindaci comunisti e socialisti come quelle che si verificarono al-l’indomani dei risultati delle elezioni dell’aprile 1948. Gli amministratori dellasinistra sapevano, finalmente, che il loro ruolo era essenziale nella strategia po-litica del Pci e del Psi: “Nella lotta per la Democrazia il Comune è il perno”409,scriveva nel 1949 Lucio Luzzatto, deputato socialista.

2.3.3. La nuova Lega in Parlamento e nella realtà locale

La prima iniziativa in ambito parlamentare della nuova Lega era in materiadi tariffe di servizi pubblici, che veniva pubblicata nella rubrica Cronache par-lamentari410. I due segretari, il comunista Turchi ed il socialista Ghislandi, pre-sentavano alla Camera una proposta di legge “per l’abolizione della competen-za del comitato interministeriale prezzi [Cip] in materia di determinazione del-le tariffe dei servizi pubblici in concessione o in gestione diretta dei comuni odi altri enti pubblici”. La Lega, in sostanza, chiedeva che i comuni – cessatal’emergenza dell’immediato dopoguerra - fossero liberi di fissare le tariffe deiservizi pubblici in relazione alle specifiche esigenze delle rispettive aziende, sen-

DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 117

409 Lucio Luzzatto, Il comune oggi, Icd set. 1949, pp. 35-6.410 La rubrica era a cura di Gino Pallotta.

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za dover essere costretti ad adeguarsi a quelle stabilite dal Cip, identiche per tut-ta l’Italia. L’eliminazione della competenza del Cip in materia avrebbe fatto ces-sare l’aumento generale e indiscriminato delle tariffe imposto dalle imprese pri-vate ad un organo che non aveva capacità, né volontà, di arginare richieste chesolo l’intervento della Confederazione delle aziende municipalizzate era riusci-to, in qualche caso, a contenere. Ma autonomia, per i comuni, era anche poterdecidere i prezzi delle tariffe, eliminando il blocco delle tariffe dei pubblici ser-vizi comunali deciso con il R.D.L. 5 ottobre 1936, n. 1746411.

Nell’autunno del 1949 riprendeva anche, a pieno ritmo, l’attività delle Le-ghe provinciali che si rispecchiavano nello svolgimento di numerosi congressiai quali, spesso, assisteva uno dei due segretari nazionali412. Nel febbraio del1950 la rivista dell’organizzazione pubblicava una circolare dedicata a Impostadi famiglia e I.C.A.P., che si concludeva con la viva raccomandazione “di cura-re l’esecuzione di queste direttive”413.

Un esempio dell’attività che le sedi provinciali della Lega svolgevano venivadalle notizie sulla Lega provinciale di Bologna, costituita nel 1946, all’indomanidello svolgimento delle elezioni amministrative locali. L’Associazione dei co-muni della provincia di Bologna - denominazione ufficiale della sede provin-ciale, assunta molto probabilmente all’indomani del congresso dell’Anci del1949 – era costituita dall’assemblea dei sindaci dei sessanta comuni della pro-vincia, spesso allargata ad assessori e consiglieri comunali, da un comitato di-rettivo, formato da amministratori del Pci, del Psi e del Psli, e dalla presidenza.

L’attività dell’associazione era diretta in particolare all’assistenza in favore deipiccoli comuni, intorno ai 5-6000 abitanti, che erano la stragrande maggio-ranza414. Le frequenti riunioni plenarie erano accompagnate dall’attività di seicommissioni di lavoro dedicate a tributi e bilanci; lavori pubblici; assistenza,scuola e commissioni popolari; consulenza; amministrazione. Le attività più si-gnificative erano quelle per favorire il passaggio dei comuni dalla gestione del-le imposte di consumo in appalto a quella diretta (avvenuta in 35 comuni); perla promozione delle colonie per bambini (frequentate da oltre 3.000 giovani);per la proiezione cinematografica di materiale didattico; per la consulenzaospedaliera in materia di ricoveri finalizzata al risparmio della spese per degen-ti da parte delle amministrazioni comunali, allora competenti in materia di pa-gamento delle spese per l’assistenza ospedaliera; per consulenza sulle funzionidel sindaco in materia di ordine pubblico415.

Sempre per quanto riguarda l’attività delle Lega in ambito locale c’è da se-gnalare l’attenzione ai piccoli comuni416 ed alla complessa e difficile realtà delle

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411 Luigi Ciofi Degli Atti, In tema di tariffe dei servizi pubblici, Icd set. 1949, pp. 41-3.412 L’attività della Lega, Icd set. 1949, pp. 51-3; nel mese di settembre venivano segnalati

convegni della Lega a Genova, Pistoia, Mantova, Novara e Torino; in ottobre a Padova, Mila-no, Piacenza, Terni, Rovigo; L’attività della Lega, Icd ott. 1949, pp. 91-2.

413 L’attività della Lega, Icd feb. 1950, pp.71-2.414 I comuni maggiori erano Bologna (370.000 ab.) ed Imola (45.000 ab.), seguivano 6 co-

muni con 10-20.000 ab., e 5 comuni con 3.000 ab. 415 La Lega provinciale di Bologna, Icd mar.-apr. 1950, pp. 113-5.416 Mario Osti, Finanza democratica nei piccoli comuni, Icd feb. 1950, pp.41-2.

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istituzioni locali del Mezzogiorno e l’incitazione agli amministratori della Legaa seguire le direttive espresse dal movimento per la Rinascita del Mezzogiorno417.

2.4. Una nuova Lega e una nuova Anci

Oltre nell’ambito politico, nel quadro di una nuova centralità acquisita dalleistituzioni locali nella strategia politica della sinistra, il rilancio dell’attività dellaLega avveniva anche – e forse, soprattutto - nell’ambito del movimento per leautonomie locali. Nell’editoriale di apertura della nuova serie, infatti, la primaquestione ad essere proposta era il rapporto con l’Anci, associazione alla quale siribadiva la necessità di partecipare attivamente. La Lega dei comuni democrati-ci era un’organizzazione con caratteristiche di “strumento di formazione e diazione per la difesa e lo sviluppo di dati principi. L’Anci è sede di elaborazionee di rappresentanza, aperta a tutti”. Queste caratteristiche sarebbero rimaste in-tatte per decenni: la Lega, oltre che organizzazione diretta alla promozione del-la politica dei partiti della sinistra per gli enti locali, fu anche, soprattutto fino atutti gli anni ’50 del ‘900, importantissimo strumento di difesa delle ammini-strazioni della sinistra. L’Associazione dei comuni, invece, era riconosciuta comeorganizzazione in grado di rappresentare tutti i comuni e, in quanto tale, di dia-logare con le istituzioni relativamente alle esigenze di tutti gli enti locali.

Ma questo dialogo con le istituzioni non veniva semplicemente delegato al-l’Anci. La Lega si proponeva, nei fatti, come potente stimolo ad un dialogo chefosse su problemi concreti e su reali possibilità di soluzione. Primo fra tutti iproblemi era quello delle finanze comunali:“Le finanze comunali sono il problema chiave, fondamento delle possibilità ope-rative di una amministrazione e cardine dell’autonomia degli enti locali”. E le fi-nanze comunali dipendevano, in primo luogo, dall’imposta di famiglia che, i co-muni della sinistra, applicavano seguendo i propri principi politici: “i principi diequa distribuzione degli oneri in rapporto progressivo con la ricchezza indivi-duale e la capacità contributiva”. Era questa la prima ragione di contrasto con ilgoverno centrale e, in particolare, con il Ministro delle finanze, che aveva an-nunciato: “il proposito di attuare provvedimenti diretti ad addossarne il maggioraggravio sui meno abbienti, alleggerendone l’onere per le categorie più agiate”418.

2.4.1. L’evoluzione dei rapporti tra le due organizzazioni

Il fatto che aveva determinato la scelta dell’avvio di una nuova fase dell’atti-vità della Lega e, in questo ambito, l’avvio della pubblicazione di una nuova se-rie de “Il comune democratico” era, senza dubbio, lo svolgimento del primo

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417 Guglielmo Ghislandi, Per la rinascita del Mezzogiorno, Icd feb. 1950, pp. 39-40.418 Orizzonti, Icd ago. 1949, pp. 2-3; un altro argomento fondamentale del dialogo con le isti-

tuzioni citato nell’articolo era quello della riforma dell’ordinamento locale basato su una riforma re-gionale che, in quanto prevista dalla Costituzione, si sarebbe dovuta mettere in opera al più presto.

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congresso nazionale dell’Anci a Roma, dal 25 al 28 giugno 1949. L’ipotesiemerge dalla lettura di un articolo firmato dal segretario nazionale Giulio Tur-chi, pubblicato nel primo numero della nuova rivista.

Dal settembre 1946 al dicembre 1947 l’Anci “vivacchiò”, proprio come eraaccaduto nel primo dopoguerra perché, scriveva Turchi, l’Associazione dei co-muni non aveva avuto “il coraggio di prendere apertamente posizione contro iprimi attentati alle riconquistate libertà democratiche dei quali proprio i co-muni furono i primi a soffrirne”. All’indomani della nascita della Lega molticomuni decisero di distaccarsi da un’Anci che sosteneva l’idea della “apolitici-tà” delle cariche amministrative. Priva dell’apporto dei comuni più attivi e pro-positivi l’Associazione “entrò in coma”. Che fosse proprio il nodo della “apoli-ticità” – e, quindi, fatto non secondario, la negazione di qualsiasi legittimitàdella Lega - ad avvelenare i rapporti tra le due principali organizzazioni del mo-vimento per le autonomie locali era divenuto evidente con la pubblicazionedell’articolo di Achille Guerra sulla rivista dell’Anci nel novembre del 1948, ci-tato nelle pagine precedenti.

Sottolineava Turchi, a questo proposito, che la partecipazione delle ammi-nistrazioni della sinistra al congresso nazionale dell’Anci di giugno era avvenu-ta dopo un accordo per la revisione dello statuto dell’Associazione. Il nuovo sta-tuto approvato dal congresso riconosceva la possibilità di adesione di unioni lo-cali di comuni alle quali veniva attribuita una competenza esclusiva in questio-ni di interesse locale e di assistenza e consulenza locale. Grazie a questo, le Le-ghe provinciali avevano avuto la possibilità di continuare la propria opera, conil riconoscimento ufficiale dell’Associazione, ed avevano avuto quindi la possi-bilità di contribuire, in quanto tali, alla vita ed al dibattito interno dell’Anci419.

In anni di durissima contrapposizione tra i partiti di governo e della sinistra,una contrapposizione insanabile che riprendeva i temi e i toni del conflitto in-ternazionale tra i Paesi soggetti all’influenza dell’Unione sovietica e quelli del-l’appena costituita Nato, il movimento comunale ricomponeva le proprie filegrazie ad un accordo tra amministratori e politici comunali vicini ai partiti digoverno e quelli che si riconoscevano nel Fronte popolare.

2.4.2 Il linguaggio comune dei sindaci

L’accordo, deciso dai vertici delle due organizzazioni, era poi stato sancito,come sottolineava con una certa meraviglia il segretario Turchi, dallo svolgi-mento del congresso dell’Anci. Una meraviglia identica a quella manifestata al-l’inizio del ‘900 dal presidente dell’Anci, Emanuele Greppi, un conservatoremoderato milanese, che aveva descritto sul “Corriere della sera” il dibattito delcongresso straordinario dell’Anci di Firenze del 1905. Greppi si era trovato per-

120 PARTE II

419 L’esperienza della Lega che Turchi segnalava come modello per i comuni dell’Anci eraquella dei Consorzi provinciali Pro Infanza fra i comuni dell’Emilia e della Toscana; si veda aquesto proposito il progetto del comune di Modena, Una lodevole iniziativa, Icd giu. 1948, pp.83-4.

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fettamente a suo agio in un’assemblea di sindaci, di tutta Italia e di tutte le ten-denze, che aveva giudicato molto severamente il comportamento del governonei confronti dei comuni: “dalla discussione risultò che il disgusto contro il Go-verno proveniva più ancora che per ingiusti aggravi di spesa, pel modo goffo,incoerente e dispotico col quale subdolamente si permette di alterare senza po-sa le facoltà dei Comuni: prima con articoli equivoci di leggine che passanoinavvertite fra le commozioni della politica, poi con regolamenti che falsano leleggi e richiedono cose spesso contraddittorie ed assurde”420.

Nel congresso dell’Anci del 1949, scriveva Turchi, sindaci di tutte le regionid’Italia e di tutti i partiti “hanno parlato un linguaggio in larga misura comu-ne”, un fatto straordinario perché “è anche troppo noto che noi e i democri-stiani parliamo due lingue diverse […] Così è accaduto relativamente al pro-blema dell’invadenza del potere centrale, così per quello della finanza; con lastessa energia i sindaci socialisti e comunisti e quelli democristiani hanno af-fermato che i principi sanciti nella Costituzione devono trovare pratica e effet-tiva attuazione”421.

Sulla base del riconoscimento del principio dell’autonomia, istituzionale efinanziaria, si ricomponevano i rapporti interni al movimento per le autonomielocali e la Lega vedeva finalmente riconosciuta la legittimità della propria fun-zione. Fu quello un momento di grande importanza del movimento per le au-tonomie locali attraverso il quale ne veniva riaffermata la continuità dal perio-do liberale a quello repubblicano. Nei ventanni di dittatura fascista, infatti, erastato cancellato il protagonismo politico-istituzionale e tecnico-amministrativodelle autonomie locali dell’Italia liberale ed era stata affermata la completa sub-ordinazione di comuni e province allo Stato o, quanto meno, l’idea di una sor-ta di “neutralità” delle autonomie locali il cui solo ruolo sarebbe dovuto esserequello di applicare le leggi dello Stato.

2.4.3. Battaglie comuni contro provvedimenti governativi

I primi risultati della collaborazione tra Anci e Lega venivano delineati daMassimo Severo Giannini, componente del comitato di redazione dell’organodella Lega e membro del comitato esecutivo dell’Anci. Il Consiglio nazionaledell’Anci svoltosi a Roma il 6-7 giugno 1950 dedicato alla finanza locale avevavotato ben 12 proposte all’unanimità e due sole a maggioranza, proposte cheerano state poi presentate al Ministro delle finanze e comunicate ai parlamen-tari delle commissioni finanze e tesoro impegnati nell’esame dei due progetti dilegge sulla finanza locale, di Fortunati e di Vanoni, quest’ultimo divenuto lalegge 30 luglio 1950 n. 575. Successivamente il Ministero dell’interno inviavauna circolare, datata 19 giugno, alla quale l’Anci aveva deciso di opporsi fer-mamente con un ordine del giorno approvato dal proprio comitato esecutivo

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420 Emanuele Greppi, I Congressi dei Comuni, in “Corriere della sera”, 19 mag.1906; ora inGaspari, L’Italia dei municipi…, cit., p. 222.

421 Giulio Turchi, I comuni italiani a congresso, Icd ago 1949, pp. 9-10.

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tenutosi a Venezia il 4 settembre. La circolare infatti, anticipava i criteri di ap-plicazione della legge Vanoni la cui definizione era riservata al Parlamento.L’Anci, quindi, scriveva Giannini: “[invitava] i comuni a non tener conto del-le circolari ministeriali con le quali si pretende di dar applicazione a norme con-tenute in progetti non ancora divenuti legge. Tecnica sorprendente, invero, eche ricorda molti analoghi fatti accaduti durante il ventennio, che furono tut-ti recisamente condannati dal Consiglio di Stato”.

Ma la prossimità tra Lega ed Anci era riaffermata anche - e forse soprattut-to - dalla mortificazione cui entrambe erano soggette per via dei provvedimen-ti prefettizi di annullamento delle delibere comunali di spesa riguardanti le ri-spettive quote associative. A nulla contava il fatto che l’Anci fosse presieduta daldemocristiano sindaco di Roma Francesco Rebecchini. Gli annullamenti delledelibere di adesione venivano “adottati tutti in applicazione rigoristica di unacircolare del Ministero degli interni” e non si trattava di annullamenti sporadi-ci422 né, come si avrà modo di vedere più oltre, limitati ai difficili anni del do-poguerra.

Quei provvedimenti erano così massicci da costringere la direzione dell’An-ci a tramutare l’assemblea annuale indetta a Napoli per il 25 ottobre del 1950in un semplice convegno. A contribuire al successo di quel convegno, quale at-to di opposizione alla repressione ministeriale - pur non dichiarato - Gianninichiamava gli amministratori della sinistra: “ai quali si deve quel che di più vivoha saputo dare l’esperienza della vita locale di questa ripresa del dopoguerra”. Aquegli amministratori, scriveva ancora Giannini, “anche i comuni retti da am-ministratori di altra parte si stanno affiancando, ogni qualvolta, si capisce, sitratti di amministratori autentici, non di mandatari di baronie locali […] Essisi vanno persuadendo che l’attuale indirizzo politico è per sua natura ostile al-le libertà locali: è ostile non perché vi siano nel Governo degli uomini che, sin-golarmente presi, non siano – o non siano stati – convinti dell’idea che la baseprima della vita democratica sono i comuni, ma perché le forze alle quali l’a-zione governativa è costretta ad appoggiarsi sono ostili alle libertà locali”423.

Il fenomeno della sostanziale convergenza di posizioni tra tutti gli ammini-stratori locali che così gradevolmente aveva sorpreso il segretario Turchi nelcongresso dell’Anci del 1949 si ripeté a Napoli nell’ottobre del 1950: “sindacidemocristiani discutono insieme con i sindaci socialisti e comunisti e trovanogiuste e accettabili le posizioni che questi ultimi ritengono con ragione comeproprie”. L’unanimità che gli amministratori avevano ritrovato nella città par-tenopea riguardava temi essenziali del governo locale, come ordinamento e fun-zioni delle amministrazioni locali; la riforma dell’assistenza sanitaria; i contri-buti di miglioria; le aziende municipalizzate. Per il segretario il convegno ave-

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422 Come poteva essere il caso dell’annullamento della delibera di adesione all’Anci del co-mune di Venezia, citato - incidentalmente - in un articolo del deputato Luzzatto nel quadrodelle denuncia dell’ispezione ministeriale punitiva cui era stato soggetta quella amministrazio-ne, guidata da una maggioranza di sinistra; L.L. [Lucio Luzzatto], E Venezia?, Icd lug. 1950,pp. 256-7.

423 Massimo Severo Giannini, L’attività dell’Anci, Icd ago.-set. 1950, pp. 299-300.

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va “riconfermato l’esistenza di una frattura fra le sfere politiche dirigenti […] el’orientamento spontaneo e genuino del popolo che i sindaci convenuti a Na-poli hanno espresso”. La Lega, concludeva Turchi, avrebbe dovuto ispirare “tut-ta la [sua] azione futura” al “significato politico”424 di quella frattura.

L’unità degli amministratori veniva ritrovata ogni qual volta veniva affron-tata una discussione su questioni concrete. Nella cronaca del convegno nazio-nale dell’Anea svoltosi a Napoli il 9-12 novembre 1952, ad esempio, veniva sot-tolineato il fatto che il rafforzamento della politica di assistenza e degli enti diassistenza sostenuto dalla sinistra aveva incontrato l’approvazione dei congres-sisti, i quali, sebbene larghissimamente affiliati alla DC avevano manifestato lapropria insofferenza verso il rappresentante del governo, il Sottosegretario al-l’interno, Teodoro Bubbio, che aveva affermato l’impossibilità per l’esecutivo diaumentare i finanziamenti a favore degli enti di assistenza425. Addirittura, solola scarsa presenza di amministratori della Lega - su circa 1200 partecipanti so-lo 206 rappresentavano enti democratici – aveva impedito, secondo il segreta-rio Turchi, che il congresso si trasformasse in un successo politico della sini-stra426.

2.4.4. Giannini per il movimento delle autonomie locali e per la Lega

Dalle pagine de “Il comune democratico” Giannini ricordava la rilevanzadell’Anci come luogo di dialogo tra diverse forze politiche in anni di durissimiscontri ideologici. Scriveva a questo proposito alla fine del 1952: “Non si puònon sottolineare l’importanza che ha avuto l’Associazione come organismo chesenza estraniarsi dalle istanze politiche che dominano nelle amministrazioni co-munali ha saputo rimanere apartitico. Essa è stata uno dei rari spazi della vitanazionale ove sia reso possibile un dialogo tra diverse correnti politiche, si sia-no trovati molti punti di concordanza già in partenza e si siano raggiunti mol-ti punti di accordo in arrivo. Ciascuno si è in essa sempre sforzato di prospet-tare le proprie tesi in termini generali, in genere con buoni risultati. Sarebbe au-spicabile che una così importante esperienza non andasse perduta”427.

Lo studioso non solo difendeva l’azione unitaria del movimento per le au-tonomie locali, ma si occupava di delineare i confini dello spazio giuridico en-tro il quale la Lega, e le altre organizzazioni degli enti locali, potevano esplica-re la propria azione, come nel caso della partecipazione agli accordi contrattua-li dei propri dipendenti. In quegli anni una disputa divideva coloro i quali so-stenevano la necessità che le organizzazioni di comuni e province rimanesseroestranee dall’affrontare la questione e coloro che, come le associazioni dei di-pendenti, sostenevano il contrario.

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424 Giulio Turchi, Un discorso e un convegno, Icd ott. 1950, pp. 343-4.425 G. Battista Facchini, I problemi degli ECA al congresso dell’ANEA, Icd dice. 1952, pp.

357-8.426 g.t. [Giulio Turchi], In margine al congresso dell’ANEA, Icd 12 1952, pp. 359-60.427 Massimo Severo Giannini, Convegno-Congresso dell’ANCI, Icd dic. 1952, pp. 355-6.

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Giannini, partendo dal presupposto che il Ministero dell’Interno aveva sta-bilito che tutti i dipendenti degli enti locali dovessero essere disciplinati da re-golamenti comunali e provinciali, e non da contratti collettivi428, difendeva laposizione formulata dalla Federazione nazionale dipendenti enti locali (Fndel)nel 1950, accolta dall’Upi nel 1951, e difesa dalla Lega. Lo studioso sostenevache i problemi dei dipendenti degli enti locali non potevano essere visti comeestranei agli enti locali: “ma vanno considerati fra i problemi organizzativi fon-damentali degli stessi enti – e ciò è stato posto in evidenza dalla Lega dei co-muni democratici [..., inoltre] giova agli stessi enti locali intervenire nella dis-cussione di tali problemi affinché essi non vengano risolti, in loro assenza, con-tro di loro”429.

Giannini riconosceva che il ruolo dell’Anci era insostituibile in quanto era“uno dei rari spazi della vita nazionale ove sia reso possibile un dialogo tra di-verse correnti politiche, si siano trovati molti punti di concordanza già in par-tenza e si siano raggiunti molti punti di accordo in arrivo” e, allo stesso tempo,evidenziava il ruolo fondamentale della Lega nel porre all’attenzione i concretiproblemi delle autonomie locali e nella ricerca di una loro soluzione. Era que-sto il caso della questione del contratto degli impiegati locali, che, ricordavaGiannini, era “stato posto in evidenza dalla Lega dei comuni democratici”.

Il legame tra Anci e Lega poteva essere affermato, come per Giannini, anchedalle biografie di alcuni protagonisti della storia del movimento per le autono-mie locali. Era questo il caso di Renato Vicard, segretario dell’Anci dalla rifon-dazione nel secondo dopoguerra fino al 1956, la cui figura veniva così ricorda-ta nelle pagine dell’organo della Lega: “Egli, che amava come propria creatural’Anci, era al tempo stesso un convinto sostenitore della Lega perché ferma-mente credeva, da socialista memore della Lega dei comuni socialisti, nella suainsostituibile azione di avanguardia; ed anche per questo il nostro dolore per laSua scomparsa è vivamente sentito”430.

2.5. La difesa delle amministrazioni della sinistra e dei bisogni dei cittadini

2.5.1. Le difficoltà di una nuova classe dirigente nei comuni di sinistra

Vent’anni di fascismo volevano dire, per gli amministratori della sinistra del-la prima generazione, quella dell’Italia liberale, vent’anni di più sulle spalle event’anni di lontananza dalle istituzioni. Ma se i vecchi militanti chiamati adamministrare comuni e province, nonostante non fossero variate le norme diriferimento, potevano essere messi in difficoltà dall’evoluzione della prassi am-

124 PARTE II

428 Una disciplina, sottolineava polemicamente Giannini, che il Ministero imponeva persinonel caso dei dipendenti delle aziende municipalizzate che “per chiara disposizione di legge, e perripetuta interpretazione di giurisprudenza, hanno lo stato giuridico di dipendenti privati”.

429 Massimo Severo Giannini, Associazioni di enti locali e associazioni di dipendenti di enti lo-cali, Icd dic. 1951, pp. 379-380.

430 Renato Vicard, Icd ago. 1958, p. 219.

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ministrativa, ben più pesante era la condizione dei compagni cresciuti alla du-ra scuola della clandestinità e della Resistenza. Dalle file del Pci e del Psi man-cava all’appello un’intera generazione di amministratori e i nuovi militanti, ca-richi di entusiasmo, erano del tutto privi di esperienza. I neo-amministratorifurono così obbligati a farsi le ossa direttamente sul campo, spesso senza poterfare alcun affidamento sull’aiuto di un segretario comunale e provinciale, a vol-te più pronto a rispondere alle indicazioni del Ministero – da cui dipendeva da-gli anni del fascismo - che a coadiuvare il nuovo sindaco e il nuovo preside del-la provincia nell’esercizio della carica. Furono molti quelli che, come il citatoRoberto Vighi431, riuscirono a passare la prova lasciando traccia della loro ope-ra, degli altri che non ebbero successo non sappiamo nulla. Tra questi ultimi vierano molto probabilmente gli amministratori della sinistra demoralizzati dal-l’esito delle elezioni nazionali del 1948 che, come già accennato, pensarono didimettersi:“subito dopo le elezioni del 18 aprile si è verificato qualche caso di scoraggia-mento con tendenza alle dimissioni, l’intervento immediato delle Leghe [pro-vinciali] e quello personale di amministratori più preparati anche politicamen-te, è stato sufficiente a superare queste manifestazioni di crisi al loro primo ma-nifestarsi”432.

L’insufficiente preparazione degli eletti nel 1946 sarebbe stata confermatadalla stessa Lega nel 1951, quando l’allora segretario, Giulio Turchi, com-mentando i risultati delle elezioni locali di quell’anno, sottolineava la miglio-re qualità degli amministratori rispetto a quelli della tornata elettorale prece-dente433.

2.5.2. Lo scioglimento dei consigli comunali e l’imperizia dei prefetti

L’imperizia, cui la Lega cercò di ovviare con apposite iniziative434, in ogni ca-so, non era prerogativa dei soli sindaci della sinistra. Anche il Ministero del-l’interno, nello stesso periodo, era costretto a ricordare la necessità di seguirecorrettamente procedure e regolamenti ai prefetti che in alcuni casi, evidente-mente, decidevano di avviare provvedimenti gravissimi, quali erano lo sciogli-mento dei consigli comunali e la rimozione dei sindaci, senza una adeguataistruttoria. Riportava una circolare del Ministero riprodotta, senza alcun com-mento, nella rubrica Notizie utili per gli amministratori:“Pervengono a questo ministero proposte di scioglimento dei consigli comuna-li e di rimozione dei sindaci senza che siano state osservate le prescrizioni di cuiagli articoli […] a tali eccezionali rimedi deve ricorrersi solo quando i vari mez-

DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 125

431 Vighi, Per il socialismo, l’antifascismo, le autonomie…., cit. 432 Attività della lega dei comuni. Decisioni del Comitato provvisorio della Lega nazionale dei

comuni democratici…, cit., p. 94.433 Giulio Turchi, Una Lega più forte, Icd 12 1951, pp. 368-9.434 La direzione, Si realizza un’attesa iniziativa: la scuola per amministratori, Icd ott.-nov.

1951, p. 336.; l’articolo, in realtà, annunciava solo la pubblicazione di “un corso per ammini-stratori” in fascicoli mensili allegati alla rivista.

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zi attribuiti dalla legge alla autorità governativa [invio di commissari (… )] sisiano palesati inefficaci”435.

La situazione non sembrava essere cambiata poi molto dal marzo 1892, da-ta nella quale il Ministro dell’interno Francesco Nicotera, in una circolare, la-mentò “duramente l’aumento quotidiano di richieste di scioglimento di consi-gli comunali fatte dai prefetti che: ‘in gran parte […] vengono respinte’ dal mi-nistero”436.

A giudicare dai dati pubblicati nella rivista della Lega comunque, i casi discioglimento delle assemblee elettive locali, come si vedrà, non assunsero di-mensioni paragonabili a quelle dei periodi precedenti. Di nuovo, rispetto alpassato c’era il fenomeno delle denunce a carico del “sindaco, della sua sospen-sione e rimozione e, infine, del suo arresto.

Primo responsabile di questa situazione era il prefetto di cui il costituziona-lista Vezio Crisafulli negava la legittimità nel nuovo ordinamento democratico:“La figura del prefetto, almeno per tutto quanto riguarda la sua sfera d’azionenei confronti delle amministrazioni degli enti locali, non trova più posto in unsistema che voglia davvero svolgere con coerenza i principi della Costituzionerepubblicana. È necessario che la vecchia diffidenza verso il popolo e le sue rap-presentanze, caratteristica delle classi dirigenti che hanno portato alla rovina ilnostro paese, scompaia una buona volta per far posto alla fiducia ed al sanoprincipio del controllo popolare e della responsabilità degli amministratori elet-ti di fronte ai loro elettori”437.

2. 5.3. Le tipologie dei più gravi provvedimenti contro le autonomie locali

Nel 1950 il deputato Luzzatto divideva i provvedimenti del Ministero del-l’interno contro le amministrazioni democratiche in due gruppi: la nomina diun commissario prefettizio nei comuni il cui consiglio comunale aveva persooltre la metà dei componenti; la sospensione del sindaco e la sua successiva ri-mozione con provvedimento del Presidente della Repubblica438.

Nel primo caso il provvedimento amministrativo del Ministero si combi-nava con un atto politico di un partito i cui consiglieri si dimettevano in mas-

126 PARTE II

435 Scioglimento dei consigli comunali e di rimozione dei sindaci. (Dir. Gen. Amm. Civile, Div.A. G. sez. I, 27 ago. 1948, n. 15900. I bis-1024), Icd nov.-dic. 1948, p. 195.

436 Gaspari, L’Italia dei municipi…, cit., p. 186; per la citazione del documento: Acs, Min.Int. Comuni, b. 202, fasc. 15900.1.3, Circolare riservata del Ministero dell’interno, div. 2, n.15800.2 del 23 marzo 1892, Inchiesta su scioglimento dei consigli comunali, ai signori prefettidel Regno, firmato Ministro Nicotera.

437 Vezio Crisafulli, Prefetture e comuni, AD mag. 1948, pp. 136-9.438 A questi due tipi di provvedimenti che possono essere definiti straordinari se ne poteva

aggiungere un terzo gruppo, meno eclatante ma comunque nocivo per il corretto svolgimentodell’attività amministrativa comunale, definibile come ordinario. Tra questi possono esserecompresi gli annullamenti delle delibere comunali tramite la Gpa e l’attività ispettiva dei fun-zionari del Ministero dell’interno mirata a scovare l’esistenza di eventuali irregolarità ammini-strative; su questo terzo gruppo di provvedimenti cfr. L.L. [Lucio Luzzatto], E Venezia?, Icd lug.1950, pp. 256-7.

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sa, approfittando anche del fatto che, soprattutto verso la fine del quadrien-nio del mandato, alcuni componenti dell’assemblea potevano essere decedu-ti o si erano dimessi in precedenza per altri motivi. Il commissario prefetti-zio, quindi, attraverso vari escamotage, ritardava la convocazione dei comizielettorali ed amministrava il comune proprio nel periodo chiave che prece-deva il nuovo appuntamento elettorale. La sospensione – e la rimozione - delsindaco avveniva soprattutto per motivi di ordine pubblico e, generalmente,comportava la privazione dei diritti politici del sindaco che, quindi, non po-teva partecipare alla elezioni, privando così la sinistra del candidato più no-to439, fatto particolarmente grave in piccoli comuni dove i candidati disponi-bili erano pochi.

L’istituto della rimozione veniva definito, sempre da Luzzatto, come “unistituto in sé abnorme ed eccezionale, incompatibile con i principi della Costi-tuzione vigente, e perciò comprensibile soltanto in casi transitori e del tutto ec-cezionali”. Purtroppo, invece, di quell’istituto si era abusato per fini politici col-pendo i comuni della sinistra con la scusa di preservare l’ordine pubblico:“Troppo si è fatto, e tutto si può fare in nome dell’‘ordine pubblico’ […] ma-teria sommamente delicata, fondamentale per la vita democratica, su cui oc-corre pertanto ben riflettere”440. Quello che deve essere sottolineato è che il se-gretario della Lega dopo aver analizzato le norme dell’istituto giuridico e la cor-relata giurisprudenza, non condannava la rimozione in quanto tale che, sotto-lineava, poteva essere usata solo “in casi transitori e del tutto eccezionali”. Luz-zatto denunciava l’abuso dell’istituto della rimozione, chiedeva, in sostanza, an-cora una volta, il rispetto della legge.

2.5.4. “Il reato di essere sindaco”

L’espressione Il reato di essere sindaco441 titolo di un discorso svolto a Bolo-gna nel 1951 dal sindaco Giuseppe Dozza, rende molto bene l’idea dell’atmo-sfera nella quale si trovarono ad amministrare i sindaci comunisti e socialistinell’Italia del secondo dopoguerra fino a tutti gli anni ’50. Dozza nel suo in-tervento espose uno per uno, numerosi casi di sindaci di piccoli paesi denun-ciati, incriminati, rimossi e addirittura incarcerati non tanto perché avesserocommesso reati ma, soprattutto, perché avevano svolto la loro attività a favoredei propri cittadini.

Molti di questi casi erano narrati nelle pagine de “Il comune democratico”,degli anni ’40 e ’50. Le notizie degli arresti e delle incriminazioni dei sindacidivenivano sempre più dettagliate, in particolare a partire dai fatti del 14 luglio1948. Veniva aperta persino una rubrica Sindaci arrestati, degli ultimi due,Gualtiero Ciani, sindaco di Abbadia San Salvatore e Oreste Gelmini di Miran-

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439 Lucio Luzzatto, Contro i comuni, contro la democrazia, Icd mag. 1950, pp. 143-5.440 Lucio Luzzatto, Rimozione di sindaci e ordine pubblico, Icd lug. 1950, pp. 247-9.441 Giuseppe Dozza, Il reato di essere sindaco, in idem, Il buon governo e la rinascita della cit-

tà. Scritti 1945-1966, Bologna, Cappelli, 1987, pp. 197-223.

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dola, venivano pubblicate le fotografie ed alcune note442. Dall’agosto del 1949,primo mese della nuova serie de “Il comune democratico”, le notizie sui prov-vedimenti liberticidi del Ministero dell’interno contro i primi cittadini dei co-muni della sinistra venivano pubblicate nella rubrica Galleria dei sindaci443, con-tinuazione di quella apparsa ne “L’amministratore democratico” dal 1948.

Successivamente alle manifestazioni contro l’attentato a Togliatti, era la mo-bilitazione dei sindaci della sinistra contro il Patto atlantico che metteva i co-muni al centro dell’attenzione del Ministero dell’interno. Il 23 marzo 1949, adesempio, il locale commissario di pubblica sicurezza intimava al sindaco di Fi-nale Emilia di tenere a porte chiuse una riunione del consiglio comunale dedi-cata a alla pace444.

Il Partito comunista, da parte sua, ribadiva la “azione e funzione politica de-gli Enti Locali” anche all’indomani delle ultime dichiarazioni del Ministro del-l’interno, Scelba, sulla “apoliticità degli Enti Locali” pronunciate al congressostraordinario dell’Upi. Una posizione, quella di Scelba, che veniva appoggiataanche dal maggiore quotidiano nazionale, il “Corriere della sera”, che scrivevadi “pretesi ordini di comunistizzare le civiche amministrazioni”. Così com-mentava “L’Amministratore democratico”: “Il Governo mal sopporta che i co-muni democratici assumano sempre più una funzione ed importanza politica equel pungolo agisce su di esso alla stessa guisa di un drappo rosso sbandieratosugli occhi di un toro”445.

La stessa rivista dava poi notizia dei fatti accaduti a Spilamberto, in pro-vincia di Modena, dove la polizia aveva messo praticamente messo sotto as-sedio il comune e tutta la popolazione, sollevando la protesta di 42 dei 46sindaci della provincia che avevano denunciato al Presidente della Repubbli-ca la repressione contro le giunte popolari della provincia446. Gli stessi fatti ve-nivano denunciati in Parlamento, dove l’on. Cremaschi smentiva lo svolgi-mento di riunioni segrete della Lega dei comuni “per cospirare nei confrontidi quello che è l’atteggiamento del prefetto”. “La Lega dei Comuni – avevadetto Cremaschi - ha mandato alla montagna e al mare i bambini del nostropaese e non vi ha mandato soltanto quelli che avevano la tessera dell’AzioneCattolica […] Questi sono i segreti dei Comuni democratici che danno fa-stidio a voi”447.

Il sindaco, era scritto ne “Il comune democratico” in un articolo che cele-brava l’assoluzione di Dozza, insieme al segretario del Pci di Bologna, dall’ac-cusa di “vilipendio delle istituzioni costituzionali”: “non esiste solo per celebra-re matrimoni, per firmare deliberazioni e per presenziare […] alle cerimonie uf-ficiali: un sindaco […] ha il dovere di vivere la vita stessa del suo popolo, di in-

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442 Icd ott. 1948, p. 146. 443 Mario Franceschelli, Galleria dei sindaci, Icd ago 1949, pp. 17-9.444 Federico Leghissa, Attentato alla libertà dei comuni, Icd mar.-apr. 1949, pp. 49-50.445 L’attualità politica, AD gen. 1949, pp. 1-2; sullo stesso argomento cfr. L.P., I comuni per

la pace contro ogni intimidazione poliziesca, AD mar.-apr. 1949, pp. 91-2.446 L. Emiliano, Scelba contro Modena, AD giu. 1949, p. 207-9.447 Cronache parlamentari. Gli arbitri del prefetto di Modena. (Da una interpellanza alla Ca-

mera del compagno Onorevole Cremaschi), AD giu. 1949, p. 218-9.

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teressarsi ai suoi problemi politici, di ergersi, primo fra tutti, a difenderlo,quando la legge, la giustizia, la libertà si calpesti”448.

2.5.5. Solidarietà degli amministratori di sinistra con i lavoratori uccisi dallapolizia nelle lotte del dopoguerra

Una prima, forte mobilitazione della Lega fu quella a sostegno delle prote-ste per l’uccisione da parte della polizia di sei persone, a Modena, avvenuta il 9gennaio 1950 durante una manifestazione contro il licenziamento di 200 ope-rai. Altre uccisioni avevano funestato – e avrebbero funestato ancora - lo svol-gimento di manifestazioni dei lavoratori, ma questa mobilitazione fu probabil-mente la più importante. Il supporto a questa particolare protesta era dovutosia alle dimensioni della tragedia, sia, probabilmente, al fatto che la questa ave-va colpito una città tra le più attive della Lega. Il fascicolo de “Il comune de-mocratico” del gennaio 1950 era accompagnato da un numero straordinario in-teramente dedicato alla strage, nel quale erano raccolti estratti di documentiche testimoniavano la “funzione democratica svolta dall’Amministrazione De-mocratica modenese”449, corredati da fotografie che illustravano le realizzazionidel comune, dal restauro delle scuole, all’inizio dei lavori per il nuovo mercato,alle colonie marine per ragazzi. Sostegno ai lavoratori, sviluppo dell’economiae dei servizi sociali erano parte di una medesima politica, quella dei partiti del-la sinistra. La presenza nella commemorazione dei sei operai uccisi, svoltasi nel-l’aula del consiglio comunale di Modena, dei deputati Togliatti e Nenni, segre-tari nazionali del Pci e del Psi, e del sindaco Alfeo Corassori, - i cui stralci didiscorso chiudevano il numero straordinario - simboleggiavano il “contatto fra[…] il Parlamento ed il Comune”450.

“Il mancato rispetto del Sindaco, della sua importante funzione nella vitapubblica nazionale, della sua qualità di rappresentante del popolo – scriveva ilsindaco Dozza – fa parte dell’atmosfera d’illegalismo e generalmente si collegacon le lotte del lavoro”451.

Il bilancio della repressione delle forze di polizia contro i cittadini che, coni loro sindaci, si mobilitavano per rivendicare terra e lavoro era pesantissimo.

Nel 1947 le vittime della polizia durante la repressione di manifestazioni deilavoratori furono 27; “tra gennaio 1948 e luglio 1950 Pietro Secchia riferì, nonsmentito, in Parlamento di 62 lavoratori uccisi, 3.123 feriti, 91.433 arrestati,19. 313 condannati per complessivi 7.598 anni di carcere […] 109 gli uccisi inpiazza tra il 1947 ed il 1954”452.

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448 M.F., Dozza alla sbarra, Icd ago 1949, p. 20.449 Documentazione, Icd Numero straordinario. Modena, gen. 1950, p. 7. 450 Ivi, Dal discorso dell’On. Togliatti, p. 32.451 Giuseppe Dozza, Si rispetti la legalità repubblicana, Icd gen. 1950, pp. 3-5.452 Giuseppe Carlo Marino, La repubblica della forza. Mario Scelba e le passioni del suo tem-

po, Milano, Franco Angeli, 1995, pp. 167 ss.; Donatella Della Porta, Herbert Reiter, Polizia eprotesta. L’ordine pubblico dalla Liberazione ai “no global”, Bologna, Il mulino, 2003, p. 97, ci-tato da Giovanna Tosatti, Il Ministero dell’interno. Uomini e strutture (1861-1962), p. 300.

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Le ultime più gravi manifestazioni della politica repressiva del governo si sa-rebbero verificate nell’estate del 1960 durante gli scontri di Genova, Roma,Reggio Emilia, Palermo e Catania, ricordati, molto pacatamente, anche nellarivista della Lega453.

2.5.6. La repressione delle amministrazioni di sinistra

Era in questa situazione che la Lega forniva ai sindaci istruzioni sulle pro-prie funzioni in materia di ordine pubblico454, mentre il costituzionalista VezioCrisafulli definiva le misure preannunziate dal Consiglio dei ministri del 18marzo 1950 “evidentemente illegittime” espressione di un orientamento politi-co “profondamente repugnante” rispetto allo spirito della Costituzione repub-blicana455. Una tesi che la Lega sosteneva nelle lettere indirizzate alle massimeautorità della Repubblica per chiedere il loro intervento contro gli interventirepressivi del Ministero dell’interno e, in generale, contro lo spirito centralistae antidemocratico che animava l’azione del governo in carica456. A confermadelle ragioni delle autonomie locale contro il centralismo, l’organo della Legariproponeva un vecchio e famoso articolo di Luigi Einaudi, significativamenteintitolato Via i prefetti!, commentato dal deputato Luzzatto457.

Un discorso tenuto a Brescia nel 1951 dal Ministro Scelba dava occasione alladirezione della Lega per riaffermare il sostegno ai principi di libertà ed autonomiastabiliti dalla Costituzione. Secondo le parole del Ministro citate da Raffaele Mer-loni, nuovo segretario della Lega458, era l’azione sovvertitrice dei partiti di sinistranelle amministrazioni locali e nella sfera politica generale ad imporre: “da un can-to il mantenimento di misure, che per amministratori liberi possono apparire co-me ingiustificate e, dall’altro, rende inattuabile il programma, che si impone ognigiorno di più, per ampliare la sfera di competenza delle amministrazioni comuna-li”. Il Ministro spiegava così la mancata riforma della legge comunale e provincia-le per l’adeguamento alla Costituzione, il ritardo nell’attuazione dell’istituto regio-nale, dei disegni di legge per il referendum e per la Corte Costituzionale.

Se il mancato compimento della Costituzione repubblicana dava al Ministrodell’interno la possibilità di esercitare i medesimi poteri dei suoi predecessori

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453 Governo ed elezioni, Icd lug.-ago. 1962, pp. 255-6.454 M. Franceschelli, I sindaci e l’ordine pubblico, Icd mar.-apr. 1950, pp. 83-4; Paolo Fran-

ceschi, I sindaci e l’art. 113 della legge di P.S., Icd mag. 1950, pp. 148-9.455 Vezio Crisafulli, Chi è contro la legge?, Icd mar.-apr. 1950, pp. 85-88.456 Lettera aperta della Lega dei Comuni Democratici al Presidente della Repubblica, Icd gen.

1951, p. 431; Lettera aperta della Lega dei comuni democratici, Icd mar. 1951, pp. 109-111, lalettera era indirizzata Al Presidente del Senato, della Camera, del Consiglio dei Ministri, dellaCorte di Cassazione, del Consiglio di Stato, della Corte dei Conti.

457 L.L., Il Prefetto e i principi della democrazia. Un vecchio articolo dell’Economist molto istrut-tivo per l’on. Scelba, Icd 3 1951, pp. 114-6 (Self-government in Italy, “Economist”, 23 set. 1944,n. 5274).

458 Come si avrà modo di ricordare, appena oltre, l’annuncio che Raffaele Merloni sostitui-va Ghislandi alla segreteria della Lega veniva pubblicato nella rivista era stato dato nel fascico-lo dell’agosto-settembre 1951; Icd ago.-set. 1951, p. 269.

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dell’Italia liberale, il deputato socialista Merloni poteva far proprie, a commen-to di due recenti rimozioni di sindaci459, le testuali parole pronunciate da Filip-po Turati alla Camera nel 1913. Il leader socialista, quasi quarant’anni prima,aveva denunciato il provvedimento di sospensione del sindaco di Castel SanGiovanni, in provincia di Piacenza perché questi, alla testa della maggioranzadei partiti popolari, aveva “votato un ordine del giorno di protesta, meglio didolore, per gli eccidi avvenuti, ma tutt’altro che redatto in termini ingiuriosi[…] si trattava soltanto di una protesta civilissima […] Se poi gli interessi deiComuni vanno per aria, tutto ciò è roba di secondaria importanza!”460.

È però necessario ricordare che i casi di scioglimento di consigli comunalierano sostanzialmente limitati dal punto di vista numerico, anche se semprepiù dei pochi casi riconosciuti dal Ministro dell’interno. Secondo un’indaginesvolta dalla Lega nella “Gazzetta Ufficiale” dal 18 aprile 1948 al 31 dicembre1949 erano stati disciolti 24 consigli comunali e rimossi 10 sindaci. Di questialmeno 15 consigli e 7 sindaci erano socialcomunisti461.

Nella sua ricerca Tosatti scrive che i sindaci rimossi per motivi “spesso pre-testuosi” di ordine pubblico tra il 1946 ed il 1958 furono 81, con punte di 25nel 1950, 24 nel 1951 e 15 nel 1956. In particolare nel periodo 1° luglio 1954– 26 aprile 1955, 44 sindaci furono sospesi dalla posizione di ufficiali di go-verno e 4 rimossi dall’incarico. Più ridotti furono invece i provvedimenti discioglimento dei consigli comunali, solo 38 tra il 1946 ed il 1958.

Il raffronto con i dati del periodo liberale è utile a descrivere l’evoluzionestorica del fenomeno per comprenderne meglio la rilevanza. È vero, infatti, chea fronte di 47 provvedimenti di rimozione di sindaci emessi dai governi libera-li in 23 anni (1900-1922), corrispondevano ben 81 provvedimenti emessi daigoverni repubblicani in 13 anni (1946-1958). È anche vero, però, che neglistessi 22 anni i governi liberali avevano sciolto ben 1185 consigli comunali e,sempre nei medesimi 12 anni, i governi repubblicani ne avevano sciolti solo38462. Tutto questo senza tener conto del fatto che non tutti i provvedimenti discioglimento di consigli e di rimozione di sindaci riguardavano comuni ammi-nistrati dalla sinistra, come evidenziato dai dati esposti dal citato articolo de “Ilcomune democratico” del 1951 (15 su un totale di 24 consigli; 7 su un totaledi 10 sindaci)463.

Questi cifre evidenziano la limitatezza del fenomeno anche rispetto al più ri-stretto universo dei comuni (circa un terzo del totale) amministrato da blocchidi sinistra. Posta non da un punto di vista statistico, ma politico, la questioneera però molto diversa. I 15 consigli comunali sciolti e i 7 sindaci rimossi di cui

DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 131

459 Si trattava dei sindaci di Cassano Magnago in provincia di Varese, nel 1950, per averconvocato una riunione in sala consiliare per discutere sulla interdizione della bomba atomicae quello di Monterchi, in provincia di Arezzo, nel 1951, per non essersi impegnato a far inter-rompere una manifestazione contro la visita del presidente degli USA.

460 Il discorso dell’on. Merloni nel dibattito sul bilancio dell’Interno, Icd ott.-nov. 1951, pp. 352-4.461 Paolo Franceschi, Basta coi soprusi, Icd gen. 1951, pp. 444-6.462 Atti Parlamentari, Camera, Leg. III, Documenti, disegni di legge e relazioni, n. 1427 A; ci-

tato da Tosatti, Il Ministero dell’interno…, cit., pp. 313-4.463 Franceschi, Basta coi soprusi…, cit.

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scriveva l’articolo citato venivano segnalati come la modalità più appariscentedi un atteggiamento vessatorio e punitivo del Ministero dell’interno nei con-fronti delle amministrazioni della sinistra. Per esempio, venivano utilizzati mas-sicciamente controlli ed interventi sulle delibere da parte dei prefetti che ral-lentavano o bloccavano l’attività amministrativa; denunzie di marescialli dei ca-rabinieri potevano portare all’arresto ed alla sospensione dell’attività dei sinda-ci, i quali poi, quasi sempre, venivano assolti, ma nel frattempo l’amministra-zione era stata bloccata. E gli interventi più numerosi riguardavano piccoli co-muni per piccole questioni, di solito legate alle scelte in materia di tassa di fa-miglia e di iniziative in favore della popolazione più povera.

Dal 1950 aumentavano i provvedimenti repressivi contro le iniziative di ca-rattere politico espresse dai comuni della sinistra. Nel luglio di quell’anno il se-gretario della Lega denunciava l’utilizzo dell’istituto della rimozione del sinda-co in “quindici o venti casi recenti”464. Proprio quell’anno la sinistra aveva pro-mosso la firma della Petizione per la pace nell’ambito dell’iniziativa mondialedei Partigiani della pace al cui II congresso, svoltosi a Varsavia, partecipò una“larga rappresentanza […] di amministratori comunali appartenenti a diversecorrenti politiche”465. Contro questa iniziativa si erano concentrati gli interven-ti repressivi del Ministero dell’interno, in particolare verso i piccoli comuni466.

Particolarmente pesante sarebbe divenuta la situazione della provincia diBologna, il cui “signor” prefetto467, nel 1957, veniva direttamente ed esplicita-mente contestato dalla Lega per i suoi provvedimenti468.

2.5.7. L’opposizione all’ostruzionismo prefettizio: l’attività di Giannini

Con il passare degli anni, però, sarebbe divenuto più difficile per il Mini-stero dell’interno, forzare a danno dei comuni la normativa repressiva larga-mente presente nella legislazione locale. Nel 1957, ad esempio, la Corte di Ap-pello di Napoli si pronunciava sulla nuova norma introdotta con l’art. 6 dellalegge 2 marzo 1956, n. 136, che aveva soppresso l’istituto della decadenza “usa-ta dai prefetti quale arma per colpire le amministrazioni popolari non gradite”,disposta, sulla base delle precedenti legislazioni, dall’art. 15 del T.U. 5 aprile1951, n. 203, che, tra l’altro, prevedeva l’ineleggibilità in caso di “lite penden-te col Comune”. Bastava che il prefetto, o anche solo alcuni elettori, promuo-vessero un giudizio di responsabilità dinanzi al Consiglio di prefettura per im-pedire la partecipazione di un candidato alle elezioni amministrative. La nor-ma, introdotta con un emendamento alla nuova legge elettorale dai deputatiColitto e Luzzatto, prevedeva l’ineleggibilità per amministratori locali solo in

132 PARTE II

464 Lucio Luzzatto, Rimozione di sindaci e ordine pubblico, Icd lug. 1950, pp. 247-9.465 II Congresso della pace a Varsavia, Icd nov.-dic. 1950, p. 384.466 Paolo Franceschi, Il governo e le autonomie, Icd feb. 1950, pp. 43-5.467 Da sottolineare che la qualifica di “signore” e non di “Sua Eccellenza”, come era allora

d’obbligo nel rivolgersi al prefetto, costituiva di per sé una scelta irriverente. 468 Un prefetto testardo che non conosce le leggi, Icd apr. 1957, pp. 25-6; Michele Lanzetta, Le

strane teorie del signor Prefetto, Icd lug.-ago 1957, pp. 3-5.

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caso di passaggio in giudicato. Fu in virtù di questo che il sindaco di Giuglia-no ed altri amministratori popolari poterono presentarsi alle elezioni469.

Le formule che i prefetti si ingegnavano di trovare per annullare le delibera-zioni comunali per la pace erano tali da essere bollate da Massimo Severo Gian-nini come “offese all’intelligenza”. I comuni, infatti, sia in quanto “enti che cu-rano interessi generali, sia pure di dimensioni locali, della popolazione associa-ta”, sia per avere “un’autonomia garantita dalla Costituzione”, avevano il dirit-to di “esprimere un voto in nome delle popolazioni che essi rappresentano”, ecosì concludeva il suo articolo nella rivista della Lega:“i Consigli comunali seguitino a deliberare e a formulare tutti i voti che credono;ed anzi annotino pure nel registro delle deliberazioni comunali gli annullamentiprefettizi. E ciò perché resti documentato, a chi ci seguirà, a quali ridicole incredi-bili aberrazioni si sarà giunti in questo periodo, da parte degli organi di governo”470.

La conferma della straordinaria lucidità delle parole di Giannini, e della giustez-za della posizione della Lega,veniva appena un anno dopo con la notizia, data conrilievo ne “Il comune democratico”, dell’approvazione da parte di alcuni comuni dideliberazioni che conferivano la cittadinanza onoraria ad Antonio Segni, all’indo-mani della sua elezione nel maggio del 1962 a Presidente della Repubblica. La do-manda del segretario della Lega Michele Lanzetta, del Psi, era sarcastica. Cosa avreb-bero fatto i prefetti ora, quando a deliberare su materie non previste dalla normati-va non erano i sindaci della sinistra ma quelli vicini ai partiti di governo?:“dopo le predette deliberazioni che hanno conferito le cittadinanze onorarie alPresidente della Repubblica, come ragioneranno i prefetti che non le hanno an-nullate e con la loro presenza alle manifestazioni relative le hanno con solenni-tà convalidate?”471.

La decisione dei comuni governati da partiti o coalizioni di partiti vicini al go-verno di deliberare su argomenti non esplicitamente previsti da leggi e regola-menti, analogamente a quanto avevano fatto fino ad allora solo le amministra-zioni della sinistra era forse il segnale più evidente che l’interpretazione del ruolodei comuni sostenuta dalla Lega non solo non era stata sconfitta dalla repressio-ne prefettizia ma aveva finalmente vinto. Negli anni ’60 l’ostruzionismo prefetti-zio verso i comuni della sinistra non cessò ma, sicuramente anche per la presen-za nel governo del Partito socialista, si sarebbe ridotto in termini che, da un me-ro punto di vista statistico, si sarebbero potuti definire fisiologici, ma che, da unpunto di vista politico-istituzionale, continuavano ad apparire intollerabili472.

DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 133

469 G.M., La “sospensione” degli amministratori. Una importante sentenza della Corte d’Appel-lo di Napoli, Icd gen. 1957, pp. 5 –7.

470 Massimo Severo Giannini, Per la storia dell’umorismo prefettizio, Icd feb. 1950, pp. 55-56.471 Michele Lanzetta, Deliberazioni di cittadinanza onoraria ed attribuzioni dei consigli co-

munali, Icd set. 1962, pp. 270-2.472 Le “ridicole incredibili aberrazioni” condannate da Giannini sarebbero avvenute, infatti,

anche in anni successivi, come nel 1961, quando un prefetto, senza averne alcun potere, minac-ciò di sospendere un sindaco se avesse insistito a far discutere ed approvare dal consiglio comu-nale una determinata delibera da lui annullata; L., Florilegio prefettizio, Icd giu. 1961, p. 187. Sivedano anche le bocciature delle delibere in materia urbanistica da parte del prefetto di Bologna,denunciate dalla rivista della Lega; Le note del mese. Il prefetto esorbitante, Icd giu. 1968, pp. 2-3.

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2.6. Gli anni ‘50

2.6.1. La Lega dei comuni democratici, province e enti minori

Nel 1951, l’anno della seconda tornata delle elezioni amministrative, la Le-ga, senza dimenticare i comuni473, decideva di riaffermare il proprio ruolo nelmovimento per le autonomie locali cercando di stimolare anche gli altri enti lo-cali, ed in particolare le province. L’interesse verso questo ente, che nel corsodel dibattito costituente aveva rischiato la soppressione, derivava dal fatto che,dopo aver saltato l’appuntamento del 1946, le province erano coinvolte nellaconsultazione elettorale.

Nell’editoriale del febbraio 1951 il segretario sottolineava con grande deci-sione che la Lega dei comuni democratici non associava solo comuni ma anche“tutti gli enti locali, territoriali e non territoriali. [Anche se] È fuor di dubbioche i comuni sono e rimangono fra gli enti locali quelli di gran lunga più im-portanti”474. Turchi ribadiva il concetto qualche tempo dopo, facendo una sor-ta di autocritica rispetto alla poca attenzione rivolta alla generalità degli enti lo-cali, ed in particolare alla provincia: “Né dobbiamo tacere che molto più de-bole ancora è stata la nostra azione in direzione degli altri enti e organismi divaria natura, tutti più o meno direttamente collegati con il comune […] gliECA, i Patronati Scolastici, gli Ospedali, la ONMI e quella miriade di enti eistituzioni nella vita dei quali il comune ha sempre veste per intervenire e nel-la quale interviene solo raramente […] L’importanza preminente e fondamen-tale del comune non deve farci sottovalutare e meno ancora deve farci trascu-rare gli altri enti la cui importanza è pur sempre di grande rilievo per la popo-lazione; mi riferisco in particolare alla Provincia della quale si interessano sol-tanto gli iniziati e che i più continuano a confondere con la Prefettura; in dire-zione della Provincia occorre attuare una vera e propria svolta”475.

Nella risoluzione deliberata dal Comitato direttivo della Lega svoltosi a Bo-logna il 21 luglio 1951, all’indomani della proclamazione dei risultati delle ele-zioni svoltesi tra la fine di maggio ed i primi del giugno successivo, si sottoli-neavano, tra l’altro, il successo elettorale della sinistra e la sconfitta della Dc,che perdeva circa 2.500.000 voti rispetto al 18 aprile 1948; il rinnovato impe-gno dei comuni democratici verso la pace, insieme ai ricostituiti organi elettividelle Province; la “difesa delle nostre industrie”; la “vigilanza degli amministra-tori democratici […] contro gli attentati alla integrità della Costituzione”. Si ri-affermava, infine, “La Lega [come] strumento indispensabile per realizzare que-sta politica […, e che] Nella Lega devono confluire non soltanto i Comuni e leProvincie, ma anche enti minori, ECA, Patronati scolastici e simili.”476. In un

134 PARTE II

473 Da segnalare, a questo proposito, un articolo sulla spinosa questione della ricostituzionedei comuni sciolti durante il fascismo: Mario Franceschelli, Le ricostituzioni di Comuni e la Co-stituzione, Icd 1, 1951, p. 439.

474 Giulio Turchi, La Lega dei comuni democratici, Icd feb. 1951, p. 65-6.475 G. Turchi, Guardando al futuro, Icd mag. 1951, pp. 193-4. 476 Risoluzione del Comitato direttivo della Lega, Icd giu.-lug. 1951, pp. 227-9.

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secondo convegno nazionale, che ebbe luogo a Modena il 6 dicembre 1951,l’attenzione si concentrava sull’organizzazione interna della Lega. Venne racco-mandata, per l’ennesima volta, la costituzione delle Leghe provinciali, vennedeciso di costituire un Comitato direttivo nazionale che comprendesse i segre-tari delle Leghe provinciali dei capoluoghi di regione; per far fronte alla croni-ca mancanza di fondi, attribuita agli annullamenti delle delibere di iscrizioneda parte dei prefetti, si approvò il tesseramento degli amministratori477.

Le dimissioni dalla segreteria della Lega dei Comuni Democratici, per ra-gioni di salute, dell’on. Guglielmo Ghislandi, sostituito dall’on. Raffaele Mer-loni “per designazione della direzione del PSI”, annunciate nel numero di ago-sto-settembre478, sottolineavano l’apertura di una nuova fase nella vita dell’or-ganizzazione, confermata anche dal passaggio dell’incarico di direttore respon-sabile della rivista, da Mario Osti (che l’aveva diretta dal primo numero dellanuova serie dell’agosto 1949) a Gino Pallotta, avvenuto con il fascicolo di ot-tobre-novembre479. A Modena, infatti, era stato stabilito anche una sorta di ri-lancio della rivista, attraverso l’arricchimento dei contenuti, la pubblicazione didispense “su problemi inerenti alle attribuzioni e al funzionamento degli entilocali” e l’aumento della tiratura a 10.000 copie480.

L’aumento della diffusione, e quindi della tiratura, dell’organo della Leganon era però semplice, e non solo per via dell’azione dei prefetti. Infatti, l’an-nullamento della delibera di spesa per l’abbonamento poteva essere scongiura-to facendo riferimento a quanto previsto da due circolari del Ministero dell’in-terno, inserendo cioè tale delibera tra le spese relative a riviste tecniche e am-ministrative, e quindi tra le spese di ufficio “obbligatorie”481. Il fatto che questanotizia venisse ripetuta più volte, insieme a sollecitazioni al rinnovo dell’abbo-namento, poteva essere segnale, oltre che di una grave mancanza di fondi neibilanci comunali anche, forse, di una certa trascuratezza degli amministratoridella sinistra riguardo agli impegni verso la propria organizzazione, di cui la ri-vista era l’espressione ufficiale.

Il più evidente risultato dei convegni di Bologna e Modena fu, comunque,il cambiamento della denominazione della Lega dei comuni democratici in Le-ga dei comuni democratici, provincie e enti minori482. Era questo un riconosci-mento della presenza degli istituti che, con i comuni, formavano parte dellaLega, in particolare delle province i cui consigli, nel 1951, per la prima voltadal secondo dopoguerra, erano stati eletti democraticamente. La rivista conti-nuava ad essere denominata Il Comune democratico, ma dal gennaio del 1952diveniva “Organo della Lega nazionale dei comuni democratici provincie ed

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477 La risoluzione del Convegno nazionale di Modena, Icd dic.1951, pp. 370-1.478 Icd ago.-set. 1951, p. 269.479 Gino Pallotta fu direttore responsabile e poi vice direttore responsabile fino al numero

dell’aprile 1958, sostituito da Ruggero Gallico, che lo aveva affiancato nell’incarico qualchemese prima.

480 La risoluzione del Convegno nazionale di Modena, Icd dic.1951, pp. 370-1.481 Avvertenza importante, Icd feb. 1954, p. 48.482 Il cambio venne deciso dal nuovo comitato direttivo della Lega riunito a Bologna il 20

gennaio 1952, Circolare n. 85, del 28 gen. 1952, L’attività della Lega, Icd gen. 1952, pp. 52-3.

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enti minori”483. A partire da quel numero i vari articoli dedicati alle provincetestimoniavano l’accresciuta attenzione della Lega verso quell’ente locale. Laricerca di un rafforzamento dell’organizzazione, in particolare nel Sud, venivaevidenziata poi dalla costituzione di una Lega dei Comuni meridionali alla finedel 1952, all’indomani di un congresso svoltosi a Taranto il 14-15 dicembre1952, convocato dalla Lega e dal Comitato Nazionale per la Rinascita delMezzogiorno484.

2.6.2. La mobilitazione contro la “legge truffa” del ‘53 ed il centralismo del Pci

Il 1953 si apriva all’insegna della mobilitazione della sinistra contro la leggeelettorale maggioritaria proposta dal governo, la cosiddetta “legge truffa”, allaquale la Lega partecipava massicciamente. Tra le varie iniziative la più signifi-cativa era l’Assemblea nazionale degli eletti svoltasi al Teatro Valle di Roma il15 marzo 1953 - che chiudeva un lungo ciclo di assemblee provinciali - al qua-le erano stati chiamati a partecipare i cittadini investiti di cariche pubbliche, daiparlamentari ai consiglieri di comuni e province. L’assemblea di Roma, comerilevava la rivista, era costituita “in grande maggioranza da sindaci convenuti daogni dove”485. Veniva quindi accolto con entusiasmo il risultato delle elezionipolitiche del 7 giugno 1953 che aveva sancito la sconfitta dei partiti di gover-no, i quali non avevano ottenuto la sperata maggioranza dei voti486.

Ma al successo politico del 7 giugno corrispondeva, secondo la direzione,una insufficiente mobilitazione degli amministratori riguardo alle iniziativepromosse dalla Lega. Era evidente che alle contestate iniziative del governo ipartiti della sinistra ne volevano contrapporre altre che, non solo erano diver-se, ma si dovevano dimostrare frutto di un modello politico-istituzionale alter-nativo basato sulla mobilitazione del popolo e quindi, anche per questo, in op-posizione alle politiche del governo, che venivano tacciate di essere decisioniantidemocratiche prese dai soli vertici dei partiti al potere. Il problema era cheperò, in quest’ottica, anche gli amministratori venivano considerati popolo e,come tali, si chiedeva loro sia una mobilitazione di massa come quella solleci-tata ad operai e braccianti, nel caso di convegni e congressi, sia uno specifico ti-po di mobilitazione corrispondente alle caratteristiche del loro ruolo, come po-tevamo essere voti e delibere di giunta, di consiglio, ma anche generiche presedi posizione riguardo ad iniziative del partito, come nel caso specifico. Un ar-ticolo di Ciofi degli Atti del 1953 era illuminante riguardo alla dipendenza daipolitici segretari di partito cui poteva essere soggetto il popolo degli ammini-stratori iscritti alla Lega all’inizio degli anni ’50. Gli amministratori della sini-stra, infatti, venivano aspramente redarguiti per non aver risposto se non spo-radicamente e in forma superficiale alla richiesta di inviare osservazioni e pro-

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483 Idc gen. 1952, p. 1.484 Luigi Ciofi Degli Atti, È nata la Lega dei Comuni meridionali, Icd dic. 1952, pp. 350-2.485 L’assemblea nazionale degli eletti, Icd mar. 1953, p. 43.486 Giulio Turchi, 7 giugno 1953, Icd mag.-giu. 1953, pp. 117-8.

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poste ai comitati parlamentari riguardo al progetto di legge per l’estensione del-l’assistenza sanitaria gratuita ed alla “lotta contro il tugurio”, sulla base di quan-to stabilito dal “rapporto al C.C. del P.C.I.” dell’on. Palmiro Togliatti, segreta-rio del Partito comunista. Concludeva così il suo ammonimento Ciofi degli At-ti: “ogni amministratore democratico è quindi direttamente e personalmenteimpegnato e non potrà tradire il mandato ricevuto dai suoi elettori”487.

All’obbedienza al segretario del Pci italiano seguiva quella al “partito guida”,il partito comunista sovietico e, in particolare al suo massimo esponente, il mi-tico Stalin, di cui la rivista della Lega del marzo 1953 annunciava la morte nel-l’editoriale: “sicura di interpretare il sentimento di tutti gli amministratori lo-cali democratici italiani”, rinnovando “qui l’espressione del loro profondo cor-doglio”488.

2.6.3. La vocazione unitaria della Lega

Il convegno dell’Anci di Genova del 1953 costituiva una nuova, importan-te occasione nella quale veniva riaffermata l’unità del movimento per le auto-nomie locali. Lo sottolineava il segretario Turchi in un articolo di commentoall’incontro. Per tre giorni 1.200 sindaci di grandi città e piccoli paesi avevanomanifestato la loro insoddisfazione sia riguardo alla situazione tecnico-ammi-nistrativa, sia riguardo a quella politico-istituzionale. La denuncia dell’insuffi-cienza dei mezzi, delle interferenze dei prefetti, e il richiamo alle violazioni del-la Costituzione avevano contrassegnato i lavori dell’assemblea che aveva accol-to in un gelido silenzio le dichiarazioni del Ministro dell’interno, Scelba, per laprima volta intervenuto ad un’assemblea dell’Anci. Ripetendo i concetti espres-si nel discorso svolto a Brescia nel 1951, Scelba aveva riaffermato che di auto-nomia, per i comuni, “non sia da parlare”. Un silenzio che aveva contrastatocon l’entusiasmo con il quale era stato invece accolto il messaggio di Sturzo cheaveva auspicato, addirittura, “il ‘ripristino delle autonomie locali’”. Le risolu-zioni del convegno “furono approvate tutte all’unanimità”, addirittura, sottoli-nea Turchi, “senza che fossero da superare contrasti di qualche rilievo”, perchétutti i sindaci, e non solo quelli della sinistra erano scontenti della politica go-vernativa. L’Anci, concludeva Turchi, era uscita “rafforzata” dall’assemblea diGenova, e avrebbe dovuto combattere con più decisione “per l’attuazione rapi-da e integrale della Costituzione”489.

La Lega era un’organizzazione dichiaratamente di parte, la cui azione era pe-rò rivolta non solo agli enti iscritti ma, soprattutto, all’avanzamento dell’interomovimento per le autonomie locali. La vocazione unitaria della Lega era evi-dente non solo nelle iniziative politico-istituzionali nelle quali coinvolgeva in-direttamente o partecipava direttamente con l’Anci, ma particolarmente nel-

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487 Ciofi degli Atti, Occorre più iniziativa, Icd mag.-giu. 1953, pp. 123-4.488 Lutto per tutti i popoli, Icd mar. 1953, p. 41.489 Giulio Turchi, La nuova legge comunale e provinciale all’esame dei sindaci d’Italia, icd mar.

1953, pp. 45-6.

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l’attenzione riservata ai problemi della generalità degli enti e delle autonomielocali, dagli enti comunali di assistenza, alle province, ai comuni meridionali,ai comuni della montagna. Questa attenzione rivolta globalmente al comples-so ed articolato mondo delle autonomie locali, vista da un punto di vista pura-mente politico, poteva anche essere considerata espressione di una pericolosa vo-lontà egemonica nei confronti di quel mondo, da utilizzare contro il governo,e come tale veniva avvertita dai partiti alla guida del Paese ed in particolare dalMinistro dell’interno di quel periodo, Mario Scelba. Sta di fatto, però, che lavocazione unitaria della Lega sottolineava le caratteristiche unitarie del movi-mento per le autonomie locali e sollecitava le diverse organizzazioni alla co-operazione. Dal punto di vista della Lega, l’organizzare i vari enti ed istituti del-l’autonomia locale ne rafforzava il ruolo di leader politico-istituzionale de fac-to, un ruolo di stimolo e di pungolo all’attività di tutte le organizzazioni, nonsolo riguardo alla più importante, l’Anci, ma anche all’Upi e, in seguito, ancheall’organizzazione dei comuni montani, l’Unione dei comuni e degli enti mon-tani (Uncem), che faceva seguito ad un’attenzione ai problemi della montagnae dei comuni montani promossa sin dall’immediato dopoguerra e, da allora,sempre mantenuta viva.

2.6.4. La fondazione dell’Uncem e il problema delle imprese idroelettriche

Il 23-25 maggio 1954 si svolgeva a Torino il congresso di fondazione del-l’Uncem. L’appuntamento - secondo un’interpretazione de “Il comune demo-cratico” molto plausibile in un momento di forte contrapposizione politicaqual era quello dei primi anni ’50 del ‘900 - nelle intenzioni degli organizzato-ri, avrebbe dovuto dar vita ad una organizzazione filogovernativa, ma l’inter-vento degli amministratori democratici aveva impedito questa conclusione e, aquesto proposito, veniva sottolineata l’approvazione di un ordine del giorno perla nazionalizzazione dei monopoli elettrici: “L’UNCEM, sorta come organizza-zione di parte, si è trasformata, per la lotta delle opposizioni al congresso, in unorganismo unitario”490. Certo la minoranza di amministratori della sinistra erastata esclusa dalla presidenza e dalla giunta dell’ente491, ma il contributo degliamministratori della montagna della Lega alla battaglia per il pagamento delsovracanone idroelettrico a carico delle imprese idroelettriche492 fu senza dub-

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490 Il I Congresso dell’UNCEM, Icd mag.-giu. 1954, pp. 148-154.491 Una decisione antidemocratica della maggioranza del Consiglio dell’UNCEM, Icd lug.

1954, p. 185.492 La legge sul sovracanone idroelettrico (legge 27 dic. 1953, n. 959) riconosceva la titola-

rità delle risorse naturali del territorio oltre che allo Stato, anche alla popolazione della monta-gna. La norma prevedeva che le società concessionarie di grandi derivazioni d’acqua per la pro-duzione di energia idroelettrica versassero un “sovracanone” per ogni kilowatt di potenza no-minale media concessa a favore dei comuni situati nei bacini imbriferi interessati dalla conces-sione, cfr. Oscar Gaspari, La difesa della montagna: politiche ed istituzioni tra la fine dell’Otto-cento ed il secondo dopoguerra, in Antonio G. Calafati, Ercole Sori (a cura di), Persistenze e cam-biamenti negli Appennini in età moderna, Franco Angeli, Milano, 2004, pp. 269-299.

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bio importante a spingere il Governo a muoversi per far rispettare la legge, co-me dimostravano le notizie che venivano regolarmente pubblicate nella rubri-ca dedicata alla montagna493 e all’approvazione, nel 1959, delle norme inter-pretative della legge 959494.

2.6.5. La tragedia del Vajont. La battaglia politica contro lo strapoteredell’industria elettrica

Lo strettissimo legame tra le imprese idroelettriche e le comunità della mon-tagna sarebbe poi stato tristemente sottolineato dal disastro del Vajont del 9ottobre 1963, che provocò circa 2000 morti495. Una immane tragedia che si sa-rebbe potuta evitare se si fossero ascoltai i segnali d’allarme e le richieste d’aiu-to della popolazione locale e, in particolare, dei sindaci di Longarone e di ErtoCasso che “fino all’ultimo si [erano] adoperati per lanciare l’allarme ed evitarela sciagura”.

Più forti dei pericoli per la sicurezza dei montanari erano state le ragionieconomiche ed industriali della Società adriatica di elettricità (Sade) proprieta-ria dell’impianto, un vero e proprio “stato nello Stato”, ragioni, purtroppo, fat-te sostanzialmente proprie dall’Enel, subentrata nella gestione all’indomani del-la nazionalizzazione dell’energia elettrica da meno di un anno496. La tragedia delVajont era un segno evidente che non era la titolarità della proprietà a deter-minare il rispetto o meno degli interessi delle comunità locali ma, soprattutto,la complessiva concezione del rapporto tra impresa e popolazione.

Lo stretto legame tra interessi dei cittadini ed impresa industriale era invecealla base del funzionamento delle imprese municipali il cui ruolo, dal secondodopoguerra e per decenni, era stato essenziale per il contenimento dei prezzi deiservizi pubblici e delle forniture delle imprese dei servizi a rete acqua, gas edenergia elettrica. Meno importante ma comunque significativo fu anche l’ap-

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493 Secondo una notizia apparsa nel gennaio 1956 le società idroelettriche avevano versatoai comuni montani solo 1.600 dei 9.000 miliardi dovuti per il sovracanone idroelettrico e lecentinaia di vertenze aperte nei aperte nei tribunali potevano essere, forse, risolte solo dopo lun-ghi anni; la soluzione poteva essere solo politica; Comuni e enti montani a convegno, Icd gen.1956, p. 3.

494 Approvate sia al Senato che alla Camera le norme interpretative della legge 959, Icd dic.1959, pp. 391-2. La normativa approvata avrebbe dovuto rendere più semplice il pagamentodei sovracanoni elettrici ai comuni dei bacini imbriferi montani interessati: una maggiore en-trata annua di 3 miliardi e il pagamento degli arretrati in 15 miliardi oltre agli interessi”; se-guiva l’elenco dei comuni con il rispettivo credito accumulato.

495 Il disastro venne causato da una frana che invase il bacino e provocò la fuoriuscita del-l’acqua ivi contenuta; cfr. Tina Merlin, Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe: il casodel Vajont, Milano, La Pietra, 1983; la vicenda, ricordata nel 2001 anche da un film Vajont, èstata riproposta all’opinione pubblica in tutta la sua drammaticità da uno spettacolo teatrale etelevisivo di Marco Paolini; Marco Paolini, Gabriele Vacis, Il racconto del Vajont, Milano, Gar-zanti, 1997.

496 La lezione del Vajont, Icd nov.-dic. 1963, pp. 353-5. L’anno seguente la rivista pubblicòin forma anastatica un volantino nel quale un comitato locale denunciava i soprusi della Saderiguardo ai diritti delle popolazioni della provincia di Belluno, Icd feb. 1964, pp. 16-17.

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porto delle municipalizzate elettriche per rompere il fronte del rifiuto dellegrandi imprese al pagamento dei sovracanoni. Per questo la decisione dell’a-zienda municipalizzata di Trento di versare i sovracanoni previsti dalla leggevenne annunciata sulle pagine dell’organo della Lega con grande rilievo, macon una significativa avvertenza che seguiva l’invito a tutte le imprese munici-palizzate a seguirne l’esempio: “evitando così il sospetto che vogliano far fron-te unico con il monopolio elettrico”497.

Evidentemente la possibilità di risparmiare sui costi di gestione poteva farbreccia anche in imprese comunali quali erano le aziende municipalizzate. Nonsarebbe mai stato facile far coincidere gli interessi delle comunità locali conquelli economici delle municipalizzate, la cui Confederazione venne accusata di“accentuare il distacco delle aziende dai comuni, isolando l’attività aziendale daquella comunale generale, [di puntare] essenzialmente, perciò, l’azione al verti-ce di tipo parlamentare e di stimolo all’attività governativa [di affrontare] laquestione elettrica in modo limitato, esclusivamente nel quadro della legisla-zione vigente, anziché […] sotto il profilo delle riforme democratiche e distruttura”498. Almeno nel 1956 quindi, data di questo articolo, le aziende mu-nicipalizzate venivano accusate di occuparsi troppo dei propri interessi settorialie troppo poco di quelli politici, le “riforme democratiche e di struttura”.

La mobilitazione dei comuni della sinistra nella battaglia contro l’oligopolioche controllava il mercato italiano dell’energia elettrica avrebbe avuto un signi-ficativo successo sul fronte dei prezzi con l’apertura di una sorta di “inchiestasui contratti per l’energia destinata alla illuminazione” aperta dal Cip con la cir-colare n. 700 del 31 gennaio 1958, all’indomani di una serie di iniziative di co-muni della provincia di Modena, Reggio Emilia, Parma, Bologna e Piacen-za499. La battaglia politica condotta dalla sinistra contro lo strapotere dell’in-dustria elettrica italiana, nella concreta attività sostenuta e promossa dalla Le-ga, si traduceva in concrete iniziative dirette al vantaggio di tutti i cittadini e,in particolare, della popolazione della montagna500.

2.6.6. Il convegno di Bologna del 1954: la battaglia per l’attuazione dellaCostituzione

Il 13 giugno 1954 si svolgeva a Bologna il convegno della Lega sul tema Po-polo e comuni per le autonomie locali, nel quale si sollecitava la mobilitazionedelle organizzazioni degli enti locali e di quelle dei lavoratori per opporsi allapolitica del governo contro le amministrazioni locali. Sembrava quasi si voles-se riproporre un vecchio sogno dei socialisti sin dai primi anni dell’Anci: mo-

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497 Trafiletto che segue Il Consiglio straordinario dell’UNCEM, Icd nov. 1955, p. 19.498 Giorgio Coppa, Comuni e municipalizzazione, Icd dic. 1956, pp. 12-4.499 Rubens Triva, Un successo dei Comuni emiliani contro le grandi società elettriche. Il CIP dis-

pone un’inchiesta sui contratti per l’energia destinata alla illuminazione, Icd mar. 1958, p. 77.500 Francesco Spezzano, Isolare il monopolio, Icd mar. 1958, pp. 78-9; cfr. Sp., Dedicato al-

l’On. Preti ministro delle Finanze, Icd ago. 1958, p. 214; d.c., I diritti dei Comuni montani neiconfronti dei monopoli elettrici, Icd nov. 1958, pp. 310-7.

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bilitare le masse popolari, e i lavoratori in particolare, a difesa dell’autonomialocale501. Partecipavano all’incontro “oltre 1300 rappresentanti di amministra-zioni, di organizzazioni politiche e sindacali, di parlamentari e di studiosi deiproblemi amministrativi”; tra le maggiori personalità presenti si ricordano ilsindaco di Bologna Dozza, i senatori Zanardi, Terracini, Molé, Spezzano, Alle-gato, Montagnani, Porcellini, Ferrari; i deputati Turchi, Targetti, Martuscelli,Luzzatto, Luciana Viviani, Matteucci, il prof. Massimo Severo Giannini. Tra leadesioni pervenute si segnalano quelle delle organizzazioni vicine alla sinistra,come la Cgil, l’Unione donne italiane (Udi), la Confederterra, la Federbrac-cianti, la Lega nazionale delle cooperative, l’Associazione nazionale partigianid’Italia (Anpi), il Comitato di Rinascita dell’Arco Alpino. Le conclusioni delconvegno venivano illustrate dai senatori Terracini e Molé e dall’on. Targetti difronte a circa 20.000 cittadini502.

Nella sua relazione Turchi dichiarava che “la Lega dei comuni democraticiopera e parla in nome di oltre un terzo di tutti i Comuni e le Provincie italia-ne e in nome di oltre 50.000 amministratori comunali, provinciali e di altri en-ti locali che solo convenzionalmente, e non per la loro importanza, sono dettiminori”. Il segretario sosteneva che nella sostanza la politica del governo e l’a-zione dello Stato non si ispiravano in alcun modo alla Costituzione repubbli-cana, faceva un parallelo tra i recenti soprusi prefettizi contro le amministra-zioni locali e quelli operati dai governi giolittiani. Turchi concludeva facendoappello “all’aiuto di tutti, delle organizzazioni sindacali in primo luogo […] perattuare e rendere operante la Costituzione”, soprattutto, concludeva: “È ora cheagiscano anche le associazioni unitarie degli enti locali: l’ANCI, e l’Unione del-le Province, l’ANEA, la FIARO [Federazione italiana associazioni regionaliospedaliere], le Aziende municipalizzate [...] ai voti deve seguire un’azione con-seguente che fin qui è mancata del tutto”503.

Interveniva anche Massimo Severo Giannini, in qualità di membro del Co-mitato esecutivo dell’Anci, il quale - quasi ad evidenziare il fatto che la richie-sta di applicare la Costituzione nell’ambito delle autonomie locali non avreb-be avuto alcuna portata eversiva, come invece aveva sostenuto Scelba – di-chiarava che a suo avviso: “se si può rimproverare di qualche cosa la Costitu-zione, è di essere stata troppo timida sulla strada delle autonomie locali e suicontrolli degli Enti locali”. Oltretutto, sottolineava, sarebbe stato impossibilecontrollare tutti gli atti – che ammontavano a circa 500.000 – ogni anno, ditutti gli enti e commentava: “Io ritengo che sugli Enti locali non dovrebbe esi-stere altro controllo se non quello che esiste sugli Enti locali inglesi, cioè un

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501 Un sogno infranto dallo scontro con la dura realtà quando in una manifestazione del-l’Anci del 28 giugno 1903 al teatro lirico di Milano, a sostegno della richiesta dell’istituto delreferendum per i comuni e per lo sgravio delle spese statali caricate sui bilanci comunali, le mas-se richiamate dall’Associazione, controllate dai socialisti rivoluzionari e dagli intransigenti, ave-vano impedito l’intervento dei relatori moderati e fatto degenerare l’evento; Gaspari, L’Italiadei municipi…, cit., pp. 108-111.

502 Icd lug. 1951, p. 175.503 La relazione dell’on. Giulio Turchi. Popolo e Comuni per le autonomie locali, Icd lug. 1954,

pp. 175-9.

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controllo contabile”504. Era difficile mobilitare le masse a difesa dei comunicon le parole di un giurista come Giannini che a quella che sembrava essere laparola d’ordine del convegno applichiamo la Costituzione, opponeva la propriatesi di una Costituzione insufficiente riguardo all’autonomia locale. Quellache la Lega chiedeva a Bologna nel 1951 era però una mobilitazione politicautile forse soprattutto alla sinistra per rinserrare le file e restituire un po’ di en-tusiasmo a politici ed amministratori locali logorati da una difficile realtà co-m’era quella degli enti locali negli anni ’50, impossibilitati a rispondere alleesigenze di una cittadinanza spesso molto povera, limitati economicamente damagri bilanci e politicamente dalle minacce di prefetti e questori. Era proba-bilmente questo il senso dell’intervento dei rappresentanti della Cgil505 e dellaConfederterra506.

Il convegno si concludeva con una mozione nella quale si esprimeva il so-stegno al “disegno di legge di iniziativa parlamentare presentato alla Camera deiDeputati dagli onorevoli Martuscelli (PCI), Luzzatto (PSI), Bozzi (PLI), Ma-crelli (PRI), Chiaramello (PSDI) allo scopo di dare iniziale esecuzione ad alcu-ne norme costituzionali in materia [di controlli] di Enti locali”507. L’obiettivodella Lega era, evidentemente, quello di tradurre in un provvedimento legisla-tivo, la debole mozione sui Controlli approvata nella II assemblea generale del-l’Anci svoltasi a Genova nel marzo del 1953 nella quale si chiedeva per i co-muni “la riduzione del controllo al solo bilancio” in un ipotetico futuro e ai so-li “comuni tecnicamente meglio attrezzati”508. Dopo la fine del congresso, Giu-lio Turchi, a motivo dell’impegno derivante dalla nomina a questore della Ca-mera dei deputati, lasciava il suo posto di segretario della Lega, dopo 7 annipassati nella carica, al senatore Francesco Spezzano, sindaco di Acri, in provin-cia di Cosenza509.

2.6.7. La sinistra italiana e il comunismo sovietico. Le misure contro “le forzetotalitarie”

Il 4 dicembre di quello stesso anno le misure contro “le forze totalitarie”preannunciate da Scelba il 18 marzo venivano perfezionate e ratificate dal Con-siglio dei Ministri. La Lega dei comuni democratici si mobilitava contro queiprovvedimenti, nelle pagine della rivista apparivano articoli di denuncia, comequello di Massimo Severo Giannini, per il quale le misure contro “le forze to-

142 PARTE II

504 Massimo Severo Giannini, Un passo avanti: applicare la Costituzione, Icd lug. 1954, p. 180.505 Onorato Malaguti, I lavoratori sono interessati alla conquista delle libertà comunali, Icd

lug. 1954, pp. 181-2.506 Giovanni Rossi, I contadini e il comune, Icd lug. 1954, pp. 186-7.507 La Mozione del convegno, Icd lug. 1954, pp. 189-190.508 I documenti dell’Anci 1946-1992, vol. I, Stilgraf, Roma, s.d., pp. 27-8.509 Icd mag.-giu. 1954, p. 137. Spezzano, avvocato, nato ad Acri nel 1903, nel Partito so-

cialista dal 1922, in quello comunista dal 1942, nel 1948 era stato eletto senatore nel collegiodi Crotone; come sindaco veniva ricordata la sua campagna contro il monopolio elettrico del-la Sme e la lotta per la terra nel Mezzogiorno; Icd mag.-giu. 1954, p. 138

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talitarie” rappresentavano un pericolo per “la coesistenza pacifica delle classi”510.L’anno seguente il pericolo rappresentato dall’applicazione di quelle norme ve-niva denunciato dal segretario, senatore Spezzano, in una interpellanza al Mi-nistero dell’interno. L’intervento al Senato del segretario riguardava le possibiliconseguenze di una circolare del prefetto di Ascoli che chiedeva ai sindaci di in-viare l’elenco dei componenti delle locali commissioni elettorali con l’indica-zione del partito di appartenenza, in vista probabilmente, dell’applicazione del-le norme dell’ormai cessato governo Saragat-Scelba511. L’editoriale del marzo del1956 dava finalmente notizia di una sostanziale modifica di quelle misure: leelezioni amministrative fissate per il 27-28 maggio successivo si sarebbero quin-di potute svolgere con regolarità512.

La terza tornata elettorale amministrativa repubblicana si svolse in un pe-riodo particolarmente complesso della vita politica nazionale ed internaziona-le, ed i risultati ebbero un’interpretazione controversa. Le elezioni amministra-tive del 1956 confermavano, ancora una volta, la particolare soggezione agli av-venimenti della politica nazionale ed internazionale della storia del movimen-to per le autonomie locali nei primi decenni della Repubblica. Una soggezioneche ha contribuito non poco a far credere ad una sussunzione di quest’ultimanella storia dei partiti politici.

Alla fine di febbraio di quell’anno si era svolto il XX congresso del Partitocomunista sovietico nel quale il segretario Nikita Chruscëv divulgò il famoso“rapporto segreto” sull’operato del suo predecessore nella carica, Josif Stalin, sulcui contenuto, nonostante fin dal marzo circolasse sulla stampa, il segretario delPci , Togliatti, mantenne “un atteggiamento estremamente cauto e sostanzial-mente difensivo e reticente […, forse anche per] considerazioni tattiche inter-ne connesse con l’imminenza delle elezioni amministrative”. Le notizie sull’o-pera di Stalin diedero poi motivo al segretario del Psi, Nenni, di iniziare unapresa di distanze dall’alleato Pci, e la sua azione “ricevette un nuovo immedia-to impulso dalle elezioni amministrative del maggio 1956, nelle quali la carat-teristica più rilevante fu il sensibile successo tanto del Psi, quanto – in minormisura – del Psdi” 513.

Il commento sui risultati elettorali fornito dall’organo della Lega contestaval’iniziale trionfalismo della stampa governativa, sottolineava l’erosione dei seg-gi complessivamente a disposizione dei partiti di maggioranza, con uno sposta-mento di voti verso la sinistra, dalla Dc al Psdi, e, globalmente, un buon risul-tato dell’opposizione di sinistra. Sostanzialmente, si può commentare, la situa-zione nelle autonomie locali non era cambiata di molto, e il giudizio de “Il co-mune democratico” era sibillino: “la battaglia per la formazione di nuove mag-gioranze è e rimane ancora aperta”514.

DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 143

510 Massimo Severo Giannini, Sui provvedimenti di discriminazione, Icd feb. 1955, pp. 3-4.511 Politica discriminatoria, Icd giu. 1955, p. 9.512 Editoriale, Icd mar.1956, pp. 1-2.513 Carlo Pinzani, L’Italia repubblicana, in Storia d’Italia, IV, t. 3, Dall’Unità a oggi, Torino,

Einaudi, 1976, pp. 2589, 2594. 514 c.d., Considerazioni sui risultati delle elezioni del 27 maggio, Icd lug. 1956, pp. 14-5.

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La complessa situazione politica continuava, comunque, a non inficiare iltentativo della Lega di sviluppare i rapporti con le diverse organizzazioni delmovimento per le autonomie locali, la cui comune condizione di vassallaggioverso il potere centrale era evidenziata dalla vita stentata delle diverse strutturedovuta quasi certamente, in gran parte, alla difficoltà di ricevere regolari con-tributi dai comuni a causa dei divieti delle autorità di controllo. Testimonian-za di questa situazione veniva dall’articolo che commentava il prossimo svolgi-mento dell’assemblea generale dell’Anci del novembre 1956, nel quale si evi-denziava: “lo scarso numero dei Comuni aderenti all’Anci, circa 2000 a quan-to pare, dei quali solo alcune centinaia in regola con il pagamento dei contri-buti associativi”. Concludeva l’articolo: “Il nostro augurio è che l’Anci esca dal-la Assemblea di Palermo rafforzata, e […] capace di contribuire con la sua for-za al rinnovamento e al progresso del nostro paese, sulla strada tracciata dallaCostituzione repubblicana”515. E non si trattava di un augurio formale. Era lastessa Lega a protestare, sia attraverso la rivista, sia attraverso l’intervento inParlamento del Segretario Spezzano, contro l’annullamento da parte dei pre-fetti delle delibere di adesione all’Anci, e delle richieste di autorizzazione degliamministratori a partecipare all’appuntamento di Palermo516. “Il comune de-mocratico” sollecitava gli amministratori popolari a partecipare sia al convegnodell’Anci, sia a quello, di poco successivo, dell’Upi517.

2.6.8. I problemi della municipalizzazione

Il forte malessere delle autonomie locali alla fine degli anni ‘50 aveva mo-do di esprimersi nei congressi della Confederazione della municipalizzazione(Com), dell’Anci e dell’Upi, che si tenevano nel 1957 e, da ultimo, in quellodella Lega dell’inizio del 1958.

Il giudizio della rivista518 sul primo dei congressi, quello della Com, svolto-si a Roma il 15-16 febbraio su Problemi attuali della municipalizzazione era ne-gativo. Commentando i lavori “Il comune democratico” sottolineava che lemunicipalizzate non potevano pensare di risolvere i propri problemi aziendaliscaricandoli sui cittadini: “non si può ripiegare se non facendo scontare allepopolazioni le conseguenze di una situazione di cui esse non sono certo re-sponsabili”. Non era un caso che la stampa, proseguiva la rivista, avesse sinte-tizzato le conclusioni del convegno con titoli del tipo “Le Municipalizzatechiedono aumenti di tariffe”, cui il Comitato interministeriale prezzi (CIP)del Governo, aveva risposto decidendo un aumento del prezzo del gas di 2 li-re al m3. Le conclusioni dell’articolo erano durissime: “molte parole e pochifatti e questi pochi nella direzione sbagliata, opposta a quella che la Costitu-

144 PARTE II

515 M., L’Assemblea generale dell’Anci, Icd 10 1956, pp. 3-4.516 Iscrizioni all’Anci, Icd gen. 1957, p. 15.517 Congresso dell’Anci, Icd feb. 1957, pp. 1-2.518 Dal gennaio del 1957 “Il comune democratico” mutava il proprio sottotitolo in “Rivista

per gli amministratori degli enti locali. A cura della Lega dei comuni democratici”.

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zione e gli interessi della popolazione impongono. L’azione degli amministra-tori democratici ne trarrà le debite conclusioni”519. Un successivo articolo con-fermava la durezza del giudizio, evidenziando la presenza di una maggioranzademocristiana e socialdemocratica alla guida dell’organizzazione delle aziendecomunali520.

Negli stessi mesi il commento sulla III assemblea generale dell’Associazio-ne dei comuni, tenutasi a Palermo il 28-31 marzo 1957, era invece sostanzial-mente positivo. “Dal congresso dell’Anci – riportava l’editoriale di marzo - so-no venute fuori delle mozioni votate all’unanimità che pongono in modo pre-ciso e chiaro i vari problemi della vita comunali e con fermezza quelli delle au-tonomie in genere e della autonomia finanziaria in specie”521. La rivista pub-blicava le conclusioni del congresso522 e, in particolare, la relazione del senato-re Enrico Minio, esponente della Lega, sul tema Disegno di legge n. 151, pre-sentato al Senato, in materia di tributi locali523. Si sottolineava la denuncia fat-ta a Palermo dell’arretratezza e dell’insufficienza della normativa in materia:“la legislazione e la pratica applicazione della stessa [in materia di finanza lo-cale] ha portato i Comuni sull’orlo del precipizio”524. Si insisteva sulla forteunità di intenti manifestata dall’assemblea, che aveva portato all’entrata nel-l’esecutivo dell’Anci di un parlamentare del Pci e di uno del Psi, rispettiva-mente, Umberto Terracini e Giovanni Pieraccini525. Analoga “consapevolezzaed unità d’intenti” era stata rilevata tra gli amministratori provinciali riunitinell’assemblea dell’Upi di Venezia, accompagnata dalla sottolineatura della“necessità di una più stretta e profonda collaborazione tra amministratori pro-vinciali e comunali”526.

Le speranze accese dalla presenza dei due parlamentari della sinistra nel-l’Anci, riguardo all’apertura di una nuova fase dei rapporti tra governo ed isti-tuzioni locali sarebbero però andate deluse di lì a qualche settimana, con la for-mazione del governo monocolore democristiano di Adone Zoli, che pure com-prendeva, come sottosegretario all’interno, l’on. Angelo Salizzoni, membro del-l’esecutivo nazionale dell’Anci e responsabile dell’Ufficio centrale enti localidella Dc527.

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519 M. Li., Problemi attuali della municipalizzazione. Risultati del convegno dei sindaci indet-to dalla C.O.M., Icd feb. 1957, pp. 13-4.

520 La Confederazione delle municipalizzate. Pericolosi atteggiamenti assunti dalla maggioran-za nei congressi di Federazione, Icd apr. 1957, p. 22.

521 Un congresso unitario, Icd mar. 1957, pp. 1-2.522 La III assemblea generale dell’Associazione nazionale comuni italiani, Icd mar. 1957, pp. 3-7523 Sen. Enrico Minio, La difficile situazione delle finanze comunali, Icd mar. 1957, pp. 8-12.524 Esigenze autonomistiche, Icd apr. 1957, pp. 1-2.525 Unità degli amministratori comunali al Congresso dell’Anci. Due dichiarazioni del sen. Um-

berto Terracini e dell’on. Giovanni Pieraccini, Icd apr. 1957, pp. 3-4.526 Virgilio Lazzeroni (presidente dell’Amministrazione provinciale di Siena), Note sul con-

gresso dell’Upi, Icd apr. 1957, pp. 7-9.527 Una nuova delusione per gli enti locali, Icd apr. 1957, pp. 1-2,

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2.7. Il rilancio della Lega alla vigilia dell’esperienza dei governi di centro-sinistra

Il 1958 fu l’anno “del Primo Congresso Nazionale della Lega dopo quellocostitutivo tenutosi a Firenze il 27 dicembre 1947”528. L’annuncio del congres-so sottolineava la concomitanza tra il decennale della rifondazione della Lega,nel secondo dopoguerra, e quello della pubblicazione della Costituzione529. Alcongresso, anche questo svoltosi a Firenze, dal 31 gennaio al 2 febbraio, parte-ciparono solo due organizzazioni del movimento per le autonomie locali, l’An-ci e l’Associazione nazionale enti di assistenza (Anea), mancavano, invece, l’U-pi, l’Uncem e la Com.

Erano presenti invece a Firenze molte altre organizzazioni strutturalmente le-gate ai partiti della sinistra come la Cgil, l’Alleanza nazionale contadini, l’Unionedonne italiane, la Federazione dipendenti enti locali ed ospedalieri, la Confedera-zione nazionale dell’artigianato, l’Anpi, l’Unione italiana sport popolare (Uisp),l’Associazione pionieri d’Italia (Api), l’Associazione ricreativa culturale italiana (Ar-ci)530. Interveniva, infine, un’organizzazione del mondo delle autonomie localifrancese l’Association nationale des elus republicains municipaux et cantonaux531.

Nella città toscana erano rappresentati, in totale, 2.213 enti, dei quali 1.049attraverso una rappresentanza diretta ed effettiva e 1.164 costituivano “altreamministrazioni comunali, minoranze consiliari, enti minori rappresentati in-direttamente tramite delega regolare”532. Tra i vari interventi si ricordano quel-li di Dozza, sindaco di Bologna, del senatore Umberto Terracini e di Emilio Se-reni, presidente dell’Alleanza nazionale contadini.

2.7.1. Il primo congresso nazionale della Lega, Firenze 1958

Il congresso si apriva con le relazioni del segretario Spezzano, La Lega: unfondamentale strumento di lotta costituzionale, e di Michele Lanzetta, L’attuazio-ne delle autonomie locali secondo la Costituzione, nella quale era commentata lasituazione politico-istituzionale complessiva e, in particolare, la mancata attua-zione della Costituzione533. Il senatore Spezzano esordiva ricordando, pur sen-za spiegarne il vero motivo, che quel primo congresso della Lega si teneva a bendieci anni dalla fondazione:

“Questo è il nostro primo Congresso e si tiene dopo dieci anni di attivitàdella Lega per motivi organizzativi e di lavoro quali quelli di darsi degli organidirigenti democraticamente eletti, cercare la migliore struttura per la propria

146 PARTE II

528 Dopo il Congresso, Icd 1 1958, pp. 1-2.529 Il congresso della Lega, Icd dic. 1957, pp.1-2.530 Era rappresentata anche l’Unione lotta alla tubercolosi (Ult).531 Icd 1 1958, p. 7. Il legame con l’organizzazione francese sarebbe continuato anche negli

anni seguenti, come dimostrava anche l’articolo di Maurice Bourjol, Prefetti e Regioni nella VRepubblica, Icd dic. 1964, pp. 28-44.

532 Icd 1 1958, p. 14.533 Michele Lanzetta, L’attuazione delle autonomie locali secondo la Costituzione. Seconda re-

lazione al Congresso, Icd 1 1958, pp. 8-14

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organizzazione, che deve potenziarsi e svilupparsi allo scopo di poter conve-nientemente assolvere i suoi molteplici compiti”.

L’analisi proposta dalla relazione iniziava, naturalmente, dal “campo inter-nazionale”, caratterizzato “dalla crisi del blocco atlantico determinatasi sotto lapressione sempre crescente del movimento della pace”, cui il governo aveva ri-sposto con l’accentuazione della politica di armamento. Rispetto alla politicainterna “per la lotta delle masse popolari, si è prodotta la crisi del blocco cen-trista”, a cui il governo aveva risposto con “una sempre più invadente clerica-lizzazione dello Stato con l’acutizzarsi e moltiplicarsi degli attentati alle autono-mie politico-finanziarie degli enti locali e con la mancata soluzione dei problemidi fondo nella nostra vita nazionale”.

2.7.2. Bilancio di un decennio di attività

Solo dopo questo sommario delineamento della situazione politica interna-zionale e nazionale - così breve e schematico da apparire più come l’adempi-mento di un obbligo che un motivato giudizio - Spezzano passava a descriverel’attività della Lega e questa limitata, ufficialmente per brevità, agli ultimi treanni. Le estese citazioni della relazione permettono di approfondire la com-plessità e l’ampiezza delle funzioni svolte dalla Lega che - vista la mancanza del-l’archivio - non è stato possibile ricostruire altrimenti. Oltre alle iniziative di ca-rattere più specificamente politico-istituzionale di opposizione al governo, chetanto spazio avevano nella rivista, Spezzano ricordava che:

“Nei vari Ministeri, LL.PP. [Lavori pubblici], Finanze, Interni, Agricoltura,nei vari uffici, Cassa del Mezzogiorno, Istituti di Previdenza, Ina-Casa, CassaDD.PP., [Depositi e prestiti] la Lega ha seguito oltre duemila pratiche e non ra-ramente con esito parzialmente o totalmente positivo. Abbiamo risolto periscritto 842 quesiti non sempre facili e molti altri sono stati risolti verbalmen-te; abbiamo risposto ad oltre tremila lettere. Con n. 76 circolari abbiamo illu-strato problemi di natura generale quali la preparazione dei bilanci, l’impostadi famiglia, le imposte di consumo, le prestazioni d’opera, la composizione del-le Giunte provinciali amministrative, ecc.

Inoltre siamo intervenuti direttamente o mediante esposti dettagliati e do-cumentati presso i Ministeri per problemi generali, alcuni dei quali sono statirisolti secondo la nostra impostazione come, per esempio, la costituzione dellaCommissione comunale per i tributi locali, la assunzione diretta delle impostedi consumo, l’assistenza veterinaria gratuita, la modifica della circolare con laquale si voleva ancorare l’accertamento per la imposta di famiglia a quello perle imposte erariali; fatti questi che hanno rappresentato una non scarsa utilitàpratica per le Amministrazioni”.

A questa attività di supporto amministrativo, la Lega ne accompagnavaun’altra sul piano politico-istituzionale, altrettanto importante per la soluzionedei problemi concreti della realtà locale:

“Abbiamo presentato i seguenti disegni di legge e abbiamo partecipato alladiscussione di tutti quelli interessanti gli enti locali. Ricordiamo:

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disegno di legge n. 569 presentato al Senato: ‘Esonero degli oneri fiscali sulcanone dovuto ai Comuni dei bacini imbriferi a norma della legge 27 dicem-bre 1953. n. 959’;

- disegno di legge n. 587 presentato al Senato il 15 giugno 1954: ‘Soppres-sione degli artt. 131, 133, e 134’;

- disegno di legge n. 1706, presentato in Senato il 25 ottobre 1956: ‘Normeintegrative al T.U. delle leggi generali e speciali riguardanti la Cassa Depositi ePrestiti, approvato con R.D. 2 gennaio 1953, n. 453’”.

2.7.3. Le campagne sul diritto di voto e per i comuni montani

Sempre in ambito politico-istituzionale, la Lega aveva promosso due cam-pagne, la prima di carattere politico diretta “alla difesa del diritto di voto, del-la sua segretezza, alla netta opposizione contro le manovre ministeriali tenden-ti a privare ingiustamente dell’elettorato attivo e passivo centinaia di migliaia dicittadini”. Si era trattato di una iniziativa condotta in vari ambiti: “da quelloparlamentare a quello giudiziario, dalla pubblicistica alla denuncia orale, e conl’aiuto e l’appoggio di altre organizzazioni e dei partiti di sinistra ha già susci-tato l’interesse di politici, studiosi, giuristi e di grandi strati della popolazionefrenando così le manovre dell’Esecutivo. Questo successo iniziale, in seguito al-l’accoglimento delle nostre tesi da parte dell’autorità giudiziaria e dopo un mo-vimento favorevole dell’opinione pubblica, è stato coronato dalla legge 26 mar-zo 1956 che modifica l’art. 2 della legge n. 1058 e riconosce il diritto al voto amolte categorie di cittadini che ne erano esclusi […] circa un milione di citta-dini”.

Della seconda campagna si sottolineavano, soprattutto, gli effetti di caratte-re economico. Comuni e province non si difendevano solo politicamente maanche garantendo loro maggiori risorse. Questo che nei disegni della Lega – alpari delle altre organizzazioni del movimento per le autonomie locali - costi-tuiva un obiettivo primario, veniva ricordato quasi con imbarazzo, molto pro-babilmente perché le energie che erano state profuse per raggiungerlo erano sta-te giudicate eccessive dalla direzione più propriamente politica, questo non-ostante le risorse reperite venissero destinate a quello sviluppo economico es-senziale per il benessere dei cittadini:“L’altra campagna cui ci riferiamo è quella relativa alla applicazione delle leggi27 dicembre 1953 e 4 dicembre 1956 rispettivamente sui comuni dei baciniimbriferi montani e su quelli rivieraschi.

Abbiamo seguito questa materia con tanta continuità, interesse e passioneche tante volte ci sembrò esagerare. Ma il nostro interesse per l’applicazione,onesta ed integrale di tali leggi non è stato determinato solo, e vorrei direnemmeno prevalentemente, dalla utilità economica pur rilevantissima per i Co-muni, utilità che si traduce in una entrata straordinaria di circa 7 miliardi al-l’anno.

La nostra lotta ha avuto ed ha una prospettiva più ampia di politica ammi-nistrativa, cioè quella di servirci della legge 27 dicembre come arma contro il

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monopolio elettrico. Infatti il legislatore, accogliendo le nostre richieste, ha ri-conosciuto per i Comuni la facoltà di avere dalle società elettriche invece delcanone in denaro e fino alla concorrenza della somma dovuta, la stessa energiaelettrica a condizioni di assoluto favore”.

I comuni montani potevano avere, finalmente, energia a buon mercato perlo sviluppo della propria economia:

“Si tratta di circa due miliardi di chilowattora all’anno che, intelligente-mente utilizzati e sfruttati, costituiranno, senza dubbio, un potente mezzo diconfronto e di controllo e quindi di efficace lotta contro lo strapotere del mo-nopolio e, nello stesso tempo, un’arma per aiutare il progresso, se è vero, comeè vero, che una delle cause della arretratezza delle zone depresse del nostro Pae-se e dell’arresto di sviluppo di altre zone, va ricercata proprio nello strapoteredi detto monopolio”.

Spezzano passava poi ad illustrare la funzione dell’organo ufficiale, “Il co-mune democratico”. La rivista svolgeva una essenziale funzione di raccordo tragli amministratori e come mezzo di pressione sia verso il governo , sia verso laPubblica amministrazione nel suo complesso: “il governo e i suoi organi periferici, le amministrazioni lontane da noi, le altreassociazioni degli Enti locali, la Cassa Depositi e Prestiti, gli Istituti di previ-denza, in breve verso poteri, enti associazioni la cui attività, direttamente o in-direttamente, è legata a quella dei Comuni, delle Provincie e degli altri Enti lo-cali”.

2.7.4. Le questioni organizzative

A questo lungo elenco di successi Spezzano faceva seguire un’analisi dell’or-ganizzazione, di cui lamentava un’insufficiente crescita sul piano provinciale:

“La verità è che, specie nella periferia, la nostra organizzazione deve cresce-re e svilupparsi e potenziarsi. Infatti finora un po’ per le nostre forze limitate,un po’ perché non sempre né dappertutto il problema degli Enti locali è statoconvenientemente valutato, un po’ anche per altre condizioni obbiettive locali,non in tutte le Province siamo riusciti ad avere, come è augurabile, una nostraLega provinciale con sede propria e con una sua continua e costante attività”.

Il segretario proponeva quindi due elenchi dalla chiarissima funzione peda-gogica, tanto simili erano alla classica divisione tra buoni e cattivi: l’obiettivoera premiare i primi e stimolare, con il rimprovero pubblico, i secondi. Tra ibuoni vi erano le province politicamente più operose: Arezzo, Bologna, Caser-ta, Cremona. Firenze, Grosseto, Mantova, Milano, Modena, Pavia, Pesaro,Reggio Emilia, Rovigo, Siena, Vercelli, Tra i cattivi erano citate le province diAlessandria, Novara, Cremona, Terni, Perugia, Ravenna, Catanzaro, Cosenza,tutte deficienti per attività, nonostante la forte presenza di comuni ammini-strati dalla sinistra.

In linea di massima, come non mancava di sottolineare Spezzano, “nell’Ita-lia centro-settentrionale le Leghe vi sono ed un considerevole numero dellestesse è attivo ed efficiente. Nell’Italia meridionale tranne pochi casi isolati di

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Leghe realmente efficienti, le altre o hanno una vita saltuaria o mancano deltutto”.

Il segretario sottolineava poi l’importanza dell’attenzione al “problema dellamontagna. È noto infatti che i Comuni montani sono i più deboli e quindi piùbisognevoli di aiuto, senza dire che hanno problemi particolari e in molti cam-pi godono di una legislazione speciale”.

Altrettanta attenzione si sarebbe dovuta garantire verso “le aziende munici-palizzate che, convenientemente sviluppate e dirette, costituiscono tra l’altro unmezzo efficace per la lotta contro il monopolio e per l’attuazione dell’art. 43della Costituzione, prospettive queste che dovranno essere sempre più popola-rizzate e vivificate dall’appoggio delle numerose categorie interessate; prospet-tive rese più attuabili dal recente sganciamento delle Aziende IRI dalla Con-findustria”.

Delineando quindi il futuro dell’attività della Lega, Spezzano, molto signi-ficativamente, sottolineava l’importanza dei rapporti con le altre organizzazio-ni, infatti, l’avvenire sarebbe stato:“condizionato in buona parte dal modo come verranno risolti due quesiti:Quali debbono essere le funzioni e i compiti della nostra Lega in presenza dialtre Associazioni unitarie come l’ANCI, l’UPI, l’UNCEM, l’ANEA?Dovrà la nostra Lega ridurre la propria attività esclusivamente o prevalente-mente alla assistenza e consulenza, o dovrà avere, come finora ha avuto, incre-mentandola se del caso, anche una funzione di orientamento nella attività po-litico-sociale amministrativa degli Enti locali?”.

2.7.5. La natura della Lega ed il rapporto con le altre organizzazioni

Spezzano, quindi, metteva in diretta relazione il futuro della Lega con il rap-porto che si sarebbe dovuto sviluppare con le altre organizzazioni del mondodelle autonomie locali e con l’attività che esse svolgevano. Da una parte era evi-dente alla direzione della Lega che solo un’azione il più possibile unitaria di tut-te le organizzazioni avrebbe potuto dare qualche possibilità di successo alle ini-ziative promosse. Dall’altra, il carattere più propriamente istituzionale ed uffi-ciale delle altre organizzazioni sottolineava l’insostituibilità della funzione spe-cificamente politica ed antigovernativa della Lega. Ma questa funzione di op-posizione netta al governo non aveva fini puramente propagandistici, di parti-to, non serviva solo ad aumentare i voti dei partiti democratici, ma aveva l’o-biettivo, dichiarato, di stimolare le altre organizzazioni a non rimanere schiac-ciate in un comodo ruolo di supporto alla politica decisa dal governo:“La presenza di altre organizzazioni unitarie, infatti, lungi dal costituire unostacolo alla nostra Lega, la rende maggiormente indispensabile proprio perquella funzione di incoraggiamento, di stimolo e di richiamo che finora, siapure con molte deficienze, ha svolto e la rende sempre più necessaria anche percollegare e coordinare in seno a dette associazioni la attività dei nostri aderen-ti [...] È innegabile, inoltre, per esempio, che se la ANCI ha assunto alcuneposizioni sulle autonomie, sull’imposta di famiglia, sul dazio consumo, ciò è

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dovuto anche al fatto che analoghe e più vaste posizioni erano state prese dal-la nostra Lega [...] Ed è innegabile ancora che se l’UNCEM ha preso alcuneiniziative ed ha fatto dei passi avanti sia per quanto riguarda la preparazione el’applicazione delle leggi 959, 991, 4 dicembre 1956 relative ai Comuni deibacini imbriferi montani, alla montagna, ai Comuni rivieraschi, ciò è in granparte dovuto, anche, alle nostre chiare posizioni prese in Parlamento, sullastampa, nella nostra organizzazione, nei Ministeri, nella stessa sede dell’UN-CEM”.

Rispetto al secondo quesito, se ridurre o meno l’attività della Lega ad unaconsulenza di tipo tecnico-amministrativo, la risposta era scontata. Se era evi-dente, infatti, che molti dei problemi concreti degli enti locali avevano bisognodi risposte di carattere tecnico-amministrativo che solo una organizzazione ef-ficiente e preparata poteva dare - od aiutare a dare -, era altrettanto evidente chela soluzione o, quanto meno, la ricerca di soluzioni a problemi più complessi,poteva venire solo da un intervento politico-istituzionale:“Noi crediamo che l’interrogativo sarà giustamente risolto approvando e te-nendo fede allo Statuto che prevede per l’appunto, insieme con l’assistenza tec-nico-giuridica, attività più ampie e di maggiore respiro come l’attuazione del-l’autonomia, l’orientamento e il coordinamento delle attività degli Enti locali,la formazione di organismi che facilitino la partecipazione più intensa ed este-sa dei cittadini alla vita amministrativa anche allo scopo di elevarne la educa-zione e la preparazione civica. Compiti questi che non possono essere sin-golarmente guardati né si possono perseguire enucleandoli l’uno all’altro. Sonoquesti problemi e fattori connessi fra di loro, se non addirittura diversi aspettidi una comune realtà di fondo”.

2.7.6. Le prospettive politiche

La risposta che Spezzano dava alla domanda sulla funzione della Lega, solotecnico-amministrativa o anche politico-istituzionale, evidenzia l’elemento checaratterizza e qualifica tutta la storia dell’organizzazione. La Lega dei comunidemocratici accanto ad una attività politico-istituzionale diretta verso l’alto, in-sieme a quella delle altre organizzazioni degli enti locali, per ottenere dal go-verno riforme complessive che dessero maggiore autonomia agli enti locali, nesvolgeva altre due, peculiari della Lega. La prima era, orizzontale, di stimolo ri-spetto alle organizzazioni consorelle, la seconda verso il basso, verso i cittadini,con l’obiettivo di stimolare la partecipazione diretta al governo ed all’ammini-strazione locale attraverso “la formazione di organismi che facilitino la parteci-pazione più intensa ed estesa dei cittadini alla vita amministrativa anche alloscopo di elevarne la educazione e la preparazione civica […] Il Comune al Po-polo e il Popolo al Comune non è uno slogan, ma una meta che ogni demo-cratico vuole raggiungere e per la quale lotta”534.

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534 Francesco Spezzano, La Lega: un fondamentale strumento di lotta costituzionale. Pri-ma relazione al Congresso, Icd gen. 1958, pp. 3-7.

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Anche Lanzetta, nella sua relazione, poneva la questione se la Lega dovesseavere una funzione di “direzione politica” od un carattere “eminentemente tecni-co”. La sua risposta era simile a quella di Spezzano ma più di lui azzardava - inanni nei quali la fedeltà all’ideologia ed al programma politico era un’esigenzaassoluta – la prevalenza di una funzione tecnica della Lega la cui azione: “nonpotrà che essere massimamente avveduta e perciò non astratta; quindi sostan-ziata di dimostrazioni continue di massima capacità tecnico-amministrativa”.Subito dopo, a bilanciare un’affermazione che poteva essere interpretata comeeccessivamente squilibrata verso tematiche tecniche, diceva: “ma non dimenti-ca mai che l’interpretazione ed il soddisfacimento dei bisogni popolari sono fat-ti eminentemente politici […] esemplari amministrazioni debbono essere lenostre, ed onestamente popolari, appunto nella tradizione dalla quale è deriva-ta gran parte delle autonomie che oggi sono nella Costituzione”535.

2.7.7. La battaglia per la pace e le relazioni internazionali

Tra gli interventi svolti nel corso del congresso deve essere ricordato quellodel senatore francese Waldeck L’Huillier segretario nazionale dell’Associationnationale des elus republicains municipaux et cantonaux. Questa presenza sot-tolineava una rinnovata attenzione verso le organizzazioni municipali interna-zionali che, per qualche tempo, prendeva il posto delle notizie sulle autonomielocali dei Paesi socialisti apparse nell’organo della Lega con una certa regolari-tà fino al 1953 e praticamente cessate dal 1956, l’anno della denuncia dei cri-mini dello stalinismo in Russia536.

Sono molti gli elementi di particolare interesse contenuti nell’intervento diWaldeck L’Huillier. In primo luogo la sottolineatura dell’opportunità di stabi-lire “fra le nostre due Associazioni legami solidi e fruttuosi. amichevoli e fra-terni. In secondo luogo la sottolineatura del fatto che in Francia i comuni era-no soggetti a gravi limitazioni della loro autonomia nonostante, proprio comein Italia: “la nostra Costituzione, votata nel 1946, preveda che le collettività locali siamministrino liberamente sotto l’autorità del loro presidente, i Comuni fran-cesi non godono ancora delle libertà municipali.

La riforma delle finanze locali, promessa da 58 anni, è costantemente e si-stematicamente differita. Le formalità amministrative sono lunghe, complesse,scoraggianti; i prestiti si ottengono difficilmente; le sovvenzioni necessarie ai la-vori pubblici sono ridotte a zero.

Edouard Herriot, che fu sindaco di Lione durante un mezzo secolo, potevascrivere recentemente che il regime al quale sono sottoposti i municipi france-si è odioso e che costituisce talvolta una vera pagliacciata”.

152 PARTE II

535 Lanzetta, L’attuazione delle autonomie locali secondo la Costituzione…, cit.536 Fu nel 1958 che riapparvero nella rivista notizie sugli enti locali dell’Est europeo: Luigi

Ciofi degli Atti, I Soviet locali nell’URSS, Documentazione Italia-URSS, 7; Icd ago. 1958, p.212.

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Come in Italia, ancora, ma con maggior forza, visto che la Francia sostene-va il peso di guerre coloniali da circa vent’anni, in Algeria e Indocina, i comu-ni francesi erano impegnati nella battaglia per la pace. E proprio per combat-tere meglio questa battaglia L’Huillier proponeva una modalità di rapporto tracomuni assolutamente nuova, che si andava sviluppando nell’Europa degli an-ni ’50 del ‘900, il gemellaggio tra comuni”537. La politica dei gemellaggi, pro-mossa in particolare, ma non solo, dai comuni francesi della sinistra a partiredalla fine degli anni ‘40 verso città e paesi della Germania e dell’Est europeo538,si diffondeva così anche in Italia a partire dai comuni associati alla Lega.

Al termine del congresso venivano approvati una risoluzione conclusiva e lostatuto. Nella risoluzione conclusiva del congresso, oltre alla richiesta di attua-zione della Costituzione, alla denuncia della normativa fascista ancora vigente,alla richiesta di mobilitazione dei cittadini in favore degli enti locali, contene-va un interessante richiamo alla questione finanziaria coerente con l’accenno alproblema contenuto nello statuto: “Il Congresso respinge nel modo più cate-gorico l’infondata accusa di dissipazione rivolta ai Comuni e alle Provincie, e ladirettiva espressa dall’on. Ministro delle finanze con la locuzione: ‘spendere me-no’, e dichiara che le funzioni degli enti locali non debbono essere diminuite esoffocate, ma al contrario ampliate ed adeguate alle legittime necessità delle po-polazioni interessate. Esso riafferma l’esigenza che la riforma della finanza lo-cale [..., e] l’ampia concessione di mutui per lavori pubblici dalla Cassa Depo-siti e Prestiti”. Non mancava naturalmente, in conclusione, l’appello alla pace:“Il Congresso […] sente il dovere di esprimere la volontà delle popolazioni cheesso rappresenta di agire con coerente fermezza al fine di salvaguardare la pacedell’Italia e del mondo”539.

E l’impegno della pace sarebbe continuato, con tenacia immutata, negli an-ni successivi. Ai tradizionali appelli dei singoli comuni, come sempre soggettialle ire censorie prefettizie540, si accompagnavano le notizie sulle attività delleorganizzazioni dei comuni, nuova modalità attraverso la quale si esprimevanole iniziative per l’amicizia tra i popoli, come quelle della Fédération mondialedes villes jumelée, alla quale si invitavano i comuni ad aderire541. All’aperta sim-patia dimostrata verso quell’organizzazione corrispondeva la denuncia verso ilmovimento europeista che si mobilitava in quegli stessi anni in Italia e in Eu-ropa e che attraverso il Consiglio dei comuni d’Europa, coinvolgeva anche i co-muni542.

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537 Waldeck L’Huillier, Il saluto degli amministratori francesi ai loro colleghi italiani, Icd gen.1958, pp. 24-5. All’appello di L’Huillier rispondevano subito 8 comuni, 5 dei quali emiliani:Imola, Carpi, Castelnuovo, Mirandola e Modena, e quindi Sarzana, Bagno a Ripoli e Giulia-nova.

538 Antoine Vion, Superare i conflitti: il gemellaggio tra città europee dopo la seconda guerramondiale, in Dogliani, Gaspari (a cura di), L’Europa dei comuni..., cit., pp. 249-272.

539 La risoluzione conclusiva del Congresso di Firenze, Icd gen. 1958, pp. 27-8.540 I Comuni per la pace, Icd mag. 1959, pp. 132-3.541 , Il Congresso delle città gemellate, Icd nov. 1959, pp. 364-5.542 Ruggero Laurelli, “Europeismo”: minaccia mortale per le autonomie locali, Icd apr. 1953,

pp. 85-6.

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Dopo qualche anno di oscuramento, alla fine degli anni ‘50, riappariva e sirinnovava sotto forma di rapporti tra organizzazioni di enti locali anche il cul-to idealistico verso le autonomie locali dei Paesi socialisti. Così, la visita di unadelegazione della Lega all’omologa struttura della Cecoslovacchia543 dava mododi sviluppare il panegirico dell’autogoverno locale di quella nazione socialista544.

2.7.8. Lo statuto

Lo statuto approvato dal congresso era quasi certamente il primo dalla fon-dazione della Lega, considerato che la bozza, presentata ne “Il comune demo-cratico” del luglio 1948, non pare essere mai stata votata, né essersi trasforma-ta in un vero e proprio statuto. L’art. 1 sanciva il cambiamento della denomi-nazione in “Lega nazionale dei comuni democratici, regioni, provincie ed entiminori”, che veniva definita “unione di amministrazioni e amministratori”. Erasulla base di questo articolo che la rivista, dal gennaio 1958, era a cura “A curadella Lega dei Comuni Democratici, Regioni, Province ed Enti minori”.

Le novità più essenziali venivano dal riconoscimento dell’organizzazione co-me struttura al servizio di enti ed amministratori e dalla scomparsa di un obiet-tivo più propriamente politico quale era quello della promozione di consultepopolari e consigli tributari, presente all’art. 2 della bozza del 1948. Molto si-gnificativamente il nuovo art. 2 stabiliva come obiettivo, in primo luogo “l’at-tuazione dell’autonomia dei comuni, delle provincie e degli enti locali anchesotto l’aspetto finanziario e il loro sviluppo in senso democratico” 545.

2.7.9. La Lega e l’Anci rafforzano le proprie strutture e l’attività tecnico-amministrativa

In sostanza con il suo nuovo statuto la Lega, dal 1958, dava più spazio allapropria natura di organizzazione politico-istituzionale, riconosceva l’importan-za della questione finanziaria nella realtà delle autonomie locali ed articolavameglio la propria struttura interna. Il congresso del decennale puntava ad unrilancio dell’attività dell’organizzazione, quasi a prepararla alle sfide che sareb-bero venute, di lì a qualche tempo, dai cambiamenti politici che si sarebberoverificati con la partecipazione del Partito socialista italiano ai governi di cen-tro-sinistra. Questo rilancio, ancora una volta, avveniva quasi in concomitanzacon un analogo passo dell’Anci. L’Associazione, all’indomani della III assem-blea che si era svolta a Palermo tra il 28 ed il 31 marzo 1957, aveva avviato unaprofonda ristrutturazione della propria struttura. Fu a seguito del congresso di

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543 Una delegazione della Lega nazionale dei Comuni in visita agli Enti locali cecoslovacchi, Icddic. 1959, p. 396; Alessandro Seppilli, Come operano gli enti locali nella Repubblica cecoslovac-ca, Icd dic. 1959, p. 398.

544 Michele Lanzetta, La capacità formativa e propulsiva primaria dell’autogoverno locale, Icdfeb. 1960, pp. 47-51.

545 Lo statuto della Lega nazionale, Icd gen. 1958, p. 26.

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Palermo che venne deciso il passaggio della segreteria dall’anziano Renato Vi-card, ad un giovane democristiano di origine pugliese, Giovanni Santo, cheavrebbe dedicato la propria vita allo sviluppo dell’organizzazione, di cui fu se-gretario fino al 1986.

Primo passo in questo senso fu l’apparizione nel dicembre del 1957 del bol-lettino ufficiale dell’Anci, “Notiziario Anci”, che accompagnò ancora per qual-che tempo la tradizionale pubblicazione degli atti ufficiali all’interno del men-sile di carattere tecnico-giuridico “Il corriere amministrativo”. E proprio nel“Notiziario Anci” era stato pubblicato, per la prima volta, il testo di una lette-ra aperta ai Ministri dell’interno e della sanità scritta dal presidente della Com,senatore Corbellini, nella quale questi protestava contro gli ostacoli frappostida Prefetture e GPA contro le farmacie comunali546.

Se nella seconda metà degli anni ’50 l’Anci decideva di pubblicare un pro-prio bollettino ufficiale, la Lega, che aveva avuto sin dall’inizio una vera epropria rivista, consolidava le basi finanziarie ed allargava la propria presen-za editoriale: anche questo era un segnale del progressivo rafforzamento del-l’organizzazione della Lega avvenuto dalla seconda metà degli anni ’50. Apartire dal 1956, e soprattutto dal 1958, aumentavano gradualmente le in-serzioni pubblicitarie di ditte commerciali e gli annunci di bandi di concor-so per impieghi presso comuni e province pubblicati ne “Il comune demo-cratico”547.

Un segnale della stabilizzazione e dell’incremento delle entrate dell’organiz-zazione veniva anche, in particolare, dall’annuncio, apparso alla fine del 1959,della pubblicazione de “L’Agenda 1960 dell’Amministratore democratico. Edi-ta a cura della Lega Nazionale dei Comuni democratici”. Ai lettori, che ormaisi abbonavano regolarmente, si proponeva l’acquisto di agende, che costituiva-no, anche, uno strumento di finanziamento dell’attività editoriale della Lega.Per favorire maggiormente lettura e diffusione della rivista si proponeva all’at-tenzione dei lettori un questionario di due facciate Per il miglioramento e lo svi-luppo della rivista Il comune democratico548.

All’Agenda sarebbero seguite altre pubblicazioni della “Edizioni Lega dei co-muni democratici” che, nel gennaio 1962 erano poco meno di una decina e so-prattutto di argomento tecnico549. Un decennio più tardi, nei primi anni ‘70 le

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546 Red., La Confederazione delle Municipalizzate per l’istituzione delle farmacie comunali, Icdgen. 1959, pp. 13-4.

547 Tra i primi inserzionisti della rivista si segnalano l’editrice Feltrinelli e la Olivetti, men-tre successivamente comparivano gli Editori Riuniti, casa editrice ufficiale del Pci, e ditte pro-duttrici delle merci più diverse (come materiale di segreteria, televisori, laterizi, ecc.). Nellostesso periodo sparivano i tradizionali solleciti ad abbonarsi alla rivista, che venivano sostituitida annunci pubblicitari della rivista stessa.

548 Per il miglioramento e lo sviluppo della rivista Il comune democratico, Icd nov. 1960549 Le pubblicazioni indicate in una manchette pubblicitaria allegata agli Indici dell’annata

1963, della rivista della Lega erano Gli enti locali e l’agricoltura, I comuni per lo sviluppo dellescuola pubblica, La colonia di vacanza, Costituzione della Repubblica italiana, Agenda dell’ammi-nistratore democratico, Regolamento interno per il funzionamento del consiglio comunale, I comu-ni e l’imposta sull’incremento di valore delle aree fabbricabili.

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proporzioni dei titoli erano pressoché invertite, a vantaggio dei volumi di im-postazione politica e storico-politica550.

2.8. Una moderna organizzazione riformista per la trasformazione democraticadello Stato

2.8.1. Il congresso di Torino nel centenario dell’Unità d’Italia

Il 1961 fu un anno decisivo nell’evoluzione della Lega. Fu quello l’anno delIII congresso che, molto significativamente, si svolse a Torino nel quadro dellecelebrazioni per il centenario dell’Unità d’Italia ma anche nel pieno della lentae complessa evoluzione politica che avrebbe portato i socialisti al governo allafine del 1963, quasi a rispondere ad una sfida politica in una doppia prospetti-va da un punto di vista sia storico, sia contemporaneo. Torino, oltretutto, nonera importante solo dal punto di vista della costruzione dello Stato nazionale,in quanto capitale del Regno sabaudo dalla quale era partita l’iniziativa per l’u-nificazione d’Italia, ma, come ricordava Gino Castagno, lo era anche dal pun-to di vista della storia dell’autonomia comunale, perché era stata anche la sededella prima riunione dei comuni, avvenuta del 1879551. L’appuntamento erastato preparato come mai era avvenuto in precedenza, con l’obiettivo di solle-citare una partecipazione il più possibile consapevole dei delegati e, al termine,ancora per la prima volta, sarebbero stati pubblicati gli atti integrali con tuttigli interventi. Prima dell’appuntamento nazionale erano stati tenuti dei con-gressi provinciali di preparazione, alcune delle relazioni erano state pubblicatenei mesi precedenti l’appuntamento ed il numero della rivista di marzo-aprile,quello distribuito prima del congresso svoltosi a giugno, conteneva il docu-mento con le tesi predisposte dalla direzione.

La crisi degli enti locali italiani, era scritto nel documento, in particolare perle vecchie norme accentratrici in vigore, era ormai gravissima. Il sempre piùgrave divario tra Nord e Sud, tra città e campagna, le fortissime migrazioni in-terne, la stessa costituzione del Mercato comune europeo – di cui si paventa-vano le pesanti conseguenze sulla inadeguata struttura amministrativa naziona-le – evidenziavano la necessità di profonde riforme che avrebbero dovuto coin-

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550 Questi i titoli pubblicizzati in una pagina alla fine del fasc. del dicembre 1973 de “Il co-mune democratico”: Lorenzo Bedeschi, Socialisti e cattolici nei comuni dall’Unità al fascismo;Valeria Erba, L’attuazione dei piani urbanistici; Piero Calandra, Giuseppe Troccoli (a cura di),Il trasferimento delle funzioni statali alle regioni, saggio introduttivo di Franco Bassanini; Do-menico Davoli, Consiglieri comunali, provinciali e regionali; Gli Statuti regionali, prefazione diSalvatore D’Albergo; “…Allora… più si studia più si diventa amici del padrone?”, Enzo Modica,I comunisti per le autonomie; Atti della conferenza nazionale di solidarietà con i popoli delle colo-nie portoghesi. Reggio Emilia 25-25/3/1973; Vezio De Lucia, Edoardo Salzano, Francesco Strob-be, Riforma urbanistica 1973; Le autonomie e la politica culturale, Quaderni delle Autonomielocali de “Il comune democratico”; Franco Ferrarotti, Fascismo di ritorno; Atti del VI congressonazionale della Lega per le autonomie e i poteri locali. Perugia 14-17 dice. 1972.

551 Gino Castagno, Il congresso nazionale della Lega nel quadro del Centenario a Torino, Icdgen. 1961, pp. 20-22.

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volgere anche gli enti locali. Era in questo contesto che l’attuazione della re-gione e, più in generale, l’applicazione della Carta costituzionale, diventavasempre più urgente.

Veniva quindi ricordato l’impegno della Lega negli ultimi anni, in partico-lare le campagne per la raccolta di firme per la costituzione del Fondo naziona-le per la montagna e per l’attuazione della Regione; la lotta contro i monopolielettrici e quella contro i latifondi in collaborazione con l’Associazione dei con-tadini meridionali; la promozione dei gemellaggi tra le città italiane, quelle del-l’Est europeo e dei paesi ex coloniali; l’attività contro gli arbitrii prefettizi. Ve-nivano evidenziati i problemi organizzativi interni alla Lega, legati, soprattut-to, ad una oltremodo eccessiva disparità tra la diverse forze delle realtà regionalie provinciali.

Il documento riaffermava e, soprattutto, spiegava, come mai era avvenutoprima, la natura della collaborazione della Lega con gli “organismi unitari degliEnti locali (Anci, Upi, Anea, Uncem, Com, ecc.). La Lega non può né deve con-fondersi con queste associazioni che svolgono una loro attività particolare, spes-so preziosa, ognuna nel suo settore specifico […] alla Lega spetta, invece, uncompito più generale e più impegnativo di continua propulsione democratica ecostituzionale nei riguardi di tutti gli Enti locali, grazie alla mobilitazione, quan-to più coordinata ed organizzata possibile, delle forze amministrative”.

La discussione, a Torino, si sarebbe dovuta concentrare sull’attuazione dellaRegione, sull’estensione delle funzioni della Provincia, sul rinnovamento del Co-mune, sulla promozione della partecipazione dei cittadini all’attività dell’ente lo-cale. Si chiedeva l’attribuzione agli enti locali di una effettiva autonomia finan-ziaria, ma anche di nuovi poteri, come la tutela dell’ordine pubblico552. La Lega,infine, sollecitava gli amministratori alla mobilitazione per la riforma della leg-ge comunale e provinciale; allo sviluppo dei contatti con gli enti locali di altripaesi, chiedeva l’impegno, in particolare, degli enti locali delle regioni a statutospeciale affinché divenissero protagonisti delle politiche regionali553.

2.8.2. La critica all’Anci e la riflessione sulla continuità del socialismo riformistanella storia del movimento comunale

A rammentare il ruolo dei comuni della sinistra nella storia nazionale, subi-to dopo il saluto della rivista ai congressisti, veniva riprodotta in forma anasta-tica la prima pagina del periodico “La lega democratica”, “il giornale che detteil nome alla lista con la quale le forze popolari, il 27 ottobre 1889, conquista-

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552 Una richiesta, quest’ultima, evidentemente legata alla polemica, vivissima in quegli an-ni, sull’utilizzo della forza pubblica in funzione antioperaia e antisindacale. Una richiesta sicu-ramente irricevibile dal governo di allora, per ragioni di sicurezza nazionale, ma di grande si-gnificato democratico.

553 La Lega nazionale dei comuni democratici, Problemi nuovi e programmi di attività nei di-battiti dei Congressi delle Leghe, Icd mar.-apr. 1961, pp. 83-88.

554 [Didascalia], Icd giu. 1961, p. 176.

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rono il primo Comune, Imola”554. Ma il richiamo storico più forte era senzadubbio costituito dalla pubblicazione dell’articolo di Gaetano Salvemini per ilcongresso di fondazione dell’Anci nel 1901. Le critiche di Salvemini all’Anci,simbolizzavano la continuità della funzione di critica e di stimolo verso l’orga-nizzazione dei comuni che i socialisti avevano svolto sin dall’inizio della storiadell’organizzazione unitaria dei comuni555.

Anche l’Associazione dei comuni, da parte sua, avrebbe partecipato alla ri-flessione storica sollecitata dalle celebrazioni per il centenario dell’Unità ma, di-versamente da come aveva scelto di fare la Lega, separando nettamente i duemomenti, quello storico e quello politico. L’Anci celebrava il proprio 60° anni-versario a Parma l’11 ottobre 1961 con la relazione di un giovane, Gabriele DeRosa, che nella sua ricerca sottolineava il ruolo dei cattolici e di Luigi Sturzo inparticolare556. Ma poi, quasi a sancire la separazione tra i due momenti, i dele-gati dell’Anci si trasferivano a Venezia dove, dal 12 al 15 ottobre, si svolgeva ilcongresso vero e proprio.

Per la Lega, invece, la storia costituiva un momento di riflessione essenziale,di richiamo alla comprensione della realtà presente. In primo luogo l’interpre-tazione dei fatti storici sollecitava la critica all’Anci per gli insuccessi nella suaattività, dovuti al tradimento ed all’abbandono dei principi costitutivi origina-ri, che erano stati invece ripresi e vivificati dalla Lega di oggi. Un così forte ac-cento sulla storia della lotta dei comuni iniziata nel 1901 - se non addiritturacon la riunione del 1879, come ricordava Castagno - serviva quasi a sottoli-neare l’idea che la battaglia politico-istituzionale dei comuni sarebbe stata lun-ga. Ma l’idea della continuità della storia del movimento comunale tra l’espe-rienza della Lega dei comuni socialisti e la Lega dei comuni democratici era vi-ziata da una omissione fondamentale: il fatto che la Lega dei comuni socialistifosse stata chiusa nel 1922 per volontà della maggioranza massimalista del Psie che lo stesso Partito comunista con la sua condotta rispetto all’organizzazio-ne, avesse contribuito all’idea di una Lega che fosse semplice strumento di par-tito e quindi, come tale, assolutamente dipendente in tutto e per tutto dal par-tito stesso.

La tradizione che la Lega del secondo dopoguerra seguiva era quella del ri-formismo di Caldara e Matteotti, la tradizione di un riformismo che aveva tro-vato nel movimento comunale la possibilità di esprimere le proprie potenziali-tà ed attraverso il quale aveva cercato di contribuire all’evoluzione in senso de-mocratico della società e delle istituzioni. Ma le caratteristiche di quella conti-nuità erano molto, molto controverse.

Ad esempio, era in nome della continuità che, a Milano, era stata fatta lanomina di un sindaco socialista, Antonio Greppi, riconoscendo così “il ruo-lo fondamentale che il socialismo milanese aveva esercitato in campo ammi-nistrativo prima del fascismo, soprattutto con le giunte Caldara e Filippet-

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555 Gaetano Salvemini, L’autonomia comunale e il congresso di Parma del 1901, Icd giu.1961,pp. 178-182.

556 Gabriele De Rosa, La nascita dell’Associazione dei comuni, Roma, Edizioni cinque lune,1962.

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ti”. Lo stesso Partito socialista “non rinnegava questo legame, che anzi esal-tò”, ma, come sottolinea Punzo, la vera natura della rivendicazione di que-sto legame “costituisce un problema di una certa rilevanza”. Il Psi, a Milano,“era fortemente diviso tra coloro che si consideravano gli eredi del vecchioriformismo […] e coloro che consideravano, in vario modo, il riformismoun ramo secco ed una esperienza sorpassata, se non fallimentare”. E se pureil riconoscimento a livello locale della validità dell’esperienza riformista fos-se stata effettiva e non puramente propagandistica, questo non aveva quasialcun effetto sul piano nazionale. Come evidenzia Punzo: “vi fu del resto,anche [allora], nel secondo dopoguerra, come già prima del fascismo, la ten-denza tra i socialisti a lasciare che si occupassero di problemi amministrati-vi coloro che maggiormente credevano all’esistenza di un profondo legametra l’azione politica nel paese e nel parlamento e quella negli enti locali.Questo potrebbe spiegare anche la sordità che il Partito socialista, come glialtri partiti, ebbe a livello politico nei confronti dello sviluppo dell’autono-mia comunale”557.

2.8.3. Le richieste di autonomia locale inascoltate a livello nazionale

Punzo non scioglie la questione sul valore effettivo della rivendicazione del-la continuità tra il riformismo socialista del periodo liberale e la politica delPsi del secondo dopoguerra, ma analogamente a quello che lui ha scritto peril Partito socialista, è possibile affermare che anche nel caso dell’organizzazio-ne degli enti locali della sinistra, quando pure la rivendicazione della conti-nuità tra la politica riformista della Lega dei comuni socialisti e la Lega dei co-muni democratici, fosse stata sincera e non strumentale, le possibilità che il si-gnificato più profondo dell’esperienza riformista e, quindi, le possibilità che lerichieste di autonomia locale venissero ascoltate sul piano nazionale, eranopressoché nulle.

Nel caso di Amicare Locatelli, però, l’orgogliosa rivendicazione della con-tinuità da lui compiuta nel 1949 era assolutamente sincera. In quell’anno, nelrievocare la storia della Lega dei comuni socialisti, aveva accennato solo ai no-mi dei riformisti Caldara, Matteotti, Zanardi e Campanozzi. Locatelli e avevapoi concluso l’articolo riportando una confidenza di Caldara il quale, ormaialla vigilia della morte, gli avrebbe detto: “che gli rincresceva di non vedere ilgran giorno della liberazione ma era sicuro che la Lega dei Comuni sarebbe ri-sorta e il socialismo avrebbe continuato la sua strada verso la meta luminosa”.Era questo un importante omaggio ad un grande socialista riformista il cui av-vicinamento in tarda età, a Mussolini - che peraltro lo snobbò -, gli era costa-to l’allontanamento dagli ambienti antifascisti. Per Locatelli il socialismo nonavrebbe potuto essere altro che riformista e la rinascita della Lega, tanto desi-derata da Caldara, diveniva niente di meno che un passo in direzione dell’av-

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557 Punzo, Amministrazione e politica a Palazzo Marino…, cit., pp. 630-1; il corsivo è reda-zionale.

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vento del socialismo: “L’estremo desiderio del nostro compagno si è avverato:la nostra Lega è risorta e il Socialismo è in cammino: nessuno, proprio nessu-no, lo fermerà”558.

Nel 1949 Locatelli rivendicava, attraverso la storia della Lega, e negli arti-coli sul suo passato nei comuni dell’Italia liberale559, la continuità del riformi-smo in nome dell’unità del movimento della sinistra. La verità, la notizia cheerano stati i massimalisti a volere la fine della Lega, lui non la poteva scrivereallora, perché sarebbe stata molto probabilmente fonte ulteriore di divisione trai socialisti e in tutta la sinistra di fronte ad un governo centrale che bisognavabattere. No, non poteva certo essere Locatelli fonte di divisione nella sinistra,lui che aveva cercato di evitare la scissione del 1921560.

Attraverso il movimento comunale, e più in generale in quello per le auto-nomie, i socialisti riformisti avevano promosso valori che non erano propri so-lo del socialismo ma anche dei cattolici di Sturzo, quali erano la promozionedella partecipazione popolare al governo della cosa pubblica e di un’ammini-strazione diretta allo sviluppo ed alla difesa delle classi più deboli, nel quadrodi una concezione pluralista dell’organizzazione politico-istituzionale ed eco-nomica del Paese. Un riformismo che nulla aveva a che fare con l’idea di rivo-luzione né con la pratica politica e l’organizzazione delle istituzioni locali dei va-ri paesi dell’Est europeo che pure continuavano ad essere illustrate come fosse-ro esempi di democrazia. La Lega dei comuni democratici, dal 1961, anche at-traverso la discussione ed i primi accenni ad una pratica democratica al propriointerno, era un’organizzazione che apparteneva alla tradizione riformista italia-na, anche se nessuno voleva riconoscerlo apertamente.

2.8.4. La difesa della Costituzione

Il termine “riformismo” non è contenuto nell’articolo nel quale Michele Lan-zetta ricorda l’anniversario dell’Anci. Lanzetta cita estesamente l’articolo di Salve-mini del 1901 ed esprime un giudizio sfavorevole a proposito dell’Associazione delperiodo liberale che confermava anche per il periodo repubblicano: “Il difetto eradi sistema e di metodo. Mancò infatti il proposito generale ed effettivo di una lot-ta a fondo; e mancarono conseguentemente le conquiste essenziali […, Ieri] Lavecchia Associazione avrebbe dovuto muoversi per un’azione in certo senso rivo-luzionaria e le mancò il coraggio adatto; [Oggi] l’Anci invece è venuta meno al suodovere elementare semplice e chiaro, riducendosi così […] a strumento di coper-

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558 Amilcare Locatelli, La prima Lega dei comuni socialisti, Icd dic. 1949, p. 164; ripubbli-cato in Icd dic. 1957, pp. 3-4. Da segnalare che secondo Locatelli nel 1919 alla Lega aderiva-no 2000 comuni su 8000 e 25 amministrazioni provinciali su 75.

559 Amilcare Locatelli, Un consiglio comunale di un tempo”. Dal libro dell’on. sen. Locatelli,sindaco di Binasco, Icd mar.-apr. 1950, p. 118.

560 Amilcare Locatelli, Nei comuni conquistati. Il pensiero sul Congresso, “Avanti!”, 16 gen.1921, p. 2.

561 Michele Lanzetta, I sessant’anni dell’Anci, Icd, set. 1961, pp. 333-6; ripreso in Corghi, LaLega per le autonomie locali dalle origini al fascismo (3)…, cit. p. 10071.

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tura di un’azione subdola e sostanzialmente sovversiva contro la Costituzione”561.La sinistra impegnata nel movimento per le autonomie locali aveva confi-

nato nel passato la rivoluzione, cui anche l’Anci di Sturzo avrebbe dovuto con-tribuire. In quegli anni l’obiettivo era la salvaguardia della Costituzione e deisuoi principi fondamentali che per il movimento per le autonomie locali si tra-duceva, in primo luogo ma non solo, nella salvaguardia del principio costitu-zionale della promozione delle autonomie locali.

2.8.5. La natura politico-tecnica della Lega

Molte, ampie e complesse erano le relazioni, troppo lungo sarebbe citarletutte562, ed erano diversi gli interventi di carattere tecnico svolti nel dibattito563.Tra questi ultimi si segnala quello di Antonio Cederna, in qualità di consiglie-re comunale di Roma, Mozione sui Piani urbanistici e sui Piani regolatori dei Co-muni italiani564, che preannunciava una significativa apertura di credito dellaLega verso la questione urbanistica565.

Tra gli altri interventi si citano, per alcuni significativi accenni alla naturadella Lega, quelli di Dozza e del presidente della provincia di Pisa AntoninoMaccarrone, nominato segretario della Lega proprio in quel congresso. Il sin-daco di Bologna concludeva il suo intervento dichiarando: “Io penso che la no-stra Lega non abbia solo una funzione di carattere assistenziale o tecnico, neiconfronti dei nostri comuni: è un’attività questa utile, ma non è l’attività fon-damentale. L’attività fondamentale è che la Lega riesca ad esercitare una gran-de funzione di carattere politico, nel senso di sbloccare certe situazioni che so-no bloccate da anni” favoriti in questo proposito dalla sensazione che tra cat-tolici e socialdemocratici vi erano “spostamenti” significativi566. L’avv. Maccar-

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562 Se ne accenna ad alcune che, come nel caso di quella del sen. Michele Lanzetta, L’ente lo-cale: cardine dell’ordinamento costituzionale nella società italiana, anche solo nel titolo, sottoli-neano una centralità ed un protagonismo istituzionale degli enti locali riconosciuto solo re-centemente dall’ordinamento. L’altra relazione era di Leopoldo Piccardi, Gli enti locali dall’U-nità d’Italia alla Costituzione repubblicana.

563 Quello di Franco Berlanda, consigliere provinciale di Torino, Sullo sviluppo urbanisticodei comuni e la pianificazione regionale; di Aldo Tassoni, membro della giunta provinciale am-ministrativa di Milano, dedicato a La riforma della finanza esigenza fondamentale degli Enti lo-cali. Tra i dati da lui forniti si citano quelli relativi al 1912-13, quando lo Stato assorbiva il 73% del “prelevamento tributario globale” ed i comuni il 27%, nel 1961 passati, rispettivamen-te, all’80% ed al 20%; dal 1938 al 1958 le entrate dello Stato aumentate dell’82%, quelle deicomuni solo del 60%. Poi si ricorda l’intervento dell’on. Francesco Giorgio Bettiol, di Bellu-no, Problemi e impegni per la difesa dei montanari per una trasformazione democratica della vitadella montagna.

564 Tutti gli interventi citati sono pubblicati in Atti del terzo congresso nazionale della Lega deicomuni democratici, Torino 20-30 giugno 1961, numero speciale, Icd lug.-ago 1961.

565 Da segnalare, su questo tema, la pubblicazione di un numero doppio dell’organo dellaLega con articoli, tra gli altri, dell’urbanista Giuseppe Campos Venuti (Problemi di indirizzodella pianificazione urbanistica) e di Alberto Caracciolo (Aspetti della speculazione edilizia nellacapitale alla fine del’’800), Icd nov.-dic. 1963.

566 Un impegno generale per imporre l’attuazione dell’Ente Regione.

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rone affermava che il compito della Lega era porre “con decisione il compito dipromuovere, orientare e rendere concreto, tutto il movimento che tende a ri-formare lo Stato e renderlo effettivamente democratico secondo i profili dellaCostituzione repubblicana”567.

2.8.6. La nuova direzione

Al termine dei lavori del congresso veniva nominata la nuova direzione del-la Lega i cui nomi, e anche questa era una significativa novità, venivano pub-blicati: “Presidenza: on. Gino Castagno, on. Ludovico Corrao; on. GiuseppeDozza, on. Mauro Ferri, on. Alberto Guidi, dott. Antonino Maccarrone, dott.Vittorio Martuscelli, avv. Leopoldo Piccardi, on. Bruno Villabruna; Segreteriagenerale: avv. Luigi Ciofi degli Atti; sen. Michele Lanzetta568. La nuova direzio-ne, riunitasi il successivo 19 luglio a Roma, a Palazzo Marignoli, chiedeva allesezioni provinciali di promuovere riunioni per “popolarizzare” i risultati delconvegno, il rinnovo della mobilitazione per l’attuazione della regione - in par-ticolare quella del Friuli-Venezia Giulia - anche in collegamento con i delibe-rati della XX assemblea dell’Upi e sempre in stretto contatto con il movimen-to regionalista. La direzione, infine, chiedeva la partecipazione all’assembleadell’Anci di Venezia del 12-15 ottobre dedicata a Le autonomie locali in una po-litica di sviluppo569.

La nuova atmosfera politica nazionale contribuiva quasi certamente adanimare anche l’Anci ad una maggiore incisività delle prese di posizione ri-spetto al Governo. L’assemblea dell’Associazione riunita a Venezia approvavala modifica dello statuto ed una lunga mozione nella quale si chiedeva il co-involgimento dei comuni nella politica di sviluppo gestita dal governo, nellaquale erano condensate le conclusioni delle mozioni approvate dai gruppi dilavoro I voti dei gruppi di lavoro chiedevano la riforma della legge comuna-le e provinciale, della finanza locale, della normativa sulle aziende municipa-lizzate, una nuova politica fiscale per le aree fabbricabili, l’istituzione dell’or-dinamento regionale, delle regioni autonome del Friuli-Venezia Giulia e del-la Sardegna. Niente di particolarmente nuovo, era però possibile rinvenire neltesto una maggiore articolazione e complessità delle richieste e, soprattutto,un tono meno conciliante con il governo. Nella mozione del gruppo di lavo-ro relativo alla riforma della legge comunale e provinciale, ad esempio, erascritto testualmente che: “il progetto di legge dell’on. Scelba non corrispon-de alle sopra prospettate esigenze soprattutto in quanto prescinde dalla real-tà costituzionale e legislativa della Regione”570. Non a caso, nei mesi successi-

162 PARTE II

567 Per un deciso intervento degli Enti locali sulle questioni della sanità. Su questo interessan-te personaggio cfr. Michele Battini, Antonino Maccarrone. L’autonomia, base della democrazia,in Elena Fasano Guarini (a cura di), La provincia di Pisa (1865-1990), Bologna, Il mulino,2004, pp. 323-394.

568 La nuova presidenza e la segreteria generale della Lega dei Comuni.569 Compiti immediati.570 I documenti dell’Anci 1946-1992…, vol. I, cit., pp. 41-50.

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vi la Lega chiedeva all’organizzazione di attuare i voti approvati a Venezia for-te del fatto che la mozione conclusiva era stata votata “unitariamente”571 e,quindi, anche con i voti degli amministratori dei comuni socialisti e comu-nisti.

DURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO SCONTRO 163

571 Luigi Ciofi, Amministrazioni locali e nazionalizzazione dell’energia elettrica, Icd giu.1962, pp. 171-2.

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PARTE IIIDAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI

1. Gli anni del centro-sinistra

1.1. Gli sviluppi della municipalizzazione dopo la legge del 1903

L’esistenza di una relazione diretta tra l’affermazione del “municipalismo” elo sviluppo delle aziende comunali spiega la sostanziale contemporaneità tra leprime manifestazioni del movimento comunale e la comparsa dei servizi pub-blici municipalizzati, promossi non solo per favorire lo sviluppo ma anche perrimuovere gli ostacoli allo sviluppo posti dalle imprese private che gestivano iservizi per i cittadini in regime di monopolio. In particolare su quest’ultimopunto scriveva Montemartini: “nasce quasi come pubblica funzione del Muni-cipio questa di combattere il monopolio, d’aiutare il consumatore alle presecollo sfruttamento di un privato imprenditore […] Talché ogni cittadino saràtutelato come consumatore contro i pericoli del monopolio, come ogni citta-dino ha l’eguale protezione, da parte dello Stato, contro gli assassini od i la-dri”572.

Sulla scia delle affermazioni di Montermartini si potrebbe affermare che, inItalia, la lotta dei comuni contro il monopolio della gestione della cosa pubbli-ca da parte dello Stato e quella contro il monopolio dei servizi urbani da partedei privati avevano il medesimo obiettivo: dare una più pronta ed efficace ri-sposta alle esigenze delle collettività cittadine.

Il fascismo non attaccò frontalmente le municipalizzate se non in quantoconsiderate espressione dei partiti democratici e dopo i primi anni, particolar-mente critici, la situazione si stabilizzò. Furono poche le aziende comunali chescomparvero, ancor meno le nuove, ma quelle esistenti riuscirono a sopravvi-vere. Sarebbe stato troppo impopolare, anche per una dittatura come quella fa-scista, attentare ad una delle più autentiche espressioni dell’identità e dell’or-goglio comunale ora che i municipi erano passati sotto il diretto controllo deipodestà fascisti. Ma, come ricorda Giuliano Pischel, fu durante il fascismo cheiniziò la produzione della “legislazione occulta” contro le aziende municipaliz-zate573, così definita da Massimo Severo Giannini, perché pur non riguardan-dole direttamente andava a limitare fortemente le loro capacità: “Conforme-

572 Ivi, p.417. 573 Giuliano Pischel, La municipalizzazione in Italia ieri, oggi, domani, Confederazione del-

la municipalizzazione, Roma, 1965, pp. 228-9.

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mente all’uso indigeno la legislazione manifesta serve per la facciata. Quella oc-culta serve ai detentori del potere effettivo per tenere sotto controllo le orga-nizzazioni municipali”574.

Il ripristino della vita democratica non portò alle autonomie locali il ruoloe i poteri ad esse attribuiti dalla Costituzione e non fu quindi d’impulso all’e-spansione del settore, ma almeno, e non fu cosa da poco, consentì nel 1947 al-le municipalizzate di ricostituire la propria organizzazione nazionale, la Com575.Era evidente che la questione delle municipalizzate, al pari di quella dell’auto-nomia locale, non era legata esclusivamente all’esistenza di un regime demo-cratico, né all’affermazione di quei partiti, come il socialista ed il cattolico, chepiù di altri avevano difeso il ruolo dei municipi e promosso l’attività economi-ca comunale nel primo ’900, ma alle scelte delle classi dirigenti riguardo all’as-setto politico-istituzionale ed economico del Paese.

È stato così che anche nel caso delle aziende municipali l’influenza esercita-ta dalle comunità e dai governi locali sulle politiche statali ha continuato a ri-solversi, sostanzialmente, nella richiesta di concessioni, più o meno di favore,senza possibilità di intervento e senza responsabilità politiche nel raggiungi-mento degli obiettivi di sviluppo complessivi, in vista dei quali pure quelle con-cessioni venivano ufficialmente accordate. Si consolidava così negli anni dellaRepubblica un meccanismo perverso avviato nell’Italia liberale che ha spessocostretto le municipalizzate - analogamente a quanto accadeva per le iniziativadi più diversa natura promosse dai comuni - ad un’applicazione delle normeche Giannini, con un’espressione di estrema efficacia, ha definito “sulle frangedella legalità”576.

1.2. La nazionalizzazione dell’energia elettrica

Per quanto riguarda le autonomie locali, fu in questo contesto che venne ela-borata e realizzata, nel 1962, la riforma che diede luogo alla nazionalizzazione del-le aziende private del settore dell’energia elettrica ed alla costituzione dell’Enel (En-te nazionale per l’energia elettrica, L. 6 dicembre 1962, n. 1643), la prima più im-portante riforma scaturita dalla prospettiva di governo di centro-sinistra. Fu que-sta un’ennesima prova che la marginalizzazione delle autonomie locali, promossadurante il durante regime liberale e sviluppata in quello fascista, venne mantenu-

166 PARTE III

574 Massimo Severo Giannini, Profili giuridici della municipalizzazione con particolare ri-guardo alle aziende, “La Municipalizzazione. Organo ufficiale della Confederazione della mu-nicipalizzazione. Rassegna mensile ed economica dei pubblici servizi” (LM), gen. 1954, p. 49.

575 Assemblea straordinaria delle aziende municipalizzate, AD giu.-lug. 1947, pp. 24-5; Lu-cio Ciofi degli Atti, Che cos’è la Confederazione delle aziende municipalizzate, AD ago.-set. 1947,pp. 12-3.

576 “L’istanza storica dell’autonomia comunale – ha scritto Giannini - non ha trovato sboc-co, ma solo degli accomodamenti successivi e di compromesso, che stanno sulle frange della le-galità”, M. S. Giannini (a cura di), I comuni. Atti del congresso celebrativo del centenario delle leg-gi amministrative di unificazione. L’ordinamento comunale e provinciale, vol. I, pubblicazionidell’Isap, Neri Pozza, Vicenza, 1967, p.46.

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ta anche nell’Italia repubblicana, e di quanto fosse ampio e variegato il ventagliodelle forze che condividevano l’idea di una gestione centralista della gestione com-plessiva del Paese. La nascita dell’Enel non avveniva nel solco del riformismo chesi era espresso storicamente attraverso il movimento per le autonomie locali.

Venne completamente dimenticato il ruolo svolto dalle aziende elettrichemunicipali - dal punto di vista economico la parte più importante dell’interosettore delle municipalizzate - rispetto ai colossi elettrici privati sia durante ilfascismo sia, soprattutto, dal secondo dopoguerra. In loro assenza le impreseprivate avrebbero senza dubbio fatto pagare un prezzo ancora più pesante allacollettività nazionale se avessero potuto esercitare la loro attività in regime diassoluto oligopolio, senza l’azione di disturbo delle aziende municipalizzate.

Scriveva a questo proposito Pischel nel 1965: “Per circa un dodicennio, dal1950 al 1962, data della nazionalizzazione elettrica, esse [le aziende comunalielettriche] si trovarono sostanzialmente sole a difendere gli interessi degli uten-ti e della collettività, sia di fronte alla invadenza degli interessi privati di socie-tà e gruppi, sia di fronte all’arrendevolezza della burocrazia”577.

La nazionalizzazione del settore elettrico, fortunatamente, non comportò lascomparsa delle municipalizzate elettriche esistenti - che pure in qualche mo-mento sembrò possibile – ma bloccò l’istituzione di nuove aziende comunali delsettore e, soprattutto, causò una loro ulteriore marginalizzazione sulle “frangedella legalità”. Riporta a questo proposito un testo del 1999: “Le aziende elet-triche locali rifiutarono – concretamente – l’autorità dell’Enel e lo stesso Enel sirese conto della scarsa opportunità della norma [che avrebbe obbligato le muni-cipalizzate alla richiesta di una concessione per l’esercizio della propria attività],evitando di sollecitarne – per esempio, in sede giudiziale – l’applicazione”578.

Di fatto fu, ancora una volta, la forza politica delle autonomie locali, la sto-ria pluridecennale di aziende che avevano operato nei comuni in nome e per ilbenessere dei cittadini ad impedire la cancellazione delle municipalizzate elet-triche e, nonostante le difficoltà, durante il periodo repubblicano queste, insie-me al settore delle municipalizzate in generale, riuscirono a rafforzarsi anche inpresenza del monopolio dell’Enel. Rimase quindi valida, anche per i decennisuccessivi, l’espressione mista di stupore ed ammirazione con la quale Gianni-ni concludeva il suo scritto sulle municipalizzate del 1954 che costituisce unodei maggiori riconoscimenti della vitalità e della forza del movimento comu-nale: “Tuttavia non vi è dubbio che l’esperienza concreta dei servizi municipa-lizzati si chiude sempre con un bilancio positivo, e ciò ad onta della legislazio-ne vigente. E questo fatto, che si presenta quasi come miracoloso, costituisceuna vivente conferma della bontà dello strumento”579.

DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 167

577 Pischel, La municipalizzazione…, cit., p.316.578 Giuseppe Caia e Alessandro Lolli, Profili giuridici e normativi, in Piero Bolchini (a cura

di), Storia delle aziende elettriche municipali, Roma-Bari, Laterza, 1999, p. 81; si rinvia a que-sto volume per un esame più approfondito della questione e della storia della municipalizzateelettriche in Italia.

579 Giannini, Profili giuridici della municipalizzazione con particolare riguardo alle aziende…,cit., p. 64.

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1.3. Il movimento delle autonomie locali e l’istituzione dell’Enel

L’istituzione dell’Enel diede origine ad un vasto dibattito che divise il movi-mento comunale, anche indipendentemente dall’appartenenza politica di cia-scuno, tra i difensori della prospettiva di un’unica azienda nazionale e quelliche, pur appoggiando la nazionalizzazione, chiedevano che le aziende elettrichemunicipalizzate continuassero la propria attività.

La Lega e l’Anci si espressero a favore di un’unica azienda nazionale attra-verso le rispettive direzioni, gli organi nei quali più forti erano i legami con queipartiti che a livello nazionale, in modo sostanzialmente unitario, avevano deci-so la nascita dell’Enel. Per la Lega il segretario Luigi Ciofi, scriveva che “l’a-zienda nazionale [doveva] essere unica” mentre le aziende municipalizzate si sa-rebbero dovute occupare unicamente della distribuzione, rinnovate nelle di-mensioni e nelle strutture580. La direzione dell’Anci sostenne una posizione so-stanzialmente analoga, esprimendo nel consiglio nazionale svoltosi a Roma il22 settembre 1962: “il positivo interesse e la piena adesione dei Comuni alprovvedimento di nazionalizzazione dell’energia elettrica” e chiedeva al gover-no che i provvedimenti relativi all’“Enel nel decentramento della sua organiz-zazione e nel perseguimento dei suoi compiti, tengano conto delle nuove re-sponsabilità dei comuni, dei quali, in questa particolare prospettiva l’Anci siconferma interprete e collaboratrice”581.

La pubblicazione di un documento espresso da un’apposita commissione distudio dell’Anci, pubblicato con rilievo nella rivista della Lega, testimoniava l’e-sistenza all’interno delle due organizzazione di settori che sostenevano una benpiù decisa difesa delle aziende elettriche municipali analoga a quella espressadall’organizzazione delle aziende municipalizzate, la Com.

Nel documento si ricordava che della nazionalizzazione “i comuni possonoessere considerati i precursori con la creazione più che semisecolare delle Azien-de Municipalizzate, affermatici del principio del pubblico intervento nel cam-po dell’energia elettrica”, che le aziende municipalizzate andavano mantenuteperché con la loro storia “hanno ampliamente dimostrato di essere la espres-sione più concreta delle esigenze di autonomia delle popolazioni e cioè del di-ritto e della capacità che hanno le singole comunità locali di gestire diretta-mente i pubblici servizi” e, infine, si esprimevano preoccupazioni in merito al-l’ampio potere discrezionale attribuito all’Enel riguardo allo svolgimento del-l’attività delle municipalizzate582.

Qualche tempo dopo anche la Lega avrebbe ufficialmente posto la questio-ne non solo dell’utilità ma della necessità della continuità della funzione delleaziende municipalizzate elettriche in un articolo significativamente intitolatoEnel e democrazia, nel quale si sosteneva che la questione dei rapporti tra le

168 PARTE III

580 Luigi Ciofi, Amministrazioni locali e nazionalizzazione dell’energia elettrica, Icd giu.1962, pp. 171-2.

581 I documenti dell’Anci 1946-1992…, vol. I, cit., p. 122.582 Alessandro Agrimi, Problemi dell’Enel e dell’assistenza sanitaria all’esame del Consiglio na-

zionale dell’Anci, Icd set. 1962, pp. 263-8.

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aziende comunali elettriche ed Enel non era un problema tecnico-industrialema un problema politico, un problema di democrazia che doveva trovare unasoluzione in Parlamento583.

1.4. Tra l’autonomia dai partiti e l’unità del movimento per le autonomielocali

Alla fine del 1963 un editoriale del segretario Lanzetta poneva la questionedell’istituzione delle regioni, per la prima volta, nel contesto dei nuovi equili-bri politici nazionali seguiti alla partecipazione al governo del Psi guidato daPietro Nenni584. Il titolo, Elusioni non più tollerabili, poteva anche tradursi conl’espressione o adesso o mai più. L’istituzione delle regioni era compresa nelle di-chiarazioni programmatiche del governo “quale condizione di una politica de-mocratica di piano”, era stata reclamata non solo dalla Lega, ma anche da Upied Anci, “la quale ultima aveva parecchio polemizzato col ministro Scelba ed ingenere col Governo sollecitando l’ordinamento regionale”. La DC, però avevapreferito “mollare” sulla nazionalizzazione dell’energia elettrica ma continuavaa bloccare le regioni. I motivi della riaffermazione di questo blocco venivanochiaramente indicati dalla DC attraverso le dichiarazioni dei dirigenti politici egli articoli sull’organo di stampa, “Il popolo”: non vi erano ancora le condizio-ni politiche necessarie e sufficienti. E allora? Scriveva Lanzetta: “Allora tocca anoi muoverci […] non prenderemo certamente la ‘santa carabina’, né pensere-mo di poter fare tutto nella Lega […] Dovremo conseguentemente compiereogni sforzo di sollecitazione e di coordinamento del nostro lavoro con quellodelle altre Associazioni di Enti ed amministratori – Anci ed Upi in particolare– nonché con quello dei sindacati, della cooperazione e dei vari organismi de-mocratici”. Le ragioni che “resero necessarie prima del fascismo la nascita dellaLega dei comuni socialisti, ed a fine ’47 la costituzione della nostra Lega” era-no sempre più valide585.

Ma, come metteva in evidenza “Il comune democratico”, nemmeno la Legaera immune da critiche. Se era vero che, come ricordava spesso l’organizzazio-ne degli amministratori della sinistra, l’Anci, nonostante la vicinanza ai partitidi governo “non è mai riuscita a farsi ascoltare e a farsi prendere sul serio. Me-no ancora – ed è facile capire il perché – è riuscita a farsi ascoltare la voce del-la Lega dei Comuni democratici”.

DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 169

583 Italo Taddia, Enel e democrazia, Icd gen. 1964, pp. 38-44.584 I Governo Moro (4 dic. 1963 – 2 lug. 1964), coalizione politica DC-Psi-Psdi-Pri. 585 Michele Lanzetta, Elusioni non più tollerabili, Icd nov.-dic. 1963, pp. 1-4. Sempre

Lanzetta, in un altro articolo segnalava in particolare l’inconsistenza delle affermazioni pro-regionaliste di Aldo Moro, e le parole di un altro democristiano, il giurista Lucifredi chericonosceva l’impossibilità dell’istituzione delle regioni perché “ “rappresenterebbero foco-lai di ribellione e forza d’urto, non già contro il predominio burocratico ma contro le isti-tuzioni democratiche”; Michele Lanzetta, Regioni secondo Costituzione, Icd feb. 1963, pp.43-5.

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1.4.1. La rivista apre alla discussione. Nello schieramento autonomistico saltala distinzione netta tra governo e opposizione

L’articolo del repubblicano Zuccarini, il primo di una serie dedicata alle si-tuazione delle autonomie locali in Europa, partendo dal commento dell’anali-si dei rapporti tra enti locali e Stato in diversi paesi dell’Europa occidentale,commentava che in Italia il vero problema era che quando si passava dagli “or-dini del giorno” dei congressi ai fatti concreti, quello che seguivano sia l’Ancisia la Lega era il “metodo dei ritocchi e degli aggiustamenti alle vecchie leggi eal sistema vigente”, come nel caso dei segretari comunali. Una nota della reda-zione in calce all’articolo, che additava a modello l’esempio delle autonomie lo-cali in alcuni paesi europei, sottolineava che da sempre la rivista aveva combat-tuto per l’attuazione della Costituzione e, quindi, per cambiare radicalmente lasituazione delle autonomie locali in Italia, compresa quella dei segretari comu-nali rispetto ai quali “abbiamo sostenuto e sosteniamo che essi debbono dipen-dere dagli Enti locali”586.

Con la pubblicazione dell’articolo di Zuccarini nel 1963 la Lega evidenzia-va una rinnovata apertura verso personalità non direttamente legate alla sinistrache si sarebbe sviluppata sempre più negli anni successivi, contemporaneamen-te all’ampliamento degli orizzonti politici della vita politica nazionale.

Il problema era che la strada delle riforme era molto difficile. Come ben sa-peva anche il riformista Sturzo quando disse che: “L’idea delle libertà comuna-li deve farsi strada penetrando nella coscienza civile del Paese, non con la vocetronfia del comizio, né con l’ubriacatura della rivolta, ma col perseverante la-voro intellettuale e morale presso amministrazioni e governanti, presso elettorie studiosi”587. Di questo la Lega se ne rendeva conto, anche se non in modochiaro ed esplicito. Così, anche se non si arrivava al riesame dei giudizi sull’Ancidi Sturzo,se ne rivalutava, simbolicamente, la figura. Era questo il significatodella pubblicazione nella rivista della Lega di un inserto fotografico nel quale lafotografia di Luigi Sturzo, era pubblicata accanto a quella di Gaetano Salvemi-ni, nella pagina che precedeva quelle di Rodolfo Morandi ed Antonio Gram-sci588.

La fine del periodo più difficile della battaglia della Lega per la promozionedell’autonomia locale e in difesa delle amministrazioni della sinistra era con-clusa. Ne era testimonianza anche il nuovo formato ed il nuovo contenuto del-l’organo della Lega che, nel 1964 appariva in un nuovo formato, con inserti fo-tografici589, ed nuovo sottotitolo: “Il comune democratico. Rivista delle auto-

170 PARTE III

586 Oliviero Zuccarini, Gli enti locali in Italia e fuori d’Italia, Icd feb. 1963, pp. 46-8. SuZuccarini, esponente storico del partito repubblicano cfr. Federico Paolini, L’ esperienza politi-ca di Oliviero Zuccarini. Un repubblicano fra Mazzini, Mill e Sorel, Venezia, Marsilio, 2003.

587 L’”Associazione dei Comuni” e la “Lega Socialista” in una intervista della “Settimana socia-le” col Vice-Presidente Sturzo, in AC, n. 5, 31 mag. 1916, p. 4; già citato nella Parte prima.

588 Icd dic. 1965.589 Le fotografie pubblicate erano le più varie: moderni edifici per abitazione, progetti di edi-

fici pubblici, piani regolatori, fotografie aeree di città, manifesti comunali per la mobilitazionedei cittadini, articoli di giornali relativi a particolari situazioni comunali, ecc.

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nomie locali”. L’organo della Lega, sia nell’aspetto, sia nel contenuto, assume-va le caratteristiche di un periodico di studio e di approfondimento, tecnico eculturale.

Le ragioni che avevano portato ad un così forte deciso mutamento della ri-vista erano spiegate nell’editoriale di apertura. Per la complessità e la varietà deiproblemi “il metodo della discussione [era] il più adeguato”, anche perché “og-gi lo schieramento diciamo così autonomistico non viene più a coincidere conla tradizionale distinzione fra forze di opposizione e forze di governo, ma suogni singolo problema, sulle sue soluzioni non mancano, anche all’interno deisingoli gruppi e partiti politici, diversi punti di vista, che è bene siano espostisenza remore sulle colonne della nostra rivista, e che senza remore siano discussidai dissenzienti; solo così, crediamo, potremo far valere tutto il rilievo, la for-za, il peso degli Enti locali nella costruzione di uno Stato democraticamente ar-ticolato”590.

L’apertura della stagione del centro sinistra che, è possibile commentare inmodo forse troppo netto, ma sicuramente efficace, aveva rotto l’illusione che ilcentralismo fosse sostenuto solo dalle forze al potere al governo nazionale, ave-va dato nuova forza al metodo democratico della discussione, e per dirla con leparole di Sturzo un metodo che si basava anche sul “perseverante lavoro intel-lettuale e morale presso amministrazioni e governanti, presso elettori e studiosi”.

Nello stesso numero, un articolo del cattolico Aldo Capitini sull’esperienzadei Centri di orientamento sociale a Perugia nel secondo dopoguerra, di cuiesaltava la funzione di sostegno alla partecipazione democratica dei cittadini algoverno locale591, evidenziava l’ampiezza dell’apertura politica del dibattitoaperto dalla Lega, attraverso la sua rivista. All’apertura politica ne corrisponde-va un’altra altrettanto significativa di carattere tecnico. Accanto ai tradizionaliarticoli sulle questioni relative agli enti locali ed all’attività delle loro organiz-zazioni, ne apparivano altri dedicati alla programmazione economica, urbani-stica e territoriale, all’agricoltura ed a molte altre, comprese questioni di inte-resse politico-culturale, come la Resistenza. Riapparivano, infine, gli antichi ri-chiami all’impegno degli iscritti per l’aumento degli abbonamenti, che si sa-rebbero nuovamente ripetuti, con assiduità, in ogni fascicolo.

1.4.2. La Lega incontra il governo: Nenni e Giolitti

Il 1964 fu l’anno nel quale, per la prima volta nel periodo repubblicano, unadelegazione della Lega incontrò due esponenti socialisti del governo nazionale:il 23 gennaio il Vicepresidente del consiglio, Pietro Nenni, ed il 1° febbraio ilMinistro del bilancio, Antonio Giolitti. A Nenni la Lega chiese, in particolare,in attesa dell’istituzione delle regioni, la fine dei controlli sugli enti locali eser-citati dal prefetto e dalla Gpa, limitandoli al solo controllo di legittimità e dimerito sotto forma di invito al riesame. A Giolitti vennero poste le questioni

DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 171

590 Ai lettori, Icd gen. 1964, 1-4.591 Aldo Capitini, Democrazia diretta e controlli dal basso, Icd gen. 1964, pp. 45-7.

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del ruolo di regioni ed enti locali nella politica di programmazione economica,e della finanza locale. Il primo rimandò la questione delle regioni a future, pros-sime riunioni del Consiglio dei ministri e si dichiarò favorevole all’abolizionedei controlli ed alla loro modifica in senso costituzionale. Il secondo “ha assi-curato che le organizzazioni nazionali degli Enti locali ANCI, UPI, Lega dei co-muni, eccetera, saranno consultate dall’ufficio del piano unitamente ai vari isti-tuti di studi regionali esistenti in numerose regioni d’Italia”592. Anche la Lega,come l’Anci, aveva dunque i suoi incontri con il governo nazionale, ma la pre-senza nell’esecutivo del Psi non avrebbe garantito alle autonomie locali alcunasoddisfazione delle loro richieste.

All’iniziativa ai massimi livelli istituzionali la Lega continuava a accompa-gnare quella a livello locale. Era così che alla promozione della partecipazionedei cittadini alla politica tributaria comunale degli anni ’40 e ’50 attraverso iconsigli tributari, succedeva all’inizio degli anni ’60, sulla scia dello sviluppoeconomico di quegli anni, l’iniziativa della “consulta regionale degli assessori aitributi [Crat] dell’Emilia-Romagna”. Il Crat dell’Emilia-Romagna, si era riuni-to per la prima volta a Carpi nel 1963 “per affrontare i vari e complessi pro-blemi dell’applicazione pratica dell’imposta sugli incrementi di valore delle areefabbricabili”, Invim, da poco istituita dal Parlamento e diventò presto protago-nista di concrete iniziative sul piano locale e di proposte di stimolo all’Anci af-finché promuovesse l’impegno, sul piano locale e su quello nazionale, in parti-colare, contro l’evasione dell’imposta e per l’impegno di un’azione unitaria deicomuni593.

1.4.3. L’analisi di Lanzetta sul rapporto della Lega con i partiti della sinistra.Il IV congresso nazionale

Il 1965 fu l’anno del IV congresso nazionale della Lega, il dibattito fu an-cora più ampio di quello del precedente congresso, e venne aperto da un arti-colo del segretario apparso nell’”Almanacco socialista” nel 1962 a seguito delIII congresso ma, evidentemente, ancora attuale. Il fatto è che la questione af-frontata, la “ricerca di una piena e salda autonomia e funzione propria della Le-ga dei Comuni, Regioni e Province”, come indicato nella breve introduzione altesto, non poteva non essere ancora all’ordine del giorno.

L’analisi di Lanzetta partiva dalla constatazione dell’urgenza di una “riconsi-derazione delle funzioni degli enti locali” sia per ragioni economico-sociali, siapolitiche, necessarie a fronteggiare la sfida posta, contemporaneamente dal “co-siddetto miracolo economico” e dal sottosviluppo. “Il necessario avanzamentodella società – proseguiva Lanzetta – non potrà venire dall’alto […, ma] daun’azione ampia, coordinata, simultanea e inarrestabile, che convogli quanto viè di nuovo partendo dai Comuni”. Analizzando la storia della Lega, il segreta-rio faceva risalire le motivazioni della nascita dell’organizzazione nel 1947 al

172 PARTE III

592 Incontro con il governo, Icd feb. 1964, pp. 10-3.593 Armano Sarti, La consulta emiliana dei tributi, Icd giu. 1964, pp. 47-52.

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fatto che l’Anci ad un anno dalla fondazione avesse deluso tutte le aspettative,esattamente come era successo nel periodo liberale. La Lega del 1947 era risor-ta sulle ceneri della Lega socialista del 1916, e moltissimi erano i vecchi mili-tanti socialisti. Quello che mancò, sempre secondo il segretario, fu invece l’ap-poggio del Pci il quale, sia perché non ne conosceva “forza e prestigio che po-terono resistere al fascismo quando già i sindacati e cooperative erano crollate”,sia, soprattutto, per la sottovalutazione dell’importanza delle autonomie locali.

Seguiva quindi una ricostruzione delle vicende più recenti della Lega tuttainterna alla logica dell’evoluzione dei partiti della sinistra che impediva, adesempio, di vedere l’importanza decisiva della rottura dell’unità dei partiti delCln nella nascita della Lega e l’inconsistenza del paragone tra la delusione del-la direzione del Psi che, nel periodo liberale, avrebbe motivato la nascita dellaLega nel 1916 dopo un decennio di guida liberal-cattolica nell’Anci e l’insod-disfazione dei partiti della sinistra nel 1947 dopo appena un anno di attivitàdell’Anci, che avrebbe dovuto essere motivo sufficiente per la ricostituzione del-la Lega nel periodo repubblicano.

Lanzetta dava poi un’interpretazione politica dell’evoluzione delle istituzio-ni, ma non era certo solo la forza dei partiti della sinistra a determinare la vitadella Lega. Non erano solo le alleanze politiche a determinare la capacità dellaLega di incidere sulla situazione esistente. Contrariamente a quello che soste-neva Lanzetta, non era solo a causa del fatto che Anci, Upi, Uncem, Anea, Fia-ro, e Com avessero tutte “direzioni a maggioranza democristiana [che agivano]in funzione strumentale di copertura a favore dei governi e del partito di mag-gioranza […, che] a quattordici anni dall’entrata in vigore della Costituzionesono ancora in alto mare la riforma finanziaria e l’attuazione dell’ordinamentoregionale, mentre se un minimo di autonoma volontà realizzatrice fosse esisti-ta, all’azione unitaria delle associazioni – legalitarie e costituzionali – nessungoverno e nessuna maggioranza parlamentare avrebbe potuto resistere” 594.

Non sarebbe stata sufficiente nemmeno la coincidenza tra la presenza dellasinistra al governo e nelle istituzioni locali a salvaguardare gli interessi delle au-tonomie locali. Non era stata forse, proprio in quegli anni, una riforma soste-nuta dalla sinistra, la nazionalizzazione dell’energia elettrica, quella che elimi-nando l’oligopolio del settore aveva colpito anche una delle manifestazioni piùforti delle autonomie locali quale erano le aziende municipali? Era anche la ten-denza statalista dei partiti, ricordata da Zibordi e, in quegli anni, la precarietàdell’equilibrio politico nazionale ed internazionale a rendere impraticabili mu-tamenti che potessero mettere in pericolo lo status quo.

Lo stesso Lanzetta metteva in evidenza la strumentalità della sua richiesta diautonomia e confermava i timori dei partiti di governo sulle vere motivazionidi questa richiesta quando chiedeva ai partiti della sinistra, ed in particolare aquello comunista, di potenziare la Lega non tanto per salvaguardare le autono-mie locali come valore in sé, ma per il supporto decisivo che questa avrebbe po-tuto dare, muovendosi con il massimo dell’autonomia, verso comuni obiettivipolitici. Questo perché, nell’interpretazione del segretario, nei primi anni ’60

DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 173

594 Michele Lanzetta, Funzione e autonomia della Lega, Icd set. 1964, pp. 33-45.

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la rivoluzione non sarebbe partita dai proletari ma dai comuni. Da queste isti-tuzioni locali sarebbe dovuta iniziare se non proprio la rivoluzione qualcosa chela ricordava molto da vicino: “Il necessario avanzamento della società [che] nonpotrà venire dall’alto […, ma] da un’azione ampia, coordinata, simultanea einarrestabile”.

In conclusione l’autonomia dai partiti chiesta da Lanzetta si risolveva nellacooptazione della Lega - e delle istituzioni locali - nella battaglia politica e par-titica nazionale in quanto protagoniste essenziali della battaglia per l’avanza-mento della società.

Niente di più distante dalla logica del movimento per le autonomie locali e,soprattutto, dal riformismo che in quel movimento trovava un campo d’azioneideale affinché, attraverso l’affermazione della centralità delle funzioni e deiproblemi delle autonomie locali presso le istituzioni e l’opinione pubblica si po-tesse meglio rispondere ai crescenti bisogni dei cittadini. E per giustificare lanecessità di questa cooptazione il segretario ricostruiva un’esistente continuitàtra la Lega dei riformisti del periodo liberale e quella del periodo repubblicano,inventandosi anche una mai esistita “forza e prestigio che poterono resistere alfascismo quando già i sindacati e cooperative erano crollate” 595.

1.4.4. La partecipazione popolare

La Lega avrebbe continuato a basare la propria forza e la propria ragion d’es-sere in una politica che era l’essenza stessa del riformismo e che veniva perse-guita dall’organizzazione senza però averne coscienza dell’importanza. Una po-litica che allora veniva perseguita in nome del “necessario avanzamento della so-cietà” ma la cui validità sarebbe rimasta intatta anche dopo la fine dell’ideale ri-voluzionario. Una politica basata sulla valorizzazione complessiva di tutte le au-tonomie locali nel contesto istituzionale, sull’organizzazione e la difesa delleamministrazioni e degli amministratori dagli arbitrii delle autorità centrali, sulsostegno della partecipazione popolare al governo delle istituzioni locali e sullacentralità dei bisogni dei cittadini e delle comunità locali.

La questione fondamentale alla cui soluzione si chiedeva di contribuire nelIV congresso era il rapporto con i partiti: “Come armonizzare dunque l’auto-nomia degli Enti locali con l’autonomia dei partiti? Come realizzare una con-vergenza autonoma di forze politiche nazionali in una organizzazione comequella delle Lega, che ha tradizioni salde nel movimento operaio e democrati-co italiano e ragioni obiettive di presenza e di lotta nella struttura dello Stato edella società italiana, così come oggi si configurano?”.

L’allargamento della Lega a “gruppi radicali, cristiano-sociali e repubblicani”e a forze autonomiste e regionaliste avvenuto all’indomani del congresso di To-rino, il fatto che la Lega fosse la più forte e strutturata organizzazione degli en-ti locali, l’unica che “salda in una unione attiva e combattiva, largamente de-mocratica, Comuni, Regioni, Province, Enti minori più vari, gruppi consiliari,

174 PARTE III

595 ibidem

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eletti ed elettori” erano dati di fatto dai quali sarebbe dovuto partire il dibatti-to congressuale596.

A partire dal precedente appuntamento congressuale la Lega aveva avviatouna nuova fase della propria storia basata sull’autonomia dai partiti e sulla ri-cerca dell’unità. Come scriveva Vincenzo Ferreri, il congresso nazionale del1965, “respinta ormai apertamente la teoria della cinghia di trasmissione, do-vrà indicare le vie per perseguire anzitutto gli obiettivi dell’autonomia e del-l’unità del nostro movimento”. Rimaneva invece, intatto, un elemento distin-tivo, proprio dell’organizzazione degli enti locali della sinistra: “il caratteredell’azione di massa che deve svolgere la Lega e la natura dei rapporti e delleiniziative che devono essere stabiliti tra Lega-Enti locali-movimento delle mas-se”597. La continua ricerca del legame con le masse, elemento tipico delle orga-nizzazioni che si richiamavano alla storia del movimento operaio, acquisiva ca-ratteristiche particolari all’interno delle iniziative movimento comunale. Non-ostante gli sforzi degli amministratori della sinistra, sarebbe stato impossibilemobilitare le masse su problemi fondamentali per le istituzioni locali quali, adesempio, la riforma dell’ordinamento degli enti locali, o la riforma della fi-nanza locale, come si erano ben resi conto anche i socialisti nel periodo libe-rale. Ma l’attenzione alle masse – anche trasformata in attenzione verso le co-munità, e verso i cittadini - e le modalità di lotta tipiche dei partiti di massa edel movimento dei lavoratori, quali erano, ad esempio, i grandi congressi e,soprattutto, le manifestazioni di piazza, sarebbero continuate ad essere, anchegrazie alla Lega, patrimonio vivo dell’intero movimento per le autonomie lo-cali.

1.4.5. Il Congresso di Firenze: un nuovo statuto per un’organizzazione pluralista

Con il numero del gennaio 1965 si apriva la rubrica Dibattito precongres-suale, il cui primo articolo, Autocritica e rinnovamento, sulla base di modalitàcomuni a quelle utilizzate nei dibattiti di partiti della sinistra in quegli anni –il riferimento è, in particolare al concetto di autocritica - si analizzava con estre-ma lucidità di giudizio il futuro dell’organizzazione. L’autore, sottolineando lafine dei tempi delle strutture semplici “cinghie di trasmissione” tra cittadini epartito, sulla base delle caratteristiche proprie delle istituzioni locali, sottoli-neava la necessità del rafforzamento della struttura della Lega, specie perifericae, soprattutto, di una maggiore autonomia dalle formazioni politiche, tanto daricordare in qualche modo la tanto aborrita apoliticità sostenuta dall’Anci. Diquesto si rendeva conto l’autore stesso che poneva la domanda fatidica: “Par-lando in questi termini di universalità della battaglia per le autonomie sorge ilproblema di avere una organizzazione unica. Certo che tale problema esiste. Maanche esso, a mio parere, va visto nel quadro di una evoluzione politica. Ogginon si può porre l’alternativa o Lega o ANCI, in quanto non esistono le con-

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596 I partiti, la Lega, i Comuni, Icd gen. 1965, pp. 1-3.597 Vincenzo Ferreri, Organizzazione e iniziativa delle Lega, Icd gen. 1965, pp. 29-34.

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dizioni politiche generali, mentre appare più reale e possibile il coordinamentoa livello nazionale nelle attività e nelle iniziative tra le due organizzazioni”598.

Nel frattempo, la situazione economica degli enti locali, ed in particolare deicomuni, si faceva sempre più grave “a causa del blocco della spesa solo per gliEnti locali”. Il comune di Bologna a cui il governo doveva nove miliardi, “nonha il denaro per pagare gli impiegati”, quello di Milano era costretto “a ricor-rere al capitale privato, anche forestiero”599.

Ma i comuni non avevano bisogno solo di una riforma finanziaria. C’era an-che la necessità di vedere ufficialmente riconosciuto il ruolo di protagonisti del-la realtà socio-economica del territorio nell’ambito della politica di program-mazione economica - che scandiva in quegli anni l’intervento economico delgoverno nazionale – e sulla base di molti interventi comunali nelle lotte ope-raie per l’occupazione: “Gli enti locali devono diventare, anche sul terreno eco-nomico, dei ‘centri di decisione e di direzione’ ed a questo fine devono dare laloro opera per la elaborazione, prima, e l’attuazione, poi, della politica di pianonell’ambito comunale, comprensoriale e regionale per lo sviluppo dell’econo-mia e dei rapporti sociali”600.

Il IV congresso della Lega, svoltosi a Firenze dal 1 al 3 luglio 1965, appro-vò un nuovo statuto contenente diverse modifiche, volte sostanzialmente a ca-ratterizzare la Lega come organizzazione pluralista, in grado di sollecitare l’ade-sione non solo di enti, amministratori e politici, ma anche di personalità vici-ne alle autonomie locali, un’organizzazione “a mezza strada tra la politica e latecnica” che, come aveva affermato Piccardi all’inizio dei lavori, si distinguessedall’Anci, che aveva maggiori possibilità di dialogo con il Governo e le Istitu-zioni centrali e “pretese di generalità, quasi di unanimità”601. Nel nuovo statu-to, in particolare, veniva irrobustita l’articolazione regionale e locale, venivaabolita la differenza tra voto consultivo e deliberativo delle diverse categorie diaderenti alla Lega, in particolare di quelle personalità che, senza essere né am-ministratori, né consiglieri, erano purtuttavia impegnati nella battaglia auto-nomistica. A rafforzare l’intensità del dibattito interno provvedeva poi anchel’istituzione di un nuovo organo della Lega, l’assemblea annuale; venivano at-tribuiti i poteri deliberativi “al comitato nazionale, cioè all’organismo più am-pio e più numeroso”; veniva poi istituita la direzione della Lega che assorbiva ipoteri della presidenza, infine, veniva attribuita la facoltà di adesione ad asso-ciazioni autonomistiche con fini simili a quelli della Lega602.

Il congresso approvava una mozione conclusiva, nella quale si richiedeval’attuazione della Costituzione, la riforma degli enti locali, quella della finanzalocale, maggiori poteri agli enti locali in materia di esproprio ai fini urbanisti-

176 PARTE III

598 Ilario Rosati, Autocritica e rinnovamento, Icd gen. 1965, pp. 35-8.599 Verso il Congresso, Icd feb. 1965, pp. 1-3.600 Gino Castagno, Funzione ed organizzazione della Lega, Icd feb. 1965, pp. 33-40.601 Avv. Leopoldo Piccardi, in Lega nazionale dei comuni democratici, Le autonomie locali

nella società italiana e nello stato democratico, Atti del IV congresso della Lega dei comuni de-mocratici, regioni, province ed enti minori, Firenze 1-3 luglio 1965, Edizioni Lega nazionaledei comuni democratici, Roma 1965, pp. 35-40.

602 On. Enzo Santarelli, a nome della Commissione per la modifica dello statuto, ivi, pp. 241-3.

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ci; e due ordini del giorno, dedicati alla pace, in particolare in Vietnam e San-to Domingo, e per le indennità agli amministratori locali603.

Venivano approvate, infine, delle lunghe, complesse ed articolate “tesi” nellequali erano riassunti gli avvenimenti dell’ultimo periodo, tracciata la difficilecondizione delle autonomie locali, richieste riforme della legislazione comunalee provinciale, della finanza locale, dell’urbanistica, veniva chiesta una politica dipiano e sviluppo democratico, in sostanza “una politica globale delle autono-mie”, il rafforzamento della Lega sul piano nazionale ed internazionale604.

1.4.6. Le Assemblee annuali. Il primo corteo di sindaci a Roma per la finanzalocale

Ad appena qualche mese dal IV congresso la Lega organizzava il convegno an-nuale previsto dallo statuto: l’Assemblea annuale della Lega dei comuni demo-cratici, regioni, province ed enti minori, che si svolgeva a Roma il 25 e 26 otto-bre 1965, dedicato, in particolare, all’esame della situazione finanziaria degli en-ti locali. Nell’ambito dell’iniziativa, una delegazione di sindaci “alcuni dei qualiindossano la sciarpa tricolore”, mossasi in corteo per le vie di Roma, raggiungevala Camera dei Deputati dove incontrava i gruppi parlamentari605. Era quello, mol-to probabilmente, il primo corteo di sindaci che percorreva la capitale. Ancorauna volta le modalità di lotta tipiche del movimento dei lavoratori ispiravano leiniziative del movimento per le autonomie locali, confermandone l’intreccio.

Nelle risoluzioni finali del congresso si metteva in evidenza “l’eccezionalegravità della situazione economico-finanziaria degli Enti locali”, si poneva adAnci, Upi ed Uncem “l’esigenza prioritaria di una unità e di un coordinamen-to nell’iniziativa e nell’azione al livello dell’opinione pubblica e delle popola-zioni”, si sottolineava, infine, l’urgenza dell’attuazione dell’ordinamento regio-nale, della riforma della legge comunale e provinciale, la modifica del sistemadei controlli, la modifica della legge sulle municipalizzate “per consentire l’e-spansione dell’intervento locale in tutti i settori dei servizi pubblici locali”; unanuova legge urbanistica che desse al comune maggiori poteri di intervento inmateria606. I messaggi all’assemblea del cattolico pacifista Aldo Capitini, del re-pubblicano Zuccarini e di Riccardo Bauer, esponente di spicco del Partito d’A-zione nel secondo dopoguerra ed allora Presidente della Società Umanitaria diMilano, sottolineavano l’adesione alle iniziative della Lega di personalità rap-presentative di settori politici esterni ai partiti della sinistra607.

DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 177

603 Ivi, pp. 263-277.604 Ivi, pp. 281-311; rispetto alle relazioni internazionali si ricorda che al congresso parteci-

parono la Federazione nazionale degli eletti repubblicani dalla Francia; la Conferenza perma-nente delle città jugoslave; l’Associazione delle città gemellate sovietiche; l’Associazione dellecittà gemellate cecoslovacche; Saluti delle delegazioni estere, ivi, pp. 13-22.

605 Notizie ricavate dalle didascalie dell’inserto fotografico del fasc. Icd nov. 1965.606 Risoluzioni dell’assemblea, Icd nov. 1965, pp. 56-61. Tra i relatori del convegno si ricor-

dano il presidente della Lega, Antonino Maccarrone e il sindaco di Modena, Rubes Triva.607 Lettere all’Assemblea, Icd nov. 1965, pp. 63-4.

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A conferma della gravità della situazione della finanza locale, la rivista dellaLega riproduceva un articolo del “Times” di Londra sulla vertenza fra il comu-ne di Messina e l’Enel che, nel luglio del 1965, a causa del mancato pagamentodelle forniture, aveva deciso di sospendere l’erogazione dell’energia elettrica de-stinata alla pubblica illuminazione. Il titolo del giornale inglese sottolineava lostupore della stampa estera riguardo alla situazione dei comuni italiani: Messina’sdebts highlight ills that beset Italian Local Government. Unpaid Electricity bill putsout a city’ lights. L’argomento veniva ripreso e commentato dal corrispondente daLondra de “La Stampa”, riprodotto nello stesso fascicolo, con un titolo altret-tanto significativo In Italia esistono 8 mila comuni e quasi tutti sono indebitati608.

1.4.7. Uscire dalla crisi: le regioni e la programmazione

La seconda assemblea annuale si svolse a Roma, a Palazzo Brancaccio, il 29-30 settembre 1966 sul tema L’iniziativa e l’unità delle forze autonomistiche peruscire dalla crisi istituzionale e finanziaria degli enti locali: “Regioni e program-mazione”,

Nella relazione per la segreteria, Enzo Santarelli, direttore della rivista, riba-diva l’indipendenza dalle ideologie e dai partiti, l’autonomia dell’organizzazio-ne e l’importanza del richiamo alla Costituzione e, su questa base, rinnovaval’appello a cattolici, repubblicani e socialdemocratici a collaborare, come già eraavvenuto in passato. Santarelli proponeva la realizzazione di una “Conferenzadelle autonomie locali […, per ] una nuova fase: quella dei rapporti bilaterali epermanenti con l’Esecutivo, per programmare l’incontro, la contestazione, ladialettica democratica fra la periferia e il centro”. Anche la Lega, dopo l’Anci -che aveva elaborato una richiesta simile per tutto il periodo liberale e, dopo ilfascismo e la guerra, ancora nel 1950 – proponeva un organo deputato ad unaordinata gestione dei rapporti tra Stato ed autonomie locali609. Nell’ambito deldialogo e della collaborazione con le altre organizzazioni degli enti locali San-tarelli sottolineava che la Lega aveva “una funzione di reale avanguardia auto-nomistica”610. Una campagna di apertura e di dialogo che avrebbe favorito l’av-vicinamento di alcune personalità cattoliche di spicco. A questo proposito van-no ricordati gli articoli dei pacifisti cattolici Capitini, già citato, l’intervista a LaPira611 in occasione della sua elezione a presidente della Federazione mondialedelle città gemellate il 15 settembre 1967. Sempre in questo ambito venivanomessi in risalto, sempre rispetto al movimento cattolico, il “distacco di Corghie di Albani e la posizione di Ossicini”612.

178 PARTE III

608 m. ci., In Italia esistono 8 mila comuni e quasi tutti sono indebitati, “La Stampa”, 10 lug.1965, ora in Icd nov. 1965.

609 Cfr. Gaspari, I precedenti della Conferenza Stato-Città…, cit., pp. 129-146.610 Enzo Santarelli, Una Lega più forte e più estesa, Icd nov. 1966, pp. 56-70. La terza as-

semblea annuale si teneva a Roma il 16-17 novembre 1967; per gli atti cfr. Icd nov.-dic. 1967. 611 Giorgio La Pira, Pace per le città, Icd ott. 1967, pp. 30-3; intervista a cura di Riccardo

Di Corato già pubblicata in “Sette giorni”, 1967, n. 16.612 Note del mese. Le autonomie e i cattolici, Icd mar. 1968, pp. 1-2.

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1.4.8. Una nuova rivista per gli enti locali: “Il potere locale”

Nel 1968, la rivista si rinnovava dal punto di vista grafico, a qualche me-se dall’apparizione di un’altra pubblicazione della Lega: “Il potere locale”613.Come scriveva il segretario Maccarrone sul quindicinale “Con Il potere loca-le vogliamo realizzare uno strumento che ci colleghi direttamente con gliamministratori, quotidianamente impegnati nell’amministrazione e nellalotta per le autonomie, al servizio delle popolazioni; che ci consenta un col-loquio continuo ed un dibattito aperto con tutti coloro che si dichiaranodisposti all’impegno e alla lotta per la costruzione di uno Stato democrati-co”614.

L’anno si apriva con l’approvazione della legge relativa alle norme per l’e-lezione dei consigli regionali (17 feb. 1968 n. 108), primo passo verso quel-l’istituzione delle regioni a statuto ordinario che avrebbe costituito la primaimportante novità che avrebbe caratterizzato gli anni ’70, “dopo il lungo pe-riodo di inadempienza costituzionale sembrava aver avviato una nuova nel-la vita istituzionale del Paese”615. Non fu un caso che, in concomitanza conquell’importante riforma, ritornassero all’ordine del giorno, tra i tanti altriproblemi, due tra i maggiori nodi irrisolti nei rapporti tra Stato ed autono-mie locali: il prefetto ed il segretario comunale. L’eloquente titolo dell’arti-colo di Enzo Santarelli, della direzione della Lega, La soppressione dei prefet-ti ed il saggio su I segretari comunali e provinciali, sottolineavano come i dueistituti continuassero ad essere al centro dell’attenzione del movimento perle autonomie locali. Nel primo caso era solo la Lega a chiederne, semplice-mente, la soppressione: “la partecipazione popolare alla vita delle autonomieva finalizzata contro i prefetti”616. Nel secondo erano tutte le organizzazioniad auspicarne la riforma che, secondo Gracili, riprendendo esplicitamenteuna proposta avanzata in sede di commissione di studio per l’Assemblea co-stituente, avrebbe dovuto togliere i segretari comunali e provinciali dal Mi-nistero dell’interno per farne figure indipendenti iscritte ad un albo profes-sionale e soggette ad un “costante aggiornamento professionale (formalmen-te e sostanzialmente obbligatorio)”, non solo di carattere giuridico ma an-che, e in particolare, economico, per meglio rispondere alla sfida della pro-grammazione617; una riforma, questa, che sarebbe stata realizzata, come si ve-drà, solo circa trent’anni dopo, a partire dalla riforma dell’ordinamento del-le autonomie.

DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 179

613 Note del mese, Icd gen. 1968, pp. 1-4. 614 Antonino Maccarrone, Nuovo impegno, “Il potere locale”, 15 nov. 1967, p. 1. 615 Melis, Storia dell’amministrazione italiana..., cit., p. 490.616 Enzo Santarelli, La soppressione dei prefetti, Icd mag. 1968, pp. 15-20.617 Rino Gracili, I segretari comunali e provinciali, Icd set. 1969, pp. 63-5.

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1.5. Il ’68 della Lega: movimento di massa organizzato

1.5.1. Nasce la Lega per le autonomie e i poteri locali

La IV assemblea annuale della Lega si svolse a Bologna il 15-17 novembre1968, segnata dalla ricerca di una maggiore partecipazione di massa alla vita del-l’organizzazione ed in primo luogo degli amministratori, in sintonia con l’at-mosfera di un’epoca, appena iniziata, caratterizzata da una forte mobilitazionestudentesca ed operaia. Al termine del suo intervento introduttivo il segretarioMaccarrone affermava: “Si tratta di cambiare strada nel senso di trasformare laLega in un’organizzazione di massa e di avanguardia che lotta per le autonomielocali, per affermare ed esaltare il ruolo degli enti locali. Un movimento orga-nizzato, dunque, che […] apre le sue assemblee di base nei comprensori e nelleprovince e le sue articolazioni nelle regioni a tutte le forze politiche, sociali, cul-turali che vogliono partecipare alla battaglia per le autonomie locali”618.

Lanzetta era invece totalmente contrario ad un cambiamento netto dellastruttura della Lega di cui rivendicava il fatto che “è nata a suo tempo comestrumento rivoluzionario di lotta per le autonomie locali” proprio come “la Co-stituzione fu un fatto eminentemente rivoluzionario, dato che stabiliva tutto unnuovo ordinamento contrario alla continuazione del vecchio Stato monarchi-co-fascista”. Lanzetta si dichiarava “nettamente contrario a una ipotesi di unaLega degli amministratori”, pur sottolineando la necessità di “una organizza-zione effettivamente di massa619. Anche Castagno si dichiarava assolutamentecontrario all’ipotesi di Maccarrone e puntava l’attenzione, piuttosto, sulla na-tura dell’autonomia per la quale la Lega si sarebbe dovuta battere, specie allaluce dell’esperienza delle regioni autonome che, rispetto ai comuni “diventanoaccentratrici e centri di potere assoluti”620.

La svolta avvenne l’anno seguente, con il V congresso, apertosi a Bologna il 28febbraio 1969. La Lega decise di percorrere la strada indicata dal segretario Mac-carrone e divenne “movimento organizzato”. Il documento approvato dal con-gresso, alla luce del “continuo aggravarsi della crisi degli enti locali” e per il “ri-lancio della battaglia autonomistica” stabiliva la necessità di “un diretto collega-mento coi movimenti di massa che si sviluppano nel paese […] perciò la lotta perle autonomia degli enti locali deve svilupparsi oggi sia sul terreno istituzionale siasu quello economico sociale”. La Lega, proseguiva il documento, “vuole suscita-re una vasta e unitaria battaglia autonomistica come parte integrante del movi-mento dei lavoratori per le riforme di struttura, per il potere e per la libertà”621.

La testimonianza del mutamento era nella denominazione e nello statuto: laLega diveniva “Lega per le autonomie e i poteri locali”622, lo statuto sottolinea-

180 PARTE III

618 Antonino Maccarrone, La relazione introduttiva, Icd nov 1968, pp. 10-31.619 Michele Lanzetta, Continuità della nostra azione, Icd nov. 1968, pp. 32-5.620 Gino Castagno, Per una Lega di enti, Icd nov. 1968, pp. 52-4.621 Una nuova Lega per le autonomie e i poteri locali, Icd apr.-mag. 1969, pp. 25-7.622 “Il comune democratico” diveniva “Organo della Lega per le autonomie e i poteri loca-

li” a partire dal fasc. di giugno del 1969; dal 1970 la periodicità della rivista sarebbe passata damensile a bimestrale; nel 1971 sarebbe tornata ad essere mensile e “Il comune democratico” sa-

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va le caratteristiche della Lega come movimento, “indipendente dai partiti e dalgoverno”, a cui potevano aderire in primo luogo “le associazioni autonomisti-che che sorgono localmente” e gli enti locali “che condividono gli scopi dellalega”623. Il segretario nazionale, Antonino Maccarrone veniva confermato624.

1.5.2. La stagione dei movimenti. I rapporti con l’Est europeo

La Lega era pienamente coinvolta nella stagione dei movimenti che, a parti-re dalla fine degli anni ’60, scuoteva i partiti della sinistra e l’intera società na-zionale. Tutto si spiegava attraverso la logica del movimento. Si chiedeva un piùforte intervento del movimento in favore delle autonomie locali, ed un maggio-re coinvolgimento della Lega nel movimento; al centro, in ogni caso, c’era il rap-porto con le masse operaie e studentesche, non più i cittadini o le istituzioni.

Le stesse cause della persistenza della crisi degli enti locali venivano rinve-nute in una insufficiente importanza attribuita dal movimento dei lavoratori edai partiti alla questione delle autonomie625, ma anche in un insufficiente coin-volgimento della Lega nel movimento operaio e studentesco626. La storica iniziati-va per la promozione dei consigli di quartiere, in questo contesto, era oggettodi una rinnovata attenzione627.

Proprio però come era avvenuto nei difficilissimi anni del secondo dopo-guerra, il tributo all’ideologismo, e al mito della rivoluzione, come allora aquello del movimento, non impedì alla Lega di continuare ad essere protagoni-sta nella ricerca di soluzioni ai concreti problemi degli enti locali, come quellidi carattere giuridico-istituzionale, che potevano apparire lontani dalle paroled’ordine al centro dell’interesse delle assise congressuali. Anche quando più for-te era l’attenzione della sinistra al movimento, che portò all’apertura nella rivi-sta di un’apposita rubrica dedicata ai Movimenti di base, accanto alla mobilita-zione per la pace e contro la guerra nel Vietnam, non mancarono occasioni didiscussione sui temi ormai classici quali, ad esempio, la riforma del diritto deisuoli628 ed il sistema dei controlli629.

Rispetto alla politica internazionale a partire dagli anni ‘60 si rinnovaronoi rapporti con i paesi dell’Est europeo, in particolare con la Germania orien-tale, attraverso la partecipazione ai Colloqui di Dresda, organizzati dal 1962 dalComitato internazionale d’iniziativa per i colloqui di Dresda di sindaci e am-

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rebbe divenuto “Rivista delle autonomie locali. A cura della Lega per le autonomie e i poterilocali” ed avrebbe assunto una nuova veste tipografica, cambiata ancora nel 1972.

623 Il nuovo statuto della Lega, Icd apr.-mag. 1969, pp. 27-9.624 I nuovi organi dirigenti, Icd apr.-mag. 1969, pp. 30-2.625 Editoriale. Le autonomie locali agli inizi del ’70, Icd gen.-feb. 1970, pp. 1-9.626 Corrado Corghi, Verso nuove “stagioni” di lotta, Icd mag.-giu. 1970, pp. 17-22.627 Raffaele Meo, Renzo Bonazzi, Consigli di quartiere: organi di democrazia diretta, Icd mag.

1972, pp. 20-8.628 Icd gen.-feb. 1970.629 Il sistema dei controlli sui comuni, sulle province e sugli altri enti locali nel nuovo ordina-

mento regionale, Icd nov.-dic. 1970, pp. 1-68.

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ministratori locali europei. Un documento approvato nel 1971, che avevaevidentissime finalità di sostegno alle richieste dei Paesi comunisti dell’Est, ve-deva al primo punto la sottolineatura del ruolo del comune che “occupa unposto importante nella vita della società” e si chiudeva con il punto 14 nelquale si chiedeva ai comuni di “chiedere la ratificazione dei trattati tra l’URSSe la RFT, tra la Repubblica popolare di Polonia e la RFT, importanti per la pa-ce europea ed agire per il riconoscimento della RDT da parte di tutti gli statisecondo il diritto internazionale”630. L’autonomia locale italiana era argomen-to di studio anche nell’Istituto del marxismo-leninismo di Mosca un cui col-laboratore, Volodja Bogorad, scriveva un articolo pubblicato anche dall’orga-no della Lega: La battaglia delle masse lavoratrici italiane per l’autonomia regio-nale631.

1.6. Gli anni settanta: le regioni, la pace e l’Europa

L’istituzione delle regioni a statuto ordinario nel 1970 ripropose, con forza,la questione del ruolo delle autonomie locali. Al centro dell’attenzione era ilrapporto che si sarebbe stabilito, in particolare, tra regioni e comuni. Ne “il co-mune democratico” non si dava spazio alcuno alle illusioni: “Da un lato l’espe-rienza di questi anni sul rapporto tra Stato e autonomie locali (ed anche all’in-terno di alcune regioni a statuto speciale), e dall’altro le ambiguità nell’uso deltermine ‘partecipazione’ non inducono a facili ottimismi”632. I Comitati regio-nali di controllo prendevano il posto delle giunte provinciali amministrativenell’attività di controllo sugli atti delle autonomie locali633, quando ormai si eraperò da tempo conclusa la stagione della repressione e della conflittualità traamministrazioni della sinistra ed autorità di governo.

Alla fine del 1972, nel corso dei lavori di preparazione del VI congresso del-la Lega moriva il segretario Maccarrone634. La commemorazione apparsa sullarivista ne ricordava l’impegno e la passione per il lavoro di politico e di ammi-nistratore locale, i contatti con l’estero attraverso l’Unione delle città e dei co-muni della RDT, con la Conferenza permanente delle città jugoslave, con la Fe-derazione nazionale degli eletti repubblicani della Francia635.

Nel 1972 si svolse il VI congresso della Lega, svoltosi a Perugia il 14-17 di-cembre, nel quale svolgeva una relazione il presidente dell’Anci, e sindaco diFrascati, Guglielmo Boazzelli, il quale ricordava le molteplici iniziative dell’As-

182 PARTE III

630 Verso il VI colloquio di Dresda, Icd giu. 1971, pp. 60-63.631 Icd mag. 1971, pp. 38-49.632 Alarico Carrassi, Regioni e autonomie locali, Icd lug.-ago. 1970, pp. 21-9.633 Convegno sul sistema dei controlli sui comuni, sulle province e sugli altri enti locali nel nuo-

vo ordinamento regionale. Numero speciale, Icd, nov.-dic. 1970.634 Nato a Santa Teresa di Riva (Messina), il 7 novembre 1922, iscritto al Pci dal 1941, par-

tecipò alla Resistenza. Laureatosi in medicina a Pisa, fu capogruppo al consiglio comunale del-la città tra il 1956 ed il 1964; presidente dell’Amministrazione provinciale di Pisa dal 1951 al1963, senatore dal 1963 e segretario nazionale della Lega dal 1961.

635 Ricordo di Antonino Maccarrone, Icd ott. 1972, pp. 3-6.

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sociazione a livello legislativo636. Il congresso approvava un nuovo statuto dellaLega un nuovo consiglio nazionale, e nominava un nuovo segretario nazionale:Giorgio De Sabbata, del Pci637. Inoltre, facendo seguito ad una iniziativa dellaLega avviata l’anno precedente638 veniva costituito un “Centro di iniziative, ri-cerche e documentazione (CIRD), che estenda ulteriormente lo spazio di in-tervento politico, ideale culturale della Lega e offra nello stesso tempo lo stru-mento di ricerca e di mobilitazione a tutto il movimento delle autonomie”639.

Negli anni ’70 la Lega delle autonomie locali era pienamente coinvolta nel-l’impegno della sinistra in difesa della democrazia640, come scriveva il segretarioDe Sabbata, “all’instaurazione del fascismo in Italia come in Spagna, in Porto-gallo, in Grecia, sempre si è accompagnata la soppressione delle assemblee elet-tive locali”, e ancora: “L’affermazione delle autonomie non si può perciò otte-nere isolandole dal contesto sociale, separando, cioè, la battaglia per le riformeistituzionali da quella per le riforme sociali”641. Ma gli anni ’70 erano anche glianni dell’impegno internazionale per la democrazia e per la pace, dal Vietnamal Cile, al Medio Oriente, che nella rivista si rifletteva negli articoli curati daCorrado Corghi642.

L’apparizione del nome di Umberto Serafini, segretario dell’Aicce (Associa-zione italiana del Consiglio dei comuni d’Europa), nel consiglio nazionale643

segnava l’inizio di una nuova attenzione verso il processo di unificazione eu-ropea644 che avveniva a partire di un’organizzazione comunale europea, qualera l’Aicce, fino ad allora osteggiata dalla Lega - anche per i sospetti di un suocollegamento con i servizi segreti degli Usa645 - a vantaggio di un’altra grandeorganizzazione comunale internazionale, che si occupava dei gemellaggi, la Fé-dération mondiale des Villes jumelées (Fmvj), chiaramente schierata a sini-stra646.

DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 183

636 In particolare per una nuova legge comunale e provinciale, indispensabile dopo l’istitu-zione delle regioni a statuto ordinario, che comprendeva la riforma dell’istituto della provincia,in accordo con l’Upi; per una nuova normativa sui controlli; per la riforma della finanza loca-le, per la riforma dell’assunzione diretta dei servizi pubblici degli enti locali insieme ad Upi eCispel; Guglielmo Boazzelli, Per lo sviluppo delle autonomie, Icd nov. 1972, pp. 34-9.

637 Dai documenti del VI congresso della Lega, Icd dic. 1972, pp. 60-67. 638 All’inizio del 1971 si era scritto di “un Centro-studi che la Lega, faticosamente, ma in

modo fecondo, sta costruendo in questi giorni”; A.B. (Alberto Brasca), Il comune democratico.Impegno le autonomie, Icd gen.1971, pp. 1-2.

639 Il documento politico del VI congresso, Icd dic. 1972, pp. 3-5.640 La Lega si impegnava anche su questo fronte pubblicando Fascismo e neofascismo, un vo-

lumetto di 64 pagine dedicato al fascismo storico ed al pericolo neofascista degli anni ’70; Pa-gina pubblicitaria, Icd gen. 1972.

641 Giorgio De Sabbata, Autonomie e sviluppo del paese, Icd gen. 1973, pp. 3-7.642 Si veda, ad esempio, l’indice dell’annata 1973 de “Il comune democratico”.643 Dai documenti del VI congresso della Lega, Icd dic. 1972, pp. 60-67; cfr. anche Umberto

Serafini, Per una politica europea defgli enti locali, Icd apr. 1973, pp. 15-20.644 Su questo argomento, successivamente, cfr. il fascicolo della rivista dedicato a Parlamen-

to europeo. Economia e istituzioni, Icd apr.-mag. 1979.645 Gaspari, Cities against States?..., cit., pp. 612-3.646 Cfr. Antoine Vion, Superare i conflitti: il gemellaggio tra città europee dopo la seconda guer-

ra mondiale, in in Dogliani, Gaspari, (a cura di), L’Europa dei comuni…, cit., pp. 249-272.

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Continuava l’impegno specifico della Lega in favore del Mezzogiorno647, losviluppo di rapporti privilegiati con la realtà sociale organizzata in particolarein Emilia-Romagna, che si estrinsecava in accordi tra enti locali e sindacato, co-me a Reggio Emilia, dove comune, provincia e la locale federazione provincia-le unitaria Cgil-Cisl-Uil si accordavano in materia di tariffe di trasporti, asili ni-do e tariffe di servizi pubblici648. Continuava, immutato, anche l’impegno perla riforma della finanza locale649.

Gli anni ’70 erano ancora gli anni dei movimenti, come insisteva anche ilnuovo segretario De Sabbata quando, concludendo i lavori dell’VIII assembleadedicata alla questione della finanza locale, chiedeva di “rafforzare il nostro ca-rattere di movimento di massa”, un carattere che la differenziava dall’Anci. LaLega, infatti, era “associazione di movimento, cosa che l’Anci non è mai stata,non riesce ad essere e non riuscirà mai ad essere per la sua natura”.

Lo spazio della Lega non era “uno spazio di polemica nei confronti del-l’Associazione nazionale dei comuni d’Italia, ma [era] uno spazio di diversifi-cazione”. Il segretario arrivava poi anche a definire i compiti degli organi pe-riferici, impegnati nelle iniziative di carattere regionale, e quelli degli organicentrali della Lega. Per i secondi vi erano, oltre alla “possibilità di una svoltagenerale del paese, compiti che sono assolutamente urgenti”, anche compitiminori ma “egualmente essenziali come quello dell’indennità di carica agli am-ministratori”650.

1.6.1. Le grandi manifestazioni della Lega contro la crisi finanziaria delleautonomie locali

Gli anni ‘70 infine, soprattutto per le autonomie locali, erano quelli dellatragica situazione finanziaria causata, tra l’altro, dal colpevole e gravissimo ri-tardo con il quale lo Stato versava ai comuni l’ammontare dei trasferimenticorrispondenti alle imposte locali abolite e dall’assoluta insufficienza di risor-se proprie.

La gravità della condizione dei comuni era tale che al termine di un’assem-blea nazionale a Roma dedicata ai “problemi della stretta creditizia e, più in ge-nerale, della condizione istituzionale e finanziaria degli enti locali”, la Lega or-ganizzava una “sfilata dei gonfaloni dei comuni del Lazio che, nel pomeriggio

184 PARTE III

647 Cfr. Atti della III assemblea meridionale della Lega per le autonomie e i poteri locali, ReggioCalabria 23-24 giugno 1973, Icd lug.-ago. 1973; Atti della IV assemblea meridionale della Lega(Taranto 18-19 dicembre 1976). “Per lo sviluppo del Mezzogiorno e per il superamento della crisidel Paese”. Gestione democratica della lgge 183, riconversione industriale e risanamento della fi-nanza pubblica, Icd nov.-dic. 1976.

648 Documento di intesa sindacato-comune-provincia a Reggio Emilia, Icd set. 1974, pp. 86-92.649 Atti della VIII assemblea annuale della Lega per le autonomie e i poteri locali sul tema: “un

diverso bilancio dello Stato collegato con una finanza regionale e locale efficiente e democratica, nel-la piena realizzazione del sistema delle autonomie, obiettivo necessario di un forte movimento de-mocratico per superare la crisi economica e politica del nostro Paese”, Roma 8-9 ottobre 1973, Icdnov.-dic. 1973.

650 Giorgio De Sabbata, Conclusioni, ivi, pp. 113-7.

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del 26 giugno, portati per le vie del centro di Roma hanno accompagnato ledelegazioni di amministratori al Senato, alla Camera dei Deputati e alla Presi-denza del consiglio”651. De Sabbata polemizzava con il presidente della Bancad’Italia, Guido Carli, e accusava il Governo della situazione cui erano costretti,in particolare, i grandi comuni652; accuse rinnovate nelle successive assembleedella Lega dello stesso 1974653 e del 1975654.

Il buon successo del corteo del 26 giugno aveva effetto su tutte le organiz-zazioni del movimento. Nell’ottobre 1974 i consigli nazionali di Anci ed Upi,con alcuni presidenti in rappresentanza delle regioni, “considerata la gravitàdella situazione delle istituzioni locali e regionali [decidevano] di indire una‘Giornata nazionale delle regioni e delle autonomie’” per il successivo 12 no-vembre, giorno nel quale i consigli regionali, provinciali e comunali si sarebbe-ro dovuti riunire per chiedere il “rinnovamento e [il] risanamento della vita de-mocratica e della pubblica amministrazione”. Nella stessa occasione veniva sta-bilito anche di “assumere quanto prima la decisione di convocare a Roma unamanifestazione unitaria”655.

La “Giornata nazionale delle regioni e delle autonomie” del 12 novembre,secondo quanto riportato da “Il potere locale” aveva successo nonostante “lemanovre dei dirigenti dc”656, ma era evidente che l’opposizione del più grandepartito nazionale aveva privato l’iniziativa del respiro unitario che avrebbe avu-to avere.

DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 185

651 Luigi Ladaga, La comunità nazionale investita della grave crisi degli enti locali, Ipl giu.1974, p. 1.

652 Il segretario denunciava i concreti effetti della riduzione delle risorse a disposizione del-le autonomie locali, quali il ritardato pagamento delle retribuzioni al personale da parte del co-mune di Venezia, le operazioni urgenti ed eccezionali a cui era dovuto ricorrere il comune diBologna sempre per pagare gli stipendi al personale, ricordava che i comuni di Roma e Mila-no si erano invece rivolti direttamente al governatore della Banca d’Italia per avere anticipi inmodo da far fronte alle spese correnti; Giorgio De Sabbata, Relazione, in Atti del convegno na-zionale sul tema: Autonomie, finanza e credito. Roma, 24-25 giugno 1974, Icd, lug.-ago. 1974.

In occasione del consiglio nazionale svoltosi in quegli stessi giorni veniva approvata, tra l’al-tro, la costituzione di un Ufficio di segreteria diretto da Walter Anello, che avrebbe svolto lamansione per circa venticinque anni. Era così garantita una continuità della struttura partico-larmente utile per superare le difficoltà dovute alla doppia carica dei due segretari nazionali edai relativi cambi cui questa era soggetta.

653 Documento finale della IX assemblea della Lega, Icd ott. 1974, pp. 113-4.654 Nelle conclusioni della X assemblea, svoltasi a Roma, il segretario affermava la funzione

informatrice e formatrice dell’organizzazione: “La Lega conferma il suo carattere non di sempli-ce associazione di enti, ma di movimento di forze autonomiste, di sede di confronto per rag-giungere necessarie ed opportune intese sui problemi principali, e anche di guida per la batta-glia per l’affermazione dei principi autonomistici della Costituzione. La battaglia va condottacon tutti gli strumenti democratici a disposizione dal seminario di ricerca, al corso di studio,alla pubblicazione periodica, alla ricerca individuale, all’editoria democratica, alla manifesta-zione di massa, all’assemblea provinciale e regionale, al contatto e all’azione comune con i sin-dacati, alla presenza dei gonfaloni nelle manifestazioni per le riforme” Giorgio De Sabbata,Conclusioni, in Atti della X assemblea nazionale sul tema: comuni, province e regioni per superarela crisi del Paese. Roma, Teatro Eliseo, 2-3 dicembre 1975, Icd nov.-dic. 1975, pp. 132-141.

655 Il 12 novembre giornata nazionale delle autonomie, Ipl 20 ott. 1974, p. 1.656 Unità del movimento per uscire dalla crisi, Ipl 30 ott.-10 nov. 1974, p. 1.

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La marcia indietro della DC e, di conseguenza di Anci ed Upi, non induce-va però la Lega a recedere dall’idea di una grande manifestazione di ammini-stratori che si svolgeva a Roma nella mattinata del 18 febbraio 1975, prepara-ta in modo accurato657. Una grande forza per cambiare, “Il potere locale” dava ilresoconto dell’evento con questo titolo sovrapposto ad una foto della folla deimanifestanti riuniti sotto il palco. Partecipavano al corteo che percorreva il cen-tro di Roma da Piazza della Repubblica a Piazza Santi Apostoli attraverso ViaNazionale, migliaia di amministratori comunali e provinciali e varie delegazio-ni regionali, il cui lungo elenco era pubblicato nella rivista. Inviavano la loro“solidale adesione” i segretari del Pci, Enrico Berlinguer, e del Psi, Francesco DeMartino; Anci ed Upi, invece, si limitavano all’invio di un semplice telegram-ma di “saluto” ai partecipanti.

Il segretario della Lega nel suo discorso sottolineava la gravissima situazionedelle autonomie locali e le difficoltà del movimento a procedere unitariamen-te, ma anche l’importanza storica della manifestazione:“La drammatica realtà e la crescente coscienza autonomista non possono esse-re fermate o ingabbiate da veti, per quanto autorevoli siano […] in più di cen-to anni di unità nazionale è la prima volta che le autonomie locali rivolgono inquesta forma un appello al Paese”.

Al termine della manifestazione veniva inviata una petizione al Parlamentoed il segretario De Sabbata inviava una lettera al Presidente del consiglio deiministri Aldo Moro658.

Particolarmente importante in quegli anni fu la pubblicazione nel 1976 del-la relazione della Commissione Giannini sull’attuazione della legge 22 luglio1975 n. 382 in virtù della quale “il Governo veniva delegato ad emanare, en-tro un anno, i decreti legislativi necessari a regolare il completamento dell’or-dinamento regionale”659”. Il testo integrale del documento veniva pubblicatonel fascicolo di aprile de “Il comune democratico”660, nel numero successivo ap-parivano commenti a cura di importanti giuristi, politici ed amministratori; traquesti lo stesso Giannini e quindi, Franco Bassanini, Guido Neppi Modona,Franco Levi, Sabino Cassese, Giuliano Amato, Valerio Onida.

L’intervento più polemico nei confronti della relazione era senza dubbioquello del segretario che chiedeva, inequivocabilmente Più spazio agli Enti loca-li! De Sabbata contestava il fatto che: “Di fronte alla possibilità di conferire fun-zioni agli enti locali nelle materie di competenza regionale e anche in altre ma-terie, la Commissione ha avanzato proposte minime che corrispondo ad una og-

186 PARTE III

657 Ne danno testimonianza i fascicoli de “Il potere locale” che precedevano l’evento: Appel-lo delle autonomie per la manifestazione di Roma, Ipl 31 gen. 1975, p. 1; 18 febbraio a Roma. Ma-nifestazione nazionale delle autonomie organizzata dalla Lega nazionale, Ipl 15 feb. 1975, p. 1.

658 Si succedevano sul palco della manifestazione Aldo Aniasi, sindaco socialista di Milano;un rappresentante della segreteria della Federazione Cgil, Cisl, Uil; Renato Zangheri, sindacocomunista di Bologna; Nicola Capria, deputato socialista dell’Assemblea regionale siciliana;Fausta Giani Cecchini vice sindaco di Pisa e componente della presidenza dell’Udi; “Il poterelocale” 28 feb. 1975, pp. 2-7.

659 Melis, Storia dell’amministrazione italiana..., cit., p. 493. 660 La Legge 382 sull’ordinamento regionale: i lavori della Commissione Giannini, Icd apr. 1975.

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gettiva sottovalutazione del ruolo degli enti locali”, e ancora: “la proposta nor-mativa considera talmente preferibile determinare un obbligo di delega, anzichéun’attribuzione diretta [dallo Stato a comuni e province] da sottovalutare com-pletamente l’attrito che si crea, l’inevitabile lentezza che si determina con il dop-pio passaggio prima alla regione e poi all’ente locale”. Il segretario quindi con-cludeva reclamando non solo una maggiore attenzione verso gli enti locali, maanche, e sempre in nome dell’efficienza dei servizi forniti ai cittadini, la riformadella legge comunale e provinciale e quella complessiva dei ministeri661.

Sempre nel corso del 1976 l’on. Pietro Conti662, del Pci, diveniva il nuovosegretario della Lega e Luigi Ladaga, del Psi, veniva nominato segretario na-zionale aggiunto663.

1.6.2. Il DPR 616 e il rapporto con i partiti

Nel 1977 la Lega dibatteva sulla natura e la funzione dei comprensori664, de-nunciava lo stravolgimento delle conclusioni della Commissione Giannini inmerito alle competenze regionali665, discuteva della riforma sanitaria666. Propo-neva, in particolare, un bilancio positivo della legge 8 aprile 1976, n. 278, suldecentramento e sulla partecipazione dei cittadini nella amministrazione delcomune che aveva portato alla creazione dei consigli di quartiere o di circoscri-zione, una norma che dava veste giuridica alle iniziative di decentramento pro-mosse dal comune di Bologna sin dalla seconda metà dagli anni ’50. L’obietti-vo era: “irrobustire, contro ogni tentativo di reazione e di disgregazione, il tes-suto sociale con la pratica quotidiana della democrazia, e per realizzare un nuo-vo rapporto tra cittadini e il governo della città e dello Stato” 667

Il DPR del 24 luglio 1977, n. 616 veniva definito Una svolta per le autonomiee per la struttura dello Stato668. Il provvedimento era destinato “a regolare il com-pletamento dell’ordinamento regionale [...] Si apriva così un’ulteriore fase dell’at-tuazione delle regioni [..., alleggerendo] le pubbliche amministrazioni centrali[per] consentirne il ridimensionamento organizzativo”669. A discutere del decreto616 alla tavola rotonda organizzata da “Il comune democratico”, non venivano

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661 Giorgio De Sabbata, Più spazio agli Enti locali!, Icd mag. 1976, pp. 18-22.662 Conti, primo presidente della Regione Umbria, parlamentare del Pci per tre legislature dal

1976 al 1987, morì il 7 set. 1988; È morto Pietro Conti, , “Il potere locale” (Ipl) set. 1988, p. 3.663 Cfr. Atti della IV assemblea meridionale della Lega (Taranto 18-19 dicembre 1976)…, cit.

De Sabbata, divenuto senatore, continuava a ricoprire la carica di direttore de “Il comune de-mocratico” fino al numero di marzo-aprile del 1977, da quello successivo direttore del mensi-le diveniva Lucio Luzzatto, già esponente della Lega nel secondo dopoguerra.

664 Argomenti sul tema: comprensori e riforma del governo locale, Icd gen.-feb. 1977; Il dibat-tito sull’ente intermedio: materiale di lavoro, Icd nov. 1977.

665 Schema di decreto Morlino e relazione Giannini a raffronto. Materiali di lavoro per l’attua-zione della legge 382, Icd mar.-apr. 1977.

666 Riforma sanitaria, Icd ott. 1977.667 Walter Anello, Le armi della democrazia, Icd mag. 1977, pp. 3-5.668 Dopo il decreto 616. Tavola rotonda, Icd dic. 1977, p. 7.669 Melis, Storia dell’amministrazione italiana..., cit., pp. 493-4.

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chiamati amministratori o dirigenti dello Stato, o cariche istituzionali che, mol-to probabilmente, meglio sarebbero state in grado di descrivere l’impatto del de-creto nel concreto funzionamento delle amministrazioni locali, regionali od inquella nazionale, ma esponenti di partito, segnale evidente dell’assoluta centrali-tà dei partiti nella vita delle istituzioni locali. Così, sotto la guida del nuovo di-rettore della rivista, Lucio Luzzatto, discutevano dell’attuazione del decreto 616Aldo Aniasi del Psi, Alberto Ciampaglia del Psdi, Franco Compasso del Pli, Ar-mando Cossutta del Pci, Carlo Di Re del Pri, Nicola Signorello della Dc.

Nonostante l’influenza dei partiti sulla Lega, come su tutte le organizzazio-ni delle autonomie locali queste godevano, comunque, di un’autonomia signi-ficativa, almeno per quanto riguarda l’Anci. Stando ad una ricerca di BrunoDente del 1984, e quindi successiva al periodo in esame, ma la cui sostanza eraquasi certamente valida anche per la fine degli anni ’70, sembrerebbe possibileaffermare che le istanze fondamentali del movimento comunale, maggiori ri-sorse finanziarie e maggiore autonomia, si sovrapponevano ma non si eranoidentificate e ridotte del tutto ad elementi strumentali della più ampia battagliapolitica dei partiti per la conquista del potere.

Scrive a questo proposito Dente nell’introduzione alla ricerca Isap del 1984sulle relazioni centro-periferia: “una delle ipotesi avanzate [...] vedeva le asso-ciazioni [degli enti locali] come un cavallo di Troia per un’ulteriore presenza deipartiti politici nella relazione tra enti autonomi territoriali ed amministrazioniregionali e locali; le risultanze della ricerca paiono piuttosto confortare l’ipote-si inversa, secondo la quale sono i partiti, soprattutto in Parlamento [...] ad es-sere utilizzati dalle associazioni come strumento per strappare ulteriori miglio-ramenti a quanto concordato con il Ministero del tesoro”670.

1.6.3. La centralità della questione della finanza locale: gli incontri di Viareggio

Nel frattempo gli irrisolti problemi delle autonomie locali, in particolare quel-lo della finanza locale, si aggravavano. A partire dagli anni ’70 l’appuntamentoannuale del convegno di Viareggio promosso dall’Anci divenne il luogo privile-giato dell’unità d’azione del movimento per le autonomie locali. Agli incontri par-tecipavano naturalmente anche gli amministratori della Lega che rivendicò il ruo-lo fondamentale svolto nell’evoluzione dell’incontro che “ha superato una conce-zione frantumata della finanza locale, staccata persino dalla finanza regionale e infin dei conti un po’ corporativa”. Il problema era che se nel dibattito la Lega ave-va un ruolo essenziale, mancava poi, da parte dell’Anci, la capacità di tradurrequell’elaborazione in una concreta azione politico-istituzionale671.

188 PARTE III

670 Bruno Dente, Soggetti e poteri, in Istituto per la scienza dell’amministrazione pubblica (Isap),Le relazioni centro-periferia, Archivio nuova serie, n.2, I vol., Milano, Giuffrè 1984, pp. 29-30.

671 Giorgio De Sabbata, Relazione, in Atti della VIII assemblea annuale della Lega per le au-tonomie e i poteri locali sul tema: “Un diverso bilancio dello Stato collegato a una finanza regiona-le e locale efficiente e democratica, nella piena realizzazione del sistema delle autonomie, obiettivonecessario di un forte movimento democratico per superare la crisi economica e politica del nostroPaese”, Roma 8-9 ottobre 1973, Icd nov.-dic. 1973, pp. 10-26.

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Nel 1977 seguente vennero finalmente varati i provvedimenti per il risana-mento della finanza locale: i cosiddetti decreti Stammati 1 e 2 (decreto legge 17gennaio 1977 n. 2 convertito dalla legge 17 marzo 1977 n. 62, e decreto legge29 dicembre 1977 n. 946, convertito dalla legge 27 febbraio 1978 n. 43). Conil primo venivano consolidati i debiti a breve termine assunti dagli enti localicon il sistema bancario ponendo a carico dello Stato le relative rate di ammor-tamento, limitando la possibilità di contrarre nuovi debiti a breve; di controvenne stabilito, per tutti gli enti locali, il blocco delle assunzioni. Con il secon-do decreto gli enti locali venivano obbligati a deliberare in pareggio i propri bi-lanci. Venivano fissati i limiti di crescita, veniva sancito l’obbligo dell’aumentodei tributi locali e delle tariffe dei servizi pubblici, veniva assunto dal bilanciostatale il finanziamento delle spese correnti degli enti locali al netto delle en-trate. Le risorse continuavano ad essere garantite dai trasferimenti erariali - fis-sati con la cosiddetta “entrata storica”, in base alla quale l’ente locale ricevevasomme proporzionate alle spese sostenute fino ad allora - e dai mutui della Cas-sa depositi e prestiti (dipendente dal Ministero del tesoro) destinati a coprire ildeficit di bilancio672.

Il provvedimento avrebbe dovuto essere limitato al 1978, in attesa della ri-forma della finanza locale. Ma così non fu. Con queste misure si esaltava il ruo-lo dell’amministrazione statale, attenuando, corrispondentemente, la responsa-bilità degli amministratori locali, che potevano scaricare agevolmente sullo Sta-to sia le colpe in merito alla difficile situazione finanziaria, sia il relativo giudi-zio negativo dei propri cittadini673.

Nonostante un certo aumento dell’autonomia impositiva delle province, esoprattutto dei comuni674, dall’inizio degli anni ’80 sino alla fine del decenniotali enti si trovavano in crisi, economica ed istituzionale.

La presidenza di Camillo Ripamonti nell’Anci, nella seconda metà degli an-ni ‘70, anche attraverso gli incontri annuali degli assessori comunali alle finan-ze a Viareggio, riuscì a rafforzare l’Anci come organo rappresentativo degli in-teressi dei comuni e ad imporre sempre più all’attenzione del Governo le que-stioni di interesse comunale. Con il passare degli anni l’appuntamento di Via-reggio divenne sempre più centrale nella vita del movimento per le autonomielocali, occasione di confronto tra amministratori locali e governo, e con carat-tere sempre più unitario, in particolare all’indomani dell’emanazione dei de-creti Stammati.

Nel convegno di Viareggio del 1-3 ottobre 1978 Ripamonti sottolineava lacrescente importanza nel dialogo tra governo ed autonomie non solo nell’ap-puntamento di Viareggio ma anche nell’Anci stessa e rivendicava, con orgoglioche: “Le Amministrazioni locali hanno saputo reggere l’urto della crisi che hainvestito il Paese, garantendo di fronte alla diffusa inefficienza delle istituzionicentrali, la continuità dei servizi e delle condizioni di vita civile delle comuni-tà”, sottolineando l’assoluta mancanza di alcuna copertura finanziaria in segui-

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672 Marongiu, Storia dei tributi degli enti locali…, cit., pp. 296-7673 Aimo, Stato e poteri locali in Italia…, p. 143.674 Cfr. Marongiu, Storia dei tributi degli enti locali…, cit., pp. 313-7.

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to al decentramento delle funzioni ai comuni operato dal decreto 616, ed anziin concomitanza con il blocco delle assunzioni per gli enti locali675.

1.6.4. Nella produzione editoriale della Lega anche una guida per il “Regno diBabilonia”

Alla fine degli anni ’70 la Lega manifestava la propria grande vitalità ancheattraverso una notevole attività editoriale della propria casa editrice “Edizionidelle autonomie” che si evidenziava specie nelle occasioni congressuali, quandosi cercava di ricordare agli amministratori la necessità di una adeguata prepara-zione tecnica e politica al loro ruolo. Così, ad esempio, in occasione dell’VIIIcongresso nazionale si proponeva un’offerta speciale per l’acquisto - oltre che diun filmato di 50 minuti, La costituzione e/è noi dal prezzo di un milione, scon-tato per l’occasione del 50% - di volumi raggruppati per materie: Urbanistica,Attuazione del D.P.R. 616/77, Mostra, Democrazia e partecipazione, Autonomielocali. C’era anche una collana Biblioteca autonomie676 che comprendeva, tral’altro, una Guida per le autonomie locali 1979677 curata da Sabino Cassese.

La Guida, pubblicata dal 1973, inizialmente venne proposta come uno deidue volumi, indivisibili, della Agenda per le autonomie locali congiuntamente al-la più conosciuta Agenda da tavolo, edita dalla Lega dal 1960. L’affidamentodella Guida a Cassese avvenne a partire dall’edizione del 1978, l’anno successi-vo all’emanazione del decreto 616 e, non a caso, la manchette pubblicitaria ri-portava in bella evidenza, accanto alla copertina nella nuova veste editoriale, ladicitura “Il primo commento organico del DPR 616 materia per materia”678.Nell’edizione del 1981 la Guida diveniva Annuario 1981 delle autonomie loca-li. Come chiariva lo stesso curatore nella Presentazione: “Non si tratta solo diun cambiamento di nome. Già negli anni scorsi, questa pubblicazione presen-tava un bilancio delle esperienze politiche, legislative, giurisprudenziali e scien-tifiche, anno per anno. Quest’anno il disegno è completato con un panoramadelle ricerche e un elenco delle leggi nazionali e regionali. L’Annuario diviene,così, uno strumento che consente l’aggiornamento sulle novità dell’ultimo an-no, (dall’ottobre 1979 al settembre 1980) settore per settore […] Si è cercatodi tener ferme le voci (che sono ora 66, più le 5 rassegne finali), per assicurare,come negli altri anni, che, allineandosi una accanto all’altra le varie annate,questa opera consentisse di ricostruire l’evoluzione dei diversi istituti nel tem-po”. L’affidamento della Guida ad una personalità del calibro di Cassese e losviluppo dell’iniziativa evidenziano la crescente importanza della funzione di

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675 Camillo Ripamonti, Il nuovo assetto finanziario e istituzionale delle autonomie locali, Icdago.-set. 1978, pp. 13-25

676 Manchette pubblicitaria in Icd apr.-mag. 1979, p. 46.677 Guida per le autonomie locali 1973-1980, Roma, Edizioni della Lega per le autonomie e

i poteri locali [successivamente Edizioni delle autonomie], 1973-1980; Annuario delle autono-mie locali 1981-1996, Roma, Edizioni delle autonomie, 1981-1996.

678 Molto significativamente, quell’anno, l’Agenda da tavolo, venne offerta insieme alla Gui-da, a mo’ di omaggio.

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supporto alla concreta attività delle autonomie locali svolta dalla Lega per ri-spondere alle crescenti esigenze degli amministratori.

A partire dall’edizione del 1987, venivano stampate nell’Agenda autonomiele Pagine blu, che riportavano indirizzi, telefoni e nominativi delle autonomielocali in Italia; dall’edizione del 1993 il nuovo servizio appariva in volume au-tonomo, anche se sempre allegato, insieme all’Agenda da tavolo, al più impor-tante Annuario679.

Se nel 1960 la Lega offriva alle autonomie locali qualche pubblicazione dicarattere tecnico su problemi specifici e si poteva permettere di vendere loro,come ulteriore ausilio, una semplice Agenda da tavolo; se all’inizio degli anni’70, periodo di ribollente ideologismo, accanto alla solita Agenda venivano of-ferti molti testi di impostazione politica; alla fine di quello stesso decennio eradivenuto indispensabile affidare la Guida, l’Annuario, alla direzione di un com-petente giurista che coordinava l’opera di numerosi studiosi per permettere adamministratori e tecnici degli enti locali di seguire, voce per voce, gli innume-revoli cambiamenti avvenuti nell’amministrazione locale. Come osservava an-cora Cassese nel 1981 all’inizio della già citata sua Presentazione:

“Nel decennio che si è chiuso, si è avviata l’esperienza regionale e sono staticompiuti i trasferimenti statali al nuovo istituto. I compiti successivi impegne-ranno l’attività di gestione delle dirigenze locali e regionali. Rimane, però, in-completo l’edificio da due parti. Quella delle strutture centrali, del cui riordinoil legislatore parla dal 1968, senza che nulla di concreto si sia visto. E quella del-le strutture locali, per le quali il primo progetto generale di riforma risale al1961, senza seguiti concreti.

In mezzo, c’è una realtà dimenticata sulla quale bisogna richiamare l’atten-zione: l’amministrazione statale decentrata. Nove dei venti ministeri hanno ap-parati decentrati (spesso più di uno) […] Basta questa breve descrizione, percomprendere che siamo nel regno di Babilonia e che quest’apparato è fatto piùper confondere che per aiutare il cittadino”680.

2. Gli anni ‘80

2.1. Il congresso di Firenze del 1980

Dal 25 al 27 gennaio 1980 si svolse a Firenze l’VIII congresso nazionale del-la Lega. All’ordine del giorno vi era la questione della riforma della finanza lo-cale ed il conseguente blocco delle assunzioni (limitato ai comuni superiori a50.000 abitanti); l’attività delle Regioni che, a dieci anni dall’istituzione, meri-tava una riflessione particolare specie “dopo la brutale accusa di neocentralismoche essi perseguirebbero in modo indiscriminato nei confronti dei Comuni”; laquestione del Mezzogiorno e, infine, la pace, tornata all’ordine del giorno do-

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679 Ipl nov. 1992, p. 69.680 Sabino Cassese, Presentazione, in Idem (diretto da), Annuario 1981 delle autonomie loca-

li, Roma, Edizioni delle autonomie, 1981.

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po l’invasione sovietica dell’Afganistan, duramente condannata681. Veniva mo-dificato lo statuto eliminando la previsione di un’assemblea annuale.

In occasione del congresso venne eletto il nuovo segretario, Dante Stefani,sen. del Pci, ed il nuovo segretario nazionale aggiunto, Renzo Santini, del Psi,vicepresidente della Regione Emilia-Romagna682.

Il nuovo segretario illustrava in un’intervista compiti e prospettive dell’or-ganizzazione che, come sottolineava: “in origine nasce come momento di tute-la dei comuni fatti oggetto di varie attenzioni da parte di organismi del gover-no centrale, primo fra tutti il Ministero degli Interni. Successivamente, si pas-sa ad una fase di incentivazione dello sviluppo delle autonomie, che trova il suomomento più alto nell’attuazione delle Regioni […] in questo contesto si attuauno sviluppo della Lega nell’ambito di un processo di attuazione dell’ordina-mento regionale che corre il rischio di non costituire quel momento di svilup-po di una riforma generale dello Stato che da più parti si aspettava”683.

Erano ormai lontani i tempi della dura contrapposizione delle autonomielocali, e particolarmente di quelle amministrate dalla sinistra, con il Ministrodell’interno ed i prefetti, sia dal punto di vista istituzionale, sia da quello poli-tico. Anche se la mancanza delle grandi riforme, come quella della Pubblicaamministrazione nazionale e, soprattutto, quella di comuni e province facevascrivere a Cassese in quegli anni: “siamo nel regno di Babilonia”, era innegabi-le che all’inizio degli anni ’80, l’istituzione delle regioni e le pur insufficienti ri-forme avevano contribuito all’affermazione del ruolo delle autonomie locali.Dal punto di vista politico poi, il successo delle sinistre nelle elezioni ammini-strative locali negli anni ’70 e, in particolare negli anni ‘80, rafforzava la pre-senza di Pci e Psi nelle amministrazioni locali e di conseguenza, come si vedràoltre, anche nell’Anci.

2.1.1. Ruolo e compiti della Lega. I costi dell’impegno editoriale

La prima relazione di Stefani al consiglio nazionale, alla fine del 1980, fuparticolarmente importante. Il nuovo segretario prendeva posizione su tutti iprincipali argomenti che riguardavano le autonomie locali e l’organizzazione: lariforma dell’ordinamento locale, il ruolo ed i compiti della Lega. A questo pro-posito Stefani ricordava i due compiti essenziali della Lega, la “assistenza legis-lativa ad amministratori e Comuni contro le prevaricazioni centralistiche” e la“informazione e documentazione sui temi dello sviluppo di nuove esperienzeamministrative e della battaglia unitaria autonomistica”. Non vi era alcuna con-

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681L’impegno per la pace dei comuni della sinistra si sarebbe sviluppato anche sucessiva-mente. Il 9-12 ottobre 1986, si teneva a Perugia la terza conferenza degli enti locali denuclea-rizzati; Enzo Coli, A Perugia la terza conferenza degli enti locali denuclearizzati, Ipl nov. 1986,pp. 15-19.

682 Gli organi dirigenti della Lega dopo l’VIII congresso, Icd mar. 1980, pp. 86-7.683 Compiti e prospettive della Lega intervista al Segretario nazionale, Dante Stefani, Icd mar.

1980, pp. 3-9.

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correnza con le altre organizzazioni “’sindacali’ degli enti locali”, Anci, Upi,Uncem, Cispel, ma ammoniva che: “la Lega vive solo se è capace di suscitareun grande impegno politico e culturale delle forze di sinistra, laiche e demo-cratiche”. Chiedeva a questo proposito l’impegno dell’organizzazione per “ilmiglioramento della qualità della vita delle popolazioni amministrate”, per l’at-tuazione della riforma sanitaria, in favore del Mezzogiorno, “lo sviluppo delleforme di partecipazione democratica”, per la riforma della finanza locale. Ri-guardo alla politica internazionale, nel quadro delle difficoltà crescenti nei rap-porti est-ovest, prospettava “una presenza più attiva ed organica delle autono-mie all’interno degli organismi internazionali, il Consiglio d’Europa, l’Associa-zione dei comuni d’Europa”, due organi ai quali la Lega aveva dedicato fino adallora un’attenzione molto limitata, anche se, in particolare verso la seconda,negli ultimi anni crescente. Da allora, effettivamente, l’interesse della Lega ver-so l’Europa occidentale, i paesi e le organizzazioni degli enti locali dell’ovest siaccrebbe di molto, senza per questo dimenticare il tradizionale interesse versole autonomie locali dell’Europa del socialismo reale ed un più ampio interesseverso le città e le organizzazioni arabe684.

Quello che veniva messo in risalto alla fine della relazione era che lo sforzoeditoriale – quello attraverso il quale la Lega aveva risposto alle crescenti esi-genze politiche e, via via, soprattutto tecniche delle amministrazioni della sini-stra, e non solo di esse - era stato molto probabilmente troppo forte e le con-seguenze finanziarie stavano pesando in modo insopportabile sulle esigue ri-sorse della Lega. Era questa la sintesi del 14° e del 15° punto della relazione delsegretario. Per questo l’organizzazione aveva deciso di costituire “sul piano na-zionale il Centro iniziative ricerche documentazione per le autonomie locali[Cirdal] che deve compitamente decollare attraverso la realizzazione di Semi-nari e Corsi tecnici di aggiornamento sia per amministratori di carattere eletti-vo che per funzionari”. La sempre più spinta complessità dell’attività ammini-strativa locale, rendeva quindi necessario l’apertura di un Centro di documen-tazione, o per dirla con un linguaggio più moderno, di una Scuola di forma-zione per amministratori e funzionari delle autonomie locali.

Tutto questo per il futuro. Intanto, però, bisognava ripianare i debiti fatticon un’attività editoriale attraverso la quale, fino ad allora, si era tentato nonsolo di informare ma anche di svolgere quell’opera di formazione politica e tec-nica di funzionari ed amministratori che ora si sentiva il bisogno di organizza-re sistematicamente nel Cirdal che, teoricamente, doveva essere già stato avvia-to nel 1972685.

Lo spazio per una vera ristrutturazione dell’attività editoriale era però molto ri-stretto. La direzione della Lega, infatti, nonostante i dubbi posti qualche mese pri-ma dal direttore de “Il comune democratico”, Lucio Luzzatto, sull’utilità di averedue riviste, e di risolverne le relative difficoltà editoriali – economiche e di conte-

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684 Cfr. Jean Marie Bressand, Orente arabo-mussulmano e occidente, Icd lug.-ago. 1983, pp.105-114; L’organizzaione delle città arabe, Icd mag.-giu. 1983, pp. 130-1.

685 Si tratta del già citato “Centro di iniziative, ricerche e documentazione (CIRD)”, Il do-cumento politico del VI congresso, Icd dic. 1972, pp. 3-5.

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nuto686 -, aveva deciso di continuare ad avere due organi di stampa propri, il “Pote-re locale”, quindicinale, e “Il corriere democratico”, mensile, e di sviluppare la Gui-da. Salvati i due organi della Lega, ed il gioiello curato da Cassese, la Guida, la stret-ta si sarebbe dovuta limitare alle nuove pubblicazioni. Nel frattempo Stefani proce-deva alla riduzione dei debiti: “Siamo impegnati a ridurre del 50% la sua [della Edi-zioni delle autonomie] esposizione bancaria, ampliando le dimensioni del suo ca-rattere societario chiamando a farne parte un gruppo di Leghe regionali”687.

Il segretario non le citava ma, evidentemente, le Leghe regionali chiamate acontribuire a coprire il buco nella casse della Lega nazionali non potevano cheessere, in primo luogo quelle dell’Emilia-Romagna, della Toscana, dell’Umbriae delle Marche, dove più forti erano le amministrazione locali della sinistra, male strutture regionali non si sarebbero limitate a pagare i debiti. Nel gennaio del1981 si annunciava una nuova collana della Edizioni delle autonomie: “Proget-to salute”688, a febbraio era la volta di un bimestrale regionale: “Regione e gover-no locale. Bimestrale di documentazione giuridica della Regione Emilia-Roma-gna”, sempre edito dalla Edizioni delle autonomie689. E nel 1984 appariva ne “IlComune democratico” la pubblicità di una nuova collana della casa editrice del-la Lega: Strumenti. Collana diretta dalla Provincia di Bologna, con ben 7 titoli690.

2.3. La ripresa della ricerca dell’unità del movimento

Il 3 febbraio 1981, si svolgeva presso il Campidoglio una manifestazionecongiunta Lega-Upi-Cispel sui problemi della finanza locale, al termine gli am-ministratori si recavano presso la Commissione Finanza del Senato691. Erano or-mai passati sei anni dalla vittoria delle sinistre nelle elezioni locali, erano lonta-nissimi i tempi dell’isolamento della Lega. In quel momento, se c’era chi pote-va lamentare un certo isolamento, era proprio l’Anci: il Campidoglio era gui-dato da una giunta capeggiata dal comunista Luigi Petroselli; alla testa dell’U-pi c’era il socialista Gianvito Mastroleo, presidente della provincia di Bari; allatesta della Cispel c’era il comunista Armando Sarti.

Alla fine del 1981 un Documento del gruppo di lavoro per l’organizzazione in pre-parazione della conferenza nazionale di Pesaro ribadiva le citate affermazioni del se-gretario in occasione del consiglio nazionale rafforzando le note sulla natura dellaLega: “La Lega deve valorizzare quel carattere di associazione di movimento, ca-pace di aderire alla complessità della situazione italiana in modo più duttile e arti-

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686 Lucio Luzzatto, Seminario sull’editoria della Lega. Relazione sul Comune democratico, Icdlug. 1980, pp. 83-9.

687 Consiglio nazionale della Lega. Relazione del segretario nazionale sen. Dante Stefani, Icddic. 1980, pp.15-35.

688 Una nuova collana delle Edizioni delle autonomie: “Progetto salute”, Icd gen. 1981, pp. 91-4.689 Pagina pubblicitaria, Icd feb. 1981, p. 22.690 “Le ‘Edizioni delle autonomie’ presentano ad amministratori e studiosi di autonomie lo-

cali una nuova collana – STRUMENTI – che tratta di concrete esperienze di ricerca e di pro-grammazione effettuate dalla Provincia di Bologna”.Icd gen.-feb. 1984, p. 44.

691 Una manifestazione della Lega per la soluzione dei problemi della finanza locale, Icd feb.1981, pp. 19-21.

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colato degli stessi partiti, e di organizzazione aperta a uno schieramento ampio eunitario di tutte le forze realmente autonomiste”. L’obiettivo fondamentale da rag-giungere era, comunque, lo stesso: “Sta proprio nell’impegno che nazionalmentee regionalmente l’organizzazione saprà profondere che si potranno risolvere le tan-te difficoltà ancora presenti nella Lega e insieme sanare la situazione finanziaria”692.

Delineata la natura della Lega, l’obiettivo che si delineava successivamenteera, ancora, l’unità del movimento. Nel novembre del 1981, nella sua relazio-ne alla Conferenza nazionale di Pesaro, Dante Stefani proponeva di avviare un“processo con l’ipotesi di un patto di consultazione, per una specie di tavolo dilavoro comune, permanente, con l’Anci, con l’Upi, con i Presidenti delle re-gioni, la loro consulta, con l’Aicce, con la Cispel, con le comunità montane,con le stesse associazioni degli amministratori cui hanno dato vita il Partito so-cialista e la Democrazia cristiana”693.

Sempre a Pesaro, relativamente alla struttura dell’organizzazione, veniva de-cisa l’attribuzione alla casa editrice Edizioni delle autonomie dei costosi com-piti editoriali e di continuare a mantenere due periodici, “Il comune democra-tico” e “Il potere locale”, verificandone costi e compatibilità694.

2.3.1. Giannini e Cassese, continuano a collaborare con la Lega

L’accentuazione del carattere giuridico-istituzionale della storica rivista del-la Lega, divenuta bimestrale695, veniva messa in risalto dall’attribuzione a Mas-simo Severo Giannini dalla presidenza del “Comitato di garanti” a cui venivaattribuito “il compito di contribuire alla elaborazione del programma” della ri-vista affinché questa rimanesse “importante punto di riferimento per tutti co-loro che si battono per l’attuazione del dettato costituzionale”696. All’inizio de-

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692 Documento del gruppo di lavoro per l’organizzazione in preparazione della conferenza na-zionale di Pesaro, Icd ott. 1981, pp. 99-106.

693 Un strategia per il rinnovamento. Sintesi della relazione del segretario nazionale sen. DanteStefani, Ipl nov.-dic. 1981, pp. 4-7.

694A Pesaro era stata presa in esame anche l’attività editoriale di cui era stata tracciata unabreve storia. Sorta nel 1977, la casa editrice della Lega, aveva pubblicato 33 titoli nel primobiennio, 23 nel 1979, 46 nel 1980, 49 fino all’ottobre 1981. Il fatturato di 348 milioni nel1978, era passato a 543 l’anno successivo, 64 nel 1980 e 711 fino all’ottobre 1981. Quattroerano le collane: “Istituzioni e programmazione”, “Amministrare l’urbanistica”, “Come fare” e“Progetto salute”; dal 1978 si era poi sviluppata una vera e propria “editoria di servizio” per am-ministratori e tecnici del governo locale che aveva via via aumentato il proprio peso in terminidi titoli e fatturato, passato dal 12,6% del 1979, al al 49% del 1981; la pubblicazione di mag-gior rilievo in questo ambito era, naturalmente, l’Annuario; Editoria ed informazione. Sintesidella relazione di Luigi Ladaga, Ipl nov.-dic., pp. 7-8.

695 La rivista della Lega, “Il comune democratico”, dal gennaio 1982 diveniva bimestrale epassava alla direzione del sen. del Pci Enzo Modica, Presidente della Commissione parlamen-tare per le questioni regionali e del segretario nazionale aggiunto, il socialista Santini.

696 Sen. Dante Stefani, Editoriale, Icd gen,-feb. 1982, pp. 3-4; la nuova direzione ed il “Co-mitato dei garanti” sarebbero apparsi in II di copertina dal numero successivo, il n. 3 mag.-giu.1982, da quello stesso nuomero al sottotitolo si aggiungevano le regioni e mutava in “Rivistadelle autonomie locali e delle regioni”.

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gli anni ’80, dunque, due dei maestri della giurisprudenza italiana, Giannini eCassese, collaboravano, contemporaneamente, all’organizzazione delle autono-mie locali della sinistra. Del “Comitato di consulenza” della rivista, presiedutoda Giannini, avrebbero fatto parte Enzo Cheli, Mario Leone, Fabio RoversiMonaco, Dante Stefani, Maurizio Valenzi e Ugo Vetere697.

2.3.2. Tentativi per un coordinamento unitario delle associazioni delle autonomie

Il 12 luglio 1982 si riunivano a Bologna l’Anci, l’Upi, l’Uncem, la Cispel, laLega e anche l’Anael, l’organizzazione degli amministratori democristiani, per“ottenere un provvedimento immediato di riforma della finanza locale, nel ten-tativo di evitare per il 1983 il ripetersi della ormai abituale abnorme situazionedi incertezza, di confusione e di conflittualità tra il governo e gli enti locali sul-la entità dei trasferimenti e le norme per compilare i bilanci”. Come scriveva ilsegretario: “per la prima volta si è realizzato un convegno promosso unitaria-mente dall’insieme del movimento autonomistico degli enti locali. È una novi-tà che va nella direzione del coordinamento del lavoro delle associazioni da noiauspicato più volte e sulla quale occorre fare una più attenta riflessione”. La Le-ga, concludeva Stefani, era disponibile a proseguire il percorso di collaborazio-ne: “Essa deve sempre più caratterizzarsi come organizzazione unitaria di lottaper l’attuazione dello stato delle autonomie, per una migliore qualità della vi-ta, per un ampio sviluppo delle forme di democrazia e di partecipazione popo-lare, impegnata in un’opera di sviluppo e di rafforzamento e di adeguamentodei propri strumenti per corrispondere alle esigenze degli amministratori e del-la promozione di una più diffusa e approfondita cultura autonomista”. Era innome di una migliore qualità della vita dei cittadini, delle esigenze degli ammi-nistratori e della promozione di una più diffusa e approfondita cultura autonomi-sta che era possibile un’azione comune delle organizzazioni del movimento perle autonomie locali. La Lega, concludeva Stefani, dimostrava concretamente lapropria volontà unitaria con le manifestazioni come quella di Bologna e, “sulpiano culturale, [con] l’Annuario delle autonomie e la nuova edizione de ‘Il co-mune democratico’”698.

2.3.3. Il congresso di Bologna del 1984: una modificazione strutturale dellaLega

Il IX congresso della Lega si svolse a Bologna dal 1° al 3 marzo del 1984, nelpieno di quella che il segretario Stefani nella sua relazione preparatoria all’ap-puntamento definiva come la “diffusa […] consapevolezza e la preoccupazioneper l’estendersi del senso di distacco fra cittadini e istituzioni e di sentimenti disfiducia nell’operato dello Stato”, e la crisi del “processo di decentramento au-

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697 Comitato di consulenza, Icd mag.giu. 1982, II di copertina.698 Dante Stefani, Assise di Bologna: l’impegno delle autonomie, Icd lug.-ago. 1982, pp. 99-104.

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tonomistico arrivato con le Regioni”. L’obiettivo era definire “l’apporto del si-stema delle Autonomie locali e regionali al rinnovamento del Paese”. Un ap-porto che sembrava facilitato dalla “definitivamente superata vecchia diatribafra Anci e Lega. Le due Associazioni [infatti] hanno saputo dimostrare di nonessere in antagonismo, ma anzi di avere ognuna compiti specifici complemen-tari”, anche se, teneva a sottolineare il segretario, rimaneva intatto lo storico le-game dell’organizzazione con le forze della sinistra. Stefani, infine, ribadiva ildoppia funzione della Lega, politica, “per il confronto delle esperienze” e tec-nica, “per la formazione e qualificazione degli eletti”, con una significativa – perquanto implicita - accentuazione di quella tecnica699. D’altra parte era indubi-tabile che delle due funzioni quella che meno aveva avuto successo era quellapolitica, come sottolineava il documento preparatorio al Congresso nel qualeera scritto che: “visti i risultati a cui si è pervenuti, bisogna constatare realisti-camente che la tensione del movimento autonomista non è stata identica pertutti e non è stata sufficiente”. Con l’espressione finale “non è stata identica pertutti e non è stata sufficiente” si salvava, ma solo implicitamente, dal fallimentol’opera della Lega e la condanna veniva attribuita ad Anci ed Upi, ma la circo-stanza veniva comunque rilevata.

Così come veniva rilevato il rallentamento del processo di decentramento,causato dalle difficoltà del processo di attuazione del decentramento democra-tico dello Stato e dalle difficoltà economiche complessive. Il decentramento finqui attuato ava causato lo squilibrio fra “entrate” e “funzioni”, ed il mancatosviluppo delle riforme aveva causato pericoli di vuoto legislativo, e difficoltà delmovimento autonomista. Al primo posto tra queste difficoltà c’era il “fenome-no del neo-centralismo regionale, ricalcato su vecchi modelli centralistici cen-trali”. Una denuncia chiara e determinata come mai era stata fatta fino ad allo-ra che evidenziava l’illusione di un movimento autonomista che avrebbe dovu-to sostenere, contemporaneamente, le ragioni di autonomie locali e regioni. Perquanto riguarda i rapporti con le altre organizzazioni delle autonomie locali, laLega sosteneva “la proposta di una forma permanente di consultazione fra levarie organizzazioni degli Enti locali e con la stessa Conferenza dei Presidentidelle Regioni”. A poco meno di un anno dalla istituzione della Conferenza Sta-to-Regioni (D.P.C.M. 12 ottobre 1983) - ed a quasi ventanni dalla proposta diSantarelli del 1966 - la Lega chiedeva la costituzione di un organo di raccordotra la Conferenza delle regioni e le organizzazioni delle autonomie locali che ri-solvesse le questioni tra istituzioni regionali e locali attraverso un confronto pa-ritario.

Il congresso doveva sancire la “modificazione strutturale” della Lega e pre-pararla alle sfide degli anni successivi. Per quanto riguarda l’ambito interno gliargomenti sui quali concentrare l’attenzione erano: qualità della vita delle po-polazioni, casa, assistenza, servizi; partecipazione; occupazione e sviluppo; pic-coli comuni; Mezzogiorno; criminalità organizzata. Relativamente all’attivitàinternazionale la Lega si sarebbe dovuta impegnare per la pace, il disarmo, la

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699 Dante Stefani, Crescita e rinnovamento delle autonomie locali per lo sviluppo del paese, Icdgen.-feb. 1984, pp. 3-6.

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fame nel mondo; avrebbe dovuto rafforzare il proprio ruolo nelle organizzazio-ni internazionali come la Fmvj, sostenere l’Aicce.

Strumenti ed attività istituzionali della Lega dovevano essere potenziati, equesto riguardava in primo luogo il Cirdal, per la formazione e consulenze dicarattere giuridico, fiscale e finanziario. Per quanto riguarda l’attività editorialeveniva deciso, tra l’altro, di pubblicare una guida dell’amministratore locale invista delle elezioni amministrative del 1985.

Veniva proposta, infine, la semplificazione del nome della Lega che diveniva“Lega delle autonomie locali” ed il ripristino della previsione nello statuto diun’assemblea annuale, abrogata nel precedente congresso di Firenze700.

Il segretario, nella relazione svolta al congresso, confermava le affermazionisviluppate nella relazione preparatoria, con una interessante sottolineatura dellanecessità di lavorare “per il recupero di immagine, della credibilità e dell’impe-gno delle autonomie”, per rilanciare “nei confronti dei cittadini il valore di unpotere locale che rappresenti le radici dello Stato”. Era anche per questo obietti-vo che si chiedeva di rafforzare il “Comitato di intesa tra tutte le associazioni na-zionali formatosi nei mesi scorsi” sostenuto dalla Lega e, a proposito dell’attivi-tà editoriale - evidentemente quella maggiormente impegnativa dal punto di vi-sta finanziario - il segretario chiedeva di verificare “se esistono le condizioni conle altre associazioni delle autonomie per una azione editoriale congiunta”701.

2.4. Il difficile rapporto con l‘Anci. La Lega organizza gli incontri di Viareggio

La volontà della Lega di costruire una linea comune del “movimento auto-nomistico degli enti locali” si evidenziava anche nella decisione di proseguire latradizione degli incontri di Viareggio sulla finanza locale. Avviato nel 1963, ilConvegno di Viareggio divenne a partire del 1967702 un appuntamento via viasempre più importante, in occasione del quale gli amministratori locali si con-frontavano tra loro e con il governo. Divenuto una sorta di assemblea annualedell’Anci, alla quale partecipavano con sempre maggiore rilievo anche i rappre-sentanti della Lega all’inizio degli anni ’80, in concomitanza con l’affidamen-to della presidenza al sen. Riccardo Triglia, l’Associazione dei comuni, decise dinon promuoverne più l’organizzazione. Dal 1984 fu quindi la Lega a prendereil posto dell’Anci accanto al comune di Viareggio, continuando così “l’ormaitradizionale Convegno sulla Finanza locale” come sottolineava l’editoriale chene ricordava lo svolgimento dall’11 al 13 ottobre 1984703. Era probabilmentequesto il primo, significativo, segnale dello spostamento della competizione traAnci e Lega dall’ambito politico a quello tecnico.

198 PARTE III

700 Documento preparatorio per il IX congresso nazionale della Lega, Icd gen.-feb. 1984, pp.17-43.

701 Dante Stefani, Relazione al IX congresso nazionale della Lega delle autonomie, Icd mar.-apr.1984, pp. 3-20.

702 Nel 1967, dopo un’interruzione, si era svolto il III convegno della serie. 703 Il convegno di Viareggio. La finanza locale e la legge finanziaria 1985, Icd lug.-ago. 1984,

pp. 3-7.

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2.4.1. Lega/Anci: dalla competizione politica a quella tecnica

La sfida Anci-Lega comunque, non sarebbe cessata. Da quel momento lacompetizione tra le due strutture dal punto di vista ideologico si sarebbe via viastemperata per cessare, sostanzialmente, nei primi anni ‘90 e si sarebbe sposta-ta sulla capacità di fornire concreti servizi agli amministratori e di rispondere aibisogni dei cittadini. Non era quindi certo un caso se tra le iniziative che il se-gretario Stefani chiedeva di sviluppare al IX congresso vi erano l’istituzione deldifensore civico, la carta dei diritti del malato, e “la carta dei diritti dell’utenteproposta dalla Cispel”704.

L’accresciuta importanza della funzione di supporto alla funzione di gover-no svolta dagli amministratori locali era evidentissima nell’evoluzione dell’An-ci durante la presidenza Triglia. Tra il 1982 ed il 1992, grazie a Triglia, l’Ancisviluppava molto la propria funzione di servizio ai comuni anche avvalendosi,dal 1986, di un nuovo segretario Lucio D’Ubaldo, un giovane democristianoche sostituiva Giovanni Santo, in carica per ventanni. I principali obiettivi po-litico-istituzionali sarebbero rimasti gli stessi degli anni e dei decenni prece-denti - la riforma delle autonomie locali e la loro autonomia impositiva e fi-nanziaria – ma grazie al presidente piemontese l’organizzazione ebbe una strut-tura più forte ed un deciso radicamento territoriale che la mise in grado di com-petere con la Lega sul piano tecnico-istituzionale. Il presidente dell’Anci inco-raggiò la nascita di Anci regionali e rafforzò la struttura dell’organizzazione pergarantire ai comuni un’adeguata consulenza finanziaria, amministrativa e sin-dacale, rispetto ai lavoratori comunali e ricoprì anche le cariche di vicepresi-dente e poi presidente dell’organizzazione internazionale dei comuni, la UnionInternationale des Villes - International Union of Local Autorithies, primo ita-liano a raggiungere i vertici del movimento comunale internazionale.

Nel 1986 Triglia avviò la pubblicazione della Guida normativa per l’ammini-strazione locale, a cura del segretario comunale Fiorenzo Narducci, che si affiancòprima e si sostituì poi all’Annuario delle autonomie locali pubblicato dalla Lega.Dal 1997, infatti, cessata la pubblicazione dell’Annuario curato da Cassese, laGuida normativa è divenuta, per sinteticità e completezza, uno strumento unicoa disposizione di tecnici ed amministratori comunali, nel pur ricco mercato del-la pubblicistica di supporto all’attività amministrativa delle autonomie locali.

L’anno seguente alla pubblicazione della prima Guida normativa, nel 1987, ilpresidente dell’Anci promosse la rete telematica Ancitel, che realizzò sul modello diquella dell’Unioncamere705, anche con un l’appoggio del Ministero dell’interno706.

DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 199

704 Dante Stefani, Relazione al IX congresso nazionale della Lega delle autonomie, Icd mar.-apr.1984, pp. 3-20.

705 Si ringrazia per questa informazione il sen. Riccardo Triglia.706 L’organizzazione, infatti, firmò un apposito protocollo d’intesa con il Viminale che sta-

biliva una convenzione tra le due parti in base alla quale Ancitel poteva fornire agli “enti loca-li agli enti ed uffici interessati” notizie, dati e documentazione del Ministero relativa a norma-tiva, studi, dati statistici della più varia natura in cambio di “una corretta utilizzazione e tra-smissione dei dati forniti dal Ministero dell’interno” ed alla fornitura “in comodato fino a 120terminali videostampanti […] destinati alle prefetture ed agli uffici del Ministero”; Servizi per

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L’espansione dell’attività di supporto tecnico-amministrativo e delle stesseorganizzazioni nella seconda metà degli anni ‘80 aveva un definitivo riconosci-mento della sicurezza e della stabilità delle entrate che, per quanto riguarda laLega, era particolarmente importante. Era infatti nel 1987, con l’approvazionedel DPR del 31 agosto 1987, n. 359, Provvedimenti urgenti per la finanza loca-le che la Lega, seppur non nominata ufficialmente, vedeva riconosciuta - al pa-ri delle altre organizzazioni, che da anni ne usufruivano - la possibilità di ri-scuotere i contributi dagli enti associati attraverso appositi ruoli affidati ai con-cessionari del servizio nazionale di riscossione, con l’obbligo di garantire ade-guate forme di pubblicità al proprio bilancio sul piano nazionale707. Con que-sta norma si ufficializzava la fine, ormai avvenuta da tempo nei fatti, degli in-terventi censori dei prefetti contro le delibere di iscrizione alla Lega che aveva,così la garanzia di una regolare contribuzione708 da parte degli associati.

2.5. La Lega e la nuova sfida dell’unità del movimento per le autonomie locali

Il muro del conflitto ideologico che divideva la Lega dalle altre organizza-zioni del movimento per le autonomie locali cadde, sostanzialmente, nei primianni ‘80, e quindi prima della caduta del Muro di Berlino che nel 1989 segnòl’inizio della fine della divisione del mondo in blocchi contrapposti. Le vittorieottenute dei partiti della sinistra nelle elezioni locali, a partire dal 1975, aveva-no mutato gli equilibri politici nelle principali organizzazioni del movimentoper le autonomie locali, prima nelle mani della Democrazia cristiana. Nel 1976era stato eletto presidente dell’Upi il socialista Franco Ravà, presidente dellaProvincia di Firenze. Dieci anni dopo, nel 1986, l’Unione venne guidata da unaltro presidente della provincia di Firenze, ma questa volta comunista: AlbertoBrasca.

Caduta la pregiudiziale ideologica, lo spirito unitario della Lega, insito nel-la struttura stessa dell’organizzazione, che raggruppa senza distinzioni comuni,province e comunità montane, si rafforzava e spingeva l’associazione a farsi de-cisa promotrice di un processo di unificazione, sul piano orizzontale, tra le di-verse organizzazioni delle autonomie locali, e di coordinamento, sul piano ver-

200 PARTE III

i comuni. Roma, 27 maggio 1987, in I documenti dell’Anci…, vol. II, pp. 290-1; una nuova con-venzione veniva firmata ancora nel 1991, Attività di servizi. Roma, 11 marzo 1991, in I docu-menti dell’Anci…, vol. III, pp. 251-2.

707 Nell’art. 27 era riconosciuta tale possibilità ad Anci, Upi, Aicce, Uncem, Cispel ed alle“altre associazioni degli enti locali e delle loro aziende con carattere nazionale e dell’Unione ita-liana della camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura”; il DPR era convertitonella legge n. 440 del 29 ottobre 1987, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge31 agosto 1987, n. 359, recante provvedimenti urgenti per la finanza locale, (GU 31 ott. 1987,n. 255). La norma è ora ricompresa nel Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti lo-cali (art. 270) del 2000.

708 L’iscrizione ai ruoli eliminava rischi di ritardi o dimenticanze nel pagamento delle quo-te associative da parte degli enti locali; rimaneva salva, naturalmente, la possibilità di recessodell’ente locale.

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ticale, tra queste e le regioni, per mezzo della Conferenza dei Presidenti delleRegioni, per regolare i rapporti, sempre più complessi, tra autonomie locali eregioni.

Era questo un processo che evidenziava, per l’ennesima volta, la capacitàprogettuale di cui la Lega è portatrice come organizzazione di carattere spicca-tamente politico rispetto alle altre strutture del movimento. Il progetto di Ste-fani del 1984, infatti, sottolineava nuovamente l’esistenza nel movimento perle autonomie locali del bisogno di un organo di raccordo complessivo tra au-tonomie locali, regioni e Stato, bisogno che si era manifestato in forma ricor-rente nella storia del movimento e che sarebbe stato soddisfatto nella secondametà degli anni ’90 con l’istituzione della Conferenza unificata. Da sottolinea-re il fatto che, in linea con l’impostazione politica data alla questione dell’au-tonomia locale, propria della Lega, Stefani suggeriva “una forma permanente diconsultazione fra le varie organizzazioni degli Enti locali e con la stessa Confe-renza dei Presidenti delle Regioni”, non tra istituzioni.

Un’impostazione non-istituzionale dei rapporti tra autonomie locali e re-gioni, e di conseguenza tra queste e lo Stato, che la Lega, pur inconsapevol-mente, condivideva con la posizione espressa da due tra i maggiori maestri deldiritto, Massimo Severo Giannini e Roberto Lucifredi. Questa era l’espressioneparticolarmente efficace con la quale nel 1960 Lucifredi, riprendendo sostan-zialmente le posizioni di Giannini in materia, riassumeva la sua posizione con-traria alla storica proposta dell’Anci di costituire un Consiglio superiore dei co-muni per regolare i rapporti tra lo Stato e le autonomie locali: “La mia per-plessità nasce essenzialmente dal timore di aumentare la selva selvaggia e so-vrabbondante dei nostri organismi amministrativi con una pianta in più, le cuirigogliose ramificazioni forse contribuirebbero a rendere ancora più intricata laselva, senza rendere apprezzabilmente più respirabile l’aria circostante”709.

2.5.1. 1986: Il settantesimo anniversario della fondazione

La celebrazione del settantesimo anniversario della fondazione delle Lega,avvenuta a Bologna il 13 dicembre 1986 nella sala del consiglio comunale diPalazzo D’Accursio, era occasione di interessanti riflessioni sul ruolo politico edistituzionale della Lega nella storia nazionale, pur con evidenti finalità politichee, soprattutto, di polemica partitica. Un’occasione comunque importante pergli spunti che fornisce per capire come la classe politica di quegli anni inter-pretava la propria funzione in relazione ai fatti storici. Com’era avvenuto inprecedenti celebrazioni, le considerazioni sulle vicende complessive dell’orga-nizzazione si basavano, tutte, sull’errata presunzione di una sostanziale conti-nuità storica della Lega tra periodo liberale e repubblicano, interrotta solo dal-la violenza fascista e non invece, come fu nella realtà, da una miope decisioneassunta nel 1922 dalla direzione massimalista del Psi.

DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 201

709Istituzione del Consiglio superiore degli enti locali. 3) Relazione dell’On. Prof. Avv. RobertoLucifredi, in “Notiziario Anci”, n.6-7, giu.-lug.1960, pp.VII-IX.

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Per Corghi la diversità tra la Lega del periodo liberale e quella della Repub-blica era dovuto soprattutto al “contesto” - principalmente dalla Costituzionequindi - che rendeva improponibile il riferimento ad un partito e favoriva, in-vece, “una prospettiva aperta a tutte le forze politiche che si battono perché laRepubblica sia fondata sulle Autonomie”. “Una prospettiva aperta” che, sem-pre secondo Corghi, aveva favorito l’azione comune di “uomini di diversa ma-trice politica e culturale […] per riaffermare i valori autonomistici quando essivenivano in vario modo deviati dal potere centrale”710.

Il segretario, Stefani, riassumeva brevemente la storia della Lega in pochitratti: la Lega del periodo liberale “una vita breve fatta di slanci, di fervore idea-le, di forte iniziativa, ma anche assai travagliata”, “le divisioni al suo interno frariformisti e massimalisti, la scissione fra socialisti e comunisti”, la fine volutadal fascismo. Quindi la rinascita nel 1947, i durissimi anni ’40 e ’50, quelli de“il reato di essere sindaco”, poi gli anni ’60 e ’70 nei quali “si va delineando laLega di oggi, protagonista di un ampio movimento politico e culturale auto-nomista” e ancora gli anni della nascita dell’ordinamento regionale e dell’avviodel processo di decentramento. Per arrivare agli anni ’80, dell’intollerabile ri-tardo della riforma della legge comunale e provinciale e della finanza locale cherendeva necessario “l’11° decreto annuale per disciplinare i bilanci dei comunie delle province”. Gli anni delle mancate riforme che sarebbero state indispen-sabili per superare le difficoltà più forti della vita degli enti locali, “a partire daquelle forme associative per i piccoli comuni”.

Stefani ribadiva, infine, quella che può essere definita come la sfida dell’uni-tà portandola sul terreno della ricerca storica. Il segretario denunciava che “lastoria delle Autonomie è parte integrante della storia del nostro paese, [ma]troppo spesso trascurata e sottovalutata dalla ricerca storica” ed annunciava ladecisione della ‘Lega’ di intraprendere il lavoro per costituire un ‘archivio stori-co delle autonomie’, per il recupero, la conoscenza, lo studio e la valorizzazionedi un patrimonio ricchissimo ed unico”711. Una proposta, mai attuata, suggeri-ta dalla concomitanza delle celebrazioni della fondazione di Anci e Lega che ri-cordavano, rispettivamente, l’85° ed il 70° anniversario.

2.5.2. L’elogio della “doppiezza” e la difesa dell’autonomia

Un intervento molto interessante era quello di Giuliano Amato, all’epoca Sot-tosegretario alla Presidenza del consiglio dei ministri nel secondo Governo Cra-xi, la cui presenza sottolineava l’importanza che il Partito socialista di BettinoCraxi tributava all’organizzazione delle autonomie locali della sinistra712. Amato

202 PARTE III

710 Corrado Corghi, Settanta anni!, Icd gen.-apr. 1987, pp. 3-7.711 Dante Stefani, Le autonomie oggi e domani, Icd gen.-apr. 1987, pp. 9-14.712 È comunque necessario ricordare, a testimonianza dell’importanza assunta dall’Anci in

quegli anni, che al congresso di Padova dell’Anci che si era svolto un paio di mesi prima, era-no intervenuti, per il governo, oltre al Presidente Craxi, il Ministro dell’interno, Oscar LuigiScalfaro e il Sottosegretario al Tesoro Carlo Fracanzani; Paola Poeta, I comuni, il governo del ter-ritorio, le nuove infrastrutture civili, Ipl nov. 1986, pp. 7-14.

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ripercorreva la storia della Lega con uno spirito opposto a quello affermato negliinterventi di Corghi e Stefani ricordando che la “lega socialista dei comuni fu, asuo tempo, un fattore di divisione”. Il sottosegretario, quindi, sosteneva la neces-sità di cercare lo “specifico” della Lega delle origini e ricordava che la battaglia perl’autonomia, nella storia d’Italia, era stata anche una battaglia conservatrice. Sot-tolineava, a questo proposito, i fini profondamente diversi dell’autonomia chie-sta dai cattolici di Murri e di quella voluta dai socialisti di Costa, per i quali il co-mune era “particolarmente pertinente alla trasformazione socialista della societàdi allora”. Ricordava che la Lega dei comuni era nata proprio perché i socialistivolevano distinguersi da quelli che volevano l’autonomia come “uno strumentodi integrazione al pari di altri”, per sostenere invece, “il comune contro lo Stato”.

Amato affermava ancora che “lo specifico” socialista riguardo ai comuni erauna caratteristica che era “sempre stata vista come critica: doppiezza. Una sor-ta di provvidenziale doppiezza” che, per l’esponente socialista era evidentemen-te positiva. Grazie alla doppiezza fu possibile “il riformismo come azione diquotidiano miglioramento delle condizioni dei ceti popolari, [ma] attraversouna immaginazione del comune come strumento che serve per creare un’altrasocietà”. La stessa doppiezza, sottolineava, che permetteva ai socialisti di lavo-rare concretamente nelle cooperative, senza abbandonare la prospettiva di unasocietà socialista.

Ma quello che era rimasto più vivo del passato, secondo Amato, era pur-troppo il pericoloso concetto del “comune contro lo Stato”, in parte giustifica-to dai ritardi nelle riforme di cui soffrivano gli enti locali. Il pericolo era che legiuste lamentele contro le colpe dello Stato portassero alla sovrapposizione del-l’autonomismo di Murri, conservatore, con quello di Costa, progressista, e siarrivasse ad un autonomismo che fosse “un indistinto canto a difesa delle au-tonomie”. Portava quindi ad esempio la questione dei piccoli comuni: “non èpossibile che sia un’istituzione forte di una democrazia forte, un’istituzione lo-cale che non abbia caratteristiche strutturali idonee ad essere forte”. “Io credo– concludeva Amato – che il comune sia uno strumento e non un fine e voglioche sia costruito, apprezzato e conformato in modo tale da essere ancora oggiuno strumento di progresso e se deve cambiare […] è bene che cambi”, perchéquelli che dovevano essere tutelati erano i bisogni della comunità che non po-tevano essere soddisfatti da comuni troppo piccoli. Per questo la riforma delleautonomie era prioritaria per il governo713.

L’intervento di Amato deve essere letto alla luce della battaglia e della pole-mica partitica di quegli anni. Mentre il Partito comunista a partire dagli anni’70, dall’opposizione, era impegnato a costruire una prospettiva di collabora-zione con i cattolici, il Psi di Amato sottolineava orgogliosamente la propriaidentità sia nei confronti del maggiore partito di opposizione, il Pci, sia neiconfronti del maggiore partito nazionale, la DC, con il quale era al governo, so-stenendo la prospettiva di uno Stato e di un Presidente del consiglio più forte.In questo quadro era evidente che il Psi considerava con estrema diffidenza lapolitica della Lega che, da un lato, perseguiva una strategia unitaria riguardo al

DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 203

713 Giuliano Amato, Democrazia ed efficienza, Icd gen.-apr. 1987, pp. 23-30.

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movimento per le autonomie locali e, dall’altro, difendeva a spada tratta il prin-cipio dell’autonomia locale. In particolare era forte lo scontro sul principio del-l’autonomia locale. Il sottosegretario Amato riproponeva all’attenzione dellaLega, anche se con toni decisamente meno polemici, gli stessi elementi postidal Presidente del consiglio Bettino Craxi alla IX assemblea congressuale del-l’Anci che si era svolta a Padova ad ottobre di quello stesso anno. A Padova ilPresidente Craxi, aveva posto il problema di una complessiva revisione delleistituzioni di governo del territorio, a partire, in particolare, dai comuni714.

Era Zangheri, comunista di Imola ed ex-sindaco di Bologna che rispondevaall’intervento di Amato. Il sindaco reclamava innanzitutto la necessità di rifor-me per gli enti locali, ricordava, insieme, la Lega dei comuni socialisti, il leg-gendario sindaco socialista di Bologna Zanardi, Murri e Sturzo, e ancora l’An-ci, organizzazione unitaria dei comuni, della quale, sottolineava, un altro gran-de sindaco di Bologna, Dozza, era stato protagonista. Ricordava le iniziative diCosta, sindaco della sua Imola e ancora la Costituzione e la “Repubblica fon-data sulle autonomie”. Affermava il valore intrinseco delle autonomie localiquali “antidoto all’accentramento politico, economico, ma anche culturale, maanche televisivo, ma anche dell’informazione”. Comuni e province, oltrechésoddisfare i bisogni delle comunità dovevano “dare un senso alla comunità lo-cale, un senso di appartenenza alla comunità locale”, la riforma, concludevaZangheri, doveva riguardare certamente le autonomie locali, ma anche la Pre-sidenza del consiglio, lo Stato e il Parlamento715.

La risposta ad Amato non poteva essere più chiara. La strategia dell’unità delmovimento per le autonomie locali era fissata, e se era bene pensare alla rifor-ma dei comuni, bisognava fare riferimento ad essi, soprattutto come fonda-mento di democrazia. E nello stesso tempo, insieme alla riforma delle autono-mie locali, sottolineava Zangheri, era indispensabile provvedere alla riformadelle massime istituzioni nazionali, Stato e Parlamento compresi.

2.6. Il malessere delle autonomie locali

Alla fine degli anni ‘80, gli anni che precedettero la riforma delle autonomielocali, cresceva l’insofferenza della società nazionale nei confronti delle istitu-zioni ed il malessere delle autonomie locali per la mancanza sia di una riformacomplessiva dell’ordinamento che le riguardava, sia della finanza locale. Nel1987, a distanza di dieci anni dalla Riforma Stammati, tutto era ancora comeprima. Scriveva Giuseppe Falcone ne “Il comune democratico”: “È fallita l’am-ministrazione centrale dello Stato, anche nella espressione più alta: Governo eParlamento, perché in dieci anni non è riuscita a varare una riforma organicadelle prime cellule di uno Stato: Comuni e Province, e ha continuato per prov-vedimenti tampone […] È fallita l’amministrazione regionale, incapace di tro-vare una propria identità e un proprio fine, in eterno conflitto da una parte con

204 PARTE III

714 Poeta, I comuni, il governo del territorio..., cit.715 Renato Zangheri, Nuove prospettive per le autonomie, Icd gen.-apr. 1987, pp. 31-36.

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l’amministrazione centrale e dall’altra con le autonomie locali […] Sono fallitele stesse autonomie locali sia nella loro individualità che nelle loro associazioni,altrettanto incapaci di perseguire un disegno obiettivo”716.

Dopo un infruttuoso incontro con il Presidente del consiglio Craxi conl’Anci, l’Associazione, insieme ad Upi ed Uncem e con l’appoggio di Lega e Ci-spel, proclamava per il 2 febbraio 1987 una manifestazione di protesta di tuttii consigli comunali d’Italia e per il successivo giorno 11 una manifestazione disindaci in Campidoglio, nel corso della quale intervenivano i presidenti di An-ci, Upi ed Uncem, e il presidente della Regione Lazio, Montali, che portava ilsaluto della Conferenza dei presidenti delle regioni. Quello stesso giorno il pre-sidente Triglia veniva ricevuto dal Presidente della Repubblica, Giuseppe Cos-siga, al quale leggeva un messaggio di tutte le organizzazioni che avevano pro-mosso la manifestazione e dell’Aiccre717.

L’anno seguente, la minaccia terroristica che arrivava a colpire il mondo del-le autonomie locali con l’assassinio dello storico delle istituzioni e senatore del-la DC Roberto Ruffilli a Forlì, il 16 aprile 1988, a dieci anni dall’assassinio diAldo Moro.

L’impegno in ambito politico-istituzionale per ottenere le grandi riforme dicui le autonomie locali avevano bisogno718 si accompagnava ad un rinnovatosforzo per il consolidamento della collaborazione con tecnici comunali edesperti. Dal 1988 il tradizionale appuntamento di Viareggio promosso dallaLega e dal comune, veniva organizzato, oltre che con la collaborazione di Ci-spel ed Uncem, anche con quella dei “rappresentanti dell’Associazione dei se-gretari comunali e provinciali, dei dirigenti di ragioneria, rappresentanti delcoordinamento nazionale dei Coreco […] dirigenti ministeriali”719. Tra i tec-nici comunali cui la Lega chiedeva il contributo, quelli che senza dubbio par-teciparono con maggiore intensità furono i segretari comunali che, da allora,furono regolarmente presenti nel dibattito sulle riforme ospitato da “Il poterelocale”, in particolare in occasione degli incontri di Viareggio. L’alleanza dellaLega con i tecnici comunali aveva un significato strategico: nella sfida dell’u-nità la Lega, più piccola dell’Anci, cercava l’accordo con il maggior numeropossibile di componenti l’ampio e variegato movimento per le autonomie lo-cali720.

DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 205

716 Giuseppe Falcone, La finanza di investimento, Icd mag.-ago. 1987, pp. 3-8.717 Paola Poeta, La protesta delle fasce tricolori, Ipl gen.-feb. 1987, pp. 8-14.718 Un’attività che si esprimeva anche attraverso la realizzazione di vari convegni, come quel-

lo del 5 luglio 1988, tenutosi presso la Sala del Cenacolo, della Camera dei Deputati, dedica-to a Quali riforme per una nuova fase costituente delle autonomie, Ipl lug.-ago 1988, pp. 4-14.

719 Prima riunione su Viareggio, Ipl mar.-1988; Speciale Viareggio, Ipl set. 1989.720 Tra gli articoli pubblicati nella rivista: Segretari comunali. Un contributo alla definizione

di una legge di principi, Ipl ott. 1988, p. 64 ; Segretari comunali e provinciali. Definire presto prin-cipi, ruolo e funzioni. Assemblea nazionale, Ipl mar. 1989, pp. 54-55; Mario Pazzaglia (seg. gen.prov. di Firenze), Alla dirigenza non servono parole magiche, Ipl set. 1989, pp. 58-63; Carlo Pao-lini (seg. com. Colle Val d’Elsa), Note sulla proposta di riforma dell’ordinamento dei segretari co-munali e provinciali, Ipl ott. 1989, pp. 66-72.

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2.6.1 La segreteria Gualandi

Il 23 maggio 1988 l’on. Enrico Gualandi, da tempo condirettore de “Il po-tere locale”, su indicazione del Consiglio nazionale, sostituiva Dante Stefani co-me segretario nazionale della Lega721, a Gualandi si affiancava poi, con la cari-ca di segretario nazionale aggiunto, l’avv. Claudio Simonelli722, che era anchedirettore della rivista. Gualandi rilanciava subito la sfida dell’unità del movi-mento proponendo “una assemblea nazionale delle autonomie locali con la par-tecipazione di tutte le associazioni che le rappresentano”, anche per promuove-re il dibattito sul disegno di legge sull’ordinamento delle autonomie locali indiscussione nel Parlamento723. E ancora la questione veniva ripresa nel docu-mento conclusivo del convegno di Viareggio nel quale si proponeva: “Un co-ordinamento nazionale e regionale delle Organizzazioni delle autonomie, pervalutare l’opportunità di iniziative comunali”, si rilanciava l’idea di una “As-semblea nazionale delle autonomie locali e regionali, per dibattere e contribui-re a definire una organica riforma dell’ordinamento” e, infine, “il ritorno uni-tario di tutte le associazioni autonomistiche a Viareggio”724.

Il documento conclusivo del X congresso della Lega, svoltosi a Perugia il 26-28 aprile 1989, rinnovava le proposte di raccordo tra le organizzazioni delle au-tonomie locali, il progetto “di una Conferenza nazionale permanente dei pote-ri locali e regionali”, di “organi permanenti” nelle Camere e nei Consigli regio-nali di “filtro e verifica di compatibilità” di norme riguardanti regioni ed auto-nomie locali insieme ad un richiamo all’impegno delle autonomie locali al vi-cino appuntamento elettorale per l’elezione del Parlamento europeo725. Cosìanche il documento conclusivo di Viareggio ’89726 e ‘90727.

2.6.2. Il rafforzamento dell’impegno tecnico-amministrativo

In quegli stessi anni non veniva meno nella Lega l’attività tecnico-ammini-strativa di supporto agli amministratori locali. Il 25-27 giugno 1987 la Lega or-ganizzava a Ferrara, insieme al comune, la prima di una serie di Conferenze na-zionali degli assessori della cultura”728, a cui seguiva la costituzione di una Con-

206 PARTE III

721 Eletto il nuovo segretario della Lega, Ipl mag. 1988, p. 3.722 Direzione della Lega. Eletta la nuova segreteria, Ipl giu. 1988, pp. 4-5.723 Perché proponiamo una assemblea nazionale delle autonomie locali con la partecipazione di

tutte le associazioni che le rappresentano, Ipl set. 1988, pp. 6-7.724 Documento conclusivo, Ipl ott. 1988, pp. 72-3.725 Documento conclusivo approvato al X congresso, Ipl mag. 1989, pp. 56-7.Nel congresso della Lega quel che restava del legame con i Paesi socialisti veniva riaffermato dal-

la presenza di un delegato della Conferenza permanente delle città e comuni jugoslavi, Dusan Ko-logiera, sindaco di Korcûla e del “delegato sovietico rappresentante di un’associazione che raggrup-pa le città gemellate dell’Unione sovietica”; Incontro con le delegazioni straniere, Ipl mag. 1989, p. 53.

726 Documento conclusivo approvato dalla Convenzione di Viareggio ’89, Ipl ott. 1989, pp. 74-5.727 Documento conclusivo approvato dalla Convenzione di Viareggio, Ipl nov. 1990, pp. 50-1.728 Speciale città e cultura, Ipl ott. 1987, pp. 40-63; la seconda si svolgeva due anni dopo,

sempre a Ferrara, dal 29 giugno al 1° luglio 1989, Speciale cultura, Ipl lug.-ago. 1989; la terzail 18-20 giugno 1992, Conferenze per la cultura, Ipl ago-set. 1992.

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sulta nazionale degli enti locali per la cultura729. Nel 1990 si svolgeva a Ravennail convegno nazionale Gli enti locali per l’ambiente730.

Nel 1988 la Lega pubblicava il Manuale della amministrazione locale, con laprefazione di Massimo Severo Giannini731; il 2 febbraio 1989 nella sede di Ro-ma del Cinsedo, ancora Giannini presentava l’Annuario delle autonomie 1989curato da Cassese, definito da Luigi Ladaga, presidente delle Edizioni delle au-tonomie, “la nostra più importante pubblicazione”732.

Nel dicembre 1989, qualche mese prima della riforma dell’ordinamentodelle autonomie locali, le Edizioni delle autonomie pubblicavano il primo fa-scicolo della rivista mensile “Prime note”. Si accresceva così, anche con quellouno strumento di supporto , l’attività tecnico-amministrativa di supporto del-la Lega agli amministratori ed ai tecnici locali733. Due anni prima, nel 1987,erano cessate le pubblicazioni de “Il comune democratico”734 che, dopo averperso la funzione di rivista dell’organizzazione passando ad essere bimestrale dal1982, era poi divenuto quadrimestrale dal 1986. Niente meglio della fine del-la storica rivista della Lega - che nel titolo rievocava “Il comune socialista”, or-gano della Lega nata nel 1916 - poteva rendere l’idea della progressiva afferma-zione della funzione tecnico-amministrativa rispetto a quella politico-istituzio-nale nell’attività dell’organizzazione.

Una funzione di servizio alle autonomie locali che si sarebbe ulteriormentesviluppata a seguito delle riforme dell’ordinamento degli enti locali a partire da-gli anni ‘90. L’entrata in vigore della riforma dell’ordinamento delle autonomielocali nel 1990, infatti, obbligava la Lega ad un importante sforzo editoriale perrispondere alle richieste delle amministrazioni locali di strumenti interpretatividella nuova legislazione. Nell’autunno del 1990 apparivano La riforma delle au-tonomie locali, a cura della redazione di “Prime note”735. Particolarmente signi-ficativo era lo sforzo per coadiuvare gli amministratori nella redazione dellenorme di autogoverno. La Lega pubblicava una Guida ragionata all’elaborazio-ne degli Statuti e dei regolamenti736.

DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 207

729 Giorgio Morales, Consulta nazionale degli enti locali per la cultura, Ipl mar. 1988, pp. 12-3.730 Speciale ambiente, Ipl gen.-feb 1990, pp. 14-62.731 Manuale della amministrazione locale, prefazione di Massimo Severo Giannini, Roma,

Edizioni delle autonomie; come riportava la recensione ne “Il potere locale”, si trattava di unvolume di 520 pagine, realizzato con il contributo di con 37 autori; Ipl nov.-dic. 1988, p. 47.

732 Presentato da Sabino Cassese e Massimo Severo Giannini l’Annuario ’89, Ipl gen.-feb. 1989,p. 43.

733 Era questo un nuovo frutto della collaborazione da poco aperta dalla Lega con un grup-po di segretari comunali, diretti da Antonino Saja, che ebbero, da parte loro, la possibilità dimettere a disposizione del mondo delle autonomie le proprie competenze.

734 L’ultimo numero consultato è il 2, mag.-ago. 1987.735 Ipl set.-ott. 1990, p. 43; La riforma delle autonomie locali, a cura della redazione di “Pri-

me note”, Roma, Edizioni delle autonomie, 1990; Lega delle autonomie locali.736 Lega delle autonomie locali, Guida ragionata all’elaborazione degli Statuti e dei regola-

menti, a cura di Domenico Davoli, Claudio Ceino, Walter Anello, Roma, Edizioni delle auto-nomie, 1990.

Nel quadro di questo sforzo editoriale si ricorda l’iniziativa delle casa editrice Edizioni del-le autonomie, che pubblicizzava con una lettera agli amministratori il proprio volume La re-

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Alla fine del 1990, all’indomani della riforma, l’organizzazione costituiva lasocietà Lega servizi & consulenza, per fornire servizi telematici, operativi e con-sulenza agli enti locali737, in particolare nell’ambito dell’attività di formazionedel personale738. Nel 1992 la società offriva servizi anche alle province per la re-dazione del Piano territoriale di coordinamento, di loro competenza, previstodalla legge 142/90739.

3. Gli anni ’90: le riforme

Mentre il Parlamento dibatteva della riforma dell’ordinamento degli enti lo-cali i risultati delle elezioni amministrative del 6-7 maggio 1990 registravano ilprimo, importante cambiamento nella geografia politica delle amministrazionilocali. Il 20% di astensioni, voti nulli ed in bianco, l’affermazione nel nord del-la Lega Lombarda e di formazioni ad essa vicine, la perdita di consensi del Pcie della DC, che però riusciva almeno a bilanciare l’emorragia di voti con un au-mento nell’Italia del Sud, sollecitavano l’organizzazione a riaffermare, ancora,l’urgenza della riforma delle autonomie locali e dello Stato, questa volta anchecon accenti drammatici: “Ogni ulteriore ritardo ed incapacità a riformare loStato e le Autonomie locali comporterà l’accelerazione di un processo di dis-gregazione, che è già in atto, e seri pericoli per l’avvenire della democrazia ita-liana”740.

La questione dell’autonomia, da decenni accantonata dal governo naziona-le, in nome di superiori e più urgenti interessi, era clamorosamente balzata sul-la scena politica, insieme a quella della riforma della Pubblica amministrazionee dello Stato. Venne così avviato un profondo mutamento della Pubblica Am-ministrazione che partì dall’amministrazione locale e, non a caso, coincise conun altrettanto profondo mutamento degli equilibri politico–istituzionali in-

208 PARTE III

dazione dello Statuto, a cura della Lega, della redazione di “Prime note” e del Censis. “Non unostatuto fotocopiato – specificava la lettera – ma uno strumento che mette in grado gli ammi-nistratori di compiere le loro scelte autonomamente: questo è l’unico modo per cogliere dav-vero la storica opportunità di realizzare il disegno autonomista contenuto nella legge 142/90”Lettera della Edizioni delle autonomie, datata “Roma, dicembre 1990” indirizzata “Agli am-ministratori locali italiani”; Ipl gen. 1991, pp. 10-11.

737 Ipl nov. 1990, pp. 52-8.738 L’attività si svolgeva anche in collaborazione con i segretari comunali e provinciali e di-

mostrava quanto fossero ampie le possibilità di fornire attività di sevizio alle autonomie locali,specie dopo la riforma; Cfr. Walter Anello (direttore dell’Ufficio di segreteria della Lega delleautonomie), L’attività di formazione e servizio della Lega, Ipl gen,-feb. 1992, pp. 34-5; Antoni-no Saja (Segretario Unione segretari comunali e prov. e responsabile per la formazione della Le-ga servizi & consulenza), Scelte metodologiche per l’attività formativa di amministratori e diri-genti, ivi, pp. 35-8; sulla Lega servizi cfr. ivi, pp. 34-46.

Si segnala che, sempre nell’ambito della formazione, Anci e Formez avevano firmato una con-venzione alla fine del 1987; Servizi per i comuni, in I documenti dell’Anci…, vol. II, pp. 294-6.

739 Un nuovo servizio della Lega servizi & consulenze, Ipl nov. 1992, pp. 21-22.740 Enrico Gualandi, O si riformano le istituzioni per garantire credibilità ed efficienza, o per-

de tutto il sistema democratico, Ipl mag. 1990, pp. 5-6.

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staurati a partire della fine della seconda guerra mondiale, fino a quel momen-to rimasti sostanzialmente intatti.

La lunga stagione delle riforme iniziava nel 1990 con due leggi, la n. 142dell’8 giugno 1990, Ordinamento delle Autonomie locali e la n. 241 del 7agosto 1990, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e didiritto di accesso ai documenti amministrativi, a sottolineare il legame tra lademocratizzazione delle istituzioni, presupposto del decentramento, e la de-mocratizzazione della pubblica amministrazione, su cui si basa la possibili-tà dell’accesso e del controllo da parte dei cittadini dei processi ammini-strativi.

Il 1990 era, nei termini utilizzati da Cassese, l’Annus mirabilis della legisla-zione amministrativa italiana741, nel quale la Lega aveva l’occasione di rilancia-re la sfida per l’unità del movimento.

3.1. Per una Conferenza nazionale delle autonomie

Questa volta era in nome dell’urgenza dell’applicazione della riforma che laLega chiedeva “la convocazione di una ‘Conferenza nazionale delle autonomie’– promossa dal Governo e dal Parlamento, con la partecipazione di Regioni edi tutte le associazioni autonomiste”742. La proposta di un tavolo di lavoro co-mune con tutte le associazioni delle autonomie e della ricerca di un futuro unita-rio743, veniva ripresentata in occasione dell’XI congresso nazionale che si svol-geva a Siena il 28-30 novembre 1991744.

All’ennesimo richiamo all’unità della Lega rispondeva positivamente il pre-sidente dell’Anci, Triglia: “Già dall’assemblea di Catania formulai l’invito a ri-cercare un accordo più stretto tra le attuali organizzazioni, anche nella prospet-tiva di una qualche riforma unitaria. Oggi questa esigenza è ancora più viva epiù forte e ci deve vedere impegnati in un graduale processo, per favorire la co-struzione di un adeguato consenso di tutte le parti”745. Era evidente che la ne-cessità di un fronte comune per organizzare le iniziative per l’applicazione dellariforma aveva spinto almeno la principale delle organizzazioni del movimentoper le autonomie, l’Anci, ad accettare la sfida dell’unità. Alla sostanziale aper-tura dell’Anci, confermata dal segretario, Lucio D’Ubaldo746, e condivisa dal-l’Uncem, corrispondeva quella più incerta della Cispel e quella sostanzialmen-

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741 Recensione. Annus mirabilis, Ipl feb.-mar. 1991, p. 63; dalla recensione dell’Annuario1991 delle autonomie locali, diretto da Sabino Cassese.

742 Claudio Simonelli, Ritardi nei tempi di attuazione, urge una Conferenza nazionale delleautonomie, Ipl gen. 1991, p. 5.

743 Enrico Gualandi, Proponiamo un tavolo di lavoro comune con tutte le associazioni delle au-tonomie, Ipl nov. 1991, p. 5; Claudio Simonelli, La natura della nostra associazione ci dà gli stru-menti per la ricerca di un futuro unitario; ivi, p. 4.

744 XI congresso nazionale, Ipl nov. 1991; idem, dic. 1991.745 Messaggio del presidente dell’Anci sen. Riccardo Triglia, Ipl dic. 1991, pp. 18-9.746 Lucio D’Ubaldo, Una federazione delle associazioni degli enti locali: un tema per i prossi-

mi congressi, Ipl gen.-feb. 1992, p. 15

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te contraria dell’Upi, espressa dal segretario747 mitigata appena dalla posizionedel presidente Brasca748.

L’avvenuta riforma dell’ordinamento non aveva assolutamente fatto passarein secondo piano la questione della finanza locale, rimasta ancora insoluta.L’impegno della Lega nella materia si manifestava in occasione dell’appunta-mento per il Convegno nazionale sulla finanza locale, che sostituiva, da allora,quello tradizionale di Viareggio, il primo dei quali si volgeva a Modena il 12-13 settembre 1991749.

3.2. I sindaci si mobilitano

Sabato 30 maggio 1992, 150 sindaci della Toscana facevano sciopero e si recava-no con i rispettivi gonfaloni “in corteo come ufficiali di governo, per la città di Fi-renze fino a Palazzo Vecchio, dove abbiamo incontrato i parlamentari”. Come af-fermava il sindaco di Campi Bisenzio Adriano Chini: “I comuni chiedono innan-zitutto responsabilità diretta: amministrativa, decisionale, gestionale. Vogliamo de-cidere noi le linee progettuali e programmatiche, rifiutiamo che persino le spese po-stali, come attualmente avviene, siano decise dal Governo centrale”750. Il successivodue luglio un migliaio di sindaci di tutta Italia si riuniva a Roma, in Campidoglio,chiedendo maggiori responsabilità, autonomia finanziaria e l’elezione diretta delsindaco751 una proposta, questa sostenuta anche dal consiglio nazionale della Legasvoltosi in quelle settimane752. Ancora nel 1992, il 15 e 16 ottobre, la Lega e il Con-siglio regionale della Valle d’Aosta organizzavano congiuntamente a Saint Vincentil convegno Per una riforma regionalista e autonomista dello Stato, “premessa per ilrilancio di un rinnovato movimento regionalista ed autonomista”753. Evidente ten-tativo di armonizzare le aspirazioni riformatrici delle autonomie locali, non certosoddisfatte della riforma del 1990, e quelle delle regioni, in un periodo nel quale lerichieste secessioniste sostenute in particolare dalla Lega Nord avrebbero potuto iso-lare le autonomie locali dal ventilato processo di riforma costituzionale.

210 PARTE III

747 La Cispel proponeva la costituzione di due distinti organismi, una federazione di tuttele realtà erogatrici di servizi, comprese le aziende sanitarie, ed un’ altra comprendente le orga-nizzazioni di tipo politico e tecnico-amministrativo. Il segretario dell’Upi, Camillo Moser, ave-va espresso la sua preoccupazione per questa possibilità e chiedeva, invece, la costituzione di uf-fici e servizi comuni; Federazione, Confederazione o separati in casa?, Ipl dic. 1991, p. 42.

748 Crisi di rappresentanza e cultura autonomistica: è tempo di cambiare. Colloquio con Alber-to Brasca, presidente dell’Upi, Ipl gen.-feb. 1992, pp. 16-9.

749 Modena: convegno nazionale sulla finanza, Ipl set.-ott. 1991; il secondo si teneva il 22-23settembre 1992, Speciale. Modena: convegno annuale sulla finanza locale, Ipl ott. 1992.

750 Intervista. Responsabilità amministrativa, gestionale, riforma elettorale e autonomia finan-ziaria, Ipl giu.-lug. 1992, pp. 8-10.

751 P.P. (Paola Poeta), I sindaci sono arrivati a Roma, Ipl giu.-lug. 1992, p. 9.752 Consiglio nazionale. Le proposte per il programma di governo: nuovo stato regionalista; ri-

forma dei sistemi elettorali; riforma della finanza locale e regionale nel contesto di nuovi assetti isti-tuzionali, Ipl giu.-lug. 1992, pp. 18-20.

753 Enrico Gualandi, Una risposta forte sia al centralismo che alla divisione dello Stato, Ipl gen.1993, p. 5.

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3.4. I sindaci protagonisti del movimento per le autonomie locali

Una nuova Lega cercava di affermarsi definitivamente e poteva/doveva misu-rarsi con il resto del movimento per le autonomie locali senza temere più alcunaaccusa di partigianeria politica, ma senza nemmeno potersi affidare alla forza digrandi partiti popolari di massa, che ormai non avevano più la forza degli anniprecedenti. Così scriveva Paola Poeta, redattore capo della rivista della Lega che,non ricoprendo incarichi politici nell’organizzazione, poteva essere più esplicita: “O la Lega delle autonomie, forte della sua natura trasversale tenta, con un nuovogruppo dirigente, nazionale e locale, di vincere questa sfida, o dovrà ‘accontentarsi’di essere l’ala ‘illuminata’ delle sinistre, o peggio, dovrà inglobarsi in un indefinito‘rassemblement’ associazionistico”. L’elettorato aveva fatto le proprie scelte, l’Italianon era la Gran Bretagna, il paese della pacifica alternanza, ma poteva avvicinarsi“ai cugini francesi, che conservano due blocchi con tante anime dentro”754.

La Lega, si poteva concludere seguendo la traccia di questa analisi, dovevarinnovarsi di conseguenza, a cominciare dal gruppo dirigente.

La legge per l’elezione diretta di sindaco e presidente della provincia755

aveva effetti positivi sull’intero sistema delle autonomie locali, perché nonsolo garantiva alle amministrazioni – e soprattutto a quelle provinciali, finoad allora particolarmente instabili - quella saldezza che era l’esplicito obietti-vo dell’iniziativa sfociata nell’approvazione della legge, ma dava risalto alle fi-gure di sindaco e presidente della provincia accrescendone, contemporanea-mente, forza e credibilità non solo rispetto a regione e governo, ma anche, esoprattutto, rispetto ad una disorientata opinione pubblica. L’approvazionedella legge, che veniva accolta con favore dalla Lega756, stimolava il dibattitosu nuove e sempre più necessarie riforme del sistema delle autonomie locali.L’organizzazione rilanciava la riforma regionale757, riproponeva quella sulla fi-gura dei segretari comunali e provinciali758; in occasione dell’appuntamento

DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 211

754 Paola Poeta, Un voto più libero che pone a tutti problemi di scelte e di coordinamento, Iplnov.-dic. 1992, pp. 7-8.

755 Legge 25 marzo 1993, n. 81, Elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, delconsiglio comunale e del consiglio provinciale; sugli effetti della legge cfr. Luciano Randelli, Sin-daci e miti, Bologna, Il Mulino, 1997.

756 Enrico Gualandi, Elezione diretta del sindaco: novità per cittadini e istituzioni, Ipl apr.1993, pp. 7-9.

Nell’ambito della funzione di servizio agli amministratori la Lega pubblicava un volumesulla nuova norma nella collana Come fare: Alberto Fossati (a cura di), Il nuovo ordinamento de-gli enti locali dopo le leggi 142/90 e 81/93, Roma, Edizioni delle autonomie, 1993; successiva-mente Carlo Paolini, Antonio Saja (a cura di), Manuale degli enti locali. Organizzazione, com-petenze, atti, procedure e strumentazioni della nuova amministrazione locale, prefazione di Fran-cesco Rutelli, coordinamento per la Lega delle autonomie locali Walter Anello, Roma, Edizio-ni delle autonomie, 1996.

757 Pier Luigi Bersani (Segretario regionale Pds Emilia-Romagna), Per un progetto di regio-nalismo: la proposta del Pds dell’Emilia Romagna, Ipl apr. 1993, pp. 23-6.

758 Gianni Bechelli (sindaco di Scandicci), Figura e funzioni del segretario comunale e lo sco-glio dei controlli, Ipl mag. 1993, p. 29; Segretari: un nuovo status per un nuovo profilo professio-nale, Ipl giu.-lug. 1993, p. 26; Il nuovo ordinamento dei segretari comunali e provinciali, Ipl nov.-dic. 1993, pp. 14-5.

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di Modena del 1993 presentava una proposta di legge per la riforma della fi-nanza locale759.

3.4.1. La prima marcia dei sindaci eletti dai cittadini

Il protagonismo dei sindaci sarebbe divenuto, da allora, una costante nel di-battito politico-istituzionale del Paese ed avrebbe avuto notevoli effetti, natu-ralmente, anche sul movimento per le autonomie locali. Il 2 giugno 1993 la Le-ga organizzava una manifestazione nazionale di sindaci in Campidoglio, inconcomitanza con il 47° anniversario della Repubblica, per protestare contro itagli del Governo a danno dei bilanci delle autonomie locali760, in aperta viola-zione della legge 142/90761. Il documento veniva presentato ai gruppi parla-mentari, congiuntamente, dalla Lega e dai sindaci762, sindaci dei quali veniva ri-conosciuto, quindi, il protagonismo.

L’organizzazione riproponeva, anche nel nuovo contesto, la sfida dell’unità alnuovo presidente dell’Anci eletto nel 1992, Pietro Padula, a cui Gualandi, dal-le colonne de “Il potere locale”, rivolgeva un preciso richiamo Attendiamo an-cora risposte alle nostre proposte unitarie763.

3.4.2. L’incarico al sindaco Rutelli della guida del processo di unificazione

La politica della Lega per la nuova fase politico-istituzionale veniva illustra-ta da Gualandi in occasione della Conferenza programmatica ed organizzativache si svolgeva a Pisa il 14-15 luglio 1994. All’ordine del giorno, al primo po-sto, c’era La repubblica delle autonomie. Modifiche alla Costituzione e modello fe-derale, subito dopo le grandi riforme legislative c’era la questione finanziaria,Prima valutazione sul programma e sul documento di programmazione economicae finanziaria ’95-’97 del Governo, infine, Costruire una Confederazione tra tuttele associazioni delle autonomie locali764.

Al termine del suo intervento Gualandi riassumeva gli sviluppi dell’inizia-tiva unitaria della Lega, a partire da una recente riunione di tutte le associa-zioni convocata dal presidente dell’Anci, Padula, nella quale era stata accoltala proposta di “istituire un collegamento stabile interassociativo, capace di rap-presentare un momento autorevole ed unitario delle esigenze comuni al mon-do delle autonomie”. Nella riunione era stato poi deciso di proporre al sinda-

212 PARTE III

759 Speciale Modena, Ipl ott. 1993, pp. 22-56760 I tagli vennero effettuati con il decreto legge del 22 maggio 1993 n. 155.761 Enrico Gualandi, I sindaci protestano contro la politica autoassolutoria dello Stato centrali-

sta, Ipl giu.-lug. 1993, pp. 6-7.762 Documento presentato dalla Lega e dai sindaci ai gruppi parlamentari, Ipl giu.-lug. 1993,

pp. 8-9.763 Enrico Gualandi, Attendiamo ancora risposte alle nostre proposte unitarie, Ipl ott. 1993, pp.

11-2.764 Ipl mag.-giu. 1994, p. 37.

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co di Roma, Francesco Rutelli, che aveva accettato, di presiedere un appositotavolo di coordinamento tra le associazioni, Anci, Upi, Uncem, Aiccre, Cispele Lega765.

Rutelli, nella lettera inviata ai partecipanti alla Conferenza, dopo avere sot-tolineato che “il movimento delle autonomie territoriali sta attraversando inquesti mesi una fase di passaggio di grande interesse e delicatezza”, riaffermaval’accettazione della proposta offertagli “per dar vita ad un efficace coordina-mento” delle organizzazioni delle autonomie locali766.

L’affidamento al sindaco di Roma dell’incarico di guidare il movimento al-l’unità non deve stupire. I sindaci eletti nel 1993 non avevano tardato a com-prendere l’eccezionale importanza del proprio ruolo in un momento tanto cri-tico come quello della prima metà degli anni ’90.

Il 10 e 11 dicembre 1994 si svolgeva a Roma la Convenzione dei sindaci de-mocratici che “lanciava una sfida al Governo in vista dell’appuntamento elet-torale amministrativo di giugno”. Si parlava apertamente di un “partito dei sin-daci”, anche se gli interessati, a partire da Rutelli, smentivano767.

Con l’incarico affidato al sindaco della capitale le organizzazioni del movi-mento - ed in primo luogo la Lega che era stata la prima a porre la sfida dell’u-nità – conseguivano un duplice risultato. In primo luogo la partecipazione deinuovi sindaci eletti direttamente dai cittadini rafforzava il movimento per leautonomie locali permettendo a questo di intervenire, con maggiore poterecontrattuale, all’elaborazione di quella che si riteneva l’ormai prossima riformadello Stato. In secondo luogo, i sindaci - attraverso Rutelli - in quanto figureorganiche al movimento, esterne però alla logica delle diverse strutture, avreb-bero potuto condurre con maggiore efficacia le organizzazioni delle autonomielocali al difficile traguardo dell’unità.

Ma il “partito dei sindaci”, che meglio si sarebbe dovuto definire il partitodei sindaci delle grandi città avrebbe preferito muoversi diversamente.

3.5. Il movimento per le autonomie locali e il “partito dei sindaci delle grandicittà”

Il 9 novembre 1995, a 12 giorni dallo svolgimento dell’assemblea nazionaledell’Anci che lo aveva eletto presidente768, Enzo Bianco, sindaco di Catania, ca-peggiava una manifestazione pubblica di centinaia di sindaci ed amministrato-ri locali769. Dopo una riunione svoltasi in Campidoglio gli amministratori mar-

DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 213

765 Enrico Gualandi, È tempo di definire una proposta di federalismo, Ipl lug.-ago 1994, pp.4-11.

766 Il messaggio del sindaco di Roma Francesco Rutelli, Ipl lug.-ago. 1994, p. 16.767 Paola Poeta, La lunga marcia per l’alternativa di governo parte dai comuni, Ipl dic. 1994,

pp. 6-7; Nando Morra (Segretario della Lega delle autonomie di Napoli), Federalismo e auto-nomia, il nuovo soggetto politico è il partito dei sindaci?, Ipl dic. 1994, pp. 4-5.

768 Il sindaco di Catania, Enzo Bianco, veniva eletto presidente nella XII assemblea genera-le dell’Anci svoltasi a Sorrento il 25-28 ottobre 1995.

769 Cfr. E. Bianco, Ci attende un percorso impegnativo, “Anci Rivista” (AR) nov. 1995, pp. 9-10.

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ciavano lungo via del Corso770 fino a Palazzo Chigi, dove incontravano il Presi-dente del consiglio dei ministri, Lamberto Dini, ed i presidenti di Camera e Se-nato. “Noi, Sindaci e Consiglieri comunali”, riporta il documento ufficiale ap-provato nella riunione in Campidoglio, “avvertiamo oggi una grande responsa-bilità dinanzi al Paese. I Comuni rappresentano una fondamentale risorsa de-mocratica – di legittimazione, credibilità e stabilità – per far fronte al difficiletravaglio politico e istituzionale del Paese”771.

I sindaci chiedevano poi, tra l’altro, di: “Istituire una Conferenza perma-nente Stato-Città per la determinazione delle materie attualmente di compe-tenza statale da trasferire ai comuni” con un obiettivo che il presidente Biancoindividuava chiaramente: “Ora, in un forte spirito unitario, dobbiamo fare del-l’Anci un forte soggetto politico-istituzionale in grado di imporre un serio e vi-goroso percorso di riforma”772. L’Anci rinnovava così l’esigenza di una sede isti-tuzionale di confronto tra Governo ed autonomie locali manifestata per la pri-ma volta nel 1906: si andava verso la Conferenza Stato-Città ed Autonomie lo-cali (Csc)773.

3.5.1. Il rilancio della sfida dell’unità

Il 3 e 4 giugno 1996 si svolgeva a Pesaro il XII congresso della Lega delle au-tonomie locali, in un clima di grandi attese. Era passata solo qualche settima-na dalla costituzione del Governo di Romano Prodi nell’appena iniziata XIIIlegislatura. La relazione introduttiva del segretario esprimeva tutte le speranzedi un sistema che aveva atteso per decenni le riforme che era ormai certo po-tessero attuarsi. Gualandi parlava di “lotta al centralismo nazionale” e al “neo-centralismo regionale”, faceva riferimento al “federalismo cooperativo” citatonel programma del Presidente del consiglio Prodi. Interveniva nel dibattito sul-la riforma costituzionale chiedendo di “addivenire ad una sola Camera dei De-putati meno pletorica, eletta a suffragio universale con sistema elettorale a dop-pio turno”, alla costituzione di una Camera o Senato delle autonomie locali no-minata dalle regioni e dagli enti locali. Auspicava “una strategia unitaria per leautonomie locali e regionali” e, subito, “segnali immediati”, come la riformadella finanza locale.

Il segretario ricordava una precedente proposta della Lega per la costituzio-ne di un “Ministro o un Sottosegretario alle autonomie territoriali presso laPresidenza del Consiglio” e non presso il Ministero dell’interno, per innovarela prassi di un’autonomia locale legata ai prefetti. Esprimeva le forti perplessitàdella Lega sulla proposta dell’istituzione di un Conferenza Stato-città per la de-

214 PARTE III

770 “Senza bloccare il traffico della capitale”, riporta l’organo dell’Anci, a sottolineare il pie-no rispetto della legalità dell’iniziativa; P.M., La marcia dei sindaci, AR nov. 1995, p. 11.

771 Appello di Roma. Dichiarazione dei sindaci. Campidoglio, Sala Giulio Cesare, 9 novembre1995, AR nov. 1995, p. 12.

772 Bianco, Ci attende un percorso impegnativo…, cit.; il corsivo è redazionale.773 Francesco Pizzetti, Verso la Conferenza Stato-Città ed Autonomie locali, AR feb.1996,

pp.9-12.

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ludente prova dell’analoga Conferenza Stato-regioni, “per il pericolo di un ec-cessivo spostamento dell’asse sulle grandi città”, perché credeva opportuno uncoordinamento fra Stato, regioni ed enti locali “come sistemi coordinati” e nonspezzettati. Ricordava, ancora, la necessità di “un patto federativo fra tutte le as-sociazioni autonomiste”, per arrivare entro l’anno ad una “Federazione unita-ria”774.

Il documento conclusivo del congresso, dopo aver approvato la relazione diGualandi, con “la riaffermazione dell’impegno unitario e, insieme, della speci-ficità della Lega”, auspicava l’apertura della “stagione delle riforme istituziona-li e del rinnovamento dello Stato, in senso federalista ed autonomista”775.

A Pesaro, infine, la Lega approvava un nuovo statuto e rinnovava parzial-mente la propria dirigenza, con l’elezione a presidente di Giuliano Barbolini,sindaco di Modena, del Partito democratico della sinistra (Pds), e la confermaa segretario di Gualandi776.

3.5.2. La Conferenza Stato-città ed autonomie locali

Qualche settimana dopo l’appuntamento di Pesaro il Presidente del consi-glio Prodi accoglieva la richiesta dell’istituzione di un organo ufficiale di rac-cordo Stato-comunità locali, presentata “fin dai primissimi giorni successivi al-la formazione del governo”, dai presidenti dell’Anci e dell’Upi, Enzo Bianco eMarcello Panettoni777. Veniva così varato il Dpcm 2 luglio 1996, “Istituzionedella Conferenza Stato-città e autonomie locali”, il cui testo veniva sostanzial-mente confermato dal decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, attraverso ilquale l’attività della Conferenza Stato-città veniva inserita in quella più ampiadella Conferenza Unificata, costituita dalla stessa Csc e dalla Conferenza Stato-Regioni e province autonome di Trento e Bolzano, riorganizzata in virtù diquello stesso provvedimento.

Con l’istituzione della Conferenza Stato-città l’Anci e l’Upi, e soprattutto isindaci delle grandi città, riuscivano a capitalizzare opportunamente il prestigioacquisito in un periodo di fortissima crisi dei partiti e delle istituzioni nazio-nali. Una capitalizzazione resa possibile anche grazie al fatto che, in quel perio-do, era stato essenziale per il Governo Prodi ottenere la loro adesione ed il lo-ro coinvolgimento al processo di riforma dello Stato da esso intrapreso, non ul-timo, per bilanciare le spinte secessioniste della Lega Nord di Umberto Bossi.

Erano, quindi, anche esigenze e necessità di equilibri di politica nazionale adeterminare la nascita della Csc, esigenze e necessità che si ripercuotevano sulmovimento per le autonomie locali. Hanno rilevato Walter Anello e Giovanni

DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 215

774 Enrico Gualandi, Un programma di lavoro per la nostra Associazione, Ipl mar.-giu. 1996,pp. 7-14.

775 Documento conclusivo. Approvato alla conclusione del XII congresso nazionale, Ipl mar.-giu.1996, p. 29.

776Organi della Lega delle autonomie locali, Ipl mar.-giu. 1996, p. 31777 Francesco Pizzetti, La Conferenza Stato-Città e Autonomie locali, “Giornale di Diritto am-

ministrativo”, n.7, 1997, p. 668.

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Caprio, che la scelta di demandare ad Anci ed Upi “il compito della designa-zione dei rappresentanti [nella Conferenza] si è di fatto risolta in una sparti-zione tra componenti partitiche che non poteva tener conto dell’universo delsistema autonomistico e delle diverse specificità. Basta guardare le designazioni[…] per rendersi conto che esse hanno soddisfatto solo l’esigenza di alcuni sin-daci di grandi città, il grado più o meno rappresentativo di questa o quella real-tà locale e soprattutto la logica di appartenenza partitica”.

Veniva poi sottolineata l’esclusione della Lega che aveva portato anche all’e-stromissione di dalla Csc di qualche “centinaio di comuni che aderiscono allaLega delle autonomie locali ma non all’Anci e che vedono esclusa dalla Confe-renza la loro associazione senza un reale motivo, visto che lo statuto della Legadelle autonomie locali associa gli enti non su base ideologica” ma su un pro-gramma autonomista ed aveva organi democraticamente eletti778.

3.5.3. Tra divisioni e spinte all’unità

Nel pieno della gestazione delle proposte che si sarebbero poi tradotte nellariforma del titolo V della Costituzione779 il movimento per le autonomie localiviveva un periodo di profonde divisioni. Era proprio per ovviare a rivalità vec-chie e nuove in un momento tanto importante della storia delle autonomie lo-cali – come di quella nazionale - che la Lega rilanciava la sfida dell’unità.

Anci e Lega allo sprint finale per l’alleanza, era questo il titolo apparso ne “IlSole 24Ore” del 7 luglio 1997 nel quale si rendeva noto il progetto per la na-scita di “una ‘super confederazione’” tra Lega, Anci, Upi, Uncem, Aiccre e Ci-spel, non a caso proprio durante i lavori della Commissione bicamerale e al-l’indomani delle dichiarazioni di un relatore della stessa Commissione, France-sco D’Onofrio, il quale aveva individuato “una delle cause della affievolita scel-ta federalista compiuta dalla Commissione Bicamerale” nella “disarticolazionedelle posizioni espresse dalle regioni, dall’Anci e dall’Upi e la conseguente man-canza di una forte pressione unitaria del sistema delle autonomie locali”. Parteessenziale del processo che avrebbe dovuto portare alla super confederazione era“il rapporto con le forze politiche”e, in questo ambito, il giornale segnalava cheil Pds, partito di appartenenza di gran parte dei sindaci aderenti alla Lega, ave-va dovuto rinviare “un’importante riunione alle Botteghe oscure” che aveva co-me ordine del giorno “l’integrazione tra le due associazioni a causa dell’assenzadei sindaci ‘rossi’ dell’Anci”. L’iniziativa sarebbe dovuta proseguire nel corsodell’autunno successivo, in occasione dello svolgimento, in particolare, dei con-gressi nazionali di Anci e Lega780.

216 PARTE III

778 Walter Anello e Giovanni Caprio, I difficili rapporti tra centro e periferia. Conferenza Sta-to-Regioni, Conferenza Stato-città-autonmie locali e Conferenza unificata, in “Le istituzioni delfederalismo. Regione e governo locale. Bimestrale di studi giuridici e politici della RegioneEmilia Romagna”, gen,-feb. 1988, pp. 47-61.

779 Legge costituzionale 18 ott. 2001, n. 3, Modifiche al titolo V della parte seconda della Co-stituzione.

780 R. Gal., Anci e Lega allo sprint finale per l’alleanza, “Il Sole 24Ore”, 7 lug. 1997.

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Qualche giorno più tardi, su “Italia Oggi”, un articolo dava notizia dell’as-soluta opposizione dei sindaci di Forza Italia - espressa dal sindaco di Giaveno,Osvaldo Napoli - alla prospettiva dell’unificazione tra le diverse organizzazionidel movimento autonomista, che veniva interpretata come una sorta di tenta-tivo di politicizzazione dell’Anci, in primo luogo, e di tutto il movimento781.

Se era comprensibile la contrarietà dei sindaci del partito Forza Italia, mi-noranza nell’Anci, ad un processo che li avrebbe visti divenire ancor più mar-ginali in una grande organizzazione nella quale la presenza di partiti di centro-sinistra sarebbe stata rafforzata dagli amministratori delle Lega, rimane da ca-pire quanta parte avevano nell’insuccesso del tentativo i sindaci “‘rossi’” del-l’Associazione per i quali, quasi certamente, l’essere sindaci di grandi città, per-fettamente rappresentati dall’Anci, era evidentemente molto più importante diuna ormai molto affievolita obbedienza al partito. Paradossalmente, l’affiliazio-ne partitica da una parte e, dall’altra, la forza delle ragioni delle grandi città al-l’interno del movimento comunale782 - rispetto a partiti e movimenti politicipiù deboli - contribuiscono a spiegare le difficoltà sulla strada della “‘super-con-federazione’” descritta dal “Sole 24Ore”.

3.6. “Costruire il federalismo per rafforzare la partecipazione”

Il XIII congresso nazionale della Lega si svolgeva a Napoli il 13 e 14 dicem-bre 2000, nel quale veniva eletto come nuovo presidente Oriano Giovanelli,sindaco di Pesaro, dei Democratici di sinistra (DS), ed assumevano l’incarico didirettore e vicedirettore, rispettivamente, Loreto Del Cimmuto e Moreno Gen-tili. Nella sua relazione il presidente uscente, Barbolini, insisteva su una visio-ne federalista dello Stato di tipo non negoziale e contrattuale ma autonomo esolidale, un federalismo cooperativo tra le diverse istituzioni territoriali “che siintegrano in una visione di sistema, tenute insieme dal principio di sussidiarie-tà”. Riguardo al ruolo delle organizzazioni delle autonomie locali nel processoriformatore in atto evidenziava il peso della “identificazione semplicistica edomologante del movimento autonomista con i sindaci delle grandi città, oscu-rando la realtà ricca e differenziata dei piccoli e medi comuni[...] una realtà chela Lega delle autonomie vuole sempre più rappresentare ed interpretare, dentroil movimento autonomista”783.

All’impegno per il rilancio della riforma dello Stato, a cui la Lega forniva ilproprio contributo progettuale, si accompagnava quello per la “costituzione diun soggetto unico della rappresentanza delle Autonomie locali”. L’insuccessodella sfida dell’unità posta dalla Lega, veniva individuato in primo luogo in

DAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI 217

781 m. tr., Forza Italia accusa “L’Ulivo fagocita l’Anci”, “Italia Oggi, 11 lug. 1997.782 In questo senso la nomina a presidente dell’Anci nel gennaio del 2000 di Leonardo Do-

menici, sindaco di Firenze, del partito dei Democratici di sinistra (DS), in sostituzione di En-zo Bianco, sanciva l’ascesa alla guida dell’Associazione sia della sinistra, sia dei grandi comuni.

783 Lega delle autonomie locali. XIII Congresso nazionale, Documentazione. Relazione in-troduttiva di Giuliano Barbolini, Presidente Lega nazionale autonomie locali e sindaco di Mode-na, dattiloscritto, s.l., s.d.

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un’Anci caratterizzata dalla “forte visibilità dei sindaci delle grandi città [...] Laconfederazione, nella proposta della Lega, è una sorta di ‘Confautonomie’, do-ve l’integrazione verticale e orizzontale delle diverse realtà federate, senza nega-re la specificità singola, garantisce una operatività generale”784.

Tra gli interventi svolti al congresso risalta, per il tentativo di attualizzare l’e-redità storica rappresentata dalla Lega, quello di Luigi Massa, vicepresidentenazionale. Massa individuava nella valorizzazione delle due caratteristiche sto-riche peculiari della Lega, quelle che la caratterizzavano rispetto alle altre, la di-rezione verso la quale avrebbe dovuto indirizzare le proprie energie. In primoluogo la “trasversalità istituzionale. Al suo interno convivono tutti i diversi li-velli degli enti territoriali: comuni, comunità montane, consorzi, province, re-gioni”, quindi il riferimento originario al socialismo di Matteotti, divenuto una“radice culturale legata al movimento autonomista e solidarista che oggi si ri-conosce maggioritariamente, seppur non esclusivamente e spesso criticamente,nello schieramento di centrosinistra”.

I principi ispiratori della fondazione, trasformati in trasversalità e solidari-smo, insieme ad autonomia dai partiti785 e dal fascino del “grande potere me-diatico dei sindaci dei centri maggiori”, cui era invece soggetta l’Anci, doveva-no guidare la Lega nel “processo di unificazione delle rappresentanze [che per-metterebbe loro, ...] di assumere un peso maggiore e, insieme, un’attenzionepiù pregnante dei diversi interessi in gioco”786.

218 PARTE III

784Lega delle autonomie locali. XIII Congresso nazionale, Documentazione. Le tesi per il XIIIcongresso nazionale della Lega delle autonomie locali. Napoli 13-14 dicembre 2000, dattiloscritto,s.l., s.d.

785 A questo proposito però Massa rivendicava una sorta di immunità storica della Lega “daingerenze dirette dai partiti”, tutta però da dimostrare rispetto al passato, e invece molto pro-babile in anni più recenti, per via della crisi dei partiti di massa sviluppatasi, in particolare, ne-gli anni ‘90.

786 Luigi Massa, Per un rilancio della Lega delle autonomie locali. Contributo al confronto con-gressuale, dattiloscritto, s.l., s.d.

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POSTFAZIONEUna nuova idea di governo del Paese

Cosa vuol dire essere Legautonomie a novant’anni dalla nascita e all’iniziodi un secolo che si presenta così diverso da quello che l’ha preceduto che purenon ha scherzato in quanto a novità rispetto al passato? Mi viene in mente cheforse è già tutto scritto nel nome. Il nostro è davvero un bel nome, è evoluto,si è modificato, modellato sui cambiamenti ma tutto sommato è rimasto intri-so della storia vissuta della associazione e dei sui aderenti.

“Lega” rimanda al riformismo socialista degli albori, all’autorganizzarsi, allelotte per i diritti, alla necessità di avere al centro del proprio operare le personenella loro dimensione reale, al fatto che se le cose non vanno bisogna pur farqualcosa e non rimandare tutto a ciò che avverrà, unirsi, aiutarsi mutualistica-mente, darsi forza, darsi gambe e idee, scoprire che si può alzare la testa solo sesi supera l’illusione di farlo da soli, essere radicati alla realtà nella sua diversità,essere società il che non significa non riconoscere l’importanza di farsi governodelle istituzioni, manifestare in concreto la propria libertà.

È senza dubbio originale e intrigante il fatto che si sia ritenuto necessario,novant’anni, fa che oltre a dar vita alle tante e diverse “leghe”espressioni di unmovimento “sociale” si sia ritenuto necessario dar vita ad una “lega” espressio-ne di un movimento “istituzionale”, sottolineo movimento, di comuni e pro-vince.

Il termine “locali”, presente nel vecchio nome, non si è perso per strada macerto si è attenuato nella sua centralità e una ragione c’è: il riferimento al loca-le al territorio non si è certo perso, anzi semmai si è rafforzato, ma quel “loca-li” rischiava di essere troppo riduttivo, troppo municipalista, quando le auto-nomie che oggi occupano la scena sono tante e tutte necessariamente volte al-l’idea di non essere subalterne a qualcosa o a qualcuno ma padrone del propriodestino e responsabili, verso se stesse e verso uno spazio comune. Autonomia èresponsabilità.

Proprio nel processo di governo del territorio locale le autonomie checoncorrono al suo esito sono andate modificandosi e aumentando. Certo co-muni e province rimangono dall’origine ad oggi il grosso della rappresentan-za della “Lega” e così vogliamo che sia anche nel futuro. Ma non si può nonvedere la ricchezza di altre autonomie, dall’entrata in scena delle Regioni, del-le Comunità Montane, delle Unioni dei Comuni agli Enti Parco, alle Auto-nomie Funzionali, all’autonomia delle Università e per questo alla ricerca diun maggiore radicamento territoriale, alle tante Fondazioni bancarie, cultu-rali e sociali.

Chi può dire che ognuna di queste autonomie non concorra da sola e nellerelazione con le altre a determinare il governo di un territorio, il suo destino equello dei cittadini che vi vivono?

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Ecco allora che “Legautonomie” acquista sempre più un altro significato:quello della ricerca, del bisogno di fare sistema fra le diverse autonomie che ca-ratterizzano il governo del territorio affinché al centro del loro agire vi sia nontanto l’affermazione di una funzione o di una presenza, ma politiche concreteche hanno bisogno proprio del concorso delle diverse autonomie per essere at-tuate efficacemente.

Qui c’è la vera modernità della funzione della Lega, mettere a fuoco politi-che e percorsi operativi che sostanzino la funzione del “sistema delle autonomieregionali e locali”.

In questo senso il significato di “movimento” delle autonomie non è più so-lo quello di un’azione contro i soprusi e le invadenze di vecchi e nuovi centra-lismi, ma anche quello di movimento nel e per il territorio per affermare unalogica di sistema, un movimento che è fatto di soggetti, di obiettivi, strumentispesso nuovi.

Mi spiego meglio, la storia del movimento delle autonomie locali è una sto-ria ricca, a volte commovente, che aveva al centro uno Stato centrale non soloinvadente ma speso arrogante e qualche volta discriminatorio a partire dallecomposizioni politiche dei governi locali. Penso alle Giunte prefettizie che boc-ciavano i bilanci di previsione, che determinavano la vita e la sopravvivenza del-le giunte comunali, dei consigli comunali, il successo o l’insuccesso di questo oquel sindaco. Penso alle leggi finanziarie, ai rapporti con i ministeri. Oggi tut-to questo è cambiato, c’è la Costituzione della Repubblica Italiana che rappre-senta una cornice solida dentro cui operare, ciò non di meno la lotta del movi-mento delle autonomie contro il centralismo continua ad essere attuale e qual-che volta si arricchisce di nuovi contenuti quando è chiamato a fronteggiarequello di tipo nuovo, delle regionali.

Ma se il movimento si limitasse ad avere questi obiettivi sarebbe miope, uni-laterale, riduttivo. Come non vedere che uno dei suo grandi compiti è proprioquello di svilupparsi nei territori, di varcare i confini municipalisti, di interlo-quire con le altre istituzioni locali, di fare appunto sistema per dare forza allecomunità locali, dare risposte a chi vi vive e lavora, proiettare i territori in unanuova dimensione che non è più solo regionale o nazionale ma è globale. E perfare questo il movimento deve avere al centro non tanto le funzioni e le com-petenze, le istituzioni o la società, ma le politiche, gli obiettivi, e le azioni perrealizzarli. Se non riesce a fare questo il movimento delle autonomie vedrà lapagliuzza nell’occhio altrui ma non vedrà la trave nel proprio.

Non basta ancora. All’inizio degli anni ’90 sotto la spinta di un vento rifor-matore che investe la pubblica amministrazione e quella locale in particolare, icittadini cominciarono ad essere chiamati utenti, clienti. Qualcuno si adombròleggendovi una deriva aziendalista, non senza qualche ragione. Ma non era deltutto così. Come lì dobbiamo chiamare i cittadini che comprano servizi primarida aziende, anche se a totale controllo pubblico ma che appunto sono aziende?Come lo dobbiamo chiamare il cittadino che paga delle tariffe aspettandosi incambio servizi accessibili, di quantità sufficiente, di qualità ottimale? Chiamia-moli cittadini e basta, però il problema di rendere conto a loro, di stabilire conloro un rapporto diverso, di riconoscerli non solo come destinatari dei servizi

220 POSTFAZIONE

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ma come portatori di aspettative in quanto diretti contribuenti dei servizi stes-si rimane.

Si afferma dunque la necessità di riconoscere le domande di diritti che sem-brano esulare dai servizi offerti dalle istituzioni locali, ma che chiedono di es-sere sostenuti e che voglioni avere nelle istituzioni locali degli interlocutori sen-sibili: parlo dei movimenti ambientalisti, quelli per i diritti civili, la giustizia,quelli attenti alle gravi contraddizioni del mondo che magari danno vita adesperienze di solidarietà internazionale, quelli per la salute, quelli per i dirittidegli altri esseri viventi non umani ecc.

Credo che una associazione come la Lega debba interpretare la sua funzio-ne di movimento delle autonomie anche come azione che raccordi i “portatoridi diritti vecchi e nuovi” alle istituzioni, e quindi non si chiuda alla sola rap-presentanza delle istituzioni stesse che altrimenti rischiano di vedersi come sta-tiche mentre proprio la loro dimensione locale ne fa una realtà sempre in dive-nire dove l’azione va spesso al di là delle competenze proprio perché aperta adun rapporto assolutamente unico e irripetibile con gli umori della società.

Legautonomie può cimentarsi con questa nuova dimensione del movimento.Le sue caratteristiche principali che se si vuole possono essere state un pun-

to di debolezza nel momento in cui la funzione delle associazioni rappresenta-tive degli enti locali si giocava tutta nelle relazioni con il governo centrale e conil Parlamento, in questo nuovo scenario non solo sono attuali ma sono un ve-ro punto di forza.

Mi riferisco principalmente alla propensione della Lega a rappresentare tut-to il sistema delle autonomie e al suo lavorare non tanto in funzione “sindaca-le” di questo o quel livello istituzionale ma per politiche. Basta ricordare che èdal lavoro della Lega che ha preso le mosse il forum delle “città sicure”, chesempre dalla Lega è partita l’idea di andare verso un coordinamento delle cittàmedie per sottolineare una forte specificità tutta italiana e poi il grande lavorosulle politiche di welfare e in particolare sulla applicazione della legge328/2000, l’attenzione al ruolo degli Enti Parco, la promozione delle espe-rienze di Pianificazione strategica e della associazione delle città che ne hannointrodotto l’uso, le nuove forme di rendicontazione come bilancio partecipatoe il bilancio sociale, ed è nella Lega che ha trovato attenzione la nuova realtà deidirettori generali dei comuni e delle province, e così via.

L’altro punto di forza del modo di essere della Lega è il suo essere federali-sta a partire da sé, l’autonomia delle Leghe regionali, la loro presenza in tuttoil paese e quindi un radicamento forte con il territorio non come conseguenzadi una articolazione periferica di una struttura nazionale, ma, all’opposto, co-me realtà indipendenti che concorrono a farsi realtà nazionale.

Ma per interpretare il ruolo nuovo che ci attende queste caratteristiche dasole non basteranno, occorrerà introdurre delle innovazioni coerenti e rafforza-re la parte scientifica del contributo della lega alle politiche territoriali.

Una innovazione significativa può essere quella di cambiare radicalmente ilmodo di lavorare delle Leghe regionali e di quella nazionale passando dall’ela-borazione di politiche che prendono le mosse dalle esperienze virtuose degli en-ti locali o dalle competenze interne alle leghe al lavoro per forum. Voglio dire

POSTFAZIONE 221

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che individuato un tema prioritario su cui impegnarsi, fare in modo che le pro-poste scaturiscano da forum aperti alle associazioni, alle università, ai centri stu-di,a singole competenze che nella società su quel tema già agiscono superandouna dimensione della elaborazione solo istituzionale che non sempre riesce adesprimere tutta la ricchezza di conoscenza e di mobilitazione che si può e si de-ve mettere insieme, dando concretamente atto che le politiche per le autono-mie locali e delle autonomie locali sono sempre più il frutto del concorso disoggetti diversi.

La storia della Lega, come emerge anche da questo libro, è anche storia diappartenenza politica, o meglio di collocazione dentro ad un filone politico pursenza venire mai meno alla propria autonomia. È una realtà che non si può nési deve occultare. In origine la vicinanza al Partito Socialista, dopo la secondaguerra mondiale a tutta la sinistra e in particolare al Partito Comunista Italia-no. Una vicinanza che ha finito per arricchire l’elaborazione politica della sini-stra italiana su un tema, il ruolo delle autonomie locali, non certo centrale nel-la cultura prevalentemente nazionale e statalista della sinistra stessa, una vici-nanza che ha mantenuto accesa, anche in momenti dove a prevalere eranoorientamenti diversi, quel riformismo proprio della esperienza di governo dimigliaia di amministratori locali e che certo ha avuto un ruolo nell’evitare l’as-similazione della storia ad esempio del PCI a quella di altri partiti comunistieuropei, ne ha favorito una transizione meno traumatica verso la sinistra euro-pea e ancora oggi rappresenta un patrimonio politico culturale che segna laforza della sinistra e di tutto il centro sinistra.

Ad onor del vero questo non ha impedito alla Lega, che è e rimane una as-sociazione di enti locali, di avere adesioni anche da parte di Comuni o Provin-ce amministrate da forze politiche di orientamento diverso e a volte anche ra-dicalmente diverso.

Fatto sta che non è possibile aprire una nuova pagina della storia della Lega sen-za affrontare le necessarie conseguenze del cambiamento in atto in tutte le com-ponenti politiche e culturali della sinistra italiana a partire dall’incontro delle cul-ture riformiste di diversa matrice conseguenti alla fine della “prima repubblica”.

Negli anni novanta del secolo scorso, con il crescere del profilo costituzio-nale delle autonomie locali e delle regioni, con il formarsi di sedi sempre piùimportanti di concertazione fra il governo centrale e il sistema delle autonomie,se è possibile Anci, Upi, Uncem e la nuova conferenza delle regioni hannovieppiù rafforzato il loro profilo istituzionale, limitando sempre più il loro ca-rattere di associazioni del “movimento delle autonomie”. In questo scenariotratteggiato molto sommariamente si è posto il problema di che fine dovesserofare le associazioni e in particolare la Lega. Sono gli anni in cui si è fatta avan-ti l’idea di una evoluzione delle quattro associazioni storiche in una federazio-ne unitaria e all’interno di essa della riconversione della Lega in fondazione ocentro studi. Parallelamente sia nel centro destra che nel centro sinistra duran-te la legislatura parlamentare 1996/2001 si è fatta viva l’idea di dare vita ad as-sociazioni di tendenza degli amministratori locali, sottolineo degli amministra-tori e non degli enti, la differenza è sostanziale.

222 POSTFAZIONE

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Pur essendo un progetto che aveva una sua indubbia forza e coerenza, l’evo-luzione dei fatti è stata diversa e sarebbe lungo qui raccontare le non semprenobili ragioni che hanno fatto naufragare questa idea.

La Lega era pronta ad affrontare una sua radicale trasformazione, ma, comedicemmo nel nostro congresso di Napoli nel 2000, rivendicando un rapportodi pari dignità con le altre associazioni. E così a partire da quello stesso con-gresso abbiamo ribadito la nostra presenza il nostro essere in campo aperti aglisviluppi di quel progetto, che ancora in diverse occasioni pubbliche e docu-menti tornammo a riproporre sempre più da soli.

Alla luce della evoluzione del ruolo delle autonomie, della natura dei proble-mi del paese, delle aspettative dei cittadini e delle imprese e per le cose prece-dentemente dette, oggi siamo più convinti che mai della necessità di esserci enon avvertiamo in questo alcun conflitto di ruolo con le altre tre associazioni.

Ma il nodo della relazione con la nostra storia politica e con l’evoluzione del-le forze politiche che oggettivamente sono state il nostro riferimento rimane daaffrontare.

Ecco allora la necessità di elaborare un percorso che sciolga correttamente erealisticamente questo nodo.

Si tratta, a mio parere, di agire su due fronti:Il primo è quello che in modo sempre più netto e chiaro la Lega sia ricono-

scibile e quindi legittimata dalla sua capacità, che deve rafforzare sul campo, dirappresentare il complesso del sistema delle autonomie, di essere Lega di rap-presentanza istituzionale ma anche di movimento, di enti locali ma sempre dipiù di comunità locali/territoriali. Quindi in questo senso una Lega che con-ferma nettamente la sua autonomia dai partiti.

Il secondo è quello di mettere a frutto il suo essere oggettivamente dentro adun filone di pensiero riformista e quindi realtà capace di offrire a partiti semprepiù in difficoltà nell’elaborazione di politiche e programmi coerenti, una spon-da, un luogo, che utilmente possono mettere a frutto per rafforzare la propriacultura di governo, per formare classe dirigente, per favorire davvero l’incontrodi culture riformiste di matrice diversa ma che già nella prova del governo deiterritori ogni giorno dimostrano di saper andare oltre le appartenenze.

Legautonomie può raccogliere così il meglio della propria storia e ripropor-la per rappresentare una vera risorsa per un lavoro concreto, colto, avanzato peruna nuova idea di governo del paese dove diritti, opportunità, sviluppo, servi-zi siano altrettanti fronti in cui si afferma l’idea forza dell’autogoverno, della re-sponsabilità e della sussidiarietà.

❉ ❉ ❉

Alla conclusione di un lavoro come questo, che traccia la storia e il profilodi una associazione come la Lega delle autonomie, con novant’anni di culturae di movimento, ci si accorge di tutte le cose che non sono state citate, soprat-tutto quelle relative ad un passato più recente, che sfugge al giudizio perché lavicinanza rende meno nitide le forme e più incerto l’occhio dello storico. E al-lora ecco che si cerca di rimediare ricordando, un pò alla rinfusa, quelle intui-

POSTFAZIONE 223

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zioni che si sono trasformate in iniziative politiche e poi trasformate in azionidi governo quotidiano e in interventi legislativi. Ecco quindi il lavoro fatto afavore dei piccoli comuni, in particolare quelli rurali ed emarginati, tra gli an-ni ottanta e novanta; o l’insistere sulle politiche per la sicurezza urbana intese,non solo come azione di contrasto, ma come interventi di welfare locale, di in-clusione, di qualità dell’amministrazione e dei servizi; o ancora la riflessione sulruolo delle città medie come soggetti catalizzatori e promotori di sviluppo lo-cale e oggi protagoniste dei progetti di pianificazione strategia. Solo questoadesso, prima dell’ok alla stampa, ci viene da dire ma poi, subito dopo, altroancora salirà alla mente.

Infine un auspicio, che questo libro possa accendere nuove curiosità e inte-ressi nei giovani che si affacciano alla vita politica e amministrativa, e sollecita-re nei più anziani il recupero, la valorizzazione e la condivisione di memorie,documenti, storie vissute.

Oriano GiovanelliPresidente di Legautonomie

224 POSTFAZIONE

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A

Adorno; 71Agnelli; 29Agrimi; 168Aimo; 21; 27; 28; 55; 64;

65; 189Albani; 178Allegato; 141Amato; 186; 202; 203; 204Amorth; 22Andreini; 85Andreoli; 79Anello; 185; 187; 207;

208; 211; 215; 216Angelini; 45Aniasi; 186; 188Arbizzani; 109Ardy; 70; 71

B

Bacci; 59Baldissara; 99; 100; 101;

108; 111; 112Ballini; 73; 74Baratono; 58; 59Barbalace; 30Barbolini; 215; 217Battini; 162Bauer; 177Bechelli; 211Bedeschi; 11; 21; 42; 43;

44; 156Beghi; 49Belardinelli; 11; 21Berlinguer; 186Bersani; 211Bertelli; 76Besati; 70

Betti; 45; 53Bettiol; 161Bianco; 213; 214; 215; 217Bigaran; 51Bisconti; 93; 111Bissolati; 30Boazzelli; 182; 183Bogiankino; 49; 57Bogorad; 182Bolchini; 167Bonazzi; 109; 181Bonfantini; 49Bordiga; 55Bossi; 215Bourjol; 146Bracci; 104Brasca; 183; 200; 210Bressand; 193Broccoli; 45Brunelli; 45; 49Bubbio; 123Buzzi; 66

C

Cadeddu; 95Caia; 167Calafati; 138Calandra; 156Caldara; 18; 25; 30; 32;

36; 37; 38; 40; 41; 45;47; 48; 51; 52; 54; 56;58; 62; 65; 77; 96; 97;158; 159

Calza Bini; 70Campanozzi; 39; 40; 44;

45; 46; 47; 49; 159Campos Venuti; 161Candeloro; 55Caperle; 17; 26

Capitini; 171; 177; 178Caprio; 216Caracciolo; 161Cardaci; 79Carli; 185Carpano; 93Carrassi; 182Casalini; 28; 37; 40; 41;

45; 58; 64Cassese; 51; 95; 96; 186;

190; 191; 192; 194;195; 196; 199; 207;209

Castagno; 156; 158; 162;176; 180

Castronovo; 30Cavalieri; 104; 106Cederna; 161Cerchiari; 76Cevolotto; 93Cheli; 196Chiaramello; 142Chiaramonte; 11; 22; 29;

30; 32; 36; 39; 43Chini; 210Chruscëv; 143Ciampaglia; 188Ciani; 127Ciofi; 118; 136; 137; 152;

162; 163; 166; 168Ciofi degli Atti; 136Cirmeni; 77Ciufolini; 116Coccopalmerio; 84Colacchi; 92Coli; 192Colitto; 132Colombo; 13Compasso; 188Conti; 130; 187Cooke; 116

225

INDICE DEI NOMI

Page 223: 100 ANNI DELLA LEGA DELLE AUTONOMIE LOCALI

Coppa; 140Corassori; 129Corato; 178Corbellini; 155Corghi; 10; 14; 15; 16;

21; 34; 40; 161; 178;181; 183; 202; 203

Corrao; 162Corsi; 26; 27; 28; 62Cossiga; 205Cossutta; 188Costa; 15; 16; 19; 35;

203; 204Craxi; 104; 202; 204; 205Cremaschi; 128Crisafulli; 126; 130Crispi; 14Crispo; 77; 79

D

D’Albergo; 156D’Auria; 96; 99D’Ubaldo; 199; 209Dario Franco; 66Davoli; 156; 207de Florentiis; 104De Gasperi; 84; 85De Lucia; 156De Maria; 54De Martino; 186De Rosa; 9; 11; 22; 27;

42; 158De Sabbata; 183; 184;

185; 186; 187; 188De Simone; 92Degl’Innocenti; 38Del Cimmuto; 217Della Porta; 129Demar; 80Dente; 188Depretis; 15Di Re; 188Dimitrov; 115Dini; 214

Dirotti; 82Dogliani; 53; 69; 78; 95;

153; 183Domenici; 217Donatini; 76; 77D’Onofrio; 216Doria Pamphilj; 79Dorigo; 17Dozza; 90; 93; 100; 104;

111; 115; 127; 128;129; 141; 146; 161;162; 204

Dugoni; 45

E

Einaudi; 30; 45; 63; 130;143

Engels; 115Enzo Modica; 156; 195Erba; 156

F

Fabiani; 93Facchini; 81; 123Falcone; 204; 205Fanfani; 107Farinacci; 66Fasano Guarini; 162Fazi; 14; 17Fedeli; 111Ferrari; 141Ferraris; 13Ferrarotti; 156Ferreri; 175Ferri; 162Filippetti; 54; 56; 58; 159Fioritto; 62Fontana; 68; 82Fortunati; 100; 121Fossati; 211Fracanzani; 202Franceschelli; 90; 110;

115; 128; 130; 134Franceschi; 130; 131; 132Franco; 29; 30; 31; 45; 51;

68; 69; 71; 73; 82; 129;138; 156; 161; 186

Furlan; 38; 50

G

Galasso; 30Garbagnati; 89Garruccio; 62Gaspari; 1; 10; 14; 20; 23;

24; 25; 27; 31; 51; 69;75; 77; 78; 79; 83; 95;105; 109; 111; 121;126; 138; 141; 153;178; 183

Gasparini; 82Gasparotto; 93Gelasio Adamoli; 104Gelmini; 127Gema; 57; 61Gentili; 217Gentiloni; 34Ghedini; 66Ghislandi; 116; 117; 119;

130; 135Giacobelli; 111Giannini; 51; 91; 94; 95;

96; 97; 99; 106; 111;121; 122; 123; 124;132; 133; 141; 142;143; 165; 166; 167;186; 187; 195; 201;207

Gigliotti; 89Gilardoni; 24; 45; 69; 77Giolitti; 24; 29; 61; 86;

171Giordani; 53Giovanelli; 217Giovannucci; 104Giovenco; 77Giusti; 25; 45; 77; 79

226

Page 224: 100 ANNI DELLA LEGA DELLE AUTONOMIE LOCALI

Gnudi; 53Gonzales; 54Gracili; 179Gramsci; 55; 170Granati; 61Grazi; 93Graziadei; 32; 45; 49Greppi; 23; 29; 30; 82;

104; 120; 121; 158Grezzi; 82Guadagnino; 45Gualandi; 206; 208; 209;

210; 211; 212; 213;214; 215

Guerra; 43; 79; 91; 97;99; 111; 120

Guidelli; 76Guidi; 162

H

Herriot; 152

J

Jaeger; 83; 86; 104; 116

K

Kologiera; 206

L

L’Huillier; 152; 153La Pira; 178La Torre; 111Ladaga; 185; 187; 195; 207Laghi; 18Lanzetta; 42; 43; 132;

133; 146; 152; 154;160; 161; 162; 169;172; 173; 174; 180

Laurelli; 153Lazzari; 31; 38; 39; 47;

48; 49; 52; 65Lazzeroni; 145Leghissa; 81; 82; 83; 84;

87; 112; 128Lenin; 115Leone; 196Levi; 59; 186Lincoln; 116Lo Sardo; 62Locatelli; 57; 82; 104;

159; 160Lolli; 36; 37; 39; 167Lotti; 73; 74Lucarini; 28; 39; 40; 43Lucca; 30; 45; 76Lucifredi; 169; 201Lusignoli; 54Luzzatto; 107; 117; 122;

126; 127; 130; 132;141; 142; 187; 188;193; 194

M

Maccarrone; 161; 162; 177;179; 180; 181; 182

Macrelli; 142Maffi; 45Malaguti; 142Malatesta; 36; 37; 47; 48;

49; 50; 65Mammucari; 45Manacorda; 15Marangoni; 36; 37; 45Maraviglia; 69Marino; 82; 129; 159Mariotti; 18; 19; 20Maroi; 77Marongiu; 14; 100; 189Martino; 18Martuscelli; 141; 142;

162Marzi; 62

Massa; 52; 53; 76; 218Mastroleo; 194Matteotti; 32; 45; 57; 58;

59; 60; 61; 62; 97;100; 158; 159; 218

Matteucci; 141Mazzanti Pepe; 13; 17Mazzini; 170Mazzoli; 45Meda; 27; 30; 37; 39; 97Melis; 43; 45; 70; 95;

179; 186; 187Menotti Luppi; 45; 58Merlin; 139Merloni; 30; 39; 40; 45;

130; 131; 135Micheli; 22Miglioli; 93Mill; 170Minguzzi; 45Minio; 145Modigliani; 45; 62Molé; 141Montagnani; 82; 85; 87;

89; 91; 100; 101; 102;104; 107; 116; 141

Montemartini; 9; 20; 25;35; 36; 45; 165

Morales; 207Morandi; 170Morlino; 187Moro; 169; 186; 205Morra; 213Mortara; 31Murri; 203; 204Mussi; 18; 19; 34Mussolini; 66; 68; 71; 86;

159

N

Napoli; 20; 30; 89; 113;133; 213; 217; 218

Narducci; 199Nathan; 30; 35; 97

227

Page 225: 100 ANNI DELLA LEGA DELLE AUTONOMIE LOCALI

Negarville; 93Nenni; 61; 104; 129; 143;

169; 171Neppi Modona; 186Neri Serneri; 74Niccolini; 22; 23; 25Nicotera; 126Nuti; 79

O

Olivetti; 94; 95; 155Onida; 186Onofri; 38; 61; 109Orefici; 25Ossicini; 178Osti; 89; 118; 135

P

Padula; 212Pajetta; 87Palla; 54Pallotta; 117; 135Panettoni; 215Panizzi; 45Paolini; 139; 170; 205;

211Paone; 79Parpagnoli; 45Parri; 87Pazzaglia; 205Pedone; 62; 63Pelloux; 18Pertini; 109Petrillo; 82Petroselli; 194Piccardi; 161; 162; 176Pieraccini; 145Pinzani; 143Pironti; 45Pischel; 165; 167Pistoja; 45Pizzetti; 214; 215

Poeta; 202; 204; 205;210; 211; 213

Ponziani; 54Porcellini; 141Portalupi; 45Prandi; 108Preti; 140Procioni; 90Prodi; 214; 215Puca; 66Pucci; 44; 45Punzo; 30; 36; 38; 39; 43;

47; 48; 54; 56; 82; 159

Q

Quintieri; 79Quitieri; 111

R

Ragionieri; 16; 39; 63; 64;80; 87; 94

Ravà; 200Rebecchini; 122Reiter; 129Ribaldi; 62Rienzi; 77Rinaldi; 111Ripamonti; 189; 190Rizzo; 107Rosati; 176Rossi; 66; 68; 73; 74; 142Rossi Doria; 77Rotelli; 15; 16; 19; 54; 68;

69; 73; 77; 100; 101Roveda; 79Roversi Monaco; 196Rudinì; 14Ruffilli; 9; 11; 17; 19; 42;

79; 205Rugge; 51Ruini; 30; 31Rutelli; 211; 212; 213

S

Sabatini; 37; 39; 41; 45Saja; 207; 208; 211Salandra; 29Salizzoni; 145Salvemini; 19; 20; 81;

158; 160; 170Salzano; 156Samoggia; 45Sánchez de Juan; 69Santambrogio; 85Santarelli; 176; 178; 179;

197Santini; 76; 192; 195Santo; 155; 177; 199Saragat; 77; 92; 104; 143Sarti; 172; 194Scalfaro; 202Scalpelli; 82Scelba; 86; 92; 98; 106;

128; 129; 130; 137;138; 141; 142; 162; 169

Schanzer; 45Schiavi; 33; 54; 58; 77Schininà; 23Scoccimarro; 93Segni; 107; 133Sella; 14Seppilli; 154Serafini; 183Sereni; 146Serpieri; 31Serrati; 62Sichel; 30; 37; 38; 39; 41;

43; 45; 47; 49; 96Signorello; 188Signorini; 56Simonelli; 206; 209Soglia; 45Sorel; 170Soveria Mannelli; 11; 22;

29; 86Spalazzi; 112Spezzano; 140; 141; 142;

143; 144; 146; 147;149; 150; 151; 152

228

Page 226: 100 ANNI DELLA LEGA DELLE AUTONOMIE LOCALI

Stalin; 115; 137; 143Stammati; 189; 204Starabba; 14Stefani; 69; 192; 194;

195; 196; 197; 198;199; 201; 202; 203;206

Strobbe; 156Sturzo; 9; 11; 20; 22; 24;

27; 28; 29; 30; 31; 32;34; 36; 37; 39; 40; 41;42; 43; 45; 55; 65; 66;69; 92; 97; 137; 158;160; 161; 170; 171;204

Suardo; 68

T

Taddia; 169Tambroni; 107Tanasesco; 116Tarello; 93Targetti; 107; 141Tasca; 56Tassoni; 110; 161Taurasi; 84; 87Terracini; 55; 141; 145; 146Teso; 60

Testa; 70Todeschini; 49Togliatti; 94; 107; 128;

129; 137; 143Tonetti; 107Tosatti; 129; 131Treves; 34; 45; 49; 50; 53;

54Triglia; 198; 199; 205;

209Triva; 140; 177Troccoli; 156Troilo; 86; 87; 90; 91Turati; 45; 49; 54; 62;

131Turchi; 79; 91; 93; 97; 98;

99; 102; 103; 104;107; 108; 111; 112;113; 117; 120; 121;122; 123; 125; 134;136; 137; 141; 142

V

Vacis; 139Valenzi; 196Valeri; 62Vanoni; 121Venanzi; 85

Venino; 68Venturini; 81; 84Vergnanini; 30; 44; 45Vetere; 196Veyrat; 20Vicard; 77; 79; 111; 124;

155Vighi; 108; 109; 125Vion; 153; 183Viviani; 141

W

Waldeck; 152; 153

Z

Zadra; 82Zanardi; 33; 34; 38; 39; 44;

45; 49; 50; 53; 54; 57;61; 62; 141; 159; 204

Zanella; 37; 41Zangheri; 30; 186; 204Zibordi; 20; 27; 28; 34;

35; 39; 173Zoli; 107; 145Zuccarini; 170; 177Zucconi; 70; 71

229

Page 227: 100 ANNI DELLA LEGA DELLE AUTONOMIE LOCALI

INDICE ANALITICO

PREFAZIONE 4

PREMESSA 9

1. Il movimento per le autonomie locali: un ruolo politico-istituzionalee tecnico-amministrativo 9

2. Dalla natura politica e dalla trasversalità le capacità di stimolo dellaLega 10

PARTE IDALLE ORIGINI NEL PERIODO LIBERALE ALLA FINE

DURANTE L’ASCESA DEL FASCISMO

1. GLI ALBORI DEL MOVIMENTO PER LE AUTONOMIE LO-LOCALI ALLA FINE DELL’‘800: DALL’ASSOCIAZIONISMO DEILAVORATORI A QUELLO DELLE AUTONOMIE LOCALI 13

1.1. I lavoratori alla conquista dei comuni 15

1.2. Adattare il programma socialista alla realtà dell’istituzione locale 16

1.3. I primi convegni dei sindaci eletti dai consigli 17

1.4. La fondazione dell’Anci 18

1.5. La primavera municipale in Italia 20

2. IL MOVIMENTO SOCIALISTA E L’AFFERMAZIONE DELLAMAGGIORANZA LIBERALE E CATTOLICA NELL’ANCI 22

2.1. L’autonomia comunale dal terreno politico a quello istituzionalee tecnico-amministrativo 22

2.2. Le nuove organizzazioni del movimento per le autonomie locali 23

2.2.1. L’Unione delle province d’Italia, l’Unione statistica delle cittàitaliane e la Federazione delle aziende municipalizzate italiane 23

2.3. L’esigenza di una associazione “che si muovesse più agilmente e conspirito pugnace” 25

231

Page 228: 100 ANNI DELLA LEGA DELLE AUTONOMIE LOCALI

2.4. Il “comune moderno” nella strategia di cattolici e socialisti 26

2.5. L’evoluzione dell’Anci

2.5.1. La collaborazione dell’Anci di Sturzo con Lega delle coopera-tive, riformisti e radicali 28

3. LA NASCITA DELLA LEGA DEI COMUNI SOCIALISTI NEL 1916 31

3.1. Il congresso degli amministratori locali socialisti a Bologna:16-17 gennaio 1916 31

3.2. Il distacco degli amministratori socialisti dall’Anci 33

3.2.1. I socialisti e la questione dei rapporti con lo Stato 34

3.2.2. Il dibattito tra riformisti e massimalisti e l’uscita dall’Anci 35

3.2.3. La risposta dell’Anci 37

3.2.4. Caldara: Anci e Lega due organizzazioni con vocazioni diversee un obiettivo comune 37

3.3. Statuto e rivista della Lega 39

3.3.1. Le critiche di Sturzo ed il dolore di Caldara 40

3.3.2. Le interpretazioni della nascita della Lega dei comuni socialisti 41

4. L’ATTIVITÀ DELLA LEGA NEL PERIODO LIBERALE 43

4.1. La mobilitazione bellica e i comuni socialisti 43

4.2. I principali settori di intervento 45

4.3. La Lega tra riformismo e massimalismo 47

4.4. La seconda Assemblea generale della Lega 49

4.5. Dall’utopia socialista all’amministrazione locale 50

4.5.1. Zanardi e l’Ente comunale di consumo 50

4.5.2. La repressione prefettizia 52

5. L’AVVENTO DEL FASCISMO, LE FRATTURE NEL PSI E LAFINE DELLA LEGA 53

5.1. L’assalto fascista allo Stato comincia dai comuni socialisti: Bolognae Milano 53

5.2. Comuni e province tentano di resistere alla violenza fascista 54

5.3. Le divisioni all’interno della Lega e la fondazione del Partitocomunista 55

5.4. La linea intransigente contro il Psi 56

232

Page 229: 100 ANNI DELLA LEGA DELLE AUTONOMIE LOCALI

5.5. Il terzo ed ultimo congresso della Lega dei comuni socialisti 575.5.1. La questione dei tributi locali posta da Matteotti 585.5.2 La reazione degli agrari 605.5.3. I sindaci socialisti “finanziano” i propri comuni: l’esempiodi Zanardi e Matteotti 61

5.6. Il XIX Congresso nazionale del Psi, l’espulsione dei riformisti e lafine della Lega 625.6.1. Lo scioglimento della Lega 625.6.2. Un bilancio della “rinascita comunale” 64

5.7. La fine dell’Anci e dell’Upi 655.7.1. L’inutile tentativo dell’Anci di ingraziarsi il fascismo.La clandestinità istituzionale dell’Upi 67

5.8. Dalla questione comunale alla questione urbanistica, e la sconfittadei tecnici municipali 70

PARTE IIDURANTE LA REPUBBLICA, NEGLI ANNI DELLO

SCONTRO

1. LA RINASCITA DELLA LEGA: LE RAGIONI DELLAFONDAZIONE DELLA LEGA DEI COMUNI DEMOCRATICI 73

1.1. La Resistenza e la rifondazione dello Stato su basi autonomistiche 731.1.1. Il ruolo di Firenze e della Toscana 74

1.2. La rifondazione dell’Upi 75

1.3. La rifondazione dell’Anci 771.3.1. L’assemblea istitutiva 79

1.4. Alle origini della fondazione della Lega: “Il Comune democratico”e “L’Amministratore democratico” 801.4.1. Il ruolo della sinistra all’interno dell’Anci 801.4.2. “Il Comune democratico” 821.4.3. La volontà di cambiamento nelle pagine della rivista 84

1.5. Le motivazioni politiche della rinascita della Lega 851.5.1. Le prime avvisaglie dell’offensiva di Scelba contro i comunidemocratici 861.5.2. “L’amministratore democratico” 87

1.6. La rifondazione della Lega dei comuni 901.6.1. Comuni e province di sinistra nella strategia di opposizioneal governo 91

233

Page 230: 100 ANNI DELLA LEGA DELLE AUTONOMIE LOCALI

1.6.2. Continuità e differenza tra le aggressioni fasciste nel ’20 e ’21e quelle del periodo repubblicano 921.6.3. Il congresso di rifondazione della Lega 93

1.7. Due organizzazioni di uno stesso movimento per le autonomie lo-cali: le ragioni di Massimo Severo Giannini 941.7.1. La compatibilità tra Anci e Lega 951.7.2. La polemica tra Guerra (Anci) e Turchi (Lega) 971.7.3. La convergenza sulla finanza locale 99

2. LA LEGA DEI COMUNI DEMOCRATICI NEGLI ANNI DELLACONTRAPPOSIZIONE E DELLO SCONTRO 100

2.1. Il comune è un “organismo politico” 1012.1.1. Le funzioni e i compiti della Lega 101

2.2. La ripresa dopo i risultati del 18 aprile 1948 1032.2.1. Lo statuto del 1948 1042.2.2. Il successo nella difesa delle province, e della legalità, control’offensiva del Ministero dell’interno 1062.2.3. “La caccia al sindaco” dopo l’attentato a Togliatti 1072.2.4. I segretari comunali ed il rapporto con gli amministratori di sinistra 1082.2.5. Il punto sullo stato dell’organizzazione 112

2.3. Una sola e “nuova” rivista per la Lega nazionale dei comuni democratici 1142.3.1. L’orizzonte internazionale della nuova rivista: per la pace e peri paesi dell’Est europeo 1152.3.2. La nuova centralità delle amministrazioni comunali 1162.3.3. La nuova Lega in Parlamento e nella realtà locale 117

2.4. Una nuova Lega e una nuova Anci 1192.4.1. L’evoluzione dei rapporti tra le due organizzazioni 1192.4.2 Il linguaggio comune dei sindaci 1202.4.3. Battaglie comuni contro provvedimenti governativi 1212.4.4. Giannini per il movimento delle autonomie locali e per la Lega 123

2.5. La difesa delle amministrazioni della sinistra e dei bisogni dei cittadini 1242.5.1. Le difficoltà di una nuova classe dirigente nei comuni di sinistra 1242.5.2. Lo scioglimento dei consigli comunali e l’imperizia dei prefetti 1252. 5.3. Le tipologie dei più gravi provvedimenti contro le autonomielocali 1262.5.4. “Il reato di essere sindaco” 1272.5.5. Solidarietà degli amministratori di sinistra con i lavoratoriuccisi dalla polizia nelle lotte del dopoguerra 129

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2.5.6. La repressione delle amministrazioni di sinistra 1302.5.7. L’opposizione all’ostruzionismo prefettizio: l’attività di Giannini 132

2.6. Gli anni ‘50 1342.6.1. La Lega dei comuni democratici, province e enti minori 1342.6.2. La mobilitazione contro la “legge truffa” del ‘53 ed ilcentralismo del Pci 1362.6.3. La vocazione unitaria della Lega 1372.6.4. La fondazione dell’Uncem e il problema delle impreseidroelettriche 1382.6.5. La tragedia del Vajont. La battaglia politica contro lostrapotere dell’industria elettrica 1392.6.6. Il convegno di Bologna del 1954: la battaglia per l’attuazionedella Costituzione 1402.6.7. La sinistra italiana e il comunismo sovietico. Le misure contro“le forze totalitarie” 1422.6.8. I problemi della municipalizzazione 144

2.7. Il rilancio della Lega alla vigilia dell’esperienza dei governi di centro-sinistra 1462.7.1. Il primo congresso nazionale della Lega, Firenze 1958 1462.7.2. Bilancio di un decennio di attività 1472.7.3. Le campagne sul diritto di voto e per i comuni montani 1482.7.4. Le questioni organizzative 1492.7.5. La natura della Lega ed il rapporto con le altre organizzazioni 1502.7.6. Le prospettive politiche 1512.7.7. La battaglia per la pace e le relazioni internazionali 1522.7.8. Lo statuto 1542.7.9. La Lega e l’Anci rafforzano le proprie strutture e l’attivitàtecnico-amministrativa 154

2.8. Una moderna organizzazione riformista per la trasformazionedemocratica dello Stato 1562.8.1. Il congresso di Torino nel centenario dell’Unità d’Italia 1562.8.2. La critica all’Anci e la riflessione sulla continuità del socialismoriformista nella storia del movimento comunale 1572.8.3. Le richieste di autonomia locale inascoltate a livello nazionale 1592.8.4. La difesa della Costituzione 1602.8.5. La natura politico-tecnica della Lega 1612.8.6. La nuova direzione 162

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PARTE IIIDAGLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA AD OGGI

1. GLI ANNI DEL CENTRO-SINISTRA 165

1.1. Gli sviluppi della municipalizzazione dopo la legge del 1903 165

1.2. La nazionalizzazione dell’energia elettrica 166

1.3. Il movimento delle autonomie locali e l’istituzione dell’Enel 168

1.4. Tra l’autonomia dai partiti e l’unità del movimento per le autonomielocali 1691.4.1. La rivista apre alla discussione. Nello schieramentoautonomistico salta la distinzione netta tra governo e opposizione 1701.4.2. La Lega incontra il governo: Nenni e Giolitti 1711.4.3. L’analisi di Lanzetta sul rapporto della Lega con i partiti dellasinistra. Il IV congresso nazionale 1721.4.4. La partecipazione popolare 1741.4.5. Il Congresso di Firenze: un nuovo statuto per un’organizzazionepluralista 1751.4.6. Le Assemblee annuali. Il primo corteo di sindaci a Roma perla finanza locale 1771.4.7. Uscire dalla crisi: le regioni e la programmazione 1781.4.8. Una nuova rivista per gli enti locali: “Il potere locale” 179

1.5. Il ’68 della Lega: movimento di massa organizzato 1801.5.1. Nasce la Lega per le autonomie e i poteri locali 1801.5.2. La stagione dei movimenti. I rapporti con l’Est europeo 181

1.6. Gli anni settanta: le regioni, la pace e l’Europa 1821.6.1. Le grandi manifestazioni della Lega contro la crisi finanziariadelle autonomie locali 1841.6.2. Il DPR 616 e il rapporto con i partiti 1871.6.3. La centralità della questione della finanza locale: gli incontridi Viareggio 1881.6.4. Nella produzione editoriale della Lega anche una guida per il“Regno di Babilonia” 190

2. GLI ANNI ‘80 191

2.1. Il congresso di Firenze del 1980 1912.1.1. Ruolo e compiti della Lega. I costi dell’impegno editoriale 192

2.3. La ripresa della ricerca dell’unità del movimento 1942.3.1. Giannini e Cassese, continuano a collaborare con la Lega 195

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2.3.2. Tentativi per un coordinamento unitario delle associazionidelle autonomie 1962.3.3. Il congresso di Bologna del 1984: una modificazione struttu-rale della Lega 196

2.4. Il difficile rapporto con l‘Anci. La Lega organizza gli incontri diViareggio 1982.4.1. Lega/Anci: dalla competizione politica a quella tecnica 199

2.5. La Lega e la nuova sfida dell’unità del movimento per le autonomielocali 2002.5.1. 1986: Il settantesimo anniversario della fondazione 2012.5.2. L’elogio della “doppiezza” e la difesa dell’autonomia 202

2.6. Il malessere delle autonomie locali 2042.6.1 La segreteria Gualandi 2062.6.2. Il rafforzamento dell’impegno tecnico-amministrativo 206

3. GLI ANNI ’90: LE RIFORME 208

3.1. Per una Conferenza nazionale delle autonomie 209

3.2. I sindaci si mobilitano 210

3.4. I sindaci protagonisti del movimento per le autonomie locali 2113.4.1. La prima marcia dei sindaci eletti dai cittadini 2123.4.2. L’incarico al sindaco Rutelli della guida del processo di unifi-cazione 212

3.5. Il movimento per le autonomie locali e il “partito dei sindaci dellegrandi città” 2133.5.1. Il rilancio della sfida dell’unità 2143.5.2. La Conferenza Stato-città ed autonomie locali 2153.5.3. Tra divisioni e spinte all’unità 216

3.6. “Costruire il federalismo per rafforzare la partecipazione” 217

POSTFAZIONE 219

Indice dei nomi 225

Indice analitico 231

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EDIZIONI ALISEI s.a.s. di Bruno PuglielliVia Poggio Catino 15, 00199 Roma06.86.06.418 – [email protected]

Copertina di Francesco GraziosiFinito di stampare nel mese di giugno 2006Stampa: Abilgraph Roma

Edizione fuori commercio realizzata per Legautonomie